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Via Giulia 142, Roma
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ISBN 978-88-492-3474-9

In copertina: Artista fiorentino, San Torpè, secondo o terzo decennio del secolo XVI
In quarta di copertina: Nicola da Monteforte, elemento degli amboni della Cattedrale di Benevento, 1311
LA BELLEZZA
RITROVATA
arte negata e riconquistata in mostra

a cura di
Vega de Martini
CENTRO EUROPEO PER IL TURISMO
Musei Capitolini ROMA

LA BELLEZZA RITROVATA
arte negata e riconquistata in mostra
ROMA – Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori
2 giugno – 26 novembre 2017

ROMA CAPITALE MUSEI CAPITOLINI CENTRO EUROPEO


PER IL TURISMO E CULTURA
Virginia Raggi Direzione Musei, Ville e Parchi Storici
Sindaca U.O. Musei Archeologici Giuseppe Lepore
e Polo Grande Campidoglio Presidente
Luca Bergamo Claudio Parisi Presicce, Direttore
Vice Sindaco Stefano Zelli
Ufficio Gestione dei Servizi Museali Direttore
Claudio Parisi Presicce e degli Eventi
Franco Cavallaro
Sovrintendente Capitolino Antonella Magagnini
Capo Ufficio Stampa
ai Beni Culturali Tiziana Galletti
e Pubbliche Relazioni
con Laura Scatena Sponsor Sistema
Comunicazione Musei in Comune Beniamino Lapiscopia
e Relazioni Esterne Ufficio Mostre
Consulente Legale
Teresa Franco Micaela Perrone con il contributo tecnico di
Filomena La Manna Daniela Tabò Domenico Ticchiarelli
con Luca D’Orazio Sonia Mangia Direttore Amministrativo
Eloisa Dodero
Servizio Mostre Laura Petacco Media partner
Simona Padelletti
e Attività Espositive e Culturali con Susi Di Giandomenico Responsabile Organizzativa
Federica Pirani, Responsabile dell’Evento
Ufficio Manutenzione Palazzi
Sabrina Putzu Edoardo Porta
Laura Odoacre Servizi di vigilanza
Mara Minasi Segreteria
Ufficio Attività Editoriali
Revisione conservativa Francesca Ceci
delle opere Valentina Copat Fotografo
Arianna Guarini Matteo Rosco
Servizi Museali
con Simona Nisi, Ufficio Attività Didattiche
Monica Cutri, Isabella Serafini Traduzione degli apparati didattici
Daniela Di Giovandomenico Francesca Daniele TperTradurre S.r.l.
Allestimento mostra e progetto Mostra e catalogo a cura di Albo dei prestatori Si ringraziano vivamente
Tagi 2000 S.r.l. Vega de Martini Claudio Abbruzzese
Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica
Allestimenti Tata S.r.l. Stefano Alessandrini
testi di: Benevento, Arcidiocesi Mario Andolfi
Progetto, allestimento Vega de Martini di Benevento, Museo Diocesano Sebastiano Antoci
e direzione tecnica Paola Di Girolami Giannicola Barone
Stefano Busoni Alba Maria Macripò Benevento, Museo del Sannio
Gabriele Barucca
Fabrizio Parrulli Diocesi San Benedetto del Sauro Bertinelli
Progetto e realizzazione grafica
Schede di Tronto-Ripatransone-Montalto, Carlo Birrozzi
Stefano Galandrini
Giannicola Barone Musei Sistini del Piceno Caterina Bon Valsassina
Trasporti di opere d’arte Caterina Bay MiBACT, Direzione Generale Franco Bove
Montenovi S.r.l. Vincenzo d’Ercole Archeologia, Belle Arti e Carlo Bresciani
Maria Fernanda García Marino Salvatore Buonomo
Paesaggio
Consulenza assicurativa Luisa Grimaldi Stefano Casciu
Cossa&Partners Anna Lo Bianco Pisa, Museo Nazionale di San
Vincenzo Catani
Insurance Brokers Alessandro Marchi Matteo
Daniela Cecchini
Massimo Papetti
Compagnia Assicurativa Roberto Colasanti
Stefano Papetti
Great Lakes Reinsurance UK Fabiana Peluso Antonio Coppola
Un particolare ringraziamento a Antonio D’Amico
Agenzia di sottoscrizione in Comitato Scientifico Comando Carabinieri Tutela Vincenzo d’Ercole
Italia della Great Lakes Patrimonio Culturale - MiBACT Alberto Deregibus
Presidente
Reinsurance UK Roberto Conforti Paola Di Girolami
Synkronos Italia S.r.l. Diocesi di Benevento nella
già Comandante del Comando Lanfranco Disibio
persona dell’Arcivescovo Felice
Carabinieri Tutela Patrimonio Francesca Farina
Accrocca
Culturale Gabriella Gomma
Daniela Porro Direzione Generale Archeologia, Alfio Gullotta
Direttore Museo Nazionale Belle Arti e Paesaggio - MiBACT Mario Santo Iadanza
Romano Polo Museale della Toscana Alba Maria Macripò
Fabrizio Parrulli Massimo Maresca
Provincia di Benevento Valerio Marra
Comandante Carabinieri Tutela
Patrimonio Culturale Soprintendenza Archeologia, Sonia Melideo
Crediti fotografici
Stefano Casciu Belle Arti e Paesaggio per le Alessandro Modesti
su gentile concessione di
Direttore Polo Museale province di Caserta e Benevento Salvatore Morando
Nicola Gronchi, Pisa della Toscana Pierluigi Moriconi
Soprintendenza Archeologia,
Anna Imponente Italo Mustone
© Archivio dell’Arte – Luciano e Belle Arti e Paesaggio
Direttore Polo Museale Pierluigi Nieri
Marco Pedicini fotografi delle Marche
della Campania Stefano Papetti
Fabio Marcangeli Salvatore Buonomo Paola Regoli
Soprintendente Archeologia, Belle Monica Satta
Arti e Paesaggio per le province I Soprintendenti, i Direttori dei Claudio Sensidoni
Si ringrazia la di Caserta e Benevento Musei ed Enti locali che hanno Maria Utili
Fondazione Paola Raffaella David accordato il prestito delle Opere Margherita Viola
Enzo Hruby Dirigente Direzione Generale d’Arte, gli studiosi e tutti coloro
per aver sostenuto Bilancio Servizio I MiBACT che hanno contribuito con la
la protezione delle opere Vega de Martini loro cortesia e disponibilità alla Catalogo
esposte in mostra Curatore Scientifico della Mostra realizzazione della mostra Gangemi Editore
Testo prefazione

NOME
Carica istituzionale
Testo prefazione

NOME
Carica istituzionale
INDICE

Come la Fenice 13
Vega de Martini

PRIMA SEZIONE – TRAFFICI ILLECITI E SCAVI CLANDESTINI


Il contrasto al traffico illecito dei beni culturali 23
I recuperi pisani e il Museo Nazionale di San Matteo 31

Schede
Manufatti archeologici 33
Dipinti dal Museo Nazionale di San Matteo 41

SECONDA SEZIONE – IL TERREMOTO DEL CENTRO ITALIA


Dai Musei Sistini e dal territorio delle Marche 59

Schede 67

TERZA SEZIONE – LA CATTEDRALE DI BENEVENTO DOPO LE BOMBE DEL ’43


Un passato da riconquistare 79

Schede
Gli amboni di Nicola da Monteforte 91
Il Tesoro di papa Orsini 111

FONTI D’ARCHIVIO 124


BIBLIOGRAFIA GENERALE
Come la Fenice
Vega de Martini

«Sotto le mura di Parigi era schierato l’esercito di Francia, Carlo Magno


doveva passare in rivista i paladini […]. E chi siete voi paladino di Fran-
cia? […]. Il re era giunto di fronte a un cavaliere dall’armatura tutta
bianca […] ben tenuta, senza un graffio, ben rifinita in ogni giunto, sor-
montata sull’elmo da un pennacchio di chissà che razza orientale di gallo
cangiante di ogni colore dell’iride […]. E voi lì, messo così in pulito […
]. Io sono – la voce giungeva da dentro l’elmo chiuso, come fosse non
una gola, ma la stessa lamiera dell’armatura a vibrare, e con un lieve rim-
bombo d’eco – Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni […]. E perché
non alzate la celata e mostrate il vostro viso? […]. La voce uscì netta dal
barbazzale. Perché io non esisto sire […]. Oh questa poi! – esclamò l’im-
peratore – adesso ci abbiamo in forze anche uno che non esiste! Fate un
po’ vedere. Agilulfo sollevò la celata. L’elmo era vuoto. Nell’armatura
bianca dall’irridescente cimiero non c’era dentro nessuno […]. E come
fate a prestar servizio se non ci siete?. Con la forza di volontà e la fede
nella nostra santa causa». Agilulfo, uno che fisicamente non c’è ma presta
eroicamente servizio nel glorioso esercito di Carlo Magno, e ai massimi
livelli, mosso da un’enorme forza di volontà per raggiungere un obiettivo
da lui ritenuto nobile e imprescindibile. Una sorta di Don Chisciotte,
cavaliere dell’utopia, inesistente come “L’isola che non c’è” (ma ci po-
trebbe essere, e sarebbe bello che ci fosse!), di cui favoleggiava nel 1516
Thomas Moore. Il cavaliere di Calvino richiama anche altro: la figura
di San Giorgio che combatte contro il drago o quella di San Michele
l’arcangelo guerriero, trasposizioni dalla mitologia classica di Teseo che
uccide il Minotauro, di Ercole che abbatte l’Idra di Lerna o di Perseo
che taglia la testa alla Medusa.


Fig. 1. Manifattura romana secolo XVIII Per introdurre un’esposizione costituita – come denuncia il titolo pre-
Tonacella del Parato della Fenice,
particolare.
scelto, La bellezza ritrovata – arte negata e riconquistata in mostra – da
Benevento Museo Diocesano opere d’arte faticosamente ed eroicamente salvate, dai ladri, da calamità
La tonacella, proveniente da un intero parato naturali e da eventi disastrosi di cui sono state vittime, mi è sembrata
in terza, è un esemplare di notevole valenza una scelta perfetta evocare il personaggio immaginato da Calvino – con-
disegnativa. La mitica araba fenice, che sem- grua all’idea degli organizzatori di utilizzare il santo guerriero, fiero e
pre risorge dalle sue ceneri, è la cifra identi-
ficativa del prezioso tessuto (lampasso rosso pensoso nella sua lucente armatura, del Museo di San Matteo di Pisa
e bianco), concepito nel 1712 per tappezzare come immagine guida dell’evento – e un bel messaggio per il futuro dei
l’appartamento del Cardinale Michelangelo nostri beni culturali. In una lettera pubblicata sul numero di “Mondo
Conti ( futuro papa Innocenzo XIII) in pa-
lazzo Poli, di proprietà della stessa famiglia Nuovo” del 3 aprile del 1960, Italo Calvino parla delle motivazioni che
Conti. Fu poi donato a Benedetto XIII, papa lo hanno portato a concepire il suo Cavaliere Inesistente, dato alle stampe
Orsini, che lo utilizzò per la confezione di l’anno prima, nel novembre del 1959. A questo proposito precisa: «Se
alcuni dei sacri paramenti da lui donati alla
cattedrale di Benevento. scrivo racconti fantastici è perché mi piace mettere nelle mie storie una
carica di energia, di azione, di ottimismo, di cui la realtà contemporanea
non mi dà ispirazione». Un messaggio di ottimismo, dunque, che è evi-
dente nella chiusa del racconto calviniano affidato alle parole della prode
Bradamante, focosa guerriera anch’essa in forza nelle fila dell’esercito di
Francia, furiosamente attratta dalla figura di Agilulfo, il cavaliere che pur
non esistendo possiede una caratura che supera di gran lunga quella di
tutti gli altri: «…ecco, o futuro, sono salita in sella al tuo cavallo. Quali
nuovi stendardi mi levi incontro dai pennoni delle torri di città non an-
cora fondate? Quali fumi di devastazioni dai castelli e dai giardini che
amavo? Quali impreviste età dell’oro prepari, tu foriero di tesori pagati a
caro prezzo, tu mio regno da conquistare […]». Dovrebbe essere questo
il giusto atteggiamento da adottare per continuare a riconquistare, giorno
dopo giorno, l’arte, negata, mortificata, calpestata da eventi e calamità,
3
Plinio Marconi, iniziati i suoi studi al Poli- fragile ma necessaria per chi cerca la bellezza e anche per chi non la cerca.
tecnico di Torino, laureatosi poi a Roma alla
Sapienza con Gustavo Giovannoni, fu proget- Per il nostro stesso benessere, per la nostra armonia interiore. La bellezza,
tista e direttore dei lavori dell’Istituto Auto- una categoria, un concetto che non si ferma ai soli manufatti d’arte ma
nomo Case Popolari per il quartiere la
Garbatella (1920-29). Negli anni del secondo coinvolge gli spazi e i paesaggi nei quali ci moviamo. Il recupero della bel-
dopoguerra, professore di urbanistica presso la lezza titolava Paolo Marconi un suo prezioso testo uscito nel 2005 per i
Facoltà di Architettura di Roma, andava pro-
gettando la ricostruzione e la trasformazione
tipi di Skira Milano1. Illuminante mi è parso il suo incipit: «Questo
delle città colpite dalla guerra su incarico delle scritto è dedicato alla memoria di Plinio Marconi, mio padre. Abbiamo
varie amministrazioni comunali, garantendo percorso insieme, partendo da Roma, la via Cassia, la via Flaminia, la via
sempre la compatibilità dei nuovi inserti con
le preesistenze. Salaria, la via Tiberina nei primi anni Cinquanta, sulla Fiat 500 Giardi-


netta, per poi attraversare il Po – su ponti di barche militari – e proseguire
verso le città al di là del fiume che gli chiedevano Piani di Ricostruzione
postbellica e Piani Regolatori. Durante quei viaggi egli commentava i
paesaggi più belli e gli episodi architettonici più rimarchevoli dei centri
urbani che costeggiavamo, e questo fu il mio primo apprendistato di co-
noscitore e amatore dei paesaggi italiani e delle loro architetture, condi-
zione necessaria per metter riparo alle ferite recenti della guerra e ai guasti
dell’inurbamento, in un momento storico in cui la ricostruzione edilizia
era la grande metafora della ricostruzione del nostro paese e degli altri
paesi europei […]. In quei viaggi avventurosi […] il tema principale delle
nostre conversazioni era la “bellezza” dei borghi e delle città murate che
potevamo ammirare dai fondovalle […].Una bellezza che ci ripromette-
vamo di conservare nel migliore dei modi, e cioè rimettendola in piedi
[…]», riconquistandola dico io. Il discorso vale anche per il patrimonio
d’arte mobile. Il nostro patrimonio artistico è continuamente sottoposto
a furti, vandalismi e danneggiamenti dovuti a disatrose calmità naturali
ma anche a esecrabili eventi bellici. L’arte oltraggiata e obliterata talvolta
proprio per la stessa volontà dell’uomo, attraverso il suo stesso impegno,
la sua caparbietà a ricomporre, a ricostruire, a ritrovare l’introvabile, può
risorgere dalle macerie come la fenice, si può rivelare di nuovo. E’ possi-
bile dunque recuperare la bellezza perduta!
All’insegna di questo convincimento, la nostra mostra si articola in tre
segmenti.
All’attività svolta dai Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale è dedicato
il primo segmento dell’esposizione. Apre con due straordinari reperti ar-
cheologici, un cratere lucano del V-IV secolo a.C. e un Hydria etrusca a
figure nere del VI secolo a.C., entrambi frutto di brillanti recuperi. Il
nucleo principale della sezione, invece, è costituto da sei dipinti, di pro-
prietà del Museo Nazionale San Matteo di Pisa, recuperati dai Carabi-
nieri del Nucleo TPC di Firenze nel 2014, a conclusione di una
complessa e serrata attività d’indagine. Le opere, nel 2002, erano
state affidate ad un restauratore lucchese perché intervenisse a sanare il
loro precario stato di conservazione. Le indagini – iniziate dopo la de-
nuncia di scomparsa da parte della Direzione del Museo che, nel corso
di un attività d’inventariazione, ne aveva constatato la mancanza – hanno


portato a scoprire che le opere erano state vendute nel corso degli anni
dallo stesso restauratore a commercianti del settore e successivamente ri-
vendute a società di brokeraggio internazionali francesi e svizzere. L’olio
su tavola fondo oro raffigurante l’Addolorata, collocabile nell'ambito di
Quinten Metsys, è transitato, ad esempio, prima presso un antiquario
di Lucca e successivamente presso una società del settore svizzera che lo
ha proposto in vendita nell’ambito della mostra mercato di Maastricht
per la cifra di ben tre milioni di euro: acquistato da un collezionista stra-
niero, il dipinto è stato localizzato finalmente in Grecia all’interno di un
deposito di stoccaggio di opere d’arte. Le rimanenti opere recuperate
sono state ritrovate, alcune ancora nella disponibilità del restauratore in-
dagato, altre presso antiquari e commercianti della provincia di Lucca.
Il secondo segmento riguarda opere provenienti dalle Marche, regione
martoriata dalle scosse sismiche che hanno colpito una vastissima parte
del Centro Italia (oltre le Marche, l’Umbria, l’Abruzzo e l’Alto Lazio) a
partire dal 24 agosto del 2016. I manufatti attengono, in parte, al pa-
trimonio dei Musei Sistini di Force e di Comunanza, chiusi al pubblico
per i danni ricevuti. Questi fanno parte, insieme ad altre sette strutture
museali ricadenti nella Diocesi San Benedetto del Tronto, Ripatransone
e Montalto, di una rete realizzata nel 1998 in una zona del territorio
delle Marche all’insegna della figura di Felice Perretti. Nato a Montalto,
dal 1566 al 1571 vescovo di Sant’Agata dei Goti nel Beneventano, ma
poi dal 1571 al 1577 presule di Fermo, divenuto nel 1585 papa col
nome di Sisto V, ha caratterizzato fortemente la fisonomia storica e cul-
turale del territorio marchigiano cui era legato a filo doppio, come do-
cumentano i numerosi doni e privilegi elargiti. Le opere esposte in
mostra coprono un ampio arco temporale, dal Cristo tunicato del Museo
di Force (XI-XII secolo), alle opere di Giuseppe Ghezzi (1634-1721),
una del Museo di Comunanza, l’altra del Museo di Ascoli Piceno.
La terza sezione della mostra infine pone l’obiettivo sui danni provocati
al patrimonio artistico dalla stessa mano dell’uomo, in particolare dai
confitti tra i popoli, dalle guerre, un tema questo, purtroppo, di grande
attualità al momento. Per il nostro territorio è emblematico quanto oc-
corso durante la seconda guerra mondiale. Come esemplificazione dun-
que abbiamo voluto ricordare il caso della cattedrale di Benevento,


colpita dalle bombe degli alleati nel settembre del 1943 e quasi com-
pletamente rasa al suolo. Dei due amboni – dovuti a Nicola da Monte-
forte, firmati e datati al 1311 – era opinione comune che gli unici
elementi superstiti fossero i cinque conservati presso il Museo del San-
nio a Benevento. Ed invece nella primavera del 1981 vennero fuori ad
uno ad uno tutti i leoni e i grifi che facevano parte dei due pergami e,
in frammenti, le colonne che li sormontavano, ed ancora elementi di
sculture, di capitelli e di lastre marmoree che ne costituivano le fiancate,
nonché la base con figure – cariatidi del cero pasquale ed il fusto spira-
liforme della colonna che su di essa si impostava. Per quel che riguarda
la nostra mostra, va detto che costituisce un grande evento l’opportunità
di vedere insieme riuniti, dopo più di 60 anni, gli elementi dei pulpiti
del Monteforte, finiti come si è detto parte al Museo del Sannio e parte
tra i marmi di risulta della distrutta cattedrale.
Per la sezione beneventana non potevamo fare a meno di proporre al-
cuni manufatti del Tesoro di cui Vincenzo Maria Orsini – arcivescovo
di Benevento (1686-1724) e poi papa (1724-1730) col nome di Bene-
detto XIII – volle dotare Benevento, anch’esso superstite alle distruzioni
del 1943. Rendere qualche esempio di questo straordinario Tesoro delle
Reliquie, arredi liturgici di oro e di argento, di corallo e pietre preziose,
di finissimi paramenti sacri, giudicato nel 1789 da Xavier Barbier de
Montault2 uno più importanti e più rinomati dello Stato Pontificio,
pare una adeguata conclusione per una mostra che si pone l’obiettivo
di raccontare “la bellezza recuperata”. D’altra parte per la Chiesa, il rap-
porto col bello e dunque con l’arte è stato sempre - e fin dalle origini,
come documentano favolosi tesori appartenenti al Monastero del Col-
loquio, oggi Santa Caterina sul Sinai - della massima importanza, at-
traverso un approccio che è essenzialmente di tipo anagogico,
nell’ambito del quale le cose terrene sono considerate simbolo di cose
celesti. Umberto Eco, che oltre ad essere uno straordinario scrittore è
un maestro nel campo della conoscenza e della divulgazione del pensiero
del Medioevo, fa dire al priore dell’abbazia de Il Nome della Rosa nel
mostrare il “suo tesoro” a Guglielmo di Baskerville: «E mi sembra che
2
X. BARBIER DE MALTAULT, Le Trésor de la Ca- per grazia di Dio io possa essere trasportato da questo mondo inferiore
thédrale de Bénévent, Arras 1789. a quello superiore per via anagogica». Un concetto che, ci si può giurare,


