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PISTOIA
VENTUNESIMO CONVEGNO
INTERNAZIONALE DI STUDI
comune di pistoia
provincia di pistoia
camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di pistoia
fondazione cassa di risparmio di pistoia e pescia
IN COLLABORAZIONE CON
VII
COMITATO SCIENTIFICO
Linetto Neri
Giovanna Guerrieri
Massimo Guerrieri
Francesco Leoni
IX
Presentazione
Giovanni Cherubini
Presidente del Centro Studi
XII
Venerdì 11 maggio, pomeriggio
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Giovanni Cherubini
Giovanni Cherubini
Introduzione
Giovanni Cherubini
rilievo le risultanze.
I temi presenti nel progetto del Convegno sono stati ovviamen-
te raggruppati dal punto di vista più logico, anche se, come sempre
avviene, si conviene facilmente che alla nostra logica un’altra o più
d’una, altrettanto o anche più degne potrebbero essere sostituite.
Cominciando dunque dalla «costruzione materiale» della città, era
difficile, dopo il ricordato riferimento all’eredità del passato, non
porre subito l’accento sulle cerchie murarie e le torri private urba-
ne 6. Le prime tracciano la «forma urbis», l’aspetto che per primo si
Introduzione
sua ben nota fase di incremento, di arresto e poi di crollo tra l’inizio
dell’XI e la metà del XIV secolo, questo senso della materialità della
crescita dei centri urbani finisce per apparirci un po’ stretto, anche
se non proprio inadeguato 7. Perché è certo che per questo settore
ne 12, ed infine dei grandi spazi pubblici 13. Senza che vengano tuttavia
Giovanni Cherubini
Introduzione
Giovanni Cherubini
Introduzione
Giovanni Cherubini
Introduzione
22 Per tutto ciò che precede vedi G. Cherubini, Le città italiane dell’età di
Dante, Ospedaletto (Pisa) 1991; Id., Le città europee del Medioevo, Milano 2009;
Id., Federico II e le città del regno di Sicilia, in Aa.Vv., L’eredità culturale di Gina
Fasoli. Atti del Convegno di Studi per il centenario della nascita (1905-2005), a cura
di F. Bocchi - G.M. Varanini, Roma 2008, pp. 241-59. Per le testimonianze lascia-
teci da Beniamino di Tudela ed Ottone di Frisinga vedi, rispettivamente, Beniamino
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Introduzione
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Venerdì 11 maggio, pomeriggio
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Giovanni Cherubini
Cristina La Rocca
L’eredità e la memoria dell’antico
nelle città comunali *
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Cristina La Rocca
renziato presente 2.
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L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali
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Cristina La Rocca
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L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali
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Cristina La Rocca
13 G. Cantino Wataghin, The ideology of urban burials, in The idea and ideal,
cit., pp. 147-163.
14 S.T. Loseby, Arles in Late Antiquity: “Gallula Roma Arelas” and “Urbs
Genesii”, in Towns in transition, cit., pp. 45-70.
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L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali
reperire una sede collocata nel centro topografico della città, spes-
so ebbero come esito che la sede vescovile fosse impiantata in aree
marginali e periferiche della città antica (spesso presso le mura ur-
bane), quando non addirittura (sebbene in casi assai radi in Italia)
all’esterno della città stessa. Nondimeno, con il rafforzarsi del pre-
stigio dell’autorità episcopale, la domus vescovile veniva ad acquisire
un ruolo ‘centrale’ nella gerarchia dei luoghi e degli spazi urbani,
poiché essa, indipendentemente dalla sua collocazione topografica,
costituiva comunque il fulcro della comunità cristiana locale.
Risponde alla stessa logica di scissione tra centralità topogra-
fica e rilevanza delle autorità personali, la fondazione, all’interno
delle città o nelle sue immediate propaggini, di monasteri e di chie-
se private, che si proposero come altrettanti punti di aggregazione
familiare e rituale. Paradossalmente, tale processo fu più intenso e
vistoso proprio in quelle città per le quali la trasformazione degli
equilibri politici territoriali aveva significato — tramite l’attivismo
delle proprie élites — una promozione funzionale nella gerarchia ur-
bana, come si è molto ben dimostrato per la città di Ravenna tra VI
e VII secolo 16. La nuova centralità di Ravenna si riverberò non solo
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Cristina La Rocca
separazione tra lo spazio interno e lo spazio interno della città per ciò
che concerneva le pratiche rituali della memoria familiare, in totale
rottura con la modalità antica che separava rigidamente lo spazio dei
vivi da quello dei morti.
La città altomedievale fu dunque allo stesso tempo una città
delimitata, racchiusa da una cinta di mura che rappresentava ma-
terialmente il suo status nella gerarchia dei luoghi, e dall’altro lato
una città aperta, perché il limite della cinta muraria non sembrò né
distinguere né separare le modalità di utilizzo degli spazi.
Gli scavi archeologici all’interno delle città hanno dimostrato
che le città altomedievali erano edificate meno fittamente rispetto a
quelle antiche e che la tipologia edilizia residenziale utilizzò materiali
deperibili, anzitutto il legno. Questi due fenomeni hanno portato a
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L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali
corre osservare che, proprio a Lucca, tali nuclei non acquisirono loro
nomi specifici, bensì furono definiti essere situati infra civitate. Se dal
punto di vista materiale essi potrebbero essere equiparati a realtà in-
sediative sparse, di tipo rurale, la pratica descrittiva di ubicarli infra
civitate differisce totalmente da quella di designazione dei siti rurali,
che sono invece di norma contraddistinti da un loro specifico nome
(per esempio attraverso l’espressione in loco ubi dicitur). Nell’area
interna alle mura, la molteplicità dei nuclei di habitat urbano non
fu cioè sottolineata dagli abitanti della città per definire né la loro
identità né quella dei loro beni. Per quanto la realtà materiale do-
cumenti uno spazio urbano frammentato, la sua rappresentazione
scritta nelle carte private è invece quella di uno spazio compatto,
articolato in modo binario, all’interno o all’esterno delle mura. Ciò
vale soprattutto per gli uomini e le terre ‘border line’, vale a dire
quelle ubicate accanto alle mura e presso le porte urbane, presso i
confini della zona infra civitate, per le quali si precisa frequentemen-
te la loro collocazione dentro o fuori le mura 20.
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Cristina La Rocca
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L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali
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L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali
Settia, non vi è dubbio che queste torri facessero parte della cinta
urbana tardoantica e che fossero a suo tempo state concesse dai re
italici ad alcuni esponenti delle élites locali 25. Anteriormente all’ini-
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Cristina La Rocca
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L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali
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Cristina La Rocca
31 Ch. Wickham, The sense of the Past in Italian communal narratives, in The
perception of the Past in twelfth century Europe, a cura di P. Magdalino, London -
Rio Grande 1992, pp. 173-189.
32 S. Gelichi, Le mura inesistenti e la città dimezzata. Note di topografia pisa-
na altomedievale, «Archeologia Medievale», XXV (1998), pp. 75-88; per l’analogo
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L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali
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Cristina La Rocca
Italy, Ithaca London 2000; M. Miller, From Episcopal to Communal Palaces. Places
and Power in Northern Italy (1000-1200), «Journal of the Society of Architectural
Historians», LIV (1995), pp. 175-185.
35 Miller, The bishop’s Palace, cit., pp. 89-97.
36 Se l’espressione Imperator Romanorum è riscontrabile nei diplomi di
Ottone I nell’anno 966, redatti in Germania e diretti a destinatari non italiani
(Ottonis I diplomata, in Conradi I, Heinrici I et Ottonis I diplomata, a cura di Th.
Sickel, Hannover 1879-1884 (Monumenta Germaniae Historica [da ora in avanti
M.G.H.], Diplomata regum et imperatorum Germaniae, I), n. 318, 322, 324, 326,
329), quella di Rex Romanorum risulta rispondere al titolo delegittimante di Rex
Teutonicorum coniato da Gregorio VII per indicare i re tedeschi non ancora in-
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L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali
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Cristina La Rocca
L’importanza della carta risiede nel fatto che, come è stato più
volte osservato, per tutta l’età longobarda fino alla metà del seco-
lo IX, le menzioni documentarie relative alla città di Padova sono
del tutto inconsistenti e nessuno dei re longobardi e degli impera-
tori carolingi — fino a Ludovico II dell’855 — risulta aver emanato
diplomi a favore del vescovo di Padova, nonostante la presenza di
39 A. Tilatti, Istituzioni e culto dei santi a Padova tra VI e XII secolo, Roma
1997 (Italia Sacra, Studi e documenti di storia ecclesiastica, 56), pp. 203-239.
40 I diplomi di Berengario I, cit., doc. 18 (897 maggio 5), pp. 56-58. Cfr. A.
Castagnetti, Regno, signoria vescovile, arimanni e vassalli nella Saccisica dalla tarda
età longobarda all’età comunale, Verona 1997.
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L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali
carte più antiche risulti evocata in diplomi successivi 41. Come ha no-
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Cristina La Rocca
dall’896 fino al marzo del 900 egli appare ricoprire la carica di archi-
cancellarius 46, cioè di capo della cancelleria regia; la sua carriera ha
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L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali
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L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali
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L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali
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Cristina La Rocca
T. Struve, Heinrich IV., Bischof Milo von Padua und der Paduaner Fahnenwagen.
Zu einem wenig beachteten Bildnis des salichen Kaisers und seiner Gemalin, in
«Frühmittelalterliche Studien», 30 (1996), pp. 294-314. Collega le immagini impe-
riali padovane alla itineranza ritualizzata dell’imperatore e alla necessità di strumenti
codificati di comunicazione più ampia, il lavoro di N. D’Acunto, L’età dell’obbe-
dienza. Papato, impero e poteri locali nel secolo XI, Napoli 2007, pp. 217-218.
66 E.J. Hobsbawm, The social function of the past: some questions, in «Past &
Present», 55 (1972), pp. 3-17.
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L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali
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Cristina La Rocca
mando nei fatti una transizione assai morbida tra il prima e il dopo
Ezzelino, che diede luogo ad un assetto politico di sostanziale ripresa
delle grandi famiglie, anche quelle più gravemente compromesse con
il tiranno. Queste, come ebbe a notare lo Hyde «fecero dimenticare
presto il loro passato e col tempo occuparono di nuovo nella società
e nelle istituzioni del secondo comune una posizione di rilevo» 71.
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1. Bertha regina ed Henricus quartus rex.
Venerdì 11 maggio, pomeriggio
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Giovanni Cherubini
Aldo A. Settia
CERCHIE MURARIE E TORRI PRIVATE URBANE
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Cerchie murarie e torri private urbane
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Cerchie murarie e torri private urbane
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anzi persino le porte del primo furono considerate ancora atte alla
difesa 13 rendendo così difficile distinguere tra situazione di diritto e
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Cerchie murarie e torri private urbane
E. Poleggi, Una città portuale del medioevo. Genova nei secoli X-XVI, Genova 1980,
pp. 60-61.
16 Gli “Annales Pisani” di Bernardo Maragone, a cura di M. Lupo Gentile,
Bologna 1936 (Rerum Italicarum Scriptores, 2a edizione, VI/2), pp. 16-18. cfr.
F. Redi, Pisa com’era: archeologia, urbanistica e strutture materiali (secoli V-XIV),
Napoli 1991, pp. 139-161 e, per la data d’inizio dei lavori, M. Ronzani, La formazio-
ne della piazza del Duomo di Pisa (secoli XI-XIV), in La piazza del Duomo nella città
medievale (nord e media Italia, secoli XI-XVI), Atti della giornata di studio (Orvieto,
4 giugno 1994), a cura di L. Riccetti, Orvieto 1997, pp. 20-21 e 45-54 (= «Bollettino
dell’Istituto storico artistico orvietano», XLVI-XLVII, 1990-91).
17 Rispettivamente: M.T. Donati, La cinta muraria milanese, in Milano e la
Lombardia in età comunale. Secoli XI-XIII, Milano 1993, p. 150; Panazza, Il volto
storico di Brescia, cit., p. 1067; Racine, La città nel XIII secolo, cit., p. 212.
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Aldo A. Settia
Si tratta di elementi che, pur senza essere gli unici, certo contribuiro-
no all’incremento numerico delle cerchie cittadine dell’Italia centro
settentrionale, che sembra aver toccato il massimo appunto tra 1150
e 1200 20.
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Cerchie murarie e torri private urbane
costituiti dalle porte, in asse con quelle della cerchia romana rimasta
all’interno; al momento della resa l’imperatore si limitò appunto a
far abbattere le porte e a riempire il fossato senza toccare le mura
antiche 26.
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Aldo A. Settia
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Cerchie murarie e torri private urbane
3. Il valore difensivo
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Aldo A. Settia
33 Cfr. R. Rogers, Latin siege warfare in the twelfth century, Oxford 1992,
rispettivamente pp. 129-130 (Lodi), 130-132 (Como), 135-143 (Crema), 134-135
(Tortona), 143-146 (Milano), 147-150 (Alessandria), con le fonti ivi citate; vedi an-
che A.A. Settia, Le mura e la guerra. Sviluppi medievali della poliorcetica, in Castelli
e cinte murarie, cit., pp. 38-41; Id., L’assedio di Crema nel 1159: esperienze d’oltre-
mare e suggestioni classiche, in Id., Comuni in guerra. Armi ed eserciti nell’Italia delle
città, Bologna 1993, pp. 261-276.
34 Annales Placentini Gibellini, Hannoverae 1863 (Monumenta Germaniae
Historica, Scriptores, 18), p. 479; cfr. Panazza, Il volto storico di Brescia, cit., pp.
1077-1078.
35 A.A. Settia, Ingegneri e ingegneria militare nel secolo XIII, in Id., Comuni
in guerra, cit., p. 295; cfr. Mascanzoni, Edilizia e urbanistica, cit., pp. 423-424.
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Cerchie murarie e torri private urbane
stette invece per ben otto mesi cedendo infine solo per fame 36. Ma
che di notte «non si serravano porte alla città […] e per bisogno di
moneta, per non fare libbra, si venderono le mura vecchie, e’ terreni
d’entro e di fuori a chi v’era acostato» 38.
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Aldo A. Settia
Brescia nei primi decenni del secolo XII, come si è visto, irrompes-
sero fuori dalle vecchie mura, insieme con le bancarelle dei macellai,
anche le torri dei Cagnola 42, entrambe elementi costitutivi, sia pure a
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Cerchie murarie e torri private urbane
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Aldo A. Settia
collegato a una torre dell’antica cerchia urbana che, assai per tempo,
era passato nelle mani di un ufficiale pubblico.
Prima del 929 una torre posta entro la città di Torino era stata
acquisita dal marchese Adalberto; non è chiaro se essa fosse o no con-
nessa alle mura urbiche, ma di esse facevano parte, nella stessa città,
le porte turrite che fungevano da residenza dei marchesi anscarici da
un tempo certo assai anteriore a quello effettivamente documentato;
e gli si avvicina il caso del conte e della contessa di Collalto i quali nel
1091 rogano un loro documento «nella città di Treviso entro la torre
dei suddetti coniugi» 49. Accanto a rappresentanti del potere laico un
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Cerchie murarie e torri private urbane
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Aldo A. Settia
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Cerchie murarie e torri private urbane
te dai cittadini pe’ loro usi privati» 55, mentre il fenomeno delle torri
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Aldo A. Settia
fuorusciti, non è raro che una porta sia presa con la forza, non senza
il consenso o l’aiuto di complici interni 61. Il controllo di una porta,
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Cerchie murarie e torri private urbane
via di fuga alla fazione sconfitta verso quella parte del contado in cui
essa conta più aderenti: ecco quindi all’inizio del ’300 comparire fra
i compiti consueti delle compagnie del popolo anche il presidio delle
porte di dentro e di fuori 62.
1966, pp. 256 e 262; Serventese dei Lambertazzi e dei Geremei, in Poeti del Duecento,
I, a cura di G. Contini, Milano-Napoli 1960, p. 872; Annales Placentini Gibellini,
cit., p. 518; Villani, Nuova cronica, cit., I, p. 392; II, pp. 77-78.
62 Così, ad esempio, Salimbene, Cronica, cit., p. 921 (a. 1287, Reggio Emilia);
presidio di porte: Statuti delle compagnie del popolo di Pisa, in Documenti per ser-
vire alla storia della milizia italiana dal XIII secolo al XVI, a cura di G. Canestrini,
«Archivio storico italiano», XV (1851), p. 8 (a. 1300); pp. 10-11 (1302), pp. 20-22
(Siena, sec. XIV); Statuti della repubblica fiorentina, I, Statuto del capitano del popolo
degli anni 1322-25, a cura di R. Caggese, Firenze 1910, pp. 297-298; Respublica
Mutinensis (1306-1307), a cura di E.P. Vicini, I, Milano 1929, pp. 287-288 (a. 1306).
Cfr. A.A. Settia, I luoghi e le tecniche dello scontro, in Magnati e popolani nell’Italia
comunale, XV convegno di studi (Pistoia, 15-18 maggio 1995), Pistoia 1997, pp.
93-94, ora anche in Id., Tecniche e spazi della guerra medievale, Roma 2006, pp.
141-143.
63 D. Bizzarri, Gli statuti del comune di Torino del 1360, Torino 1933, p. 99,
rubrica 219.
64 G. Rossetti, Il lodo del vescovo Daiberto sull’altezza delle torri: prima carta
costituzionale della repubblica pisana, in Pisa e la Toscana occidentale nel medioevo.
A Cinzio Violante nei suoi 70 anni, II, Pisa 1991, p. 39.
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Aldo A. Settia
era certo possibile poiché nessuna difesa perimetrale, quale che sia
la sua efficienza, si può dire invulnerabile ad attacchi né, a maggior
ragione, a tradimenti, ma, in linea di principio, essa era considerata
invalicabile e non risulta pertanto esistessero difese sussidiarie inter-
ne predisposte a tale scopo.
Se le torri private si trovano spesso in prossimità degli spazi
pubblici aperti si deve intendere che così avveniva non per presunte
ragioni di carattere “strategico”, ma perché là esse acquistavano il
massimo della visibilità, funzione da ritenere una delle più importan-
ti, e tale anzi da giustificare da sola l’esistenza delle torri, benché ciò
non venga mai esplicitamente dichiarato dalle fonti.
65 C. Zuradelli, Le torri di Pavia, Pavia 1888, pp. 69-75 e 98-99, con le osser-
vazioni di C. Magenta, Prefazione, ivi, p. X.
66 Un buon esempio in Varanini, Torri e casetorri, cit., pp. 194-197.
67 Come propone Bonardi, Le torri di Asti, cit., pp. 18-19.
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Sabato 12 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Jean-Claude Maire Vigueur
Italo Moretti
I palazzi pubblici
1 I palazzi del popolo nei comuni toscani del Medio Evo, notizie storiche di N.
Rodolico, commento artistico e Catalogo di G. Marchini, Milano, Electa, 1962; F.
Cardini - S. Raveggi, Palazzi pubblici di Toscana. I centri minori, Firenze, Sansoni,
1983; si veda anche C. Uberti, I palazzi pubblici, in L’architettura civile in Toscana.
Il Medioevo, a cura di A. Restucci, Siena, Monte dei Paschi di Siena, 1995, pp. 151-
223, con un taglio dove prevalgono caratteri semiologici.
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Italo Moretti
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I palazzi pubblici
tava la campana civica. Per avere un’idea del fervore costruttivo del
tempo si pensi, ad esempio, ai cantieri contemporaneamente aper-
ti nella Firenze del 1300: l’ultimo giro delle mura, Santa Maria del
Fiore, il nuovo Palazzo dei Priori, Santa Croce, Santa Maria Novella,
il primo Orsanmichele, per non citare che i maggiori tra i molti al-
tri d’iniziativa privata 7. Naturalmente Firenze non è un’eccezione
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Italo Moretti
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I palazzi pubblici
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Italo Moretti
certi palazzi pubblici toscani più tardi ebbero struttura aperta in bas-
so da loggiati, come il Palazzo degli Anziani — o del Comune — di
Pistoia, che assunse l’aspetto attuale durante la seconda metà del
Trecento e che forse era sorto là dove era ubicato quel palatium co-
munis ricordato nel 1211 26.
Brandi come l’edificio gotico civile più grande in assoluto del suo
tempo 29, ebbe la Sala del Consiglio nella parte centrale e più anti-
ca, fu residenza dei signori Nove nel corpo di sinistra, residenza del
Podestà in quello di destra, anche se il Capitano di Guerra — poi il
Conservatore — ebbe un proprio palazzo in altra parte della città 30.
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I palazzi pubblici
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Italo Moretti
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I palazzi pubblici
esso divenne «il punto di riferimento, anche simbolico, per gran par-
te dell’edilizia civile tre-quattrocentesca della città e del contado» 40.
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Italo Moretti
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I palazzi pubblici
Pertanto questa, più nella sostanza che nella forma, può aver attin-
to suggerimenti da quella fiorentina e, a sua volta, divenne la torre
civica che ha avuto il maggior numero d’imitazioni, logicamente con-
centrate nel territorio senese 48.
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Italo Moretti
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I palazzi pubblici
illustrata in iconografie che vanno dal XVI al XIX secolo 57, si pre-
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Italo Moretti
non era ancora terminata nel 1310-1311 59, quando i priori chiesero
80
1 — Certaldo, il Palazzo Pretorio, o Vicariale, in una immagine
ottocentesca, prima del restauro (cfr. nota 2).
2 — Certaldo, il Palazzo Pretorio o Vicariale, allo stato attuale (da
Rodolico e Marchini).
3 — Siena, Palazzo Pubblico, Sano di Pietro, San Pietro Alessandrino
tra i beati Andrea Gallerani e Ambrogio Sansedoni (1446),
particolare.
4 — Piacenza, Palazzo Pubblico, la facciata dopo i restauri
ottocenteschi.
5 — San Giovanni Valdarno, Palazzo Vicariale, detto ‘di Arnolfo’,
particolare della facciata (da Rodolico e Marchini).
6 — Pistoia, Palazzo del Comune, detto ‘degli Anziani’, la facciata.
7 — Firenze, Museo di Palazzo Vecchio, La cacciata del Duca d’Atene,
con il palazzo dotato delle antiporte fatte costruire da Gualtieri di
Brienne nel 1342.
8 — Siena, Palazzo Pubblico, rilievo del coronamento (da G.
Chierici).
9 — Montepulciano, Palazzo Comunale, la facciata.
10 — Poppi, Palazzo Pretorio, già dimora dei conti Guidi,
ricostruzione dello stato originale, acquerello di Massimo Tosi.
Sabato 12 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Jean-Claude Maire Vigueur
Elisabeth Crouzet-Pavan
La cité communale en quête d’elle-même:
la fabrique des grands espaces publics
92
La cité communale en quête d’elle-même
93
Élisabeth Crouzet-Pavan
4 «Le touriste qui s’attarde à flâner dans les villes italiennes, émiliennes ou
lombardes, ne manque jamais d’être frappé par l’importance des places qui accom-
pagnent les grands monuments hérités de l’époque communale: cathédrales et palais
publics», P. Racine, Naissance de la place civique en Italie, dans Fortifications, portes
de villes, places publiques dans le monde méditerranéen, J. Heers éd., Paris s.d., pp.
301-322, p. 301. «L’urbanisme, c’est d’abord, dans l’opinion courante, l’aménage-
ment des espaces publics […] Dans ce domaine, le Moyen Age a longtemps joui
d’une réputation peu flatteuse». «Aujourd’hui encore, le paysage urbain des villes
italiennes reste très fortement marqué, au nord de Rome, par l’existence de quel-
ques grands ensembles monumentaux dont la configuration générale et même, pour
la plupart des éléments qui les composent, la création sont l’œuvre des régimes
communaux», J.-C. Maire Vigueur, L’essor urbain dans l’Italie médiévale: aspects et
modalités de la croissance, dans Europa en los umbrales de la crisis (1250-1350), XXI
Semana de Estudios medievales, Estella 1994, pp. 171-204, pp. 182-183.
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La cité communale en quête d’elle-même
5 La Piazza del Duomo nella città medievale (nord e media Italia, secoli XII-
XVI), «Bollettino dell’Istituto storico artistico Orvietano», 1990-1991, XLVI-XLVII,
Orvieto 1997.
6 Archivio di Stato di Venezia, Giudici del Piovego, Busta 3, Codice del
Piovego; Codex Publicorum (Codice del Piovego), vol. 1 (1282-1298), B. Lanfranchi
Strina éd., Venise 1895 (Fonti per la storia di Venezia, sez. 1, Archivi pubblici); E.
Crouzet-Pavan, Sopra le acque salse. Espaces, pouvoir et société à Venise à la fin du
Moyen Age, Rome 1992, 2 vol., t. 1, p. 142 et suiv.
95
Élisabeth Crouzet-Pavan
96
La cité communale en quête d’elle-même
rantir dès 1164 le montant des prêts souscrits pour la guerre 9. Dans
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Élisabeth Crouzet-Pavan
de mer une voie est aménagée. Ce sont 3640 m2 qui sont alors récu-
pérés et, même si cette zone périphérique, où la valeur des maisons
et des terrains est faible, ne compte pas, à l’exception du monastère
de San Tomaso, de propriétaires importants, l’opération n’en est pas
moins riche de sens. De manière exactement contemporaine com-
mence aussi le processus d’où résultera la création de l’Arsenal et
des darses, avec le déplacement au couchant de la nouvelle muraille
des anciens scali, en particulier de celui qui servait à la réparation na-
vale. Etape suivante, et nous sommes en 1186, trois aires pour servir
de marché sont définies par la commune 14. Là encore, le droit du
public est sans conteste instauré puisque, comme sur la rive, la com-
E. Poleggi, Una città portuale del medioevo. Genova nei secoli X-XVI, Gênes 1980.
p. 60.
98
La cité communale en quête d’elle-même
15 Ivi, p. 66. Voir aussi, J. Heers, Paysages urbains et sociétés dans les différents
types de «villes portuaires» en Méditerranée occidentale au Moyen Age, dans Città
portuali del Mediterraneo. Storia e archeologia, E. Poleggi éd., Gênes 1989, pp.
11-24.
16 L. Grossi Bianchi - E. Poleggi, Una città portuale nel Medioevo. Genova
nei secoli X-XVI, Gênes 1980, ont pu parler de «décennies épiques», p. 66.
17 «Una magna domus pro communi utilitate» est construite ici à partir de
1160 avec une fonction sans doute liée aux activités portuaires mais sur laquelle les
spécialistes de l’histoire de Pise ne s’accordent pas, voir G. Rossetti, Pisa: assetto
urbano e infrastruttura portuale, dans Città portuali, cit., p. 263-286 et G. Garzella,
Pisa com’era: topografia e insediamento dall’impianto tardoantico alla città murata del
secolo XII, Naples 1990, p. 171, n. 44 qui cite les Annales Pisani et fait état de ces
divergences.
18 Le breve consulum de 1162 réserve à cette darse l’espace compris entre
la via de Santa Maria et l’église de S. Donato, («De darsana facienda a vie maiori
sanctae mariae quae iuxta terram filiorum […] usque ad ecclesiam santi Donati», F.
Bonaini, Statuti inediti della città di Pisa, Florence 1854, vol. 1, p. 15); cette darse
est bien connue au siècle suivant car elle sert au déchargement des marchandises
vendues sur la place de S. Donato ou réexpédiées; G. Garzella, Pisa com’era, cit.,
p. 171-173. Voir aussi G. Rossetti, Pisa: assetto urbano e infrastruttura portuale, cit.,
p. 264.
19 Sur la localisation entre «porta Degathie» et le monastère de S. Vito, G.
Garzella, Pisa com’era, cit.
99
Élisabeth Crouzet-Pavan
100
La cité communale en quête d’elle-même
les fossés et les murailles, le pont et quelques rues, à mesure que les
textes redisent l’existence d’une «communis populi pisani utilitas»
et qu’ils statuent au sujet des «viis publicis». Le bref des consuls de
Pistoia qui réglementent la hauteur des tours et protègent les voies
publiques ne diverge pas 26. D’autre part, de la croissance urbaine ré-
26 Breve dei consoli [1140-1180], dans Statuti pistoiesi del secolo XII, N. Rauty
éd., Pistoia 1996, p. 146.
27 Voir ici M. Ronzani, La piazza del Duomo di Pisa, dans La Piazza del
Duomo, cit., pp. 19-134, pp. 49-50. Commencée en 1155, la construction de l’en-
ceinte de Pise est achevée en 1161 et la commune peut, à cette date, passer à la
défense de l’Oltrarno, G. Garzella, Pisa com’era, cit., pp. 163-164. A Gênes, les tra-
vaux démarrent en 1157 et s’intensifient en 1158 et 1159 ce qui permet à Caffaro de
souligner leur rapidité extrême et de louer la parfaite organisation du chantier: les
habitants travaillent en effet selon les subdivisions territoriales, tour à tour. Enfin,
en 1160, des tours sont élevées qui achèvent l’ouvrage.
28 M. Ronzani, La piazza del Duomo di Pisa, cit., p. 20.
101
Élisabeth Crouzet-Pavan
nouveau palazzo comune est construit. Dans le même temps, des tra-
vaux précipitent l’aménagement de la place San Marco: la partie du
bassin qui s’avançait jusqu’à hauteur du campanile est asséchée, les
102
La cité communale en quête d’elle-même
103
Élisabeth Crouzet-Pavan
104
La cité communale en quête d’elle-même
que dans la ville du XIe siècle, les quelques ponts qui sont construits
le sont à l’exemple des institutions d’assistance, grâce à la charité,
aux dons et aumônes 39. Libres, ou sollicités, des legs testamentaires
38 L. Grossi Bianchi - E. Poleggi, Una città portuale del medioevo, cit., pp.
100-101.
39 E. Crouzet-Pavan, Pour le bien commun… A propos des politiques urbaines
dans l’Italie communale, dans Pouvoir et édilité. Les grands chantiers dans l’Italie
communale et seigneuriale, E. Crouzet-Pavan éd., Rome 2003 (Collection de l’Ecole
française de Rome, 302), pp. 11-40.
40 On doit à D. Balestracci une analyse très fine de ces évolutions dans sa
contribution, Gli edifici di pubblica utilità nella Toscana medievale, dans L’Architettura
civile in Toscana. Il Medioevo, A. Restucci éd., Sienne 1995, pp. 227-267; je suis ici
son commentaire.
41 Voir par exemple, pour se limiter à ces quelques références, dans le vo-
lume Città e servizi sociali nell’Italia dei secoli XII-XV, Pistoia 1990: G. Albini,
L’assistenza all’infanzia nelle città dell’Italia padana (secoli XII-XV), pp. 115-140;
G.M. Varanini - G. De Sandre Gasparini, Gli ospedali dei “malsani” nella società ve-
105
Élisabeth Crouzet-Pavan
106
La cité communale en quête d’elle-même
Vicence (1195) 44, à Modène (1194) mais aussi à Asti (1197), Vercelli
(1202), Novare (1208) 45, un palatium est bâti. Ces lieux du pouvoir
107
Élisabeth Crouzet-Pavan
Le palatium et la cathédrale
108
La cité communale en quête d’elle-même
109
Élisabeth Crouzet-Pavan
55
G. Andenna, La simbologia, cit., p. 382 qui cite Verceil, Asti et Mantoue.
56
M.C. Miller, The Bishop’s Palace. Architecture and Authority in Medieval
Italy, New-York 2000.
