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GUIDE DEL MUSEO NAZIONALE D’ARTE ORIENTALE Guide del Museo Nazionale
‘GIUSEPPE TUCCI’ d’Arte Orientale ‘Giuseppe Tucci’
Mariarosaria Barbera (Soprintendente)
Coordinamento
Paola D’Amore
Maria Luisa Giorgi (Estremo Oriente)
In copertina
Il gandharA presso il
Buddha seduto nella posizione del loto (padmasana) Museo Nazionale d’Arte Orientale
e nel gesto della meditazione (dhyanamudra), particolare
11 Gli scavi nella valle dello Swat
schisto, Pakistan, II-III secc. d.C., MNAO inv. 401
(Archivio MNAO: Pierpaolo Verdecchi e Daniele Vita)
e la collezione dell’Isiao
Luca Maria Olivieri
IV di copertina
Maitreya seduto nella posizione del loto (padmasana), 11 altre opere gandhariche
particolare, schisto, Pakistan, II-III secc. d.C., MNAO presso il MNAO
inv. 10919 Laura Giuliano
(Archivio MNAO: Pierpaolo Verdecchi e Daniele Vita)
11 Abstract
Stampa
Petruzzi Stampa - Città di Castello (PG)
11 riferimenti bibliografici
ISBN 978-88-7575-114-2
Si ringrazia in modo particolare Donatella Mazzeo, già Direttore del Museo Nazionale d’Arte Orientale, per i graditi
consigli e per il patrimonio di conoscenze e le informazioni sulla collezione che ha sempre divulgato. Un sentito rin-
graziamento va a Pierfrancesco Callieri, Direttore della Missione Archeologica Italiana dell’IsMEO nella valle dello
Swat; al codirettore della Missione Luca Maria Olivieri, che ha aderito con entusiasmo all’iniziativa di scrivere una
guida per la sezione gandharica del Museo, nonostante i suoi numerosi impegni scientifici, alla signora Lidia
Faccenna. Particolare gratitudine va ad Arcangela Santoro, titolare della cattedra di “Archeologia e Storia dell’Arte
dell’India e dell’Asia Centrale”, presso la “Sapienza” - Università di Roma, per il suo aiuto, le interessanti discussioni
su svariati temi dell’arte gandharica e i saggi consigli. Si ringraziano inoltre Paola D’Amore, Massimiliano A. Polichetti
e Patrizia Alloggia per il loro sostegno e si ricorda la preziosa collaborazione di Lorenza Campanella, Matteo
Manganaro, Paolo Eugenio Rosati, Caterina Paola Venditti e Francesca Zagari che si sono adoperati alla traduzione
dell’abstract. Particolare gratitudine va a Padre Massimo Casaro, Direttore del Museo Popoli e Culture di Milano, e
alle funzionarie Paola Rampoldi e Lara Fornasini per le foto delle opere alle Figg. 14-16 e 26, realizzate per il
catalogo dell’esposizione “Riflessi - Incontri ad arte tra Oriente e Occidente” (Milano 2009), poi cedute al Museo.
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Una introduzione
all’arte del Gandhara
N elle aree dell’antico Nord-Ovest indiano, un territorio di frontiera tra mondi diversis-
simi, corrispondente all’attuale Pakistan e a parte dell’Afghanistan, tra la fine del I secolo a.C.
e il IV-V secolo d.C. – con echi che giunsero fino all’VIII secolo – si manifestò una particolare
corrente figurativa a contenuto prevalentemente buddhista, comunemente definita “arte del
Gandhara”, caratterizzata dalla compresenza di componenti ed influssi classici (ellenistico-roma-
ni), indiani, iranici e centroasiatici, composti in una sintesi originalissima di linguaggi formali,
simbolici e filosofici.
Fig. 6 - Area di diffusione dell’arte del Gandhara (rielaborazione da Zwalf 1996: I, 12-13).
I materiali d’elezione di questa produzione che oltre ad essere scultorea, è anche architetto-
nica – ma che, a giudicare dai rari frammenti, doveva essere anche pittorica – sono lo schisto,
talora il calcare, lo stucco e l’argilla cruda.
Durante il XIX secolo e nei primi decenni del secolo appena passato, i rilievi buddhisti del
Gandhara erano stati apprezzati dagli studiosi occidentali come le uniche creazioni del mondo
indiano degne di un qualche interesse artistico, una valutazione sostanzialmente motivata dalla
presenza di caratteri stilistici chiaramente collegati all’arte occidentale ellenistica e romana che
si esprimono nel modo di rappresentare le figure, nei panneggi e nella resa spaziale. Non riu-
scendo ad abbandonare i parametri estetici della cultura europea, i ricercatori non potevano
comprendere le motivazioni dell’arte indiana propriamente detta, mentre rinvenivano nelle scul-
ture gandhariche elementi cari alla tradizione artistica occidentale. A causa di tale visione euro-
centrica, l’arte buddhista del Nord-Ovest venne inizialmente definita “arte greco-buddhista”
(principalmente dagli studiosi francesi e tedeschi, primo fra tutti Foucher 1905-22), “arte roma-
no-buddhista” (soprattutto dagli studiosi inglesi e americani) o “arte greco-romano-buddhista”,
denominazioni che ponevano in risalto le une o le altre caratteristiche formali. Essa era conside-
Il presente contributo è il frutto di lezioni tenute presso il Museo Nazionale d’Arte Orientale agli studenti
del corso di Laurea in “Scienze archeologiche e storiche del mondo classico e orientale”, nell’ambito delle attiv-
ità previste dalla Convenzione tra la Direzione Generale per i Beni Archeologici (ora Direzione Generale per le
Antichità) del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Facoltà di Lettere e Filosofia (ora Facoltà di
Filosofia, Lettere, Scienze umanistiche e Studi orientali) de “La Sapienza”, Università degli Studi di Roma, con-
venzione che, oltre all’attività di ricerca per specifici e comuni progetti triennali, prevede lo svolgimento di lezioni
su temi relativi ai materiali delle sezioni indiana, gandharica e del Sud-Est asiatico conservati presso il Museo.
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Alessandro aveva manifestato nell’incontro con i gimnosofisti. Questa particolare posizione del
mondo greco nei confronti dell’India, che prima dell’arrivo di Alessandro aveva rappresentato
“l’altro” per eccellenza, vagheggiato e mitizzato nei racconti degli storici e dei geografi, ci è con-
fermata dal coinvolgimento personale, sincero o interessato che fosse, dimostrato da alcuni per-
sonaggi nei confronti della tradizione religiosa indiana. Fra questi ricorderemo Menandro (155-
130 a.C.), uno dei più importanti sovrani greci dell’area, ricordato nelle fonti classiche
(Strabone, Geografia, XI, 11; Plutarco, Gerendae praecepta rei publicae, 28, 8) e noto alla tradi-
zione buddhista, ed Eliodoro, l’ambasciatore del sovrano indo-greco Antialcida (115-95 a.C.)
presso la corte degli Shunga, convertito ad una forma di protovishnuismo. La stessa volontà
d’interazione è testimoniata, nell’ambito dell’iconografia monetaria del periodo, da una pro- Fig. 9 - Statere del sovrano kushana Wima Kadphises: sovrano
seduto su un seggio / il dio Shiva dinanzi al toro, oro, ca. 110-127
gressiva assimilazione di immagini di divinità greche a divinità del pantheon indoiranico, d.C., MNAO inv. 438 (Archivio MNAO: Paolo Ferroni).
come si evince dalla evoluzione figurativa di alcune rappresentazioni classiche interpretate o
trasformate in senso locale, secondo un fenomeno di acculturazione che rappresenta forse il
primo tentativo di sintesi tra i due mondi. La vitale relazione tra queste due culture fu pre-
sto contaminata dal sopraggiungere di popolazioni di stirpe iranica – i Saka prima, gli Indo-
Parti e i Kushana poi –, che condussero un ulteriore elemento di confronto nella società mul-
tietnica del Nord-Ovest.