3
aveva certamente in testa anche l’Orsini. Interessato ai valori della Con- La citazione è tratta da una lettera di Pompeo
Sarnelli ad Angelo Solimena a proposito di
troriforma ed anche del Cristianesimo delle origini, permeato da forti quattro dipinti che gli erano stati commissio-
rigorismi che si esplicitavano, per quel che riguarda il campo dell’arte nati dall’Orsini: cfr. P. SARNELLI, Lettere eccle-
siatiche, t.I, 1686, pp. 154-155. Ecclesiastico
e della pittura in particolare, in una committenza attenta ad evitare ogni ed erudito, il Sarnelli fu sempre puntuale in-
«bizzarria pittoresca» o «stravaganza di panneggiamenti e positure»3, terprete e divulgatore delle idee sull’arte del-
l’Orsini fin da quando questi aveva ricoperto
l’Orsini persegue il culto delle reliquie, l’interesse per le sacre suppel- il ruolo di vescovo di Manfredonia (1675-
lettili - che dovevano essere preziosissime specie nei materiali - l’interesse 1680) prima ancora di divenire presule di Ce-
ai riti pomposissimi di consacrazioni, traslazioni e ricognizioni di corpi sena e poi di Benevento. La sua Antica Basili-
cografia, pubblicata nel 1686, e le sue Lettere
di santi4. È la «materiale teofania» di cui parlano Umberto Eco e l’abate Ecclesiastiche, venute alla luce tra il 1686 e il
di Il nome della Rosa, il buono che riesce a rivelarsi nella sua interezza 1716, sono conformate ai dettati delle Istruc-
tiones di San Carlo Borromeo da una parte e
nella categoria del bello, oppure, per citare Paul Claudel, «l’invisibile dall’altra agli Annales dell’oratoriano Cesare
che si è fatto sostanza e pietra»5. Baronio.
4
C. TAVARONE, L’oro e il nero. Benedetto XIII,
Sommo Regnante,tra desideri claustrali e “sacro-
sante” cerimonie, in Il Tesoro delle Reliquie. Fasti
e riti di Vincenzo Maria Orsini Papa ‘Beneven-
tano’, catalogo della mostra a cura di V. de
Martini, Roma 2000, pp.59-80. Lo stesso au-
tore documenta che nel dicembre del 1726
papa Orsini organizza a Roma, nella basilica
vaticana tre diverse cerimonie di canonizza-
zione in cui indossa tre diversi preziosissimi pa-
ramenti: il 10 dicembre si svolge quella di
Toribio Mogrovejo, arcivescovo di Lima in
Perù, di Giovanni della Marca, minore osser-
vante di San Francesco e di Agnese da Monte-
pulciano, domenicana (paramenti donati alla
cattedrale di Benevento); il 27 dicembre quella
di Pellegrino Laziosi, Giovanni della Croce e
Francesco Solano (paramenti donati alla Me-
tropolita di Manfredonia); il 31 dicembre è la
volta della canonizzazione di Luigi Gonzaga e
Stanislao Kostka (paramenti donati alla catte-
drale di Gravina, sua terra natale).
5
Una chicca nella ricca produzione poetica di
Claudel (1868-1955) va considerato il discorso
tenuto nel 1929 in occasione della consegna
della Legion d’onore a Pierre Cartier, presti-
gioso, allora come oggi, gioielliere parigino; il
discorso, che sostanzialmente verte sulla mi-
stica delle pietre preziose, piacque talmente che
fu poi pubblicato in edizione speciale nel 1938
a cura dello stesso Cartier.


PRIMA SEZIONE

Traffici illeciti
e scavi clandestini
Il contrasto al traffico illecito
dei beni culturali
Generale di Brigata Fabrizio Parrulli
COMANDANTE CARABINIERI TUTELA PATRIMONIO CULTURALE

L’Italia è da tempo impegnata nella lotta al traffico illecito di opere d’arte


e di beni archeologici: emblematicamente è stato il primo paese al mondo
a dotarsi di un reparto di polizia specializzato al contrasto di questa forma
così specifica e trasversale di criminalità. Già nel 1969, infatti, fu istituito
il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC),
un anno prima che la Convenzione UNESCO del 1970 prevedesse che
in ogni paese fosse istituito un servizio preposto a questa attività. Il
Comando TPC, che nel tempo è stato peraltro sempre più reso aderente
alle necessità di settore con la presenza sul territorio nazionale di 15
Nuclei con competenza regionale o interregionale, costituisce per l’Italia
una concreta opportunità per lottare efficacemente contro il traffico
illecito di beni culturali. Poche altre nazioni al mondo hanno fatto
altrettanto: colpisce infatti che siano ancora pochi, pochissimi, i reparti di
polizia specializzati, alcuni dei quali - seppur composti da poche unità -
sono stati creati sul modello del reparto italiano. Per un’efficace lotta al fe-
nomeno del traffico illecito, dell’esportazione illegale dei beni culturali è
assolutamente auspicabile che ciascun Paese istituisca un’unità di polizia
impegnata con continuità ed in via esclusiva nello specifico settore per
migliorare le indagini in ambito nazionale e allo stesso tempo per allacciare
efficacemente stabili e proficui rapporti, anche attraverso INTERPOL,
con i reparti di polizia all’estero. In un panorama generale sempre più
globalizzato, le attività criminali condotte contro i beni culturali si
possono solo combattere facendo un fronte comune internazionale.
Fin dai primi anni della loro attività i Carabinieri TPC hanno fatto
della raccolta delle informazioni foto-descrittive dei beni sottratti un
punto di forza. La Banca Dati “Leonardo” gestita dal Comando TPC è


oggi il più voluminoso database al mondo di beni culturali da ricercare
con le informazioni su più di 1.230.000 ed oltre 600.000 immagini.
Una parte della Banca Dati “Leonardo” è anche consultabile on-line at-
traverso le pagine web del sito dell’Arma dei Carabinieri oltre che
attraverso l’applicazione i-TPC - la prima ad essere stata realizzata al
mondo - che ne permette la consultazione anche ai cittadini su qualsiasi
telefono cellulare o tablet. Questo agile strumento multilingue consente
oggi, ai cittadini, di fotografare un oggetto con il proprio smartphone e
verificare se quel bene sia un bene rubato o illecitamente esportato.
Per controllare le aree archeologiche e per prevenire gli scavi clandestini,


vengono frequentemente svolti servizi nelle aree più a rischio. Con il
concorso del Reggimento Carabinieri a Cavallo e del Raggruppamento
Aeromobili Carabinieri e l’indispensabile presenza dell’Arma territoriale,
i Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, unitamente ai tecnici e fun-
zionari del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo,
effettuano servizi a largo raggio per individuare scavi illeciti e i relativi
responsabili. Tali attività costituiscono anche un valido deterrente al fe-
nomeno. Sempre nell’ambito della prevenzione, i Carabinieri esercitano
anche il costante monitoraggio del mercato antiquario, svolgendo con-
trolli capillari sugli esercizi commerciali del settore e presso i mercatini


periodici, aste, fiere, mostre ove vengono proposti beni culturali. Que-
st’attività permette di comparare i beni esposti o messi in vendita con
quelli presenti nella Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti
gestita dal Comando per la Tutela del Patrimonio Culturale; frequente-
mente i Carabinieri riescono così a rintracciare e sequestrare dipinti,
sculture, libri, documenti di archivio, beni ecclesiastici o devozionali di
provenienza furtiva.
Nell’ambito della sua dimensione internazionale, il Comando Carabi-
nieri TPC offre la propria collaborazione al Ministero dei Beni e delle
Attività Culturali e del Turismo nelle diversificate attività che hanno per-
messo all’Italia, negli ultimi anni, di distinguersi nell’ambito della co-
siddetta “diplomazia culturale”. Proprio in questo ambito sono state
intavolate trattative con musei stranieri al fine di raggiungere accordi
volti alla restituzione di beni culturali asportati dall’Italia dopo che siano
state percorse infruttuosamente tutte le possibili attività giudiziarie per
recuperarli.
Vista la particolare esperienza dei Carabinieri Tutela Patrimonio
Culturale, già maturata in aree di crisi nel corso di alcune missioni in-
ternazionali di mantenimento della pace e la consolidata vocazione in-
ternazionale, l’Italia ha costituito nel 2016 la Task Force italiana
“Unite4Heritage”, ovvero un gruppo di esperti costituito da Carabinieri
e da tecnici e funzionari del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali
e del Turismo, destinato ad intervenire in situazioni di crisi pre o post
conflittuale o in caso di calamità naturali. In quei delicati contesti ha,
tra l’altro, il compito di fornire la propria supervisione tecnica e di for-
mazione al fine di aiutare le autorità nazionali nelle emergenze per la
protezione e la salvaguardia del patrimonio culturale di quell’area,
nonché di prestare la propria assistenza per l’inventariazione dei beni a
rischio e il loro trasferimento in rifugi sicuri. La Task Force italiana è già
intervenuta nelle località dell’Italia centrale colpite dal terribile terremoto
avvenuto il 24 agosto dello scorso anno e da quello non meno lesivo del
30 ottobre successivo. Oggi sta continuando ad operare per recuperare,
da chiese, musei, palazzi pubblici o abitazioni private, beni culturali a
rischio di ulteriore danneggiamenti anche a causa dell’azione degli
agenti atmosferici ed a coordinare le attività di trasporto e messa in


sicurezza di tali beni. Presto quindi i Carabinieri Tutela Patrimonio
Culturale interverranno all’estero nelle aree di crisi mettendo a disposizione
delle popolazioni e dei governi locali la propria esperienza e le peculiari
conoscenze tecniche maturate negli anni. I Carabinieri TPC hanno
sempre concepito la protezione dei beni culturali non una loro esclusiva
e peculiare attività, ritenendo piuttosto che la sola possibilità per
un’efficace e diffusa protezione del patrimonio culturale di un nazione
sia quella di coinvolgere e sensibilizzare tutti i cittadini e, in particolare,
le generazioni più giovani.
Ben sapendo che l’accrescimento della consapevolezza sull’importanza
dei beni culturali quali valori fondanti dell’identità nazionale possa co-
stituire, nel tempo, un tassello fondamentale anche nella lotta al traffico
illecito di beni culturali, i Carabinieri partecipano attivamente ai
programmi nelle scuole in favore della cultura della legalità. Inoltre
hanno spesso organizzato mostre didattiche finalizzate a sensibilizzare il
grande pubblico, attraverso il forte messaggio che i beni culturali rubati
e poi recuperati riescono a evocare. In questo spirito il Comando ha vo-
lentieri collaborato per realizzare questa mostra che offre l’interessante
opportunità per i Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di trasmettere
ai suoi fruitori la consapevolezza dell’ importanza dei beni culturali
come valore fondante di un popolo, nonché del grave pericolo che il
furto, gli scavi clandestini e le esportazioni illecite rappresentano per il
patrimonio culturale di una nazione.
Le opere d’arte ed i beni archeologici esposti fungono da emblematici
testimoni dei moltissimi beni recuperati negli anni dal Comando TPC.
In primo luogo un Cratere lucano a figure rosse attribuito al Pittore di
Dolone (V-IV secolo a.C.). recuperato insieme ad altri 5.360 importanti
reperti archeologici rimpatriati nel 2014 da Basilea in Svizzera (valore
complessivo: più di 50 milioni di euro). Nel corso di un’indagine
finalizzata a contrastare il traffico illecito di reperti archeologici
provenienti da scavi clandestini condotti in Puglia, Sicilia, Sardegna e
Calabria, è stata scoperta una rete criminale gestita da un trafficante
siciliano. Successivamente alla richiesta di assistenza giudiziaria interna-
zionale promossa dalla Procura della Repubblica di Roma e grazie
all’ampia collaborazione fornita dalle Autorità elvetiche, nel corso delle


attività investigative insieme agli importanti beni archeologici, sono
stati rinvenuti appunti, bolle di trasporto, foto eseguite prima e dopo il
restauro, proposte di vendita, false perizie: documenti preziosi per le
successive attività investigative. Sul recto del nostro cratere è raffigurata
una scena in cui Ercole, infuriato per il rifiuto opposto dalla Pizia, sa-
cerdotessa di Apollo, di compiere in suo favore il rito di purificazione,
tenta di rubare il tripode sacro contrastato dallo stesso Apollo e dall’in-
tervento di Zeus, che lo costringe a restituire l’oggetto sacro. Una scena
dunque emblematica per questa prima sezione della mostra dove figura
anche un altro importante manufatto archeologico: un’Hydria etrusca a
figure nere, attribuita al Pittore di Micali (VI secolo a.C.). Questa la sua
vicenda. Nell’ambito delle indagini condotte dai Carabinieri del Nucleo


TPC a carico di un noto mercante d’arte italiano operante a Ginevra,
furono sequestrati alcuni documenti riguardanti una preziosa hydria
con delfini, che gli ulteriori approfondimenti investigativi permisero di
individuare tra i beni esposti in un museo dell’Ohio (USA). Nel 2009 i
Carabinieri TPC, attraverso documenti, fotografie e vario materiale,
riuscirono a dimostrare la sua provenienza da uno scavo clandestino in
territorio italiano. La collaborazione fra Carabinieri e US ICE (United
States Immigration and Customs Enforcement) del Governo statunitense,
ha consentito di intavolare una trattativa con il museo americano,
risolta per le vie diplomatiche mediante un accordo che comportava la
spontanea restituzione del bene in favore dell’Italia. L’Hydria è stata
così rimpatriata nel maggio del 2014.
Altro interessante recupero quello dei dipinti provenienti da Pisa, sei
dei quali sono esposti in mostra. Appartenenti alle collezioni del Museo
Nazionale di San Matteo, i sei dipinti, insieme ad altre undici opere, nel
2002 furono affidati ad un restauratore toscano, che al termine degli in-
terventi conservativi ne restituì solo una parte, vendendone ben dodici
a commercianti del settore. Questi ultimi, ignari della provenienza
illecita, cedettero i dipinti a società francesi e svizzere che a loro volta li
vendettero a facoltosi collezionisti stranieri. In particolare l’olio su
tavola a fondo oro raffigurante la Madonna Dei Dolori, dopo essere
passato per le mani di un antiquario di Lucca e poi di una società
straniera, fu esposto nella mostra mercato di Maastricht (Olanda). Qui
fu riconosciuto da alcuni esperti di arte fiamminga e posto in vendita
con un altissima valutazione. Grazie alle investigazioni dei Carabinieri
TPC e alle successive rogatorie internazionali emesse dall’Autorità Giu-
diziaria di Pisa, è stato così possibile individuare e rimpatriare dalla
Grecia uno dei dipinti sottratti, mentre altri sono stati sequestrati in
Italia presso collezionisti e commercianti. Sono tuttora in corso le
attività per recuperare dall’estero gli ultimi due dipinti ancora mancanti
all’appello.


I recuperi pisani e il Museo Nazionale
di San Matteo
Alba Maria Macripò

L’esigenza di una capillare ricognizione delle opere in deposito presso il


Museo Nazionale di San Matteo di Pisa, finalizzata ad una verifica in-
ventariale del patrimonio artistico non esposto, la volontà di rendere ac-
cessibile le opere collocate da tempo nei depositi, valutarne lo stato di
conservazione e raccogliere dati relativi alla loro provenienza e ai restauri
facendoli confluire in uno strumento informatico di agile consultazione,
ha portato a far emergere, alla fine del 2013, la grave mancanza di ben
12 dipinti su tavola che, nel 2002, erano stati affidati ad un restauratore
lucchese per eseguirne il restauro.
A seguito della denuncia di tale grave situazione al Comando Carabinieri
Tutela Patrimonio Culturale - Nucleo di Firenze, sono state avviate tutte


le complesse e delicate azioni per il recupero delle opere ed è stata rivelata
l’esistenza della loro vendita illecita, effettuata da parte dello stesso re-
stauratore, a commercianti e antiquari i quali, successivamente, le ave-
vano rivendute a società internazionali di brokeraggio francesi e svizzere.
Le tempestive indagini condotte dai Carabinieri hanno portato al recu-
pero di dieci dipinti riconsegnati al Museo il 6 giugno 2014, mentre le
restanti due opere di scuola fiamminga (Santa Caterina e Santa Barbara)
sono ancora in attesa della definizione degli atti di rogatoria internazio-
nale.
Il Museo pisano, nel luglio 2007, ha poi allestito una mostra dal titolo
I dipinti recuperati per annunciare il rientro delle preziose opere e pre-
sentarle al pubblico.
In occasione dell’attuale mostra La bellezza ritrovata vengono pertanto
esposti sei dipinti di grande rilevanza artistica, oggetto del recupero sopra
descritto.
Le opere, espressione di una bellezza che era stata negata in quanto sot-
tratte al piacere e al godimento, e ricondotte a mera speculazione eco-
nomica, vengono, anche attraverso questa esposizione romana, restituite
alla loro funzione nel trasmettere il loro sublime messaggio di armonia
e perfezione.
Le schede che seguono sono redatte da Caterina Bay alla quale si deve il
grande impegno nell’aver condotto le difficili operazioni di revisione
della collezione d’arte conservata nei depositi del Museo di Pisa.


