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Vi erano 2 tipi di processo: quello criminale (di interesse pubblico) e quello privato (con il quale i privati
chiedevano che fossero tutelati i loro diritti).
↳ l’iniziativa e la prosecuzione di esso sono lasciate al soggetto interessato al processo (attore), il quale deve
procurarsi la collaborazione dell’altra parte (convenuto). All’interno del processo privato si distinguono
- azioni dichiarative/di cognizione = tendono ad accertare la situazione giuridica controversa e a
determinare le conseguenze per la sua violazione
- azioni esecutive = volte a infliggere materialmente la sanzione prevista dall’ordinamento.
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1) LEGIS ACTIO PER SACRAMENTUM (mediante un giuramento)
Procedura disciplinata nelle XII tavole (molto antica). Era un’azione generale (tutelava ogni diritto all’epoca
esistente). Aveva due applicazioni:
● legis actio per sacramentum in rem ⟶ serviva a rivendicare la proprietà di una cosa, di alcuni diritti
reali limitati o di un’eredità. Esempio utilizzo a difesa della proprietà ⟶ per garantire la pace e l’ordine
pubblico era necessario che un eventuale atto di difesa privata non sfociasse in faide ma che fosse
sottoposto a un controllo da parte della collettività.
All’inizio doveva trattarsi di una vera e propria lotta a cui ponevano fine gli organi della comunità, i quali
acquistavano la legittimazione a giudicare per impedire i conflitti sociali ⟶ ⟶ col passare del tempo la
lotta si conserva solo come simulacro (apparenza/simulazione) = attore doveva compiere un rituale che
ricordava l’antica lotta:
● l’attore doveva portare in iure davanti al magistrato il bene conteso (o un simbolo) + procurarsi
la presenza del convenuto (attuale possessore del bene).
● attore effettuava la vindicatio = afferrava la cosa e affermava che essa gli apparteneva,
ponendo al contempo sopra di essa un bastone (dimostrazione di appartenenza e di essere
pronto a lottare per essa).
● 2 possibilità:
○ il convenuto fa una in iure cessio ⟶ non difende il bene, lo cede ⟶ il magistrato
assegna la cosa all’attore
○ convenuto effettua una contravindicatio ⟶ compie gli stessi gesti e pronuncia le stesse
parole dell’avversario ⟶ bastoni andavano a incrociarsi ⟶ sceneggiata di duello
↳ si imponeva come necessario l’intervento del magistrato che impediva il ricorso alla
violenza + ordinava di abbassare il bastone e lasciare la cosa
➔ per arrivare alla soluzione le parti si sfidavano a giurare di avere ragione (sacramentum) ⟶ questa
divenne una scommessa giurata = scommettevano di avere ragione e promettevano di pagare una
somma in caso perdessero la lite
➔ il magistrato assegnava provvisoriamente il possesso del bene alla parte che dava maggiori garanzie +
nominava il giudice che doveva decidere la causa
➔ l’oggetto del giudizio era la verità del sacramentum ⟶ in epoca più antica il compito di stabilire quale
dei due fosse iustum era affidato ai pontefici | quando divenne una scommessa giurata i giudici
chiamati a decidere erano dei laici, soggetti privati scelti dal magistrato con la collaborazione delle parti
➔ il giudice emanava la sentenza indicando quale sacramentum fosse giusto ⟶ il soccombente doveva
restituire la cosa e i frutti da essa prodotti (in caso avesse possesso provvisorio) ⟶ se non eseguiva
l’ordine il vincitore poteva passare alla fase esecutiva contro i garanti
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3) LEGIS ACTIO PER CONDICTIONEM (mediante intimazione)
Introdotta per i crediti con oggetto una somma determinata di denaro e per crediti aventi oggetto cose
determinate (certa pecunia e certa res).
Novità: alle affermazioni solenni delle parti seguiva un’intimazione (condictio) a ricomparire in iure dopo 30gg
per la nomina del giudice ⟶ non si deduceva subito la causa in giudizio e le parti avevano ancora tempo per
giungere a un eventuale accordo.
Con le altre actiones bisognava agire con espressa e formale indicazione del fondamento sostanziale della
pretesa ⟶ con questa legis l’attore non doveva indicare il fondamento del suo diritto ⟶ permetteva l’uso di
questo strumento processuale per molteplici casi anche non espressamente previsti.
5) PIGNORIS CAPIO
Si compiva extra ius (in assenza del magistrato e talvolta anche della controparte).
Si prendeva una cosa mobile di un altro soggetto, pronunciando le parole rituali previste ⟶ creditore poteva
trattenere tale bene finché non otteneva il pagamento della somma dovuta.
Tale procedura era prevista solamente per rapporti di natura pubblicistica, sacrali o militari ⟶ il soggetto
passivo non aveva un vero e proprio debito nei confronti dell’attore.
Processo assimilato alle legis actiones perchè venivano utilizzate parole rituali considerate avere forza
obbligatoria.
Agere per sponsionem ⟶ modalità alternativa di giudizio che permise al processo civile di cominciare a
emanciparsi dal rifido formalismo ➜ stratagemma di sfidare avversario a promettere con sponsio una certa
somma per il caso in cui risultasse appartenere all’attore ⟶ attore può agire con una delle legis actiones in
personam per far accertare l’esistenza del debito del convenuto. Sponsio era pregiudiziale = permette di
instaurare un processo con delle modalità più convenienti per entrambe le parti.
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IL PROCESSO FORMULARE
Le legis actiones vennero in odio ai cittadini perché avevano vari difetti ⟶ dominate da formalismo, erano
troppo rigide, si agiva per certa verba (una parola sbagliata faceva perdere la causa) + tutelavano solo alcuni
diritti, quelli riconosciuti dal ius civile (rivendica proprietà, divisone comproprietà e alcuni tipi di diritti di credito)
+ potevano essere utilizzate solo dai cives (in particolare soltanto dai patres familias).
