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Tito Lucrezio Caro visse tra il 98 e il 55 a.C., contemporaneo quindi di Cesare e Cicerone. Mor probabilmente suicida a 44 anni. Vittima secondo gli antichi di un filtro d'amore, stato stroncato pi verosimilmente da una forma depressiva della quale, a fasi alterne, aveva sempre sofferto. Della vita di Lucrezio si sa comunque molto poco: lunica fonte nella traduzione del Chronicon di Eusebio fatta da Girolamo, passibile di cristianizzazione delle informazioni. Lucrezio era un convinto seguace della dottrina filosofica dell'epicureismo, capace, secondo lui, di fornire una risposta adeguata alle pi importanti domande dell'uomo. Il suo poema, De rerum natura (La natura delle cose), un poema epico di intento educativo, scritto in esametri e diviso in sei libri, che si raggruppano in tre coppie. I primi due libri trattano il problema fisico, il terzo ed il quarto del problema psichico, gli ultimi due parlano del problema cosmico-antropologico. Nel De rerum natura viene spiegato il pensiero di Epicuro, al fine di trovarne nuovi seguaci. E dedicato al suo benefattore Gaio Memmio, influente aristocratico dell'epoca, scettico in materia, legato alla tradizionale filosofia romana. Nel corso della trattazione Lucrezio spiega come l'uomo non debba temere la morte e nemmeno l'inferno, falsa proiezione dei dolori terreni; come la conoscenza dei fenomeni fisici e delle leggi della vita possa liberarlo dalla paura degli eventi naturali e dei cambiamenti. Lucrezio intende insegnare ad usare la ragione, attraverso la quale si pu raggiungere la voluptas, ossia il piacere, l'equilibrio interiore e l'armonia con ci che circonda l'uomo. Secondo la visione del poeta il mondo tormentato dalla culpa naturae, il difetto della natura, che perseguita l'uomo e rende estremamente difficile la sua vita sulla Terra. Per dare una risposta al male, per combattere lo smarrimento inevitabile di fronte alla potenza della natura e delle sue espressioni, l'uomo ha iniziato a rifugiarsi nella religione. Andando contro il pensiero di Epicuro (la poesia non adatta allinsegnamento morale e filosofico: ci vuole la prosa), Lucrezio scrive in versi da lui definiti dolce miele, che rendono pi facile accettare un messaggio spesso difficile. Non si rivolge quindi necessariamente ad un lite di studiosi, ma al dibattito culturale del suo tempo, usando comunque un lessico ricercato.
Lucrezio-1
libro I versi 1-43 INNO A VENERE Linno a Venere (richiesta di assistenza) cerca di attrarre il lettore con le sue lusinghe di un proemio non troppo dissimile dai moduli consueti, anche se comporta una lieve infrazione alla dottrina epicurea. Epicuro infatti sosteneva che gli dei erano distaccati dagli uomini, vivevano nellintermundia senza curarsi di cio che accadeva sulla Terra. Aeneadum genetrix, hominum divomque voluptas, alma Venus, caeli subter labentia signa quae mare navigerum, quae terras frugiferentis concelebras, per te quoniam genus omne animantum concipitur visitque exortum lumina solis: te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus summittit flores, tibi rident aequora ponti placatumque nitet diffuso lumine caelum. nam simul ac species patefactast verna diei et reserata viget genitabilis aura favoni, ariae primum volucris te, diva, tuumque significant initum perculsae corda tua vi. inde ferae pecudes persultant pabula laeta et rapidos tranant amnis: ita capta lepore te sequitur cupide quo quamque inducere pergis. denique per maria ac montis fluviosque rapacis frondiferasque domos avium camposque virentis omnibus incutiens blandum per pectora amorem efficis ut cupide generatim saecla propagent. quae quoniam rerum naturam sola gubernas nec sine te quicquam dias in luminis oras exoritur neque fit laetum neque amabile quicquam, te sociam studeo scribendis versibus esse, Il testo vuole essere uno strumento educativo per un pubblico specificatamente romano, del quale Lucrezio vuole assicurarsi dallinizio il coinvolgimento emotivo e lattenzione non ostile. Lucrezio sceglie Venere perch incarna i valori positivi del mondo naturale: fertilit, vitalit, ma soprattutto piacere (voluptas).