SCHEDE

Manufatti archeologici
Cratere a volute lucano sono due figure, mostruose, che si affron- l’eroe. Infuriato, il semidio si impossessò
tano: a sinistra una creatura mitologica del tripode: Apollo, chiamato a soccorso
a figure rosse con un tronco umano e due teste di cane dalla Pizia, glielo contese. Lo scontro fu
Attribuito al Pittore di Dolone che spuntano da una coda di drago (una talmente violento che Zeus stesso dovette
(V-IV sec. a.C.) sorta di Cerbero, ultima fatica di Eracle, intervenire per separare i due e obbligare
Argilla beige rosata, h cm 96, d. max. cm “modificato”: invece della terza testa di la sacerdotessa a dire a Ercole cosa avrebbe
56. cane un uomo?), a destra un cavallo anche dovuto fare per espiare: farsi vendere come
Direzione Generale, Archeologia,Belle lui munito di una coda di pesce: un ippo- schiavo alla regina Onfale della Lidia che
Arti e Paesaggio. MIBACT campo la cavalcatura di Poseidone e dei lo tenne per tre anni presso di se. L’eroe
Tritoni?. la servì fedelmente per il tempo richiesto
Ambedue le raffigurazioni sono delimi- liberandola dai nemici che la affliggevano
Bibliografia: DALE TRENDALL 1987; DALE tate, in basso, verso il piede del vaso, da e sconfiggendo in Asia numerose belve e
TRENDALL 1989; BRACCESI 1994; RO- una banda rossa campita con motivi geo- terribili mostri.
DINÒ 2016, pp. 156-157; D’ERCOLE, DI metrici in nero mentre la campitura sulla Fin dal IX-VIII sec. a.C. si diffondono,
PAOLA 2017. parte superiore del collo è realizzata con nella ceramica in stile geometrico, imma-
ovuli pendenti e motivi fitomorfi dipinti gini di due personaggi che si affrontano
in nero su fondo rosso. La decorazione per un tripode, ma questi non presentano
Il cratere è stato attribuito ad un artista delle anse e delle relative volute è ottenuta elementi distintivi; pertanto non pos-
proto-lucano, il Pittore di Dolone, che fu con tralci di fiori di loto dipinti in nero siamo escludere che si tratti di conten-
attivo a Metaponto tra la fine del V secolo su fondo rosso. denti mortali. L’episodio della contesa di
e il 380 a. C. Nella scena principale è facilmente rico- Delfi è riconoscibile come tale in nume-
La forma del vaso mantiene quella clas- noscibile la disputa fra Eracle ed Apollo rose manifestazioni artistiche solo a par-
sica, proveniente dall’Attica; una tipologia per il possesso del tripode di Delfi la quale tire dal VI sec. a.C., anche monumentali,
leggermente diversa verrà poi sviluppata è raffigurata su oltre 110 di vasi a figure come nel frontone del Thesauròs dei Sifnî
in Apulia durante il IV secolo a. C. nere e su parecchi esemplari a figure rosse nella stessa Delfi; esso fu inoltre raffigu-
Sui due lati del cratere sono raffigurate al- (Trendall 1987, Trendall 1989). In uno rato con crescente frequenza nella cera-
trettante scene: nella prima una coppia di stamnos rinvenuto nella necropoli di Cro- mica attica fra il 530 e il 515 circa a. C.
Menadi, fornite del tirso, coronato da una cefisso del Tufo, ad Orvieto (l’etrusca Vol- Il tentativo da parte di Eracle di impos-
pigna aurea, circondano un Ermes Psico- sinii), attribuito alla cerchia del Pittore di sessarsi del santuario di Delfi e del relativo
pompo, munito di caduceo e raffigurato Antimenes, databile fra il 525 e il 500 a. oracolo, sostituendosi ad Apollo può es-
nella sua funzione di traghettatore verso il C., sono rappresentate le stesse due scene sere interpretato (Braccesi 1994) come la
mondo dei morti. Sul collo del cratere, in- del nostro cratere: la disputa del tripode e reazione del clero delfico al tentativo di
tervallato da un motivo, continuo, flo- Dioniso con Menadi e satiri. ingerenza dei popoli che nel VII secolo
reale, sulla spalla del vaso, compare una Il mito racconta che Eracle, terminate le a.C. volevano estendere la loro influenza
figura alata, nuda, gradiente verso destra 12 fatiche, si fosse recato al santuario di sul santuario.
dove è visibile una donna seduta, ricca- Delfi per essere purificato dalla colpa de- Nella roccia che divide Eracle ed Apollo è
mente abbigliata, con uno specchio nella rivante dell’omicidio del suo amico Ifito facilmente riconoscibile l’Omphalos, l’om-
mano sinistra. che aveva scaraventato giù da una torre, belico del mondo, la roccia, conservata nel
La seconda scena, forse quella principale, accecato dall’eterna nemica, la dea Era, la tempio, a forma di semicono, che indi-
mostra Eracle, munito di clava e leontè, sposa di suo padre Zeus. La Pizia, la sacer- cava l’esatto centro del mondo come ri-
che tiene, con la mano sinistra, un piede dotessa di Apollo che forniva gli oracoli, chiesto da Zeus stesso. Il monumento
di un tripode trattenuto, dall’altra parte seduta su un bacile di bronzo poggiato su simbolo del santuario, oltre al tempio di
di una roccia, dalla mano destra di Apollo un tripode (come rappresentato nella kylix Apollo, è l’Omphalos che, secondo i greci,
che regge, con la sinistra, l’arco. Al di a figure rosse del Pittore di Kodros con- rappresentava il centro dell’universo. Una
sopra della banda campita con motivi flo- servata a Berlino del 440 a. C.), si rifiutò tradizione infatti racconta che Zeus, vo-
reali che corre sulla spalla del cratere vi di compiere il rito di purificazione per lendo sapere quale fosse il centro del



mondo, avesse liberato due aquile di pari rebbe dunque nato quell’Ercole che, come pania, Etruria meridionale, Roma.
forza da uno stesso punto in due direzioni ci è stato tramandato, ebbe una rissa con Il cratere è stato esposto, oltre che al
opposte, il luogo dove esse si incontrarono Apollo a proposito di un tripode [… ]» Museo delle Terme di Diocleziano all’atto
fu appunto Delfi che da quel momento (Cicerone, De Natura Deorum). della presentazione dell’avvenuto seque-
divenne il fulcro dell’universo segnalato stro, a Firenze nella Galleria degli Uffizi
da una pietra conica (betilo), l’Omphalos. Il cratere proviene, con assoluta certezza, (con un errato numero di riferimento:
Il santuario di Delfi nella Focide, posto dallo scavo clandestino di una sepoltura, 6081 e non 6031) tra dicembre 2016 e
alle pendici del Monte Parnaso, era il più databile fra la fine del V e gli inizi del IV febbraio 2017, per la mostra La tutela tri-
importante e venerato dell’intera Grecia: secolo a. C. in Italia meridionale, l’antica colore (Rodinò 2016) e, sempre a Roma,
utilizzato come luogo di culto già nella Magna Grecia. Naturalmente non sa- presso la Rome International School della
preistoria (a partire dal neolitico) assunse premo mai il luogo preciso di rinveni- Luiss, tra marzo ed aprile 2017, nella mo-
le sue connotazioni in epoca micenea e mento, il materiale archeologico ad esso stra Recuperare il passato per avere un fu-
perdurò, con alterne vicende, fino a associato, (il resto del corredo funebre) le turo (d’Ercole-Di Paola 2017) dove vera
quando, nel 394 d. C. l’imperatore Teo- informazioni bioarcheologiche sul posses- stato scelto come simbolo, logos, dell’ini-
dosio non decise di chiuderlo per sempre sore della tomba (età, sesso, gruppo san- ziativa in quanto nell’antica contesa per il
dopo l’abolizione, avvenuta nel 391 d. C., guigno, DNA, ecc.): tutto il contesto, la tripode fra Eracle ed Apollo si poteva leg-
dei culti pagani. possibilità di fare Storia è andata perduta gere una metafora dell’attuale lotta tra le
L’autore del cratere, il cosiddetto Pittore per sempre grazie all’avidità e all’egoismo forze dell’ordine e i trafficanti per il pos-
di Dolone, è un ceramografo del gruppo di trafficanti e “mercanti d’arte” italiani e sesso del materiale archeologico italiano.
A (“proto-lucano”) della pittura vascolare stranieri.
proto-italiota. Successore immediato del Il cratere in oggetto rientra nel complesso
Pittore di Amykos, è contemporaneo del dei reperti archeologici sequestrati dal Co- VINCENZO D’ERCOLE
Pittore di Creusa. E’ autore di pregevoli mando Carabinieri Tutela Patrimonio
vasi con scene epico-mitiche rese con ef- Culturale al noto trafficante siciliano
ficacia e umorismo; tra questi, il cratere Gianfranco Becchina nell’ambito della co-
con l’agguato a Dolone (Londra, British siddetta operazione Teseo: la più grande
Museum) da cui prende il nome. Gli azione di recupero (come numero di re-
viene attribuito il vaso con l’episodio di perti) mai, finora, portata a termine in Ita-
Creusa e Medea (Parigi, Louvre), in pre- lia. Le indagini condussero, nel 2002,
cedenza ritenuto opera del Pittore di all’individuazione di due depositi al Porto
Creusa (donde il nome). Si tratta di una Franco di Basilea e di un terzo al di fuori
figura originale ed interessante: un gruppo di tale area, mentre, nel 2005, fu indivi-
delle sue pitture a soggetto mitologico duato un quarto deposito. Le perquisi-
(come la scena del vaso eponimo, Odisseo zioni portarono al recupero di oltre
e Tiresia, morte di Atteone, ecc.) sono 10.000 reperti in varie fasi di restauro,
trattazioni del tutto nuove dell’episodio e 8.000 fotografie di manufatti, e 13.000
sono rese con molta cura. documenti, attestanti il trasporto e il com-
Disponiamo di alcune fonti letterarie mercio dei beni archeologici custoditi nei
sull’episodio della disputa per il tripode depositi e di altri già venduti a musei e
sia greche che latine: collezionisti stranieri. Tutti i reperti del se-
«[…] svelse violentemente il tripode e questro Becchina (rientrati in Italia alla
combatté con il dio per la conquista del- fine del 2014) sono stati restituiti, agli
l’arte della divinazione […]» (Plutarco, La inizi del 2016, dalla ex Direzione Gene-
“E” di Delfi). rale Archeologia del Mibact ai presumibili
«[…] Da questa antichissima divinità re- su base tipologica, territori di prove-
cante il nome di Giove e da Lisitoe sa- nienza: Sardegna, Puglia, Basilicata, Cam-


Hydria etrusca a figure nere, sua metamorfosi, comincia a nuotare, duplice e definitiva sconfitta, per mare e
tranquillamente, sott’acqua. In questa per terra, subita dai tirreni nelle acque di
525-500 a. C. scena, conclusiva, l’acqua è rappresentata Cuma nel 474 a.C. ad opera di Gerione
attribuita al Pittore di Micali sia in alto che in basso dai motivi ad onde di Siracusa.
(VI sec. a.C.) correnti. Una versione dell’episodio è ricordata
argilla beige rosata, h cm 52, d. max. cm Il mito rappresentato sul vaso è stato in- anche nell’inno a Dioniso tratto dai co-
33. terpretato come la trasformazione dei pi- siddetti Inni omerici risalenti al VII secolo
Direzione Generale, Archeologia,Belle rati etruschi (Tirreni) in delfini ad opera a.C.: «[…] uomini in fretta, su nave ben
Arti e Paesaggio. MIBACT del Dio greco Dioniso (il cui culto af- salda di banchi, vennero, svelti, predoni,
fonda le proprie radici già nell’età del sul mare colore del vino, genti Tirrene […
Bibliografia: DAVIDSON BEAZLEY 1947, Bronzo) conosciuto come Fufluns fra gli ] ma il dio a prua in un fiero leone si tra-
pp. 12-16; SPIVEY 1987; RIZZO 1988; etruschi e come Bacco fra i romani. In- mutò, sulla nave, e forte ruggì, poi nel
NIZZO 2016, p. 138; RODINÒ 2016, pp. fatti, secondo la leggenda, il giovane Dio mezzo fece apparire anche un’orsa … dal
160-161; D’ERCOLE, DI PAOLA 2017. che si stava recando ad Nasso, partendo seggio di prora il leone bieco e feroce oc-
dall’isola di Chio, in Grecia, venne seque- chieggiò; e quelli fuggirono a poppa, stret-
strato e legato all’albero della nave da al- tisi sul timoniere, che l’animo aveva
La decorazione pittorica è distribuita su cuni pirati etruschi che lo avevano assennato, stettero terrificati; balzando
tre registri presenti sul collo del vaso, sulla scambiato per il figlio di un sovrano asia- d’un tratto, il leone catturò il capo, ma gli
spalla e sul corpo. Sul collo sono raffigu- tico ed ambivano ad un cospicuo riscatto. altri, a fuggire il fato funesto, tutti nel lim-
rati due personaggi maschili, di profilo, Dioniso, irato, fece crescere una vite in- pido mare balzarono al primo vederlo, per
nudi, gradienti verso destra. Al centro del torno all’albero maestro ed imprigionò il diventare delfini».
ciclo narrativo, sulla spalla del vaso, com- sartiame della nave con tralci d’edera (vi- Nel caso in esame è più probabile che un
pare un personaggio mitico, una sorta di sibili ai margini della scena inferiore) Dio sia riconoscibile nella raffigurazione
tritone, con la parte superiore del corpo piante a lui sacre. Spaventò poi i pirati centrale (metà uomo, metà pesce) che ri-
di forma umana (torace, testa, braccia) e (fatta eccezione per il timoniere Acete) corda la figura di Tritone, figlio di Posei-
quella inferiore a lunga e possente coda di con l’apparizione di animali mostruosi al done, il dio del mare, armato di tridente:
pesce munita di pinne; il “semidio”, carat- punto che i marinai etruschi, terrorizzati la raffigurazione potrebbe, anche, essere
terizzato da una fluente chioma e da una dall’ira divina, si gettarono in mare dove avvicinata a Nereo, un altro rivale di Era-
lunga barba, impugna, in ambedue le vennero trasformati in altrettanti delfini cle.
mani, altrettanti pesci e, quello di destra, animali cari al Dio come mostra anche la Il vaso è stato attribuito al Pittore di Mi-
è un delfino. L’ambientazione “acquatica” celebre kylix da Vulci, realizzata da Exe- cali (Spivey 1987). Per hydria, come sot-
appare rafforzata da un motivo ad onde chias tra il 540 e il 530 a.C., con Dioniso tolinea chiaramente il suo nome, si
correnti, continue, che delimita la parte adagiato su una nave da guerra con la vite intende un vaso a tre manici usato per
inferiore della scena. La scena inferiore al centro e circondato da delfini. contenere acqua. Questa forma si è tra-
mostra una teoria di sei figure la prima La scena principale dell’hydria, che mostra mandata per molti secoli: sono infatti nu-
delle quali, sulla destra, raffigura un per- quasi le caratteristiche di un moderno fu- merose le hydriai create dai maestri
sonaggio di forma umana nella porzione metto o cartone animato in movimento, ceramografi (attici ed apuli), che dipinge-
superiore del corpo con una coda di pesce potrebbe anche alludere alla rivalità poli- vano le loro opere con tecniche a figure
al posto delle gambe; nelle altre quattro fi- tica in atto fra etruschi e greci per il con- nere e rosse. Il Pittore di Micali (Beazley
gure il passaggio da uomo a pesce diviene trollo della navigazione sul mar Tirreno 1947), dal nome dello studioso risorgi-
sempre più marcato (gambe umane e che vedrà i suoi momenti salienti con la mentale che pubblicò per primo le sue
musi di delfini: in modo “inverso” rispetto battaglia del mare Sardo nelle acque anti- opere, fu attivo in Etruria, in particolar
alla figura precedente) finché nell’ultima stanti Alalia vinta dalle flotte alleate di modo a Vulci, nella seconda metà del VI
appare un delfino vero e proprio che ha etruschi e cartaginesi contro i Focei nel secolo a.C. e a lui sono stati attribuiti circa
cambiato anche postura (da verticale ad 540 a.C. (quindi poco prima della realiz- 200 vasi a figure nere stilisticamente omo-
obliqua) il quale, avendo completato la zazione del vaso in questione) fino alla genei (Rizzo 1988).



Il vaso in questione (definito come hydria Il vaso fece la sua prima, breve, appari- zione. Una volta rientrato in Italia l’im-
o kalpis) era conservato nel Museum of zione in Italia alla mostra sugli Etruschi, portante reperto è stato poi esposto nella
Art di Toledo (Ohio - U.S.A.) ed è stato curata da Mario Torelli, allestita in Pa- mostra L’Arma per l’arte e la legalità tenu-
restituito all’Italia il 9 maggio del 2014. lazzo Grassi a Venezia nel 2000, dove tasi a Roma, nell’autunno 2016, a Palazzo
Anche in questo caso, infatti, è stato pos- venne, quasi subito, ritirato dall’esposi- Barberini (Nizzo 2016), a Firenze nella
sibile ai Carabinieri del Comando Tutela Galleria degli Uffizi tra dicembre 2016 e
Patrimonio Culturale, in collaborazione febbraio 2017, per la mostra La tutela tri-
con lo US ICE (Unites States Immigration colore (Rodinò 2016) e, sempre a Roma,
und Customs Enforcement), grazie ai docu- presso la Rome International School della
menti d’archivio sequestrati ai “grandi” Luiss, nella mostra Recuperare il passato
trafficanti italiani (Giacomo Medici, per avere un futuro (d’Ercole-Di Paola
Gianfranco Becchina, Pasquale Camera, 2017). Infine l’hydria è stata esposta a Pa-
ecc.), poter dimostrare al museo ameri- rigi, nel quadro delle iniziative Unesco,
cano che esso proveniva da scavi illeciti, tra il 2 e il 12 maggio 2017, nell’ambito
clandestini, effettuati nel territorio del- della mostra Recovered Treasures.
l’Etruria meridionale (Vulci?) e che, grazie
a “fittizie” ricevute di vendita e di acqui- VINCENZO D’ERCOLE
sto, create ad arte, esportarlo illegalmente
dall’Italia.


SCHEDE

Dipinti dal
Museo Nazionale
di San Matteo
Ambito di Quentin Metsys La tavola entra nella collezione del Museo maestro anche la trattazione del manto
Nazionale di San Matteo negli anni Ses- blu, con il colore che sembra assorbire la
Madre dei dolori, 1520 ca. santa del XX secolo proveniente dalla luce e modularsi tra le pieghe in sottili
pittura a olio su tavola a fondo oro, cm. chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri a passaggi di chiaro e scuro, come nella Ver-
74x55 Pisa. gine dei dolori del Museu Nacional de Arte
Pisa, Museo Nazionale di San Matteo Era stata ricondotta all’ambito del pittore Antiga di Lisbona. La veste, dalle ampie
Provenienza: Pisa, chiesa di Santo Stefano olandese Quentin Metsys da Ferdinando maniche, è inoltre arricchita da un decoro
dei Cavalieri Bologna (1956). Al Museo viene però dipinto in oro, con un motivo ispirato a
classificata come dipinto di artista francese tessuti esotici assai diffusi a quel tempo
Bibliografia: BOLOGNA 1956, p. 26; CA- degli inizi del XVI secolo (Caleca 1978). nella ricca Anversa e ricorrente nelle Ma-
LECA 1978, p. 38; RAGGHIANTI COLLOBI Ragghianti-Collobi (1990) sostiene la tesi donne di Metsys.
1990, p. 96. di Bologna, ma tuttavia ritiene l’opera un La Madre dei dolori, dipinta su un sottile
prodotto devozionale di un seguace e me- supporto in legno di quercia, è pensata
diocre ripetitore di Metsys. La studiosa in- per essere una tavola autonoma, poiché
dica confronti con lavori del maestro quali non vi sono tracce di elementi di connes-
il busto di Maria nella Crocifissione di sione ai bordi e sono ancora visibili ai lati
Londra e il frammento ovale con Testa di i segni di un’antica cornice. Ciò testimo-
Maria, superstite della perduta tavola cen- nia che la figura non è stata ritagliata da
trale nella pala della Passione al Museo un’opera più grande, ma probabilmente
Machado del Castro di Coimbra. La ri- era affiancata alla sua destra da un altro
dotta bibliografia è da mettere in relazione dipinto, forse una Crocifissione, con cui
con la scarsa visibilità della tavola ancora doveva formare un dittico. Una struttura
fino a tempi recenti, prima perché conser- a due elementi viene impiegata da Metsys
vata in un luogo non accessibile della ad esempio nell’opera conservata ad An-
chiesa di Santo Stefano e poi a lungo nel versa, dove la Vergine in preghiera inter-
deposito del Museo. cede a favore dei fedeli verso Cristo
L’opera, di qualità elevata, è anche molto Salvator Mundi.
rara – e ciò contribuisce ad accrescerne il La tavola, sottratta al Museo, prima di es-
valore – poiché è su fondo oro, una scelta sere recuperata nel 2014 dal Comando
inconsueta per un arista fiammingo. Tale Tutela Patrimonio Artistico Nucleo di Fi-
elemento arcaizzante evoca l’intensa spi- renze, ha avuto un passaggio sul mercato
ritualità dei primitivi italiani e si rivela in antiquario, dove è stata assegnata alla
sintonia con la propensione del maestro - mano di Metsys raggiungendo una quo-
o di un suo valido collaboratore - verso tazione altissima.
temi di commossa e profonda religiosità.
Singolare è anche il taglio della figura, con CATERINA BAY
il busto che si erge monumentale dalla tre
quarti in su. Per tali caratteristiche la ta-
vola è collocabile nella fase di maggior in-
teresse dell’artista verso l’arte italiana.
Rimandano invece a una visione nordica
alcuni dettagli, ripresi con precisione len-
ticolare, quali ad esempio la stringa sul
polso destro e le lacrime che scendono sul
viso, oltre all’acuta e sofferta introspezione
psicologica. E’ riferibile all’ambito del


Artista fiorentino secolo XVI Artista toscano secolo XVI Bibliografia: DA MORRONA 1793, p. 193;
GRASSI 1851, p. 298; FERRETTI 1984, pp.
San Torpè, secondo o terzo San Lino Papa, secondo o terzo 249-262; BURRESI 1999, pp. 114-115;
decennio del secolo XVI decennio del secolo XVI BURRESI (a c.di) 2007, p. 69.
Pittura a olio su tavola, cm 80x54 Pittura a olio su tavola, cm 80x54
Pisa, Museo Nazionale di San Matteo Pisa, Museo Nazionale di San Matteo Lo storico Ranieri Grassi (1851) attesta
Provenienza: Pisa, chiesa di San Matteo Provenienza: Pisa, chiesa di San Matteo che nel 1840 le due tavole raffiguranti i
santi a mezza figura furono collocate sulla
parete sinistra della chiesa benedettina di
San Matteo a Pisa come laterali di un as-
semblaggio eterogeneo, che comprendeva
al centro una Sacra Famiglia - già ricono-
sciuta dall’erudito Alessandro Da Mor-
rona (1793) nel dipinto di Perin del Vaga
citato da Vasari – e in basso una predella
con l’Epifania, poi individuata da Ferretti
(1984) come lavoro di Niccolò Pisano. Le
opere, per volontà dell’Operaio Giuseppe
Tellini Bigongini, vennero prelevate dalla
chiesa interna. Poiché in questo luogo, di-
venuto ormai un magazzino, confluivano
anche materiali erratici dispersi dopo le
soppressioni napoleoniche del 1808-
1810, rimane da verificare se le tavole con
i santi fossero destinate fin dall’inizio a
San Matteo – come le altre due che for-
mavano la composizione – o se avessero
un’altra precedente collocazione. L’assem-
blaggio, ancora descritto dall’Ispettore
Annibale Marianini (1863), venne smon-
tato quando i quattro dipinti entrarono il
27 dicembre 1924 nella collezione del
Museo Civico, divenuto dal 1949 Museo
Nazionale.
Le tavole in esame sono realizzate con lo
stesso tipo di legno e presentano formato,
dimensione e spessore identico. Anche il
sistema delle due traverse ancora originali
applicate sul retro è analogo. Ciò suggeri-
sce che furono pensate per essere auto-
nome, ma dovevano probabilmente far
parte di un’opera complessa, forse un po-
littico a più elementi o meglio una serie
di ritratti. Lo stile e la tecnica esecutiva
presentano però alcune differenze che
portano a riconoscere l’attribuzione a due


pittori distinti, anche se è necessario te- barba e capelli paiono per alcuni aspetti croce pisana al centro– e per l’aspetto da
nere presente che la tavola con il Santo Ve- non troppo distanti dai modi di Pierfran- giovane soldato con barba e capelli mossi.
scovo è stata maggiormente integrata da cesco di Jacopo Foschi, documentato at- Torpè, secondo la tradizione contempo-
precedenti restauri. tivo a Pisa e in zona. Il Santo è riconosci- raneo dell’apostolo Pietro, indossa una
Il San Torpè rileva una chiara matrice fio- bile in Torpè in quanto portatore moderna armatura con elmo, di fattura
rentina che deriva dalla ritrattistica di Pon- dell’ampio vessillo di colore rosso simbolo fiorentina e coeva alla realizzazione del-
tormo e Bronzino; gli occhi e la resa di della città - anche se qui non è visibile la l’opera. Un’altra testimonianza a Pisa di
tale iconografia è in una pala di Aurelio
Lomi (1595) per la chiesa di San Ranie-
rino, mentre in seguito il Santo verrà so-
litamente raffigurato in veste di milite ro-
mano. L’attualizzazione dell’immagine è
forse riconducibile alla volontà di assimi-
lare alla cultura artistica dominante - ri-
cordiamo che Pisa era caduta sotto Firenze
dal 1406 - un santo patrono caro alla de-
vozione locale.
A un altro artista si deve il Santo Vescovo
che, nell’accento caricaturale che quasi de-
forma il volto, rivela un interesse per la
pittura nordica, in questo periodo assai
diffuso, come già ad esempio negli Uo-
mini Illustri dello studiolo di Federico da
Montefeltro a Urbino. Il Santo effigiato -
ripreso di profilo e a braccia incrociate sul
petto, con piviale, stola, tiara e pastorale
– è probabilmente Lino, nativo della vi-
cina Volterra, primo Papa a succedere a
Pietro.
Nelle tavole sono dunque raffigurati due
santi tra i più antichi testimoni a Pisa del
Cristianesimo.
Le opere sono state sottratte al Museo e
nel 2014 recuperate dal Comando Tutela
Patrimonio Artistico Nucleo di Firenze.