Nel I secolo a.C., durante il periodo dei Saka, coloro che contesero per vari decenni l’India
di Nord-Ovest ai Greci, raccogliendone tuttavia l’eredità culturale e politica, la componente elle-
nistica era ormai divenuta così profondamente radicata nel patrimonio culturale di queste regio- Fig. 10 - Statere del sovrano kushana Kanishka: sovrano sacrificante
ni da poter assorbire diversi linguaggi formali, simbolici e filosofici senza per questo snaturare le dinanzi a un altare/ Buddha stante, oro, ca. 127-153 d.C.,
proprie origini. È infatti non a caso in questo periodo che l’incontro con la cultura locale si fa Cabinet des Médailles, Paris, inv. 1981, 32 (da Boperachchi,
Landes & Sachs 2003: 199, figs. 157 a-b).
più ardito e maggiore appare la spinta verso l’indianizzazione. Durante la fase saka si riscontra
una tendenza più accentuata alla sperimentazione ed alla elaborazione di nuove tipologie icono-
La monetazione dell’India di Nord-Ovest: i Kushana
grafiche, mentre appare più distintamente documentata la trasmissione di motivi e soggetti figu-
rativi dal mondo indiano. Ancora una volta questo fenomeno può essere compreso quando si Durante il regno dei Kushana, provenienti dall’Asia Centrale, che durante la seconda metà del I secolo
d.C. sostituirono gli Indo-Parti nel governo del Nord-Ovest e sotto i cui auspici l’arte del Gandhara ebbe
considerino con attenzione i dati numismatici: si noterà infatti che il pantheon monetario dei il suo periodo di splendore, vi fu un notevole sviluppo dei commerci internazionali ed iniziarono ad inten-
Saka include figure come Gaja Lakshmi, la Lakshmi aspersa dagli elefanti – divinità indiana sificarsi le relazioni con Roma. L’interesse per il mondo romano, tanto dal punto di vista commerciale,
della buona fortuna e dell’abbondanza – o l’immagine della yakshini, lo spirito femminile della quanto politico appare già testimoniato su alcune monete in bronzo di Kujula Kadphises (ca. 30-80 d.C.),
il fondatore della potenza kushana, che appaiono copie rielaborate di alcune monete auree di Augusto, con
vegetazione, soggetti iconografici caratteristici delle scuole indiane contemporanee, in special il ritratto dell’imperatore romano circondato da una iscrizione greca che riporta il nome del sovrano kusha-
modo dell’arte buddhista di Bharhut e Sanci. na. Le emissioni dei sovrani che succedono a Kujula continuano ad ispirarsi alla numismatica romana, non
tanto dal punto di vista figurativo, ma per l’adozione dell’oro come base fondamentale degli scambi inter-
È ancora in questo periodo, quando il processo di integrazione tra le varie culture che nazionali. Le monete kushana sono infatti in parte esemplate sul denario aureo romano, di cui in alcuni
caratterizzarono il Nord-Ovest può dirsi giunto a piena maturazione, che, come hanno casi veniva riprodotto o accresciuto, moltiplicandolo, il peso esatto. La scelta di introdurre l’oro nella
monetazione è nuova per l’India ed indica forse la volontà di opporsi al monometallismo argenteo dei
testimoniato gli scavi della Missione Archeologica Italiana dell’Istituto Italiano per il Medio Parti, arbitri del transito commerciale, e considerati nemici di Roma, come dell’impero kushana. Dopo
ed Estremo Oriente (oggi IsIAO) nella valle dello Swat (Pakistan), fiorisce l’“arte del una prima fase, in parte ispirata alle rappresentazioni monetarie romane, ma anche alla monetazione più
antica del Nord-Ovest, le emissioni kushana appaiono caratterizzate sul recto dalla raffigurazione del sovra-
Gandhara”, da un lato esito eclatante della ellenizzazione ormai profonda, dall’altro testimo- no in abiti centroasiatici, spesso con caftano, pantaloni sbuffanti e stivali. Il pantheon monetario è molto
nianza vivente di un processo di compenetrazione tra mondi diversi che ha, come si è visto, vasto e comprende divinità iraniche come Mioro (Mithra) e Mao – la divinità della luna –, indiane come
radici lontane. Shiva, e classiche come Eracle, Selene ed Elios. Il Buddha stesso appare raffigurato sul verso di alcune mone-
te di Kanishka (ca. 127-153 d.C.), il più importante sovrano kushana che appoggiò, anche se in modo non
Ma se la nascita di questo fenomeno figurativo si compie durante il periodo saka, è sotto l’im- esclusivo, il Buddhismo: l’immagine più famosa ritrae l’Illuminato stante, avvolto nel mantello monastico
pero dei Kushana, la grande dinastia di origine iranica che governò nelle aree del Nord-Ovest (samghati), con la protuberanza cranica (ushnisha) ricoperta di capelli in guisa di chignon, i lobi delle orec-
chie allungati, il capo circondato da un nimbo e il corpo da una mandorla di luce. La mano destra è
indiano tra la seconda metà del I e il III secolo a.C., che l’arte del Gandhara conosce il suo mag- sollevata all’altezza del petto nel gesto della rassicurazione (abhayamudra), la sinistra stringe un lembo della
giore splendore, in un momento in cui la componente ellenistica appare rinvigorita da sempre samghati. Accanto campeggia la scritta in caratteri greci: BODDO.
nuovi contatti con il mondo romano.
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Il Buddhismo nel Nord-Ovest indiano D’altra parte le testimonianze monetarie ci restituiscono un ritratto di Menandro diverso da
quello diffuso dalla tradizione letteraria buddhista. Sui suoi conii appare la raffigurazione di una
La dottrina del Buddha giunse nelle zone orientali dell’impero seleucide nella prima metà Athena Alkidemos, che è riproduzione quasi esatta della statua della dea nel santuario di Pella
del III secolo a.C., dal periodo di Ashoka (268-232 ? a.C.), il grande sovrano maurya a cui si deve (Brett 1950: 55-72; cfr. Allouche-Le Page 1956:111), una scelta precisa che dimostra la volontà di
il primo corpus epigrafico indiano, una serie di editti a contenuto buddhista fatti redigere su mantenere intatta la propria identità culturale: Menandro è pur sempre un greco, un greco che
colonne monolitiche o su roccia, che rappresentano la più antica redazione conosciuta di testi vive e governa in terra straniera, in un mondo lontano e difficile, probabilmente isolato o con
scritti che l’India abbia prodotto. L’iscrizione bilingue in greco e aramaico rinvenuta a Kandahar, pochi contatti con la madre patria, che certamente convive ed interagisce, forse per acume poli-
in Afghanistan, una delle tante epigrafi fatta redigere dall’imperatore indiano, è il segno eviden- tico, con la realtà culturale e religiosa locale e con il Buddhismo in particolare, ma che si iden-
te della volontà di “evangelizzare” le popolazioni greche che vivevano oltre i confini dell’impero tifica ancora saldamente con le proprie origini.
maurya. L’appoggio al Buddhismo da parte di Ashoka e la sua attività di proselitismo nel Nord- Stando alle testimonianze monetarie ed epigrafiche successive, il fondo locale e le tradi-
Ovest ci sono pure confermati in questi territori dal ritrovamento di stupa, i monumenti desti- zioni religiose indiane stavano tuttavia per influenzare sempre più profondamente il mondo
nati ad accogliere le reliquie dell’Illuminato, la cui fondazione risale all’epoca del sovrano, iden- dei dominatori. Come già visto, verso la fine del periodo indo-greco, ma in particolar modo
tificabili, oltre che sulla base di dati archeologici e di particolari caratteristiche architettoniche, con l’arrivo di popolazioni saka che contesero ai Greci la sovranità del territorio, più eviden-
per il tradizionale composto dharmarajika attribuito alle strutture buddhiste di questo periodo. te appare il legame con la complessa realtà locale, di cui il Buddhismo rappresentava un
A tal proposito si ricorderanno il Dharmarajika Stupa di Taxila, nel Panjab, e il Grande Stupa
aspetto, forse il più comprensibile, certamente il più adatto da un punto di vista strategico e
1 di Butkara I scavato dalla Missione Archeologica Italiana dell’IsMEO nella valle dello Swat,
politico a generare una coesione tra mondi diversi, in una realtà geografica di necessaria coa-
anch’esso definito dharmarajika da due iscrizioni rinvenute nell’area sacra, il cui nucleo, tuttavia,
bitazione.