Aeneadum gen. sincopato (aeneades) divom gen. arcaico (divorum) alma da alo (nutrire) labentia signa rende lefficacia del trascorrere lento degli astri nel cielo navigerum da gero (portare) neolog. frugiferentis da fero (produrre) neolog., agg. con forma participiale concelebras celebra il vigore di venere animatum gen. in um, poco usato te anafora, esaltazione della dea suavis riferito a flores daedala illustre, dal Greco ornare in vario modo diffuso lumine abl. di causa patefactast = patefacta est reserata da sera, sere, spranga che chiude le porte verna (ipallage) riferito a species oppure anche a diei favoni da faveo, favorire ferae pecudes se ferae e attributo gli armenti imbaldanziti; se uniti per asindeto (senza cong.) le fiere e gli animali domestici persultant iterativo (raff.) del passivo rapidos stessa radice di rapio, tradire quae quoniam nesso relativo dias in luminis oras ispirazione dagli Lucrezio-2
O progenitrice degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dei, Venere fecondatrice, che sotto le trascorrenti costellazioni del cielo, che riempi di te il mare che regge le navi, le terre che producono messi, grazie a te ogni specie di essere vivente viene concepita e vede appena nata la luce del sole: te, dea, te fuggono i venti, te le nuvole del cielo e il tuo arrivare, a te la terra illustre fa sbocciare soavi fiori, a te sorridono le distese del mare e il cielo rasserenato risplende di luce diffusa. Infatti non appena si e dischiusa, laspetto del giorno primaverile e disserrata prende vigore il soffio vivificatore dello Zefiro. O dea, dapprima gli alati uccelli annunciano te ed il tuo avvicinarti, colpiti nel cuore dalla tua potenza; poi gli armenti imbaldanziti saltellano per i pascoli rigogliosi e passano a nuoto i fiumi vorticosi: cosi, presi dal tuo fascino, ti seguono bramosamente laddove tu ti disponi a condurli; infine attraverso i mari ed i monti, i fiumi rapidi, le frondute dimore degli uccelli e le pianure verdeggianti, incutendo a tutti attraverso i petti un blando amore, e fai si che attraverso i secoli di specie in specie generati si propaghino. Giacche governi da sola le cose della natura e nulla approda senza di te alle celesti distese della luce ne alcunche di lieto e di amabile accade, desidero che tu sia mia alleata nello scrivere questi versi,
quos ego de rerum natura pangere conor Memmiadae nostro, quem tu, dea, tempore in omni omnibus ornatum voluisti excellere rebus. quo magis aeternum da dictis, diva, leporem. effice ut interea fera moenera militiai per maria ac terras omnis sopita quiescant; nam tu sola potes tranquilla pace iuvare mortalis, quoniam belli fera moenera Mavors armipotens regit, in gremium qui saepe tuum se reiicit aeterno devictus vulnere amoris, atque ita suspiciens tereti cervice reposta pascit amore avidos inhians in te, dea, visus eque tuo pendet resupini spiritus ore. hunc tu, diva, tuo recubantem corpore sancto circum fusa super, suavis ex ore loquellas funde petens placidam Romanis, incluta, pacem; nam neque nos agere hoc patriai tempore iniquo possumus aequo animo nec Memmi clara propago talibus in rebus communi desse saluti.
che io mi accingo a comporre sulle cose della natura per il nostro Memmiade, che tu, o dea, hai voluto eccellesse in ogni circostanza dotato di tutte le virtu. E per questo, o dea, dai il fascino eterno alle parole, e fai si che frattanto gli aspri travagli della guerra e per tutte le terre riposino calmati. Infatti tu sola puoi con pace serena aiutare i mortali, dacche Marte potente nelle armi regge gli aspri travagli della guerra, che spesso si rifugia nel tuo grembo vinto dalleterna ferita damore, e cosi contemplandoti con il collo rovesciato allindietro sazia i suoi occhi avidi damore stando a bocca aperta, o dea, ed il respiro di lui che sta supino pende dalle tue labbra. Mentre lui, o dea, giace sul tuo corpo santo tu, avvolgendolo dallalto, effondi dalla bocca soavi parole chiedendo, o gloriosa, la placida pace per i Romani; E infatti noi in un iniquo tempo per la patria non possiamo fare cio con la necessaria serenita, ne la chiara fama di Memmio in tali frangenti puo venir meno alla salvezza comune.
Annales di Ennio (239-169) scribendis versibus dativo di fine moenera per munera militiai per militia omnis per omnes tereti cervice reposta ablativo assoluto con valore temporale amore abl. di causa inhians anche anelando, estasiato atque...ore descrizione ispirata ad unantica scultura vista a Roma, morte in braccio a Venere
libro I versi 62-101 RELIGIO E IFIGENIA Questo primo elogio di Epicuro proclama il fatto storico della grandiosa e drammatica liberazione dalla religio che il filosofo ha offerto agli uomini. Questi viene presentato alla pari delleroe: forte, coraggioso, astuto e dotato della virtus. Humana ante oculos foede cum vita iaceret in terris oppressa gravi sub religione, quae caput a caeli regionibus ostendebat horribili super aspectu mortalibus instans, La sconfitta della religio data dalla scoperta che la natura sottost a leggi precise e non ai capricci degli dei. La religio ha portato gli uomini ad attribuire agli dei assurde volont, che li hanno fatti diventare vittime (Ifigenia) o carnefici (Agamennone).