57 G. Andenna, La simbologia, cit.
110
La cité communale en quête d’elle-même
institutions?
111
Élisabeth Crouzet-Pavan
comune. Il governo della città tra XI e XIII secolo, dans Il governo del vescovo. Chiesa,
città territorio nel Medioevo parmense, R. Greci éd., Parme 2005, pp. 75-76.
61 O. Guyotjeannin, Salimbene de Adam, un chroniqueur franciscain, Brepols
1995, p. 123.
62 Monumenta Historica ad provincias parmensem et placentinam pertinentia,
Parme 1855: Statuta communis Parmae anno 1255. Il s’agit du statut de 1255, rédigé
au temps du podestat Giberto da Gente mais ce texte reprend une bonne part des
normes du statut précédent: l. 1, p. 86.
112
La cité communale en quête d’elle-même
Roffino dei Vernarci, qui étaient du côté de l’église San Pietro» 63.
Les «choses utiles» que les Parmesans firent dans leur ville sont ainsi
décrites par Salimbene.
Retenons enfin un troisième exemple, celui de l’opération mila-
naise. Sous le mandat du podestat brescian, Alfredo da Consesio, la
construction du Broletto Nuovo et l’organisation des espaces adjacents
commencent en 1228. Le centre du pouvoir migre et s’installe à 200
m environ du premier broletto. Certaines lectures ont pu minimiser
ce changement d’implantation 64. A tort, sans nul doute. Comme à
attachées à ce terme qui resurgit dans les sources, ne fait pas que se
séparer du pôle épiscopal. Il tend à le supplanter.
Là est l’important. La place, je l’ai dit, peut réinventer le cen-
tre. Elle gomme l’histoire qui précède le plein épanouissement de la
commune pour retrouver le passé romain, se réapproprier le souve-
63
O. Guyotjeannin, Salimbene de Adam, cit., pp. 292-294.
64
J. Heers, La ville au Moyen Age, Paris 1993, p. 433.
65
P. Grillo, Milano in età comunale (1183-1276). Istituzioni, società, econo-
mia, Spolète, 2001, p. 56 et suiv. que je suis ici.
113
Élisabeth Crouzet-Pavan
Le nouveau centre laïc place ainsi la curia épiscopale dans une situa-
tion décalée.
Notre histoire emprunte donc des voies singularisées qui ex-
114
La cité communale en quête d’elle-même
115
Élisabeth Crouzet-Pavan
116
La cité communale en quête d’elle-même
Espaces du marché
qui regroupait les différents édifices utiles à un pouvoir communal, dont on sait
qu’il fonctionnait grâce à des institutions successivement établies, a pu donc s’ar-
ticuler comme à Milan ou à Novare dans l’espace civique autonome disjoint de la
cathédrale ou comme à Brescia dans le lieu qui fut celui de la mise en place du tout
premier palais.
76 G. Andenna, La simbologia del potere, cit., pp. 388-389, ce qui n’est pas le
cas à Bergame, à Lodi, à Pavie et à Côme.
77 Lo specchio della città. Le piazze nella storia dell’Emilia Romagna, F. Bocchi
éd., Bologne 1997, pp. 186 et suiv. et pp. 244 et suiv.
78 G. Rippe, Padoue et son contado, cit., pp. 855-856.
79 A.I. Pini, Le città nel Medioevo. Le origini e i linguaggi, dans Cultura popo-
lare nell’Emilia Romagna, estr., pp. 158-183.
117
Élisabeth Crouzet-Pavan
118
La cité communale en quête d’elle-même
qui vendent le blé: ils peuvent ainsi en temps de pluie abriter leur
marchandise. Le souci d’une même commodité explique qu’il est
interdit aux bouchers et poissonniers de polluer la place et le marché
avec charognes et autres saletés et qu’il leur incombe, comme à tous
les marchands, de procéder au nettoyage tous les huit jours 84. Sans
119
Élisabeth Crouzet-Pavan
120
La cité communale en quête d’elle-même
Parme ne le sont pas moins qui lient dans leurs dispositions la platea
nova et la platea vetus ou qui protègent de toute souillure les murs de
la cathédrale et du baptistère autant que la place. Dès lors, ceux qui
détiennent le pouvoir, explicitement, reconnaissent et confortent en-
core la complémentarité de ces espaces, depuis longtemps effective
pour les habitants de la cité. Comment ne pas rappeler en effet que
les pas des citadins les portaient vers le baptistère et la cathédrale
pour les cérémonies religieuses, ordinaires et extraordinaires, mais
pas seulement puisque la place de la cathédrale était un des lieux où
battait, jour après jour, le cœur de la ville?
J’en viens ainsi de manière plus rapide à une troisième sé-
quence, active entre les dernières décennies du XIIIe siècle et les
premières du siècle suivant. Il est possible, en effet, de la traiter plus
brièvement puisqu’à l’instar de l’abondance documentaire qui la ca-
ractérise, les données fournies par les études deviennent plus encore
nombreuses.
121
Élisabeth Crouzet-Pavan
92 C’est le nom qu’il porte au XIVe siècle avant d’être connu comme le palais
de la Seigneurie: G. Fanelli, Firenze, cit., p. 37.
122
La cité communale en quête d’elle-même
le fait d’une pluralité des espaces publics qui est illuminé quand la
commune de Pise entreprend d’aménager l’espace derrière le cam-
123
Élisabeth Crouzet-Pavan
98 Ivi, p. 246.
99 Pour un panorama général: Le città del Mediterraneo all’apogeo dello svilup-
po medievale: aspetti economici e sociali, Pistoia 2003.
100 Pointe plus tard nommée pointe de la Douane.
124
La cité communale en quête d’elle-même
blé, du sel, élevés sur les quais, il met en scène aussi, pour tous ceux
qui débarquent en ces lieux, la prospérité et le bon gouvernement de
Venise. Quant au marché du Rialto, il connaît également des trans-
formations radicales. Elles sont engagées dès la fin de la décennie
1280. Elles reprennent au début du siècle et, après une première
phase de travaux de grande ampleur, vient, à partir de 1341, une
nouvelle réforme générale, guidée par un souci de rationalisation,
un effort de modernisation économique. Mais, dans le bassin de San
Marco et au Rialto, la volonté de faciliter les trafics maritimes et le
commerce, d’être utile à la «commodité de tous et à celle des mar-
chands», n’empêche pas qu’un souci esthétique prenne forme.
Les travaux sont engagés «pro disoccupatione... et comodo et
pulcritudine terre». Le beau sanctionne l’action communale et, cette
définition qualitative de l’espace public, si elle devient avec le temps
une référence banale des textes normatifs, dont le contenu s’avère
difficile à saisir, recouvre toutefois, dans ces années où elle s’élabore,
des contenus concrets. La rationalité de l’action politique n’est pas
seulement le fait de la montée en puissance d’une structure. Elle s’ex-
plique aussi par une nécessité esthétique. Légitimée par la quête, plus
sacrale encore que politique, d’une ville idéale, l’action publique se
veut œuvre d’harmonie et de beauté: une beauté qui est d’abord sy-
nonyme d’ordre, de distribution claire des fonctions et des activités
mais qui se confond plus généralement avec un nouveau rapport à
l’espace. La croissance des espaces publics aboutissait jusqu’alors au
triomphe de quelques principes, à la protection d’un usage collectif
garanti par l’autorité publique. Des nécessités d’ordre, de dignité des
activités sont désormais plus clairement énoncés et les contraintes de
l’esthétique s’ajoutent aux impératifs de la viabilité et de l’accès. Une
recherche du «decus» et de la «pulchritudo» se diffuse donc.
L’organisation des espaces publics n’obéit alors plus aux seuls
impératifs précédents. Ces périmètres doivent être ouverts, entrete-
nus et protégés mais pas seulement. Les préoccupations esthétiques
s’appliquent de manière contemporaine aux monuments et à l’es-
pace qui les entoure. Il ne s’agit certes pas de dire que serait inventée
la perspective avant la perspective. Mais un certain nombre de faits
sont frappants. A Venise, le bassin de San Marco est conçu comme
une introduction à la beauté de la place San Marco: il en favorise la
découverte esthétique. Ailleurs, de la même façon, les palais bâtis
ne sont pas seulement plus grands, plus impressionnants et ornés.
La place qui leur est associée est mobilisée au service de leur puis-
125
Élisabeth Crouzet-Pavan
1298: la place, jugée trop petite pour l’affluence des fidèles lors des
grandes prédications ou des fêtes religieuses solennelles, est agran-
die. L’hôpital de San Giovanni est donc démoli pour être reconstruit
sur un terrain communal, situé juste au-delà de la deuxième encein-
te 102. On connaît la suite. Parce que la nouvelle cathédrale paraît
126
La cité communale en quête d’elle-même
leur desserte, le réseau des rues est donc bientôt modifié. L’ensemble
des espaces de circulation est désormais soumis à l’autorité de la
commune et le périmètre qui entoure un couvent mendiant est pris
en charge et orné, au même titre que les rues que l’on ouvre, rectifie
et pave, que les quais qui sont construits le long de l’Arno. Toutes les
indications vont dans le même sens et l’on citera la délibération qui
transforme «en place communale» le terrain compris entre la porte
de San Frediano et l’église du Carmine. Il y avait là un lieu immonde,
réceptacle de toutes les ordures puisque ceux qui y passaient, grands
et petits, hommes et femmes, s’en servaient comme d’une latrine
pour l’horreur et le dégoût du voisinage. La commune a le pouvoir
de transformer ce qui était vil et dégoûtant en un lieu delectabile
et elle le fait «ad decore ac utilitate dicte ecclesie atque loci, et per
consequens civitatis Florentie» 109.
127
Élisabeth Crouzet-Pavan
110 Là encore les normes statutaires sont éclairantes qui énumèrent avec pré-
cision l’ensemble des rues et des espaces concernés, qui citent des confronts et des
mesures: ibidem, p. 321 et suiv. par exemple.
111 On citera le Statuto del comune di Perugia del 1279, S. Caprioli éd.,
Pérouse 1996 con la collaborazione di A. Bartoli Langeli, pp. 203 et suiv., p. 209,
p. 211.
112 Les statuts sont régulièrement modifiés entre 1255 et 1347. De texte en
texte, les mêmes dispositions en matière de viabilité, d’ordonnance édilitaire, de
protection des eaux, d’hygiène urbaine sont reprises, preuve probable de leurs diffi-
cultés d’application. Mais la sphère de l’intervention de l’autorité publique s’élargit
128
La cité communale en quête d’elle-même
pas davantage de porc sur la place sauf si l’animal est destiné à être
vendu. A Bologne encore, sur cette même place, la rigole d’écoule-
ment doit être couverte tandis que son entretien doit être assuré par
une circulation d’eau régulière 114. J’interromps ici la liste des exem-
ples pour citer une dernière fois les statuts de Parme, en date de
1347 cette fois. Ils illustrent en effet ce double phénomène. À l’heure
où le dispositif punitif embrasse un espace élargi, la cité, le diocèse,
le district, la tarification des peines est toujours mieux modulée. Elle
ne punit plus durement l’effusio sanguinis ou les blessures au visage.
Mais elle distingue aussi entre les espaces et l’amende peut être jus-
qu’à deux fois plus lourde lorsque la percussio a été faite sur la place,
une place dont les confins sont à nouveau précisés, une place qui est
comme sacralisée.
129
Élisabeth Crouzet-Pavan
130
Sabato 12 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Jean-Claude Maire Vigueur
Etienne Hubert
URBANIZZAZIONE, IMMIGRAZIONE E
CITTADINANZA (XII–METÀ XIV SECOLO).
ALCUNE CONSIDERAZIONI GENERALI *
* Viene pubblicato qui il testo della relazione presentata a Pistoia con lievi mo-
difiche e con l’aggiunta di alcuni riferimenti documentari e bibliografici. Ringrazio
Roberta Mucciarelli per la rilettura del testo italiano e per i suoi suggerimenti.
1 E. Hubert, Propriété ecclésiastique et croissance urbaine (à propos de l’Italie
centro-septentrionale, XIIe-début du XIVe siècle), in Gli Spazi economici della Chiesa
nell’Occidente mediterraneo (sec. XII-metà XIV), Atti del XVI Convegno internazio-
nale del Centro Italiano di Studi di Storia e d’Arte, Pistoia 1999, pp. 125-155.
131
Etienne Hubert
liminari sulle modalità con cui le città comunali hanno gestito la loro
crescita demografica e topografica, vale a dire sulle relazioni tra ur-
banizzazione, immigrazione e cittadinanza tra il XII secolo e la metà
del XIV secolo.
Incremento demografico
che contava la penisola tre secoli dopo, tre milioni erano cittadini,
rappresentando il terzo della popolazione cittadina europea. Il tas-
so di urbanizzazione, pari al 24%, giunse fino al 30% in Toscana
mentre non superava il 10% circa nel resto dell’Europa, tranne nelle
Fiandre (22%) o nella Penisola iberica (21%) 5.
132
Urbanizzazione, immigrazione e cittadinanza
con oltre 40.000 abitanti (otto o nove nel resto dell’Europa), di cui
tre superavano i 100.000 (Milano, Venezia, Firenze), tredici città tra
20.000 e 40.000, quarantasei tra 10.000 e 20.000 e centodiciassette
tra 5.000 e 10.000 8.
133
Etienne Hubert
nibile non poteva rispondere alla domanda per due motivi principali.
Gli edifici a uso abitativo conosciuti grazie all’archeologia e alle fonti
scritte presentavano una scarsa capacità domiciliare. Inoltre, dalla
fine dell’antichità fino agli ultimi secoli del medioevo, il modello
abitativo era definito dalla coincidenza tra edificio e abitazione mo-
nofamiliare, nonostante le variazioni notevoli della composizione del
gruppo domestico e della struttura dell’edificio: la domus, la casa,
costituiva sia l’unità costruttiva sia l’unità familiare fino ai secoli XIII
e XIV quando la pressione demografica impose la divisione di edifici
in più abitazioni nel cuore delle città più popolate 9. Ne risulta che
l’edilizia privata fu senza dubbio uno dei settori più dinamici, anche
se meno studiato per diverse ragioni sulle quali non posso soffermar-
mi qui, nell’economia delle città comunali.
Riassumerò in questa sede brevemente quello che ho già pub-
blicato altrove sulle modalità giuridiche del processo per capire le
motivazioni delle politiche promosse dalle autorità comunali nel set-
tore fondiario e immobiliare nel periodo qui esaminato 10. Le fonti
mostrano — e non c’è da stupirsi più di tanto — che una parte im-
portante se non addirittura l’essenziale dell’urbanizzazione dall’XI
secolo fino all’inizio del XIV fu promossa dai proprietari fondiari
grandi e meno grandi all’interno delle mura e nelle periferie subur-
bane, fossero enti ecclesiastici, i quali erano i più numerosi perchè
possedevano patrimoni ingenti, o laici, il cui ruolo documentato
in numerose città non dovrebbe essere sottovalutato. Questi gran-
di proprietari non hanno edificato a loro spese alloggi nuovi che
avrebbero poi affittato o venduto per trarne rendita o realizzare
plusvalore; in altri termini non si verificarono investimenti finanziari
nel settore edilizio neppure speculazione immobiliare vera e propria
tranne alcuni casi isolati 11. I proprietari hanno elaborato invece ri-
134
Urbanizzazione, immigrazione e cittadinanza
135
Etienne Hubert
14 Cfr. ad esempio Tabularium Sanctae Mariae Novae ab an. 982 ad an. 1200, a
cura di P. Fedele, Roma 1903, doc. n. 81 (1160, Roma).
15 Vedi ad esempio Le carte del monastero di San Siro di Genova, a cura di
M. Calleri, vol. III (1254-1278), Genova 1997, doc. n. 635, pp. 112-113 (1261,
Genova): il monastero di San Siro concede a un tale Casale «solum unius domus
sive terram dicti monasterii positam in Ianua […] super quod est hedificium tui
Casalis».
16 Gaius, Institutes, texte établi et traduit par J. Reinach, Paris 1950, p. 42:
«Praeterea id quod in solo nostro ab aliquo aedificatum est, quamvis ille suo nomine
aedificaverit, iure naturali nostrum fit, quia superficies solo cedit»; cfr. J.-P. Coriat,
La notion romaine de propriété: une vue d’ensemble, in Le sol et l’immeuble. Les for-
mes dissociées de propriété immobilière dans les villes de France et d’Italie (XIIe-XIXe
siècle), a cura di O. Faron - E. Hubert, Roma-Lione 1995, pp. 17-26.
136
Urbanizzazione, immigrazione e cittadinanza
cie dello spazio fortificato si moltiplicò a seconda dei casi per due o
tre volte fino addirittura a sedici o diciasette tra il X secolo e il XIV
secolo: per due o tre a Piacenza (da 43 ettari a 75), Lucca (da 39 a
137
Etienne Hubert
75), Pavia (da 57 a 150); per sei o sette ad Arezzo (da 17 a 107), Pisa
(da 30 a 185), Genova (da 22 a 155); per dodici a Pistoia (da 10 a
117); per sedici o diciassette a Bologna (da 25 a 417) e Firenze (da
27 a 430) per limitarsi ad alcune città 18. Ben si sa che non esiste un
138
Urbanizzazione, immigrazione e cittadinanza
Residenza e cittadinanza
la definizione delle fasce suburbane, vedi F. Bocchi, Suburbi e fasce suburbane nelle
città dell’Italia medievale, «Storia della città», 5 (1977), pp. 15-33.
20 Vedi ad esempio il caso di Reggio Emilia nel 1242: Consuetudini e statuti
reggiani del secolo XIII, a cura di A. Cerlini, Milano 1933, pp. 17-20.
21 G. Fasoli, Città e feudalità, in Structures féodales et féodalisme dans l’Oc-
cident méditerranéen (Xe-XIIIe siècles): bilans et perspectives de recherches, Roma
1980, pp. 365-385.
22 D. Bizzarri, Ricerche sul diritto di cittadinanza nella costituzione comunale,
«Studi senesi», XXXII (1916), pp. 19-136 (ripubblicato in Ead., Studi di storia del
diritto italiano, Torino 1937, pp. 61-158); P. Cammarosano, L’esclusione politica nel
medioevo, in Cittadinanza, a cura di G. Manganaro Favaretto, Trieste 2001, pp.
127-133; E. Cortese, Cittadinanza. Diritto intermedio, in Enciclopedia del Diritto,
VII, Milano 1960, pp. 132-140; P. Costa, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa.
1. Dalla civiltà comunale al Settecento, Roma-Bari 1999, pp. 3-50; L. De Angelis,
Immigrazione e concessioni di cittadinanza a Firenze e nei comuni italiani tra XIV e
XV secolo, in Città e vita cittadina nei paesi dell’area mediterranea. Secoli XI-XV, a
cura di B. Saitta, Roma 2006, pp. 423-437.
139
Etienne Hubert
23 A.I. Pini, Un aspetto dei rapporti tra città e territorio nel Medioevo: la politi-
ca demografica ‘ad elastico’ di Bologna fra il XII e il XIV secolo, in Studi in memoria
di Federigo Melis, I, Napoli 1978, pp. 365-408 (ripubblicato in Id., Città medievali
e demografia storica. Bologna, Romagna, Italia (secc. XIII-XV), Bologna 1996, pp.
105-147).
24 Questa connessione appare chiaramente a contrario, quando la perdita del-
la cittadinanza comporta la demolizione della residenza come dimostra qui Roberta
Mucciarelli.
25 Così a Pistoia nella seconda metà del XII secolo, a Volterra nel 1217, a
Verona nel 1276, a Perugia nel 1279, a Firenze nel 1325, a Bergamo nel 1353 ecc.
26 Statuto del comune di Perugia del 1279, a cura di S. Caprioli et al., I, Perugia
1996, cap. 390, pp. 364-365; Statuto di Tivoli del MCCCV, a cura di V. Federici, in
Statuti della provincia romana, I, Roma 1910, IV, 294, p. 241; Statuti della città di
Roma, a cura di C. Re, Roma 1880, III, 142, p. 274.
27 Il constituto del comune di Siena dell’anno 1262 [1897], a cura di L.
Zdekauer, Bologna 1983, IV, 47, p. 416; Gli statuti veronesi del 1276, a cura di G.
Sandri, Verona 1940, vol. I, I, 213, pp. 169-170.
28 Gli statuti viterbesi del 1237-38, 1251-52 e 1356, a cura di V. Federici, in
Statuti della provincia romana, II, Roma 1930, III, 102, p. 179; Statuti del comune di
Padova dal secolo XII all’anno 1285, a cura di A. Gloria, Padova 1873, III, XXVIII,
866, p. 292.
140
Urbanizzazione, immigrazione e cittadinanza
141
Etienne Hubert
sembra aprire la strada nel 1217 quando decise «ut ficta et decimas
in alodium fiant secundum tenorem statuti Mantue»: negli anni
successivi è documentata l’attività di una commissione «ad alodia
facienda omnia ficta et decimas a tribus millibus infra versus civi-
tatem Mantue»; per ovviare all’eventuale richiesta di allodiazione
da parte del concessionario, numerosi contratti coevi specificano di
«non facere alodium» o precisano che le parti «inter se promiserunt
quod alter alterum non compellet dictam terram allodiare renun-
ciando statuto Mantue» 33. Negli stessi anni, lo statuto padovano «ut
nullus possit vel debeat uti iurisditione aliqua vel comitatu in Padua
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Urbanizzazione, immigrazione e cittadinanza
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Etienne Hubert
genio que excogitare possit» 39. La stessa cosa avvenne a Savona nel
* * *
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Lunedì 12 maggio, pomeriggio
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Giovanna Petti Balbi
Thomas Szabó
Genesi e sviluppo della viabilità urbana *
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Thomas Szabó
era erede della città altomedievale e, per suo tramite, della città anti-
ca. Ci dobbiamo, dunque, chiedere anche se il contenuto delle azioni
comunali che ci accingiamo ad esporre fosse del tutto nuovo o se in-
vece non fosse già stato proposto in passato, seppur in parte, e se
dunque non venisse soltanto “risuscitato” a nuova vita.
certo che, alla fine, la parte dell’edificio sporgente sulla strada sia sta-
ta demolita. Nel secolo XIII, infatti, quella stessa via si chiama ormai
carraria Sancte Cecilie e ciò significa che nel frattempo era diventata
abbastanza larga da consentire il traffico dei carri. A Vicenza invece
è documentato come nel 1193 il Comune abbia imposto a un certo
Gerardino di Marco di arretrare la facciata della propria casa quan-
to necessario perché risultasse allineata con quelle delle abitazioni
1 Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo, per cura di F. Bonaini,
vol. I., Firenze 1854, S. 470; cfr. G. Garzella, Pisa com’era: topografia e insedia-
mento dall’impianto tardoantico alla città murata del secolo XII, Presentazione di
G. Rossetti, Napoli 1990, p. 177; Per il piede di Liutprando da 0,481 metri cfr. la
misurazione di Gabriella Garzella, Il Campanile di S. Pietro in Vincoli a Pisa e il
piede di Liutprando, «Bollettino storico pisano», 58 (1989), pp. 163-171.
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Thomas Szabó
limitrofe 2.
Nel secolo XII il flusso stradale era ostacolato non solo dalle
case sporgenti ma anche dalle scale esterne, che dalla strada porta-
vano nelle abitazioni. Il Breve consulum di Pisa del 1162 obbliga i
consoli a far demolire tali costruzioni qualora la maggior parte dei vi-
cini lo chieda 4. Nel Breve di due anni posteriore si è più intransigenti
Volterra del 1210-22 che, come accadeva in tanti altri comuni, va-
lutano le scale esterne alle case nei sensi di un ostacolo alla libera
circolazione sulle vie 7.
150
Genesi e sviluppo della viabilità urbana
re. Sembra però che un riflesso di tale misura si proietti nei Brevia
consulum del 1162 e del 1164. La fonte più antica obbliga i conso-
li a distruggere i ballatoi dei convicinia — se la maggior parte dei
convicini lo ritiene opportuno 11 — mentre il Breve consulum di due
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Thomas Szabó
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Genesi e sviluppo della viabilità urbana
di imprese per gli organi del Comune basti notare come a Pisa la via
che correva lungo le mura nuovamente progettate per circondare i
tre quartieri maggiori della città (‘Ponte’, ‘Mezzo’ e ‘Fuoriporta’),
misurava oltre 4300 metri. Si trattava, come veniamo a sapere dal
Breve, non solo di tracciare il percorso di tali vie, di decidere a qua-
li proprietari limitrofi si doveva confiscare la terra necessaria, di far
stimare il valore dei terreni confiscati, ma anche di decidere se il
Comune fosse in grado di indennizzare gli ex proprietari, ovvero se
si ritenesse opportuno detrarre tali somme dall’imponibile dovuto
in occasione degli estimi futuri. A Firenze si comincia nel 1172 a
tracciare nuove vie intorno alle nuove mura 22. Qui l’ultima cerchia
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Thomas Szabó
8500 metri 24, ma allo sforzo di costruzione della cinta muraria va ag-
23 Ivi., p. 86sgg.
24 D. Balestracci, Immigrazione e morfologia urbana nella Toscana basso-
medievale, in D’une ville à l’autre. Structures, matérielles et organisation de l’espace
dans les villes européennes (XIIe-XVIe siècle), Actes du colloque organisé par l’École
française de Rome avec le concours de l’Université de Rome (Rome 1er-4 décembre
1986), éd. par J.-Cl. Maire Vigueur (Collection de l’École française de Rome, 122),
Rome 1989, pp. 87-105: p. 88.
25 É. Hubert, La construction de la ville. Sur l’urbanisation dans l’Italie médié-
vale, «Annales», 59 (2004) pp. 109-139.
154
Genesi e sviluppo della viabilità urbana
con una striscia del loro terreno alla costituzione di una via o clas-
sus comunalis, che da allora in poi diventava loro proprietà privata o
era in proprietà comune con un altro proprietario. In un documento
del 1109 si legge, per esempio, che uno dei lati di un certo sedimen
«tenet unum caput in via mea comunale» 27. Un altro documento,
del 1129, ci presenta un caso nel quale da tre terreni limitrofi si rag-
giunge la via publica solo attraverso una via comunalis 28. Grazie a un
26 G. Garzella, Pisa com’era, cit., pp. 72, 123, 129, 130 etc.
27 Carte dell’Archivio capitolare di Pisa, 4, 1101-1120, a cura di M. Tirelli
Carli, presentazione di C. Violante, Roma 1969 (Thesaurus ecclesiarum Italiae, 7,
4), n. 40 (1109 Jul. 15).
28 Carte dell’archivio della Certosa di Calci, 2 (1100-1151), a cura di Silio
P.P. Scalfati. Presentazione di C. Violante, Roma 1971 (Thesaurus Ecclesiarum
Italiane, VII, 18), n. 57 1129 Apr. 9 [Pisa].
29 Cfr. il rinvio da Garzella, Pisa com’era, cit., p. 150 alla tesi S. Caroti, Le
pergamene dell’Archivio di Stato di Pisa dal 1145 al 1155/1158, Pisa a.a. 1969-1970,
n. 34, 1151 ago. 26).
30 Statuto di Arezzo (1327), a cura di G. Camerani Marri, Firenze 1946, I, 72.
Similmente decretano anche gli statuti del 1342 e del 1345.
155
Thomas Szabó
medesimi anni, più precisamente nel 1218, viene aperta pure una via
nova de Placza 33, nel 1252 una via nova de Casellino 34, nel 1255 una
«via nova que de novo mitti debet per ipsum Cafadium venendo a
porta de Balla recta linea» 35 e nel 1279 si apre la odierna via Santa
Monaca 36.
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Genesi e sviluppo della viabilità urbana
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Thomas Szabó
del 1140-80 sanciva che le vie circolari interne alle mura misurasse-
ro 12 piedi (quasi 6 metri) 48. All’interno di Bologna una via costruita
Firenze nel 1279 si determinava la futura via Santa Monaca, che do-
veva essere larga 12 braccia 51. Stando a questi esempi — la cui serie
zionale (Bologna 5-7 settembre 2001), a cura di F. Bocchi - R. Smurra, Roma 2003,
p. 426.
45 Ivi.
46 J. Heers, Espaces publics, espaces privés dans la ville. Le liber terminorum de
Bologne (1294), Paris 1984 (Cultures et civilisations médiévales, III); cfr. anche M.
Venticelli, I Libri terminorum bolognesi, cit., p. 228sgg.
47 A.I. Pini, Le ripartizioni territoriali urbane di Bologna medievale. Quartiere,
contrada, borgo, morello e quartirolo, Bologna 1977 (Quaderni Culturali Bolognesi,
1), p. 12: « Nel 1245 il comune di Bologna decise di uniformare le strade di circon-
vallazione all’interno e all’esterno della seconda cerchia di mura, facendo in modo
che le prime non fossero minori di 8 piedi (m. 3,04) e le altre di 10 piedi (m. 3,80).
In tale occasione furono posti anche dei picchetti (termini) per delimitare il suolo
pubblico».
48 Cfr. sopra, nota 20.
49 Heers, Espaces, cit., p. 83.
50 F. Bocchi, Federico II e la cultura urbanistica, cit., p. 491.
51 F. Sznura, L’espansione urbana, cit., p. 125, nota 113.
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Genesi e sviluppo della viabilità urbana
notizia viene confermata anche dai Libri della Biccherna, nei quali si
cominciano a rammentare i lastricati dagli anni 1247. Dal Costituto
del 1262 si apprende che le strate — come recita il testo latino — di
Siena erano ormai tutte siliciate, ma talune delle vie che sboccavano
nelle strade non erano ancora dotate di un lastrico, «ita quod sucçu-
ra et lutus ipsarum viarum redeunt in stratas». Perciò si ordinò che a
partire dal gennaio successivo venissero lastricate anch’esse 54.
159
Thomas Szabó
non meglio precisata 55. Anche Giovanni Villani rammenta, come ab-
biamo visto, l’uso del mattone 56, tuttavia sappiamo che nella città del
Dallo Statuto dei Viarii di Siena degli anni ’90 del secolo XIII
si apprende che la via ripida diretta alla Fonte Branda era lastrica-
ta di silice. A causa delle frequenti cadute degli animali sul lastrico
nel 1294 si ordinava di rimuovere il lastricato di silice e di sostituir-
lo con i mattoni 60.
Una riforma pistoiese degli anni ’30 del secolo XIV lascia al
miles potestatis — responsabile per le strade — la decisione se ado-
perare lapidi o mattoni per la riparazione dei lastrici della città 61.