CATERINA BAY


Pittore vasariano secolo XVI
Melchisedech offre pane e vino a Abramo,
metà del secolo XVI
pittura a olio su tavola, cm 34 x 85,5
Pisa, Museo Nazionale di San Matteo
Provenienza: Pisa, chiesa di San Nicola

Pittore vasariano secolo XVI


Moltiplicazione dei pani e dei pesci, metà
del secolo XVI
pittura a olio su tavola, cm 34,5 x 85
Pisa, Museo Nazionale di San Matteo
Provenienza: Pisa, chiesa di San Nicola

Bibliografia: CASINI 1994; BURRESI 2007,


p. 62.

Le tavole, finora sconosciute agli studi, en-


trano nella collezione del Museo Nazio-
nale di San Matteo in tempi recenti, agli
inizi degli anni Duemila, provenienti dalla
chiesa di San Nicola a Pisa. Dello stesso
formato e quasi uguali nelle dimensioni,
appartenevano in origine a un’unica opera.
Il tema trattato suggerisce una probabile
collocazione su un altare eucaristico poi-
ché l’episodio Melchisedech offre pane e
vino a Abramo è considerato una prefigu-
razione della Moltiplicazione dei pani e dei
pesci, il miracolo che preannuncia l’Ul-
tima cena con cui viene istituito il Sacra-
mento dell’Eucarestia.
I dipinti sono forse individuabili in quelli
citati dall’Ispettore Annibale Marianini
(1860-1863) nella parte posteriore dell’al-
tar maggiore della chiesa di San Nicola
come «due piccole tavole di Vasari». La
stessa fonte attesta che, all’epoca, questo
altare era stato ammodernato e che le
opere che lo ornavano erano già state tra-
sferite nell’annesso convento.
Il riferimento all’ambito dell’artista are-
tino, attivo a Pisa a più riprese, appare
confermato dalla piacevolezza e vivacità
della gamma cromatica, dal dettaglio di
gusto antiquario per la resa di vesti e armi,
e soprattutto dall’abilità nel comporre e
disporre i numerosi personaggi in gruppi
dinamici e digradanti con un ampio pae-
saggio sullo sfondo. La discreta qualità,
avvalorata anche dall’ottimo stato di con-
servazione, suggerisce l’esecuzione a uno
stretto collaboratore dell’artista; non è
forse da escludere il contributo dello
stesso Vasari, almeno sul piano dell’idea-
zione.
In entrambi i dipinti compare uno
stemma composto da uno scaglione con
tre stelle a otto punte, sormontato da
elmo e aquila coronata. Nella tavola con
Melchisedech si trova sullo scudo di uno
degli astanti che chiude la scena a destra,
mentre nell’altra tavola è appoggiato nel-
l’angolo a sinistra in basso. L’emblema
mostra affinità con quello della famiglia
Marchant appartenente al Sacro Militare
Ordine di Santo Stefano, fondato con ap-
provazione papale nel 1562 (Casini
1994). Il coinvolgimento nella commis-
sione di una famiglia legata all’Ordine,
rinsalderebbe il collegamento delle tavole
con l’ambito di Vasari, impegnato dal
1558 nella sistemazione della nuova
piazza destinata a divenire sede dei Cava-
lieri.
Le opere, sottratte al Museo, sono state re-
cuperate nel 2014 dal Comando Tutela
Patrimonio Artistico Nucleo di Firenze.

CATERINA BAY
Artista toscano secolo XVI confermata da Paliaga (2015), è però resa
incerta, oltre che per qualche ingenuità
San Bernardo da Chiaravalle e di esecuzione nelle figure, anche dal fatto
monaca inginocchiata, secondo o che nell’attività pisana ben documentata
terzo decennio del secolo XVI dell’artista non si fa cenno a un’opera con
pittura a olio su tavola, cm 98x79 soggetto simile. A ricondurre il dipinto
Pisa, Museo Nazionale di San Matteo, inv. all’ambito del pittore piemontese è in par-
2135 ticolare la trattazione del paesaggio sullo
Provenienza: Pisa, chiesa di San Bernardo sfondo, ripreso con la tecnica dello sfu-
mato leonardesco utilizzato anche nella
Bibliografia: GRASSI 1837, p. 210; SUPINO già citata Sacra Conversazione. La tendenza
1894, p. 81; BELLINI PIETRI 1906, p. 145 sensibile al dato di natura potrebbe però
e n. 9; LASINIO 1923, pp. 62-63; BURRESI essere ascritta anche ad artisti toscani che
1999, pp. 100-101; PALIAGA 2015, p. 131. guardano ai paesaggi del Nord, come Ri-
dolfo del Ghirlandaio e Michele Tosini.
La figura femminile, poiché priva di au-
Nel 1808, a seguito della soppressione na- reola, deve essere identificata con una sem-
poleonica della chiesa cistercense di San plice monaca. Nel Santo con il libro
Bernardo a Pisa, il conservatore Carlo La- aperto è da riconoscere il titolare della
sinio prelevò la tavola centinata da sopra chiesa di provenienza, poiché porta l’abito
la porta del parlatorio dell’annesso mo- bianco con lo scapolare nero dei cister-
nastero femminile, per portarla nella cap- censi, mentre Benedetto indossa preferi-
pella Da Pozzo del Camposanto monu- bilmente l’abito nero, così come Santa
mentale, dove compare citata nel primo Scolastica. La scelta della gamma croma-
Inventario come San Bernardo con Santa tica, priva di colori vivaci e tendente al
in ginocchio (Lasinio 1923). L’opera con- verde scuro e alla terra, in aggiunta al
fluì nella collezione della Pinacoteca an- Santo che sembra invitare la monaca al-
nessa all’Accademia, dove Ranieri Grassi l’esercizio spirituale e alla meditazione, ri-
(1837) l’annotò con un giudizio positivo sultano adatti alla destinazione dell’opera
e identificò in San Bernardo e Santa Sco- per un ambiente monastico femminile.
lastica. La tavola passò poi al Museo Ci- A parte i volti, integrati da precedenti re-
vico (1893). Nel primo catalogo redatto stauri, l’opera si presenta in buono stato
da Supino (1893), poi confermato in di conservazione.
quello successivo di Bellini Pietri (1906), Sottratta al Museo, è stata recuperata nel
il soggetto venne interpretato come San 2014 dal Comando Tutela Patrimonio Ar-
Bernardo da Chiaravalle e Santa Scolastica. tistico Nucleo di Firenze.
In entrambe le edizioni l’opera fu ricono-
sciuta a scuola senese del XVI secolo. CATERINA BAY
Burresi (1999) riferisce il dipinto a Gio-
vanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, la
cui attività a Pisa è attestata da due grandi
tele realizzate per la tribuna del Duomo
tra il 1536 e il 1539, e da una Sacra Con-
versazione per la chiesa di Santa Maria
della Spina nel 1542-1543, ora al Museo
Nazionale di San Matteo. L’attribuzione,



SECONDA SEZIONE

Il terremoto
del Centro Italia
Dai Musei Sistini e dal territorio delle Marche
Paola Di Girolami

La seconda sezione della mostra documenta il territorio piceno dura-


mente colpito tra il 2016 e l’inizio del 2017 dal terremoto, attraverso
l’esposizione di alcune opere d’arte che provengono dai musei di arte
sacra di Force e Comunanza, ma anche da chiese come quelle di Santa
Maria Assunta di Cossignano e quella di Sant’Angelo Magno di Ascoli
Piceno: musei e chiese attualmente chiuse al pubblico o perché danneg-
giati o per l’inagibilità delle vie di accesso ai paesi stessi, come nel caso
di Force, e che si spera di riaprire il prima possibile.
I due musei sopra citati fanno parte di una rete di musei di arte sacra
della Diocesi di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto de-
nominata Musei Sistini del Piceno, comprendente oggi dieci sedi espo-
sitive distribuite nel territorio diocesano: il museo di Arte Sacra di
Castignano, Comunanza e Force, il Museo Sistino di Grottammare e
quello Sistino Vescovile di Montalto Marche, il Museo di Arte Sacra di
Montemonaco e il Museo del Santuario di San Giacomo della Marca;
il Museo Vescovile di Ripatransone, il Museo Ciccolini di Rotella e il
Museo di Arte Sacra di San Benedetto del Tronto. Questa rete è di fatto
un unico museo diocesano con più sedi sul territorio ed è dedicata alla
memoria di Papa Sisto V (1521-1590), nato a Grottammare ma origi-
nario di Montalto Marche, il quale ha legato l’intero territorio alla sua
figura, non solo per l’erezione della Diocesi montaltese, ma anche a
motivo dei preziosi doni artistici da lui elargiti alla sua terra, tra cui
spicca lo splendido e ormai famoso Reliquiario di Montalto, custodito
presso il Museo Sistino Vescovile di Montalto Marche: un tripudio di
oro, smalti, zaffiri e rubini, realizzato alla corte del re di Francia alla fine
del sec. XIV, transitato nelle le corti più importanti del Rinascimento e


finito nelle mani di Sisto V che ne fece dono a Montalto sua ‘patria ca-
rissima’.
Il ruolo dei Musei Sistini nel contesto post terremoto si è rivelato di
grande importanza perché ha reso possibile la permanenza delle opere
nei vari luoghi. Anche i manufatti presenti nelle chiese inagibili e sog-
gette all’evacuazione sono stati infatti ricoverati nelle sedi museali che
non avevano subito danni e che, in ogni caso, erano la maggioranza; ciò
ha evitato che i beni fossero trasferiti nei vari poli regionali allontanan-
dosi dalle comunità locali che con forza ne richiedevano la permanenza
nel territorio. Dunque non sarà superfluo, anche in questo contesto, ri-
cordare le ragioni che, nell’atto di istituzione del museo, furono addotte
per esprimere l’identità artistico-religiosa di queste terre. Si pensò subito
di non accentrare in un unico contenitore i manufatti e le opere d’arte
realizzate per le chiese locali, ma di esporle nei luoghi per i quali esse fu-
rono pensate e realizzate e quindi di non sottrarlo alle comunità di ori-
gine che erano fortemente caratterizzate e attaccate al loro trascorso


Le due lastre scolpite dalla chiesa di San
Lorenzo in Vallegrascia di Montemonaco
e il loro trasporto al Museo di arte sacra
di Montemonaco.


sociale, artistico e religioso. Tutte queste considerazioni, fatte nel 1998,
si sono rivelate, nell’ottica dell’evento sismico, ancora molto valide: la
distribuzione dei musei sul territorio ha infatti consentito che i beni ar-
tistici rimanessero nei vari luoghi e in parte fruibili. Ciò è risultato evi-
dente soprattutto nel territorio di Montemonaco, ai piedi dei Monti
Sibillini, dove il recupero delle opere dalle chiese è stato particolarmente
faticoso anche per le avversità atmosferiche. Tutti i manufatti sono stati
trasferiti nel museo di arte sacra della cittadina facente parte della rete
museale dei Musei Sistini, che fortunatamente non aveva subito danni:
parte nei depositi e parte nel percorso espositivo. Nel territorio diocesano
sono state circa sessanta le chiese danneggiate, ma quelle nel territorio
di Montemonaco, che sono le più antiche, hanno subito le ferite più
gravi: la chiesa di San Bartolomeo di Foce, risalente al secolo XI; quella
di Isola San Biagio e le cosiddette Cattedrali dei Monti Sibillini: la chiesa
di San Giorgio all’Isola e quella di San Lorenzo in Vallegrascia, due chiese
di epoca medievale di cui la scossa del 30 ottobre ha fortemente dan-
neggiato le meravigliose absidi e i campanili a torre e a vela. Nella chiesa
di San Giorgio all’Isola si è registrato un grave dissesto di uno dei pie-
L’abside sfondata della chiesa dritti del campanile, oltre che il crollo della parte sommitale di un af-
di San Lorenzo in Vallegrascia. fresco cinquecentesco raffigurante San Giorgio che uccide il drago. Gravi
problemi si sono riscontrati anche alla preziosa deesis bizantina della ca-
lotta absidale, risalente al secolo XII, che ha visto l’enorme aggravamento
di un’antica crepa.
Sicuramente, però, nel territorio diocesano di pertinenza, la chiesa che
ha subito i danni più dolorosi è quella di San Lorenzo in Vallegrascia di
cui è crollata l’intera abside romanica. Sono rimaste tuttavia illese la
cripta con gli straordinari capitelli scolpiti e gli importanti plutei o pa-
rapetti medievali, anch’essi scolpiti, in pietra arenaria raffiguranti la Crea-
zione con il peccato originale e alcune scene della salvezza, che hanno
trovato ricovero nel museo di arte sacra dove potranno essere ancora am-
mirati. L’operazione del trasferimento, particolarmente complessa e ri-
schiosa anche per via del peso considerevole delle lastre, ha richiesto gli
sforzi congiunti dell’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali, del Co-
mando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri, della
Soprintendenza delle Marche e soprattutto dei Vigili del Fuoco che


Chiesa di San Giorgio all’Isola
di Montemonaco, messa in sicurezza
della vela e recupero delle campane.


hanno tecnicamente risolto tutte le problematiche di movimentazione
e sollevamento delle lastre grazie al coordinamento del caposquadra del
comando di Caserta Angelo Di Benedetto.
Analogamente a quanto accaduto nel territorio montano della Diocesi
di San Benedetto del Tronto, anche Ascoli Piceno ha creato un proprio
deposito cittadino nel Forte Malatesta, evitando il trasferimento delle
opere altrove. In particolare, tra le chiese di maggior importanza colpite
dal sisma, c’è quella di Sant’Angelo Magno, già dei monaci Olivetani,
che contiene importanti capolavori sia di epoca medievale che barocca:
si pensi soltanto agli affreschi del secolo XII raffiguranti i Profeti e alla
Visione di Santa Francesca romana, capolavoro giovanile di Carlo Maratti.

Le campane recuperate dai campanili


del territorio di Montemonaco.

Le opere della chiesa


di San Benedetto abate di Montemonaco
portate in sicurezza nel museo.


Le opere esposte in questa sede intendono documentare il ricco patri-
monio salvato dalle chiese di Ascoli Piceno e della Diocesi di San Bene-
detto del Tronto Ripatransone Montalto attraverso una selezione che ha
tenuto conto non solo dell’importanza delle opere, ma anche del loro
stretto rapporto con la cultura della Capitale. In particolare, il Cristo tu-
nicato di Force rappresenta un esempio ragguardevole di scultura lignea
medievale ed è, a motivo della sua rara iconografia, della quale riman-
gono pochi esemplari in Europa, testimonianza di un’epoca vivace e ricca
di scambi culturali che trascendevano lo stretto ambito locale; la scheda
redatta da Alessandro Marchi infatti ne ripercorre la vicenda critica do-
cumentando ampiamente le ragioni di tanto interesse.
Più direttamente connesse con Roma sono invece le rimanenti tre opere,
bene studiate da Anna Lo Bianco e Stefano Papetti, che attestano il le-
game da sempre molto stretto tra le Marche e l’Urbe. Le prime due sono
la pala raffigurante San Liborio, proveniente da Comunanza e la Sacra
Famiglia da Sant’Angelo Magno di Ascoli Piceno, entrambe dipinte da
Giuseppe Ghezzi (1634-1721), pittore marchigiano che ottenne la pre-
stigiosa carica di Principe dell’Accademia di San Luca, divenendo artista
di spicco nelle vicende artistiche della Roma di fine Seicento, grazie anche
al legame di amicizia con Carlo Maratti. A quest’ultimo, d’altra parte, si
connette anche la pala proveniente dalla chiesa di Santa Maria Assunta
di Cossignano, opera di Ubaldo Ricci (1669-1732), pittore a capo di una
fiorente bottega attiva a Fermo tra Sei e Settecento, dalla quale, come si
legge nella scheda di Massimo Papetti, uscirono numerosi dipinti sacri
in cui si divulgavano la maniera del Maratti e i principali modelli della
grande pittura barocca.


SCHEDE
Scultore romanico
marchigiano
Seconda metà del secolo XI -
prima metà del secolo XII
Crocifisso tunicato
Legno scolpito, cm 150 x 150
Force, chiesa di San Paolo
Provenienza: Force, chiesa di San Taddeo
Restauro: Osvaldo Pieramici, Urbino,
2004

Bibliografia: SERRA, MOLAJOLI, ROTONDI


1936, p. 279; TEODORI 1967, p. 122;
PERTUSI PUCCI 1984, pp. 207-209; PERTUSI
PUCCI 1987, pp. 365- 398; ARMANDI
1994, pp. 132-134, 155; SENSI 2002, pp.
153-183; SENSI 2003, pp. 1325-1355;
MARCHI 2006, pp. 50-53; scheda in: ARVO
Archivio Digitale del Volto Santo cfr.
www.archiviovoltosanto.org, iconografia.