religione posizione di rilievo in fondo al verso
Quando lumanita giaceva turpemente prostrata davanti agli occhi di tutti, schiacciata sotto il peso gravoso della superstizione religiosa, che mostrava il capo dalle regioni del cielo, con il suo terribile aspetto incombendo dall'alto sui mortali,
Lucrezio-3
primum Graius homo mortalis tollere contra est oculos ausus primusque obsistere contra; quem neque fama deum nec fulmina nec minitanti murmure compressit caelum, sed eo magis acrem inritat animi virtutem, effringere ut arta naturae primus portarum claustra cupiret. ergo vivida vis animi pervicit et extra processit longe flammantia moenia mundi atque omne immensum peragravit mente animoque, unde refert nobis victor quid possit oriri, quid nequeat, finita potestas denique cuique qua nam sit ratione atque alte terminus haerens. quare religio pedibus subiecta vicissim opteritur, nos exaequat victoria caelo. Illud in his rebus vereor, ne forte rearis impia te rationis inire elementa viamque indugredi sceleris. quod contra saepius illa religio peperit scelerosa atque impia facta. Aulide quo pacto Triviai virginis aram Iphianassai turparunt sanguine foede ductores Danaum delecti, prima virorum. cui simul infula virgineos circum data comptus ex utraque pari malarum parte profusast, et maestum simul ante aras adstare parentem sensit et hunc propter ferrum celare ministros aspectuque suo lacrimas effundere civis, muta metu terram genibus summissa petebat. nec miserae prodesse in tali tempore quibat, quod patrio princeps donarat nomine regem; nam sublata virum manibus tremibundaque ad aras deductast, non ut sollemni more sacrorum perfecto posset claro comitari Hymenaeo,
per la prima volta un greco, un uomo, un mortale os levare contro di lei gli occhi, e per primo oso resistere. N le favole intorno agli di, n i fulmini, n il cielo col minaccioso rimbombo lo trattennero: anzi gli accesero ancora di pi il fiero valore dell'animo, cosi che volle, per primo, infrangere la serrata prigione delle porte della natura. Cos il vivido vigore dell'animo prevalse, ed egli s'inoltr lontano, di l dalle fiammeggianti mura del mondo, e il tutto immenso percorse con la mente e col cuore. Da l, vittorioso, riporta a noi che cosa possa nascere, che cosa non possa, infine in qual modo ciascuna cosa abbia un potere finito e un termine, profondamente confitto. Percio la religione calpestata sotto i piedi e a sua volta schiacciata, la vittoria ci eguaglia al cielo. Questo, a tale proposito, io temo: che per caso tu creda d'essere iniziato ai fondamenti d'una dottrina empia e d'entrare nella via della scelleratezza. Mentre spesso fu essa, piuttosto, la religione, a generare azioni scellerate ed empie. Cos in Aulide l'altare della vergine Trivia macchiarono turpemente, col sangue d'Ifianassa, gli eletti condottieri dei Danai, gli eroi degli uomini. Appena la benda avvolta attorno alla bella chioma di vergine le scese lungo le guance in due liste uguali, appena si accorse che il padre stava mesto dinanzi all'altare, e accanto a lui i sacerdoti celavano il ferro, e il popolo effondeva lacrime alla sua vista, muta di terrore, piegate le ginocchia, crollava a terra. N alla misera poteva giovare in quel momento l'aver dato per prima al re il nome di padre. Infatti, sollevata dalle mani dei guerrieri, tremante fu portata all'altare, non perch, compiuto il rito solenne, potesse essere accompagnata al celebre suono dellimeneo,
Graius homo perifrasi contra-contra epifora irritat forma sincopata di irritavit vivida vis alliterazione di vi flammantia moenia mundi metafora illud...vereor forma di trapasso molto usata da lucrezio alte terminus haerens metafora presa dalla vita quotidiana (terminus = pietra di confine terriera) impia-rationis-elementa ipallage turparunt forma sincopata di turpaverunt ductores Danaum delecti allitterazione di d maestum-parentem iperbato ferrum sineddoche (sta a significare il pugnale) muta metu allitterazione di m
Lucrezio-4
sed casta inceste nubendi tempore in ipso hostia concideret mactatu maesta parentis, exitus ut classi felix faustusque daretur. tantum religio potuit suadere malorum.
ma perch pura impuramente, nel tempo stesso delle nozze, cadesse vittima mesta immolata per mano del padre, affinche fosse data una partenza felice e favorevole alla flotta. A tali misfatti pot indurre la religione. libro II versi 1-19 LATARASSIA
Il proemio del libro II un inno alla saggezza, allideale epicureo dellatarassia, ossia alla capacit di chi interiormente sereno e non toccato dalle vicende del mondo esterno). Lucrezio opera una imposrtante distinzione tra i piaceri necessari e quelli superflui. Suave, mari magno turbantibus aequora ventis e terra magnum alterius spectare laborem; non quia vexari quemquamst iucunda voluptas, sed quibus ipse malis careas quia cernere suavest. suave etiam belli certamina magna tueri per campos instructa tua sine parte pericli; sed nihil dulcius est, bene quam munita tenere edita doctrina sapientum templa serena, despicere unde queas alios passimque videre errare atque viam palantis quaerere vitae, certare ingenio, contendere nobilitate, noctes atque dies niti praestante labore ad summas emergere opes rerumque potiri. o miseras hominum mentes, o pectora caeca! qualibus in tenebris vitae quantisque periclis degitur hoc aevi quod cumquest! nonne videre nihil aliud sibi naturam latrare, nisi ut qui corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur iucundo sensu cura semota metuque?