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Genesi e sviluppo della viabilità urbana
A Pistoia negli anni ’30 del secolo XIV si precisa che i confi-
nanti erano tenuti a lastricare il pezzo di strada di fronte alla loro
casa, fino alla metà della strada 65. E anche a Firenze si seguiva que-
della già menzionata via Santa Monaca di Firenze nel 1279 si ordi-
na di preparare la strada su tutta la sua lunghezza in modo tale che
«pendeat propter cursum aque» 69. Il testé menzionato Opicino de
64 Ivi, II. 44; Archivio di Stato di Arezzo, Statuti, 1 (1342), II. 41; Statuti, 2
(1345), II. 39.
65 Archivio di Stato di Pistoia, Comune di Pistoia, Raccolte, 5, f. 100v.
66 Cfr. il caso del Mercato Vecchio, R. Davidsohn, Geschichte von Florenz, 4:
Die Frühzeit der Florentiner Kultur, 3: Kirchliches und geistiges Leben, Kunst, öffent-
liches und häusliches Dasein, Berlin 1927, p. 252.
67 Anonymus Ticinensis, Liber de laudibus civitatis Ticinensis, I, a cura di R.
Maiocchi - F. Quintavalle, Città di Castello 1903 (Rerum Italicarum Scriptores.
Raccolta degli storici italiani dal Cinquecento al Millecinquecento ordinata da L.A.
Muratori, XI, 1), p. 18. 5-6.
68 I Brevi del Comune e del Popolo di Pisa dell’anno 1287, cit., p. 411 ( =
Statuti inediti della città di Pisa, cit., IV, 1, pp. 467-469).
69 F. Sznura, L’espansione urbana, cit., p. 126, nota 113.
70 Cfr. sotto, nota 87.
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Thomas Szabó
colazione di carri non ferrati causava tanti danni che nel 1313 si vietò
persino ai carri vuoti di attraversare i ponti sull’Arno 72. Tale divie-
71 I Brevi del Comune e del Popolo di Pisa dell’anno 1287, cit., p. 274 (= Statuti
inediti della città di Pisa, cit., I. 170, p. 317).
72 Statuti inediti delle città di Pisa dal XII al XIV secolo, cit., II, s. I. 222, p.
238.
73 Ivi, p. 239, riforma del 1337.
74 Statuti della Repubblica Fiorentina, I, Statuto del Capitano del Popolo degli
anni 1322-1325, a cura di R. Caggese, Firenze 1910, V. 22, p. 236.
162
Genesi e sviluppo della viabilità urbana
stra questo capitolo del Consitutum usus pisano, per risolvere in città
— tra l’altro — anche problemi di viabilità.
Pure a Firenze il Comune ricorreva al diritto romano per risol-
vere i problemi relativi alla viabilità, come documenta il De regimine
principum composto da Giovanni di Viterbo — probabilmente tra
gli anni 1215-1216 78 — in un periodo in cui era membro della fa-
75 I Costituti della Legge e dell’Uso di Pisa (sec. XII). Edizione critica integrale
del testo tràdito del “Codice Yale” (ms. Beinecke Library 415). Studio introduttivo e
testo, con appendici, a cura di P. Vignoli, Roma 2003 (Fonti per la storia dell’Italia
medievale, Antiquitates, 23), xliii (= xliiii), p. 287.
76 Dig., 43.8.2.20.
77 I Costituti della Legge e dell’Uso, cit., p. 287.
78 A. Zorzi, Giovanni da Viterbo, in Dizionario biografico degli italiani, LVI,
Roma 2001, p. 268.
79 Iohannis Viterbiensis Liber de regimine civitatum, prodit curante C.
Salvemini, in Scripta anecdota glossatorum vel glossatorum aetate composita, prodeunt
curantibus I.B. Palmerio, F. Schupfer, H. Solmio, C. Salvemini, C. Cicognario,
H. Besta, A. Palmerio, Bononiae 1901 (Biblioteca juridica Medii Aevi, ed. A.
Gaudentius, 3), pp. 215-280.
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Thomas Szabó
l’autorità pubblica alla tutela delle vie 80, fornendo così al Podestà un
Laudes Veronensis civitatis dagli anni ’90 parlano con un tono ana-
logo del «Foro lato spazioso sternuto lapidibus» e di «plateae mire
sternutae de sectis silicibus» 84. Si potrebbe anche aggiungere che nel
80 Dig., 9.3.1.
81 Statuti di Bologna dall’anno 1245 all’anno 1267, a cura di L. Frati, in
«Monumenti storici pertinenti alle Provincie della Romagna», Bologna 1869-1880,
II (1876), p. 617.
82 Cfr. C., 1.2.7 e C., 11.75.4.
83 Laudes Mediolanensis civitatis (Versum de Mediolano civitate), in Poetae
Latini aevi carolini, I, rec. E. Duemmler, Berolini 1881 (Monumenta Germaniae
Historica, Antiquitates, I), pp. 24-26: 25.6.
84 Laudes Veronensis civitatis (Versus de Verona), ibidem, pp. 119-122, ibidem,
p. 120, 4.
85 Capitularia regum Francorum, I, ed. A. Boretius et V. Krause, Hannover
1883 (Monumenta Germaniae Historica, Legum sectio, II), c. 3, n. 105: Capitula
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Genesi e sviluppo della viabilità urbana
civitatis Ticinensis che nel febbraio del 1902 vide con i propri occhi i
condotti di scarico scavati di queste dimensioni.
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Sabato 12 maggio, pomeriggio
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Giovanna Petti Balbi
Franco Franceschi
I paesaggi della produzione
della prima metà del XII secolo, al-Zuhrî, Pisa «è più importante di
Genova» e i Pisani, oltre che bravissimi combattenti, «ingegnosi ma-
rinai» e «mercanti, di terra e di mare», sono «tra i migliori costruttori
di mangani, torri e strumenti di fortificazioni. [...] Abbondano in le-
gno da costruzione ma lavorano anche il ferro, di cui fanno ogni sorta
di equipaggiamento di qualità» 2. All’incirca negli stessi anni Lucca
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Franco Franceschi
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I paesaggi della produzione
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I paesaggi della produzione
secoli XII-XV, Decimo Convegno internazionale del Centro italiano di studi di sto-
ria e d’arte (Pistoia, 9-13.X.1981), Pistoia 1984, pp. 1-26: p. 17. Ma cfr. anche D.
Degrassi, L’economia artigiana nell’Italia medievale, Roma 1996, pp. 66-67.
10 F. Redi, Le strutture produttive e di distribuzione nell’edilizia e nel tessuto
urbano di Pisa medievale: fonti documentarie, iconografiche, materiali, in Mercati e
consumi: organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal XII al XX secolo,
I Convegno Nazionale di Storia del Commercio in Italia (Reggio Emilia-Modena, 6-
9.VI.1984), Bologna 1986, pp. 647-670: p. 648.
11 Ivi, p. 647.
12 Cfr. P. Racine, Il paesaggio urbano di Piacenza nel Medioevo (sec. X-XIII),
«Archivio storico per le province parmensi», ser. IV, XXXIII (1981), pp. 227-241:
p. 236 e nota 39.
13 Cfr. Degrassi, L’economia artigiana, cit., pp. 65-66; L. Gai, Artigiani e ar-
tisti nella società pistoiese del Basso Medioevo. Spunti per una ricerca, in Artigiani e
salariati, cit., pp. 225-292: p. 272; Redi, Le strutture produttive, cit., pp. 647-648;
Sznura, L’espansione urbana di Firenze, cit., pp. 36-37.
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Franco Franceschi
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I paesaggi della produzione
simile. Gabriella Garzella ha notato che nella seconda metà del XII
secolo prese corpo in taluni settori cittadini — segno eloquente delle
trasformazioni economiche, ma forse anche di un qualche mutamen-
to di sensibilità — una micro-toponomastica che poneva «in primo
20 Cfr. Degrassi, L’economia artigiana, cit., pp. 65-66; F. Bocchi, Storia urbani-
stica e genesi del portico a Bologna, in I portici di Bologna e l’edilizia civile medievale,
Casalecchio di Reno (Bologna) 1990, pp. 65-87: p. 79.
21 Ivi, nota 29, p. 87.
22 Cfr. Grossi Bianchi - Poleggi, Una città portuale, cit., pp. 32, 71, 75-76,
229; R. Greci, Forme di organizzazione del lavoro nelle città italiane tra età comunale
e signorile, ora in Id., Corporazioni e mondo del lavoro nell’Italia padana medievale,
Bologna 1988, pp. 129-155: p. 140.
23 Anonimo Genovese, Poesie, a cura di L. Cocito, Roma 1974, p. 564.
24 G. Petti Balbi, Simon Boccanegra e la Genova del ’300, Genova 1991, p.
240.
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Franco Franceschi
piano l’uomo con le sue attività» 25, mentre Enrica Salvatori ha sot-
Per Bologna, invece, Antonio Ivan Pini ha concluso che «non esiste-
va alcun concentramento artigiano dovuto alla semplice volontà di
singoli artieri di tenersi l’un l’altro vicini per reciproco aiuto o per
reciproco controllo, ma soltanto un concentramento molto relativo
dettato da motivi tecnico-produttivi, come può essere, ad esempio,
la presenza di un corso d’acqua indispensabile per la lavorazione del-
le pelli (cartolai, conciatori, callegari), dei tessili (lanaioli e linaioli),
del ferro (fabbri, armaioli, spadai). Il concentramento del luogo di
lavoro (ma non d’abitazione!) dei beccai, dei pescatori e dei cambia-
tori è dovuto [...] più ad esigenze di controllo igienico-sanitario e di
facilità di esazione fiscale che a volontà di razionalizzazione urbani-
stica o di controllo politico da parte della pubblica autorità» 27.
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I paesaggi della produzione
sto senso viene dalla situazione di Pistoia, studiata da Lucia Gai. Qui
nel corso del Duecento gli artifices si distribuivano sia nell’area cor-
rispondente alla superficie racchiusa dalla prima cerchia di mura,
sia in quella compresa entro la seconda cinta «senza criteri selettivi
[...] se si eccettuano le attività connesse in particolare all’utilizzo dei
corsi d’acqua». Il quadro iniziò però a modificarsi nei primi decen-
ni del Trecento, a causa della tendenza delle famiglie più eminenti a
stabilirsi intorno alla piazza principale, nel centro politico e religioso
della città: in questo settore urbano si concentrarono allora i titolari
delle professioni più prestigiose (mercanti di panni di lusso, lanaioli,
speziali, orafi, notai), mentre i mestieri più propriamente artigiana-
li cominciarono ad addensarsi fra la prima e la seconda cerchia per
espandersi, già a partire dalla metà del XIV secolo, lungo le princi-
pali via di accesso alla città, nella zona racchiusa dalle ultime mura
comunali 29.
28 A. Degrandi, Artigiani nel Vercellese dei secoli XII e XIII, Pisa 1996, pp.
130-132.
29 Gai, Artigiani e artisti nella società pistoiese, cit., pp. 269-271, citazione a
p. 269.
30 Degrassi, L’economia artigiana, cit., pp. 170-176.
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ni statutarie, era piena di fornaci 39. Ancora nella Milano del primo
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sai, i cui laboratori si addensavano «in Burgo inter duos fontes» e nel
«Burgus bicherarie» 47, gestivano in proprio l’approvvigionamento
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condo una fonte pubblica, nel 1338 le persone che vivevano grazie
alla lavorazione dei fustagni erano innumerabiles 54. La manifattura,
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famiglia con corposi interessi nel settore tessile 62, a costruire a loro
spese una «fovea sive fongna [...] subtus terram» lungo tutto questo
percorso 63.
Guidalotti posti nell’attuale via dei Servi, uno dei quali sistemato in
un giardino, furono fatti abbattere per ritorsione dal governo ghi-
bellino dopo il 1260; gli impianti facevano parte di un insieme di
ventotto fabbricati, tutti distrutti, comprendenti anche tre tintorie,
una fornace, locali adibiti a depositi di legna da ardere e fondaci 66:
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presso Santa Croce, all’inizio del Corso dei Tintori 69, ma anche sui
terreni dell’ordine degli Umiliati, che nel 1250 si era stanziato nel
settore occidentale della città, alla confluenza fra l’Arno e il torrente
Mugnone, avviandovi un’attività tessile di cui purtroppo ignoriamo
quasi tutto 70.
titolo di uno studio di Anna Benvenuti 73. Gli Umiliati, del resto, non
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I paesaggi della produzione
mulini del Comune di Firenze. Uso e gestione nella città trecentesca, in La città e il
fiume (secoli XIII-XIX), a cura di C.M. Travaglini, Roma 2008, pp. 61-79: pp. 61-
68 e relative note.
85 Chiappa Mauri, I mulini ad acqua nel Milanese, cit., in particolare pp.
69-83.
86 Bortolami, Acque, mulini e folloni, cit., pp. 287-292.
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I paesaggi della produzione
toi da seta attestati negli anni Trenta del Trecento a Lucca, Bologna
e Venezia 93, del «casalinum cum gualcheriis ad gualcandum pestum
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Comuni marchigiani come Jesi e San Severino alla fine del secolo 99.
All’acquisizione dei mulini non risulta invece essere stato mai inte-
ressato il Comune di Verona, né quello di Padova, che preferì farsi
direttamente promotore della costruzione di nuove macine a parti-
re dal 1217, mentre a Pistoia il governo cittadino acquistò alla fine
del XIII secolo diritti di derivazione di acque ed opifici idraulici da
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I paesaggi della produzione
privati 100.
una sostanza necessaria alla concia delle pelli. Da fonti senesi, inve-
ce, sappiamo che all’inizio del Trecento le Corporazioni dei Cuoiai
e dei Calzolai possedevano fuori dalle mura della città toscana alcu-
ne piscine destinate alla lavorazione e al lavaggio dei loro prodotti, e
lo stesso valeva per l’Arte della Lana, che aveva fatto edificare anche
un certo numero di tiratoi 104. Un’altra Corporazione laniera, quella
di Firenze, aveva previsto già nel suo primo statuto la costruzione del
cosiddetto Fondaco del guado, un magazzino deputato allo stoccag-
gio delle materie tintorie che venne effettivamente realizzato verso la
fine degli anni Trenta del Trecento 105.
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Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Giovanna Petti Balbi
Roberto Greci
Luoghi ed edifici di mercato
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Roberto Greci
propensione che, proprio sul fronte della storia urbana, è stata am-
piamente discussa e criticata dagli studiosi 3. Eppure non possiamo
certo dire che sia superata l’idea pirenniana che «la ville était avant
tout un concept économique» 4. Non citerò le varie posizioni di
2 In qualche misura già preannunciata nel saggio L’origine des constitutions ur-
baines au Moyen Age, «Revue historique», LIII (1893), pp. 52-83 e circolante poi in
tutti i suoi scritti di storia urbana, raccolti nei tre volumi Les villes et les institutions
urbaines, Bruxelles-Paris 1939.
3 Per questo basti rinviare alle riflessioni di Jan Dhondt, Henri Pirenne:
historien des institutions urbaines, «Annali della Fondazione italiana per la Storia
amministrativa», III, 1 (1966), pp. 81-129, riprese poi da Ovidio Capitani nell’intro-
duzione a Pirenne, Le città, cit., pp. XVII-XVII.
4 F.L. Ganshof invitava a prenderne decisamente atto; cfr. la discussione intrat-
tenuta dal discepolo di Pirenne con Dupré-Theseider in La città nell’Alto Medioevo,
Spoleto 1959, p. 224. Un riduzionismo avversato da Mumford, che — quasi capo-
volgendo la tesi pirenniana, ma comunque ribadendo il nesso inscindibile tra città
e mercato all’interno della relazione fondamentale tra campagna e città — ebbe a
sostenere che la città è elemento genetico del mercato e non viceversa: «fu la rina-
scita della città murata che permise la riapertura delle rotte commerciali nazionali e
internazionali e che determinò la circolazione attraverso l’Europa dei beni in ecce-
denza…»: vd. L. Mumford, La città nella storia, trad.it., Milano 1963, p. 329.
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Luoghi ed edifici di mercato
5 A.I. Pini, La città medievale, in Città, comuni e corporazioni nel medioevo ita-
liano, Bologna 1986, p. 17: «Il terzo elemento [dopo mura e vescovo] che caratterizza
la città medievale, è un’attività economica, sia artigianale sia e soprattutto commer-
ciale, molto più pronunciata di quanto avvenisse nella città romana.»
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Roberto Greci
e prelievi esercitati anche nel luogo per eccellenza del mercato gior-
naliero, dislocato — nelle città italiane di ascendenza romana — nel
centrale spazio del foro, dove infatti si ritrovano torri con nomi di
ascendenza germanica erette per esercitare un diritto-dovere colle-
gato al luogo di mercato: quello di proteggere gli scambi (più avanti
6 Sulla scia di E. Ennen, Les différents types de formation des villes européen-
nes, «Le Moyen Age», LXII (1956), pp. 397-411.
7 Nel rispetto dell’idea volpiana che «tante città, altrettanti procedimenti di-
versi nella formazione del capitale, altrettanto diverse dosi nella quantità dei vari
elementi che vi concorsero, terra, industria, commercio del denaro o dei manufatti»
perché «il problema delle origini del moderno capitalismo non è suscettibile di una
soluzione unica»; cfr. G. Volpe, Medioevo italiano, Firenze 1961, p. 264.
8 C.G. Mor, Topografia giuridica: stato giuridico delle diverse zone urbane, in
Topografia urbana e vita cittadina nell’alto medioevo in Occidente, XXI Settimana
di Studio del Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1974, I, pp.
333-350.
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tuti del 1253: il primo era riservato alle merci trasportate via terra e
soprattutto ai generi annonari, nella fattispecie i cereali, frutta, ver-
dura, pollame, selvaggina, formaggi, generi solitamente trasportati e
venduti in città dai rustici; il secondo, quello del Borgo appunto, era
destinato invece alle merci “navigate”, cioè trasportate per via d’ac-
qua. L’area del Borgo era — o divenne — anche il luogo deputato
alle fiere periodiche, volute dal comune poco prima del 1184 («mer-
cato noviter constituto, videlicet in festivitate S. Michaelis»), i cui
ufficiali (che a metà Duecento saranno 2, tratti significativamente e
con logica tutta politico-istituzionale dal ceto dei milites e dal ceto
del populus) dovevano assegnare nell’occasione stationes e tabernae
rispettando un ordine di precedenza comunque detto, significati-
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18 Ivi, p. 532.
19 M. Montanari, Le piazze, i portici: un mito cittadino, in Imola, il comune, le
piazze, a cura di M. Montanari - T. Lazzari, Imola 2003, pp. 11-25.
20 Il «Regestum possessionum comunis Vincencie» del 1262, a cura di N.
Carlotto - G.M. Varanini, Roma 2006.
21 J. Heers, Espaces publics, espaces privés dans la ville: le liber terminorum de
Bologne (1294), Paris 1984.
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22 Cfr. Greci, Luoghi di fiera, cit., pp. 959-60; cfr. Anonymi Ticinensis, Liber de
laudibus civitatis Ticinensis, a cura di R. Maiocchi - F. Quintavalle, Città di Castello
1903 (Rerum Italicarum Scriptores, Raccolta degli storici italiani dal Cinquecento
al Millecinquecento ordinata da L.A. Muratori, XI/I), pp. 18-19, 26, 28, 44, 48-49 e
F. Gianani, Opicino de Canistris, l’Anonimo Ticinese: Cod. Vaticano palatino latino
1993, Pavia 1927, p. 117. Più in generale, vd. D. Vicini, Lineamenti urbanistici dal
XII secolo all’età sforzesca, in Storia di Pavia, III, Pavia 1996, pp. 9-81.
23 La consuetudine è documentata da un contratto del 1276; cfr. R. Soriga,
Sulle corporazioni artigiane in Pavia nell’età comunale, «Bollettino della Società
Pavese di Storia Patria», 15 (1915), pp. 91-93.
24 Vd. R. Crotti, Economia e strutture corporative tra medioevo ed età moder-
na. Il caso pavese, Milano 2005, p. 58.
25 Storia di Brescia, Brescia 1961, I, p. 277 e III, p. 1075sgg.
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26 M. Vaini, Dal comune alla signoria. Mantova dal 1200 al 1328, Milano 1986,
pp. 22sgg.
27 Per Bologna, vd. A.I. Pini, Le piazze medievali di Bologna, «Annali di archi-
tettura», 4-5 (1992-93), pp. 122-133; F. Bocchi, Bologna nei secoli IV-XIV. Mille anni
di storia urbanistica di una metropoli medievale, Bologna 2008; per Milano, vd. P.
Grillo, Milano in età comunale (1183-1276). Istituzioni, società, economia, Spoleto
2001, cap. IV, p. 177sgg.; per Siena, vd. D. Balestracci, Approvvigionamento e di-
stribuzione dei prodotti alimentari a Siena nell’epoca comunale. Mulini, mercati e
botteghe, «Archeologia medievale», VIII (1981), pp. 127-154; per Roma, vd. I. Ait,
Il commercio delle derrate alimentari a Roma, ivi, pp. 155-172.
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tenevano nei pressi della chiesa civica di San Sisto, un’area per tra-
dizione deputata ad ospitare le sedi del potere pubblico in città. Il
Comune, d’altronde, garantiva anche la percorribilità del pons Sarni
sul quale sorgevano alcune botteghe concesse dai consoli cittadini ai
fiorentini dimoranti in Pisa assieme ad una domus, appositamente ri-
servata a questa presenza mercantile forestiera, ubicata nella zona
mercantile di Foriporta (1171).
La pluralità di punti di riferimento, di soggetti, di poteri gra-
vitanti sulle aree di mercato, ancora presenti in piena età comunale
lascia dunque spazio ad una decisa e inequivoca iniziativa pubblica.
Mi soffermo ora anche sul caso di Torino, che mi pare degno
di nota perché solitamente poco considerato. Siamo alla presenza, in
questo caso, di una città che, in età medievale, appare ancora limi-
tatamente sviluppata dal punto di vista produttivo e commerciale e,
quindi, potenzialmente diversa dai molti altri centri centro-settentrio-
nali più precocemente e più celermente tese allo sviluppo economico
e demografico. Eppure anche in questo caso abbiamo tracce di si-
tuazioni tutto sommato sintoniche rispetto al quadro generale. Se
è vero che, come suggerisce Settia, le «presunzioni di continuità,
proposte in passato con eccessiva disinvoltura, devono essere […]
sempre accolte con somma cautela sia per le strutture materiali sia,
a maggior ragione, per i fatti istituzionali» 29, anche qui riscontriamo
29 Per Torino, vd. A.A. Settia, Fisionomia urbanistica e inserimento nel territo-
rio (secoli XI-XII), in Storia di Torino, I, Dalla preistoria al comune medievale, a cura
di G. Sergi, Torino 1997, pp. 799sgg.; R. Bordone, Vita economica del Duecento, ivi,
pp. 759sgg.; M.T. Bonardi, L’organizzazione degli spazi urbani, in Storia di Torino,
II, Il basso medioevo e la prima età moderna (1280-1536), a cura di R. Comba, Torino
1997, pp. 7-21.
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nel 1217, si arrivò ad una sentenza per risolvere la lite intercorsa tra
canonica dei decumani e comune per la gestione dei banchi situati
presso la canonica e sul mercato appresso. Infatti questi banchi era-
no collocati, a detta del comune, supra commune, per cui il comune
esigeva affitti o imponeva rimozioni 35. La sentenza fu favorevole alla
35 Greci, Luoghi di fiera, cit., p. 960; cfr. Gli atti del Comune di Milano nel se-
colo XIII, a cura di M.F. Baroni, Milano 1976, pp. 12-14.
36 Vd. G. La Ferla, Parma nei secoli IX e X: “civitas” e “suburbium”, «Storia
della città», 18 (1981), pp. 5-32, a p. 9.
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Luoghi ed edifici di mercato
Per concludere va detto che senza dubbio l’età comunale tra XII e
XIII secolo ha mostrato razionalità e progettualità, spinta soprattut-
to dal bisogno di controllare generi alimentari e procacciarsi introiti
fiscali derivanti dal commercio. Ma va detto anche che tale iter non
fu sovvertitore, rapido, immediato, intimamente connesso, com’è,
alla storia culturale e giuridica, nonché alla costante e progressiva
crescita, del generale fenomeno urbano e che le eventuali anomalie
del quadro possono forse contribuire a segnalare specificità non ir-
rilevanti nello sviluppo economico-sociale, ma anche politico, delle
singole città.
215
Domenica 13 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Giuliano Pinto
Andrea Zorzi
La costruzione della città giudiziaria
1. Introduzione
Quando gli organizzatori di questo convegno mi hanno chiesto
di affrontare il tema del rapporto tra la città materiale e l’esercizio
della giustizia, mi è parso che un’analisi limitata ai soli “luoghi” del-
la giustizia potesse correre il rischio di richiamare alla mente quella
città «teatro dei supplizi» che è stata celebrata da storici dell’archi-
tettura come Lionello Puppi, ma che è una prospettiva d’indagine
che si limita ai soli aspetti repressivi dell’azione giudiziaria 1. Più ap-
1 Cfr. L. Puppi, Lo splendore dei supplizi: liturgia delle esecuzioni capitali e ico-
nografia del martirio nell’arte europea dal XII al XIV secolo, Milano 1990 .
217
Andrea Zorzi
2 Alcuni di questi aspetti sono affrontati in altri testi raccolti in questo volu-
me, in particolare in quello di Roberta Mucciarelli, cui rinvio per una trattazione
sistematica.
3 Sul quale cfr. alcuni testi nel presente volume, in particolare quelli di Italo
Moretti ed Elisabeth Crouzet-Pavan. Si vedano anche le recenti raccolte Pouvoir
et édilité. Les grands chantiers dans l’Italie communale et seigneuriale, a cura di E.
Crouzet-Pavan, Rome 2003; e Les palais dans la ville. Espaces urbains et lieux de
la puissance publique dans la Méditerranée médiévale, a cura di P. Boucheron - J.
Chiffoleau, Lyon 2004.
218
La costruzione della città giudiziaria
edifici privati. Per distinguerle le une dalle altre entrò in uso se-
gnalarle esternamente con emblemi araldici, in genere di animali: a
Firenze, per esempio, le curie civili dei primi decenni del Duecento si
riconoscevano per le immagini del leone, del cavallo, dell’aquila, del-
la rosa, etc. 4. Dai decenni centrali del secolo, con l’edificazione dei
Per questa via, i tribunali trovarono una sede stabile quasi sem-
pre nel cuore della città, quando cominciarono a essere costruiti
appositi edifici. A questa polarità, sede del giudizio e della pubblica
lettura della sentenza, facevano da contraltare — come vedremo nel
paragrafo successivo — i luoghi di esecuzione delle condanne. Gli
esempi di costruzione di palazzi del podestà e degli altri ufficiali giu-
diziari possono essere molteplici. Mi limiterò a qualche caso.
Uno dei più precoci è quello della costruzione iniziata negli anni
1200-1203 del palazzo del podestà a Bologna, contemporaneamen-
te alla creazione della piazza Maggiore attraverso espropri di case ed
edifici religiosi. Al 1244-1246 risale invece l’erezione degli adiacenti
palazzo “nuovo”, destinato a ospitare altri uffici del comune (ma poi
adibito a “residenza” di re Enzo di Sardegna, figlio di Federico II,
fatto prigioniero nella battaglia di Fossalta del 1249, da cui poi prese
il nome di palazzo di Re Enzo), e del palazzo del capitano del popo-
lo, l’altro rettore giudiziario 6.
4 Cfr. R. Davidsohn, Storia di Firenze, 8 voll., Firenze 1973, vol. IV, p. 465, e
vol. V, pp. 142, 151, 156-157, 484-486 e 576.
5 Su questo punto, cfr. J. Le Goff, L’immaginario urbano nell’Italia medieva-
le (secoli V-XV), in Storia d’Italia. Annali. 5: Il paesaggio, Torino 1982, pp. 3-43; e
D’une ville à l’autre. Structures matérielles et organisation de l’espace dans les villes
européennes (XIIIe-XVIe siècle), a cura di J.-C. Maire Vigueur, Rome 1989.
6 Cfr. G. Zucchini, Il palazzo del podestà di Bologna. Nuovi documenti e note,
Bologna 1912; P. Foschi, I palazzi del podestà, di re Enzo e del capitano del popolo:
problemi e proposte di interpretazione, «Il carrobbio», 24 (1998), pp. 13-42; Ead.,
219
Andrea Zorzi
I palazzi del comune di Bologna nel Duecento, in Bologna re Enzo e il suo mito, a
cura di A.I. Pini - A.L. Trombetti Budriesi, Bologna 2001, pp. 65-102; e Ead. - F.
Giordano, Palazzo di re Enzo. Storia e restauri, Bologna 2003.
7 Cfr. P. Gazzola, Il palazzo del podestà a Mantova, Mantova 1973.
8 Cfr. G. Fabris, Il palazzo del podestà e quello degli anziani in una guida tre-
centesca di Padova, in Id., Scritti di arte e storia padovana, Padova 1977, pp. 23-36;
C.G. Mor, Il palazzo della Ragione nella vita di Padova, in Il palazzo della Ragione, a
cura di Id., Venezia 1953, pp. 1-20; e E. Frojmovič, Giotto’s allegories of justice and
the commune in the palazzo della Ragione in Padua: a reconstruction, «Journal of the
Warburg and Courtauld Institutes», 59 (1996), in particolare le pp. 24-26.
9 Sul palazzo del podestà cfr. le notizie ancora valide di G.B. Uccelli, Il pa-
lazzo del podestà. Illustrazione storica, Firenze 1865, in particolare alle pp. 25-90 e
128-210.
220
La costruzione della città giudiziaria
palazzo dei priori, nei primi decenni del Trecento vennero innalzati
anche i palazzi degli altri due principali rettori giudiziari, il capi-
tano del popolo e l’esecutore degli Ordinamenti di giustizia, l’uno
accanto all’altro tra la piazza e la via che scendeva all’attuale piaz-
za S. Firenze 11.
10 Sul palazzo dei priori, cfr. ora N. Rubinstein, The Palazzo Vecchio 1298-
1532. Government, architecture, and imagery in the civic palace of the Florentine
republic, Oxford 1995.
11 Cfr. ivi, pp. 87-88; e le notizie in Davidsohn, Storia di Firenze, cit., vol. IV,
p. 465, e vol. V, pp. 156-157, 161 e 576.
12 Cfr. G. Ceci - U. Bartolini, Piazze e palazzi comunali di Todi, Todi 1979.
13 Cfr. G. Geltner, The medieval prison. A social history, Princeton 2008 (per
una ricognizione degli studi precedenti, cfr. ivi, pp. 3-10).