L’attività giurisdizionale era molto limitata: pretore doveva soltanto verificare la regolarità del rito, la capacità
delle parti e l’inesistenza di altro processo/sentenza sulla stessa controversia.
A partire dal 367 a.C. la giurisdizione fu affidata al pretore (magistrato cum imperio eletto ogni anno dai comizi
centuriati con carica annuale) ⟶ aveva stesso imperium dei consoli ma una potestas minore (era soggetto alla
loro intercessio). La sua competenza era la iurisdictio inter cives = determinare la norma da applicare al
rapporto concreto sottoposto alla sua cognizione.
Nel 242 a.C. venne istituito il pretore peregrino ⟶ necessità di utilizzare modalità diverse dalle legis actiones.
↳ non poteva utilizzare le forme delle legis actiones in quanto almeno una delle parti era straniera.
Organizzò una tutela giurisdizionale sulla base del proprio imperium = potere di dare ordini con la possibilità di
farli eseguire, al quale le parti si sottomettevano volontariamente. Quando attore e convenuto di comune
accordo chiedevano al pretore di utilizzare delle formalità processuali diverse il pretore poteva concederle e
garantirne l’esecuzione.
Egli dava istruzioni al giudice privato e garantiva lo svolgimento del processo + esecuzione della sentenza.
↳ istruzioni presero nome di formule = breve documento scritto in cui era indicato il nome del giudice e i
termini giuridici della controversia. Il giudice era invitato e autorizzato a condannare o assolvere secondo le
modalità indicate. Si agisce per concepta verba = parole flessibili e malleabili.
Si costruì così un nuovo processo, il processo formulare ⟶ non apparteneva al ius civile (non era prodotto
diretto delle sue fonti) ma rientrava nell’ordinamento giuridico romano in quanto il pretore era un magistrato
romano.
Il ruolo del pretore era guidato dalla giurisprudenza ⟶ il magistrato funzionava come strumento per la
realizzazione dei progetti pensati ed elaborati dai giuristi: la pretura era la voce, mai la mente.
Il fondamentale criterio normativo che serviva all'individuazione delle regole da applicarsi ai rapporti sottoposti
al pretore peregrino era la fides bona. Non poteva essere applicata la fides propria dei cittadini romani ⟶ per
applicare tale concetto ai rapporti tra stranieri era necessario far riferimento a un modello di correttezza medio,
la fides del bonus vir = dell’uomo medio, correttezza standard, fedeltà alla parola data ⟶ la buona fede
permette di ampliare il diritto.
I cittadini romani vollero utilizzare i nuovi strumenti creati dal pretore peregrino ⟶ il pretore urbano cominciò
ad adottare strumenti processuali diversi da quelli delle legis actiones + cominciò ad introdurre azioni formulari
anche per i casi in cui era possibile una tutela tramite legis actio.
Tutti i nuovi rapporti ebbero nella buona fede la norma che fondava il vincolo e misurava la responsabilità +
vennero a costituire il ius gentium.
Per circa un secolo il processo formulare convive con quello delle legis actiones, le quali venivano applicate
sempre meno (diritto sentito come iniquo). 2 leggi portarono alla fine delle legis actiones:
1. lex Aebutia ➜ abolì la legis actio per condictionem + rese improponibile una qualunque legis actio per
una questione già decisa per formulas. In un primo momento si poteva utilizzare il processo formulare
solo per i casi non tutelati da una legis actio, presto si introdussero formule anche per quelle ipotesi e
divenne possibile per un cittadino romano agire due volte per la stessa controversia: se chiedeva prima
una formula e non otteneva soddisfazione, potevano pretendere la concessione della legis actio; se
agiva prima con la legis actio il convenuto poteva paralizzare la nuova azione formulare con
l’eccezione di cosa già giudicata. La legge Ebuzia rende improponibile anche il primo caso.
2. lex iulia iudiciorum privatorum ➜ abolisce le restanti legis actiones (tranne manus iniectionem, legis
actio per sacramentum in rem solo per la prima fase in tema di cause ereditarie e la legis actio damni
infecti). La lex iulia dichiarò che il sistema formulare era il processo privato ordinario. Tramite questa
legge il processo formulare venne ufficialmente riconosciuto come processo del ius civile.
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Il processo formulare era unitario, costituito da un unico procedimento. Le azioni esperibili (utilizzabili) erano
solo di cognizione e nella maggior parte dei casi si concludevano con una sentenza di assoluzione o di
condanna (oggetto era sempre il pagamento di una somma di denaro).
Vi erano solo pochi casi di azioni costitutive (esempio azioni divisorie) + azioni di mero accertamento.
L’esecuzione non fu mai convogliata in un procedimento giudiziario ⟶ unica azione esecutiva di ius civile
rimase la manus iniectio, applicata però in forma attenuata (condannato si riscattava col proprio lavoro).
La nuova fase esecutiva del processo formulare era una procedura ‘amministrativa’ che consisteva in
un’esecuzione concorsuale su tutto il patrimonio del debitore insolvente (bonorum venditio).
Era un processo non formalistico ⟶ magistrato poteva concepire un testo apposito in funzione del singolo
caso concreto, si agiva ora per concepta verba.
Forte tecnicismo sostanziale ⟶ era importante individuare precisamente le pretese.