è forse ascrivibile alla fine del III secolo a.C., in una fase storica leggermente posteriore al regno
Momento decisivo per l’affermazione della dottrina buddhista nel Nord-Ovest è dunque
di Ashoka (Faccenna 2002a: 108; Filigenzi 2002: 39).
il periodo tra il I secolo a.C. e i primi decenni del I secolo d.C., durante il regno dei Saka e
Queste antiche fondazioni rappresentano una testimonianza del fervore con cui Ashoka si
dei loro vassalli, i sovrani di Apraca e di Odi, dinasti locali rispettivamente nelle regioni del
dedicò alla diffusione della Dottrina oltre i territori dell’India gangetica, o sono quantomeno
una dimostrazione dell’antichità dell’“evangelizzazione” buddhista nelle regioni dell’India nord- Bajaur e dello Swat, cui sono attribuite alcune iscrizioni dedicatorie su reliquiari ed oggetti
occidentale, una espansione che certamente molto deve alla forza propulsiva del proselitismo di culto (Salomon 1988; 1995; 1997). La dinastia di Odi pare inoltre associata a un gruppo
avviato dal sovrano maurya. La realtà storica di questa prima diffusione del Buddhismo, dimo- di 29 frammenti di manoscritti in corteccia di betulla di recente scoperta rinvenuti entro vasi
strata da dati epigrafici e archeologici, si riflette mitizzata nella leggenda di Ashoka secondo la in ceramica con iscrizione dedicatoria, oggi conservati al British Museum (Salomon 1999;
quale il sovrano, al fine di propagare il dharma (la Legge buddhista) nei diversi angoli del mondo, per una sintesi su questo tema si veda Salomon 2003; Sferra 2006: 257-60). Questi testi, che
in una sola notte, con l’aiuto di esseri semidivini, ridistribuì in 84.000 parti le reliquie del includono opere di genere differente redatte in lingua gandhari e scrittura kharoshthi e data-
Buddha già divise alla morte del Maestro, erigendo su ognuna di esse uno stupa. bili al primo quarto del I secolo d.C., rappresentano la prima testimonianza di letteratura
Un’ulteriore testimonianza dell’espansione del Buddhismo in queste aree di frontiera sem- buddhista e sono in assoluto i più antichi manoscritti pervenuti in una lingua indiana, la cui
bra venirci da una importante opera della letteratura canonica buddhista, il Milindapanha, “le stesura pare coincidere cronologicamente con la fioritura dell’arte del Gandhara nella regio-
domande di Milinda” – il cui nucleo è databile tra il 100 a.C. e il 200 d.C. (Cicuzza & Sferra ne dello Swat, secondo i risultati delle ricerche condotte nella regione dalla Missione
2001: CXII) –, un testo in forma dialogica tra il re Milinda, personaggio in cui si deve ricono- Archeologica Italiana dell’IsMEO.
scere il sovrano indo-greco Menandro (155-130 a.C.), e il monaco Nagasena sui principi fonda- A questa fase seguì infine la grande fortuna del Buddhismo all’epoca dei Kushana, che
mentali della Dottrina. favorirono l’espansione del dharma nei territori dell’Asia Centrale orientale e della Cina, una
A conferma di un possibile sostegno al Buddhismo da parte di Menandro, si ricorderà che straordinaria diffusione che coincise con un’ulteriore fase di sviluppo dell’arte del
il suo nome (Minendra) compare su un reliquiario dal Bajaur, area a sud-ovest dello Swat, sul Gandhara. L’importanza assunta dalla Dottrina in queste aree di frontiera, testimoniata dalle
quale in epoca più tarda venne aggiunto pure il nome del meridarca Theudora (Theodoros). Si donazioni regali, dalle aree sacre che iniziarono a sorgere in numero sempre crescente, dai
potrebbe a lungo discutere sull’effettiva conversione al dharma buddhista di questo sovrano indo- monumenti e dagli stupa che le affollavano, rese il Nord-Ovest uno dei luoghi santi del
greco. Probabilmente il suo interesse per questa tradizione religiosa aveva delle comprensibili Buddhismo, nonostante il Buddha storico non vi fosse mai giunto. Questa fama di santità è
ragioni politiche ed egli, come molti regnanti stranieri che trovavano in India un forte ostacolo pure confermata dal fatto che già in epoca piuttosto antica furono elaborate leggende locali
nello strapotere brahmanico, preferì accordare il suo favore a una fede “universalistica”, secondo che ambientavano in questi territori alcuni episodi della vita di Siddhartha, eventi che diven-
la quale la realtà del dolore è il comune denominatore dell’esistenza umana, che non imponeva nero importantissimi nell’ambito della tradizione buddhista locale, che furono accolti dalla
limiti di casta e dalla cui comunità il sovrano poteva godere di un appoggio incondizionato. letteratura agiografica e celebrati nell’arte del Gandhara.
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so cui si irradia la luminosità del Buddha” (Taddei, 1971-94: 717), un centro del corpo sottile
immaginato risiedere sulla sommità del capo o immediatamente sopra di esso, ove, dopo aver
risvegliato l’energia interiore attraverso tecniche ascetiche, lo yogin realizza “il superamento del
samsara e l’‘uscita dal Tempo’” (Eliade 1973: 231). Un dettaglio così significativo non consegna-
to allo spettatore, e quindi indipendente da preoccupazioni estetiche, era probabilmente avver-
tito, come del resto il complesso codice convenzionale di segni visibili, come un segreto suggel-
lo che trasforma l’immagine in pietra in qualcos’altro: lo strumento di evocazione di quelle forze,
in essa così intimamente espresse, che conducono all’Illuminazione.
In ugual modo può essere interpretato il particolare delle vene che in alcuni casi percorrono
la fronte e il corpo di alcuni Buddha emaciati, che raffigurano una fase della vita di Siddhartha
precedente all’Illuminazione, quando egli, ancora alla ricerca della verità, si era dedicato a prati-
che ascetiche che contemplavano una rigorosissima rinuncia del cibo. Il disegno regolare e fan-
tasioso del reticolato di queste vene, se da un lato può ricordare l’interesse del mondo ellenisti-
co per l’anatomia umana (Bussagli 1984: 27), può essere altresì ricondotto all’idea delle nadi, i
canali del corpo sottile in cui passa l’energia risvegliata attraverso l’ascesi e la meditazione
(Verardi 1985-88: 1536).
È un fatto che molti dei segni che compongono l’immagine del Buddha gandharico, siano
essi i lakshana ricordati nei testi o altri tratti caratteristici, rivelano l’appartenenza ad un codice
di simboli che trae origine dalla tradizione yogica, suggerendo la possibilità che la speculazione
religiosa buddhista di questo periodo contenga già elementi che saranno pienamente sviluppa-
ti solo nel più tardo pensiero tantrico.
Alla tradizione yogica devono essere ricondotte pure gli asana e le mudra, posizioni del corpo
e attitudini gestuali che hanno il compito di chiarire ulteriormente lo stato interiore del perso-
naggio o l’evento della vita del Maestro cui ci si riferisce.
Il Buddha può essere raffigurato stante (Figg. 13-14), reclinato (Fig. 20), o nella “posizione del
loto” (padmasana) (Fig. 15); nel “gesto della mancanza di paura” o della “rassicurazione” (abhaya-
mudra), eseguito con il palmo della mano destra posto all’altezza della spalla e rivolto verso lo
spettatore; nel “gesto della meditazione” (dhyanamudra), con le mani in grembo un palmo sopra
all’altro e i pollici uniti (Fig. 15); nel “gesto del contatto con la terra” (bhumisparshamudra) che
spesso caratterizza il Buddha nella raffigurazione dell’assalto di Mara ed allude all’evento della
Illuminazione, compiuto con la punta delle dita della mano destra che sfiorano il terreno; nel
“gesto della messa in moto della ruota della Legge” (dharmacakramudra), che allude alla predica-
zione del Maestro, eseguito con le mani portate all’altezza del petto, in una posizione combina-
ta e variamente rappresentata nel Gandhara.
Il Buddha gandharico appare inoltre caratterizzato dall’abito monastico, costituito da tre ret-
tangoli di tessuto differentemente drappeggiati intorno al corpo: l’antaravasaka, una sorta di
lunga gonna stretta intorno ai fianchi, l’uttarasamgha, uno scialle che copre la spalla sinistra e la
samghati, il mantello monastico che nel Gandhara si sovrappone agli altri due capi di abbiglia-
mento ed avvolge interamente il corpo, coprendo ambedue le spalle (Figg. 13-15). Questo tipo di
vestiario venne in realtà adottato solo in un secondo momento. Le più antiche raffigurazioni
gandhariche del Maestro finora conosciute, databili ai primi decenni dell’era cristiana, rinvenu-
Fig. 15 - Buddha seduto nella posizione del loto (padmasana) e nel gesto della meditazione (dhyanamudra), schisto, Pakistan, te a Butkara, dalla Missione Archeologica Italiana dell’IsMEO, ancora conservano i tratti pecu-
II-III secc. d.C., MNAO inv. 401 (Archivio MNAO: Pierpaolo Verdecchi e Daniele Vita). liari della rappresentazione dell’Illuminato elaborata a Mathura (vedi sopra), e sono immagini
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abbigliate con una dhoti che cinge i fianchi e con un leggero scialle che copre solo la spalla merevoli variazioni sul tema, una figura fissa nella maggior parte delle sue caratteristiche) la cui let-
sinistra, lasciando scoperto quasi per intero il busto (Fig. 11). Come è stato detto, poco più tura può avvenire “per circuiti multipli” nel senso che questo semema può essere “letto” lungo la
linea degli attributi indiani, o di quelli classici, o di altri ancora, presentando, in ognuna di queste
tardi il Gandhara elaborò una propria iconografia del Buddha, discostandosi dalla raffigura-
linee di lettura, caratteri sufficienti all’identificazione generica del personaggio rappresentato e alla
zione mathurena, ed iniziò a rappresentare il Beato seguendo uno schema figurativo in parte definizione – almeno parziale – dei suoi valori” (Bussagli 1984: 200).