221
Andrea Zorzi
14 Cfr. Uccelli, Il palazzo del podestà, cit., pp. 142-159; e Davidsohn, Storia di
Firenze, cit., vol. I, pp. 983-984, vol. III, pp. 247, 648-649; vol. V, pp. 615-627.
15 Cfr., rispettivamente, M. Bassett, Newgate Prison in the middle ages,
«Speculum», 18 (1943), pp. 233-246; Ead., The Fleet Prison in the middle ages,
«University of Toronto law journal», 5 (1944), pp. 383-402; e Ch.A. Desmaze, Le
Chatelet, son organisation, ses privilèges, Paris, 1863; C. Gauvard - M.A. Rouse -
R.H. Rouse - A. Soman, Le Châtelet de Paris au début du XVe siècle, d’après les
fragments d’un registre d’écrous de 1412, «Bibliothèque de l’Ecole des Chartes», 157
(1999), pp. 565-606.
16 Cfr. P.I. Fraticelli, Delle antiche carceri di Firenze denominate Le Stinche,
ora demolite e degli edifizi in quel luogo eretti l’anno 1834. Illustrazione storica,
Firenze 1834; F. Becchi, Sulle Stinche di Firenze e su’ nuovi edifizi eretti in quel
luogo, Firenze 1839; M. Wolfgang, A Florentine prison. Le carceri delle Stinche,
«Studies in the Renaissance», VII (1960), pp. 148-166; G. Magherini - V. Biotti,
L’Isola delle Stinche e i percorsi della follia a Firenze nei secoli XIV-XVIII, Firenze
1992; H. Manikowska, The Florentine communal prison - le Stinche - in the four-
teenth century, «Acta Poloniae Historica», LXXI (1995), pp. 133-160; G. Geltner,
Isola non isolata. Le Stinche in the middle ages, «Annali di Storia di Firenze», III
(2008), pp. 7-28; Id., The medieval prison, cit., pp. 17-21 e passim.
17 Per una ricostruzione grafica, cfr. ora ivi, pp. 122-124.
222
La costruzione della città giudiziaria
Il carcere (poi distrutto all’inizio del secolo XIX) appare anche nel-
l’affresco della cappella di San Luca nella basilica del Santo 20. Anche
223
Andrea Zorzi
del Duecento, della Predacolaria nel 1318 intorno alla torre del-
l’Arengo, di alcune celle nel palazzo della Biava, nucleo del Palazzo
pubblico, nel 1326, e infine delle carceri del Torrone, la torre nord
occidentale del Palazzo pubblico nel 1352 23.
23 Cfr. Zucchini, Il palazzo del podestà di Bologna, cit., pp. 51-52; Foschi, I pa-
lazzi del podestà, di re Enzo e del capitano del popolo, cit., pp. 13-17; e ora Geltner,
The medieval prison, cit., pp. 21-27.
24 Cfr. Ch. Wickham, Legge, pratiche e conflitti. La risoluzione delle dispute
nella Toscana del XII secolo, Roma 2000; J.-C. Maire Vigueur, Cavaliers et citoyens.
Guerre, conflits et société dans l’Italie communale, XIIe-XIIIe siècles, Paris 2003, in
particolare le pp. 307-335; e A. Zorzi, La cultura della vendetta nel conflitto po-
litico in età comunale, in Le storie e la memoria. In onore di Arnold Esch, a cura
di R. Delle Donne - A. Zorzi, Firenze 2002, pp. 135-170; Id., Pluralismo giudi-
ziario e documentazione. Il caso di Firenze in età comunale, in Pratiques sociales et
politiques judiciaires dans les villes de l’Occident à la fin du Moyen Age, a cura di J.
Chiffoleau - C. Gauvard - A. Zorzi, Rome 2007, pp. 125-187; Id., La faida Cerchi-
Donati [1995], in Id., La trasformazione di un quadro politico. Ricerche su politica e
giustizia a Firenze dal comune allo Stato territoriale, Firenze 2008, pp. 95-120; e Id.,
“Fracta est civitas magna in tres partes”. Conflitto e costituzione nell’Italia comunale,
«Scienza e politica. Per una storia delle dottrine politiche», 39 (2008), pp. 61-87.
25 Cfr. Statuta communis Parmae digesta anno MCCLV, a cura di A. Ronchini,
Parma 1856, p. 280.
224
La costruzione della città giudiziaria
di Oddo Arrighi dei Fifanti 29: all’offesa fisica aggiunse cioè una pro-
225
Andrea Zorzi
30 «Sì che lla mattina della passqua di Risorexio, appiè di Marzo, in capo del
Ponte Vecchio, messer Bondelmonte cavalcando a palafreno in giubba di sendado
e in mantello con una ghirlanda in testa, messer Ischiatta delli Uberti li corse ados-
so e dielli d’una maçça in sulla tessta e miselo a terra del cavallo, e tantosto messer
Odd’Arrighi con un coltello li seghò le vene, e lasciarlo morto. E questa possta fue
fatta in casa gli Amidei. Allora lo romore fue grande; e fue messo in una bara, e la
molgle istava nella bara e tenea il capo in grembo for[te]mente piangendo; e per tut-
ta Firenze in questo modo il portarono»: Cronica fiorentina, cit., pp. 118-119.
31 Paolino Pieri, Cronica delle cose d’Italia dall’anno 1080 all’anno 1305, a
cura di A.F. Adami, Roma 1755, p. 33.
32 Donato Velluti, La cronica domestica, a cura di I. Del Lungo - G. Volpi,
Firenze 1914, p. 11.
33 Cfr. M. Sbriccoli, «Vidi communiter observari». L’emersione di un ordine
penale pubblico nelle città italiane del secolo XIII, «Quaderni fiorentini per la sto-
ria del pensiero giuridico moderno», 27, 1998, pp. 231-268; A. Zorzi, Negoziazione
penale, legittimazione giuridica e poteri urbani nell’Italia comunale, in Criminalità
e giustizia in Germania e in Italia. Pratiche giudiziarie e linguaggi giuridici tra tar-
do medioevo ed età moderna, a cura di M. Bellabarba - G. Schwerhoff - A. Zorzi,
Bologna 2001, pp. 13-34.
226
La costruzione della città giudiziaria
fu costruita nella piazza dei Priori una vasca in cui venivano immersi
227
Andrea Zorzi
condannati, come accadde nel 1295 a una donna, «quod coquus do-
mini Ducis debeat ei dare de capice coquine per faciem super scalis
Palacii, et quod debeat duci super scalis Rivoalti et ibi eam clamari
falsariam et quod ei de cetero non credatur» 40. A Faenza lo statuto
38 Cfr., per esempio, Archivio di Stato di Firenze, Podestà, 3786, cc. 5r, 9r
e passim (registro degli arrestati «pro ludo vetito ludentium ad azardi et seu ad
alia luda prohibita»); i documenti citati in A. Zorzi, Battagliole e giochi d’azzardo
a Firenze nel tardo medioevo: due pratiche sociali tra disciplinamento e repressione,
in Gioco e giustizia nell’Italia di Comune, a cura di G. Ortalli, Roma 1993, pp.
104-105; e la normativa in Statuta Populi et Communis Florentiæ publica auctoritate
collecta castigata et præposita, anno sal. MCCCCXV [d’ora in avanti Statuti di Firenze
del 1415], 3 voll., Friburgi [ma Firenze], 1777-1781, l. III, r. CXCII, vol. I, pp. 534-
535, l. IV, rr. XXVIII e XXX, vol. II, pp. 406 e 407. Su questo rituale penale, che
talora veniva eseguito direttamente calando nel fiume da un ponte il condannato
legato a una fune, cfr. anche Pertile, Storia del diritto penale, cit., pp. 343-344 e 434-
439; e J. Kohler, Das Strafrecht der italienischen Statuten vom 12.-16. Jahrhundert,
Mannheim 1897, pp. 606-615. Più in generale, per i significati purificatori dell’im-
mersione nell’acqua, cfr. anche R. Gerardi, Rinati nell’acqua e nello spirito. Studio
sui sacramenti del battesimo e della confermazione, Napoli 1982.
39 Statuta almae urbis Romae auctoritate S.D.N.D. Gregorii Papae XIII Pont.
Max., a Senatu populoque romano reformata et edita, Roma 1580, l. II, r. 120.
40 Documento citato in Pertile, Storia del diritto penale, cit., p. 343.
41 Citato in T. Gatti, L’imputabilità, i moventi del reato e la prevenzione crimi-
nale negli statuti italiani dei secoli XII-XVI, Padova 1933, p. 695.
42 Esempi per Firenze in A. Zorzi, Le esecuzioni delle condanne a morte a
Firenze nel tardo medioevo tra repressione penale e cerimoniale pubblico, in Simbolo
e realtà della vita urbana nel tardo medioevo, a cura di M. Miglio - G. Lombardi,
Manziana 1993, p. 182. Sul potere della parola, cfr. anche M. Miglio, Parola e gesto
nella società comunale, in Ceti sociali ed ambienti urbani nel teatro religioso europeo
del ’300 e del ’400, a cura di F. Doglio, Viterbo 1986, pp. 54-55.
228
La costruzione della città giudiziaria
in uso anche la semplice scrittura a grandi lettere dei soli nomi dei
condannati per falso o tradimento: così, per esempio a Vercelli se-
condo gli statuti del 1242, gli infamati dovevano essere scritti su un
tratto di muro del palazzo comunale appositamente imbiancato; o a
Piacenza, qualche tempo dopo, sui muri della cattedrale o del palaz-
zo del comune 47.
229
Andrea Zorzi
48 Cfr. Statuta communis Parmae digesta anno MCCLV, cit., p. 319; Statuta
Communis Parmae ab anno MCCLXVI ad annum circiter MCCCIV, a cura di A.
Ronchini, Parma 1857, p. 441; Cronica gestorum in partibus Lombardie et reliquis
Italie [1476-1482], a cura di G. Bonazzi, in Rerum Italicarum Scriptores [d’ora in
avanti RR.II.SS.], XXII/III, Città di Castello 1904-1911, pp. 15, 17, 24, 34, 47, 72.
49 Cfr., per un approfondimento, A. Zorzi, Rituali e cerimoniali penali nel-
le città italiane (secc. XIII-XVI), in Riti e rituali nelle società medievali, a cura di J.
Chiffoleau - L. Martines - A. Paravicini Bagliani, Spoleto 1994, pp. 141-157; e
Id., Le esecuzioni delle condanne a morte, cit.
50 Su questo punto, cfr. C. Frugoni, Una lontana città. Sentimenti e immagi-
ni nel Medioevo, Torino 1983, pp. 9sgg: 10-11; e La città e le mura, a cura di C. De
Seta - J. Le Goff, Roma-Bari 1989, in particolare i saggi dei curatori alle pp. 1-10
e 11-57.
51 Sull’espulsione/esclusione del rito penale, cfr. anche H. Von Hentig, La
pena. Origine scopo psicologia, Milano 1942, pp. 17-20.
230
La costruzione della città giudiziaria
Ecco allora che gli statuti disposero, per esempio, che a Treviso
gli impiccati fossero sospesi «longe a portis civitatis Tarvisii per
unum miliare ad minus» 52, o a Firenze a una distanza minima di
1.000 braccia (circa 600 metri) dalle mura 53. Allo stesso modo si de-
due colonne reggenti le immagini dei santi patroni della città — San
Marco e San Teodoro (Todaro) —, vere e proprie porte d’acqua del-
la città 56. Altre forche erano stabilmente erette sulle vie pubbliche
di accesso acqueo alla città: una lungo la via per Mestre, «in loco so-
lito», un’altra «ultra Sanctam Martam ad via qua itur Paduam» 57,
verso Chioggia («ad viam Clugie» 59) e l’ultima «ad viam portus
231
Andrea Zorzi
61 Cfr. Dino Compagni, La cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi, a cura
di I. Del Lungo, in RR.II.SS., IX/II, Città di Castello, 1913-1916, p. 264, l. III, cap.
XLI: «dove la giustizia si fa e punisconsi i malifattori di mala morte»; e Davidsohn,
Storia di Firenze, cit., vol. II, p. 833, e vol. V, pp. 603-604.
62 Cfr. Statuto del podestà dell’anno 1325, cit., l. III, r. 87, p. 220.
63 Cfr. F. Cesati, La grande guida delle strade di Firenze, Roma 2003, p. 473.
64 Benedetto Dei, Memorie notate, 1470, in G.C. Romby, Descrizioni e rap-
presentazioni della città di Firenze nel XV secolo, Firenze 1976, pp. 56-57.
65 Così anche nella pianta di Stefano Bonsignori (che mostra però la di
slocazione tardo cinquecentesca, al 1584, più a nord, delle forche): cfr. A. Mori - G.
Boffito, Firenze nelle vedute e piante. Studio storico topografico cartografico, Firenze
1926, pp. 144-145 e XXIV-XXV, rispettivamente, per le due immagini.
66 Cfr. S.Y. Edgerton, Pictures and punishment. Art and criminal prosecution
during the Florentine Renaissance, Ithaca 1985, pp. 141-142.
232
La costruzione della città giudiziaria
233
Andrea Zorzi
greto del fiume fu destinato «ad locum justitie solitum» 74 sin dal se-
XV, al di fuori delle mura, «de là da Po», nel borgo sud occiden-
tale che ruotava intorno al Castel Tedaldo, eretto «super Padum»
dai Canossa sin dal secolo X 79. Secondo un documento del 1459, «a
mezo il ponte de Castel Tialto» erano poste «un paro de forche» 80.
234
La costruzione della città giudiziaria
3.4. L’uso di giustiziare fuori delle mura non era però sistema-
tico. Anche nelle città finora illustrate molti luoghi di esecuzione, a
cominciare dalle piazze principali (del comune, del mercato, etc.),
erano situati al loro interno. Prevaleva una pluralità di situazioni,
dettate spesso dallo status del condannato, dal tipo di reato, dalle
contingenze politiche. Quando l’eccezionalità del momento o la ten
sione della piazza richiedevano un’esecuzione esemplare, rapida e di
235
Andrea Zorzi
altri casi, le esecuzioni furono consumate sullo stesso luogo del cri-
mine: un giovane ladro pregiudicato, venne per esempio «inpiccato
quivi dal campanile» di S. Maria del Fiore il 1 aprile 1475 per aver
rubato nella canonica; Domenico di Meo fu impiccato il 30 marzo
1476 davanti alla sede della gabella del Sale «dove haveva rubato»;
Tommaso da Venezia il 9 marzo di tre anni dopo in Mercato Nuovo
«per avere rubato in un bancho di un mercante» 85. In altri ancora,
236
La costruzione della città giudiziaria
generica: a Vercelli, nel 1211, «scopetur cum uvis ad collum per civi-
tatem»; a Bologna, nel 1250, «scuvetur per civitatem»; a Parma, nel
1255, «per civitatem debeat ducere lignum ad collum et verberari»;
a Lucca, nel 1308, «strascinetur per civitatem»; a Modena, nel 1327,
237
Andrea Zorzi
lungo percorso rituale, che intrecciava vie d’acqua e di terra 95. Dalle
238
La costruzione della città giudiziaria
veniva data, invece, nelle più varie tipologie, quasi sempre tra le due
colonne della Piazzetta, all’altezza dell’angolo del Palazzo Ducale,
sotto l’immagine in altorilievo dell’allegoria di Venezia nei panni del-
la Giustizia con la spada 99.
239
Andrea Zorzi
5. Conclusioni
Il processo di costruzione della città giudiziaria tra XIII e XIV
secolo appare indubbio. Quasi tutte le città italiane si diedero in quel
periodo palazzi di giustizia, costruirono prigioni, identificarono luo-
ghi deputati alle esecuzioni, definirono percorsi urbani per i rituali
giudiziari. Il dato di fondo fu quello dell’espansione demografica e
urbanistica, che raggiunse l’apogeo proprio nei decenni a cavallo tra i
due secoli. Come è noto, essa si tradusse anche in scelte architettoni-
che nuove, caratterizzate dallo sviluppo dell’edilizia pubblica e dalla
ricerca del decoro urbano 102. Al nuovo ordine architettonico contri-
100 Alle bocche della piazza. Diario di anonimo fiorentino (1382-1401), a cura
di A. Molho - F. Sznura, Firenze 1986, p. 218 (22 novembre 1400).
101 Anonimo Trecentista, Storia di fra Michele minorita, a cura di F. Flora,
Firenze 1942, pp. 62-75.
102 Cfr. E. Crouzet-Pavan, “Pour le bien commun” ...: à propos des politiques
urbaines dans l’Italie communale, in Pouvoir et édilité, cit., pp. 11-40; e, per uno
sguardo d’insieme, A. Grohmann, La città medievale, Roma-Bari 2003.
103 Cfr. A. Padoa Schioppa, Il ruolo della cultura giuridica in alcuni atti giu-
diziari italiani dei secoli XI e XII, «Nuova rivista storica», 64 (1980), pp. 265-289;
Id., Aspetti della giustizia milanese dal X al XII secolo, in Milano e il suo territorio
240
La costruzione della città giudiziaria
in età comunale, Spoleto 1989, pp. 459-549; Id., Note sulla giustizia milanese del se-
colo XII, in Miscellanea Domenico Maffei dicata. Historia Jus Studium, a cura di A.
García García - P. Weimar, Goldbach 1995, vol. IV, pp. 219-230; Wickham, Legge,
pratiche e conflitti, cit.; e M. Vallerani, Procedura e giustizia nelle città italiane del
basso medioevo (XII-XIV secolo), in Pratiques sociales et politiques judiciaires dans
les villes de l’Occident à la fin du Moyen Age, cit., pp. 439-494; Id., Tra astrazione
e prassi. Le forme del processo nelle città dell’Italia settentrionale del secolo XII, in
Praxis der Gerichtsbarkeit in europäischen Städten des Spätmittelalters, a cura di F.J.
Arlinghaus et al., Frankfurt 2006, pp. 135-154.
104 Cfr. Zorzi, Negoziazione penale, legittimazione giuridica e poteri urbani
nell’Italia comunale, cit.; G. Milani, Giuristi, giudici e fuoriusciti nelle città italia-
ne del Duecento: note sul reato politico comunale, in Pratiques sociales et politiques
judiciaires dans les villes de l’Occident à la fin du Moyen Age, cit., pp. 595-642; Id.,
L’esclusione dal comune. Conflitti e bandi politici a Bologna e in altre città italiane tra
XII e XIV secolo, Roma 2003; e M. Vallerani, Il potere inquisitorio del podestà di
fine Duecento, in Studi sul Medioevo per Girolamo Arnaldi, a cura di G. Barone - L.
Capo - S. Gasparri, Roma 2001, pp. 379-417; Id., La giustizia pubblica medievale,
Bologna 2005.
241
Domenica 13 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Giuliano Pinto
Anna Benvenuti
Sotto la volta del cielo. Luoghi, simboli e
immagini dell’identità cittadina
243
Anna Benvenuti
per richiamare solo alcuni tra i tanti temi possibili, trascurando quelli
altrove sviluppati, come i rituali della religiosità civica o i culti patro-
nali nei quali si esprime compiutamente la creazione di un sistema
di riferimenti identitari nel mondo cittadino 4. È doveroso parlare
l’immagine della città nella storia d’Italia, a cura di F. Bocchi, Roma, Viella, 2003,
pp. 233-250; Ead., Lo spazio dei santi, in Uomo e spazio nell’alto Medioevo, Spoleto,
CISAM, 2003, pp. 855-890.
2 Per i simboli identitari di carattere ‘laico’ cfr. P. Golinelli, Quando il san-
to non basta più: simboli cittadini non religiosi nell’Italia bassomedievale, in La
religion civique à l’époque médiévale et moderne (Chrétienté et Islam). Actes du col-
loque de Nanterre (21-23 juin 1993), sous la direction d’André Vauchez, Rome,
École Française de Rome, 1995, pp. 375-389. Per lo specifico sacro padovano cfr.
A. Tilatti, Istituzioni e culto dei santi a Padova fra VI e XII secolo, Roma, Herder,
1997.
3 Per la presentazione dell’autore e l’edizione del testo cfr. G. Fabris, Cronache
e cronisti padovani, introduzione di L. Lazzarini, Cittadella (PD), Rebellato, 1997
[ripreso dall’edizione e studio del medesimo Fabris pubblicato in «Bollettino
del Museo civico di Padova», XXV (1932), pp. 1-33; XXVI (1933), pp. 167-200;
XXVII-XXVIII (1934-1939), pp. 1-30], pp. 35-168: per la Visio in particolare le pp.
139-168; della ristampa del 1997 si utilizza anche la traduzione italiana. L’opera sarà
d’ora in avanti indicata in forma abbreviata come Visio Egidij.
4 Per questo vasto e ormai articolato sistema rappresentativo cfr. La religion
civique, cit.; si veda anche A. Benvenuti, Introduzione, in H.C. Peyer, Città e patro-
ni cittadini nell’Italia medievale, ed. ital. a cura di A. Benvenuti, Firenze, Le Lettere,
1998 (ed. orig., Stadt und Stadtpatron in mittelalterlichen Italien, Zürich, Europa
Verlag, 1955), pp. 7-37 e, più recentemente, Ead., La civiltà urbana, in Storia della
santità nel cristianesimo occidentale, Roma, Viella, 2005, pp. 157-222.
5 Per una esemplificazione fiorentina di questi percorsi mitografici mi per-
244
Sotto la volta del cielo
245
Anna Benvenuti
Villani, si fissava l’ascendente astrale della città e con esso la sua vir-
tus. Quasi tutte le città dell’Italia comunale attinsero alla immutabile
mantica delle stelle rifacendosi al mito liviano della fondazione di
Roma e ad esse legarono anche buona parte del proprio sistema di
percezione temporale, creando una vera e propria strumentazione
astronomico-monumentale di supporto al computo calendariale: così
246
Sotto la volta del cielo
247
Anna Benvenuti
13 Ivi, p. 140.
14 «In illo tempore urbis Padue pulcherrimus murus nempe a tuis hedifica-
tus patavis unum circumdabit miliare, qui ad similitudinem equini ferri volvetur
in girum, lapidibus terre atque montanis, in altitudinem cubitorum quinquaginta
deductus et quem Bachiglonis et Thesene aqua, usque dum Vicentia per Catulum
veronensem de manibus paduanorum erit erepta, ordinate circumdabit. Et eius
postea fons nobilissime Brente resanabit aerem. Altitudo fundamenti eius erit cu-
bitorum quindecim ac latitudo cubitorum decem»; ibidem, pp. 141-142.
15C. De Seta - J. Le Goff, La città e le mura, Milano, CDE, 1990.
16 «Quatuor portas regales patavi ordinabunt in ilio. Harum prima dice-
tur Janua pontis molendinorum, eo quod triginta quatuor rote molentes
bladum omnis generis iuxta illam erunt hedificate. Pons istius porte ce-
teros urbis Padue pontes superabit pulchritudine et huius porte revolucio
ab omnibus, tam civibus quam forensibus, sua pulchritudine collaudabitur.
Per hanc portam septentrionalem erit hominum egressus ad ultrabren-
tanas partes precìpue et ad alias similiter. Secunda nominabitur porta
Sancti Johannis a Navibus, cum uno ponte pulcherrimo trium revolucio-
num hedificata occidentem versus. Extra hanc portam et in capite huius
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Sotto la volta del cielo
249
Anna Benvenuti
20 Ibidem.
21 Ibidem.
22 Fortifications, portes de villes, places publiques, dans le monde méditerra-
néen, textes réunis par J. Heers, Paris, Presses de l’Université de Paris-Sorbonne,
[s.a.], in particolare F. Robin, Les portes de villes: symboles et représentations dans la
peinture et l’enluminure italienne (XIVe - XVe siècles), ivi, pp. 81-96 e N. Guglielmi,
L’image de la porte et des enceintes d’après les chroniques du moyen âge (Italie du
Nord et du Centre), ibidem, pp. 103-120; per alcune esemplificazioni cfr. A. Pitto,
Delle antiche immagini di Maria Santissima sopra le porte principali della città di
Genova, Genova, Tipografia delle Letture Cattoliche, 1877; F. D’Angelo, Le mura e
le porte di Palermo dal XII al XIV secolo, in Le città medievali dell’Italia meridionale
e insulare, Atti del convegno, Palermo, Palazzo Chiaromonte (Steri) (28-29 novem-
bre 2002), a cura di A. Casamento - E. Guidoni, Roma, Edizioni Kappa, 2004, pp.
224-230; G. Perbellini, Le porte di città nel medioevo in Europa e nel Veneto oc-
cidentale, «Castellum», XXVIII (1996), pp. 45-60; R. Manetti - M.C. Pozzana,
Firenze: le porte dell’ultima cerchia di mura, Firenze, CLUSF, 1979.
250
Sotto la volta del cielo
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Anna Benvenuti
252
Sotto la volta del cielo
Bernardino di Siena contro la aretina Fons tecta 30, forse a sua volta
Tra XII e XIII secolo, gli anni assunti a campione di questo con-
vegno, in quasi tutte le città italiane andò componendosi una nuova
topografia sacra in cui si espresse la mutazione culturale indotta
dalle religiones novae: nuove chiese, nuovi corpi santi, nuove reli-
quie cariche di suggestioni ‘fresche’ di un Oltremare sempre meno
lontano andarono a rinnovare l’antico sedimento delle consuetudini
religiose locali 32. Anch’esse, del resto, venero rilette e metabolizzate
253
Anna Benvenuti
mare nella costruzione del prestigio civico, in Taumaturgia e miracoli tra alto e basso
medioevo. Prospettive metodologiche generali e casistiche locali, Atti del Convegno di
Studio, Gubbio, Accademia Sperelliana (20-21 aprile 2007), a cura di P. Castelli -
S. Geruzzi, Pisa - Roma, Fabrizio Serra, 2007, pp. 101-118.
33 A. Benvenuti, Stratigrafie della memoria: scritture agiografiche e muta-
menti architettonici nella vicenda del “Complesso cattedrale” fiorentino, in Il bel San
Giovanni e Santa Maria del Fiore. Il centro religioso a Firenze dal tardo antico al
Rinascimento, a cura di D. Cardini, Firenze, Le Lettere, 1996, pp. 95-128.
254
Sotto la volta del cielo
255
Anna Benvenuti
novem cum pulcherrimis fenestrìs vitri diversis laborati coloribus. Post hec altaria
per fratres manentes in hoc tempio locus unus ordinabitur, qui dicetur Paradisus
et in quo sepelientur defunctorum corpora patavorum. Hec omnes revoluciones ro-
tunde, que turli dicentur, ex lapidibus coctis et lignis aerids constructe, erunt
cooperte plumbo»: ivi, pp. 145-146.
36 Per questo importantissimo documento liturgico si veda la recente edizione
Il Liber ordinarius della Chiesa padovana, a cura di G. Cattin - A. Vildera, Padova,
Istituto per la storia ecclesiastica padovana, 2002; anche A. Benvenuti, Draghi e con-
fini. Rogazioni e litanie nelle consuetudini liturgiche, in Simboli e rituali nelle città
toscane fra medioevo e prima età moderna, Atti del convegno internazionale (Arezzo
21-22 maggio 2004), in «Annali aretini», XIII (2006), pp. 49-63, pubblicato anche
in formato digitale in «Reti medievali»:
< http://fermi.univr.it/RM/biblioteca/scaffale/Download/Autori_B/RM-
Benvenuti-Draghi.zip >
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Domenica 13 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Giuliano Pinto
Dario Canzian
L’identità cittadina tra storia e leggenda:
i miti fondativi
1. Introduzione
Mi siano consentite, prima di entrare nel vivo della questione,
alcune riflessioni preliminari sulle coordinate entro cui si muoverà
il contributo che segue. Occorre infatti un chiarimento su che cosa
si intende con l’espressione ‘mito fondativo’ in relazione al contesto
politico-culturale dell’Italia dei secoli XI-XIV.
Agli occhi dello studioso moderno questo problema trova il
suo fondamento epistemologico prima di tutto nell’interesse per le
espressioni dell’autocoscienza civica delle élites urbane. Da questo
punto di vista, il modo in cui gli uomini che abitavano le città medie-
vali interpretarono «l’idolo delle origini» è chiave interpretativa del
257
Dario Canzian
2 R. Bordone, Il passato storico come tempo mitico nel mondo cittadino italia-
no del medioevo, «Società e storia», 14, n. 51 (1991), pp. 3-22.
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L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
259
Dario Canzian
lo, rileva una netta cesura rappresentata dall’età del Barbarossa; fino
ad allora la memoria delle cronache (Genova, Pisa, Milano) non si
interessa delle ragioni costitutive delle proprie organizzazioni poli-
tiche. È l’impatto rappresentato dalle guerre contro l’imperatore a
instillare negli stessi cives la precisa coscienza del carattere rivolu-
zionario della loro iniziativa politica e dunque a spingerli a ricercare
nel passato i fondamenti della legittimità delle loro istituzioni. Alla
fine del XII secolo, dunque, comincia presso i cronisti cittadini la
«reconstruction of a usable past» 5, senza peraltro risalire mai trop-
4 Ch. Wickham, The sense of the Past in Italian Communal Narratives, in The
Perception of the Past in Twelfth-Century Europe, edited by P. Magdalino, London
1992, pp. 173-189.
5 Ivi, p. 188.
6 Sul quale si veda A. Benvenuti, Secondo che raccontano le storie: il mito delle
origini cittadine nella Firenze comunale, in Il senso della storia nella cultura medie-
vale italiana (1100-1350), Pistoia 1995, pp. 205-252. Peraltro, secondo lo studioso
inglese sopra citato, l’inserimento delle tradizioni mitiche nelle cronache cittadine
del XIII secolo viene effettuato attraverso la trasposizione in età classica dei tradi-
zionali «points of reference» della storiografia della fine del XII secolo: Codagnello
proietta la Lega lombarda nel tardo Impero; lo scontro Firenze-Fiesole del 1125,
momento fondativo della storiografia fiorentina dal XII secolo in poi, viene ricon-
dotto indietro nei testi più tardi fino ad individuarne l’antecedente nel conflitto tra
Cesare e Catilina (Wickham, The sense of the past, cit., p. 189).
7 Va precisato, infatti, che il richiamo ad antenati antichi, e in particolare
260
L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
cenni attorno alla metà, appunto, del XII secolo. Risale infatti agli
anni attorno al 1150, o immediatamente dopo, la composizione del
Roman de Troie, ad opera di Benoît de Saint Maure, un poeta attivo
alla corte di Enrico II Plantageneto. Accanto all’Eneas, di anonimo
coevo, e a Li fets de Romains, di anonimo dei primi del Duecento 8,
troiani, emerge per così dire carsicamente lungo l’intera età medievale. Nella tra-
dizione franca altomedievale, ad esempio, esisteva la leggenda della derivazione di
quel popolo da un figlio di Ettore, chiamato Franco o Francione. Il riferimento è
alla cronaca di Fredegario (E. Gorra, Testi inediti di storia trojana. Preceduti da uno
studio sulla leggenda trojana in Italia, Torino 1887, pp. 68-69 e nota 5), un intellet-
tuale vissuto alla metà del VII secolo e probabilmente formatosi nell’ambiente di
Luxeuil (cfr. R. Le Jean, Histoire de la France: origine et premier essor 480-1180,
Paris 1996, p. 79).