Il Crocifisso di Force rappresenta, insieme


a quello proveniente dall’Abbazia dei
Santi Vincenzo e Anastasio di Amandola
- oggi sull’altar maggiore della chiesa di
San Francesco - uno dei rari esemplari ap-
partenenti alla tipologia medioevale dei
‘crocifissi tunicati’, per molti versi affini al
cosiddetto ‘Volto Santo’ (celeberrimo
quello conservato a Lucca nella chiesa cat-
tedrale, su cui si è soffermata una gran
mole di letteratura, cfr. Baracchini Filieri,
1982; Lucca, il Volto Santo, 1984).
Il manufatto è conservato parzialmente, è
privo infatti delle braccia originali, oltre-
ché di una porzione dei piedi e di parte
della corona sommitale. Recentemente è
stato oggetto di un intervento conserva-
tivo di manutenzione e di disinfestazione
operato ad Urbino da Osvaldo Pieramici.
Nonostante la mancanza totale della po-
licromia, e nonostante lo stato frammen-


tario, è comunque uno di quei manufatti estrema della tunica sottostante» (Ivi, p. cidere con gli autori materiali del simula-
che conserva un grande fascino, vuoi per 380). Ancora qui, la studiosa, propone cro ligneo, e li identifica nell’ambito mo-
la sua impostazione arcaica, vuoi per l’ef- numerosi confronti sino a ravvisare un nastico: «non potendosi in alcun modo
fettiva antichità che non è affatto quanti- abito di tipo regale ispirato a quello del stabilire con sicurezza l’origine del Croci-
ficabile ad un primo sguardo e nemmeno Gran Sacerdote dell’Antico Testamento e fisso di Force e ipotizzandosi, comunque,
ad una osservazione ravvicinata. Occorre «si presenta come preziosa testimonianza una sua derivazione dall’ambiente mona-
approssimarsi a quest’opera con la predi- della mentalità di un’epoca in cui, più che stico, si può pensare che , come storica-
sposizione a riflettere lungamente, ed ana- in altri periodi, circolava l’idea della coin- mente la spiritualità farfense e quella
lizzare ripetutamente gli aspetti formali, cidenza della regalità con il sacerdozio, romualdino-avellanita si sono nelle Mar-
sino ad arrivare a comprendere il messag- idea che in quel momento era avocata a se che strettamente intrecciate, così nel pa-
gio, che arriva da molto lontano ma non dall’imperatore e che più avanti sarà pre- trimonio devozionale ed artistico l’una e
ha perso la sua intima e profonda validità: tesa del papato.» (Ivi, p. 384). Risultato di l’altra cultura, anche dal punto di vista de-
ed è insieme un messaggio di fede e di quest’ampia disamina è la datazione del vozionale e tipologico, abbiano lasciato
arte. crocifisso tra la fine del secolo XI e la insieme le loro tracce.» (Pertusi Pucci
L’arcaica scultura è stata oggetto di un prima metà del successivo, espressa in base 1987).
lungo studio da parte di Francesca Pertusi ai numerosi confronti, soprattutto con le
Pucci, la quale ha analizzato tutti gli Majestas catalane, senza ommettere di av- ALESSANDRO MARCHI
aspetti dell’opera, ad incominciare con la visare il letture che i crocifissi tunicati
discussione della tradizione locale che vo- sono assai ardui da datare, come dimostra
leva qui rappresentato non il crocifisso ma il problema insoluto della datazione del
bensì l’apostolo Taddeo, in sintonia con Volto Santo di Lucca. Lo studio della Per-
la dedicazione della chiesa in cui l’opera è tusi Pucci è peraltro precedente al restauro
stata per lungo tempo conservata, seppure e relative scoperte operato sul Volto Santo
questa non fosse la sua ubicazione origi- conservato nella cattedrale di Borgo San-
naria (si tratta infatti di una scultura sepolcro, per cui si è proposta una data-
troppo grande per un edificio che era ve- zione assai antica, addirittura fra VIII e IX
ramente di modeste proporzioni). secolo, che ha arrecato al mondo degli
L’analisi si sofferma sugli aspetti morfolo- studi sulla scultura lignea medioevale un
gici, quali la corona - a doppia fascia certo scuotimento (cfr. Maetzke 1994;
chiusa da due archi secondo la tipologia Eadem, pp. 27-28 e Schleicher, pp. 65-
carolingia - che non è presente in nessun 66).
esemplare di crocifisso italiano con tunica La scultura di Force non è però un unicum
manicata, ma trova confronti in un croci- nelle Marche, poco distante, ad Amandola
fisso spagnolo conservato a Gerona ed in esiste infatti un secondo crocifisso tuni-
uno conservato a Stoccolma (Statens Hi- cato, conservato oggi nella chiesa di San
storiska Museum), databile all’inizio del Francesco ma proveniente dall’Abbazia
XIII secolo, oltre che con il crocifisso di dei Santi Vincenzo e Anastasio. Anche
Tancremont (Pepinster) attribuito al se- quest’opera è stata oggetto di un’ampia di-
colo XII (Pertusi Pucci 1987). scussione da parte di Francesca Pertusi
Si prosegue con lo studio della capiglia- Pucci, sfociata - per vari e complessi mo-
tura, della barba e dei tratti del volto, pro- tivi - in una datazione più tarda: tra XIII
ponendo numerosi confronti, sino e XIV secolo (p. 390).
all’abito che si compone di una sopra-tu- Per quanto concerne l’ambiente probabile
nica «fermata alla vita da una cintura an- di produzione della solenne immagine di
nodata sul davanti, (che) ricade con due Force, la studiosa, analizza i probabili
larghe pieghe, lasciando vedere la parte committenti, che avrebbero potuto coin-


Giuseppe Ghezzi scritta in minutissime pieghe chiaroscu- evidente potere anche nei confronti degli
rate, termina nel raffinato bordo di mer- altri artisti. Aveva progettato e realizzato le
(Comunanza 1634 – Roma letto traforato. Conclude questa prova di grandi celebrazioni del centenario dell’Ac-
1721) abilità pittorica l’invenzione geniale e per- cademia svoltesi nel 1699, in occasione
San Liborio sonalissima del dettaglio dei guanti rossi, delle quali aveva dipinto il Ritratto di Ge-
Olio su tela, cm. 160 x 100 di memoria tizianesca. La nostra atten- rolamo Muziano, fondatore dell’accade-
Comunanza, Musei Sistini zione vi si rivolge per il colore acceso, per mia. Carica che doveva anche alla stretta
Provenienza: Chiesa di S. Caterina la destrezza anatomica esecutiva e per la amicizia con il papa Clemente XI Albani,
carica prospettica che le mani guantate as- che regna incontrastato dal 1700 al 1721,
Bibliografia: GABRIELLI 1634, p. 16; VA- sumono nella resa dello spazio, affiorando morendo lo stesso anno del pittore.
LAZZI 1989, I, p. 374; MARTINELLI 1990, oltre la tela, verso lo spettatore. L’indiscussa autorità accademica dell’arti-
p. 12; FERRIANI 1994, pp. 39-42; LO Caratteri, questi, tutti ricorrenti nella pro- sta gli derivava da un’educazione erudita
BIANCO 1994, pp. 209-232; DE MARCHI duzione di Giuseppe Ghezzi, poco stu- che aveva privilegiato studi di retorica e
1999, p. 119. diato in confronto al figlio Pier Leone,ma grammatica, ma anche legali e filologici,
la cui maniera appare ricca di energia ba- intrapresi per volere della famiglia in pa-
rocca, di capacità tecnica, di forza espres- rallelo agli studi d’arte. Questo bagaglio,
Il dipinto raffigura San Liborio come si siva come si può notare in tutti i suoi anche inusuale, di conoscenze permise a
può desumere dai due sassolini che tiene quadri, presenti in svariate chiese romane Giuseppe di svolgere un ruolo carismatico
nella mano sinistra, allusivi alla sua prero- e nella città di Ascoli, di cui era stato no- che si andò sempre più consolidando at-
gativa di proteggere dalle malattie renali. minato cittadino nel 1698, su sua stessa traverso i contatti con il pontefice ma
Il santo fu il quarto vescovo di Le Mans richiesta. anche con Cristina di Svezia e con molti
in Francia per un lungo periodo non per- Il San Liborio risale con tutta probabilità protagonisti della curia romana con i quali
fettamente definibile, attorno al 380. agli anni ’80 del Seicento e mostra una instaurò un rapporto “alla pari”.
Per questo è rappresentato nella sua veste estrema affinità con il quadro raffigurante
di vescovo, con il pastorale e con la lunga San Benedetto eseguito per la romana ANNA LO BIANCO
barba leggermente canuta a indicare l’età chiesa di S. Cecilia, che costituisce un si-
matura. curo punto di riferimento in quanto fir-
L’attribuzione a Giuseppe Ghezzi non si mato e datato 1676. Vi troviamo una
basa su documenti ma è relativamente re- analoga figura di vescovo, dal volto in-
cente e risale al Gabrielli, che nel 1934 la tenso, sempre rivolto allo spettatore, re-
propone sulla base degli evidenti e condi- datto con una stessa resa solenne del
visibili elementi stilistici. Viene infatti ri- personaggio. Attorno agli anni ’80 si rife-
presa successivamente da tutta la critica riscono diverse opere importanti dell’arti-
che vi scorge la consueta forza espressiva sta tra cui quelle dipinte per la chiesa di
del pittore che qui propone un’inedita in- San Salvatore in Lauro, chiesa della na-
terpretazione del santo, a figura intera, zione marchigiana, particolarmente cara
frontalmente posta sul fondo del cielo alla famiglia Ghezzi, di cui Giuseppe cu-
cupo e corrusco e sul primo piano di una rava anche le esposizioni che allora si te-
vegetazione arida appena accennata. Cat- nevano nel chiostro.
tura la nostra attenzione la posa ampia e Giuseppe Ghezzi non fu infatti solamente
solenne del santo che volge verso lo spet- pittore ma fu un vero intellettuale con un
tatore il suo sguardo penetrante. Il ricco ruolo estremamente significativo nella
mantello damascato forma pieghe dalla Roma tra fine Seicento e inizio Settecento,
consistenza cartacea perfettamente deli- occupando tra l’altro l’incarico ambitis-
neate che creano ombre nel tono dorato simo di Segretario della Accademia di San
della stoffa; la veste sottostante bianca, de- Luca, che gli permetteva di esercitare un


Giuseppe Ghezzi Bibliografia: RICCI 1834, p. 178; CO- l’aristocrazia romana e della regina Cri-
STANZI 1999, p. 23; FABIANI 2009, pp. stina di Svezia che lo avvicinava alle
(Comunanza 1634 – Roma 142-143; PAPETTI 2013, p. 116. istanze culturali promosse dall’Accademia
1721) dell’Arcadia.
Sacra Famiglia, 1698 Nella tela ascolana, il gruppo composto
Fra la fine del Sei e l’inizio del Settecento dalla Vergine, da San Giuseppe e dal Bam-
Olio su tela, cm 270 x 190 la chiesa ascolana di Sant’Angelo Magno bino è ispirato alla Natività dipinta da
Ascoli Piceno, Forte Malatesta fu oggetto di un articolato intervento di Carlo Maratta nel 1650 per la chiesa ro-
Provenienza: Chiesa di Sant’Angelo rinnovamento voluto dagli abati Ciucci e mana di San Giuseppe dei Falegnami, ma
Magno Amati che improntarono il decoro interno dell’eletto modello, Ghezzi propone una
dell’antica aula medioevale alla teatrale versione animata da una espressività più
magnificenza del Barocco romano: nuovi concitata e da un più marcato contrasto
altari in legno intagliato e dorato accolsero chiaroscurale, reso possibile dalla scelta di
importanti tele commissionate agli artisti ambientare la scena in un interno umbra-
più in vista dell’Urbe, come Carlo Ma- tile. Anche i panneggi, soprattutto quelli
ratta, che nel 1655 eseguiva la Madonna dei manti indossati da Giuseppe e da
che appare a Santa Francesca Romana, Gia- Maria, mostrano un andamento mosso e
cinto Brandi e Giuseppe Ghezzi. La tela molto variato, caratterizzato da un’enfasi
di quest’ultimo venne commissionata nel di derivazione cortonesca: la partitura lu-
1698 dall’abate benedettino Francesco minosa del dipinto è poi rafforzata dagli
Maria Amati che finanziò l’onerosa im- effetti prodotti dagli aloni luminosi che si
presa utilizzando le prebende delle prati- irradiano dalle teste di Maria e del Bam-
che quaresimali: con l’arrivo della Sacra bino, avvolto in un lino bianco che Giu-
Famiglia si riallacciava così l’antico rap- seppe amorevolmente solleva: un raggio
porto che aveva unito già da molti de- di luce naturale, proveniente dal lato sini-
cenni la famiglia Ghezzi alla città di Ascoli stro, in corrispondenza della reale illumi-
Piceno dove il padre di Giuseppe, Seba- nazione dell’altare, rivela dal fondo i volti
stiano (circa 1580-1645) aveva operato fra e i corpi dei vari personaggi che Ghezzi
il secondo e il terzo decennio del Seicento rappresenta riservando grande attenzione
sia come pittore che come architetto e alla resa dei contenuti affettivi e dell’in-
scultore, realizzando, fra le altre cose, l’al- timo rapporto che lega fra loro le varie fi-
tare in stucco destinato ad accogliere l’An- gure.
nunciazione di Guido Reni per la chiesa
di Santa Maria della Carità. STEFANO PAPETTI
Dopo la morte di Sebastiano, che era stato
il suo primo maestro, e dopo aver fre-
quentato l’università di Fermo, Giuseppe
scelse di trasferirsi a Roma, affiancando al-
l’attività di pittore quella di antiquario e
di collezionista di cose d’arte: per vari anni
organizzò infatti le celebri mostre di pit-
tura che si allestivano presso la chiesa di
San Salvatore in Lauro, che il cardinale
Decio Azzolino aveva acquistato per la co-
munità picena dell’Urbe, meritandosi la
stima delle più importanti famiglie del-
Ubaldo Ricci feste; molto numerosi invece i dipinti di Sant’Antonio di Cossignano: entrambi de-
destinazione sacra, tra cui segnaliamo solo rivati da un prototipo più volte utilizzato
(Fermo 1669-1732) il San Felice da Cantalice dei Cappuccini dai Ricci e assai popolare al tempo, rin-
Madonna Addolorata con San di Fermo (1709), citato dal Lanzi e da tracciabile nel San Francesco di Sales della
Francesco di Paola e Sant’Antonio Amico Ricci, rimandando per tutto il resto pala che Carlo Maratti dipinse tra il 1663
di Padova, 1719 circa al catalogo compilato da chi scrive e alle e il 1667 per la chiesa di Sant’Agostino di
integrazioni degli studi più recenti (Col- Siena. Sempre dal Maratti, di cui Ubaldo
Olio su tela, cm 218x188 trinari 2012; Maranesi 2016). Ricci fu il principale divulgatore nella pro-
Cossignano (AP), chiesa di Santa Maria La pala in esame può considerarsi emble- vincia fermana, sono tolti i cherubini e,
Assunta matica della prassi artigianale di Ubaldo più in generale, tutto l’impianto composi-
che, in questo caso, raggiunge esiti non tivo del quadro in esame, che riecheggia la
Bibliografia: Cossignano e le sue chiese privi di originalità. Il registro superiore è vaporosa pala Altieri nella chiesa della Mi-
1992, pp. 9-17; PAPETTI 2007, p. 91, occupato dalla Vergine addolorata che, nerva a Roma, realizzata dal pittore di Ca-
p. 107; COLTRINARI 2012, pp. 22-59; sotto un nugolo di cherubini, sta in con- merano nel 1672. La prevalente intona-
MARANESI 2016, pp. 79-116. templazione di una grande croce lignea zione marattesca serve ad amalgamare in
sorretta da un angelo; in basso, sulla de- un insieme coerente la varietà degli altri
Il dipinto proviene dalla prepositura di stra, è inginocchiato Sant’Antonio di Pa- modelli impiegati. L’angelo che regge la
Santa Maria Assunta di Cossignano, antica dova, affiancato da un angioletto con il croce si ispira infatti all’analoga creatura
chiesa retta dai monaci dell’Abbadia di libro e il giglio; a sinistra, parimenti rivolto progettata dal Bernini e scolpita da Ercole
Farfa, affidata al clero secolare nel 1550 e alla croce, si vede San Francsco di Paola, Ferrata per il ponte Elio a Roma e richiama,
completamente rinnovata negli anni 1788- riconoscibile grazie alla foggia dell’ampio nel volto, un dettaglio della Madonna con
1792 (Cossignano e le sue chiese 1992). saio e alla presenza di un puttino che nella Bambino, San Francesco di Paola e l’Angelo
L’opera è stata ricondotta dallo scrivente penombra addita un tondo recante il Custode, dipinta tra il 1703 e il 1705 da
ad Ubaldo Ricci, esponente di una prolifica motto «CHARITAS». Francesco Solimena (ora a Dresda, Gemäl-
dinastia di artisti attivi a Fermo per quasi Il soggetto richiama alcuni fra temi devo- degalerie), opera alla quale Ubaldo e Natale
due secoli al servizio della piccola nobiltà zionali all’epoca più popolari, come il si rifecero più volte e da cui è desunta anche
locale e di committenti in prevalenza ec- culto per l’Addolorata e quello per San la figura del San Francesco, qui ripetuta in
clesiastici (Papetti 2007). Francesco di Paola, celebre eremita cala- controparte e opportunamente rielaborata.
Figlio del pittore Alessandro, di cui non brese fondatore dell’Ordine dei Minimi, Nonostante l’austerità del soggetto, la pala
restano opere sicure, Ubaldo si formò a che nel 1507 finì i sui giorni in Francia, di Cossignano esibisce un’apprezzabile fe-
Roma dove ebbe modo di studiare le opere dove si era recato per assistere Luigi XI licità pittorica che si manifesta nelle tinte
del Baciccio, di Pietro da Cortona e Carlo morente. Il culto del santo riscosse molto pastose e nella vigorosa distribuzione dei
Maratti; tornato nella città di origine, si consenso tra Sei e Settecento, e nel Piceno chiaroscuri. Lo stile fresco e il cromatismo
pose a capo di una bottega molto attiva si diffuse grazie anche ad una campagna acceso richiamano la maniera di Ubaldo
che gestì in stretta collaborazione con il di missioni popolari. La bottega dei Ricci tra la fine del secondo e gli inizi del terzo
fratello Natale, diffondendo tra Marche e si specializzò nella produzione seriale di decennio del Settecento, anni compatibili
Abruzzo una pittura eclettica e di facile effigi di San Francesco desunte da un noto con l’erezione dell’altare, dedicato a San
impronta devozionale nella quale, assem- ritratto cinquecentesco, e lo stesso Ubaldo Francesco di Paola, istituito il 29 marzo
blati in disinvolti centoni, si trovavano in più occasioni lo rese protagonista di 1719 per cura di Emidio Feriozzi di Ca-
reimpiegati più volte i principali modelli pale d’altare. Ricordiamo su tutte quella storano.
in voga nella Roma dell’epoca, spesso proveniente dalla chiesa di Sant’Andrea Nella cimasa dello stesso altare, sempre
combinati con ricordi e citazioni dai di Petritoli (1714), dove il santo, analo- attribuibile ad Ubaldo, è collocata la
grandi maestri del Rinascimento e del gamente al quadro di Cossignano, com- mezza figura di Sant’Emidio, patrono di
primo Seicento. Poco rimane della pro- pare ai piedi di una Madonna Addolorata Ascoli, che dopo il catastrofico sisma del
duzione profana dei fratelli Ricci, impe- (Papetti 2007). 1703 fu invocato contro i terremoti.
gnati, secondo i documenti, in scene di In quest’ultimo dipinto il santo di Paola
genere, paesaggi, insegne e apparati per ricalca, nella postura e nel gesto, il MASSIMO PAPETTI



TERZA SEZIONE

La cattedrale di Benevento
dopo le bombe del ’43
Un passato da riconquistare
Vega de Martini

Dal 27 agosto al 2 ottobre durarono, nel 1943, le incursioni aeree anglo- Nicola da Monteforte, San Bartolomeo.
Benevento cattedrale.
americane sulla città di Benevento. Operate con lanci in sequenza e a
grappolo furono 19 ed uccisero circa 2000 abitanti, sepolti dai crolli o Superstite dai bombardamenti del 1943,
la monumentale scultura si trova ora
dilaniati dalle esplosioni. Racconta Franco Bove: «Il 70% delle case fu nella cattedrale ricostruita appena dopo
reso inabitabile con 8.000 vani ridotti in macerie e 18.000 fortemente la guerra. Un raffronto stilistico immediato
danneggiati. Furono colpite e rase al suolo intere parti della vecchia città, è con la grande statua di Arnolfo
di Cambio raffigurante Carlo I d'Angiò,
oltre alla stazione e alle sue aree circostanti, con particolare accanimento conservata nei Musei Capitolini.
verso i siti interessati da attività industriali. I danni maggiori si ebbero (pagina precedente)
intorno alla cattedrale che fu il punto focale di reiterati attacchi attraverso
i quali il tempio di origine tardo antica e il palazzo episcopale, con il quar-
tiere popolare che dal medioevo lo circondava, furono trasformati in un
cumulo di macerie. Alla fine di quell’infernale lancio di ordigni risulta-
rono irrimediabilmente perduti i monasteri altomedievali di San Pietro e
di San Modesto, le chiese di Santa Maria di Costantinopoli e della con-
fraternita di Santo Spirito, la chiesa e l’ospedale di San Diodato, per
quanto segnalato da una croce posta sul tetto, e l’oratorio di San Paolo,
oltre a vari palazzi di notevole valore architettonico tra cui quello di Da-
comario, primo rettore della città, che aveva ospitato tra il 1155 e il 1777
due pontefici con la relativa corte. Delle strutture della cattedrale resta-
rono in sito la facciata, il campanile e due terzi della cripta, restaurati nel
corso della riedificazione del tempio tra gli anni cinquanta e sessanta del
Novecento. La straordinaria porta di bronzo, fusa tra il secondo e il terzo
quarto del XII secolo, la Janua Maior considerata dagli storici dell’arte 1
La citazione è tratta dall’intervento di Franco
come una delle più alte espressioni artistiche medievali dell’Italia meri- Bove (I Bombardamenti di Benevento nel 1943)
ad un convegno tenuto presso la sede dell’Ar-
dionale, fu ridotta in frammenti ed è stata ricomposta con non poche la- cheo Club Italiano - Sezione Benevento, il 23
cune, dopo un lungo lavoro di restauro durato oltre un decennio»1. aprile del 2015.