Era sempre necessaria sia la volontà delle parti che chiedevano un nuovo tipo di processo (non previsto dalla
legge) sia la volontà del magistrato che lo concedeva e che poteva imporre che fosse condotto a termine e
che venisse rispettata la decisione del giudice. Questo aspetto rende la procedura formulare sia privatistica
che magistratuale:
- procedura privatistica perché poteva essere impiegata soltanto se le parti erano d’accordo di adottarla.
- procedura magistratuale perché il processo era possibile solo se il magistrato lo accordava con proprio
atto + poteva concedere anche strumenti diversi da quelli del processo
1) L’INTENTIO
Parte che non poteva mai mancare ⟶ viene enunciato il rapporto dedotto in giudizio, era l’espressione della
pretesa che l’attore doveva poi provare al giudice. In alcuni casi poteva esserci solo l’intentio (casi di mero
accertamento) in altri casi molto particolari poteva mancare (esempio alcune azioni divisorie in cui tra
comproprietari non c’era controversia). L’intentio poteva essere:
- certa = identificava immediatamente l’oggetto del rapporto dedotto in giudizio ⟶ giudice doveva
soltanto accertare se il rapporto esistesse o meno, rispondeva al ‘se’. In questo caso l’attore doveva
prestare attenzione a non chiedere di più di quanto gli era dovuto altrimenti avrebbe perso la causa e
non avrebbe avuto possibilità di riproporre in giudizio la sua pretesa (ne bis in idem).
Esempi sono quella dell’azione di rivendica (se risulta che lo schiavo è di …) e della condictio certae
pecuniae o certae rei (se risulta che NN deve dare a AA tot soldi …)
- incerta = doveva accertare se il rapporto esistesse o meno + doveva stabilirne il contenuto +
rispondere alla domanda ‘che cosa’.
Esempio tipico è quello che si trova in tutte le azioni di buona fede (tutto ciò che, per quel motivo, NN
deve dare e/o fare in base alla buona fede a favore di AA)
2) LA DEMONSTRATIO
Quando l’intentio era incerta doveva essere preceduta da un’altra parte della formula, la demonstratio ⟶
serviva a indicare il fatto giuridico che giustificava la pretesa, gli elementi che la precisavano e che permetteva
al giudice di compiere la valutazione richiesta nella intentio.
Esempi sono quella dell’azione di vendita (poiché -quod- AA vendette lo schiavo a NN/comprò lo schiavo da..)
e dell’azione di ingiurie (viene indicato il tipo di offesa subita).
Tutte le azioni di buona fede hanno intentio incerta e di conseguenza demonstratio.
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3) LA CONDEMNATIO
Parte che invitava e autorizzava il giudice a condannare qualora ritenesse sussistenti le condizioni indicate
dalla formula stessa, in caso contrario ad assolvere il convenuto.
Se l’intentio conteneva già una pretesa pecuniaria, la condemnatio era certae pecuniae e indicava la somma.
Negli altri casi la condemnatio era incerta ed era il giudice a valutare la somma cui condannare il convenuto ⟶
doveva tradurre in denaro la pretesa. La condemnatio doveva contenere le modalità per convertire una
pretesa diversa dal denaro ⟶ la valutazione era una pecuniaria aestimatio.
I criteri di valutazione variavano da caso a caso:
- in molte formule si diceva al giudice di considerare il valore di mercato della cosa
- nelle controversie aventi ad oggetto la proprietà di un bene il giudice differiva la stima all’attore che
teneva conto anche di un valore affettivo
↳ i momenti cui riferire la valutazione potevano essere diversi a seconda delle varie azioni:
a. fuit (=valeva) ⟶ si faceva riferimento al valore della cosa in un momento precedente alla litis
contestatio ⟶ indicazione caratteristica delle azioni penali, esempio actio furti
b. est (=vale) ⟶ valore della cosa al momento della litis contestatio
c. erit (=varrà) ⟶ valore che avrebbe avuto la cosa al momento della sentenza, esempio azione di
rivendica
- in altre formule, in particolare quelle di buona fede, il criterio di valutazione era completamente diverso
diretto a convertire in denaro l’interesse positivo dell’attore alle prestazioni dovutegli ⟶ tale interesse
derivava dalla differenza tra l’effettivo situazione patrimoniale dell’attore e quella in cui si sarebbe
trovato in seguito all’adempimento (esempio compro mucca malata che uccide le altre mie mucche,
posso pretendere il valore di tutte le mucche).
4) L’ADIUDICATIO
Era utilizzata nei giudizi divisori per dare al giudice il compito e il potere di attribuire a ciascuno dei coeredi o
comproprietari beni e diritti in proporzione alla misura in cui ognuno partecipava all'eredità o alla comproprietà.
Al termine del processo nascevano nuovi diritti di proprietà solitaria su beni che prima appartenevano in
comunione a più persone.
5) LA PRAESCRIPTIO*
Non faceva propriamente parte della formula, era scritta prima, ancora prima della nomina del giudice. Era
come una clausola preliminare. Premessa della formula che imponeva al giudice di considerare come non
avvenuta la litis contestatio, se accertava il fatto indicato nella praescriptio. A cosa serviva? A evitare
l’estinzione dell’azione e permettere di agire una seconda volta per la stessa causa.
In principio ne esistevano 2:
- pro reo ➜ vennero sostituite dalle exceptiones, le quali offrivano al convenuto una miglior tutela perché
erano inserite all’interno della formula e quindi non escludevano gli effetti della litis contestatio ⟶ se il
convenuto riusciva a provare quanto affermato nell’eccezione era assolto e l’attore non poteva più
riproporre l’azione
- pro actore ➜ si usavano soprattutto per evitare che l’esperimento dell’azione consumasse l’intero
rapporto, in particolare per le azioni con intentio incerta. Esempio la locazione ⟶ convenuto non ha
pagato tot mesi ma il contratto dura altri mesi, se arrivo in sentenza e il convenuto poi non mi paga il
resto dei mesi non posso rifare il processo. La praescriptio invece non porta ad una sentenza, la causa
non viene giudicata e quindi l’attore può di nuovo agire.