8 C. Segre, La prosa del Duecento, in Lingua, stile e società. Studi sulla storia
della prosa italiana, Milano, 1991, p. 30; S. Marroni, I fatti dei Romani. Saggio di edi-
zione critica di un volgarizzamento fiorentino del Duecento, presentazione di Ignazio
Baldelli, Roma 2004, pp. 11-12.
9 Segre, La prosa del Duecento, cit., p. 16.
10 Cfr. C. Dionisotti, Proposta per Guido giudice, «Rivista di cultura classica
e medioevale», VII (1965), pp. 453-466. Dionisotti rileva qui che la traduzione in
latino di un testo in lingua volgare è circostanza davvero singolare («un caso piutto-
sto unico che raro», p. 459), sulla quale poco si sono esercitati gli esegeti. Eppure, si
tratta di un fatto di grande rilievo poiché, secondo il critico, essa segna un momento
importante del processo di emancipazione della letteratura italica dall’influsso fran-
cese. Non si tratta, dice Dionisotti, di un passo indietro in direzione delle origini
classiche, ma di una «frattura netta altrimenti operata nella continuità tradiziona-
le in Italia della moda letteraria francese». Questa frattura, dalla quale deriverà il
decollo della prosa trecentesca al di qua delle Alpi, presuppone certo Dante, «ma
anzitutto presuppone il vigore proprio della cultura veneta fra Due e Trecento, che
è tutta altra cosa: presuppone Lovato e Mussato, un frattura latina, non toscana»
(p. 461). I nomi dei padovani Lovato e Mussato, come vedremo, incroceranno an-
cora questa ricerca, ad indicare che attorno a queste figure e nei decenni compresi
tra la fine del Duecento e i primi del Trecento si colloca uno snodo fondamentale
per la storia dell’elaborazione mitografica delle città italiche. Sul tema si veda an-
che M. Zabbia, I notai e la cronachistica cittadina italiana nel Trecento, Roma 1999,
pp. 2-10.
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Dario Canzian
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L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
instar Enee, qui Troiam devicit»(!) 13. Turno, poi, si sarebbe reso re-
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Dario Canzian
dai nomi che recavano sulle rispettive mitre. Dietro di loro veniva il
prete Gerardo, che era stato, presumibilmente da poco, elemosiniere
della chiesa di Santa Maria. Eleuterio ed Eligio propongono al gio-
vane la lettura dei libri con le loro vite: il primo ingiungendo che il
libro sia letto davanti a lui, il secondo semplicemente proponendolo
e ottenendo un cortese ma fermo diniego dal canonico, il quale soste-
neva di conoscere già bene quella lettura; Acario reca soltanto nella
mano destra uno scriptum che dice: «In nomine domini Jhesu per me
mortuus resuscitatus est»; l’elemosiniere, infine, sembra avere unica-
mente una funzione di scorta, forse di garanzia della credibilità della
visione. Letta dunque molto attentamente la vita di Eleuterio, il ca-
nonico restituisce il relativo liber al santo, che lo ripone «in sinu suo»
e ritorna nel non meglio precisato «locum in quo prius steterat». Le
visioni, sottoposte per una valutazione, tra gli altri, a san Bernardo,
si susseguono nei mesi seguenti, e si producono anche pubblicamen-
te, nel contesto di rituali precisi che prevedono dapprima gli annunci
della prossima visita del santo vescovo, la confessione e la comunio-
ne del canonico, il suo ingresso nel secretarium dove è custodita la
spoglia di Eleuterio, quindi la trance e le pubbliche rivelazioni. Tra
queste, l’autore ricorda in primo luogo la profezia per cui entro poco
la chiesa tornacense avrebbe avuto un suo proprio vescovo e sareb-
be tornata all’antica dignità.
È a questo punto che si inserisce il racconto della costruzio-
ne della città, di cui si è detto, racconto che ha evidentemente la
funzione di corroborare la pretesa all’elevazione a sede episcopa-
le autonoma sulla base dell’antica, presunta, tradizione romana del
centro. La ripresa dell’antefatto romano, alla metà del sec. XII, attra-
verso la mediazione della primigenia matrice episcopale merita però
di essere meglio chiarita. Occorre per questo fare un passo indietro.
La diocesi di Tournais era stata autonoma soltanto fino al 626, quan-
do, in corrispondenza con l’assunzione al soglio episcopale da parte
di Acario (di cui Eligio fu diretto successore), quella chiesa era stata
associata alla diocesi di Noyon, città nella quale si era anche trasfe-
rito il vescovo. Le due diocesi rimasero unite in questo modo fino
al 1146, quando Tournais riebbe una sede propria. Come si vede,
siamo esattamente negli anni i cui si verificarono gli eventi narrati
dal cronista. Ben si capisce, allora, perché, nel racconto dell’ano-
nimo, dei tre vescovi il solo Eleuterio abbia avuto diritto di parola:
gli altri due recavano la responsabilità del declassamento ecclesiasti-
co di Tournais. Ma soprattutto, il racconto della gloriosa storia della
265
Dario Canzian
città doveva essere per forza affidato al suo primo vescovo, deposi-
tario e tramite di quella nobile tradizione che lo aveva preceduto e
che costituiva il fondamento della legittimazione storico-ideologica
dell’istituzione della diocesi autonoma nel 1146. Non si dimenti-
chi, a tal proposito, che, come accennato, proprio negli anni ’40 del
XII secolo si era edificata a Tournais la nuova chiesa di Notre Dame.
Tutti questi elementi ci mettono dunque di fronte ad un preciso pro-
gramma di promozione cittadina sul piano delle strutture e su quello
dell’ideologia: il mito fondativo di Tournais era stato elaborato in un
contesto di ri-fondazione della civitas, o, meglio ancora, della sua
chiesa; il che, evidentemente, era tutt’uno 16.
266
L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
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Dario Canzian
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L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
sanno che farsene della propria antichità», mentre città prive di testimonianze ro-
mane, come Pisa, Firenze e Venezia, cerchino in tutti i modi di procurarsi l’agognata
antichità (Esch, L’uso dell’antico, cit., pp. 14-15). In effetti, città con clamorose evi-
denze romane, come Verona, o Pola, non elaborarono miti medievali di fondazione.
E tuttavia si può osservare che nel caso di Roma il richiamo «intenzionale» al pas-
sato ‘romano’, si scusi il bisticcio, avrebbe potuto essere pleonastico proprio per la
sua ovvietà (e il mito virgiliano era talmente affermato da rendere impossibile ul-
teriori elaborazioni); mentre l’osservazione relativa alle città che non possiedono
resti antichi mi sembra possa dimostrare anche il contrario di quanto sostenuto dal-
lo studioso.
23 P. Tomea, Tradizione apostolica e coscienza cittadina a Milano nel medioevo.
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L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
a Roma nel 1027 tra gli arcivescovi milanese e ravennate circa il diritto di tenere la
destra del re dei Romani nella cerimonia della consacrazione imperiale di Corrado
II».
33 La sanzione della superiorità del vescovo di Roma su tutti gli altri episco-
pati, infatti, accelerò la strutturazione gerarchica dell’organizzazione ecclesiastica,
conferendo peraltro nuova linfa al ‘mito romano’, che già aveva attraversato con
varia fortuna i secoli dell’alto medioevo (F. Stella, Roma antica nella poesia medio-
latina. Alterità e integrazione di un segno poetico, in Roma antica nel Medioevo, cit.,
pp. 277-308. In particolare, si vedano le pagine dedicate a Roma nella poesia caro-
lingia, pp. 280-284, ove si ricorda la fondazione di Aquisgrana, contenuta nel De
Karolo rege et Leone papa, «presentata come nuova Roma e “Roma del futuro”, de-
scritta in ossequio pedissequo alla descrizione virgiliana dell’erigenda Cartagine»,
p. 281). Lo provano la corsa all’auto accreditamento in termini di «altera Roma»,
o «Roma secunda» da parte di molte città dell’occidente. Si tratta di una qualifica
che comincia a ricorrere a partire appunto dalla metà dell’XI secolo e che riguarda
un manipolo di centri urbani: Treviri, Tournai, Reims, Milano, Venezia, Pavia; W.
Hammer, The Concept of a New or Second Rome in the Middle Ages, «Speculum»,
19 (1944), pp. 50-62. Per il caso di Pavia, «Roma secunda» nel Libellus de laudibus
civitatis Ticinensis di Opicino de Canistris, si veda Majocchi, Pavia città regia, cit.,
pp. 145-149). In questi casi, non si proponeva più l’immagine di «nuova Roma»,
come nel caso di Aquisgrana, poiché l’obiettivo non era la legittimazione di una
primazia politica; queste città si candidavano piuttosto al ruolo di «vice Roma»,
un piazzamento d’onore nella gerarchia delle dignità episcopali che rappresentava
una condizione non necessariamente esclusiva, ma comunque foriera di grandissi-
mo prestigio, da spendere prima di tutto sul teatro regionale per rafforzare l’autorità
sulle chiese viciniori o suffraganee. Anche se bisogna dire che in questo quadro gli
elementi di ambiguità non mancano. Bonvesin de la Riva sosteneva, ad esempio,
che gli sarebbe sembrato giusto addirittura che Milano sostituisse Roma come sede
pontificia: «patet quod non tantum secunda Roma vocari meretur, ymo, si michi li-
ceret quod fari liberet, ut non imputaretur michi presumptioni, meo quasi dignum
et iustum videretur iudicio sedem papalem et reliquas dignitates ad eam totaliter
hunc transferri»; Bonvesin De La Riva, De magnalibus urbis Mediolani, a cura di
F. Novati, «Bollettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo», XX (1898),
pp. 171-172. In quel «quasi» è compendiata però la consapevolezza della straor-
dinarietà e dell’arditezza della proposta, che, su ammissione dello stesso autore,
travalica l’ordinario, ovvero la collocazione di Milano al secondo posto dopo Roma.
Sempre un passo del frate milanese lascia trapelare come la concorrenza tra le sedi
non mirasse al conseguimento di un ‘secondo posto assoluto’; infatti, sebbene egli
dedichi un passo molto serrato alla dimostrazione della precedenza della chiesa mi-
lanese rispetto a quella ravennate (basandosi sul fatto che la chiesa milanese sarebbe
stata fondata da Barnaba, apostolo, mentre quella ravennate da Apollinare, «tan-
273
Dario Canzian
tum appostolorum discipulus»), non manca di segnalare che «in Decretis legitur
quod Mediolani pontifex et Aquilegie patriarcha condam poterant sese alterutrum
consecrare».
34 Dal papa, nel 1053, il Marango ottenne per la sua chiesa la definizione di
«nova Aquileia totius Venetiae et Istriae caput et metropolis», e nel contempo il de-
classamento del patriarca di Aquileia a semplice «Foroiuliensis antistes». Su questo
patriarca mi permetto di rinviare alla voce Marango Domenico a cura di D. Canzian,
in Dizionario bibliografico degli italiani, Roma 2007, vol. 69, pp. 415-418.
35 C. Violante, Venezia fra papato e impero nel secolo XI, in Studi sulla cristia-
nità medioevale. Società, istituzioni, spiritualità, raccolti da P. Zerbi, Milano 19752
[già in La Venezia del mille, Firenze 1965], p. 309. Da questa divergenza sarebbe
derivata addirittura una compressione delle facoltà di goveno autonomo della chie-
sa gradense (R. Cessi, Venezia ducale, II/1, Commune Venetiarum, Venezia 1965, pp.
44-45). Sulla revisione di questa interpretazione si veda Rando, Una chiesa di fron-
tiera, cit., p. 79.
274
L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
36 Furio Jesi desume la distinzione tra miti genuini e miti ‘tecnicizzati’ dal
Kerényi (vedi supra, nota 3), precisandola ulteriormente nel senso che ai primi viene
dallo studioso attribuito carattere collettivo, condiviso, ai secondi, invece, carattere
«comune solo ad un determinato gruppo sociale», gruppo che esprime anche at-
traverso questo tipo di elaborazione la propria vocazione egemone; F. Jesi, Mito e
linguaggio della collettività, in Letteratura e mito, Torino 1968 e 2002, pp. 35-36.
37 Si veda per il caso mantovano P. Golinelli, Culto dei santi nella politi-
ca dei Canossa, in Indiscreta sanctitas. Studi sui rapporti tra culti, poteri e città nel
pieno medioevo, Roma 1988, pp. 22-25; per san Marco, Cracco, I testi agiografici,
cit., pp. 935sgg. e Id., Santità straniera in terra veneta (sec. XI-XII), in Les fonctions
275
Dario Canzian
des saints dans le monde occidental (IIIe-XIIIe siècle), Rome 1991, pp. 446-465; su
Padova, A. Tilatti, Istituzioni e culto dei santi a Padova fra VI e XII secolo, Roma
1997, pp. 119-239.
38 Ivi, p. 195.
39 Esemplare da questo punto il caso del bolognese san Petronio, vescovo, mi-
tico ri-edificatore della città dopo la distruzione teodosiana, riscoperto come vessillo
civico a partire dal 1284, in A.M. Orselli, Spirito cittadino e temi politico-cultura-
li nel culto di San Petronio, in La coscienza cittadina, cit., pp. 283-343. Indicativa,
se letta in negativo, è anche la critica che ad inizio Trecento un anonimo sermo-
nista francescano rivolse ai Padovani, dimentichi dell’antico culto per il vescovo
Prosdocimo in nome del nuovo ‘patrono laico’, Antenore (vedi infra).
40 Occhipinti, Immagini di città, cit., pp. 30-31. Alla provocazione risponde-
rà poi («abboccherà», dice la Occhipinti) Galvano Fiamma.
276
L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
a. Trieste e Capodistria
Potrà essere utile, a ulteriore dimostrazione di questa ipotesi,
prendere in considerazione un caso di costruzione di una identi-
tà civica in fieri, ovvero quello del centro di Capodistria tra XII e
XIV secolo. Il caso di questo capoluogo istriano è particolarmen-
te interessante perché la sua promozione a sede diocesana avviene
tardivamente, attraverso l’emancipazione dalla diocesi confinante di
Trieste.
Trieste e Capodistria, come si sa, avevano avuto origine diver-
sa. La prima è città romana, sede in età medievale di un episcopato
forte, di tipo ‘tedesco’, potremmo dire, nel senso che anche quan-
do si sviluppa il comune la città rimane comunque sotto una non
eludibile egemonia vescovile 42. La suffraganeità di questa diocesi al
277
Dario Canzian
278
L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
est quam episcopatus et non est subiecta episcopatui […] quod dictus episcopus G.
multum laboravit ut destrueret episcopatum Iustinopolitanum. Interrogatus quo-
modo scit, repsondit quod fuit cum eo quando papa et imperator fuerunt Venetiis
ubi ipse laboravit et dedit operam cum domino patriarcha W. ut destrueret episco-
patum, quod ego, et alii qui cum eo eramus, sentientes, versi sumus ad patriam eo
relicto».
45 Kandler, CDI, I, p. 325, n. 172: «Il Comune di Capodistria costituisce la
dote ai Vescovi di Giustinopoli per occasione che dopo morte di Vescovo Bernardo
di Trieste e Capodistria, era per rivivere la serie dei Vescovi propri».
46 Per le presenze veneziane mi permetto di rinviare al mio L’espansione pa-
trimoniale dei monasteri veneziani in Istria tra XII e XIV secolo, in Letteratura, arte
e cultura tra le due sponde dell’Adriatico, a cura di G. Baldassarri - N. Jaksǐć - Ž.
Nizíc, Università di Zara (Sveućilište u Zadru), Zara 2008, pp. 169-200; si veda inol-
tre, B. Benussi, Nel Medio Evo. Pagine di storia istriana, Trieste - Fiume 2004 [rist.
anastatica dell’edizione Parenzo 1897], I, pp. 196-197.
47 Ivi, p. 321.
48 La tradizione viene fortemente messa in dubbio da Camillo De Franceschi,
figura importante dell’erudizione documentaria istriana del secolo scorso. Per lui,
il nome di Giustinopoli, non attestato prima del 932, sorge «per l’artificio di qual-
che addottrinato ecclesiastico», in considerazione della rozzezza del nome con cui il
centro era popolarmente noto, almeno dall’epoca del placito di Risano (804), ovvero
279
Dario Canzian
quello di Capris (C. De Franceschi, Delle origini di Capodistria e del suo vescova-
to, Venezia 1951, pp. 2-3, dall’estratto custodito presso la Biblioteca Universitaria
di Padova).
49 P.F. Kehr, Italia pontificia, VII, Venetiae et Histria, Berlino 1961 [rist. ana-
statica dell’edizione Berlino 1925], pp. 214-225; Benussi, Nel medioevo, cit., p. 96;
L. Margetic, Le prime notizie su alcuni vescovati istriani, in Histrica et adriatica.
Raccolta di saggi storico-giuridici e storici, Trieste 1983, pp. 113-123.
50 Cfr., ad esempio, Archivio di Stato di Venezia, Codice diplomatico vene-
ziano (1135-1140), S. Cipriano di Murano, p. 2, n. 799 (1135 marzo 5), p. 7, n. 803
(1135 maggio 6), p. 114, n. 884 (1138 agosto 29): «Actum in civitate Iustinopoli»;
S. Giorgio Maggiore, III, Documenti 1160-1199 e notizie di documenti, a cura di
L. Lanfranchi, Venezia 1968, p. 45, n. 308 (1165 febbraio 2): «Acta in civitate
280
L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
Era questo il santo che una tradizione a noi nota a partire dal
secolo XV riconosceva come il primo vescovo di Giustinopoli (ini-
zio VI secolo). Il furto sacrilego che lo riguardò non era in sé una
rarità. Esso aveva lo scopo di infliggere alla città che lo subiva un de-
classamento, colpendola nel simbolo principale della sua dignità 52.
b. Venezia e Padova
In area alto-adriatica la competizione dai tratti ideologici più
evidenti è quella tra Venezia e Padova. Venezia, naturalmente, è città
del mito per antonomasia. Le si riconosce una stratificazione mito-
grafica e una compresenza di motivi mitici che compendiano una
casistica pressoché completa. Il dato è stato acclarato da molti studi 53,
Iustinopoli».
51 De Franceschi, Delle origini di Capodistria, cit. p. 7; F. Semi, Un inedito
dialettale veneto-istriano trecentesco: la «Mariegola di San Nazario» di Capodistria,
«Ateneo veneto», 172/33 n.s. (1985), p. 36;
<http://www.istrianet.org/istria/religion/saints/snazario1.htm> (con indica-
zioni sulla bibliografia locale).
52 Analogamente, ad esempio, nel 1199 i Trevigiani avevano bruciato la cat-
tedrale di Ceneda e asportato le reliquie dei santi, tra cui quelle del protovescovo
Tiziano, col pretesto di dare loro una sede più acconcia (A.S. Minotto, Acta et
diplomata e R. Tabulario veneto, II/1, Documenta ad Belunum, Cenetam, Feltria,
Tarvisium spectantia, Venetiis 1871, p. 25 — edito con data 1198).
53 Si vedano in chiave di sintesi Carile, Le origini di Venezia, cit., pp. 136-166;
G. Ortalli, I cronisti e la determinazione di Venezia città, in Storia di Venezia. Dalle
origini alla caduta della Serenissima, II, L’età del comune, a cura di G. Cracco - G.
281
Dario Canzian
Ortalli, Roma 1995, pp. 761-782; Id., Storia e miti per una Venezia dalle molte ori-
gini, in Venezia nella sua storia: morti e rinascite, a cura di C. Ossola, Venezia 2003,
pp. 81-109.
54 L’apologo, presente nel Chronicon Altinate, racconta che una eroica ma-
trona, unica a non fuggire di fronte al nemico, avrebbe salvato i venetici assediati
dal figlio di Carlo Magno, Pipino, convincendo i franchi ad attraversare di notte un
ponte-trappola costruito su suo suggerimento, ponte che sotto il peso dei cavalieri
si sfascerà precipitando in laguna gli assalitori. Si veda al riguardo Ortalli, Storia e
miti, cit., pp. 91-106.
55 Il fatto avrebbe anche una data precisa: il 25 marzo 421. Sarebbe esistito
addirittura un decreto promulgato dai consoli e dai primati del popolo padovano
che comproverebbe questa fondazione in Rialto, dove sarebbero stati designati tre
notabili col titolo di consoli. La questione è nota, essendo stata illustrata da Vittorio
Lazzarini, il quale ha individuato la notizia, comparsa anche nell’Extensa di Andrea
Dandolo, in una cronachetta primo-trecentesca attribuita a Giacomo Dondi, me-
dico, botanico, lettore di medicina e astronomia nello studio. Come dimostrato da
Lazzarini, in età successiva questa notizia fu utilizzata da cronisti ed eruditi pado-
282
L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
vani come titolo nobilitante per la propria città, madre della stessa Dominante (cfr.
V. Lazzarini, Il preteso documento della fondazione di Venezia e la cronaca del me-
dico Jacopo Dondi, in Scritti di paleografia e diplomatica, seconda edizione ampliata
con sei saggi, Padova 1969, pp. 99-116); si veda anche S. Collodo, Attila e le origini
di Venezia nella cultura veneta tardomedievale, «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze,
Lettere ed Arti», 131 (1972-73), pp. 531-567.
56 Tilatti, Istituzioni e culto dei santi a Padova, cit., pp. 57-118.
57A. Settia, Monselice nell’alto medioevo, in Monselice. Storia, cultura e arte
di un centro “minore” del Veneto, a cura di A. Rigon, Monselice - Treviso 1994, pp.
83-99; S. Collodo, Ricerche sugli assetti territoriali dei Colli Euganei nel Medioevo,
«Terra d’Este», 31 (2006), pp. 7-55.
58 L. Braccesi, La leggenda di Antenore. Dalla Troade al Veneto, Venezia
19972.
59 Vedi infra.
60 È questo, peraltro, un rilievo che mi pare di grande interesse, perché segna-
la una visuale non lagunare dell’identità veneziana, quale difatti si era manifestata
nel corso del X secolo con la famiglia dei Candiani, che furono dogi e anche comi-
tes in terraferma (Padova e Vicenza); M Pozza, Vitale -Ugo Candiano. Alle origini di
283
Dario Canzian
Stefano per la costruzione della Ca’ di Dio, venne alla luce una dop-
una famiglia comitale del regno italico, «Studi veneziani», n.s. V (1981), pp. 15-32.
61 Tilatti, Istituzioni e culto dei santi a Padova, cit., pp. 318-333; G. Zampieri,
La tomba di San Luca evangelista. La cassa di piombo e l’area funeraria della basilica
di Santa Giustina di Padova, Roma 2003, pp. 199sgg.
62 Tilatti, Istituzioni e culto dei santi a Padova, cit., pp. 318-330.
63 Guido Billanovich, Il preumanesimo padovano, in Storia della cultura ve-
284
L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
285
Dario Canzian
la guardava» 66. Il giudice Lovato, per parte sua, volle legare per sem-
286
L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
logia e storia patria», Trieste 2005, pp. 361-381). Più in generale, sui miti fonfativi
urbani umanistici e rinascimentali si veda R. Villard, Le héros introvable: les réci-
ts de fondation de cités en Italie. XIVe-XVIe sècles, «Histoire, économie et société»,
19/1 (2000), pp. 5-24.
70 P. Golinelli, Quando il santo non basta più: simboli cittadini non religio-
si nell’Italia bassomedievale, in La religion civique à l’époque médiévale et moderne
(Chrétienté et islam), cit., p. 389: «ad una simbologia unica e unificante della picco-
la città altomedievale si era sostituita nella più vasta e vivace città bassomedievale
una religione a più simboli e a più soggetti, ovvero i simboli religiosi o non religiosi
divenivano secondari rispetto alla città stessa, essa cioè aveva acquisito una tale au-
toconsapevolezza da farsi simbolo di sé».
71 Si veda l’esempio fiesolano, nel quale la storia della città prende le mosse
dall’episodio della Torre di Babele; oppure Ravenna, dove il punto di partenza è in-
dividuato nel diluvio universale; cfr. Benvenuti, «Secondo che raccontano le storie»,
cit., p. 216; Cronaca Rampona, in A. Sorbelli, Corpus Chronicorum Bononensium,
I, Città di Castello 1906 (Rerum Italicarum Scriptores. Raccolta degli storici italia-
ni dal Cinquecento al Millecinquecento ordinata da L.A. Muratori, XVIII, 1, tomo
I), pp. 26-27.
287
Dario Canzian
Troia è a sua volta città ‘assoluta’, anzi, città assoluta per antonoma-
sia. La sua identità è legata infatti all’assedio decennale, che la isola
completamente dal resto del mondo — un’esperienza che, peraltro,
le collettività urbane medievali dovevano avvertire con forte imme-
desimazione —, affratellando i suoi abitanti sotto l’ala protettrice di
un re-padre e di guerrieri forti, generosi e sfortunati. La fine di Troia
in questa prospettiva è il sacrificio di una madre; ai figli superstiti
l’incarico di rinnovare altrove la sua esperienza e trasmettere il san-
gue di quegli eroi alle nuove Ilio sparse nel mondo.
Ma torniamo a Padova, perché ancora qualche cosa resta da
dire su questo caso. A voler dar credito alla fonte cinquecentesca, un
grande afflusso di ‘popolo’ avrebbe accompagnato la translatio delle
spoglie di Antenore, come si è detto. L’iniziativa padovana era stata
del resto davvero clamorosa, e lo prova anche la decisione di monu-
mentalizzare la memoria antenorea, secondo modalità che, mi pare,
superano qualunque altro esempio in ambito italico 72. L’intento,
288
L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
uno degli esiti. Ora, proprio l’Historia è uno dei principali veicoli di
un’immagine di Antenore tutt’altro che edificante. L’eroe troiano,
infatti, a partire dall’opera di Benoît de Saint Maure, era divenuto
emblema del tradimento (avrebbe consigliato insistentemente la re-
stituzione di Elena, e poi avrebbe consegnato la città in cambio della
vita). Secondo gli studi condotti da Lorenzo Braccesi, nel XIII seco-
lo era proprio questa l’immagine vulgata del fondatore di Padova,
tanto che, com’è noto, Dante (che chiamava i padovani «antenòri»)
289
Dario Canzian
290
L’identità cittadina tra storia e leggenda: i miti fondativi
291
Domenica 13 maggio, pomeriggio
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Gabriella Piccinni
Roberta Mucciarelli
Demolizioni punitive: guasti in città *
* Dedicato a E.
1 J. Baschet, I mondi del medioevo: i luoghi dell’aldilà, in Arte e Storia nel
Medioevo, a cura di E. Castelnuovo - G. Sergi, Torino 2002, pp. 317-368.
2 Così ad esempio, per l’anonimo autore di una cronaca senese — che scri-
ve a proposito del tradimento di certi cittadini: «ma la Vergine Maria aiutò e difese
293
Roberta Mucciarelli
questa città de le mani de traditori e de’ nemici di queste mura», Cronica senese di
autore anonimo della metà del secolo XIV, in Cronache senesi, a cura di A. Lisini - F.
Iacometti, Bologna 1931-1939 (Rerum Italicarum Scriptores. Raccolta degli stori-
ci italiani dal Cinquecento al Millecinquecento ordinata da L.A. Muratori — da ora
RIS2 —, XV/ VI), pp. 39-172: 62.
3 Così nel resoconto di Villani è narrato l’attacco e la subitanea difesa della
città: «tegnendo lo re consiglio di quello ch’avesse a ffare, i più de’ conti e baroni
consigliaro ch’lla si combattesse aspramente da più parti, e spezialmente dall’una
parte che lla tera nonn avea muro ma eravi barrata di botti e altro legname; e assai
era possibile di poterla vincere per battaglia […]. Stette lo re con sua oste intorno
a Messina da due mesi, e dando la sua gente alcuna battaglia dalla parte ove nonn
era murata, i Missinesi colle loro donne, le migliori e maggiori della terra, e con loro
figliuoli piccioli e grandi, subitamente in tre dì feciono il detto muro, e ripararono
francamente agli asalti de’ Franceschi. E allora si fece una canzonetta che disse: Deh,
com’egli è gran pietade / Delle donne di Messina / Veggendole scapigliate / Portando
pietre e calcina. / Iddio gli dea briga e travaglia / A chi Messina vuole guastare etc.»:
Giovanni Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, 3 voll., Parma 1991, la cita-
zione è tratta da 1, VIII, LXVIII, pp. 519-520 (Come Messina fu combattuta dalla
gente del re Carlo, e come si difesono). Vedi immagine in fine del contributo. Simile
concetto espresso ivi, 2, IX, LXXI, p. 137: «vegnendo l’altra gente, entraro nel bor-
go di San Gallo sanza nulla contasto, che allora non erano a la città le cerchie delle
mura nuove, né fossi, e le vecchie mura erano schiuse e rotte in più parti» (Come i
Bianchi e’ Ghibellini vennero a le porte di Firenze, e andarne in sconfitta).
4 Con i suoi 253 disegni, l’unico manoscritto illustrato della Nuova Cronica di
Giovanni Villani, conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, rappresen-
ta una vero giacimento di immagini del Medioevo italiano: sull’apparato illustrativo
del codice vedi il recente Il Villani illustrato. Firenze e l’Italia medievale nelle 253 im-
magini del ms. Chigiano L. VIII. 296 della Biblioteca Vaticana, a cura di C. Frugoni,
Città del Vaticano - Firenze 2005. L’illustrazione della distruzione a p. 101 (f. 36r)
— riprodotta alla fine del contributo — ma vedi anche a p. 104 (f. 43r) dove cam-
294
Demolizioni punitive: guasti in città
peggia un paesaggio di mura rovinate a terra (Come la città di Firenze istette guasta
e disfatta CCCL anni). «E veggendo che per assedio no·lla potea avere, imperciò
ch’era fortissima di torri, e di mura, e di molta buona gente, per inganno, e lusin-
ghe, e tradimento s’ingegnò d’averla […] Molti e più de’ cittadini ne furono morti,
e tagliati, e presi, e la città fue tutta spogliata d’ogni sustanzia e ricchezza per gli
detti Gotti, Vandali, e Ungari. E poi che Totile l’ebbe così consumata di genti e del-
l’avere, comandò che fosse distrutta e arsa e guasta, e non vi rimanesse pietra sopra
pietra; e così fu fatto […] E così fu distrutta la nobile città di Firenze dal pessimo
Totile a dì XXVIII di giugno negli anni di Cristo CCCCL, e anni VcXX da la sua
edificazione; e nella detta città fu morto il beato Maurizio vescovo di Firenze a gran
tormento per la gente di Totile, e il suo corpo giace in Santa Reparata»: G. Villani,
Nuova Cronica, cit., la citazione è tratta da 1, III, I, pp. 96-98. Vedi immagini in fine
del contributo.