Il saggio sa vedere le cose, a differenza della massa disorientata e cieca, che tende unicamente a fuggire il dolore.
dolce, mentre nel grande mare i venti sconvolgono le acque, guardare dalla terra la grande fatica di un altro; non perch il tormento di qualcuno sia un giocondo piacere, ma perch dolce vedere da quali mali tu stesso sia immune. Dolce anche contemplare grandi contese di guerra apprestate nei campi senza che tu partecipi al pericolo. Ma nulla pi piacevole che star saldo sulle serene regioni elevate, ben fortificate dalla dottrina dei sapienti, donde tu possa volgere lo sguardo laggi, verso gli altri, e vederli errare qua e l e cercare, andando alla ventura, la via della vita, gareggiare d'ingegno, rivaleggiare di nobilt, sforzarsi notte e giorno con ininterrotta fatica per assurgere a piu alta ricchezza e impadronirsi del potere. O misere menti degli uomini, o animi ciechi! In che tenebre di vita e tra quanto grandi pericoli si consuma questa esistenza, quale che sia! E come non vedere che nient'altro la natura latrando reclama, se non che il dolore sia rimosso e sia assente dal corpo, e nella mente essa goda di un senso giocondo, libera da affanno e timore?
mari ablativo di stato in luogo (senza in) turbantibus...ventis ablativo assoluto con valore temporale non... sed... proposizioni causali tua sine anastrofe videre vedere in profondita despicere de (movimento dallaltro verso) + specio (senso di superiorita)
Lucrezio-5
libro II versi 352-356 LA GIOVENCA ED IL VITELLO PERDUTO Lucrezio esprime la singolarit degli esseri viventi attraverso lepisodio della giovenca e del vitello. Oltre alla polemica contro la superstizione religiosa importante anche il dolore della madre per il figlio, che Nam saepe ante deum vitulus delubra decora turicremas propter mactatus concidit aras sanguinis expirans calidum de pectore flumen; at mater viridis saltus orbata peragrans novit humi pedibus vestigia pressa bisulcis, omnia convisens oculis loca, si queat usquam conspicere amissum fetum, completque querellis frondiferum nemus adsistens et crebra revisit ad stabulum desiderio perfixa iuvenci, nec tenerae salices atque herbae rore vigentes fluminaque ulla queunt summis labentia ripis oblectare animum subitamque avertere curam, nec vitulorum aliae species per pabula laeta derivare queunt animum curaque levare; usque adeo quiddam proprium notumque requirit. diventa un inno al valore dellindividuo, alla grandezza irripetibile ed insostituibile di ogni singolo essere vivente.
deum sincopata di deorum turicre-propter anastrofe de pectore ablativo di provenienza at congiunzione non avversativa viridis per virides peragrans participio con valore temporale humi complemento locativo querellis ablativo strumentale
Cos, spesso davanti agli splendidi templi degli di un vitello cade immolato presso gli altari su cui brucia l'incenso, esalando dal petto un caldo fiume di sangue. E la madre orbata, vagando per verdi pascoli, cerca sul terreno le orme impresse dai piedi bisulchi, fruga con gli occhi ogni luogo, per vedere se possa in qualche parte scorgere la creatura che ha perduta; e riempie di lamenti il bosco frondoso, sostando; e sovente ritorna alla stalla, trafitta dal rimpianto del giovenco; e i teneri salici e le erbe rinverdite dalla rugiada e quelle sue acque, scorrenti a fior delle rive, non possono dar diletto al suo animo e sviare l'affanno che l'ha presa, n la vista di altri vitelli per i pascoli in rigoglio pu distrarre il suo animo e alleviarne l'affanno: tanto essa ricerca qualcosa che sua propria e che le nota.
libro III versi 1-30 ELOGIO AD EPICURO Il prologo del III libro un vero e proprio inno al maestro, cui il discepolo si rivolge con epiteti altrimenti usati per le divinit. Qui Epicuro diventa il tremite della vera pietas, che consiste nel contemplare E tenebris tantis tam clarum extollere lumen qui primus potuisti inlustrans commoda vitae, te sequor, o Graiae gentis decus, inque tuis nunc ficta pedum pono pressis vestigia signis, le sedi degli dei e nellessere liberi dal timore della morte, grazie alla religione della ragione che ha fatto capire alluomo la verit delle cose.