influenzato dall’arte classica. Fra i vari cambiamenti che caratterizzarono questa nuova
immagine gandharica, uno dei più evidenti è costituito proprio dalla differente resa dell’abi- Questa possibilità non deve tuttavia oscurare il dato prevalente: il fatto che questa immagi-
to: al consueto abbigliamento è aggiunto il mantello monastico che copre ambedue le spal- ne sia caratterizzata principalmente da segni che non appartengono alla tradizione figurativa
le, riproposizione di un elemento realistico rinvenibile nella tradizione locale, il pesante classica e che il Gandhara nell’elaborazione di questa figura abbia scelto deliberatamente, a
abito in lana indossato dai monaci nelle regioni fredde e montagnose dell’India di Nord- dispetto della componente ellenistica, di attingere alla tradizione più ortodossa dell’India, rap-
Ovest. presentando il Buddha come uno yogin perfettamente compiuto, che reca sul corpo e sul capo i
Oltre agli elementi di origine indiana, una tradizione di studi crede di rinvenire nell’imma- segni di tale raggiunta compiutezza.
gine del Buddha gandharico caratteristiche derivate dal mondo occidentale che non sono sem-
plicemente espressione di un gusto estetico o di un influsso stilistico classico, ma che celano
valenze simboliche capaci di ampliare il significato complessivo della rappresentazione. Il programma iconografico:
Se la tipologia dell’abito è d’importazione indiana, il modo di drappeggiare la stoffa intor- dimensione narrativa ed evocativa dell’arte del Gandhara
no al corpo è spesso di derivazione classica e rivela il desiderio di associare l’immagine del
Buddha alla figura del filosofo e oratore togato o coperto dall’himation greco – assimilando- L’arte gandharica fu, almeno durante la prima fase del suo sviluppo, un’arte soprattutto
la in definitiva al logos. A supporto di questa interpretazione si ricorderà qui come alcune raf- narrativa, come narrativa era stata l’arte buddhista aniconica di Bodh Gaya, Bharhut, Sanci
figurazioni presentino la mano sinistra fuoriuscente dal mantello a stringerne il lembo supe- e Amaravati, che tuttavia era ricorsa alla raffigurazione simbolica dell’Illuminato. I contenu-
riore alla maniera del Sofocle Laterano, dettaglio che in un percorso di lettura occidentale ti del “racconto” in ambedue le tradizioni figurative sono la vita del Buddha storico – dal
connette l’immagine dell’Illuminato ancor più esplicitamente all’idea del Principio univer- momento del miracoloso concepimento a quelli del parinirvana e della spartizione delle reli-
sale (Bussagli 1984: 207-09). Più difficile appare ricondurre il Buddha gandharico a valori quie – e le sue esistenze precedenti (jataka), durante le quali il futuro Buddha aveva compiu-
apollinei come è stato fatto da taluni studiosi (Grünwedel 1901; Foucher 1917; Tarn 1938; to azioni altamente meritorie che lo avrebbero condotto ad esaurire il suo karma e ad otte-
più prudente Bussagli 1984: 207-08; Spagnoli 1995; 1999): l’aspetto occidentale del volto di nere la buddhità.
alcuni Buddha, caratterizzato da un profilo greco e da un ovale purissimo è elemento trop- Particolari risultano, rispetto alle scuole indiane, alcuni modi del narrare adottati nel
po evanescente per associare la rappresentazione dell’Illuminato a quella dell’Apollo; così il Gandhara, che sceglie di rappresentare i vari episodi della biografia spirituale del Maestro dispo-
nimbo che circonda il capo del Buddha, elemento iconografico di probabile origine occiden- nendoli in ordine cronologico, suddivisi da elementi architettonici o naturali, secondo un siste-
tale, talora interpretato come segno della relazione tra le due figure (Spagnoli 1995; 1999) e ma cosiddetto “continuo”, che è sostanzialmente storico e lineare, pensato per essere fruito
spiegato in connessione alla speculazione occidentale sulla luce. L’interpretazione di questo durante la pradakshina, il percorso rituale che si compie intorno allo stupa, tenendo il monumen-
dettaglio figurativo quale portatore di valori fotistici è, come già visto, perfettamente com- to alla propria destra e girandovi intorno in senso orario. L’origine di questo modulo deve esse-
prensibile nell’ambito della cultura indiana, senza dover necessariamente ricorrere a letture re fatta risalire, per quanto ne sappiamo, al secondo quarto dell’era cristiana, con la realizzazio-
di derivazione classica. Esso si rivela, piuttosto, come un carattere importato dall’occidente ne del fregio del Maestro di Saidu Sharif – una serie di pannelli che raffigurano eventi della vita
reinterpretato alla luce del pensiero locale. del Buddha, posti orizzontalmente in successione cronologica a decorare lo Stupa Principale del-
Il dibattito sulla effettiva presenza ed interpretazione di marchi semantici di origine occiden- l’omonimo sito scavato dalla Missione Archeologica Italiana dell’IsMEO, con scene suddivise da
tale nella figura del Buddha è ancora aperto. Al punto in cui sono giunti gli studi non possia- elementi architettonici –, che Domenico Faccenna (2001: 183-84; 2002c: 139-40) considerava il
mo negare la possibilità che questa immagine nel Gandhara sia stata concepita attraverso l’ausi- più antico esempio conosciuto di questo tipo di composizione.
lio di elementi eterogenei di diversa provenienza, finalizzati ad esprimere il valore universale Diversa appare la scelta narrativa del mondo indiano che non tiene in alcun conto la pro-
della Illuminazione e che essa sia “costruita” in modo tale da permettere una lettura attraverso gressione cronologica e la dimensione temporale degli eventi e tende invece a privilegiare nella
percorsi culturali multipli, mantenendo ogni volta intatto il suo significato di logos. A questo pro- disposizione dei vari episodi l’elemento spaziale: ogni scena è inserita in un insieme in cui spes-
posito Mario Bussagli con lucidità penetrante scriveva: so sono il paesaggio e le strutture architettoniche rappresentate a determinarne la posizione ed
“L’immagine antropomorfa del Gandhara (….), pur rifacendosi, come è ovvio, ad un filone cultura-
ogni evento è visto concluso in sé e per sé.
le, di origine indiana, perfettamente configurato, assumerà l’aspetto che le è proprio derivandolo dal La tecnica narrativa del fregio gandharico è d’altra parte originale anche rispetto al
fondo culturale composito nel quale era nata. Diverrà, anzi, un semema (ossia, non ostante le innu- mondo occidentale precedente e coevo, che conosce il sistema di narrazione continua – ad
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esempio nei cicli mitologici, sulle colonne coclidi, sui sarcofagi romani – ma che mai lo
adotta per raccontare l’intera vita di un personaggio, ricorrendo fra l’altro alla scansione
regolare delle scene mediante elementi architettonici (Faccenna 2001: 183-84; 2002c: 139;
si veda anche Taddei 1993: 38-39). A questo proposito Maurizio Taddei (1993: 39-40) face-
va rilevare:
“Non sembra facile […] rinvenire nel mondo ellenistico-romano alcun ‘modello’ per le vite gandha-
riche di Siddhartha. […] Di certo si può soltanto dire che quei prodotti che nel mondo occidentale
maggiormente somigliano alle ‘vite’ gandhariche – il cristiano istoriare cui faceva cenno Santo
Mazzarino, oppure certi cicli della vita di Achille come quello sul piatto argenteo di Kaiseraugst –
sono di esse più tardi assai” (Taddei 1993: 39-40).