5 Vedi le illustrazioni in Il Villani illustrato, cit., pp. 109 (f. 49v); 115 (f. 56v);
214 (f. 188r).
6 Qualche esempio desunto da G. Villani, Nuova Cronica cit: (anno 1258):
«v’andarono i fiorentini subitamente, e entrati nel castello, presono la terra per di-
sfare le mura e fortezze» (Come i fiorentini disfecero la prima volta il castello di
Poggibonizzi, 1, VII, LXIII, p. 358); (anno 1259) «essendo podestà d’Arezzo messe-
re Stoldo Giacoppi de’ Rossi di Firenze, per suo senno e valentia menò gli Aretini e
di notte con iscale entraro in Cortona, la quale era molto fortissima, ma per la mala
guardia la perdero i Cortonesi; e gli Aretini disfeciono le mura e le fortezze e fecio-
gli loro suggetti» (Come gli Aretini presono e disfeciono Cortona, 1, VIII, LXVI, p.
361); Altre volte si parla più genericamente di disfare e abbattere: (anno 1270) «i
Fiorentini cavalcarono Poggibonizzi, e feciono abattere e disfare tutto il castello»
(Come i Fiorentini presono il castello di Piano di Mezzo in Valdarno, e come disfecio-
no Poggibonizzi, 1, VIII, XXXVI, p. 467); (1260): «i Fiorentini andarono ad oste a
uno castello del vescovo d’Arezzo, ch’avea nome Gressa, molto forte con due cinte
di mura, in Casentino, e quello per forza e per assedio ebbono, e poi il feciono di-
sfare» (Come i Fiorentini presono e disfeciono il castello di Gressa, 1, VII, LXVII), p.
362. Nelle Croniche di Sercambi vari esempi: Le croniche di Giovanni Sercambi luc-
chese, pubblicate sui manoscritti originali, a cura di S. Bongi, Lucca 1892, 1, LXXIV
(«Come si disferon le mura di Pistoia»), p. 35; 1, CVII: «L’anno di MCCCIII, Lucha
e Firenze feceno hoste a Pistoia […] e guastònno in fine alle mura» p. 51; 1, CVIII,
p. 51: «E im quell’anno, Lucha disfecie le mura di Verucola»; 1, CX, pp. 53-54:
«L’anno di MCCCVI […] Luccha e Firenza ebbeno Pistoia per fame, con certi pac-
295
Roberta Mucciarelli
cui nome si comprendono più autori del VII e VIII secolo, che ne-
gli anni intorno al 640 Rotari conquista le città di Genova, Varigotti,
Albenga, Savona, Odengo e Luna: devasta, distrugge, dà alle fiam-
me, fa razzie, riduce la popolazione in prigionia poi, rase al suolo fino
alle fondamenta le mura di queste città, ordina che da quel momento
in poi esse vengano chiamate villaggi («murus civitatebus supscriptis
usque ad fondamento distruens, vicus has civitates nomenare prae-
cepit») 7. Più che azione tecnica di ostilità, l’abbattimento delle mura
ti, essendovi stato l’assedio mesi XI; et era capitano dell’oste lo marcheze Morovello,
et disfeceno le mura»; 1, CXIV, pp. 57-58: «L’anno di MCCCXI, lo dicto messer
Arrigo fu incoronato in Milano della corona di ferro […] Fu in Milano romore
e messer Guidecto usciò fuori di Milano con tucti suoi seguaci e fu ribello de’ re.
Allora elli co’ guelfi di Cremona ribellò Cremona, et l’altre terre tornòro a mercè de
re. E poi lo re chavalcò a Cremona e ’l populo di Cremona aperseno le porti e diede-
no la terra liberamente; et per paura messer Guidecto et li altri guelfi se n’uscirono
fuori. E il dicto re fe’ disfare le mura a Cremona, e contra li guelfi che ribellònno la
terra fecie grandi processi […]. E nel dicto anno lo re ebbe Brescia per fame e die-
de loro sentenza adosso che fusse loro disfacte le mura».
7 Fredegarii et aliorum, Chronica, a cura di B. Krusch, Hannover 1888
(Monumenta Germaniae Historica — da ora MGH —, Scriptores Rerum
Merovingicarum, tomo II), pp. 1-193 (citazione pp. 156-57).
8 È questo il caso dei milanesi che — secondo il resoconto del notaio impe-
riale Burcardo che descrive con minuzia di particolari la caduta di Milano — il 21
febbraio 1162 offrirono all’imperatore la loro resa con una serie di condizioni, fra
cui si menziona esplicitamente la promessa «totum fossatum planare; muros et om-
nes turres destruere»: il documento è pubblicato in F. Guterbock, Le lettere del
notaio imperiale Burcardo intorno alla politica del Barbarossa nello scisma ed alla di-
struzione di Milano, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e
Archivio Muratoriano», 61 (1949), pp. 1-65, citazione alle pp. 60-61.
9 Y. Renouard, Le città italiane dal X al XIV secolo, Milano 1975 (ed. or. Paris,
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Demolizioni punitive: guasti in città
tuttavia, non regge alla furia del Barbarossa. Nel 1162, costretta alla
fame, si arrende 12; il 20 marzo cominciano le demolizioni. «Precepit
1969), p. 11.
10 Già il Versum de Mediolano civitate celebrava, secondo un modulo che
troverà piena fioritura in età comunale, la solidità edilizia di una città «firmiter edi-
ficata», dotata di mura larghe dodici piedi su cui si aprono nove porte; circa settanta
anni dopo, il Versus de Verona, composto durante il regno di Pipino, tra 796 e 805,
probabilmente da un ecclesiastico veronese, descriveva la solidità edilizia della città
«murificata firmiter», difesa da forti mura in cui risplendono quarantotto torri. Da
quelle mura, alte e robuste, i milanesi «credono di essere protetti», osservava due
secoli dopo, nel 930, il re di Svevia Burcardo, nella memoria composta del vesco-
vo di Cremona Liutprando (liutprandi, Liber Antapodoseos): documenti pubblicati
da G. Fasoli - F. Bocchi, La città medievale italiana, Firenze 1973, pp. 100-104 e
104-109.
11 Il passo tratto dalla cronaca milanese di Landolfo Seniore è edito da R.
Bordone, La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV), Torino 1984, p.
102.
12 Ci si riferisce a Das Geschichtswerk des Otto Morena und seiner Fortsetzer
Über die Taten Friederichs I in der Lombardei. Ottonis Morenae et continuatorum hi-
storia Frederici I (da ora indicato Ottonis Morenae et continuatorum), a cura di F.
Guterbock, Berlin 1930 (MGH, Scriptores Rerum Germanicarum, Nova Series,
t. VII). Vedi G.M. Cantarella, I ritratti di Acerbo Morena, in Milano e il suo ter-
ritorio in età comunale, Atti dell’XI Congresso internazionale di studi sull’alto
Medioevo (Milano 26-30 ottobre 1987), Spoleto 1989, pp. 989-1010, vd. soprattut-
to pp. 997-98.
13 La descrizione tratta dalla Historia di Ottone e Acerbo Morena (si deve
ad Acerbo): «Et, ut vere opinior, quinquagesima pars Mediolani non remansit ad
destruendum. Remansit tamen fere totus murus civitatem circumdans»: Ottonis
Morenae et continuatorum, cit., ad a. 1162, p. 157. Vedi anche F. Cardini, Il
Barbarossa. Vita, trionfi e illusioni di Federico I imperatore, Milano1985, p. 234. Sulla
reazione dei cittadini: «nel momento cruciale dello scontro i monaci di S. Ambrogio
si schierarono con l’Impero. Quando il Barbarossa fece radere al suolo Milano la
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Roberta Mucciarelli
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Demolizioni punitive: guasti in città
comunale, Atti del Congresso Storico Internazionale per l’VIII° centenario della pri-
ma Lega Lombarda (Bergamo 4-8 settembre 1967), a cura di C.D. Fonseca, Milano
1971, pp. 9-22: 14. Per gli avvenimenti di questi anni, vedi anche la cronaca mila-
nese Gesta Federici I imperatoris in Lombardia autore cive Mediolanensi (=Annales
Mediolanenses madiores), a cura di O. Holder-Egger, Hannover 1892 (MGH,
Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum), pp. 38sgg. Per Acerbo
Morena, Ottonis Morenae et continuatorum, cit.
18 Ad esempio nel 1159 contro cremesi, milanesi e bresciani; e all’indoma-
ni della distruzione di Milano, per i potenziali nemici dei pisani e degli astigiani,
alleati del Barbarossa: G. Milani, L’esclusione dal comune. Conflitti e bandi politi-
ci a Bologna e in altre città italiane tra XII e XIV secolo, Roma 2003 (Istituto Storico
Italiano per il Medioevo, Nuovi studi storici, 63), p. 39.
19 «Si cognovero aliquem civem alterum concivem studiose interfecisse, nisi
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Roberta Mucciarelli
pro difendendo fecerit, si habuerit turrim vel partem turris meliorem casam ei fa-
ciam destrui et de civitate illum expellam et per quinquennium in civitate Pistoria
eum habitare non permittam nec in suis burgis nec infra tria miliaria prope civita-
tem, me sciente, nisi pacificatus fuerit cum eo cum quo litem habuerit»: la norma,
tratta dagli Statuti pistoiesi del secolo XII, è citata in Milani, L’esclusione, cit., p
30.
20 «Si aliquis homo vel femina specialiter et meditative in homine nostre
Compagne homicidium fecerit, vel in illis qui non fuerint vocati, vel quos cognove-
rimus non esse utiles entrare in nostram Compagnam, vel in clerico sive in minore
qui habitant in nostra Compagna, homicidam illum exiliabimus bona fide, et omnia
bona illius que invenire poterimus diripiemus, et devastabimus». Codice diplomati-
co della Repubblica di Genova dal DCCCCLVIII al MCLXIII, a cura di C. Imperiale
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Demolizioni punitive: guasti in città
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discordia partes insimul pugnaverunt et tunc pro magna parte civitate combusta,
tandem pars Vivarensium cum ispo domino Ecelino expulsa est de civitate, cum
qua pars exivit tunc bone memorie Pistor episcopus vicentinus […]. Tunc domos et
turres quamplures amicorum domini Ecelini, ipsi fugatis, destruxerunt»: Gerardi
Maurisii, Cronica dominorum Ecelini et Alberici fratrum de Romano (aa. 1183-1237),
a cura di G. Soranzo, Città di Castello 1914 (RIS2, VIII/14), pp. 6, 12.
23 «et circa festum sancti Faustini expulsi sunt de civitate Iacobus confano-
nerius cum filiis Bocacci et cum societate eorum et Thomas potestas, et acceperunt
Vielminum de Lendera pro protestate et omnes tures eorum et eorum dificia dirup-
ta sunt» (dagli Annales Brixienses, citato da Milani, L’esclusione, cit., p. 65, nota).
24 P. Costa, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, 1, Roma-Bari 1999
p. 13.
25 Da una sentenza dei consoli di Milano del 1184 risulta infatti essere con-
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Demolizioni punitive: guasti in città
civitas, dalla comunità politica come tale, non è possibile per l’in-
dividuo, se non ad un prezzo insostenibile. «Si non est civis, non
est homo»: nel discorso politico-filosofico, nelle argomentazioni che
la cultura comunale elabora sulla cittadinanza, l’individuo — come
attesta Remigio de’ Girolami — non è pensabile al di fuori della rela-
zione costitutiva con la città. Di cui la domus è medium.
Non insisterò sul ruolo pregnante della domus: sistema di rap-
porti interpersonali, centro di fondamentali funzioni economiche,
luogo unitario di vita e attività produttiva, la domus è un microcosmo
regolato, sorretto da strutture memoriali e potestative. La storiogra-
fia ne ha illuminato bene il polivalente significato. Residenza comune
e indivisa di un gruppo parentale, la domus consortile inscrive nel
quadro del paesaggio urbano il vigore del ceppo originario e quel-
lo delle sue diramazioni più recenti; centro delle reti di clientele e
di amicizie, in essa affondano i sentimenti più profondi che deter-
dizione indispensabile per diventare cittadino milanese aver posseduto «ex longis
retro temporibus» una casa in città; possesso urbano e partecipazione agli oneri
collettivi di difesa indicano il carattere selettivo che assume la concessione di cittadi-
nanza, lo stesso carattere selettivo che ha assunto nel primo periodo l’immigrazione
dalla campagna alla città: solo chi è in grado di acquistare casa e di usare le armi,
semplificando, si sposta dal contado per entrare a far parte delle cittadinanza, come
civis a pieno diritto: Bordone, La società urbana, cit., pp. 34 e 56-57. A Siena, nel
1262, un decreto comunale stabilisce che un centinaio di uomini devono essere fatti
venire dal contado a vivere a Siena: essi devono essere fra i migliori, i più ricchi e in
età giovanile, e ciascuno sarà obbligato entro l’anno a costruire una casa in città: «e
ciascuno di loro sarà obbligato a costruirsi casa in città, in modo che tutti costruisca-
no le loro case entro l’anno in cui si sono trasferiti»: Il costituto del comune di Siena
dell’anno 1262, a cura di L. Zdekauer, Milano 1897, dist. IIII, rubriche L-LI, pp.
417-20). Spesso il comune interviene per stabilire il valore dell’immobile e il luogo
dove l’edificio doveva sorgere: ad esempio, a Brescia, nel 1313, lo statuto richiede la
costruzione delle case «in locis vastis sive in locis vacuis»; lo stesso a Siena, nel 1337
(«in loco ordinando per dominos novem»): citati in D. Bizzarri, Ricerche sul diritto
di cittadinanza nella costituzione comunale, Torino 1916, pp. 14-15 e nota.
26 Ivi, p. 15.
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Roberta Mucciarelli
za» con cui il comune popolare ricorreva alla distruzione dei beni dei
grandi, «tanto per punire in nome della giustizia […] quanto per
indebolire la potenza economica della casata» 29. Bologna, Firenze,
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Demolizioni punitive: guasti in città
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33 Anche Firenze fece ricorso negli assedi ai cavatori delle minieri argentifere
volterrane di Montieri: R. Davidsohn, Storia di Firenze, 8 voll., Firenze 1956-1968
[ed. or. Berlin 1896-1927], IV, p. I, p. 443.
34 Cronaca senese conosciuta sotto il nome di Paolo di Tommaso Montauri, in
Cronache senesi, cit., pp. 179-252 e 689-835: la ribellione alle pp. 225-6. Davidsohn,
Storia di Firenze, cit., II, p. II: pp. 272-73: «La domenica del 13 luglio del 1281
scoppiò per le vie di Siena un tumulto […]. Nicola di Bonifazio Buonsignori […]
credette di potere con una congiura rovesciare il podestà e il governo del ceto me-
dio, organo del quale erano i Quindici, e che faceva causa comune con i magnati
[…]. Attraverso una porta apertagli a tradimento da uno dei congiurati, egli pene-
trò in città con cento cavalieri, di cui facevano parte suo suocero, il conte palatino
Aldobrandino, Gherardo di Prata ed altri feudatari della Maremma. Ma del popo-
lo non si sollevò che una piccola parte […]. Essi poterono avanzare fino alla piazza
del Campo, e furono accolti in alcuni torri e palazzi. Sembra che lo scontro più vio-
lento avvenisse intorno al palazzo dei Belmonti, ma il podestà romano, che dovette
essere spronato a farlo con la promessa di una ricompensa in denaro, occupò il pa-
lazzo; e subito i cavalieri, con quelli che si erano uniti a loro, Grandi e popolani,
furono cacciati dalla città […] come di solito i palazzi fortificati e le torri dei congiu-
rati venivano rase al suolo». La documentazione sulla demolizione in ASS, Consiglio
Generale, 25, foglietto incollato al fo. 41 (25 agosto); fo. 37 (19 settembre); fogliet-
to incollato dopo il fo. 37 (dicembre 1281); ASS, Biccherna, 80 (II sem. 1281), cc.
169r-211.
35 ASS, Biccherna, 80, cc. 170v-177r.
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Demolizioni punitive: guasti in città
alla distruzione delle case, delle torri, dei palazzi, focolai di ribellio-
ne urbana 36, come era stata quella scoppiata il 12 luglio per le vie
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«bianco co’ ribaldi dipinti in gualdana e giucando» 43, era parte inte-
mo esercito di Saracini a cavallo e a piè venne in Soria, e puosesi ad oste alla città di
Tripoli […] e quella per dificii e cave ebbe per forza […]. E ciò fatto la feciono abat-
tere e disfare insino alle fondamenta» (ibidem, 1, VIII, CXXIX, pp. 595-96, Come i
Saracini presono Tripoli di Soria).
42 Guerra e guerrieri nella Toscana medievale, cit., p. 204.
43 Villani, Nuova cronica, cit., 1, VII, XL (Delle insegne per guerra ch’usava il
Comune di Firenze), p. 330.
44 Per una analisi, anche semantica, si veda I. Taddei, I ribaldi-barattieri nella
Toscana tardo-medievale: ruoli e rituali urbani, «Ricerche Storiche», XXVI (1996),
pp. 26-58, soprattutto pp. 38-40. Ringrazio Ilaria Taddei per la segnalazione.
45 Davidsohn, Storia di Firenze, cit., II, parte II, p. 652.
46 Così nella distruzione del castello di Lucca, il consiglio di quella città de-
liberò l’intervento di maestri di pietra fiorentini: «Veggendo li antiani di Lucchi
e loro consiglo che la voluntà de’ Lucesi era che il dicto castello, colle sue fortez-
ze si mandasse per terra, fu deliberato mandare a Firenza per maestri, & a quelli di
Lucca feron comandamento che si taglasse tucto. Et così si seguìo, chè il comune di
Firenza mandò a Luccha alquanti maestri di pietra & di mura, li quali cominciònno
a taglare dalla porta di san Iohanni infine alla porta della posterla di san Martino, e
li altri maestri in nelli altri luoghi: & in concluisone i predicti maestri fiorentini e lu-
cesi taglino et missero per terra le mura, torri & ogni fortezza del dicto castello […].
Et perché il comune di Firenze avea mandato tali maestri, fu deliberato che a tali
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Roberta Mucciarelli
maestri si donase uno pailio d’oro con alquanti fiorini; sì che rimaserno contenti»:
Le croniche di Giovanni Sercambi lucchese, pubblicate su manoscritti originali, a cura
di S. Bongi, Lucca 1892, p. 189 («CCXVI. Chome lo castello di Luccha si disfecie e
donòsi uno palio a’ maestri fiorentini»): vedi immagine in fine.
47 Villani, Nuova Cronica, cit., IX, 2 (anno 1310); sulla vicenda vedi anche E.
Crouzet-Pavan, Sopra le acque salse. Espaces, pouvoir et société à Venise à la fin du
Moyen Age, 2 voll., Roma 1992, vol II, pp. 921sgg.
48 Fasoli, Ricerche, cit., p. 258 (Firenze, Reggio, Chieri, Asti, Torino).
49 Ivi, p. 301.
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50 Ibidem, p. 280; per Chieri L. Cibrario, Storia di Chieri, 2 voll., Torino 1827,
II, p. 237.
51 Fasoli, Ricerche, cit., p. 281.
52 Ivi p. 285.
53 Vedi immagine in fine del contributo.
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Demolizioni punitive: guasti in città
diffusa e generalizzata: «si innalzi in un muro ciò che non può gio-
vare se resta disperso al suolo»: già in età gota, a stare a Cassiodoro,
Teoderico invitava i catanesi ad usare a vantaggio comune, per il
bene della loro città, «i sassi […] a terra, caduti» 64. Si legge negli
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Roberta Mucciarelli
66 Villani, Nuova Cronica, cit., IX, 2 (anno 1310): Castruccio Castracani per
meglio tenere in suo potere la città di Lucca fece costruire un meraviglioso castello
«che quasi la quinta parte della città di verso Pisa prese […] disfece molti case e tor-
ri di rebelle per avere le pietre e mattoni»: e ancora «negli anni di Cristo MCCLVIII
[…] quegli della casa degli Uberti co loro sèguito de’ Ghibellini, per sodducimen-
to di Manfredi, ordinarono di rompere il popolo di Firenze […]. Iscoperto il detto
trattato per lo popolo, fatti richiedere e citare da la signoria, non vollono comparire
né venire dinanzi […], per la qual cosa il popolo corse ad arme, e a furore corso-
no alle case degli Uberti […]; e gli altri della casa degli Uberti con più altre case de’
Ghibellini uscirono di Firenze. I nomi delle case di rinnomo ghibelline ch’usciro da
Firenze furo queste: gli Uberti, i Fifanti, i Guidi […], più altre case e schiatte di po-
polari e grandi scaduti, che tutti non si possono nominare, e altre case de’ nobili di
contado; e andarne a Siena la quale si reggea a parte ghibellina e erano nimici de’
Fiorentini: e furono disfatti i loro palagi e torri, che n’aveano assai, e di quelle pietre
si murarono le mura di San Giorgio Oltrarno, che’l popolo di Firenze fece in quelli
tempi cominciare per la guerra de’ Sanesi»: ivi, 1, VII, LXV, pp. 359-60.
67 P. Pirillo, Semifonte: nascita e morte di un centro fondato, in Semifonte
in Val d’Elsa e i centri di nuova fondazione dell’Italia medievale, Atti del Convegno
nazionale organizzato dal Comune di Barberino Val d’Elsa (Barberino Val d’Elsa,
12-13 ottobre 2002), a cura di P. Pirillo, Firenze 2004, pp. 235-271: p. 268.
68 Le demolizioni ordinate dai guelfi fiorentini nel 1267 delle case, i palazzi,
le torri ghibelline ebbero effetti di lunga durata sulla morfologia della città: i terreni
così ricavati rimasero per anni, in alcuni casi un quarto di secolo, «ammassi di rovi-
ne inutilizzati»: Davidsohn, Storia di Firenze, cit., II, parte I, p. 858.
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74 Luca, 21, 6.
75 Villani, Nuova Cronica, cit., 1, III, I, p. 98. Ma ripetuta in molti passi:
vd. ad esempio, ivi, 2, IX, LXXXVI, pp. 171-2 (Come i Fiorentini assediaro e eb-
bono il forte castello di Monte Accenico e disfeciollo, e feciono fare la Scarperia)
a proposito dell’assedio e della distruzione del castello di Montacciànico da parte
dei fiorentini (anno 1306): «i Fiorentini andarono ad oste sopra’l castello di Monte
Accenico in Mugello e puosonvi l’assedio; il quale castello […] era fortissimo di sito
e di doppie mura […] E al detto castello stette l’oste […] gittandovi difici e faccen-
dovi cave […]. E ‘l castello fue tutto abattuto e disfatto per gli Fiorentini, che non
vi rimase casa né pietra su pietra».
76 Ibidem, 1, III, 3, p. 100.
77 Ibidem, vol. I, libro VII, cap. 33, p 319.
78 Un’altra testimonianza figurata di questa tecnica di demolizione ci vie-
ne dalle Croniche di Sercambi: Le croniche di Giovanni Sercambi lucchese, cit., 1,
CCCCVI, p. 351 («Chome lo comune di Lucha riebbe Dallo e disfece la fortezza e
come s’arse Sillano e parte di Dallo e Soragio»).
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Enrico VII — 82, della ghibellina Assisi, conquistata dopo lungo as-
sedio dai perugini 83; a Fiesole, dove in una collina già ingombra di
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85 «Ma fu’ io solo, là dove sofferto / per ciascun di tòrre via Fiorenza / colui
che la difesi a viso aperto»: Dante alighieri, Divina Commedia, Inferno, X, 91-93.
Villani, Nuova Cronica, cit., VII, LXXXI (Come i ghibellini di Toscana ordinaro di
disfare la città di Firenze, e come messer Farinata degli Uberti la difese), pp. 384-87:
«A la qual proposta si levò e contradisse il valente e savio cavaliere messer Farinata
degli Uberti, e nella sua diceria propuose gli antichi due grossi proverbi che dicono:
<Com’asino sape, così minuzza rape> e <vassi capra zoppa, se’l lupo no lla ‘ntop-
pa>; e questi due proverbi rinestò in uno, dicendo: <com’asino sape, sì va capra
zoppa; così minuzza rape, se’l lupo no lla ‘ntoppa> recando poi con savie paro-
le assempro e comparazioni sopra il grosso proverbio, com’era follia di ciò parlare,
e come gran pericolo e danno ne potea avenire; e s’altri ch’egli non fosse, mentre
ch’egli avesse vita in corpo, colla spada in mano la difenderebbe […]. Sicchè per
uno buono uomo cittadino scampò la nostra città di Firenze da tanta furia, distrug-
gimento, ruina».
86 A Siena ancora nel 1371 la pratica della distruzione è attestata: alle fami-
glie condannate nel 1371 «fero disfare le loro case in fino a le fondamenta. E fero
guastare ancora quella di Magio […] e quella di Pietro Maniscalco e di più altri»:
Cronaca senese di Donato di Neri e di suo figlio Neri in Cronache senesi, cit., pp. 565-
865: 642.
87 Il comune scrive Pini si impegnò nel proibire la demolizione delle case. Col
passare del tempo e il moltiplicarsi dei guasti il comune si rese conto che le demo-
lizioni giudiziarie erano più un danno che un utile: molto meglio requisire le case
e affittarle, devolvendo gli introiti alle casse comunali. La legislazione mutò radi-
calmente. Si vietò a chiunque di demolire anche la propria casa a meno che non si
intendesse ricostruirla (Parma 1255). La ricostruzione doveva essere fatta in tempi
molto brevi (6 mesi, Reggio). Faceva capolino un fondamentale concetto urbanisti-
co sociale: gli edifici privati devono essere considerati ad honorem civitatis, A.I. Pini,
Città, comuni e corporazioni nel medioevo italiano, Bologna 1986 pp. 39-40.
88 «Quod domus exbannitorum seu proditorum non destruantur ymo pro co-
munis utilitate observantur»: Galvaneus De La Flamma, Opusculum de rebus gestis
ab Azone et Iohanne Vicecomitibus, in RIS2, XII, parte IV.
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Demolizioni punitive: guasti in città
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1) «La prima distruzione di Troia».
2) «Totila fa distruggere la città di Firenze».
3) «I Fiorentini conquistano e distruggono Fiesole».
4) «I Fiorentini distruggono Poggibonsi».
5) «I messinesi si difendono da Carlo I d’Angiò, particolare: le donne rico-
struiscono le mura».
6) «I Fiorentini assediano e distruggono Montacciànico».
7) «“Chome si cominciò a disfare parte delle fortezze e del castello di
Luccha”».
Francesca Bocchi
La “modernizzazione” delle città medievali
suoi abitanti.
Nel medioevo, in particolare nel XIII secolo e all’inizio di quello
successivo, le cose andavano più o meno allo stesso modo: si cerca
rono sempre più efficaci fonti energetiche e di approvvigionamento,
si immaginò un’urbanistica più rispondente ad una popolazione in
rapido sviluppo demografico, una città di cui si doveva governare lo
sviluppo in maniera ordinata e rispondente alle necessità della popo
lazione, che, allora come ora, aveva bisogno di produrre e di vivere
nelle città senza dissipare le risorse e perseguendo una buona quali
tà della vita.
Oltre a costruire acquedotti, bottini sotterranei e canali si mise
mano anche a perfezionare e a sviluppare un più complesso sistema
di regole che riguardavano la gestione della città e il governo del
lo sviluppo, regole che potessero possibilmente essere applicate a
tutti superando, se possibile, le disposizioni ad hoc per ogni singo
lo caso, come si era sempre fatto. Questo insieme di norme, regole,
disposizioni, provvedimenti, deliberazioni è confluito negli statuti
comunali, alcune volte in maniera assai ordinata e molto articolata,
in altre con meno attenzione, a seconda del livello di interesse che la
materia suscitava nella comunità a cui era diretta. Questo insieme di
regole per comodità di espressione e di comprensione lo chiamerò
“normativa urbanistica”, ben consapevole che il concetto moderno
di urbanistica non è applicabile ad una città medievale, ma altrettan
to consapevole che lo scopo che tale tipo di legislazione perseguiva
allora non è troppo diverso da quello di ora.
Infatti tutte le città italiane, che dal XII secolo si sono costitui
te in comune autonomo, hanno desiderato darsi al più presto una
normativa che ne regolasse la crescita ordinata. Fu quello il periodo
del maggior sviluppo urbanistico, sviluppo che avrebbe proseguito
fino al Trecento. Per affrontare in maniera efficace le esigenze della
popolazione cittadina si adeguò la città aumentandone la superficie
con una progressione tale che in realtà poterono poi essere soddi
sfatte le necessità urbane fino all’Ottocento, e in molti casi anche
all’inizio del Novecento. Ma fu anche necessario modernizzare quel
la che allora era già la città storica, non solo dal punto di vista del
rinnovamento edilizio, ma anche con la messa a norma degli impian
ti igienici delle case, con la ristrutturazione del sistema fognante, con
l’adduzione di abbondante acqua potabile, con la riqualificazione
del sistema di scolo e dei grandi collettori, senza deteriorare le acque
di superficie adibite a forza motrice.
332
La “modernizzazione” delle città medievali
Il XII secolo
Uno dei paragrafi più significativi delle consuetudini milanesi,
la cui applicazione ha contribuito a determinare il volto della città, è
quello che stabiliva la distanza minima di un piede (corrispondente
a Milano a cm. 43,5) fra il muro della casa e la linea di confine del
la proprietà, cosa che permetteva lo sgrondo delle acque e l’apertura
di finestre su quel lato della casa. Si consentiva inoltre di costruire
gli edifici addossati gli uni agli altri, purché non ci fossero aperture
e finestre nei muri in comunione, né si scaricassero le acque piova
ne sul proprio vicino.
Questa normativa, che sembrerebbe dedicata a risolvere la liti
giosità fra i vicini, in realtà ha contribuito a modificare l’aspetto della
città e a darle quella continuità nei fronti stradali che ancora oggi,
per quanto l’edilizia sia stata più volte sostituita e siano intervenu
ti piani regolatori a mutare la struttura viaria, essa mantiene. Infatti
l’antica norma che obbligava a rispettare una distanza minima dal
la linea di confine nella costruzione degli edifici, aveva determinato
un certo intervallo fra un edificio e l’altro: sono i passaggi privati che
tutti gli statuti dei secoli seguenti, anche quelli delle altre città, ri
cordano con terminologia locale (androne, o chiassi, o intercaselle,
o piazzole, o calli, o treseppi, etc.) che separavano una casa dall’al
tra, permettendo di scaricarvi per caduta libera i servizi igienici e le
acque nere delle case. I liquami da lì venivano poi convogliati diret
tamente sulla strada pubblica. Infatti la legislazione comunale del
Duecento in tutte le città fu dedicata ad obbligare la chiusura di tali
passaggi e a tombare gli scarichi per motivi non solo di decoro, ma
anche di igiene e di salute dei cittadini 1.