allitterazione di t tenebris sta per ignoranza propter amorem complemento di Lucrezio-6
O tu, che in mezzo a tenebre cos profonde potesti levare una luce tanto fulgida, illuminando le gioie della vita, per primo seguo te, o gloria del popolo greco, e nelle orme da te tracciate ora pongo ben salde le impronte dei miei piedi,
non ita certandi cupidus quam propter amorem quod te imitari aveo; quid enim contendat hirundo cycnis, aut quid nam tremulis facere artubus haedi consimile in cursu possint et fortis equi vis? tu, pater, es rerum inventor, tu patria nobis suppeditas praecepta, tuisque ex, inclute, chartis, floriferis ut apes in saltibus omnia libant, omnia nos itidem depascimur aurea dicta, aurea, perpetua semper dignissima vita. nam simul ac ratio tua coepit vociferari naturam rerum divina mente coorta diffugiunt animi terrores, moenia mundi discedunt. totum video per inane geri res. apparet divum numen sedesque quietae, quas neque concutiunt venti nec nubila nimbis aspergunt neque nix acri concreta pruina cana cadens violat semper[que] innubilus aether integit et large diffuso lumine ridet: omnia suppeditat porro natura neque ulla res animi pacem delibat tempore in ullo. at contra nusquam apparent Acherusia templa, nec tellus obstat quin omnia dispiciantur, sub pedibus quae cumque infra per inane geruntur. his ibi me rebus quaedam divina voluptas percipit atque horror, quod sic natura tua vi tam manifesta patens ex omni parte retecta est.
non tanto perch io voglia gareggiare con te, quanto perch desidero imitarti per amore. Come potrebbe infatti contendere la rondine coi cigni? O come potrebbero mai i capretti dalle zampe malferme emulare nella corsa l'impeto di un forte cavallo? Tu, padre, sei scopritore del vero; tu ci prodighi paterni precetti, e, come le api nei pascoli fioriti suggono per ogni dove, cos noi nei tuoi scritti, o glorioso, ci pasciamo di tutti gli aurei detti, aurei, sempre degnissimi di vita perpetua. Infatti, appena la tua dottrina comincia a svelare a gran voce la natura quale sorta dalla tua mente divina, fuggon via i terrori dell'animo, le mura del mondo si disserrano, vedo le cose svolgersi attraverso tutto il vuoto. Appaiono la potenza degli di e le sedi quiete, che n venti scuotono, n nuvole cospargono di piogge, n neve vola, condensata da gelo acuto, candida cadendo; ma un etere sempre senza nubi le ricopre, e ride di luce largamente diffusa. E tutto fornisce la natura, n alcuna cosa in alcun tempo intacca la pace dell'animo. Ma per contro in nessun luogo appaiono le regioni acherontee, n la terra impedisce che si discerna tutto quanto si svolge sotto i miei piedi, laggi, attraverso il vuoto. Per queste cose mi prende allora un certo divino piacere e un brivido, perch cos per la potenza della tua mente la natura, tanto manifestamente dischiudendosi, in ogni parte stata rivelata.
causa quod rafforzativo cycnis simbolo dellispirazione poetica tremulis ablativo di qualita
Lucrezio-7
libro III versi 1053-1075 LA NOIA E LA MORTE Dopo aver considerato che luomo teme terribilmente la morte, Lucrezio parla della noia, del tedium vitae, una macigno malefico che affligge luomo. Sebbene questi tenti inutilmente di evaderla, la noia interna alluomo, unangoscia esistenziale che lo tortura senza che ne capisca la ragione. Si possent homines, proinde ac sentire videntur pondus inesse animo, quod se gravitate fatiget, e quibus id fiat causis quoque noscere et unde tanta mali tam quam moles in pectore constet, haut ita vitam agerent, ut nunc plerumque videmus quid sibi quisque velit nescire et quaerere semper, commutare locum, quasi onus deponere possit. exit saepe foras magnis ex aedibus ille, esse domi quem pertaesumst, subitoque <revertit>, quippe foris nihilo melius qui sentiat esse. currit agens mannos ad villam praecipitanter auxilium tectis quasi ferre ardentibus instans; oscitat extemplo, tetigit cum limina villae, aut abit in somnum gravis atque oblivia quaerit, aut etiam properans urbem petit atque revisit. hoc se quisque modo fugit, at quem scilicet, ut fit, effugere haut potis est: ingratius haeret et odit propterea, morbi quia causam non tenet aeger; quam bene si videat, iam rebus quisque relictis naturam primum studeat cognoscere rerum, temporis aeterni quoniam, non unius horae, ambigitur status, in quo sit mortalibus omnis aetas, post mortem quae restat cumque manenda. Secondo Lucrezio lunico rimedio alla noia consiste nellindagine razionale della natura, perch solo chiarendo a noi stessi il nostro essere ed il nostro rapporto con il mondo che ci circonda, potremo raggioungere latarassia ed essere immuni dalle angoscie della vita e della morte.