Non si deve tuttavia pensare che l’arte narrativa nel Gandhara si esprima esclusivamente
attraverso il metodo di composizione storico e lineare. Oltre a questo sistema, certamente il più
diffuso, essa conosce e sperimenta anche altri modelli narrativi. Tra questi la scena singola –
quando di un intero racconto si sceglie di rappresentare un momento particolare, riassuntivo
della storia –, o il sistema “simultaneo” in cui diversi episodi di una narrazione appaiono riuni-
ti in un unico pannello attraverso la riproposizione di alcuni protagonisti in posizioni ed attitu-
dini differenti (Santoro 1999-2000: 62). Fig. 16 - In basso: La nascita del Buddha e oroscopo (?), in alto: scena di offerta, segmento di fregio curvilineo, “stile natu-
Quanto detto finora potrebbe far sorgere l’erronea concezione che l’arte del Gandhara ralistico”, schisto verde, Saidu Sharif I, Swat, Pakistan, I-II secc. d.C., MNAO inv. 4107, MAI S 418, Deposito IsIAO
(Archivio MNAO: Pierpaolo Verdecchi e Daniele Vita).
sperimenti solo la componente narrativa e che in questa esaurisca la sua funzione. La realtà
è più complessa. Una tendenza che sin dall’inizio coesiste con la dimensione narrativa, e che
diverrà prevalente in una seconda fase dell’arte gandharica, consiste nella produzione di
immagini isolate, per lo più a stele, con raffigurazioni di scene epifaniche in cui l’attenzione
I rilievi narrativi e la biografia spirituale del Maestro
non è posta sul racconto di una vita, seppure esemplare e mitizzata, ma sulla presentazione I rilievi figurati gandharici, posti generalmente in successione continua a decorare le pareti
di una icona in cui l’azione, la predicazione e la parola del Buddha appaiono sbalzate in una circolari degli stupa, dovevano servire come supporto per la meditazione e la venerazione duran-
dimensione che è al di là del tempo e dello spazio concesso all’umano divenire: è questo il te il rituale della pradakshina. Seguendo questo percorso processionale, il fedele contemplava le
caso delle scene di impianto gerarchico con raffigurazioni di Buddha predicanti dinanzi ad varie scene degli episodi della vita del Buddha nel tentativo di ripercorrere nello spazio della pro-
assemblee di uditori, o di rappresentazioni che, come nel caso di alcune stele del Kapisha, pria coscienza il cammino spirituale rappresentato dalla vita esemplare del Maestro e con l’in-
riassumono in pochi elementi distintivi – astraendolo dal contesto narrativo – un momento tento di suscitare il Risveglio attraverso la riproposizione costante del rito.
particolare della vita considerato come evocabile, ove l’azione del Maestro assume carattere Durante i secoli si era venuta a creare una biografia leggendaria del Maestro alla quale gli arti-
atemporale e ripetibile. sti si erano ispirati per la realizzazione delle loro opere. Molti degli eventi narrati nell’arte del
La dimensione narrativa e quella evocativa espresse nei modi che abbiamo esaminato e Gandhara trovano riscontro nelle fonti letterarie buddhiste in lingua pali e in lingua sanscrita o
spesso felicemente integrate, rappresentano gli aspetti più significativi di un contesto figura- nelle traduzioni cinesi e tibetane di testi indiani non conservati. Tuttavia le scene raffigurate sui
tivo complesso. Il programma iconografico ideato per adornare l’area sacra, costituita dallo rilievi non devono essere considerate illustrazioni puntuali di quanto narrato in un particolare
stupa principale, dagli stupa minori e dai vari monumenti e nicchie che li circondavano, pote- testo, piuttosto esse condividono con le opere letterarie dei temi comuni (Santoro 1999-2000) e
va prevedere inoltre la rappresentazione di un fregio continuo caratterizzato talora da scene devono molto, probabilmente, ad una parallela tradizione orale che aveva sviluppato proprie ver-
di genere o soggetti dionisiaci, privo della separazione di elementi architettonici o naturali, sioni degli episodi della vita del Buddha. L’influsso dell’oralità o di antiche opere letterarie per-
che correva sul corpo dello stupa immediatamente al di sopra del fregio narrativo, statue di dute appare particolarmente evidente nel caso di episodi che non sembrano avere corrisponden-
Buddha e Bodhisattva collocate sul monumento o in nicchie innalzate intorno ad esso, za nei testi conosciuti (Id.).
immagini di divinità indiane assorbite nel pantheon buddhista e trasformate in accoliti del Tra la miriade di eventi della vita del Buddha narrati sui rilievi gandharici, ricorderemo qui
Buddha, elementi di decorazione architettonica e una moltitudine di motivi ornamentali, quelli più rappresentativi, in particolar modo quelli che è possibile osservare nelle collezioni con-
che non costituivano un semplice arricchimento, ma completavano il messaggio e il senso servate presso il Museo: la nascita di Siddhartha, la “grande partenza” da Kapilavastu, il raggiun-
iconografico complessivo dell’area. gimento dell’Illuminazione, la “prima predicazione” e la morte del Buddha, ovvero il raggiungi-
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mento del supremo nirvana gioso indiano. La posizione assunta dalla madre del Buddha corrisponde al modulo della sha-
(parinirvana). labhanjika, l’immagine femminile raffigurata nell’arte buddhista aniconica, associata ad elemen-
A beneficio di chi legge ti arborei, portatrice di valori di fecondità, fertilità e abbondanza, che allude al legame profon-
si ricorderà qui che lo sche- do tra le potenze della natura e le energie che regolano il piano umano. Ugualmente, le imma-
ma iconografico fonda- gini di divinità che presenziano alla nascita del Buddha assumono un significato riconducibile
mentale di questi e di altri ad una idea fondamentale del pensiero indiano, secondo la quale tutte le forme di esistenza,
episodi nel Gandhara appa- comprese le più elevate, sono soggette alla realtà della sofferenza e alle leggi di nascita, decadi-
re spesso invariato. Scene mento e morte che regolano il samsara. Anche gli dei, pervenuti a questo stato grazie ad azioni
raffiguranti lo stesso evento particolarmente positive compiute nelle vite precedenti, sono destinati a decadere dalla condi-
provenienti da monumenti zione paradisiaca ed attendono la venuta di colui che, attraverso la predicazione del dharma,
o da aree diverse possono potrà condurli al raggiungimento dell’Illuminazione e all’uscita dal samsara. Il rilievo in questio-
essere complicate dall’ag- ne nel suo complesso rivela la natura eterogenea degli influssi iconografici, stilistici e simbolici
giunta di personaggi o sem- che compongono l’arte del Gandhara: il contenuto è riconducibile ad una tradizione buddhista
plificate a seconda delle che rielabora modelli figurativi e concezioni panindiane; le modalità espressive – la composizio-
necessità, talora subiscono ne dell’intera scena, il modo in cui le figure si muovono nello spazio, la costruzione dei corpi e
delle variazioni in relazione dei panneggi, lo stesso inserimento di elementi architettonici che separano le scene – sono cer-
Fig. 17 - La “grande partenza”, frammento di rilievo, “stile naturalistico”, alle posizioni o alla gestua- tamente derivate dall’arte classica; il registro superiore invece mostra più chiaramente un influs-
schisto verde, Butkara I, Swat, Pakistan, seconda metà I-II secc. d.C., MNAO
inv. 1131, MAI B 4028+4842, Deposito IsIAO (Archivio MNAO: Laura lità di alcune figure – com- so iranico o centroasiatico con la raffigurazione di personaggi in costume scitico.
Giuliano). preso il Buddha –, ma in Altro momento fondamentale nella vita di Siddhartha è rappresentato dalla sua decisione di
genere la struttura della raf- abbandonare la vita principesca per recarsi nella foresta, alla ricerca di una soluzione alla realtà
figurazione e la presenza dei protagonisti principali della storia appaiono costantemente della sofferenza. Questo proposito si concretizza nell’evento della “grande partenza” (mahabhini-
riproposte. shkramana) da Kapilavastu, la sua città natale. Secondo la tradizione, dopo essersi recato a dare
I testi narrano che Mayadevi, madre del Buddha, dopo aver concepito miracolosamente, si l’ultimo saluto alla moglie Yashodhara dormiente e al figlioletto Rahula, nato quello stesso gior-
recò a Lumbini, un parco nelle vicinanze di Kapilavastu, la città governata da suo marito, il re no, Siddhartha nel corso della notte, accompagnato dal suo fedele scudiero Chandaka, si allon-
Shuddhodhana, poiché era giunto per lei il momento di partorire. Secondo la tradizione il pic- tanò dal palazzo, dirigendosi a cavallo verso le porte di Kapilavastu. Intorno a lui si manifestaro-
colo Siddhartha nacque, uscendo dal fianco destro della madre, mentre una serie di prodigi ne no allora una serie di prodigi, poiché il mondo divino era favorevole e partecipe della sua deci-
benedicevano la venuta al mondo. sione: le porte della città che potevano essere aperte soltanto con l’intervento di centinaia di
Il segmento di fregio figurato, probabilmente parte della decorazione di uno stupa votivo del- uomini si spalancarono magicamente con l’aiuto degli dei. Alcune fonti narrano poi che, duran-
l’area sacra di Saidu Sharif I, presenta sul registro inferiore la scena della nascita di Siddhartha te la fuga, il cavallo Kanthaka venne sollevato da esseri celesti, per evitare che il rumore dei suoi
e una parte di quella dell’oroscopo (?), separati da una semicolonna con capitello gandharico- zoccoli sul selciato potesse svegliare e mettere in allarme gli abitanti della reggia e della città.