333
Francesca Bocchi
balchi) 2. Era poi cura degli abitanti delle case, se non vi aveva già
scoli a cielo aperto che inquinavano l’aria ed erano dannosi per la sa
2 Statuto del podestà [1162-1180], in Statuti pistoiesi del secolo XII, a cura di
N. Rauty, Pistoia 1997, r. 37.
3 Gli statuti di Bologna dell’anno 1288, a cura di G. Fasoli - P. Sella, 2 voll.,
Città del Vaticano 1937 e 1939 (Studi e Testi, 73, 85), d’ora in poi Fasoli - Sella,
II, p. 139.
4 È esempio di mantenimento efficiente del sistema fognante antico la cit
tà di Pavia.
335
Francesca Bocchi
lute. Già molte città nel Duecento avevano realizzato per lo meno le
strutture principali dei collettori e avevano obbligato i privati a tom
bare gli scoli, ma solo nel Trecento il sistema fognante poté diventare
efficiente e nel secolo successivo le città più grandi, quelle che nel
contempo erano diventate capitali di grandi stati regionali, avrebbe
ro portato a compimento questo importante servizio pubblico.
L’esigenza di razionalizzare il sistema degli scoli pubblici e priva
ti è particolarmente viva negli statuti di Milano, le cui norme giunsero
a maturazione alla metà del Trecento 5. Tutta la normativa là elabora
Gli statuti milanesi del Trecento tendono a fare di Milano una cit
tà ordinata, dove si proteggeva la salute dei cittadini, individuando
discariche extraurbane per i prodotti inquinanti (lavorazione delle
pelli, tinture e macellazione) e disciplinando in modo assai avanza
to gli scarichi dei servizi igienici delle case che «facevano amorbare
l’airo». Proibito il sistema antico degli scarichi negli spazi fra le case
che davano sulle strade, e disciplinato il deflusso delle acque piova
ne, l’amministrazione pubblica milanese si riservava di determinare
le modalità degli scarichi privati a seconda dei casi, obbligando a
farne richiesta per ogni nuova installazione, che, comunque, doveva
avere uno scarico sotterraneo e profondo.
Questa normativa segna una svolta nella sistemazione igienico-
sanitaria non solo di Milano, ma anche di tutte le altre città — nelle
sue linee principali è quella tuttora in uso — perché sottintende da
una parte la costruzione di collettori sotterranei per convogliare le
acque piovane nei fossati urbani, e dall’altra l’installazione nelle case
di scarichi a dispersione nel terreno, se non di veri e propri poz
zi neri, cosa che per altro avveniva sotto il controllo di tecnici del
comune.
336
La “modernizzazione” delle città medievali
7
Fasoli - Sella, II, pp. 103-104.
8
Fasoli - Sella, II, p. 141.
9
Statuta Communis Parmae digesta anno MCCLV, Parma 1857 (Monumenta
historica ad Provincias Parmensem et Placentinam pertinentia), p. 345, divieto agli
speziali di confezionare la piperata fuori dalla bottega.
10 È particolarmente presente negli statuti senesi, ma anche per esempio ad
Ascoli, la preoccupazione di salvaguardare la «bellessa della ciptà», che era con
tinuamente chiamata in causa, anche se poi gli interessi di gestione del territorio
cittadino non erano solo di carattere estetico (libro III, rubrica 19: «De la pena di
quilli che retene porci, scrofe et verri et che vando per la ciptà d’Asculi et de li bec
337
Francesca Bocchi
chari et hosteri che retinesse overo receptasse et cura havesse de verri et scrofe de le
frati de Sancto Antonio»).
11 P. Todaro, Utilizzazioni del sottosuolo di Palermo in età medievale, in
Palermo medievale, a cura di C. Roccaro, «Schede Medievali», nn. 30-31 (1996),
pp. 109-128.
12 D. Balestracci - C. Piccinni, Siena nel Trecento. Assetto urbano e strutture
edilizie, Firenze 1977; D. Balestracci - L. Vigni - A. Costantini, La memoria del-
l’acqua. I bottini di Siena, Siena 2006.
338
La “modernizzazione” delle città medievali
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Francesca Bocchi
340
La “modernizzazione” delle città medievali
341
Francesca Bocchi
15 F. Bocchi, Dalla grande crisi all’età comunale, “Atlante Storico delle cit
tà Italiane”, Bologna, I, Bologna 1996, pp. 49-114; F. Bocchi, Il Duecento, “Atlante
Storico…”, cit., Bologna, II, Bologna 1995. Cfr. Inoltre F. Bocchi, Bologna nei secoli
IV-XIV. Mille anni di storia urbanistica di una metropoli medievale, Bologna 2008.
16 I Portici di Bologna e l’edilizia civile medievale, a cura di F. Bocchi, Bologna
1990.
342
La “modernizzazione” delle città medievali
343
Francesca Bocchi
origine nel fatto che non si trovava l’accordo sul da farsi e ciascuno
cercava di gestire in proprio lo spazio che invece era comune: vere e
proprie liti di condominio. La normativa stabilì che, se un proprie
tario aveva nell’androna un proprio spazio inferiore ad un piede di
larghezza (38 cm) e a quattro di lunghezza (1,12 m), non poteva te
nervi il gabinetto, perché era necessario almeno un altro piede di
distanza oltre il muro del gabinetto. Solo nel caso in cui fosse pre
sente una fascia di almeno un piede di terreno di proprietà oltre la
caduta dei rifiuti, poteva essere costruito il gabinetto. Questa dispo
sizione conferma una norma, che aveva origini lontanissime, relativa
allo spazio di almeno un piede necessario fra la linea di confine della
proprietà e l’inizio della muratura, per consentire l’apertura di fine
stre. Se tali spazi risultavano stretti furono chiusi, se, invece, erano
più larghi e si era instaurata una consuetudine di passaggio, divenne
ro di uso pubblico.
La disposizione, che stabiliva che oltre la caduta dei liquami ci
dovesse essere ancora un piede di proprietà privata, interpretava la
norma antica in modo estensivo, considerando la parete del gabinet
to parte integrante dell’abitazione, cosa che probabilmente non era
così ben recepita, dato che si trattava di un manufatto quasi sempre
di materiali deperibili, che non poggiava sul suolo e che si trovava
all’interno di spazi privati per quanto comuni: la regola definita dal
Comune si basava sulla stessa metodologia e sui principi giuridici
che avevano sorretto la regolamentazione dei portici 21.
344
La “modernizzazione” delle città medievali
24 Frati, 1250, II, p. 387, libro IX, rubrica 65: «quia nemo potest stare in ipsa
ecclesia propter fetorem et sedilia et putredine, que videtur a sacerdote et ab homi
nibus et mulieribus stando ad officium...»
25 Frati, 1250, I, pp. 185-188, libro I, rubrica 26. Il divieto riguardava anche
la macerazione del lino, che era proibita da Casalecchio fino alle gualchiere della
Beverara.
345
Francesca Bocchi
346
La “modernizzazione” delle città medievali
Conclusioni
Nel corso del Trecento i temi urbanistici avviati nel secolo
precedente, quando i governi cittadini avevano acquisito la forza ne
cessaria per imporre a tutti delle regole, sono stati sviluppati con
rigore: le città costruirono acquedotti, raddrizzarono e allargarono
le strade, razionalizzarono il sistema fognante, impiantarono o ter
minarono nuovi circuiti di mura. Usando una terminologia attuale, si
potrebbe dire che in quel periodo le città da “medievali” divennero
“moderne”, poiché non si tollerarono più abusi edilizi, invasioni di
suolo pubblico, artigiani che lavoravano sulla strada, inquinamenti
del suolo, dell’aria e dell’acqua. Alla metà del secolo ci fu una dram
matica battuta d’arresto dovuta alla crisi e culminata nell’epidemia
di peste che ha colpito tutta l’Europa, ma da quella tragedia ci si ri
prese abbastanza presto, sostituendo l’edilizia fatiscente con edifici
che erano sempre meno di legno e sempre più di pietra e mattoni.
L’importante attività legislativa, messa in atto dai comuni nei
secoli centrali del Medioevo, ha poi determinato la struttura urba
na delle città italiane per secoli e anche oggi la maggior parte di esse
conserva le caratteristiche che allora furono attuate e protette. Gli
interventi urbanistici dell’età moderna per lo più sono stati limitati
a piccoli aggiustamenti, a miglioramenti nella qualità edilizia, all’al
largamento delle vie, ad accorpamenti di parcelle catastali per la
costruzione dei palazzi signorili, ma l’identità urbana italiana non è
mutata. In tempi più recenti qualche parte di città è stata sacrificata
al risanamento, alla scorrevolezza del traffico, all’attuazione di pia
ni regolatori. Ma in generale, a parte qualche eccezione, si è saputo
conciliare antico e moderno, consentendo agli uomini di oggi di vi
vere nelle città di ieri, in città nelle quali però, proprio nel Medioevo,
si è attuata una politica che ha consentito loro di modernizzarsi sen
za perdere la propria identità.
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Lunedì 14 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Giovanni Cherubini
Salvatore Tramontana
L’altra Italia.
La costruzione delle città
nel Mezzogiorno e in Sicilia
1 C’è stato infatti, a partire dal secolo VII — e via via accentuato nei secoli
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Salvatore Tramontana
ciò era stato fatto pure con gli edifici islamici, se dobbiamo credere
a Bartolomeo da Neocastro che, nella sua cronaca, riferisce di una
colonna marmorea rovesciata a terra, e sulla quale era scolpita l’im-
350
L’altra Italia. La costruzione delle città in Mezzogiorno e in Sicilia
sistema era stata ripetuta più volte: lo si legge nel Libellus de succesio-
ne pontificum in cui sta scritto che il vescovo Gualtiero, per costruire
la torre «ad munimen ecclesie, fecit trahi lapides magnos de civitate
veteri» 9. Il vescovo rendeva cioè operativo un sistema che le fonti
per la cattedrale di Caserta Vecchia, vale a dire della casa irta di cui
parla Erchemperto 11, e per la cattedrale di Acerenza, costruita con
del resto, per la cui costruzione era stato richiesto largo impiego di
manodopera, veniva edificata con materiale recuperato in gran parte
dalle rovine dell’antica vicina Megara 14. Cioè da quei luoghi in cui,
351
Salvatore Tramontana
352
L’altra Italia. La costruzione delle città in Mezzogiorno e in Sicilia
di costruire 20.
dei sovrani: Altamura, per esempio, veniva fondata, si legge nel do-
cumento del 1243, per «procurare dimore» agli uomini «de mandato
nostro translato», che detto con linguaggio semplice significava: per-
sone che, su ordine del sovrano, erano state costrette a trasferirsi in
quel centro de novo fundato 24.
essi ha ottenuto, egli riesce a manifestare la sua personalità, che è appunto quella
dell’inventore, del costruttore, dell’organizzatore.
20 A. Marino Guidoni, Architettura, paesaggio e territorio dell’Italia meridio-
nale nella cultura federiciana, in Federico II e l’arte del Duecento italiano, Atti della
III Settimana di studi di Storia dell’arte medievale dell’Università di Roma (15-20
maggio 1978), a cura di A.M. Romanini, Galatina 1980, I, pp. 75-77.
21 E. Garin, Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, Bari 1965, p. 51.
22 Della architettura libri dieci. Traduzione di C. Bartoli, Milano 1833, pp.
135-36. Si veda Garin, Scienza e vita, cit., pp. 48-49.
23 P.F. Palumbo, Contributi alla storia dell’età di Manfredi, Roma 1959, p.
85, che trascrive da un documento del Registro angioino del 1300-1301 edito da
M. Camera, Annali delle due Sicilie, Napoli 1841-60, I, pp. 253-56. Sul significa-
to strategico della fondazione di Manfredonia nei rapporti di Manfredi con alcuni
baroni, e specie nei rapporti con la costa albanese, si veda E. Pispisa, Il regno di
Manfredi. Proposte di interpretazione, Messina 1991, pp. 118-19 e 323. Significativo
comunque, pure nell’evidente esagerazione che Salimbene de Adam, Cronica, nuova
edizione critica a cura di G. Scalia, Bari 1966, p. 685, scrive di Manfredonia: «si
vixisset princeps de paucis annos amplius […] fuisset una de pulcrioribus civitati-
bus de mundo».
24 H. Niese, Normannische und Staufische Urkunden aus Apulien. Altamura,
«Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», IX (1906),
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L’altra Italia. La costruzione delle città in Mezzogiorno e in Sicilia
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Salvatore Tramontana
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L’altra Italia. La costruzione delle città in Mezzogiorno e in Sicilia
da Valentiniano III nel 440 36, consistenti modifiche nel secolo X 37,
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Salvatore Tramontana
nel medioevo la città nient’altro fosse che una fortezza difesa dalla cinta muraria,
nel cui spazio il progressivo e talvolta tumultuoso concentrarsi della popolazione
provocava “l’affastellarsi” di case addossate le une alle altre e persino alle mura.
Con scelte che avevano una dinamica di sviluppo che preannunciava, in tanti luoghi,
il concretizzarsi delle città industriali dei secoli XVIII-XIX, e il successivo sorgere
delle metropoli con le «attuali contraddizioni dell’urbanistica contemporanea che
— scrive K. Lynch, The Image of the City, Cambridge Mass. 1960, pp. 21-22 — si
situano al di là delle forme architettoniche». Per le quali va via via prendendo corpo
una sempre più attenta riflessione sulla necessità di progettare «la rappresentazione
delle città non più dal lato dei produttori dello spazio, ma da quello dell’abitante,
del cittadino».
43 P. Camporesi, Il pane selvaggio, Bologna 1980, p. 193. Significativo il richia-
mo a L.A. Muratori, Li tre governi, politico medico et ecclesiastico, utilissimi, anzi
necessari in tempo di peste, Milano 17213, p. 21.
44 M.S. Calo’ Mariani, I fenomeni artistici come espressione del potere, in
Potere, società e popolo in età normanna ed età sveva, 1189-1210, Atti delle quinte
Giornate normanno-sveve (Bari, Conversano, 26-28 ottobre 1981), Bari 1983, p.
225.
45 Pietro da Eboli, De rebus siculis carmen, cit., tav. L, p. 50. Negli archi
del colonnato superiore si leggono i nomi delle seguenti regioni: Frisia, Bavaria,
358
L’altra Italia. La costruzione delle città in Mezzogiorno e in Sicilia
Che i luoghi del resto fossero solo la cornice di quel che ac-
cadeva e non qualcosa di intrinseco, di connesso ai comportamenti
umani lo testimonia fra gli altri Ugo Falcando quando scrive che la
nobiltà del Regnum — la cui psicologia e i cui quadri mentali erano
espressione di ambienti rurali e feudali — risiedeva abitualmente in
città, dove aveva beni, giardini e palazzi talvolta fortificati 46. Ed è
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Salvatore Tramontana
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L’altra Italia. La costruzione delle città in Mezzogiorno e in Sicilia
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Salvatore Tramontana
«seduto e con i simboli del suo dominio […] e, con le braccia tese
[…], il volto tumido d’ira […] e i veresetti di minacce […] scolpi-
ti sulla facciata della porta veniva del resto considerata, da Andrea
Ungaro, già cappellano dei re d’Ungheria Bela e Stefano e cronista
che nel 1266 era al seguito di Carlo I d’Angiò, come emblema di
362
L’altra Italia. La costruzione delle città in Mezzogiorno e in Sicilia
logia magna civitatis Catanie che era la sede dei giurati cittadini 63 e
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Salvatore Tramontana
Satriano 66, in cimitero ecclesie Sancti Jacobi come a Barletta 67, nella
chiesa di San Paolo Maggiore come a Napoli 68, nella chiesa di Santa
364
L’altra Italia. La costruzione delle città in Mezzogiorno e in Sicilia
quelle sopraffazioni che, nei suoi quadri mentali, non potevano non
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Salvatore Tramontana
del resto mancati, e non mancano, autori che, come Vicens Vives 79
o William Bouwsma nel volume History and theory 80, hanno legato
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Lunedì 14 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Giovanni Cherubini
Carmela M. Rugolo
L’altra Italia: Bari
dedicare alla città comunale i lavori di queste giornate, sia pure nelle
innumerevoli sfaccettature sulle quali si è venuto via via discutendo,
è già dunque di per sé significativa. E lo è ancor più se si considera la
mole davvero imponente di analisi, digressioni, ricostruzioni, indagi-
ni, precisazioni che nel corso degli ultimi anni sono state dedicate al
tema in questione e che, proponendosi, ampliandosi, stratificandosi,
servendosi peraltro di metodologie e tecniche oltremodo raffinate,
hanno costruito un sistema concettuale tanto complesso da avere
reso desueto lo schema in gran parte tuttora utilizzato, risultato dalle
non sempre pacifiche, anzi talvolta sofferte riflessioni emerse dal di-
1 Bologna 1989.
2 Ivi, p. 13.
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Carmela M. Rugolo
felice espressione di Ivan Pini, si può dire che “la città meridiona-
le è la città meridionale”, con il suo carico di specificità che Mario
del Treppo ha rivendicato fin dagli anni Settanta dello scorso secolo,
quando appunto attribuiva alla persistenza di un mito storiografico
che affondava nella «trasfigurazione illuministica e risorgimentale del
regno normanno-svevo» la decisione di dedicare un’unica relazione
ai problemi del Mezzogiorno nel contesto di uno degli ultimi conve-
gni organizzati dall’allora Associazione dei Medievalisti Italiani 5.
368
L’altra Italia: Bari
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Carmela M. Rugolo
Bene, secondo Edrisi Bari era ai suoi tempi una città grande
e densamente popolata, collocata in una insenatura della costie-
ra adriatica. Le estremità di tale insenatura, la stessa che racchiude
oggi il porto nuovo, tra i meglio organizzati e più trafficati porti ita-
liani, sono costituite da due brevi penisole: in alto era quella detta
di S. Cataldo, sede adesso delle strutture della Fiera Mediterranea,
ma allora disabitata. Sull’istmo inferiore, quello che accoglie l’attua-
le ‘città vecchia’, sono stati rinvenuti segni di popolamento a partire
dal XII secolo a.C. 11. Sembra che tale sporgenza della costa, ormai
piatta e con una bassa elevazione sul livello del mare, fosse in età
preistorica un promontorio roccioso, separato dalla terraferma da
un terreno alluvionale, una sorta di acropoli naturale che si prestava
facilmente all’approdo e ad una agevole difesa 12. L’insediamento in
XIIe siècle, Roma 1973 (ed. it. Jaca Book, Milano 1980).
10 L. Provero, Feudalesimi a confronto. A proposito di due volumi recenti,
«Storica», VIII (2002), 23, p. 94.
11 M. Petrignani - F. Porsia, Bari, Bari 1982 (Le città nella storia d’Italia),
p. 6.
12 G. Musca, Sviluppo urbano e vicende politiche in Puglia. Il caso di Bari me-
dievale, in La Puglia tra Medioevo ed età moderna. Città e campagna, Milano 1981,
p. 15.
370
L’altra Italia: Bari
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Carmela M. Rugolo
una parte alle abitazioni, dall’altra alla via pubblica. Si trattava, come è stato sottoli-
neato — M. Cagiano de Azevedo, Problemi archeologici di Longobardi in Puglia, in
Puglia paleocristiana, sezione Apuliae res, II, Galatina 1974, p. 11 — «di un sistema
urbanistico a cellule, che consentiva una difesa isolata per ogni nucleo e che organiz-
zava la città in una serie di unità fortificate». Ma su tutto ciò cfr. M. Petrignani - F.
372
L’altra Italia: Bari
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Carmela M. Rugolo
dettagliata di fatti che esulano dal tema di questo discorso. Non sem-
bra inopportuno tuttavia richiamare ancora un passo di Guglielmo
di Puglia, che può offrire una qualche risposta alle domande appena
formulate. Scrive il cronista, descrivendo le operazioni di assedio, che
non meno audacemente degli attaccanti «urbem Cives defendunt;
374
L’altra Italia: Bari
non intra moenia clausi, cum duce pugnantes astant pro moenibus
urbis» 28: dunque i cittadini combattevano in difesa della loro città
capisce perché l’abbattimento delle mura era vissuto, ancor più che
offesa, come insopportabile umiliazione: quella iattura spogliava gli
abitanti non solo della protezione, ma della stessa dignità di cives 31.
375
Carmela M. Rugolo
fatto che risalga a breve distanza dalla prima attestazione di una por-
ta, detta appunto nuova, realizzata sul lato sud-orientale della cinta
muraria 36, settore in cui gli interventi sembrerebbero essere stati di
376
L’altra Italia: Bari
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L’altra Italia: Bari
proprio «nel quadro del potere politico bizantino, che affidò alla cit-
tà, alla sua accresciuta popolazione, alla sua Chiesa, alle sue capacità
difensive una funzione sempre più impegnativa in relazione alla cre-
scente minacciosa presenza dei Normanni» 50.
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Carmela M. Rugolo
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L’altra Italia: Bari
avviare a Bari una fase di gestione conciliativa 58, non riuscì a entra-
57 Esiste ormai una quantità notevole di indagini e ricerche che hanno chia-
rito aspetti assai diversificati delle vicende normanne nel Mezzogiorno e in Sicilia,
delle quali sarebbe impensabile dare conto in maniera esaustiva. Alcune di esse of-
frono anche chiavi di lettura per cogliere la complessa caratterizzazione culturale
e umana che si innescò tra i conquistatori e le popolazioni delle terre del sud, del-
le quali i nuovi venuti non compresero organizzazione e mentalità. Ciò è ancora
più evidente in relazione alle città, estranee ai loro quadri mentali. A tale riguar-
do è ormai definitivamente acquisito come «l’assillo di conquistarsi un futuro con
tutti i mezzi, la giovanile forza aggressiva, la cavalleria, la nobiltà di sangue, l’indi-
vidualismo e la devozione non furono sufficienti per entrare in un rapporto non
esclusivamente predatorio con un diversificato ma consolidato quadro urbano»: F.
Porsia, I segni sul territorio, cit., p. 228 e note. A questo testo si rinvia anche per la
accurata bibliografia. Va detto tuttavia che già S. Tramontana, La monarchia nor-
manna e sveva, cit., pp. 528-540, 593sgg., aveva evidenziato l’incapacità della nuova
classe dirigente di avviare un progetto di sviluppo condiviso con i ceti urbani, che ne
avrebbe potuto favorire il consolidamento e una diversa evoluzione.
58 Ivi, p. 501.
59 F. Porsia, Scienza finalizzata nel Mezzogiorno d’Italia nel periodo norman-
no-svevo, in Città e vita cittadina nei paesi dell’area mediterranea, cit., pp. 739-40.
Una città — Bari — fortemente integrata nella fittissima rete di centri urbani che
costellava il Meridione d’Italia; centri che, ha scritto Ernst Mayer più di un seco-
lo fa, erano vicini gli uni agli altri come in poche altre parti d’Europa: Italienische
Verfassungsgeschichte von den Gothenzeit bis zur Zunftherrschaft, Leipzig 1909, II,
p. 432. Cfr. anche M. Bellomo, Società e istituzioni dal Medioevo agli inizi dell’età
moderna, Roma 1997, pp. 82-83.
381
Carmela M. Rugolo
cato dal Guiscardo durante l’assedio e sede del governo nella prima
fase dell’assetto organizzativo 61. Com’è ovvio la reazione fu immedia-
382
L’altra Italia: Bari
66 E che, «per essere stato un vescovo orientale, sarebbe potuto divenire nella
prospettiva papale un veicolo di unione tra cristiani d’Oriente e cristianesimo ro-
mano»: G. Musca, Sviluppo urbano, cit., p. 34. Ma anche A. Pertusi, Ai confini tra
religione e politica, cit, p. 47.
67 Fondato fuori dalle mura della città nel 978-979, fu insieme con il vecchio
episcopio il più importante edificio religioso fino ai primi decenni del secolo XI e
fulcro dell’edilizia urbana: M. Petrignani - F. Porsia, Bari, cit., p. 18 e note. Ma indi-
cazioni soprattutto in F. Porsia, Il primo secolo di vita dell’Abbazia di San Benedetto
di Bari, in Insediamenti benedettini in Puglia. Per una storia dell’arte dall’XI al XVIII
secolo, a cura di M.S. Calo’ Mariani, Galatina 1980, I, pp.153-165. Cfr. anche G.
Musca, Sviluppo urbano, cit., p. 20.
68 Ivi, p. 34. Personaggio di grande prestigio, l’abate, nel momento in cui
assunse la carica, era «uomo non sgradito alla dirigenza bizantina e, insieme, già
ampiamente beneficiato dai Normanni»: F. Porsia, Il primo secolo di vita, cit., pp.
158-159. Ma era anche uomo «di cultura e di rango molto elevati […] abbastanza
ambizioso, tale almeno da assumersi il ruolo di mediatore nella questione della de-
positio delle reliquie di san Nicola»: A. Pertusi, Ai confini tra religione e politica, cit.,
p. 40, ma anche pp. 42, 48.
69 M. Petrignani - F. Porsia, Bari, cit., pp. 26-30. Ma anche P. Corsi, Bari e il
mare, cit., p. 110sgg. e G. Musca, Sviluppo urbano, cit., p. 36.
70 Ivi, pp. 29-37.
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Carmela M. Rugolo
una fase nuova, colma di inediti significati sul piano della identità
collettiva e di non meno importanti conseguenze sull’assetto urbani-
stico della città. Perché non è tanto la decisione di erigere un nuovo
tempio in onore del Santo, quanto il luogo scelto per edificarlo ciò
che va decisamente rimarcato. Dopo accesi contrasti, si stabilì cun-
ctus populus 74 — ed entrambi i termini si commentano da soli — di
384
L’altra Italia: Bari
cilio indetto dopo qualche anno dallo stesso papa Urbano al fine di
sanare lo scisma fra le due chiese 78, il santuario si trasformò in breve
75 Oltre i testi già indicati, cfr. P. Belli D’Elia, I segni sul territorio. L’architettura
sacra, in I caratteri originari, cit., pp. 282-284, e soprattutto Ead., Architettura e arti
figurative, cit. pp. 287- 311. «Si ha l’impressione — sottolinea A. Pertusi, Ai confi-
ni tra religione e politica, cit., pp. 46-47 — che in una parte della popolazione barese
(nobili e non nobili, ex-bizantini e latino-longobardi), sostenuta dalle autorità poli-
tiche e dall’abate Elia, ci sia l’intenzione ben precisa di elevare la ‘curtis domnica’ a
sede di culto, in modo che, come un tempo essa era il centro politico e il baluardo di
difesa della città, ora divenisse con la depositio delle reliquie il centro religioso della
venerazione del patrono e il palladio della città».
76 In quel momento il papa «attribuiva a Bari un ruolo di primo piano nel suo
programma»; la città diveniva «un centro religioso che attirava pellegrini» da ogni
dove. Forse fu proprio allora — prosegue G. Musca, Sviluppo urbano, cit., p. 34 —
«che Urbano affidò al poeta Guglielmo di Puglia l’incarico di scrivere un poema
epico che celebrasse la conquista normanna della regione, un poema che si richia-
ma alla tradizione classica e latina». Vedi anche M. Petrignani - F. Porsia, Bari, cit.,
p. 26 e A. Pertusi, Ai confini tra religione e politica, cit., p. 26sgg., che legge l’evol-
versi degli avvenimenti sul filo di un complesso meccanismo ai confini appunto tra
religione e politica.
77 Anonymus Barensis, Chronicon, cit., p. 155.
78 La celebrazione del concilio «ebbe come scopo ufficiale la composizione
dello scisma tra le due Chiese romana e bizantina (cioè cattolica e ortodossa), ma
come obbiettivo immediato e reale quello della sottomissione del clero greco del
Mezzogiorno e della sua completa latinizzazione»: G. Musca, Sviluppo urbano, cit.,
p. 34. Ma cfr. supra, nota 73.
385
Carmela M. Rugolo
già quarant’anni prima, nel pieno delle tribolate vicende che fecero
seguito alla morte del Guiscardo, Grimoaldo Alfaranite, nobile espo-
nente di una corrente autonomistica e antinormanna, protagonista di
una stagione politica che è stata vista come «il solo momento in cui
Bari agì se non come Comune almeno come signoria indipendente da
ogni potere esterno» 83, si intitolava gratia dei et beati Nicolai Barensis
386
L’altra Italia: Bari
387
Carmela M. Rugolo
Castelli medievali, cit., p. 62 — «un castello imposto o comunque voluto dal sovra-
no non tanto per rafforzare il sistema difensivo urbano, quanto per sottolineare la
centralità del potere regio. Una fortificazione, se si vuole sintetizzare con una for-
mula, contro più che per la città: formula tipica degli impianti castellari normanni».
Chiave di lettura già proposta da P. Delogu, I Normanni in città. Schemi politici e
urbanistici, in Società, potere e popolo nell’età di Ruggero II, Atti delle terze giornate
normanno-sveve (Bari 23-25 maggio 1977), Bari 1979, pp. 187-195.
89 Chronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966, II, p. 647.
90 De rebus gestis Rogerii Siciliae regis libri IV, in G. Del Re, Cronisti e scritto-
ri sincroni napoletani, I, Napoli 1845, pp. 114-115.
91 Ivi.
92 In tal senso gli studi sono numerosissimi. Si rinvia ai testi citati nelle note
precedenti; da ultimo, alla documentata analisi di R. Licinio, Castelli medievali, cit.,
p. 63sgg. e alla bibliografia ivi indicata.
388
L’altra Italia: Bari
389
Carmela M. Rugolo
390
Lunedì 14 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Giovanni Cherubini
Mauro Ronzani
Conclusioni
398
Indice dei nomi e dei luoghi
(a cura di Francesco Leoni)
434
PUBBLICAZIONI DEL CENTRO
Il Romanico pistoiese nei suoi rapporti con l’arte romanica dell’Occidente (Atti del I Convegno
Internazionale di Studi medioevali di Storia e d’Arte, 1964)
Mario Salmi, Prolusione — Giuseppe Marchini, La Cattedrale di Pistoia — Guido Morozzi,
Le chiese romaniche del Monte Albano — Giovanni Miccoli, Aspetti del monachesimo toscano
nel secolo XI — Raffaello Delogu, Pistoia e la Sardegna nella architettura romanica — Albino
Secchi, Restauro ai monumenti romanici pistoiesi — Wolfgang Braunfels, Tre domande a pro-
posito del problema «Vescovo e città nell’alto medioevo» — Knut Berg, Miniature pistoiesi del
XII secolo — Roberto Salvini, La scultura romanica pistoiese — Jean Hubert, La crypte de Saint-
Jean-de-Maurienne et l’expansion de l’art lombard en France — Maria Pia Puccinelli, La via-
bilità nel Contado Pistoiese in rapporto con i monumenti romanici — Sabatino Ferrali, Pievi e
parrocchie nel territorio pistoiese — Piero Sanpaolesi, I rapporti artistici tra Pistoia ed altri cen-
tri in relazione alla civiltà artistica romanica — Cinzio Violante - Cosimo Damiano Fonseca,
Ubicazione e dedicazione delle cattedrali dalle origini al periodo romanico nelle città dell’Italia
centro-settentrionale — Ugo Procacci, La pittura romanica pistoiese — Giulia Brunetti, Indagini
e problemi intorno al pulpito di Guido da Como in S. Bartolomeo a Pistoia — Emilio Cristiani,
Discorso di chiusura.