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Le exceptiones
Era un rimedio a favore del convenuto che il pretore poteva inserire nella formula dopo l’intentio, dietro
richiesta del convenuto. Strumenti pretori introdotti per correggere il ius civile o per integrarlo.
La formula aveva struttura ipotetica: poneva la questione se il diritto dell'attore esistesse o meno ⟶ attore
doveva provare la propria pretesa, se non ci riusciva il convenuto veniva assolto ➜ il convenuto però poteva
presentare delle difese ⟶ questa possibilità era implicitamente contenuta nell’ intentio ⟶ non serviva chiedere
l’inserimento di una clausola apposita per negare la fondatezza della pretesa attorea + convenuto non era
tenuto a presentare prove. cfr ipso iure
Quando serviva la exceptio? Quando il convenuto voleva far valere una circostanza che implicava
l’impedimento di esercitare il diritto ⟶ casi in cui sarebbe stato iniquo giungere ad una condanna. Il convenuto
non contestava l’esistenza del diritto dell’attore ma adduceva dei fatti che, se provati, avrebbero impedito al
giudice di condannarlo.
In questo caso il convenuto doveva prendere l’iniziativa in iure. chiedere l’inserimento della clausola, diretta ad
allargare la materia della causa.
Era un’ulteriore condizione negativa della formula: la prima era la prova della pretesa attorea indicata nell’
intentio (si paret), la seconda era la mancata prova dei fatti allegati dal convenuto nella exceptio (si non paret).
Distinzione tra effetti ipso iure e ope exceptiones ⟶ fatti che il giudice può verificare d’ufficio e fatti che devono
necessariamente essere fatti presente dal convenuto.
Riassumendo, quando la formula conteneva un’exceptio:
- se l’attore non provava la pretesa nell’ intentio, convenuto assolto
- se l’attore provava la pretesa e il convenuto provava i fatti indicati nell’ exceptio, convenuto assolto
- se l’attore provava la pretesa e il convenuto non provava i fatti dell’ exceptio, convenuto condannato
Le exceptiones potevano essere peremptoriae (proponibili senza limiti di tempo)o dilatoriae (proponibili solo
per un certo tempo e in date circostanze).
L’attore poteva a sua volta opporre all’eccezione dei fatti ⟶ replicatio (con cui rispondeva e superava le
osservazioni del convenuto). Il convenuto poteva rispondere con una duplicatio, l’attore poi con una triplicatio
e così via.
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TIPI DI AZIONI
➜ IN BASE AL POTERE ATTRIBUITO AL GIUDICE
1) AZIONI DI STRETTO DIRITTO
Risentivano ancora della rigidità dell’antico ius civile. Erano azioni in personam in cui l’obbligo del convenuto
era descritto precisamente. Poteri limitati del giudice: doveva procedere all’accertamento dei fatti applicando le
regole tradizionali e seguendo le precise indicazioni fornite dalla formula.
2) AZIONI ARBITRARIE
Erano le azioni che contenevano la clausola arbitraria (arbitratus de restituendo) ⟶ era un’appendice
dell’intentio, con la quale si condizionava ulteriormente la condanna, in questo caso alla mancata restitutio
(=restituzione dell’oggetto controverso + eventuali frutti prodotti + risarcimento eventuali danni). Quando era
contenuta nella formula, il giudice prima di condannare invitava il convenuto a restituire.
Il giudice emetteva dei provvedimenti interlocutori: una pronuntiatio de iure (=dichiarava la fondatezza della
pretesa attorea) + un iussum de restituendo (=indicava al convenuto ciò che doveva fare per evitare la
condanna). Tale iussum non aveva efficacia esecutiva.
Il giudice aveva 3 possibilità:
- pretesa dell’attore non provata, convenuto assolto
- pretesa provata e convenuto adempiva alla restitutio, convenuto assolto
- pretesa provata ma convenuto non adempiva alla restitutio, convenuto condannato.
↳ il giudice era un iudex-arbiter ⟶ aveva più poteri di un giudice chiamato a decidere con una formula che non
contenesse l’arbitratus. Erano arbitrarie tutte le azioni in rem e pochissime in personam (cfr dolo e metus).
3) AZIONI DI BUONA FEDE
Davano al giudice poteri molto ampi ⟶ doveva stabilire quali fossero gli obblighi del convenuto seguendo i criteri della
correttezza, con un’ampia discrezionalità di giudizio. Il giudice doveva valutare secondo il criterio della buona fede il
complessivo comportamento delle parti e da ciò determinare le prestazioni che erano ancora dovute.
La condanna riportata in alcune azioni, dette infamanti, comportava come effetto accessorio la sanzione
dell’infanzia, una distima sociale che portava con sè conseguenze giuridiche: perdita del diritto di voto +
divieto di rappresentare ed essere rappresentato in giudizio + incapacità di esperire azioni popolari e di
prestare testimonianza. Erano infamanti le principali azioni penali e alcune azioni reipersecutorie in cui fosse
stata violata la fides della controparte.
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- più moderna è la figura del procurator ad litem ⟶ per nominarlo era sufficiente un mandato
informale. Differenze con il cognitor ➜ procurator non consumava l’azione che esperiva in
nome del dominus litis, il quale avrebbe potuto agire una seconda volta (procurator vs
convenuto). PERÒ se è attore vs procurator ⟶ attore consuma la propria azione e non può agire
di nuovo contro dominus.