corinzio entro riquadro (Fig. 16) (Taddei 1993: fig. 9; Faccenna 2001: tav. 125 a-b; Callieri & Nel Gandhara, la scena della fuga dal palazzo può essere rappresentata sostanzialmente in
Filigenzi 2002: 167, fig. 70). Lungo il registro superiore è una rappresentazione “di genere” con- due modi, con Siddhartha e il suo cavallo raffigurati frontalmente o di profilo, più raramente
tinua, con scena di offerta in cui compaiono personaggi in costume centroasiatico. La nascita di tre quarti. Il rilievo proveniente da Butkara I esposto in Museo appartiene alla prima tipolo-
del Buddha in questo rilievo viene raffigurata ponendo al centro della scena la regina Mayadevi, gia: l’immagine frontale di Siddhartha a cavallo del suo destriero Kanthaka è posta al centro
in piedi sotto ad un albero di shala, con la mano destra sollevata a stringerne un ramo, sorretta della composizione (Fig. 17) (Faccenna 1962-64: II, 2, 29, pl. XCI). Egli porta ancora i segni carat-
da un’ancella. Accanto alla donna è rappresentato il dio Indra, re degli dei, con la tiara e le vesti teristici del principe indiano, abbigliato con paridhana, uttariya, turbante e ricchi gioielli ed ha il
principesche, in posizione leggermente reclinata e con le mani portate avanti e coperte da un capo circondato dal nimbo. Il cavallo al galoppo, di cui purtroppo non sono più visibili parte
panno, pronto ad accogliere il piccolo Siddhartha visibile per metà mentre esce dal fianco destro della testa e delle zampe anteriori, appare supportato da uno yaksha in guisa di atlante, un par-
della madre. All’evento assistono una figura maschile nel “gesto della venerazione” (anjalimudra) ticolare fedele a quanto narrato in alcune opere letterarie (ad esempio Lalitavistara XV, I, 202).
e a destra una figura femminile con l’attributo di una palma, identificabile nella nagaradevata, la Sotto il piede sinistro di Siddhartha è visibile la testa di un’altra figura che doveva sostenere il
dea della città. cavallo. Alla sua sinistra si trova un personaggio che reca un parasole, interpretato generalmen-
La composizione e le particolarità iconografiche che caratterizzano la scena sottendono una te come Chandaka, lo scudiero del Buddha (Majumdar 1937: 43; Lobo 1985: 433; Zwalf 1996:
serie di concezioni che divengono manifeste solo a chi conosca profondamente il pensiero reli- I, 166). Accanto a costui è una figura femminile che indossa una corona turrita, da identificare
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durante gli ultimi sei anni di ascesi, delusi dal comportamento dell’amico tanto ammirato e tur-
bati per la crisi intervenuta in lui circa la validità del sentiero fino ad allora seguito, abbandona-
rono Siddhartha e si recarono a Benares. Shakyamuni era rimasto solo. Aveva fino ad allora
conosciuto l’infinita varietà delle esperienze umane. Esisteva realmente un modo per sottrasi al
samsara? La leggenda narra che quello stesso giorno egli giunse dinanzi ad un albero di pipal
(Ficus Religiosa), il cosiddetto albero della bodhi (Illuminazione), e che, compiuti sette giri intor-
no al suo tronco in segno di rispetto, si sedette sotto le sue fronde pronunciando questo supre-
mo voto
Fig. 18 - La “vittoria su Mara”, “Io non mi scioglierò da questa posizione in terra fin quando non sarò giunto a compiere ciò che
rilievo, “stile naturalistico”, devo compiere” (Ashvaghosha, Buddhacarita, XII, 120; trad. Passi 1979: 156).
schisto verde, Butkara I, Swat,
Pakistan, Swat Museum, Saidu Dopo aver percorso tutti i diversi stadi della meditazione e aver ottenuto la piena conoscen-
Sharif (Archivio IsIAO: Fran-
cesca Bonardi).
za delle sue esistenze anteriori e di quelle di tutti gli esseri, intuite la cause del dolore e indivi-
duato il metodo per annientarlo, alle prime luci dell’alba Siddhartha divenne finalmente
Buddha, l’Illuminato.
con la nagaradevata, la divinità della città di Kapilavastu, dinanzi a cui – come ricordato in alcu- Il momento dell’Illuminazione di Siddhartha è evento inesprimibile, poichè si verifica in
ni testi (ad esempio Mahavastu II, 164) – Siddhartha giurò che non avrebbe fatto rientro prima uno spazio interiore. Il Gandhara sceglie di alludere a tale episodio attraverso la raffigurazione
di aver ottenuto l’Illuminazione. Le figure armate in secondo piano rispetto a Chandaka e alla di un avvenimento immediatamente precedente, quello della “vittoria su Mara” (maravijaya) –
nagaradevata sono forse da intendersi come i cinquecento giovani Shakya a guardia delle porte che narra le tentazioni e gli attacchi del dio della passione e della morte, il demone che regna su
della città cui fa riferimento il Lalitavistara (XV, I, 200-1) (Foucher 1905-22: I, 356). A destra del tutti i mondi attraverso l’inganno del desiderio e del piacere – e la successiva vittoria del Buddha.
futuro Buddha è raffigurato un personaggio armato di arco con il volto a lui rivolto, che proce- La risoluzione di Siddhartha si rivelava pericolosa poiché, una volta conseguita la bodhi, la divul-
de verso sinistra e che pare indicare la via. Questa figura è stata oggetto di varie interpretazioni: gazione del metodo per sottrarsi al dolore e all’agonia del samsara avrebbe minacciato il potere
si è pensato di identificarla con Mara, il dio dell’amore, della passione e della morte, colui che che il dio deteneva sugli esseri. Dapprima Mara tentò di fermarlo mostrandogli le sue affascinan-
tenterà Siddhartha in procinto di raggiungere l’Illuminazione (Foucher 1905-22: I, 356-7), con ti tre figlie (Desiderio, Voluttà e Inquietudine), ma esse persero tutta la loro bellezza, svelando la
Indra, “il re degli dei” della tradizione vedica divenuto un accolito del Buddha (Lobo 1985: 430- propria inconsistenza dopo un unico sguardo di Shakyamuni. Allora scatenò contro il saggio
7), o con Vaishravana, il sovrano del Nord e capo degli yaksha (Tanabe 1993-4), personaggi ricor- tutte le potenze del suo regno: un esercito di demoni orribili e deformi che scagliarono contro
dati in vari testi che narrano l’episodio della “grande partenza” (Zwalf 1996: I, 166). Sopra la di lui le loro terribili armi. Queste tuttavia si trasformarono in fiori al cospetto del Buddha.
figura armata di arco sono visibili dei personaggi in volo, rappresentazione di esseri semidivini Shakyamuni restava imperturbabile, nessun tipo di tentazione mondana poteva ormai indurlo
delle sfere aeree (suparna) che secondo la tradizione scortarono Siddhartha durante la fuga, assi- ad abbandonare il cammino intrapreso con tanta determinazione. Già in questa, come in altre
stendo all’evento e favorendolo. La scena nel suo complesso è caratterizzata dall’utilizzo del sim- esistenze terrene, aveva volontariamente sacrificato la ricchezza, il potere, i piaceri sensuali, in
bolismo proporzionale: l’immagine del protagonista appare di dimensioni maggiori rispetto a favore delle creature e in vista del bene supremo, uno stato incorruttibile il cui raggiungimento
quelle dei personaggi che lo circondano. Il pannello, che secondo gli studi condotti da era stato il suo unico scopo. Il momento era giunto. Siddhartha chiamò allora la Terra per testi-
Domenico Faccenna, appartiene allo “stile naturalistico” di Butkara, è inoltre caratterizzato da moniare la sua purezza e la sua incorruttibilità di fronte agli attacchi sferrati da Mara e questi fu
una lavorazione a rilievo molto alto e l’intera rappresentazione tende ad invadere lo spazio dello costretto a fuggire sconfitto con tutta la sua armata.
