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EDUCAZIONE CIVICA

Filosofia

Il funzionamento della macchina dei tribunali


ateniesi

Il sistema giudiziario nell’antica Atene prevedeva che soltanto chi si riteneva leso in qualcosa
potesse promuovere un’azione legale, e questo anche nel caso di reati di sangue. Non era
prevista la procedura d’ufficio, per cui per esempio doveva essere il parente di un ucciso a
denunciare l’assassino.
I processi potevano riguardare un interesse pubblico (e in questo caso chiunque poteva
intentare una causa contro qualcuno) o privato (in questo caso era previsto un tentativo di
conciliazione, se esso falliva si andava in giudizio in tribunale).
Il processo, di durata massima di un giorno, veniva istituito dal magistrato che aveva ricevuto
l’accusa. Egli si preoccupava di raccogliere i vari elementi (prove a carico o a discolpa,
testimonianze...). Alla fine i tesmoteti fissavano la data del processo.
Alle parti era fissato un tempo massimo per la requisitoria e per l’arringa. Il tempo era
scandito da una clessidra. La clessidra veniva fermata per l’ascolto delle testimonianze o per
la lettura di testi di legge. I giudici, infatti, non erano esperti di diritto (considerando che ne
venivano sorteggiati 6000 ogni anno casualmente), e quindi era interesse delle parti citare le
norme favorevoli alla causa. Il tempo a disposizione era quello impiegato da determinate
quantità d’acqua a scorrere in una clessidra: 35 litri per le cause superiori a 5.000 dracme (la
durata equivale a poco meno di un’ora) e circa 11 litri per la replica. Alle cause di valore
inferiore erano assegnati tempi via via più ridotti.
Non era previsto nessun avvocato: da qui l’uso di ricorrere a un logografo. Il logografo
stilava l’orazione accusatoria o difensiva che poi il denunciante o l’imputato recitava a
memoria.
Le donne, i minori o i meteci (forestieri liberi) dovevano essere rappresentati da un tutore.
Il verdetto veniva emesso subito dopo l’eventuale replica che ciascuna delle parti poteva
pronunziare.
I giudici procedevano alla votazione con un complesso sistema, tendente a evitare i brogli.
Un passo da La Costituzione degli Ateniesi di Aristotele (68-69) la descrive minutamente:
«I voti sono dischetti di bronzo, provvisti di un perno al centro; per metà sono forati, per metà
interi. I giudici incaricati di sorvegliarli, dopo che i discorsi sono finiti, consegnano ad ogni
giudice due voti, uno forato e uno pieno, facendoli vedere alle parti in causa affinché non li
ricevano né entrambi forati né entrambi pieni. […] Ci sono nel tribunale due anfore, l’una di
bronzo e l’altra di legno, che si possono separare perché non vi si introducano voti con
l’inganno. In esse li mettono i giudici. L’anfora di bronzo è quella decisiva, l’anfora di legno
non ha importanza, e la fessura del coperchio lascia passare soltanto un voto alla volta,
affinché il medesimo giudice non ne metta due. Quando i giudici stanno per votare, l’araldo
per prima cosa chiede se le parti in causa vogliano impugnare le testimonianze; perché poi,
una volta cominciata la votazione, non è più possibile farlo. Poi un secondo proclama: «Il
dischetto forato è a favore di chi ha parlato per primo, quello pieno a favore di chi ha parlato
per secondo». Il giudice, prendendo insieme i voti dal perno e coprendolo senza mostrare alle
due parti se sia quello forato o quello pieno, infila il voto valido nell’anfora di bronzo e
quello nullo nell’anfora di legno. Dopo che tutti hanno votato, i servi prendono l’anfora con i
voti validi e la vuotano su una tavola con tanti fori quanto sono i voti, e questo affinché i voti
validi si possano contare facilmente, sia quelli forati sia quelli pieni, ben visibili alle due parti
in causa. I giudici preposti ai voti le contano sulla tavola, separando quelli pieni da quelli
vuoti, e l’araldo proclama il conteggio dei voti, quelli forati per l’accusa, quelli pieni per la
difesa; vince chi ne ha di più, e l’accusato in caso di parità. Poi, se occorre, valutano di nuovo
l’ammenda, votando allo stesso modo […]. La valutazione dura per ciascuna delle due parti
tanto quanto un mezzo congio d’acqua (cioè 1,75 litri). Sbrigata la sentenza secondo le leggi,
i giudici ricevono il loro compenso […]».
In caso di condanna, una seconda riunione dei giudici fissava la pena. Altrimenti, dopo un
verdetto assolutorio, il processo terminava definitivamente.
Prima del processo, il denunciante versava un deposito cauzionale. Esso diventava proprietà
dello stato se l’accusa veniva ritirata; questa possibilità era concessa fino al momento del
verdetto. Chi denunciava doveva ottenere dai giudici almeno un quinto dei voti (20%),
altrimenti veniva denunciato a sua volta per calunnia, oltre a subire la pena di una multa.
Questo meccanismo era stato messo a punto per evitare accuse infondate avanzate da persone
che vivevano di minacce e ricatti, i cosiddetti sicofanti.

I tribunali dell’antica Atene

• I tribunali erano più d’uno. Il più antico era quello dell’Areopago, che giudicava i reati di
sangue e gli omicidi compiuti con premeditazione. L’Areopago poteva infliggere la pena di
morte in caso di omicidio, l’esilio e la confisca dei beni per ferimento premeditato.
• Per i reati colposi il tribunale era quello del Palladio.
• Il tribunale del Delfinio giudicava gli omicidi per legittima difesa o quelli previsti per
particolari circostanze, come la flagranza dell’adulterio.
• Il tribunale del Pritaneo gestiva le cause di omicidio a opera di ignoti.
• Il Freatto quelle contro imputati già condannati all’esilio per precedente omicidio. In questo
caso il colpevole veniva giudicato stando in piedi su una barca ancorata in riva al mare, per
non contaminare col suo “miasma” la terra patria.

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