↳ si chiedeva al procurator di prestare alla controparte alcune garanzie:
- se sostituiva attore ⟶ prometteva di risarcire il convenuto nell’ipotesi in cui il dominus
litis agisse una seconda volta
- se sostituiva il convenuto ⟶ prometteva di pagare l’eventuale condanna che venisse
pronunciata contro di lui
● defensor = persona che poteva intervenire spontaneamente in difesa di una persona assente che
venisse chiamata in giudizio ⟶ gestore di affari altrui che poteva sostituire solo il convenuto.
● in altri casi un qualsiasi cittadino poteva agire nell’interesse dell’intera comunità e indirettamente nel
proprio interesse ⟶ si parla di azioni popolari.
In iure l’attore chiedeva al pretore l’azione (postulation actionis) e spiegava la propria pretesa. Il convenuto
poteva tenere 3 atteggiamenti:
- confessio = chi ammetteva in iure era parificato a chi fosse condannato. Si rendeva superfluo un
giudizio di accertamento e si procedeva all’esecuzione.
- indefensio = se convenuto non accettava il giudizio, si procedeva direttamente con i mezzi esecutivi in
rem o in bona
- difesa = convenuto accettava il giudizio ma contestava le pretese dell’attore. Poteva contestarle:
- in fatto = esempio affermando di aver già pagato il debito richiesto
- in diritto = esempio se è minore
- chiedendo inserimento di exceptiones
↳ magistrato doveva verificare che il fatto esposto dall’attore avesse riconoscimento giuridico (che per quella
situazione esistesse un tutela giuridica ⟶ poteva decidere di introdurre una nuova formula).
A volte poteva ritenere che le pretese attoree fossero sicuramente infondate o inique e poteva negare la tutela
richiesta (denegatio actionis).
Più spesso il magistrato concedeva l’azione richiesta (datio actionis o iudicii) in base al testo sul quale si erano
accordate le parti e procedeva alla nomina del giudice.
La litis contestatio
L’attore doveva ora procurarsi l’adesione del convenuto alla prosecuzione in giudizio ⟶ leggeva il testo della
formula e il convenuto doveva accettarla.
Carattere privatistico processo formulare ⟶ non poteva svolgersi senza collaborazione del convenuto
Carattere magistratuale ⟶ permetteva che la mancanza di collaborazione fosse sanzionata ⟶ se il convenuto
non accettava la formula, era indefensus e il magistrato procedeva all’esecuzione.
Litis contestatio = atto con cui le parti manifestavano il loro accordo sulla formula. Era il momento finale della
fase in iure con il quale si stabiliva ufficialmente che vi era un processo tra quelle parti e per quell’oggetto.
Non era più necessaria l’involuzione solenne di testimoni (testo della formula era scritto).
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↳ La litis contestatio produceva una serie di importanti conseguenze ➜ l’effetto generale era quello di rem in
iudicium deducere = sottoporre la controversia a un giudice, la lite diventava oggetto di un giudizio, si
instaurava un rapporto processuale tra le parti. Da questo effetto generale discendevano varie importanti
conseguenze:
1) effetto conservativo = i termini della controversia erano fissati in modo non più modificabile nè dalla
volontà delle parti nè dai fatti sopravvenuti. Si aveva la fissazione del rapporto giuridico al momento
della litis contestatio, di modo che ogni evento successivo sarebbe stato irrilevante e non avrebbe
pregiudicato la pretesa dell’attore. Esempio: morte del convenuto successiva alla lc ⟶ non
danneggiava l’attore neppure nel caso di azioni intrasmissibili.
In caso di condanna, l’attore doveva ottenere tutto ciò che avrebbe conseguito se l’adempimento
dell’obbligazione o la restitutio fossero avvenuti il giorno della lc, compresi dunque anche i frutti o gli interessi.
2) effetto preclusivo = in relazione a determinate formule la lc comportava già la consumazione
dell’azione, non occorreva attendere l’emanazione della sentenza.
3) effetto estintivo = la lc era un modo di estinzione dell’obbligazione, in quanto il debito preesistente si
considerava cancellato e sostituito dall’obbligo del convenuto di sottostare alla futura sentenza del
giudice.
Fase apud iudicem e sentenza
La seconda fase si svolgeva davanti al giudice (non era un organo pubblico ma un privato cittadino che
svolgeva funzione pubblica). Per lo più era un iudex unus, in alcuni processi di maggior rilievo sociale si
nominava un collegio di 3 o 5 (cfr recuperatores).
Se attore e convenuto si mettevano d’accordo sulla persona da nominare, questa veniva nominata giudice
nella loro causa altrimenti esistevano delle liste di giudici dalle quali le parti potevano scegliere la persona
meno sgradita.
I giuristi non si occupano molto di questa fase processuale: l’impostazione giuridica era tutta compiuta in iure.
In questa seconda fase si accertavano i fatti controversi ⟶ tale ambito era riservato agli oratori.
Il processo poteva proseguire anche in assenza di una delle parti.
Le parti (o i loro patrocinatori) esponevano oralmente i fatti della causa e producevano le prove a fondamento
delle loro ragioni. Non era più possibile modificare termini della pretesa o chiedere la considerazione di
circostanze non specificate in apposite exceptiones ⟶ la formula era fissata e immutabile.
Onere della prova ➜ la prova dei fatti che costituiscono condizione della condanna compete a chi ne afferma
l’esistenza ⟶ chi li contesta non deve provare che non esistono.
↳ attore deve provare i fatti positivi che sono a fondamento dell’actio mentre il convenuto deve provare solo i
fatti impeditivi o estintivi del diritto vantato dall’attore.