spettatore, particolarità immediatamente evidente nella raffigurazione, pure frammentaria, del Il rilievo qui presentato è conservato al Museo di Saidu Sharif (Fig. 18) (Faccenna 1962-64:
cavallo lanciato al galoppo. II, 2, 14, pl. XXIV; Faccenna 2001: tavv. 114-15; Filigenzi 2002: 100, fig. 27). La rappresentazio-
Dopo essersi ritirato nella foresta, aver osservato l’insegnamento di vari maestri, sperimenta- ne appare inquadrata tra due lesene su cui appaiono due figure femminili di danzatrici (?) abbi-
to la condizione di mendicante, gli stati paranormali prodotti dalle tecniche yoga, le mortifica- gliate all’indiana, forse allusione alle figlie di Mara e alla prima tentazione da parte del dio. La
zioni fisiche e il digiuno, Siddhartha, ormai divenuto Shakyamuni – il saggio degli Shakya, dal scena raffigura, invece, come tutti i rilievi che narrano questo episodio, la seconda tentazione,
nome della stirpe da cui proveniva – risolveva che la vita di estremo rigore non l’aveva condot- ovvero l’“assalto di Mara” e la successiva vittoria del Buddha (maravijaya). Shakyamuni è rappre-
to alla salvezza e alla libertà cui anelava. Il futuro Buddha prese perciò la decisione di abbando- sentato al centro della composizione, seduto su un seggio nella posizione del loto (padmasana)
nare la via intrapresa e, secondo la tradizione, dopo aver accettato del cibo da una donna, recu- sotto un albero di pipal, riconoscibile per la caratteristica foglia a forma di cuore, di cui si vedo-
però le forze perdute durante gli anni di penitenza. I cinque aspiranti che si erano uniti a lui no solo alcuni rami nella parte alta del rilievo, laterali alla testa del saggio. Caratterizzato da un
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nimbo radiato esternamente ed avvolto nella samghati, il mantello monastico, egli stringe con la
mano sinistra un lembo della veste mentre la destra rappresentata di profilo è poggiata sul ginoc-
chio. Tutto intorno è l’esercito di Mara, un’orda di personaggi armati che tentano di distoglier-
lo dalla meditazione. La divinità come in molte rappresentazioni gandhariche del maravijaya è
raffigurata due volte, secondo il metodo della narrazione simultanea, mediante il quale in una
stessa scena appaiono riuniti diversi momenti di uno stesso episodio attraverso la ripetizione di
alcune figure: Mara compare a sinistra di Siddhartha, all’inizio della battaglia, mentre sguaina la
spada in segno di attacco, e a destra, prostrato e sconfitto dal Buddha – in ambedue i casi sor-
retto dal figlio. Ugualmente sconfitto appare l’esercito dei demoni rappresentati nella parte infe-
riore del rilievo e sotto il seggio del Buddha. Alcuni soldati sono raffigurati in posizioni scom-
poste, quasi attoniti per quanto sta accadendo, mentre due di loro sono chini, con il capo river-
so a terra. La struttura complessiva di questa scena appare analoga in tutti i rilievi gandharici,
fatte salve alcune differenze, che riguardano ad esempio il gesto compiuto dal Buddha, l’in-
serimento di nuovi personaggi che assistono all’evento e l’aspetto dei soldati dell’esercito di
Mara. Senza pretendere di elencare in modo esaustivo le varianti della rappresentazione, si Fig. 19 - La “prima predicazione” e visita a un asceta, segmento di fregio curvilineo, “stile naturalistico”, schisto verde, Butkara
ricorderà qui che in alcuni rilievi del maravijaya il Buddha può essere rappresentato in bhu- I, Swat, Pakistan, seconda metà I-II secc. d.C., MNAO inv. 1128, MAI B 3282, Deposito IsIAO (Archivio IsIAO: Francesca
misparshamudra, mentre sfiora con le dita della mano destra il seggio, attitudine con cui egli Bonardi).
chiama la Terra a testimone dei meriti spirituali acquisiti e della propria incorruttibilità (si
veda ad esempio il rilievo conservato presso la Freer Gallery of Art di Washington (no. 49.9) aspetto di monaci, sono i cinque compagni di ascesi convertiti alla Legge (due seduti ai suoi lati
in Rosenfield 1967: fig. 81); o è in abhayamudra, nel gesto della rassicurazione. Tra i protago- e tre stanti) e una sesta figura poco visibile vestita con gli abiti di un laico. Il Buddha è rappre-
nisti che irrompono nella scena può inoltre comparire la Terra nell’aspetto di una figurina sentato nell’atto di toccare con la mano destra i raggi di una ruota – il dharmacakra –, posta
femminile che emerge a mezzo busto tra la vegetazione (si veda l’esempio del Museum für accanto al seggio, gesto che allude alla “messa in moto della ruota della Legge” e all’evento della
Indische Kunst di Berlino (MIK I 10198) in Gadebusch et al. 2000: 28). Quanto ai compo- predicazione. Non compare invece un simbolo frequente in altre rappresentazioni della “prima
nenti dell’esercito di Mara, si noterà che essi assumono talora sembianze “demoniache” e predicazione”: le due gazzelle alla base del trono, motivo che allude al Parco delle Gazzelle di
mostruose, caratterizzati da teste animali (Zwalf 1996: II, fig. 185) e in qualche caso da volti Benares, località in cui, secondo la tradizione, avvenne il primo discorso del Buddha. Nei rilie-
in posizione ventrale. vi che raffigurano questo evento si riscontra una flessibilità anche rispetto alla mudra compiuta
Altro evento centrale nella vita del Buddha è rappresentato dalla “prima predicazione”, con dal Buddha: nel nostro caso egli tocca la ruota, ponendola in moto, in altri casi è raffigurato in
cui egli comunica agli esseri il metodo attraverso il quale affrancarsi dal samsara. La compassio- abhayamudra (ad esempio Zwalf 1996: II, fig. 200) o ha le mani sollevate all’altezza del petto in
ne nutrita nei confronti del genere umano, il senso di fratellanza che egli mostrava verso ogni dharmacakramudra, un gesto combinato e variamente rappresentato nel Gandhara che non è
essere vivente e il profondo desiderio di alleviare le sofferenze del mondo dovevano essere sen- esclusivo di questo episodio, ma che sta più genericamente ad indicare la predicazione e la dif-
timenti così radicati nell’animo dell’Illuminato da indurlo a rinunciare a spegnersi nel supremo fusione della parola e della dottrina del Buddha. Nelle scene che raffigurano questo evento appa-
nirvana. Il pensiero del Buddha andò a quei cinque discepoli, i fedeli compagni di tanti anni di re invece costante la rappresentazione della ruota della Legge, che indifferentemente può essere
ascesi. Deciso a comunicare loro la verità, si recò a Benares per cercarli e li trovò presso Sarnath, posta dinanzi al seggio o dietro ad esso, molto spesso a sinistra, perché il Buddha possa toccarla
nel Parco delle Gazzelle. Il discorso che il Buddha tenne dinanzi ai compagni di un tempo, noto con la mano destra. Una delle particolarità di questa scena è rappresentata dalla commistione
come “sermone della messa in moto della ruota della Legge” (dharmacakrapravartanasutra) segnò di linguaggio iconico e simbolico. L’adozione dell’immagine del Buddha nel Gandhara non
l’inizio dell’evangelizzazione buddhista. In esso il Buddha spiegava ai suoi vecchi amici le “quat- comporta infatti la rinuncia totale all’aniconismo e la figura antropomorfa dell’Illuminato appa-
tro nobili verità” del dolore, dell’origine del dolore, della cessazione del dolore e della via che re qui “integrata” da un punto di vista semantico dalla raffigurazione aniconica, poiché questa
conduce alla soppressione del dolore, assunti che possono essere considerati nucleo fondamen- si rivela particolarmente efficace a rendere concetti che l’immagine umana da sola non potreb-
tale del messaggio del Maestro ed essenza della dottrina buddhista. be evidenziare nella sua completezza. Vi sono poi rilievi in cui la “prima predicazione” è raccon-
Nel segmento curvilineo di fregio figurato proveniente da Butkara I, la “prima predicazione” tata ricorrendo esclusivamente alla rappresentazione simbolica del Buddha: cinque monaci
è raffigurata accanto all’evento della visita del Buddha a un asceta, separata da una semicolon- appaiono in adorazione di un tridente sormontato da tre ruote, emblema che raffigura il trirat-
na entro un riquadro (Fig. 19) (Faccenna 1962-64: II, 2, 20, pl. LIV). L’Illuminato è seduto in na, i tre gioielli del Buddhismo (il Buddha, la Legge, la comunità), affiancato dalle gazzelle (e.g.
padmasana su un seggio al centro della composizione, avvolto nella samghati. Intorno a lui, in Kurita 1988: figg. 285, 296, 298). L’analisi delle scene della “prima predicazione” rende possibi-
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“Le secret de sa fortune et de son apothéose se trouve dans le vajra, son inséparable emblème”.