Gianfrancesco Buonamici Anche i due amboni che introducevano alla zona presbiteriale – dovuti
(Rimini 1692 - Roma 1759),
Papa Orsini, Benedetto XIII, consacra
a Nicola da Monteforte, firmati e datati al 1311 – furono colpiti. Si è
mons. Maffeo Nicolò Farsetti arcivescovo a lungo creduto che di questi, gli unici elementi superstiti fossero i cin-
di Ravenna. que esposti presso il Museo del Sannio a Benevento. Ed invece, nella
Benevento, Palazzo arcivescovile
(dalla chiesa di San Bartolomeo).
primavera del 1981, nel corso dell’allestimento, nella pseudo cripta
della stessa cattedrale, di un piccolo museo destinato a ricoverare le
La cerimonia avvenne il 14 aprile del 1727
nella cattedrale di Benevento. Dopo tre anni opere dell’arcidiocesi beneventana recuperate dalle macerie che il ter-
dalla sua salita al soglio pontificio, il papa remoto del novembre di quell’anno aveva provocato nelle zone interne
volle recasi per alcuni giorni nella città che della Campania, a rovistare nei marmi depositati in uno dei locali adia-
amava, presso l’arcidiocesi che aveva con-
dotto dal 1686 al 1724 e che continuava a centi alla pseudo cripta, venne fuori un consistente numero di elementi
condurre, non avendo mai rinunciato, pur dei due amboni e del cero pasquale (cfr. scheda in catalogo). Quando
nel ruolo di pontefice, alla carica di arcive- nell’autunno del 1943 le bombe colpirono Benevento, l’aspetto della
scovo di Benevento. Tra il disappunto della
curia vaticana, parti da Roma il 29 marzo cattedrale non doveva essere tanto diverso da quello delle tante chiese
del 1727 e arrivò solo il 5 aprile a Benevento che un terremoto di forte entità, come fu quello del 1980, riesce a di-
dove rimase ben 37 giorni. Tra le varie ceri- struggere. Dopo il crollo della cattedrale si provvide a recuperare e met-
monie cui diede vita s’inserisce quella rap-
presentata nel quadro del Buonamici. tere in salvo il patrimonio superstite, le formelle della poderosa porta
bronzea, numerosi manufatti relativi al così detto Tesoro delle Reliquie
dovuto al cardinale Orsini arcivescovo di Benevento dal 1686 al 1724,
poi papa fino al 1730, col nome di Benedetto XIII, ma gran parte del
materiale fu evidentemente ammonticchiato e dimenticato e, fino al
ritrovamento del 1981, erroneamente ritenuto perduto. Nel piccolo
museo della pseudo cripta, inaugurato poi nel maggio del 1981, furono
esposte, insieme ad altri manufatti provenienti dal territorio, le formelle
della porta bronzea - fino a quel momento conservate in pessimo stato
ed accessibili solo agli studiosi che ne facessero richiesta nei locali della
Biblioteca capitolare dell’arcivescovado - rimontate su pannello, con la
successione che avevano al momento in cui la porta era stata colpita
dai bombardamenti. Oggi, dopo un accurato e meditato restauro con-
dotto da Sergio Angelucci con la direzione lavori della Soprintendenza,
sono tornate a costituire la grande porta della cattedrale beneventana.
Ovviamente nel piccolo museo furono esposti anche alcuni degli ele-
menti appartenenti al cero pasquale e ai pulpiti ritrovati, come già
detto, durante i lavori di preparazione all’allestimento dei locali. Oggi
sono in attesa di essere collocati nel nuovo Museo diocesano, il cui
primo segmento è stato inaugurato qualche mese fa. E non sarà una fa-


Achille Vianelli cile impresa stabilire, vista la grande frammentarietà degli stessi, come
(Porto Maurizio 1803 - Benevento 1894), riassemblarli.
Facciata della cattedrale di Benevento, 1891.
Benevento Museo del Sannio. Parte consistente della sezione beneventana della mostra costituiscono
alcuni manufatti appartenenti al Tesoro di cui l’Orsini, prima da
arcivescovo e poi da papa, volle dotare Benevento, anch’esso superstite
La facciata della cattedrale di Benevento
prima dei bombardamenti. alle distruzioni del 1943. Uno dei tesori più importanti e più rinomati
(pagina a fronte) dello stato Pontificio lo ritiene Xavier Barbier de Montault nel 17892


Achille Vianelli (Porto Maurizio 1803 - Benevento 1894), Veduta dell’interno della cattedrale di Benevento dalla navata sinistra, 1865.
Benevento Museo del Sannio.


Achille Vianelli (Porto Maurizio 1803 - Benevento 1894), Veduta dell’interno della cattedrale di Benevento dalla navata destra, 1866.
Benevento Museo del Sannio.


Le macerie della cattedrale di Benevento
dopo i bombardamenti.

che ce lo descrive tutto conservato alle spalle dell’abside e al di sopra


della sagrestia in una grande sala rettangolare, predisposta dall’Orsini
ancora all’epoca del suo arcivescovado, già prima del terremoto del
1688. Una documentazione assai dettagliata della sua consistenza ce la
fornisce il canonico beneventano Giovanni de Nicastro (+ 1738) in un
manoscritto conservato in collezione privata, oggi non più rintracciabile
ma pubblicato nel 1976 dal canonico Giovanni Giordano3. «Il sacro e
doppio Tesoro di questa Metropolitana attrae tutti i cuori a venerar le
numerose e insigni Reliquie […]. Per la conservazione di tutte queste
Reliquie il Signor Cardinal Arcivescovo ha fatto erger da fondamenti
una bella Cappella […] che sarà intitolata Il Tesoro delle Reliquie». In
quell’ambiente facevano bella mostra di sé straordinari arredi liturgici:
«[…] tra i numerosi candelieri se ne ammirano sei ben grandi […] colla
Croce uguale, valutati quattordicimila scudi, donativo della sagra Maestà
del re di Sardegna Vittorio Amedeo. Vi ha la rosa d’oro benedetta nel


Le macerie della cattedrale di Benevento
dopo i bombardamenti.

primo anno del suo pontificato […]. Evvi un Urna di oro colla Reliquia
della coscia di S. Giovanni Orsini vescovo di Tragù nel dominio veneto,
donata dalla serenissima Repubblica di Venezia al sopradetto gran
Pontefice, valutata cinquemila ducati. Non dee tralasciarsi la sfera o
ostensorio d’oro con quattro calici parimenti d’oro, ed un altro ricco di
gemme. Evvi un’altra sfera di argento indorato ed un’altra tutta commessa
di grossi coralli. Vi sono trentasei calici di rara manifattura, quasi tutti
di argento indorato […]. Evvi […] un gran bacino e boccale di raro
lavorio, e dorato, prezzati non meno di mille scudi Non debbo emetter
la ricordanza di quattro candelieri di argento dorato, ognuno de’ quali
sostiene cinque candele. Questi sarebbero propri di una mensa Reale 2
X. XAVIER DE MONTAULT, Le Trésor de la ca-
[…]. Di due pastorali, uno assai nobile d’argento, fregiato nella cima di thédrale de Bénévent, Arras 1879, extract da «La
Revue de l’art chrétien», II serie, Tomo X, pp.
una statuetta del S. Arcivescovo di Firenze Antonino, si stima assai più 4-7.
3
un altro di tartaruga per lo raro e bizzarro lavorio. Stanca poscia G. GIORDANO, Il Tesoro, in Aspetti di vita be-
neventana nei sec. XVII e XVIII, Benevento
l’occhio la copia della preziosissima suppellettile di ricamo d’oro e 1976.


La facciata della cattedrale di Benevento d’argento di ogni colore. Tra di essa risalta la pianeta colla dalmatica,
dopo i bombardamenti.
(pagina a fronte)
tonacella e piviale, donata dalla Sagra Maestà di Giovanni V Re del Por-
togallo. Ma risalto maggiore fanno i doppi Pontificali con tutto il sagro
arredo adoperato nella messa solenne del sovradetto gran Pontefice e
dai Cardinali suoi ministri, così nella canonizzazione de’ Beati Stanislao
Kostka e Luigi Gonzaga della Compagnia di Gesù, come in quella della
Beata Margherita da Cortona. Si ammirano finalmente in questo Tesoro
altre cose rare, donativi di Re, Repubbliche, Cardinali, Arciduchi, arci-
duchesse, Prelati e Titolati, fatte al sovredetto Papa Benedetto, e da esso
trasmesso in tutto a questa sua direttissima sposa in valor di trecentomila
e più scudi». Una documentazione assai precisa di questo Tesoro ce la
forniscono interessanti manoscritti, praticamente inediti, conservati
presso la Biblioteca capitolare di Benevento. Prima un elenco della sup-
pellettile della chiesa metropolita beneventana esistente nell’anno 1724,
stilato per ordine del cardinale arcivescovo4 poi nel 1726 un secondo
elenco, sempre voluto dall’Orsini che però all’epoca era già divenuto
papa da due anni5. Gli ultimi due inventari, databili post 17296 ci in-
formano delle donazioni effettuate dall’Orsini, già papa come si è
detto, alla metropolitana di Benevento a partire dal maggio del 1724:
sono registrate le donazioni fatte a sue spese e quelle di oggetti a lui
4
Biblioteca capitolare di Benevento (d’ora in regalati donati e da lui “riciclati” in doni preziosi per la sua cattedrale.
poi BCBn), Inventario della Suppellettile, così Sebbene depredato dai francesi nella notte del 20 gennaio del 1799,
sagra, come non sagra, appartenente alla S.
Chiesa Metropolitana di Benevento, formata in come ci racconta lo stesso Barbier de Montault, e fortemente danneggiato
esecuzione del decreto nel cap. XIV e XXIX della dalle bombe della seconda guerra mondiale come già detto, il Tesoro
XXIII Visita della stessa Metropolitana di Bene-
vento dall’Eminentissimo Sig. Cardinale Arcive- delle Reliquie può considerarsi ancora molto consistente, ed importante
scovo Orsini nell’anno 1724, ms. 484. come dimostrano i pochi pezzi esposti in questa mostra. Tra questi la
5
BCBn, Inventario della Suppellettile, così sagra,
come non sagra, appartenente alla S. Chiesa Me-
mitra e la pianeta appartenuta al papa Orsini in persona, solo un
tropolitana di Benevento, formata per ordine di assaggio dei preziosissimi paramenti superstiti al furioso incendio inter-
N.S. Benedetto PP. XIII Arcivescovo nell’anno venuto ad aggravare la caduta delle sacre vestigia della cattedrale.
1726. ms. 485.
6
BCBn, Inventario delle suppellettili sagre do- Afferma Giovanni Giordano: «Ciò che per Benevento era il motivo di
nate dalla Santità di Nostro Signore Benedetto un orgoglio campanilistico e segno continuo dell’affettuosa presenza
Papa XIII fatte a proprie spese dal 1 giugno 1724
a tutto…, ms. 486; Inventario di suppellettile del suo papa, si dissolse in pochi apocalittici momenti. I suoi rari
sacra donata alla Santità di Nostro Signore Be- broccati, i damaschi e lini preziosi, assieme a diversi arredi sacri,
nedetto PP. XIII, e da esso donata ad altre Chiese,
e parte ritenute per uso proprio. Dalli 29Maggio bruciarono lentamente soffocati tra rovine di pietre e travi, donando
1724 a tutto…, ms. 487. ancora nella notte, con le loro volute di fumo e di colori, un’ultima
7
G. GIORDANO, Il Tesoro in Aspetti, cit. visione di bello»7. In tutti i modi, quanto rimane del Tesoro delle
Reliquie da solo potrebbe supportare una intera mostra da allestirsi in
questi stessi spazi, in Campidoglio nel cuore di Roma dove l’Orsini
passò gli ultimi sei anni della sua vita (la sua tomba si trova, in una
cappella dedicata, nella chiesa domenicana di Santa Maria della Minerva),
mai dimenticando però la sua amatissima arcidiocesi beneventana di
cui, pur essendo papa, volle rimanere il presule.


SCHEDE

Gli amboni di Nicola


da Monteforte
Nicola da Monteforte importanza sin dall’epoca sannita, fulcro appoggiano sopra altrettanti leoni e altri
strategico del Meridione durante la domi- simili animali co’ bello e nobile lavoro in-
attivo prima metà secolo XIV nazione romana, Benevento con l’avvento tagliati. I capitelli delle colonne sono degni
Elementi degli amboni della dei Longobardi (alla fine del VI secolo) da osservarsi per essere assai segnalati.
Cattedrale di Benevento, 1311 vive uno dei capitoli più importanti della Sono questi posti l’uno d’incontro all’altro
Sculture in marmo, oro e paste vitree sua storia che si protrarrà almeno fino alla nei capi della nave di mezzo. Vi sono
policrome fine dell’XI secolo, momento in cui la cinque statuette per uno di rilievo assai
Benevento, Museo Diocesano e Museo città diviene, per via del fenomeno delle insigni della B. Vergine e di diversi santi e
del Sannio Crociate un vero e proprio crocevia politico sante, e vi si osservano molti ornamenti di
e culturale, punto di incontro e di scambio mosaico, benché per l’antichità assai con-
fra Oriente e Occidente, quando Benevento sunto e mancante» (De Nicastro 1683).
Bibliografia: DE NICASTRO 1683; SCHULZ diventa città degli Stati Pontifici. Ed è Ne parla ancora Almerico Meomartini nel
1860, v. II pp. 323-326; MEOMARTINI proprio nell’epilogo di questo periodo, tra 1889: «Sotto le due ultime arcate maggiori,
1889, pp. 445-471; BERTAUX 1904; VEN- il XIII e XIV secolo che possono collocarsi d’ambo i lati dell’arco di trionfo, si ammi-
TURI 1904, v. III p. 708 VENTURI 1906, gli amboni della cattedrale, in un momento rano due amboni o pulpiti di squisita
v. IV pp. 250-254; ROTILI 1947; CAUSA che si può definire di piena transizione fattura, i quali sono tra le cose più pregevoli
1950, pp. 63-73; TOESCA 1951, pp. 372; dove il “nuovo” che si imponeva era con- che abbia la nostra città. Da qual’epoca
ROTILI 1953; BOLOGNA 1955; NEGRI AR- tinuamente costretto a fare i conti con la essi si trovino situati dove oggi sono non
NOLDI, n.s., XXIII 1972, pp. 12-30; IN- fortissima tradizione di un passato glorioso. mi è riuscito appurare [...]. Oltre a con-
TORCIA 1976, p. 48, p. 54; LE GOFF 1983; Dunque una corretta lettura dei manufatti servare le tracce di varie modificazioni
CHEVALIER 1986, v1 pp. 104, 126, 142, non può prescindere dalla considerazione subite [...], oltre al notarvi un collocamento
256-268, 364-365, 381, 430, 517, 560, della valenza della tradizione, in particolare a disagio, con un ripiego che non sfugge a
637-639, v.2 pp. 539-541; DE CHAMPE- quella costruttiva che a Benevento riutilizza prima giunta, è a por mente che negli atti
AUX, 1988; MASPERO 1997, pp. 184-195, continuamente e riformula colonne, capi- della S. Visita eseguita alla Metropolitana
357; ECO 2009, p. 68; GRABAR 2011; telli, lapidi, sculture e altri elementi sin da Monsignor Arcivescovo Palombara nel
ACETO 2013; BOVE 2013; LE GOFF 2014. dall’epoca longobarda, perpetuando così 24 Febbraio 1577 si fa menzione di un
il legame con l’antico che non viene mai solo pulpito, e lo si addita esistente a
spezzato. Gli amboni sono un esempio di sinistra del coro nella nave maggiore [...]»
I pezzi esposti - i sette leoni e i due grifi questa consuetudine di ridare vita, oppure (Meomartini 1889). Il passo del Meo-
stilofori del Museo diocesano ed i cinque di mantenere in vita il passato, pur attraverso martini e la sua convinzione - basata
pezzi del Museo del Sannio (lastra con un nuova sintassi compositiva. principalmente sulla lettura della Santa
Nicola da Monteforte ai piedi del Crocifisso Proviamo ad immaginarli nel loro contesto, Visita del Palombara, il quale menzionava
e quattro statuine raffiguranti Madonna subito prima che le incursioni aeree e i un solo pulpito - che in realtà i due amboni
col Bambino, San Gennaro, San Bartolomeo, bombardamenti del settembre del 1943 fossero il risultato dello smontaggio e rias-
San Giovanni Evangelista - sono elementi riducessero la cattedrale in un cumulo di semblaggio di un unico pulpito di forma
superstiti degli amboni presenti nella cat- macerie. Superata l’imponente porta bron- ottagonale, ha dato adito a fraintendimenti
tedrale di Benevento fino alla Seconda zea, la Janua Major (Bove 2013), e dopo presenti in parte della bibliografia successiva
Guerra Mondiale. Sono di mano dello aver percorso la navata centrale del tempio (Schultz 1860, Venturi 1904, Bertaux
scultore Nicola da Monteforte, artista fino alla zona presbiteriale, ci si trovava 1904, Rotili 1947, Causa 1950, Toesca
spesso collegato a Arnolfo di Cambio per davanti agli amboni marmorei, collocati a 1951, Rotili 1953, Bologna 1955) sfatati
affinità di stile e di cronologia. Anche se entrambi i lati dell’altare. Li descrive nel poi a partire da Francesco Negri Arnoldi
non è più possibile leggerli nell’ambito 1683, nel suo Benevento Sacro, Giovanni (1972) al quale si allinea con qualche ag-
del contesto originario, documentano un De Nicastro: «Viene (questa cattedrale) giornamento Francesco Aceto (2013).
momento storico, il secolo XIV, contrad- grandemente illustrata da due bellissimi A proposito dei pulpiti beneventani e
distinto da grandi trasformazioni e muta- ed antichi pergami di bianco finissimo Nicola da Monteforte «[...] un maestro il
menti culturali. Centro di fondamentale marmo, sostenuti da sei colonne che si più rappresentativo del periodo e dell’am-


biente, [...] perno e chiave per la soluzione dire che i due amboni, così come erano La navata centrale della cattedrale di
dei molteplici problemi inerenti la scultura giunti a noi alla vigilia del disastro bellico, Benevento prima dei bombardamenti.
campana del primo Trecento [...]», Negri in nulla urtavano contro lo stile del tempo
Arnoldi ritiene assai poco attendibili le e della tradizione artistica locale [...]».
conclusioni a cui era arrivato il Meomartini, Confrontandoli con il pulpito di Ravello
non condivide soprattutto il convincimento (XII secolo), opera di Nicola di Bartolomeo
dell’esistenza del pulpito ottagonale origi- da Foggia, vi trova precise analogie -
nario. Accetta invece l’idea del riutilizzo peraltro segnalate anche da Meomartini e
da parte del Monteforte di elementi pro- da Bertaux ancora nel 1904 - spingendosi
venienti da manuffatti più antichi forse fino ad ipotizzare che questo proprio fosse
XI-XII secolo e di successivi rifacimenti, il modello preso dall’artista per la compo-
come già notato da Adolfo Venturi nel sizione della cassa, dei supporti, della tra-
1904. In merito poi allo stile di Nicola da beazione e della partizione dei prospetti.
Monteforte, scrive: «[...] Cominciamo col Ritiene invece innovative le sculture an-


Achille Vianelli (Porto Maurizio 1803 - Benevento 1894), Veduta dell’interno della cattedrale
di Benevento e degli amboni dalla navata destra. Benevento Museo del Sannio.
Luigi Petrosini (Benevento 1830 - 1900), Veduta dell’interno della cattedrale di Benevento
e degli amboni dalla navata destra. Benevento Museo del Sannio.
L’ambone sinistro prima dei bombardamenti.
L’ambone destro ed il cero pasquale prima dei bombardamenti.
golari. Per quanto attiene i canoni stilistici
si allinea al parere della maggior parte
degli studiosi - tra questi, Mario Rotili,
Raffaello Causa, Ferdinando Bologna -
che concordano sulla vicinanza stilistica
del Monteforte alla maniera di Arnolfo
Di Cambio, in particolare, al suo periodo
romano.
Accennate per sommi capi le problematiche
stilistiche, ancora lungi dall’essere risolte,
e soprattutto morfologiche dei pulpiti, se
ne propone una dettagliata descrizione
che consenta di avere un’idea chiara e
complessiva di entrambi, operazione pos-
sibile grazie al materiale fotografico che si
è conservato. Ciascuno degli amboni, di-
sposto simmetricamente ai lati del presbi-
terio, all’interno dell’ultima campata verso
l’altare, è di pianta rettangolare, poggiato
su di una base costituita da una larga
pedana marmorea. La cassa viene sorretta
da sei colonne, tre davanti e tre dietro,
che poggiano sui relativi basamenti di cui
sono parte integrante i leoni, le leonesse e
i grifi che qui si espongono. Sui capitelli
che sormontano i fusti delle colonne poggia
un architrave poco aggettante, connotato
da una striscia centrale intagliata a motivi
stellati e incrociati; sopra di questo, la ci-
masa, con modanatura di foglioline d’acan-
to. Sulla trabeazione si impostano i parapetti
ornati da sculture di santi (cinque per
ogni pulpito) collocate, in corrispondenza
delle colonne, su di una piccola base otta-
gonale; sovrasta ognuna delle statue un
piccolo baldacchino sempre di forma ot-
tagonale con archetti trilobati a sesto acuto,
anche questo sormontato da una cimasa
decorata con ovuli e foglie d’acanto e da
un abaco dove appaiono i nomi dei santi
rappresentati. Tra le sculture si alternano
moduli quadrati con figure a rilievo oppure
decorate a motivi geometrici con paste
vitree in stile cosmatesco.