Il giudice aveva ampia libertà di assumere e valutare tutti gli elementi di prova che ritenesse rilevanti, l’unico
vincolo era quello di rispettare la formula.
Qualora il giudice non riuscisse a formarsi una chiara visione dei fatti controversi e quindi ritenesse di non
poter emanare una corretta decisione, poteva rifiutare l’incarico ⟶ si provvedeva alla sostituzione.
Il giudizio si concludeva con l‘emanazione della sentenza, che il giudice pronunciava al termine del
dibattimento (non era richiesta alcuna formulazione particolare, neppure la forma scritta né alcuna
motivazione). Il giudice poteva soltanto condannare o assolvere il convenuto. In caso di assoluzione il
convenuto poteva agire contro l’attore per la lite temeraria, con il iudicium calumniae ⟶ sarebbe stata
condannata al decimo del valore della lite la persona che risultasse consapevole di aver agito a torto.
Dalla sentenza nasceva l’obbligo di rispettare il giudicato, che si sostituiva all’originario obbligo o dovere e
aveva sempre per oggetto una somma di denaro.
Non c’era la possibilità di appellare ⟶ la sentenza acquisiva subito l’autorità di cosa giudicata. In età imperiale
(dal I secolo d.C.) si ammise la possibilità che una sentenza emanata nel processo formulare potesse essere
devoluta al principe o a un suo delegato che decideva ex novo la questione nella nuova forma processuale
della cognitio extra ordinem.
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I RIMEDI PRETORI
Il pretore era dotato della funzione della iurisdictio + di un potere di imperium uguale a quello dei consoli.
↳ sulla base di questo potere di dare ordini e di farli eseguire, il pretore emanava alcuni atti (più di imperio che
di giurisdizione) che erano integrativi rispetto ai veri e propri strumenti processuali.
➜ Provvedimenti che assicuravano il corretto svolgimento del processo ordinario e l’esecuzione della
sentenza + coprivano alcune lacune del sistema (dava tutela a situazioni giuridiche al di fuori di un vero e
proprio processo).
Nell'editto erano contenute le formule di questi 4 istituti; per loro si svolgeva solo la fase in iure, durante la
quale il pretore effettuava una sommaria cognizione dei fatti della causa (=causae cognitio).
1) INTERDETTI
= Ordini di fare o non fare qualcosa. Sono ‘ordinanze d’urgenza’ con cui il magistrato ingiungeva determinati
comportamenti anche se questi non erano prescritti dal ius civile (davano tutela a situazioni che il ius civile non
proteggeva).
Strumenti più antichi (risalenti al periodo in cui il processo ordinario era quello delle legis actiones).
I primi interdetti sono quelli emanati a tutela dei possessori dell’ager publicus = terreno in proprietà del popolo
romano, porzioni del quale venivano assegnate a cittadini romani che, non essendone tecnicamente
proprietari, non potevano tutelarsi con l’azione di rivendica.
In epoca più recente il pretore cominciò ad inserire nell’editto vari schemi tipici di interdetti che potevano
essere chiesti dai privati. Se l’ordine del pretore non veniva rispettato, sorgeva un diritto all’azione che
altrimenti non ci sarebbe stato.
Gli interdetti si distinguevano in:
- restitutori = pretore imponeva di ristabilire una situazione di fatto che era stata modificata dal
convenuto (esempio ordinava al convenuto indefensus in un’azione di rivendica di restituire all’attore il possesso
del bene).
- esibitori = pretore ordinava di esibire in giudizio una cosa o una persona (esempio pater familias chiedeva
che fossero mostrati in giudizio i figli sottoposti alla sua potestà che un individuo teneva presso di se).
- proibitori = pretore vietava di usare la violenza per raggiungere un certo risultato (sono di questo tipo gli
interdetti a tutela del possesso)
↳ le prime due categorie erano gli interdetti simplicia=ordine era rivolto solo al convenuto; interdetti proibitori
potevano essere simplicia oppure duplicia=ordine rivolto a entrambe le parti.
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3) IMMISSIONI NEL POSSESSO
= Provvedimenti con cui il pretore autorizzava l’immissione del richiedente nella disponibilità di un bene o di un
patrimonio del convenuto, con poteri di controllo e di amministrazione. Tali atti potevano avere scopo di
conservazione (impedire diminuzioni o deterioramenti del patrimonio o della cosa) e/o scopo coercitivo
(indurre convenuto al compimento di un atto giuridico o assunzione di un comportamento).
La missio è una misura provvisoria che assicura solo la detenzione della cosa o del patrimonio, con l’avverarsi
di date circostanze previste nell’editto può cambiare carattere e arrivare a garantire il possesso tutelato da
interdetti e talvolta anche un possesso che poteva condurre all’usucapione.
Tipo particolare di immissione nel possesso era la datio bonorum possessionis = permetteva ad alcuni soggetti
di possedere e disporre di un patrimonio ereditario, come se fossero stati eredi.
4) RESTITUZIONI IN INTEGRO
Qualora il pretore ritenesse che un determinato effetto giuridico già verificatosi, pur essendo lecito per diritto
civile, fosse palesemente iniquo, poteva emanare un provvedimento con cui ripristinava lo stato di diritto
anteriore al fatto, all’atto o al negozio che tale effetto aveva prodotto.
Pretore non aveva diritto di modificare il diritto sostanziale ma poteva esercitare la iurisdictio come se un certo
risultato non si fosse prodotto. Egli poteva concedere delle azioni utili = modellate su quelle civili con l’aggiunta
della finzione che quel dato fatto o atto non si fosse verificato + poteva denegare determinate azioni o
concedere delle eccezioni apposite.
↳ strumento più potente che pretore concedeva per correggere le storture del ius civile.