Si ... videmus periodo ipotetico della realt sentire noscere forte differenza tra i significati animo ablativo, stato in luogo gravitate ablativo strumentale quoque congiunzione, sottolinea la necessit di conoscere la propria angoscia exit enfatico a inizio frase foras avverbio antico da fore, forarum (la porta) domi locativo nihilo abl. arcaico di misura currit enfatico a inizio frase praecipitanter neologismo, usato solo qui in tutta la letteratura latina tectis sineddoche (per casa) tetigit cum iperbato se ironia (fuggire se stessi)
Se gli uomini potessero, cos come evidente che sentono di avere un peso in fondo all'animo, che con il suo gravare li affatica, anche conoscere da quali cause ci provenga e perch un cos grande macigno, per cos dire, di male alberghi nel loro animo, non condurrebbero cos la loro vita, come per lo pi li vediamo ora: ognuno non sa che cosa voglia per s e cerca sempre di mutar luogo, quasi potesse deporre il suo peso. Esce spesso fuori dal sontuoso palazzo colui che lo stare in casa ha tediato, e subito ritorna, poich sente che fuori non si sta per niente meglio. Corre alla villa, sferzando i puledri, precipitosamente, come se avesse fretta di prestare soccorso alla casa in fiamme; sbadiglia immediatamente, appena ha toccato la soglia della villa, o greve si sprofonda nel sonno e cerca l'oblio, o anche parte in fretta e furia per la citt e torna a vederla. Cos ciascuno fugge s stesso, ma, a quel suo 'io', naturalmente, come accade, non potendo sfuggire, malvolentieri gli resta attaccato, e lo odia, perch malato e non comprende la causa del male; se la scorgesse bene, ciascuno, lasciata ormai ogni altra cosa, mirerebbe prima di tutto a conoscere la natura delle cose, giacch in questione non la condizione di un'ora sola, ma quella del tempo senza fine, in cui i mortali devono aspettarsi che si trovi tutta l'et che resta dopo la morte, qualunque essa sia.
Lucrezio-8
libro V versi 195-234 IL MONDO E LUOMO Questo passo il canto dellUniverso, considerato il risultato di una combinazione di atomi destinato a morire, privo di Provvidenza divina. Lucrezio considera la natura crudele, matrigna pi che madre delluomo. Alluomo la terra, riarsa dalla torrida lampada del Sole o coperta da nevi e ghiacci, negata: gli rimane solo una piccola parte perch la coltivi e ne tragga il suo sostentamento. Ma quando da poche zolle luomo ottiene frutti e messi, basta un soffio della potenza naturale per Quod <si> iam rerum ignorem primordia quae sint, hoc tamen ex ipsis caeli rationibus ausim confirmare aliisque ex rebus reddere multis, nequaquam nobis divinitus esse paratam naturam rerum: tanta stat praedita culpa. principio quantum caeli tegit impetus ingens, inde avidam partem montes silvaeque ferarum possedere, tenent rupes vastaeque paludes et mare, quod late terrarum distinet oras. inde duas porro prope partis fervidus ardor adsiduusque geli casus mortalibus aufert. quod super est arvi, tamen id natura sua vi sentibus obducat, ni vis humana resistat vitai causa valido consueta bidenti ingemere et terram pressis proscindere aratris. si non fecundas vertentes vomere glebas terraique solum subigentes cimus ad ortus. sponte sua nequeant liquidas existere in auras. et tamen inter dum magno quaesita labore cum iam per terras frondent atque omnia florent, aut nimiis torret fervoribus aetherius sol aut subiti peremunt imbris gelidaeque pruine, distruggere tutto. La natura, matrigna anche con gli animali, li ha creati negativi rispetto al genere umano: essi sono predatori o vettori di malattie. Lucrezio volge lo sguardo al figlio delluomo, un naufrago sbattuto dalle onde su di un lido sconosciuto ed inospitale. Il poeta si fa interprete del dolore del mondo e della solitudine delluomo, abbandonando timidamente latarassia.