L’ambone sinistro

Passiamo ora all’esame dei singoli amboni


- dove sarà fondamentale l’analisi icono-
grafica delle figure presenti e la loro inter-
pretazione nel contesto del XIV secolo -
cominciando da quello che era posto, per
chi si trovava nella navata della chiesa, a si-
nistra dell’altare maggiore. Dalla foto an-
teguerra nel fronte si leggono tre colonne
sorrette da due leonesse e un leone; quelle
site nel lato posteriore - a fusto liscio, di
marmo chiaro con venature grigie e capi-
tello corinzio - poggiano semplicemente
su tre plinti cubici che evidentemente so-
stituiscono gli animali stilofori presenti
nella versione originaria e ricordati nel
1683 dal De Nicastro. Ma torniamo al lato
frontale del nostro pulpito. Due dei tre
animali stilofori che lo sostengono hanno
la testa rivolta verso l’altare maggiore. Il
primo è una leonessa di anatomia assai
pronunciata sul cui dorso poggia una base
con foglie angolari e una colonna di gra-
nito bigio scuro di fusto liscio con capitello
fitomorfo. Il secondo, più naturalistico, è
invece un leone: sostiene una base più
complessa con foglie angolari che regge a
sua volta una colonna di marmo bianco
con scanalature verticali e spiraliformi, un
tempo ornate a mosaico. Stilisticamente la
colonna ed il leone corrispondono ad un
stesso periodo. Il capitello è di stile corin-
zio ma abitato da coppie di uccelli. Infine,
si distingue per la sua morbida plasticità la
leonessa posta a contatto della parete:
guarda di fronte e presenta sul fianco le
zampe anteriori di un leoncino poppante
(segnalato dal Meomartini anche un altro
leoncino oggi inesistente). Sul dorso pog-
gia una base simile alla prima (ma al posto
delle foglie ci sono delle tartarughe) che
porta una colonna sempre di granito scuro
con capitello fitomorfo stilizzato.
La presenza alla base del pulpito sinistro
del leone e delle due leonesse rende neces-


sario a questo punto un breve approfon-
dimento sulla loro simbologia. In partico-
lare il leone è metafora di potenza,
dignità, stabilità, prudenza, simbolo del
sole e dell’oro, dunque della luce e del
Verbo Divino. È una figura presente in
tutte le antiche culture, da quella indiana
a quella egizia, a quella assiro-babilonese,
con valenze che si ritrovano intatte anche
nella cultura cristiana. Simbolo di giusti-
zia (il trono di Salomone, che poi è anche
il modello seguito nella maggior parte dei
seggi vescovili e pulpiti medievali), regalità
(è l’emblema dell’Evangelista San Marco,
che annuncia la dignità reale di Cristo) e
della rifioritura delle energie biologiche e
spirituali, dunque di risurrezione. Nei be-
stiari medievali il leone è connotato per la
sua capacità di dormire ad occhi aperti, e
per questo motivo è anche l’incarnazione
di una guardia attenta (Chevalier 1986,
Maspero 1997, De Champeaux 1988).
Non meraviglia dunque che sia sempre
impiegato a fiancheggiare i portali di ac-
cesso alle chiese e alle cattedrali o a soste-
nere i pergami da cui veniva annunciata
la parola di Dio. In Arte e Bellezza dell’este-
tica medievale (2009) afferma Umberto
Eco: «L’uomo medievale viveva effettiva-
mente in un mondo popolato di signifi-
cati, rimandi, sovrasensi, manifestazioni
di Dio nelle cose, in una natura che par-
lava continuamente un linguaggio aral-
dico, in cui un leone non era solo un
leone, una noce non era solo una noce, un
ippogrifo era reale come un leone perché
come quello era segno, […] di una verità
superiore». Ma veniamo ai parapetti del-
l’ambone. L’unico visibile in foto è quello
frontale dove si legge, partendo da sini-
stra, la scultura di San Bartolomeo Apostolo
che impugna il coltello, strumento del suo
martirio. Segue il gruppo della Madonna
col Bambino, eseguita con una plastica più
raffinata, più morbida: la Vergine tiene
nella mano destra un pomo e il Bambino


un piccolo rotolo nella mano sinistra.
L’ultima scultura, posta all’estremo destro
del parapetto, è quella di San Gennaro.
Tra quest’ultimo e la Madonna col Bambino
è posta una lastra quadrata decorata a
motivi geometrici con paste vitree in stile
cosmatesco, mentre tra la Vergine e San
Bartolomeo ne è inserita un’altra con in
rilievo Nicola da Monteforte inginocchiato
al cospetto del Crocifisso e l’ iscrizione in
caratteri franco gallici: «H(oc) op(us) scul-
ptu(m) strux(it)/sic ordi(n)e/ iu(nc)tu(m)
d(e) Mo(n)te/fo(r)te / Nicol(aus) hi(c) /
genufl/ex(us)». È visibile in foto, inserita
nel parapetto sinistro dell’ambone, una
lastra con una lunga iscrizione con gli
stessi caratteri (ne resta un frammento
conservato al Museo diocesano). Fornisce
indicazioni sulla data di conclusione dei
lavori, circoscrivibile tra il 1°settembre e
il 31 dicembre 1311, al tempo in cui la
cattedra beneventana era retta dall’orvietano
Monaldo Monaldeschi: «Hoc op(us) egre-
giu(m) / Nicolau(s) celte / cecidit /
Virgini(s) ad laude(m) / cuiu(us) tutamine
/ fidit anno / D(omini) MCCCXI
indict(i)o(n)e X». L’iscrizione è riportata
nel manoscritto del De Nicastro nel 1683.
Non si sa molto dell’attività di costruttore
e committente del Monaldeschi (insediato
a Benevento nel 1294), solo che si impegnò
molto per l’antica Chiesa di San Bartolo-
meo, da cui con ogni probabilità proviene
la grande statua marmorea del santo che
la critica quasi unanimemente attribuisce
alla mano del Monteforte: posto oggi
nella navata della nuova cattedrale bene-
ventana, incute rispetto per la sua monu-
mentale ieraticità. Sarebbe stata scolpita
in una fase stilistica dell’artista meno
matura rispetto a quella che contraddi-
stingue larga parte degli amboni. Come
che sia, le poche opere a tutt’oggi conosciute
dello scultore (a quelle beneventane alcuni
autori aggiungono una Madonna in marmo
della chiesa di S. Maria la Manna ad Age-


rola, non danno agio di definirne la pro-
venienza: considerato solitamente irpino
(Monteforte si trova a pochi chilometri
da Avellino), potrebbe essere approdato a
Benevento dal centro Italia (considerando
i rapporti con il Monaldeschi), o dalla
Puglia (tenendo fede a quanto notato dal
Negri Arnoldi in merito al rapporto dei
nostri col pulpito di Ravello di mano di
Nicola di Bartolomeo da Foggia), o chissà
ancora da dove.
Ma per tornare all’ambone di cui ci sta-
vamo occupando, il Meomartini ci in-
forma dell’ esistenza e della collocazione
di altre due sculture situate agli angoli del
parapetto posteriore (quindi non visibili
in foto): un San Giovanni Evangelista
(conservato al Museo del Sannio ed espo-
sto in mostra) e un San Matteo (conser-
vato presso il Museo diocesano ma non
non presente in questa sede). Degli ele-
menti scultorei descritti e visibili in foto-
grafia si conservano, tutti nel Museo
diocesano, i tre leoni stilofori (esposti in
mostra), solo un frammento della colonna
centrale scanalata con strisce verticali e
spiraliformi e il capitello fitomorfo della
prima colonna di granito, nonché un
unico frammento superstite dell’iscrizione
con la data, a lungo ritenuta dispersa. Nel
Museo del Sannio si conservano invece le
sculture di San Bartolomeo, della Ma-
donna col Bambino e di San Gennaro, ed
anche la lastra che rappresenta l’artista in-
ginocchiato davanti al Crocifisso. Sono
tutti esposti in mostra.
L’ambone destro trionfale della Chiesa trainato da un Cri- mare un reticolo romboidale originaria-
sto-grifone). Non mancano, in epoca più mente riempito da tessere in pasta vitrea;
La struttura generale dell’ambone destro tarda letture di segno negativo e demoniaco il capitello palmiforme è stilizzato. Il terzo
è identica a quella del sinistro, per la del grifo (e non è certo il nostro caso), in- leone invece, con la testa rivolta verso il
forma rettangolare, la partizione dei lati e terpretando la sua natura ibrida come az- soffitto della navata, le fauci spalancate e
l’articolazione delle parti. Le colonne del zeramento della positività di entrambi gli la lingua sporgente, la chioma che inquadra
lato anteriore poggiano su due grifi in- animali che lo compongono (Chevalier il volto in una sorta di corona, ci rimanda
frammezzati da un leone, quelle del lato 1986, Maspero 1997, Le Goff 2014). I ad un linguaggio plastico più attinente ad
posteriore su tre i leoni stilofori che guar- due grifi beneventani portano sul dorso una cultura orientale che all’Occidente
dano verso la navata laterale. Il primo basi simili, con foglie scolpite agli angoli e tardo medievale (Grabar 2011). Sul dorso,
grifo, è più grande dell’altro, porta la teste di ariete, che a loro volta reggono al posto della solita base attica, porta una
testa sollevata verso presbiterio, ha le colonne di granito bigio scuro di fusto sorta di sella (una fascia larga gli avvolge
zampe assai innervate, profondamente liscio, la prima coronata da un capitello la pancia) su cui poggia una base composta
scolpite e presenta grande ricchezza di fitomorfo stilizzato, la seconda da un ca- da toro e plinto analoga alle precedenti
dettagli in tutte le parti del corpo. Il pitello di notevolissima fattura e di diverso ma di fattura più elementare. La colonna
secondo grifo, di dimensioni più ridotte, marmo che si discosta da tutti gli altri: da in questo caso è lavorata in modo da
di fattura decisamente diversa dal primo, un fregio di foglioline si eleva un festone formare motivi a croce greca e termina
ha la testa alzata e rivolta verso la navata di rosette intrecciate che sostiene otto fi- con un capitello fitomorfo. Passando ora
centrale; una barba caprina di tratti ben gurine tra loro collegate, quasi caricaturali, all’esame del parapetto, nell’angolo a sinistra
definiti gli scende sul petto, le nervature con grosse teste, cuffie e facce tonde. Se- si incontra la statuina di San Pietro, le
delle zampe sono appena accennate mentre condo il Meomartini «ricordano sculture consuete chiavi nella mano destra. Segue
il dorso e le ali sono realizzate con maggior anteriori di un secolo almeno agli altri ca- una lastra quadrata, con decori geometrici
precisione. pitelli». Il leone stiloforo al centro dei due realizzati sia a rilievo, sia con tessere di
Il grifo, o grifone, è tra i simboli più affa- grifi, che guarda di fronte e ha la bocca paste vitree di colore e di oro lucente, poi
scinanti dell’immaginario medievale: crea- aperta con una dentatura appena accennata, la scultura dell’Arcangelo Gabriele che si
tura sovrannaturale che viene rappresentata sembra di fattura più rozza, più essenziale, rivolge, in atto di trasmettere il messaggio,
attraverso l’unione della figura del leone appartiene forse ad un’epoca e ad uno alla Vergine inquadrata nella nicchia posta
(corporeità, materialità) con quella del- stile diverso. Porta sul dorso una base all’angolo destro del parapetto: questa ri-
l’aquila (spiritualità). Corpi da leone e ali come quelle dei grifi ed una colonna con sponde sorpresa all’annuncio sollevando
di aquila, dotati di quattro zampe, di scanalature a zig-zag terminante con un appena la mano, con l’altra regge un libro.
solito le anteriori artigliate e le posteriori capitello fitomorfo molto stilizzato. Sul Tra le due figure, di particolare raffinatezza
di leone, sono esseri mostruosi (come le lato posteriore, come abbiamo già accen- per il disegno e il modellato, in foto si
sirene, le sfingi, i centauri) ma di forte va- nato, ci sono tre leoni, orientati verso la legge una lastra con al centro in rilievo il
lenza sacra. Sono simboli di regalità e al navata laterale. Il primo, la testa rivolta in giglio trifiorito che sta a simboleggiare la
centro del culto presso Egiziani, Assiri, direzione all’abside, il muso allungato e verginità della Madre di Gesù, nei suoi tre
Ittiti, Persiani, Romani, ecc. e sono presenti sembianza di cane, la chioma sfioccata, il momenti, prima, durante e dopo la nascita
nei riti mitralici, soprattutto quelli d’ini- pelo sul dorso delle gambe e delle cosce, le di Cristo. Nessuno degli elementi che
ziazione. Ne scrivono Erodoto, Eschilo, zampe ben delineate, porta sul dorso una componevano il parapetto principale del-
Plinio, Isidoro e Pomponio Mela, per base quadrata decorata con foglie a rilievo l’ambone si è conservato, e neppure c’è
citare solo alcuni nomi. Nell’emblematica e una piccola testa di asino negli angoli. traccia delle due sculture che il Meomartini
cristiana medioevale di solito il grifo, met- La colonna, scanalata con disegno elicoidale, descrive agli angoli di quello posteriore,
tendo insieme la potenza terrena del leone sostiene un capitello in stile corinzio figu- quindi non visibili in foto: San Barbato e
e l’energia celeste dell’aquila, evoca forte- rato. Il secondo leone, al centro, del tutto San Paolo Apostolo. In mostra i quattro
mente la doppia natura del Cristo, umana uguale al suo corrispondete nel lato ante- leoni e i due grifi, nonché due frammenti
e divina, e l’unione tra terra e cielo (persino riore, ha sul dorso una base su cui si ap- delle sei colonne, tutti conservati nel Museo
Dante nel Purgatorio immagina il carro poggia una colonna con scanalature a for- Diocesano.


Il cero pasquale

All’ambone destro, come si vede dalla


foto anteguerra, era affiancato il grande
Cero Pasquale. Gli elementi ritrovati (la
base e sei frammenti della colonna) sono
presso il Museo diocesano ma non sono
esposti in mostra. Ancora il Meomartini
ce ne fornisce nel 1889 una descrizione.
Per quanto riguarda la base: «Sopra un
plinto quadrato [...] poggia una gola
molto piana; e al di dentro di essa un fus-
sarolo intagliato circonda l’imoscapo di
un cilindro. Quattro figure di uomini, di
tutto rilievo, due imberbe e due barbute,
si elevano dal plinto, ed addossandosi al
cilindro sostengono con gli omeri e con
le mani un’altra base formata di plinto,
piccolo toro e gola roverscia. Quest’ul-
tima è decorata alternatamente di foglie
d’acanto e di foglie d’acqua. Sui quattro
angoli del plinto [..] sono scolpiti quattro
animali, ora però poco riconoscibili [...]».
Il fusto « [...] si compone di due pezzi, in-
terrotti da tre membrature di maggior
diametro [...] ornate, quella di sotto di fo-
glie di quercia con ghiande, [...] quella di
sopra di foglie d’acanto e la media di
forma cilindrica con fascia di marmo co-
lorato, al cui posto un tempo doveva es-
sere il musaico. Però tanto il pezzo
inferiore, che quello superiore della co-
lonna si possono considerare come riu-
niti, essendo identica e continua la
decorazione di entrambi. Dall’imoscapo
liscio per fino al sommo scapo, [...] si
svolgono intorno al fusto, leggermente
elicoidiche, quattro fasce ornate di vario
fiorame ad alto rilievo, alternato da quat-
tro scanallature [...]. L’ornato delle fasce
comincia da piede con la scultura di un
animale fantastico, cioè col corpo ed i
piedi di uscello, con la testa e la coda di
coccodrillo; e si svolge a viticci ed a fo-
gliami in modo vario nelle quattro fasce
[...]». La descrizione dettagliata del Meo-


martini ci consente di avere un idea del
Cero prima che fosse colpito dalle bombe,
documentando anche che all’epoca ci fos-
sero alcune criticità conservative tra cui
varie mancanze di mosaico nel fusto. Per
quel che attiene la datazione non c’è ac-
cordo sulla data precisa della realizzazione
del cero. Alcuni studiosi, tra cui il Meo-
martini, hanno datato l’opera agli inizi
del ’400, all’epoca dei pulpiti del Monte-
forte. Per quanto ci riguarda, convenuti
sull’ipotesi che il Monteforte avesse riuti-
lizzato alcuni pezzi più antichi per la com-
posizione dei pulpiti - il che dal punto di
vista stilistico è piuttosto evidente non-
ché, come abbiamo già accennato, pratica
comune a Benevento - e accettata l’opi-
nione condivisa tra gli specialisti che ci
siano analogie molto chiare tra le colonne
del pulpito e il fusto del Cero, si potrebbe
dire dunque che anche questo appartiene
ad un epoca precedente. Le figure oggi
mutile poste alla base e scolpite nell’atto
di reggere il peso della colonna fanno ve-
nire in mente, quelle che sostengono la
Cattedra di Elia (fine XI - prima metà XII
secolo) della Chiesa di San Nicola a Bari,
seppure con i dovuti distinguo: manca nei
telamoni beneventani la forza icastica e
caricaturale di quelli pugliesi.

MARÍA FERNANDA GARCÍA MARINO


SCHEDE

Il Tesoro
di papa Orsini
Manifattura napoletana donò alla sua «dilettissima sposa» un cor- quando le bombe colpirono la cattedrale,
redo in ottone massiccio comprendente doveva essere posto sull’altare maggiore:
Secolo XVIII un crocifisso e sei candelieri (Giordano e le basi dei candelieri aperte dalla violenza
Crocefisso spezzato e due basi Cimino 2000). dell’esplosione e il Cristo staccato dalla
di candelieri, 1724 Il 12 settembre del 1943 alle ore 13.30 le croce, spezzato in due monconi, un’im-
Ottone, cm 39x37 e cm 40x30 forze aeree angloamericane, nel tentativo magine che, come la Croce di Coventry,
Benevento, Museo Diocesano di distruggere il ponte vanvitelliano si- si eleva a simbolo della furia distruttrice e
tuato a pochi metri dalla basilica catte- monito contro ogni guerra (Giordano e
Bibliografia: GIORDANO, CIMINO 2000, drale, sganciarono una quantità enorme Cimino 2000). Stilisticamente il Cristo
p. 36; CIMINO 2009, pp. 294-295; CI- di bombe che danneggiarono l’edificio presenta i tratti tipici del primo Settecento,
MINO 2014, pp. 134-135.
medievale già scampato alla furia distrut- con la chioma caratterizzata dal vistoso
trice della natura durante i terremoti del movimento, il volto minuziosamente de-
1688 e del 1702, proprio quando a gui- finito e l’espressione carica di pathos.
Il 29 maggio del 1724 il cardinale Vin- dare la Chiesa beneventana era il cardinale Dei sei candelieri si presentano solo due
cenzo Maria Orsini, arcivescovo metropo- Orsini. Il 14 settembre del 1943, durante basi, tutte finemente decorate secondo il
lita di Benevento dal 1686, veniva elevato una nuova incursione aerea, la cattedrale gusto dell’epoca. Partendo dal basso, queste
al soglio pontificio con il nome di Bene- venne ridotta ad un cumulo di macerie. presentano sui tre piedi che le sostengono
detto XIII. Caso raro nella storia della Dalla distruzione si salvarono il campanile una breve e corposa decorazione a voluta,
Chiesa volle mantenere la carica di metro- e parte della facciata in stile romanico ri- mentre nello spazio esistente tra un piede
polita, continuando così la sua opera di salente al XII-XIII secolo, anche se soprat- e l’altro un elemento decorativo a palmetta.
restauratore delle anime e dei luoghi da tutto quest’ultima venne pesantemente Il corpo delle basi è caratterizzato da tre
lui fortemente amati (Cimino 2014). Pro- danneggiata (Cimino 2009). facce convesse delineate da sottili cornici
prio in quell’anno, come ci attesta l’inci- Dalle rovine emersero anche i frammenti e separate da volute che si sviluppano
sione presente sulle basi dei candelieri, del corredo orsiniano che evidentemente, dall’alto fino a poggiare sulla cornice in-
feriore in corrispondenza delle volute degli
appoggi.
Due delle tre facce convesse, inoltre,
presentano iscrizioni. Su di una è incisa la
data: ANNO DNI MDCCXXIV.
Sull’altra la dedica:
FR. VINCENTIUS MARIA ORD.
PRAED. EPUS PORTUENSIS
CARDN. URSINUS ARCHIEPUS.
Nella terza faccia si leggono alcuni fori per
l’innesto di una applicazione oggi per-
duta: probabilmente uno stemma orsi-
niano. Infine sulla parte superiore della
base, dove è presente l’alloggio per il fusto
del candeliere, è incisa una decorazione
geometrica.