Nell'editto erano indicate varie situazioni in presenza delle quali si poteva richiedere una restitutio in integrum
esempio r.i.i. propter metum = a chi aveva concluso contratto sotto minaccia.
In epoca classica era presente nell'editto una clausola generale che consentiva di accordare una restitutio
anche in casi non già specificati.
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3. Dopo trenta giorni dall'immissione nel patrimonio, il debitore diveniva infamis e veniva dichiarato fallito e i
creditori potevano procedere alla vendita all’asta dei beni ⟶ i concorrenti non offrono una somma ma offrono
di pagare l'intero ai crediti privilegiati e una percentuale dei crediti chirografari (=credito che non ha dei
privilegi, delle garanzie, credito semplice es. soldi che ho dato senza chiedere una garanzia).
Esempio: supponendo che il bonorum emptor avesse offerto di pagare il 50%, chi era creditore per mille
avrebbe ottenuto 500, chi aveva una pretesa di 50 avrebbe avuto diritto a 25, e via di seguito.
Bonorum emptor
Il patrimonio è aggiudicato a chi offre di pagare la percentuale più alta, detto bonorum emptor ➜ egli è un
successore universale pretorio del debitore fallito (=succede in tutto il patrimonio del fallito). Questa
successione tra vivi è seguita dal pretore.
Il bonorum emptor aveva il diritto di ottenere il possesso di tutti i beni che erano in proprietà del fallito e di
riscuotere gli eventuali crediti che facevano parte del patrimonio del debitore. D'altro lato, egli era tenuto a
soddisfare i creditori nella misura pattuita, nella percentuale offerta.
Poiché l'intera procedura era di diritto pretorio, il bonorum emptor non acquistava la proprietà civile e non
poteva esperire alcuna azione civile ⟶ doveva utilizzare delle azioni civili modificate con trasposizione di
soggetti o con fictio.
Il pretore tutela il bonorum emptor tramite 2 azioni (schema che si applica a qualunque azione):
- azione serviana ➜ se il fallito nel frattempo era morto, il pretore concedeva al bonorum emptor
qualunque azione avesse bisogno per tutelare il patrimonio con la finzione che egli fosse l’erede del
fallito.
Esempio rivendica serviana: bonorum emptor richiede la rivendica ma ci aggiunge la clausola di
finzione, finzione di essere erede civile.
- azione rutiliana ➜ azione con trasposizione di soggetti, se il fallito è ancora vivo. Non si può fingere di
essere erede quindi si cambiano le persone: nell’intentio si indicava il nome del fallito mentre nella
condemnatio quello del bonorum emptor.
Esempio rivendica rutiliana: se bonorum emptor riesce a provare che il cavallo è del fallito e non gli sia
stato restituito, il giudice condanna il convenuto a pagare l’emptor, non il fallito.
In epoca classica la bonorum venditio poteva essere mitigata grazie alla possibilità di utilizzare due istituti ad
essa alternativi:
1. A partire da Augusto si introduce la bonorum cessio ⟶ accordo con i creditori a cedere
spontaneamente tutto il patrimonio con loro ⟶ il fallito evita così l’infamia.
2. Bonorum distractio = vendita dei singoli beni fino al raggiungimento della somma dovuta ai creditori (se
il debitore era incapace d’agire o una persona di rango senatorio). Anche così si poteva evitare
l’infamia.
↳ Il patrimonio del debitore iniziò a rappresentare la principale garanzia per i creditori (in caso di inadempienza
avrebbero potuto soddisfarsi su tutti i beni) ⟶ talvolta il debitore cercava di diminuire dolosamente tale
garanzia alienando alcuni beni.
Il pretore introdusse nell'editto vari strumenti con i quali i creditori potevano far venir meno l'efficacia di tali atti,
quando fossero stati compiuti proprio con l'intenzione di frodare i creditori.
I presupposti per l’applicabilità dei rimedi pretori erano:
1) l'eventus damni = l'atto doveva avere oggettivamente ridotto il patrimonio in misura tale da rendere
impossibile la soddisfazione di tutti i creditori
2) il consilium fraudis = la cosciente volontà del debitore di arrecare pregiudizio ai creditori ponendo in
essere quell'atto
3) la scientia fraudis = la consapevolezza della frode da parte del terzo acquirente a titolo oneroso, il
quale doveva sapere che quell'atto era posto in essere proprio per ledere i creditori dell'alienante.
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LA COGNITIO EXTRA ORDINEM
[cfr lex iulia] Augusto nel 17 a.C. abolisce processo delle legis actiones e dichiara quello formulare come
processo normale per i giudizi privati.
↳ di lì a poco lo stesso Augusto dà avvio a una nuova forma processuale, attribuendo ai consoli la competenza
a giudicare in materia di fedecommessi ⟶ l’eredità era molto importante per i romani, già nelle XII tavole sono
previste delle norme molto chiare che disciplinano la possibilità di fare testamento (atto col quale la persona
indica chi sarà il suo erede e dà una serie di disposizioni che riguardano il suo patrimonio, può lasciare anche
singole proprietà a vari soggetti). Le disposizioni a titoli particolari sono chiamati legati e anche questi erano
previsti nelle XII tavole.
Il fedecommesso è simile al legato ma è qualcosa che la persona non vuole far sapere a tutti, diversamente
dal testamento. Lascia qualcosa a una persona ma in modo più riservato ⟶ scrive nel testamento il nome di
un’altra persona fidata, la quale ne è a conoscenza e promette di passare il bene alla vera persona a cui era
destinata ⟶ accordo non scritto che si chiama fedecommesso. Hanno valore basato sulla fides, non è uno
strumento giudiziario ⟶ appariva inadeguato tutelarle con una nuova azione formulare e si preferì delegarne
la protezione a un sistema completamente nuovo.