Quod si formula di trapasso (dopo aver cantato Epicuro il poeta afferma che il mondo, poich formato da atomi, destinato a morire Quod ... sint proposizione interrogativa indiretta ausim forma arcaica di perfetto congiuntivo (da audeo) nequaquam avv. per congiunzione, molto forte nobis dativo di interesse inde moto da luogo possedere forma sincopata di possederunt partis sta per partes ni sta per nisi vitai genitivo arcaico, sta per vite terrai genitivo arcaico, sta per terre solum pleonasmo (ripetizione inutile, rafforzativo) magno labore ablativo strumentale
E quand'anche ignorassi quali siano i primi elementi delle cose, questo tuttavia oserei affermare in base agli stessi fenomeni del cielo e comprovare in forza di molte altre cose: che la natura del mondo non stata per nulla disposta dal volere divino per noi: di cos grande difetto essa dotata. In primo luogo, di quanto copre l'ampia distesa del cielo, una grande parte occupata da monti e selve dominio di belve, la posseggono rupi e deserte paludi e il mare che vastamente disgiunge le rive delle terre. Inoltre, quasi due terzi il bruciante calore e l'assiduo cadere del gelo li tolgono ai mortali. Ci che resta di terra coltivabile, la natura con la propria forza lo coprirebbe tuttavia di rovi, se non le resistesse la forza dell'uomo, per i bisogni della vita avvezzo a gemere sul robusto bidente e a solcare la terra cacciandovi a fondo l'aratro. Se, rivoltando col vomere le glebe feconde e domando il suolo della terra, non le stimolassimo al nascere, spontaneamente le piante non potrebbero sorgere nell'aria pura; e nondimeno, talora, procurate con grande fatica, quando gi per i campi frondeggiano e tutte fioriscono, o le brucia con eccessivi calori l'etereo sole o le distruggono improvvise piogge e gelide brine,
Lucrezio-9
flabraque ventorum violento turbine vexant. praeterea genus horriferum natura ferarum humanae genti infestum terraque marique cur alit atque auget? cur anni tempora morbos adportant? quare mors inmatura vagatur? tum porro puer, ut saevis proiectus ab undis navita, nudus humi iacet infans indigus omni vitali auxilio, cum primum in luminis oras nixibus ex alvo matris natura profudit, vagituque locum lugubri complet, ut aequumst cui tantum in vita restet transire malorum. at variae crescunt pecudes armenta feraeque nec crepitacillis opus est nec cuiquam adhibendast almae nutricis blanda atque infracta loquella nec varias quaerunt vestes pro tempore caeli, denique non armis opus est, non moenibus altis, qui sua tutentur, quando omnibus omnia large tellus ipsa parit naturaque daedala rerum.
e le devasta con violento turbine il soffiare dei venti. E poi, la razza orrenda delle fiere, nemica del genere umano, perch la natura in terra e in mare la alimenta e la accresce? Perch le stagioni apportano malattie? Perch la morte prematura s'aggira qua e l? E inoltre, il bimbo, come un navigante gettato sulla riva da onde furiose, giace a terra nudo, incapace di parlare, bisognoso d'ogni aiuto per vivere, appena la natura lo fa uscire con sforzi fuori dal ventre della madre alle rive della luce, e riempie il luogo di un lugubre vagito, come giusto per uno che nella vita dovr passare per tanti mali. Ma crescono i vari animali domestici, gli armenti e le fiere, n c' bisogno di sonaglini, per nessuno occorre la carezzevole e balbettante voce dell'amorevole nutrice, n essi richiedono vesti diverse secondo le stagioni; infine, non hanno bisogno di armi, n di alte mura, per proteggere i propri averi, giacch per tutti tutto largamente producono la terra stessa e la natura artefice.
ventorum violento vexant allitterazione di v serie di interrogative per introdurre il discorso sul figlio delluomo humi locativo infans composto da in (negativo) + for, faris, fatus sum, fari (parlare) = incapace di parlare cum ... profundit proposizione temporale vagitu lugubri ablativo strumentale crepitacillis neologismo, sta per crepitaculum (vezzeggiativo) almae dativo dagente, da alo (nutrire)
libro VI versi 1138-1181 LA PESTE DI ATENE In questo passo Lucrezio si allontana dal suo obiettivo: condurre luomo allatarassia affrancandolo dai timori della superstizione religiosa e della morte, guardando il mondo con uno spirito gioioso. Lucrezio, nel narrare la peste di Atene del 430 a.C. che scoppia durante lultima fase della guerra del Peloponneso, offre uno spettacolo desolante, dove lumanit perde ogni valore, annientata dalla malattia. Il poeta attraverso una descrizione particolareggiata dei sintomi fisici e Haec ratio quondam morborum et mortifer aestus finibus in Cecropis funestos reddidit agros vastavitque vias, exhausit civibus urbem. degli effetti nefasti a livello morale, vede nellepidemia un totale crollo della moralit. Nel passo c una drammatica atmosfera di disperazione, tanto per il forte ed amaro realismo quanto per il lessico eccezionale, coniato o scelto. Sorprende una chiusura del poema cos tetra, perch fa pensare ad un cambiamento dellatteggiamento di Lucrezio dinnanzi alla sua vita, cos provata, lasciando aperta la possibilit che la morte prematura dellautore abbia negato una revisione.