Il Gotico a Pistoia nei suoi rapporti con l’arte gotica italiana (Atti del II Convegno Internazionale
di Studi, 1966) (Esaurito)
Mario Salmi, Prolusione — Armando Sapori, I mercanti e le compagnie mercantili e bancarie
toscane fino ai primi del Quattrocento — Laura Becciani, La rocca di Montemurlo — Gerard
Gilles Meersermann, Origini del tipo di chiesa umbro-toscano degli Ordini mendicanti —
Ulrich Middeldorf, Gli inizi figurativi del Gotico a Pistoia — Albino Secchi, La cappella di S.
Jacopo a Pistoia e la «Sacrestia dei belli arredi» — Natale Rauty, Le finestre a crociera del palaz-
zo Panciatichi a Pistoia — Albino Secchi, Il tetto di San Francesco di Pistoia e la policromia de-
corativa del XIV sec. — Emilio Cristiani, Note sui rapporti tra il Comune e il contado di Pistoia
nel corso del secolo XIII — Zoltan Kádár, Il nuovo senso della natura nella scultura di Giovanni
Pisano — Giuseppe Marchini, L’altare argenteo di S. Iacopo e l’oreficeria gotica a Pistoia —
Enzo Carli, Scultori senesi a Pistoia — Cesare Gnudi, Il pulpito di Giovanni Pisano a Pistoia —
Sabatino Ferrali, L’ordine ospitaliero di S. Antonio Abate o del Tau e la sua casa a Pistoia —
Ugo Procacci, Gli affreschi della chiesa del Tau e la pittura a Pistoia nella seconda metà del sec.
XIV — Guido Morozzi, Caratteri stilistici e restauro del Palazzo di Giano — Maria Maddalena
Gauthier, L’art de l’émail champlevé à l’époque primitive du gothique — Mario Salmi, Due note
pistoiesi: I. Il fonte battesimale e il San Giovanni di Pistoia; II. Il «Compianto» dell’Ospedale del
Ceppo — Marco Chiarini, Oggetti gotici d’arte minore e il futuro Museo diocesano di Pistoia —
Raffaello Melani, Pistoia ed i pistoiesi nel canto XXIV dell’Inferno — Mario Apollonio, Dante:
figuratività gotica e drammaticità romanica ed umanistica della «Commedia».
Le zecche minori toscane fino al XIV secolo (Atti del III Convegno Internazionale di Studi,
1967)
Mario Salmi, Parole di apertura — Federico Melis, L’economia delle città minori della Toscana —
Jean Lafaurie, Le trésor carolingien de Sarzana-Luni — Antonio Bertino, La monetazione alto-
medievale di Luni — Giovanni Gorini, Osservazioni preliminari per lo studio dei rapporti tra
l’area monetale toscana e quella veneta nei secoli XIII e XIV — Gian Guido Belloni, La zecca di
Lucca dalle origini a Carlo Magno — Enrico Coturri, Note e documenti relativi ad alcune monete
lucchesi del secolo XIV — Antonio Del Mancino, La zecca di Siena al tempo del governo dei Nove
(1292-1355) — Franco Panvini Rosati, La monetazione delle zecche minori toscane nel periodo
comunale — Mario Bernocchi, Una originale manifestazione della zecca di Prato 1336-1343 —
Carlo Meloni, Sui due bianchi di Pisa attribuiti alla zecca di Villa di Chiesa — David Herlihy,
Pisan coinage and the monetary history of Tuscany, 1150-1250 — Emilio Cristiani, Problemi di
datazione delle monete comunali pisane — Franco Panvini Rosati, Discorso di chiusura.
Il Restauro delle opere d’arte (Atti del IV Convegno Internazionale di Studi, 1968)
Emilio Cristiani, Presentazione — Mario Salmi, Prolusione — Pietro Gazzola, L’opera dell’UNE-
SCO per la salvaguardia dei monumenti e delle opere d’arte (beni culturali) — Ugo Procacci, Le
tecniche ed il restauro degli affreschi — Ugo Procacci, Le tecniche ed il restauro dei dipinti su ta-
vola e su tela — Pasquale Rotondi, Azione e responsabilità dello Stato nel campo del restauro —
Guglielmo De Angelis d’Ossat, Il restauro dei monumenti ieri ed oggi — Francesco Nicosia,
Problemi del restauro archeologico — Rosario Jurlaro, Conservazione delle pitture rupestri in
Puglia — Lidia Bianchi, Conservazione e restauro dei disegni e delle stampe — Emerenziana
Vaccaro, Tecniche del restauro dei codici miniati e dei manoscritti — Luciano Berti, Il restau-
ro delle sculture — Carlo Muttinelli, La conservazione delle armi e degli oggetti metallici lon-
gobardi — Lidia Becherucci, Problemi di museologia — Giuseppe Marchini, Il restauro de-
gli oggetti delle arti minori — Marie Madeleine Gauthier, Antichi ripristini e restauri moderni
su smalti e oreficerie medioevali — Enzo Carli, Relazione sulla attività della Soprintendenza ai
Monumenti e Gallerie di Siena — Guido Morozzi, Problemi ed attività relativi al restauro dei
monumenti — Albino Secchi, Restauro di monumenti a Pistoia ed Arezzo — Juan Bassegoda
Nonell, Restauro di un’opera di Gaudí — Ubaldo Lumini, Immagini storico-tecniche sul disse-
sto della Torre di Pisa.
Egemonia fiorentina ed autonomie locali nella Toscana nord-occidentale del primo Rinascimento:
vita, arte, cultura (Atti del VII Convegno Internazionale di Studi, 1975)
Emilio Cristiani, Presentazione — Mario Salmi, Discorso inaugurale — Giorgio Chittolini, La
formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado: ricerche sull’ordinamento territoria-
le del dominio fiorentino agli inizi del secolo XV — David Herlihy, Le relazioni economiche di
Firenze con le città soggette nel secolo XV — Riccardo Fubini, Antonio Ivani da Sarzana: un teo-
rizzatore del declino delle autonomie comunali — Ezzelinda Altieri Magliozzi, Istituzioni comu-
nali a Pistoia prima e dopo l’inizio della dominazione fiorentina — Francesco Negri Arnoldi, Il
monumento sepolcrale del Card. Niccolò Forteguerri in Santa Cecilia a Roma e il suo cenotafio
nella Cattedrale di Pistoia — Ugo Procacci, Il pittore pistoiese Bartolommeo di Andrea Bocchi —
Francesco Negri Arnoldi, Matteo Civitali, scultore lucchese — Luisa Cogliati Arano, Influssi
toscani sulla scultura padana: Maffiolo da Carrara — Guido Pampaloni, Ricordo di Federigo
Melis — Sabatino Ferrali, “Omelia in memoria di Federigo Melis” — Lucia Gai, Rapporti fra
l’ambiente artistico pistoiese e fiorentino alla fine del Trecento ed ai primi anni del Quattrocento:
riesame di un problema critico — Enzo Carli, Il pittore Gerino da Pistoia — Sabatino Ferrali,
Rapporti religiosi ed ecclesiastici tra Pistoia e Firenze nel secolo XV — Giancarlo Savino, Libri
ed amici di Sozomeno da Pistoia negli anni del Concilio di Costanza — Enrico Coturri, La me-
dicina a Firenze nel Quattrocento e i suoi riflessi nelle altre città della Toscana settentrionale —
Gino Arrighi, La matematica nella Toscana nord-occidentale nei secoli XII-XV — Alessandro
Gambuti, L’architettura del primo Rinascimento nella Toscana nord-occidentale: influssi fiorenti-
ni e caratteristiche locali — Francesco Guerrieri, Cultura architettonica del primo Rinascimento
in territorio pratese — Giuseppe Marchini, Castelli, fortezze e ville del primo Rinascimento nel-
la Toscana del Nord — Michele Luzzati, Politica di salvaguardia dell’autonomia lucchese nel-
la seconda metà del secolo XV — Guglielmo Lera, Forme associative, condizioni economiche e
sensibilità artistica di alcuni paesi della campagna lucchese nel primo Rinascimento — Emilio
Cristiani, Discorso di chiusura.
Civiltà ed economia agricola in Toscana nei secc. XIII-XV: problemi della vita delle campagne
nel Tardo Medioevo (Atti dell’VIII Convegno Internazionale di Studi, 1977)
Emilio Cristiani, Presentazione — Raffaello Melani, La vita dei campi e il contadino nella Divina
Commedia — Christian Bec, Le paysan dans la nouvelle toscane (1350-1430) — Alessandro
Guidotti, Agricoltura e vita agricola nell’arte toscana del Tre e Quattrocento (di alcune miniatu-
re fiorentine e senesi del XV secolo) — Giovanni Cherubini, Risorse, paesaggio ed utilizzazione
agricola del territorio della Toscana sud-occidentale nei secoli XIV-XV — Charles de la Roncière,
Solidarités familiales et lignagères dans la campagne toscane au XIV s.: l’exemple d’un village de
Valdelsa (1280-1350) — Christiane Klapisch-Zuber, Mezzadria e insediamenti rurali alla fine del
Medio Evo — Maria Serena Mazzi - Sergio Raveggi, Masserizie contadine nella prima metà del
Quattrocento: alcuni esempi del territorio fiorentino e pistoiese — Laura De Angelis, Tecniche
di coltura agraria e attrezzi agricoli alla fine del Medioevo — Giuliano Pinto, Coltura e produzio-
ne dei cereali in Toscana nei secoli XIII-XV — Riccardo Francovich, Il contributo dell’archeolo-
gia medievale alla storia della cultura materiale e dell’insediamento nella Toscana basso medie-
vale — Fabio Redi, Opere di bonifica dei terreni agricoli nel territorio pisano-lucchese a cavallo
fra i secc. XIII e XV — Natale Rauty, Intervento del Comune nel controllo delle misure a Pistoia
(secoli XII-XV) — Gino Arrighi, Fra’ Leonardo da Pistoia trattatista di «geometria pratica» —
David Herlihy, The problem of the «return to the land» in Tuscan economic history of the four-
teenth and fifteenth centuries — Emilio Cristiani, Discorso di chiusura.
Università e società nei secoli XII-XVI (Atti del IX Convegno Internazionale di Studi, 1979)
Emilio Cristiani, Presentazione — Gina Fasoli, Rapporti tra le città e gli «Studia» — Johannes
Fried, Vermögensbildung der Bologneser Juristen im 12 und 13 Jahrhundert — Manlio Bellomo,
Studenti e «Populus» nelle città universitarie italiane dal secolo XII al XIV — Girolamo Arnaldi,
Fondazione e rifondazioni dello Studio di Napoli in età sveva — Gino Arrighi, La matemati-
ca fra bottega d’abaco e Studio in Toscana nel Medio Evo — Giuliano Catoni, Il Comune di
Siena e l’amministrazione della Sapienza nel sec. XV — Enrico Coturri, L’insegnamento del-
l’anatomia nelle università medioevali — Jacques Verger, Les rapports entre Universités italien-
nes et Universités françaises méridionales (XIIe-XVe siècles) — Walter Steffen, Il potere studen-
tesco a Bologna nei secoli XIII e XIV — Ennio Cortese, Legisti, canonisti e feudisti: la forma-
zione di un ceto medievale — Rodolfo Del Gratta, Spigolature storiche sull’Università di Pisa
nel 1400 e 1500 — Giovanni Santini, Università e società a Modena tra il XII e il XIII secolo —
Paolo Sambin, Giuristi padovani del Quattrocento tra attività universitaria e attività pubbli-
ca. I. Paolo d’Arezzo († 1433) e i suoi libri — Jean Leclerq, Lo sviluppo dell’atteggiamento cri-
tico degli allievi verso i maestri dal X al XIII secolo — Renzo Grandi, Le tombe dei dottori bo-
lognesi: ideologia e cultura — Stefano Zamponi, Manoscritti con indicazioni di pecia nell’Archi-
vio Capitolare di Pistoia — Alessandro Conti, Appunti sulla miniatura nei codici giuridici del
Duecento a Bologna — Armando F. Verde, Vita universitaria nello Studio della Repubblica fio-
rentina alla fine del Quattrocento — Tiziana Pesente, Generi e pubblico della letteratura medi-
ca padovana nel Tre e Quattrocento — Maria Carla Zorzoli, Interventi dei Duchi e del Senato di
Milano per l’Università di Pavia (secoli XV-XVI).
Artigiani e salariati: il mondo del lavoro nell’Italia dei secoli XII-XV (Atti del X Convegno
Internazionale di Studi, 1981)
Emilio Cristiani, Presentazione — Giovanni Cherubini, I lavoratori nell’Italia dei secoli XIII-
XV: considerazioni storiografiche e prospettive di ricerca — Bruno Dini, I lavoratori dell’Arte del-
la Lana a Firenze nel XIV e XV secolo — Giuliano Pinto, L’organizzazione del lavoro nei cantieri
edili (Italia centro-settentrionale) — Laura Balletto, I lavoratori nei cantieri navali (Liguria, secc.
XII-XV) — Marco Tangheroni, La vita a bordo delle navi — Antonio Ivan Pini, La ripartizio-
ne topografica degli artigiani a Bologna nel 1294: un esempio di demografia sociale — Lucia Gai,
Artigiani e artisti nella società pistoiese del basso Medioevo. Spunti per una ricerca — Amleto
Spicciani, Solidarietà, previdenza e assistenza per gli artigiani nell’Italia nell’Italia medioeva-
le (secoli XII-XV) — Duccio Balestracci, I lavoratori poveri e i «disciplinati» senesi. Una forma
di assistenza alla fine del Quattrocento — Rosa Maria Dentici Buccellato, Lavoro e salari nella
Sicilia del Quattrocento (la terra e il mare) — Odile Redon, Images des travailleurs dans les nou-
velles toscanes des XIVe et XVe siècles — Emilio Cristiani, Artigiani e salariati nelle prescrizioni
statutarie — Francesco Gandolfo, Lavoro e lavoratori nelle fonti artistiche.
Tecnica e società nell’Italia dei secoli XII-XVI (Atti dell’XI Convegno Internazionale di Studi,
1984)
Emilio Cristiani, Presentazione — Antonio Ivan Pini, Energia e industria tra Sàvena e Reno: i
mulini idraulici bolognesi tra XI e XV secolo — Riccardo Berretti - Egidio Iacopi, I molini ad
acqua di Valleriana — Renzo Sabbatini, La produzione della carta dal XIII al XVI secolo: strut-
ture, tecniche, maestri cartai — Leandro Perini, Stamperie quattrocentesche: vocabolario, tecni-
che e rapporti giuridici — Walter Endrei, Rouet italien et métier de Flandre à tisser au large —
Bruno Dini, Una manifattura di battiloro nel Quattrocento — Angela Ghinato, Tecnica e socie-
tà nell’Italia dei secoli XII-XVI. Tecniche e organizzazione del lavoro nell’arazzeria a Ferrara al-
l’epoca di Borso d’Este — Natale Rauty, Tecniche di costruzione e di cantiere nell’antico palaz-
zo dei Vescovi di Pistoia (secoli XI-XIV) — Gino Arrighi, Nozioni ad uso degli architetti del
basso Medio Evo — Maureen Fennel Mazzaoui, La diffusione delle tecniche tessili del coto-
ne nell’Italia dei secoli XII-XVI — M.E. Bratchel, The Silk Industry of Lucca in the Fifteenth
Century — Luciana Frangioni, La tecnica di lavorazione dei bacinetti: un esempio avignone-
se del 1379 — Enrico Coturri, Gli strumenti chirurgici nel medioevo e la loro fabbricazione —
Emanuela Guidoboni, «Delli rimedi contra terremoti per la sicurezza degli edifici»: la casa anti-
sismica di Pirro Ligorio (sec. XVI) — Francesco Guerrieri, Considerazioni sulle tecniche del can-
tiere edilizio medievale — Ugo Procacci, I colori e la tecnica pittorica.
Città e servizi sociali nell’Italia dei secoli XII-XV (Atti del XII Convegno Internazionale di
Studi, 1987) (Esaurito)
Emilio Cristiani, Presentazione — Henri Bresc, Ecole et services sociaux dans les cités et les «ter-
res» siciliennes (XIIIe-XVe siècles) — Giovanna Petti Balbi, Istituzioni cittadine e servizi scola-
stici nell’Italia centro-settentrionale tra XIII e XV secolo — Anna Maria Nada Patrone, «Super
providendo bonum et sufficientem magistrum scholarum». L’organizzazione scolastica delle cit-
tà nel tardo medioevo — Francesca Luzzati Laganà, Un maestro di scuola toscano del Duecento:
Mino da Colle di Valdelsa — Giuliana Albini, L’assistenza all’infanzia nelle città dell’Italia pa-
dana (secoli XIII-XV) — Gian Maria Varanini - Giuseppina De Sandre Gasparini, Gli ospeda-
li dei «malsani» nella società veneta del XII-XIII secolo. Tra assistenza e disciplinamento urba-
no. I. L’iniziativa pubblica e privata. II. Organizzazione, uomini e società: due casi a confronto —
Mauro Ronzani, Nascita e affermazione di un grande «hospitale» cittadino: lo Spedale Nuovo di
Pisa dal 1257 alla metà del Trecento — Lucia Sandri, Aspetti dell’assistenza ospedaliera a Firenze
nel XV secolo — Enrico Coturri, Spedali della città e del contado a Pistoia nel medioevo — Irma
Naso, L’assistenza sanitaria negli ultimi secoli del medioevo. I medici «condotti» delle comuni-
tà piemontesi — Gabriella Piccinni, L’ospedale di Santa Maria della Scala di Siena. Note sulle
origini dell’assistenza sanitaria in Toscana (XIV-XV secolo) — Anna Benvenuti Papi, «In domo
bighittarum seu viduarum». Pubblica assistenza e marginalità femminile nella Firenze medieva-
le — Pierre Racine, Il sistema ospedaliero lombardo (secoli XII-XV) — Silvana Collodo, Il siste-
ma annonario delle città venete: da pubblica utilità a servizio sociale (secoli XIII-XVI) — Duccio
Balestracci, La lotta contro il fuoco (XIII-XVI secolo) — Roberto Greci, Il problema dello smal-
timento dei rifiuti nei centri urbani dell’Italia medievale — Maria Serena Mazzi, Un «dilettoso
luogo»: l’organizzazione della prostituzione nel tardo Medioevo — Halina Manikowska, Il con-
trollo sulle città. Le istituzioni dell’ordine pubblico nelle città italiane dei secoli XIV e XV.
Italia 1350-1450: tra crisi, trasformazione, sviluppo (Atti del XIII Convegno Internazionale
di Studi, 1991) (Esaurito)
Giovanni Cherubini, Presentazione — Emilio Cristiani, Introduzione — Antonio Ivan Pini,
La demografia italiana dalla Peste Nera alla metà del Quattrocento: bilancio di studi e proble-
mi di ricerca — Maria Ginatempo, Dietro un’eclissi: considerazioni su alcune città minori del-
l’Italia centrale — Silvana Collodo, Governanti e governati. Aspetti dell’esperienza politica nel-
le città dell’Italia centro-settentrionale — Giovanna Petti Balbi, Dinamiche sociali ed esperien-
ze istituzionali a Genova tra Tre e Quattrocento — Francesco Tateo, Le trasformazioni del gu-
sto letterario — Bruno Dini, L’evoluzione del commercio e della banca nelle città dell’Italia cen-
tro-settentrionale dal 1350 al 1450 — Alberto Cipriani, Economia e società a Pistoia tra metà
Trecento e metà Quattrocento — Anthony Molho, Tre città-stato e i loro debiti pubblici. Quesiti
e ipotesi sulla storia di Firenze, Genova e Venezia — Reinhold C. Mueller, Il circolante manipo-
lato: l’impatto di imitazione, contraffazione e tosatura di monete a Venezia nel tardo Medioevo —
Gabriella Piccinni, L’evoluzione della rendita fondiaria in Italia: 1350-1450 — Donata Degrassi,
Il Friuli tra continuità e cambiamento: aspetti economico-sociali e istituzionali — Giovanni
Vitolo, Il Mezzogiorno tra crisi e trasformazione. Secoli XIV-XV — Henri Bresc, Changer pour
durer: la noblesse en Sicile 1380-1450 — Rosa Maria Dentici Buccellato, Centri demaniali e cen-
tri feudali: due esempi siciliani — Marco Tangheroni, La Sardegna tra Tre e Quattrocento —
Giorgio Cracco, Aspetti della religiosità italiana del Tre-Quattrocento: costanti e mutamenti —
Maria Laura Cristiani Testi, Il «Trionfo della Morte» nel Camposanto monumentale di Pisa – e
la cultura artistica letteraria religiosa di metà Trecento — Andrea Zorzi, Ordine pubblico e am-
ministrazione della giustizia nelle formazioni politiche toscane tra Tre e Quattrocento — Ovidio
Capitani, L’etica economica: considerazioni e riconsiderazioni di un vecchio studioso — Giuliano
Pinto, Conclusioni.
Il senso della storia nella cultura medievale italiana (1110-1350) (Atti del XIV Convegno
Internazionale di Studi, 1993)
Giovanni Cherubini, Presentazione — Massimo Oldoni, Sentimento del tempo e del silenzio
d’un medioevo italiano. Introduzione a «Il senso della storia nella cultura medievale italiana
(1110-1350)» — Maria Consiglia De Matteis, Il senso della storia in Dante — Giovanna Petti
Balbi, Il presente e il senso della storia in Caffaro e nei suoi continuatori — Sante Bortolami,
Da Rolandino al Mussato: tensioni ideali e senso della storia nella storiografia padovana di tra-
dizione «repubblicana» — Augusto Vasina, Le cronache emiliane e romagnole: dal Tolosano a
Riccobaldo (secoli XII-XIV) — Giuseppe Scalia, Annalistica e poesia epico-storica pisana nel se-
colo XII — Giuseppe Porta, La costruzione della storia in Giovanni Villani — Natale Rauty,
Le «Storie pistoresi» — Agostino Paravicini Bagliani, Le biografie papali duecentesche e il sen-
so della storia — Massimo Miglio, Anonimo romano — Salvatore Tramontana, Il senso del-
la storia e del quotidiano nelle parole e nelle immagini dei cronisti normanni e svevi — Anna
Benvenuti, «Secondo che raccontano le storie»: il mito delle origini cittadine nella Firenze co-
munale — Paolo Golinelli, L’agiografia cittadina: dall’autocoscienza all’autorappresentazio-
ne (sec. IX-XII; Italia settentrionale) — Franco Cardini, Le crociate nella memoria storica —
Grado G. Merlo, Coscienza storica della presenza ereticale nell’Italia degli inizi del Duecento —
Paolo Cammarosano, I «libri iurium» e la memoria storica delle città comunali — Pierre Racine,
Mythes et mémoires dans les familles nobles de Plaisance — Giancarlo Andenna, La storia con-
temporanea in età comunale: l’esecrazione degli avversari e l’esaltazione della signoria nel lin-
guaggio figurativo. L’esempio bresciano — Lucia Gai, La memoria storica e le sue immagini nel-
la civiltà comunale di Pistoia: alcuni esempi dei secoli XII e XIII — Carlo Delcorno, «Antico» e
«moderno» nella predicazione medievale — Cesare Vasoli, La storia nella meditazione filosofica,
da Alberto Magno a Marsilio da Padova — Pierre Toubert, Conclusions — Giovanni Cherubini,
Alfredo Bonzi non è più con noi.
Magnati e popolani nell’Italia comunale (Atti del XV Convegno Internazionale di Studi,
1995)
Giovanni Cherubini, Presentazione — Jean-Claude Maire Vigueur, Il problema storiografico:
Firenze come modello (e mito) di regime popolare — Paolo Cammarosano, Il ricambio e l’evolu-
zione dei ceti dirigenti nel corso del XIII secolo — Sante Bortolami, Le forme «societarie» di or-
ganizzazione del popolo — Aldo A. Settia, I luoghi e le tecniche dello scontro — Antonio Rigon,
Il ruolo delle chiese locali nelle lotte tra magnati e popolani — Andrea Giorgi, Il conflitto ma-
gnati/popolani nelle campagne: il caso senese — Sandro Carocci, Comuni, nobiltà e papato nel
Lazio — Giovanna Petti Balbi, Magnati e popolani in area ligure — Christiane Klapisch-Zuber,
Vrais et faux magnats. L’application des Ordonnances de Justice au XIVe siècle — Gabriella
Garzella, L’edilizia pubblica comunale in Toscana — Silvana Collodo, Ceti e cittadinanze nei co-
muni della pianura veneta durante il secolo XIII — Pierre Racine, Le «popolo» à Plaisance: du
régime «populaire» à la Seigneurie — Antonio Ivan Pini, Magnati e popolani a Bologna nella se-
conda metà del XIII secolo — Renato Bordone, Magnati e popolani in area piemontese, con par-
ticolare riguardo al caso di Asti — Alberto Cipriani, Gli affari sono affari: le grandi famiglie pi-
stoiesi tra potere economico e potere politico — Giovanni Cherubini, Parole di saluto.
Gli spazi economici della Chiesa nell’Occidente mediterraneo (secoli XII-metà XIV) (Atti del
XVI Convegno Internazionale di Studi, 1997)
Giovanni Cherubini, Presentazione — Paolo Cammarosano, Il ruolo della proprietà ecclesiastica
nella vita economica e sociale del medioevo europeo — Agostino Paravicini Bagliani, Per una sto-
ria economica e finanziaria della corte papale preavignonese — Bruno Dini, I mercanti-banchieri
e la Sede apostolica (XIII - prima metà del XIV secolo) — Luisa Chiappa Mauri, L’economia ci-
stercense tra normativa e prassi. Alcune riflessioni — Alfio Cortonesi, Contrattualistica agraria e
proprietà ecclesiastica (metà sec. XII - inizi sec. XIV). Qualche osservazione — Etienne Hubert,
Propriété ecclésiastique et croissance urbaine (à propos de l’Italie centro-septentrionale, XIIe-dé-
but du XIVe siècle) — Antonio Ivan Pini, Proprietà vescovili e comune di Bologna fra XII e XIII
secolo — Francesco Panero, I vescovadi subalpini: trasformazioni e gestione della grande pro-
prietà fondiaria nei secoli XII-XIII — Valeria Polonio, Gli spazi economici della Chiesa geno-
vese — Vincenzo D’Alessandro, Il ruolo economico e sociale della Chiesa in Sicilia dalla rina-
scita normanna all’età aragonese — Gian Maria Varanini, Gli spazi economici e politici di una
Chiesa vescovile: assestamento e crisi nel principato di Trento fra fine XII e inizi XIV sec. —
Gianfranco Pasquali, Le «concordiae» tra chierici e laici nei comuni di Ravenna e Modena alla
fine del XII secolo — Charles Marie de la Roncière, Condizioni economiche del clero parrocchia-
le, rurale e urbano, nell’Europa meridionale, XII-XV secoli (osservazioni da lavori recenti) —
Juan Carrasco Pérez, Espacios económicos de la Iglesia en el Reino de Navarra (1134-1328) —
José Ángel García De Cortázar, Reconquista, economía e Iglesia en Castilla en los siglos XII
y XIII — Lorenzo Paolini, Le finanze dell’Inquisizione in Italia (XIII-XIV sec.) — Wilhelm
Kurze, Accenni sugli aspetti economici dei monasteri toscani — Amleto Spicciani, L’ospedale di
Altopascio nella Lucchesia del secolo XII. Donazioni, acquisti e prestiti — Renzo Nelli, La pro-
prietà ecclesiastica in città e nelle campagne pistoiesi — Adriano Peroni, «Opera», cantieri, archi-
tetti nelle cattedrali dell’Italia centrosettentrionale: qualche spunto per la ricerca.
Vescovo e città nell’alto Medioevo: quadri generali e realtà toscane (Atti del Convegno
Internazionale di Studi, in collaborazione con la Società Pistoiese di Storia Patria, a
cura di Giampaolo Francesconi, 1998)
Giovanni Cherubini - Giuliano Pinto, Premessa — Giuseppe Sergi, Poteri temporali del ve-
scovo: il problema storiografico — Annamaria Ambrosioni, Vescovo e città nell’alto Medioevo:
l’Italia settentrionale — Natale Rauty, Poteri civili del vescovo a Pistoia fino all’età comunale —
Raffaele Savigni, Episcopato, capitolo cattedrale e società cittadina a Lucca nei secoli X-XI —
Mauro Ronzani, Vescovi e città a Pisa nei secoli X e XI — Maria Luisa Ceccarelli Lemut, I rap-
porti tra vescovo e città a Volterra fino alla metà dell’XI secolo — Paolo Pirillo, Firenze: il ve-
scovo e la città nell’Alto Medioevo — Anna Benvenuti, Fiesole: una diocesi tra smembramenti e
rapine — Jean Pierre Delumeau, Vescovi e città ad Arezzo dal periodo carolingio al sorgere del
Comune (secoli IX-XII) — Michele Pellegrini, “Sancta pastoralis dignitas”. Poteri, funzioni e pre-
stigio dei vescovi a Siena nell’altomedioevo — Gabriella Garzella, Vescovo e città nella diocesi
di Populonia-Massa Marittima fino al XII secolo — Wilhelm Kurze, Roselle – Sovana — Mario
Marrocchi, Chiusi e i suoi vescovi (secc. VII-XI). Prospettive di ricerca.
Ceti, modelli, comportamenti nella società medievale (secoli XIII-metà XIV) (Atti del XVII
Convegno Internazionale di Studi, 1999)
Giovanni Cherubini, Presentazione — Giovanna Petti Balbi, Il mercante — Attilio Bartoli
Langeli, Il notaio — Cecilia Iannella, La predicazione: il caso di Giordano da Pisa — Antonio
Rigon, Il clero curato — Jean-Claude Maire Vigueur, L’ufficiale forestiero — Aldo A. Settia,
«Viriliter et competenter»: l’uomo di guerra — Antonio Ivan Pini, Il mondo universitario:
professori, studenti, bidelli — Donata Degrassi, Gli artigiani nell’Italia comunale — Franco
Franceschi, I salariati — Gabriella Piccinni, Contadini e proprietari nell’Italia comunale: model-
li e comportamenti — Alessandro Barbero, I modelli aristocratici — Daniela Romagnoli, Le buo-
ne maniere — Odile Redon, Les métiers de cuisinier — Salvatore Tramontana, L’iconografia —
Carlo Delcorno, Forme dell’exemplum in Italia — Giovanni Cherubini, Ceti, modelli, compor-
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La costruzione della città comunale italiana (secoli XII-inizio XIV) (Atti del XXI Convegno
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