↳ La prima cognitio extra ordinem dava tutela a questa situazione, dà competenza ai consoli per giudicare
su queste cause.
In modo analogo, nel corso della prima epoca classica vennero istituite altre ipotesi di tutela giudiziaria diversa
dagli schemi formulari per singole materie che non trovavano alcuna tutela nel sistema ordinario; ma anche
per situazioni che avevano una azione formulare, ritenuta però ormai inadeguata.
[Bisogna ricordare che durante l'epoca classica l'attività creativa dei pretori si va esaurendo; a essa pone formalmente
fine l'imperatore Adriano quando dispone che l'editto del pretore venga 'codificato' una volta per tutte e non sia più
modificabile dai pretori stessi, ma solo dall'imperatore; perciò, dopo quel momento a volte per dare tutela alle nuove
esigenze si preferiva non introdurre una nuova formula, ma piuttosto procedere con le nuove forme processuali]
Le nuove procedure vengono definite in negativo extra ordinem, perché fuoriescono dalle forme ordinarie.
Questa nuova procedura si affianca a quella ordinaria e viene chiamata cognitio in quanto in essa l'organo
competente ha il potere di cognoscere = di accertare i fatti e riscontrare la loro rilevanza giuridica, quindi
risolvere anche il merito della causa: in questi procedimenti era attribuito al cognitor sia il potere di impostare
in termini giuridici la controversia sia il potere di risolverla ➜ unico procedimento, non ci sono più due fasi.
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Il processo di cognizione della cognitio extra ordinem
La chiamata in giudizio ha ora carattere ufficiale ⟶ la citazione del convenuto è effettuata dall’attore ma dietro
autorizzazione dell’organo pubblico ⟶ attore redige atto di citazione in giudizio che viene approvato
dall’organo pubblico competente e poi consegnato al convenuto.
Non era più necessaria la presenza del convenuto in quanto non era necessario nemmeno che egli accettasse
il giudizio ⟶ in sua assenza il processo si sarebbe svolto secondo procedura contumaciale (non
necessariamente perdeva la causa).
Se presente, il convenuto poteva contestare le affermazioni dell'attore oppure portare a propria difesa ulteriori
fatti rispetto a quelli indicati dall'attore: in questo secondo caso presentava un'exceptio (non era più una
clausola da aggiungere alla formula, ma un mezzo generale di difesa che consisteva nell'allegazione di
circostanze che avrebbero minato l'efficacia della pretesa attorea, senza però contestare i suoi presupposti).
⟶ è ora possibile per il convenuto presentare una domanda riconvenzionale con cui far valere una
contropretesa oer condannare l’attore.
Il processo non è più diviso in due fasi ⟶ viene svolto per intero davanti all’organo pubblico competente (che
può delegare il compito ad un iudex che non è più giudice privato ma “emanazione” dell’organo pubblico).
↳ litis contestatio perde il suo significato ⟶ diventa solo il momento in cui si fissano le posizioni delle parti +
svaniscono gli effetti che la caratterizzavano nel processo formulare.
La valutazione delle prove non è lasciata alla completa discrezionalità del giudice ma iniziano ad imporsi criteri
legali che conferiscono maggior peso a determinati tipi di prova.
Al termine del procedimento il giudice emanava in presenza delle parti la sentenza definitiva composta dal
provvedimento autoritativo e dalla motivazione
↳ perché motivazione? Perché è prevista la possibilità di presentare appello contro la sentenza di primo grado
e la motivazione permette al giudice di secondo grado di verificare la correttezza del ragionamento che ha
portato alla decisione. Nel nuovo sistema è possibile anche un’esecuzione coattiva (condanna a consegnare
beni o eseguire una certa prestazione [vedi dopo])
L’appello
Nel processo extra ordinem sorge per la prima volta l’istituto dell’appello ➜ possibilità di chiedere un
riesame della sentenza. Consiste in una riconsiderazione ex novo dell’intera controversia con possibilità di
addurre fatti e prove nuovi ma non di proporre nuove domande. Tutte sentenze emanate nella conditio extra
ordinem sono di primo grado = sono impugnabili ➜ il giudice di secondo grado può annullarle o mutarne il
contenuto.
La parte soccombente doveva presentare richiesta al giudice che aveva emanato la sentenza, il quale
verificava i presupposti di ammissibilità e lo restituiva all’appellante (insieme a uno scritto contenente le
proprie osservazioni), il quale doveva inoltrarlo al giudice d’appello. Questa richiesta sospendeva
l’esecutorietà della sentenza di primo grado.
All’inizio competente in grado d’appello era il Principe che col tempo delega questa funzione ai suoi funzionari
di grado più elevato (prefetto urbi e prefetto pretorio).
A partire da Claudio ci si può appellare anche contro sentenze emanate nel processo formulare.
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Età postclassica
342 d.C. ⟶ i figli di Costantino aboliscono definitivamente il processo formulare,p.
In età postclassica la cognitio extra ordinem è l’unica forma di processi utilizzabile sia in campi civile che
criminale. Il procedimento si irrigidisce ⟶ non c’è più spazio dell'esercizio di poteri discrezionali da parte del
giudice: non è più vincolato dalla formula ma lo è in tema di assunzione e valutazione delle prove. Si parla di
prove legali: il documento scritto ha più valore delle testimonianze orali.
A partire dal IV secolo d.C., si affianca una giurisdizione concorrente, attribuita ai vescovi su richiesta delle
parti: tale giudizio si caratterizzava per fondarsi sui principi dell'etica cristiana piuttosto che sulle norme
giuridiche statali.
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