Cecropis il fondatore di Atene (sta per Attica) quandam si riferisce alla peste del 430 a.c. di cui parla Tucidide Lucrezio-10
Tale causa di malattie e mortifero flusso, un tempo, nel paese di Cecrope, rese funerei i campi e spopol le strade, svuot di cittadini la citt.
nam penitus veniens Aegypti finibus ortus, aera permensus multum camposque natantis, incubuit tandem populo Pandionis omni. inde catervatim morbo mortique dabantur. principio caput incensum fervore gerebant et duplicis oculos suffusa luce rubentes. sudabant etiam fauces intrinsecus atrae sanguine et ulceribus vocis via saepta coibat atque animi interpres manabat lingua cruore debilitata malis, motu gravis, aspera tactu. inde ubi per fauces pectus complerat et ipsum morbida vis in cor maestum confluxerat aegris, omnia tum vero vitai claustra lababant. spiritus ore foras taetrum volvebat odorem, rancida quo perolent proiecta cadavera ritu. atque animi prorsum [tum] vires totius, omne languebat corpus leti iam limine in ipso. intolerabilibusque malis erat anxius angor adsidue comes et gemitu commixta querella, singultusque frequens noctem per saepe diemque corripere adsidue nervos et membra coactans dissoluebat eos, defessos ante, fatigans. nec nimio cuiquam posses ardore tueri corporis in summo summam fervescere partem, sed potius tepidum manibus proponere tactum et simul ulceribus quasi inustis omne rubere corpus, ut est per membra sacer dum diditur ignis. intima pars hominum vero flagrabat ad ossa, flagrabat stomacho flamma ut fornacibus intus. nil adeo posses cuiquam leve tenveque membris vertere in utilitatem, at ventum et frigora semper. in fluvios partim gelidos ardentia morbo
Venendo infatti dal fondo della terra d'Egitto, ove era nato, dopo aver percorso molta aria e distese fluttuanti, piomb alfine su tutto il popolo di Pandione. In conseguenza di ci, a mucchi eran preda della malattia e della morte. Dapprima avevano il capo ardente per il calore ed ambedue gli occhi arrossati per una luce diffusa. La gola, inoltre, nell'interno nera, sudava sangue, e occluso dalle ulcere la laringe si serrava, e l'interprete dell'animo, la lingua, stillava gocce di sangue, infiacchita dal male, pesante al movimento, scabra al tatto. Poi, quando attraverso la gola la forza della malattia aveva invaso il petto ed era affluita fin dentro il cuore afflitto dei malati, allora davvero vacillavano tutte le barriere della vita. Il fiato che usciva dalla bocca spargeva un puzzo ributtante, simile al fetore che mandano i putridi cadaveri abbandonati. Poi le forze dell'animo intero e tutto il corpo languivano, gi sul limitare stesso della morte. E agli intollerabili mali erano assidui compagni un'ansiosa angoscia e un lamentarsi commisto con sospiri. E un singhiozzo frequente, che spesso li costringeva notte e giorno a contrarre assiduamente i nervi e le membra, li struggeva aggiungendo travaglio a quello che gi prima li aveva spossati. N avresti notato che per troppo ardore in alcuno bruciasse alla superficie del corpo la parte pi esterna, ma questa piuttosto offriva alle mani un tiepido contatto, e insieme tutto il corpo era rosso d'ulcere quasi impresse a fuoco, come accade quando per le membra si diffonde il fuoco sacro. Ma la parte pi interna in quegli uomini ardeva fino alle ossa, nello stomaco ardeva una fiamma, come dentro fornaci. Sicch non c'era cosa, bench lieve e tenue, con cui potessi giovare alle membra di alcuno, ma vento e frescura cercavano sempre. Alcuni immergevano nei gelidi fiumi le membra ardenti
civibus ablativo di privazione natantis sta per natantes Pandionis leggendario re dellAttica (sta per Atene) soffusa luce ablativo di causa sudabant e sanguine enfatici ad inizio frase ulceribus ablativo strumentale vocis via metafora ardita ma efficace tactu ablativo di limitazione principio...inde... climax complerat sta per compleverat vero vitai allitterazione (molto efficace) vitai genitivo arcaico querella molto usato da lucrezio noctem per anastrofe (sta per per noctem) coactans intensivo da cogo ulceribus complemento di causa intima pars avversativo, in contrapposizione con summam partem stomacho stato in luogo (senza in) in...undas ripreso dalla narrazione di Tucidide
Lucrezio-11
membra dabant nudum iacientes corpus in undas. multi praecipites nymphis putealibus alte inciderunt ipso venientes ore patente: insedabiliter sitis arida corpora mersans aequabat multum parvis umoribus imbrem. nec requies erat ulla mali: defessa iacebant corpora. mussabat tacito medicina timore, quippe patentia cum totiens ardentia morbis lumina versarent oculorum expertia somno.
per la malattia, gettando dentro le onde il corpo nudo. Molti caddero a capofitto nelle acque di pozzi profondi, mentre accorrevano protendendo la bocca spalancata. La sete che li riardeva inestinguibilmente e faceva immergere i corpi, rendeva pari a poche gocce molta acqua. E il male non dava requie: i corpi giacevano stremati. La medicina balbettava in un muto sgomento, mentre quelli tante volte rotavano gli occhi spalancati, ardenti per la malattia, privi di sonno.
praecipites a capofitto, prae + cipites (testa allingi) insediabiliter avverbio lungo per rallentare, neologismo, usato solo qui, in (negazione) + sedo (placare) medicina sta per medici somno ablativo di privazione
Lucrezio-12