GIANNICOLA BARONE



Manifattura romana Bibliografia: BCBn, Inventario della sup- In origine, dunque, i vasi erano due: or-
pellettile così sagra, come non sagra appar- navano l’altare maggiore, con composi-
Secolo XVIII tenente alla S. Chiesa Metropolitana di zioni floreali fisse, durante particolari riti
Giarrone, 1725 Benevento, formato per ordine di N.S. Be- liturgici (Giordano e Cimino in Il Tesoro
Argento a sbalzo e cesello, h. cm 80 nedetto PP. XIII Arcivescovo nell’anno delle Reliquie, 2000)..
Benevento, Museo Diocesano 1726, ms. 485, f. 17v., n. 16; BCBn, In-
ventario di suppellettile sacra donata alla FABIANA PELUSO
Santità di Nostro Signore Benedetto pp.
XIII, e da esso donata ad altre Chiese, e
parte ritenute per uso proprio. Dalli
29Maggio 1724 a tutto…, ms. 487, f. 157,
n. 1; GIORDANO e CIMINO 2000, p. 53.

«Due giarroni d’arg.to colle arme inta-


gliate dell’Ill.mo S. r. Card. Niccolò del
Giudice inquadrate con quelle di Nro
Sig.re Benedetto PP. XIII colle lettere in-
tagliate nel piede Anno Jubilaei 1725 colle
frasche di seta e frutta pesano lib. 51. Co-
stano monete romane 714 - Di Regno
971,04».
Questa è la descrizione del giarrone d’ar-
gento che ne danno le fonti di archivio,
custodite presso la Biblioteca capitolare di
Benevento (BCBn, Inventario anno 1726,
ms. 485). Parte integrante del tesoro della
cattedrale, voluto e incrementato da Be-
nedetto XIII, al secolo Vincenzo Maria
Orsini, il giarrone è decorato da motivi
vegetali realizzati, per tutto il corpo del-
l’opera, con fine cesellatura e tecnica a
sbalzo. Il collo è fregiato da decorazioni
vegetali e floreali punzonate. Le due anse
sono abbellite da motivi vegetali che pren-
dono nitidamente le sembianze di volto
umano e terminano nella parte alta in vo-
lute. Montato su base lignea, il giarrone
mostra sul piede l’intaglio con l’iscrizione
«ANNO JUBILEI 1725», ancora chiara-
mente leggibile.
I preziosi manufatti furono donati da Nic-
colò Del Giudice il 19 giugno 1725 a Be-
nedetto XIII (BCBn, Inventario dal 1724,
ms. 487) che lo aveva nominato cardinale
nel concistoro dell’11 giugno dello stesso
anno.
Manifattura romana sono applicati tre stemmi orsiniani. In venne il 29 aprile, con una fastosissima ce-
esso si innesta il cespo di quindici rose rimonia, in cattedrale alla presenza di di-
Secolo XVIII d’oro dai petali aperti. Al momento della gnitari ecclesiastici, consoli, nobili e di un
Rosa d’oro pontificia, 1725 donazione il cespo era costituito da sedici gran numero di cittadini (G. Giordano
Oro, argento dorato, h. cm 80 rose ed era sormontato da una croce di 1988). A perpetua memoria dell’avveni-
Benevento, Museo Diocesano cristallo di rocca «con finimento di filo- mento fu stilato dal notaio Ignazio D’Au-
grano di argento indorato attorno, dentro ria un pubblico strumento (ASBn, Fondo
Bibliografia: BCBn, Inventario della sup- della quale vi è collocato un gran pezzo Notai, notaio Ignazio D’Auria, prot.
pellettile così sagra, come non sagra, appar- del legno della Santa Croce» (BCBn, In- 4092, ff. 466-471).
tenente alla S. Chiesa Metropolitana di ventario anno 1726, ms. 485, f.5). La Durante il suo pontificato l’Orsini conferì
Benevento formato per ordine di N.S. Bene- Croce, del valore di 5 scudi romani, era altre quattro rose d’oro «simili e consimili»
detto PP XIII Arcivescovo nell’anno 1726, stata donata al pontefice da padre Tom- a quella beneventana: alla metropolitana
ms. 485, f. 5; BCBn, Inventario delle sup- masino dell’Ordine dei minori osservanti di Capua nel 1726, alla granduchessa di
pellettili sacre donate alla Santità di Nostro riformati il 22 marzo 1725 (BCBn, Inven- Toscana nel 1727, alla metropolitana di
Signore Benedetto Papa XIII fatta a proprie tario dall’anno 1724, ms. 487). Purtroppo Urbino nel 1728, alla metropolitana di
spese dal primo giugno MDCCXXIV a tutto le bombe che devastarono la città di Be- Genova nel 1729 (B1CBn, Inventario ms.
..., ms. 486, capitolo “Oro e Gemme”, ff. nevento nel settembre del 1943, danneg- 486, capitolo “Oro e Gemme”, ff. 1-2).
1; BCBn, Inventario di suppellettile sacra giarono gran parte della cattedrale e con Tra le rose orsiniane la più vicina a quella
donata alla Santità di Nostro Signore Bene- ogni probabilità andò distrutta anche la beneventana è la rosa di Capua, tuttora
detto PP. XIII, e da esso donata ad altre sacra reliquia. conservata nel museo della cattedrale. Co-
Chiese, e parte ritenute per uso proprio. Dai puntuali inventari orsiniani risulta stituita da un cespo di 12 rose (una delle
Dalli 29 Maggio 1724 a tutto…, ms. 487; che la rosa d’oro pesa «libre 7 ed once 10» quali, posta alla sommità, contiene un
BCBn, Inventario dell’oro, argento, gemme (BCBn, Inventario anno 1850, ff.29-30, grosso zaffiro), il manufatto capuano è
e tutte le suppellettili sagre e non sagre, che n.4), e che nella sua interezza «ascende a stato attribuito da Angelo Lipinsky
oggi conservansi nella Tesoreria della S. Me- scudi romani 1004, quali valutati per mo- (1964), sulla base di documentazione
tropolitana Chiesa di Benevento formato per neta di Regno, giusta il cambio del 36 3/5 conservata presso l’Archivio Segreto Vati-
ordine dell’Eminentissimo Arcivescovo Do- che corre ne’ Banchi, fanno la somma di cano, «al Magnifico Francesco de Martinis
menico Carafa dei Trajetto dell’anno 1850, 1371=46» (BCBn, Inventario anno 1726, Argentiere del Sacro Palazzo». L’affinità
ms. s.n., ff. 29-30, n. 4; LIPINSKY 1964; ms. 485, f. 5). stilistica tra la rosa beneventana e quella
GIORDANO 1988; GIORDANO-CIMINO Secondo un antichissimo uso le rose d’oro di Capua potrebbe suggerire che siano
2000, p. 53; GRIMALDI 2005 p.131; venivano conferite dai pontefici a perso- opera del medesimo autore.
MORGILLO 2011, p.18 nalità o a chiese di particolare rilevanza. Il manufatto, per la sua particolare valenza
Quella di Benevento fu la centoquarantu- è stato esposto ripetutamente nell’ambito
nesima delle serie e la prima conferita da di mostre tenute nella città di Benevento
Fu donata da papa Benedetto XIII alla papa Orsini che la benedisse, secondo il nel 2000, nel 2005 ed infine più recente-
chiesa metropolitana di Benevento in oc- rito risalente al medioevo, la quarta do- mente nel 2011.
casione dell’anno giubilare del 1725. Tre menica di quaresima e la destinò alla
volute ad S, accompagnate sul dorso da si- chiesa metropolitana di Benevento con un LUISA GRIMALDI
nuosi fogliami, formano la base in argento apposito Breve Apostolico Sub datum
dorato; da ognuna delle tre facce emerge Romae apud S. Petrum sub annulo Piscato-
la testa di un cherubino. Il fusto, con la ris die 9 aprilis 1725 (ASV, Sec. Brev.
parte centrale profilata da volute e foglie, 2738, ff.299r-300v). Quindi fu affidata al
reca su un lato lo stemma papale di Bene- cardinale Filippo Coscia, vicario luogote-
detto XIII e l’iscrizione ANNO JUBI- nente ed ufficiale generale arcivescovile
LAEI MDCCXXV. Il nodo è costituito dell’Orsini a Benevento, assieme ad altre
da elementi a sbalzo e a stampo sui quali reliquie e suppellettili. La consegna av-


Manifattura trapanese Bibliografia: BCBn, Inventario della sup- Costato «tra oro, corallo e manifattura
pellettile così sagra, come non sagra, appar- scudi romani 300 che di moneta di Regno
Secolo XVIII tenente alla S. Chiesa Metropolitana di fanno 405» (BCBn, Inventario anno
Ostensorio a raggiera, 1726 Benevento formato per ordine di N.S. Bene- 1726, ms. 485, in appendice), l’ostensorio
Corallo, rame dorato, argento, cristallo, detto PP XIII Arcivescovo nell’anno 1726, fu donato a Benedetto XIII dal cardinale
pasta vitrea, h. cm 85 ms. 485, in appendice; BCBn, Inventario Lorenzo Cozza il 12 dicembre del 1726
Benevento, Museo Diocesano di suppellettile sacra donata alla Santità di (BCBn, Inventario , ms. 487, f. 83), qual-
Nostro Signore Benedetto PP. XIII, e da esso che giorno dopo aver ricevuto la porpora,
donata ad altre Chiese, e parte ritenute per e il papa, a sua volta, il 2 gennaio del 1727
uso proprio. Dalli 29 Maggio 1724 a ne fece dono alla chiesa metropolitana di
tutto…, ms. 487, f. 83; DE MARTINI 2000, Benevento (BCBn, cit., ms. 485, in ap-
p. 25; GIORDANO, CIMINO 2000, p. 54; pendice). Come già detto, l’incremento
CRETA 2005, pp. 137-140; GRIMALDI del tesoro della cattedrale di Benevento in
2005, p. 130; MORGILLO 2011, p. 18. periodo orsiniano, fu dovuto in parte al-
l’impegno pecuniario dello stesso Orsini,
in parte al ‘riciclaggio’di doni da lui stesso
Degna testimonianza dell’arte tardo barocca ricevuti, in qualità di sommo pontefice,
in Sicilia, l’ostensorio presenta le caratte- dai più potenti della terra (de Martini
ristiche distintive dell’arte trapanese, par- 2000).
ticolarmente raffinata nella realizzazione Il manufatto, che risultava assai danneg-
di preziosi manufatti di oreficeria in corallo giato, agli inizi degli anni 2000 è stato sot-
(Giordano e Cimino 2000). Il nostro toposto a un delicato intervento di
ostensorio è realizzato in metallo dorato restauro diretto dalla Soprintendenza
completamente ricoperto da un fitto in- BAPSAE di Caserta e Benevento e realiz-
treccio di piccoli rami di corallo rosso zato dalla ditta Giorgio Mori di Roma
trapanese lavorato con motivi di girali e (Creta 2005). E’ stato esposto nel 2011 a
puttini. Sulla base, decorata in incisione Benevento nell’ambito della mostra San-
a motivi floreali e ricoperta di elementi di nio e Barocco.
corallo, si legge l’iscrizione a lettere capitali
ANNO DNI MDCCXXVI. Uno slanciato LUISA GRIMALDI
fusto, anch’esso rivestito di coralli, collega
la base alla sfera retta da un delizioso
angelo adagiato su una nuvola in argento.
L’angelo è realizzato con più elementi di
corallo ed è completato da ali in argento
a sbalzo. La raggiera è composta da 27
raggi ognuno dei quali termina con una
rosellina bifronte in corallo e pasta vitrea.
Al centro della raggiera un anello di bronzo
racchiude l’urna che contiene, tra due
cristalli molati, l’ostia benedetta. La curia
beneventana conserva anche la custodia
originale dell’ostensorio realizzata in legno
rivestito di cuoio (marocchino) e decorato
con lo stemma orsiniano e roselline in
foglia d’oro.


Massimiliano Soldani Benzi «SACRA MITRA/QUA IN VISITATIO- tro vi è la mitra di Sant’Antonino arcive-
NE/ SUAE DIOCESOS/UTE BATUR». scovo di Firenze -costa 400- dono di
Reliquiario della Mitra Su di esse siedono due angioletti seminudi, Mons.re Salviati a 6 gennaio 1729». Dal
di Sant’Antonino, ante 1729 diversamente orientati, che sostengono la medesimo manoscritto apprendiamo che
Bronzo orato e cristallo, h. cm 114 teca. Sulle gambe degli angioletti è adagiato nello stesso anno il papa destinò lo straor-
Benevento, Museo Diocesano un secondo cartiglio su cui si legge: «S. dinario manufatto alla chiesa metropoli-
ANTONINI ARCHIEPISCOPI FLO- tana beneventana (BCBn, Inventario ms.
Bibliografia: BCBn, Inventario di suppel- RENT ORD. PRAEDICAT» (Giordano 487).
lettile sacra donata alla Santità di Nostro e Cimino 2000). Le fonti beneventane si incrociano e si
Signore Benedetto PP. XIII e da esso donata La teca - finemente decorata con foglie sti- completano con quelle fiorentine, pubbli-
ad altre chiese e parte ritenute per uso pro- lizzate sormontate da una conchiglia - cate alla fine dello scorso decennio nel ca-
prio. Dalli 29 maggio1724 a tutto…, ms. contiene la mitra in tessuto laminato d’ar- talogo della mostra Il fasto e la ragione.
487; LANKHEIN 1962, pp. 124-125; gento di Sant’Antonino, arcivescovo di Fi- Arte nel Settecento a Firenze, le quali per-
KEUTNER 1976, pp. 154-156; GIORDANO renze (Grimaldi 2005). mettono di ricostruire le vicende relative
e CIMINO 2000, p. 56; GRIMALDI 2005, Il reliquiario fu donato a papa Orsini da all’esecuzione del reliquiario, già attri-
p.128; NARDINOCCHI, 2009, p. 196; monsignor Alamanno Salviati molto de- buito, su base stilistica, da Klaus Lankheit
MORGILLO, 2011, p. 20. voto al santo per la comune appartenenza (1962) a Massimiliano Soldani Benzi. Le
all’Ordine dei predicatori (Morgillo 2011). ricerche condotte nel 1976 da Herbert
In un inventario conservato nella Biblio- Keutner nell’archivio della famiglia Sal-
Il reliquiario è sostenuto da un piede for- teca capitolare di Benevento si legge: «Un viati - uno fra i maggiori archivi privati
mato da tre volute accartocciate col dorso reliquiario di rame dorato, lavorato no- italiani, oggi custodito dalla Scuola Nor-
ricoperto da foglie. Tra le due volute fron- bilmente di puttini e fiorami dorati, in male di Pisa - documentano che Ala-
tali è posto un cartiglio con l’iscrizione: atto di sostenere la mitra pontificale. Den- manno Salviati commissionò il reliquiario
all’artista fiorentino Massimiliano Soldani
Benzi nel 1728 e che fu pagato in più
tranches a partire dal 14 agosto fino al
maggio del 1729. Elisabetta Nardinocchi,
nella scheda pubblicata nel catalogo della
mostra citata (Il fasto e la ragione, 2009),
mette stilisticamente in relazione il reli-
quiario della mitra di Sant’Antonino con
il monumento eseguito da Soldani Benzi
tra il 1727 e il 1729 per il gran maestro
dell’Ordine dei cavalieri di Malta, Manoel
de Vilhena, nella cattedrale de La Valletta,
rilevando una stringente consonanza tra
gli angeli che sostengono la teca con la
mitra e quelli che sovrastano il monu-
mento maltese.

LUISA GRIMALDI


Manifattura romana secolo Reca sui fanoni (o infule) lo stemma orsi- (L. Portoghesi e S. Ingegno 2011). Va
niano sormontato dalle insegne papali, detto che i paramenti sacri rappresentavano
XVIII dunque è assolutamente successivo al la parte più cospicua e rinomata del tesoro
Mitra Orsini, 1724-30 1724 (Giordano e Cimino 2000), anno in della cattedrale beneventana, in parte raz-
Lama d’argento, ricami in oro filato cui è documentata l’incoronazione papale ziato dai predatori francesi nella notte del
Benevento, Museo Diocesano del cardinale arcivescovo beneventano. 20 gennaio 1799 e ancora danneggiato e
«Splendido esempio di artigianato di alto depauperato dalle bombe che nel settembre
Bibliografia: SAVOIA, 1973, p. 139; GIOR- livello e di grande coerenza stilistica che 1943 devastarono la cattedrale (Giordano
DANO e CIMINO 2000, p. 57; PORTO- rivela l’opera di un disegnatore di talento» e Cimino 2000). A testimoniare l’impor-
GHESI-INGEGNO 2011, p.7, 13; GRIMALDI, commentano Lucia Portoghesi e Sergio tanza e la ricchezza del tesoro restano gli
2011, p. 55-58; INGEGNO-CAPOZZO 2012, Ingegno nella scheda di catalogo della inventari, custoditi nella Biblioteca capi-
scheda 17; INGEGNO, 2014, p. 448. mostra Sannio e Barocco, ambientata nelle tolare, fonti ineguagliabili per la conoscenza
sale del Museo del Sannio di Benevento dei manufatti ancora presenti, ma anche
nella primavera del 2011 . Nell’ambito per conservare memoria di quanto non vi
della stessa scheda gli studiosi descrivono è più (Grimaldi 2011); documentano un
minutamente il manufatto: «La mitra pre- tesoro già notevole, che raggiunse il mas-
senta un alto bordo sul quale si inserisce, simo splendore durante l’episcopato di
senza soluzione di continuità, la colonna Orsini, che lo arricchì di preziosi manufatti
centrale che scandisce le due parti laterali. da lui stesso commissionati, ma ancor di
L’alto bordo […] presenta al centro di cia- più, divenuto papa, con quelli ricevuti in
scun lato una cornice barocca che rac- dono dai più potenti della terra.
chiude una corolla, dalla quale partono In una monografia sull’episcopato bene-
due volute opposte che racchiudono altre ventano di papa Orsini, Palmerino Savoia,
corolle. Sulla cornice barocca si innesta la abate-parroco di Montefusco, così de-
colonna centrale che vede volute, corolle scrive l’amore e l’attenzione che l’arcive-
e foglie susseguirsi a formare uno schema scovo nutrì sempre per la cattedrale: «La
di candelabra». volle abbondantemente provvista di
Nello stesso Museo diocesano è conservata splendidi paramenti e di preziosa suppel-
una pianeta - fa parte di un parato semplice lettile sacra. A cominciare dalla sua epoca,
completo di velo, stola, manipolo e busta, le solenni liturgie pontificali delle grandi
come si evince dal catalogo paramenti feste annuali nel Duomo di Benevento co-
sacri conservati presso la Curia arcivescovile stituivano uno stupendo spettacolo, un
beneventana redatto nel 2012 - anch’essa vero godimento estetico per quanti vi as-
appartenuta a Benedetto XIII. Ricamata sistevano, tanta era la ricchezza e lo splen-
in argento su di una specialissima lama dore dei broccati, delle sete, degli ori nei
d’oro di seta gialla su fondo diagonale parati e negli altri oggetti liturgici di uso
con effetto raso, riflette appieno il gusto o di ornamento» (Savoia 1973).
dei coevi motivi “a merletto” e bizzarre
(Ingegno 2014). . Il sontuoso decoro si LUISA GRIMALDI
sviluppa sulla tradizionale tripartitura,
scandita da bande ricamate, interrotte da
tratti orizzontali che creano un vago
motivo architettonico di colonne e capitelli.
Lo stesso gioco è ripreso sul retro della
pianeta che racchiude, in basso, lo stemma
papale ricamato con argento e seta colorata
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sagra, come non sagra, appartenente alla S.
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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI GIUGNO 2017
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