In tempi più recenti, Bussagli (1984: 222) sostenne che nel significato complessivo del seme-
ma “Vajrapani”, il vajra ha assoluta preminenza rispetto al portatore. Così Arcangela Santoro
(1979: 338), che osservava:
“È chiaro […] che il significato del personaggio è nell’attributo stesso”,
rilevando anche che:
“l’assenza di Vajrapani ‘autonomi’ nel Gandhara, consente di considerare il Nostro come ‘funzione del
Buddha’” (Id.: 340).
Spostare l’attenzione dal “portatore del vajra” al suo attributo, potrebbe quindi fornire una
chiave di lettura “interna” alla figura del Vajrapani stesso.
Il concetto di vajra assume in effetti una importanza rilevante nella tradizione mitologica, reli-
giosa e filosofica indiana. Vajra è termine polisemantico, conosciuto già nella tradizione vedica
ove assume il significato di fulmine e ove indica tuttavia anche un’arma reale, provvista di mate-
rialità. Negli inni vedici a questo attributo è affidato un ruolo determinante: esso è l’arma invin-
cibile con cui Indra, il re degli dei, sconfigge Vritra, il mostro ofidio che teneva occultate le acque
del mondo e il mezzo con cui la divinità esplica la sua azione cosmogonica, separando tramite
Fig. 23 - Testa di Buddha e di Vajrapani, particolare del Fig. 24 - Particolare del Dipamkara jataka, frammento di esso le sfere e dando origine a un universo ordinato. Dalla fase vedica in poi, il termine subisce
Dipamkara jataka, frammento di rilievo, “stile naturalis- rilievo, “stile naturalistico”, schisto verde, Butkara I, una serie di trasformazioni concettuali. In contesto buddhista esso diviene un’arma spirituale a
tico”, schisto verde, Butkara I, Swat, Pakistan, seconda Swat, Pakistan, seconda metà I-II secc. d.C., MNAO inv. disposizione del Buddha e dei Bodhisattva, la cui caratteristica è quella di “folgorare” l’avversa-
metà I-II secc. d.C., MNAO inv. 1127, MAI B 6579, 1115, MAI B 3583, Deposito IsIAO (Archivio MNAO:
Deposito IsIAO (Archivio MNAO: Laura Giuliano). Laura Giuliano).
rio, trasformandolo interiormente e convertendo le sue malvagie inclinazioni; esso, quale sosti-
tuto dell’asse cosmico, è altresì segno della centralità del Buddha e della sua dottrina ed emble-
ma di regalità cosmica (Santoro 1991). Il Vajrapani gandharico va quindi forse interpretato come
Il Vajrapani gandharico è personaggio proteiforme. In quanto tale può assumere caratteristi- il portatore di questi valori, che rappresentano funzioni del Buddha stesso, di cui l’enigmatico
che diverse ed essere variamente abbigliato. È rappresentato con le sembianze di un giovane o personaggio è complemento e proiezione. È poi solo in epoca più tarda, nell’ambito del
di un uomo maturo, o la sua immagine ricalca precisi prototipi iconografici spesso di origine Buddhismo Vajrayana, che il vajra passerà ad indicare il diamante, l’elemento fondamentale e
classica, ricordando talora la raffigurazione di Zeus, talaltra quella di un sileno, di Eracle, del lit- sostegno della realtà, identificandosi con shunya, il vuoto, l’Assoluto stesso. Ma in questa ulterio-
tore. Questa variabilità iconografica, che non sembra trovare spiegazioni convincenti, unitamen- re evoluzione del termine e dei concetti da esso espressi non è escluso che l’importanza affidata
te alla evanescenza che caratterizza questa figura nei testi agiografici, rende complesso stabilire il a questo “doppio” del Buddha e al suo attributo nell’iconografia gandharica abbia avuto un
significato del personaggio, la cui reale identità ancora sfugge a una interpretazione definitiva certo ruolo.
(per una storia degli studi sull’argomento si veda Santoro 1979: 294-302; agli autori elencati nel- Meno numerosi rispetto ai rilievi che raffigurano gli episodi della vita del Buddha storico
l’articolo citato, si devono aggiungere fra le altre le più recenti interpretazioni del personaggio sono i pannelli che narrano le esistenze anteriori di Siddhartha, i cosiddetti jataka, in cui si pone
fornite da Bussagli 1984: 222-27; Santoro 1991; Verardi 1985-88: 1545; Filigenzi 2006. D’altra l’accento sulle opere caritatevoli compiute dal Bodhisattva prima di divenire Buddha, azioni
parte la variabilità figurativa di questo coprotagonista del Buddha sui rilievi gandharici si risol- meritorie che preparano la maturazione del suo karma.
ve nella presenza costante del suo attributo, il vajra, arma che egli condivide con Indra e che nel Nella tradizione gandharica, l’episodio di Dipamkara è senz’altro uno dei jataka più frequen-
Gandhara assume generalmente l’aspetto di una clessidra costituita da due tronchi di piramide temente raffigurati. Una versione della leggenda racconta che in una precedente esistenza il
a base quadrangolare, esagonale, ottagonale o poligonale uniti per le basi minori (Fig. 23). Vari Risvegliato non ancora compiuto, allora un giovane asceta, si recò a far visita al Buddha
studiosi hanno ipotizzato che il successo di questo personaggio vada ricercato proprio nell’em- Dipamkara, un Illuminato del passato, e per onorare il Maestro chiese dei fiori di loto a una fan-
blema di cui egli è portatore. Questa idea era sostenuta ad esempio da Senart (1905: 131), uno ciulla promettendole di sposarla in tutte le vite a venire. Si narra allora che il giovane al passaggio
dei primi ad occuparsi dell’argomento. Dal canto suo Foucher (1905-22: II, 1, 58-59) riteneva di Dipamkara lanciò i fiori in segno di venerazione e che le corolle per prodigio rimasero sospe-
che non contasse tanto l’aspetto assunto dal Vajrapani, quanto la sua funzione di “portatore del se intorno al capo del Buddha. Quindi l’asceta, dopo aver sciolto le lunghissime chiome, si ingi-
vajra”, quale strumento simbolico del potere magico del Maestro. A sua volta Lamotte (1966: nocchiò dinanzi a Dipamkara e pose la capigliatura sul terreno a mo’ di tappeto, per evitare che
159) scrisse: i piedi del Maestro si sporcassero con il fango della strada. Il Buddha Dipamkara predisse quin-
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Oltre alla rappresentazione dell’immagine antropomorfa del Buddha, intorno all’era cristia-
na venne elaborata anche la figura del Bodhisattva, uno dei temi iconografici preferiti dagli arti-
sti del tempo. Nell’arte del Gandhara questo personaggio, a differenza del Buddha, viene raffi-
gurato in vesti principesche. Egli indossa una stoffa drappeggiata intorno ai fianchi (paridhana),
uno scialle (uttariya), ricchissimi gioielli e porta talora un turbante. Tuttavia questa immagine si
differenzia da quella del principe indiano poiché appare qualificata dall’urna posta al centro
delle sopracciglia e dal nimbo intorno al capo, segni che condivide con il Buddha.
Dei molti Bodhisattva nominati nei testi, l’arte del Gandhara attribuisce particolare impor-
tanza ad Avalokiteshvara, Padmapani e Maitreya. Quest’ultimo (Figg. 25-26) è venerato anche
come il Buddha dell’evo futuro. La sua immagine appare qualificata dall’attributo della fiaschet-
ta (kalasha), nella quale è contenuto il liquido dell’immortalità (amrita), e dai capelli acconciati
in una sorta di fiocco sulla sommità del capo. Tale pettinatura caratterizza anche l’immagine del
dio Brahma e la stessa fiaschetta sembra essere una derivazione del classico kamandalu, attribu-
to della medesima divinità e segno distintivo dei brahmani, alla cui casta, secondo la tradizione,
Maitreya appartiene. Il suo nome personale, Ajita – “l’invitto” –, ricorda il Mithra iranico assi-
milato al Sol Invictus romano. L’idea della venuta di un “salvatore”, anche se con declinazioni dif-
ferenti, era condivisa nei primi secoli dell’era cristiana da varie popolazioni del continente eura-
siatico: si pensi alla fede nel Messia ebraico, nel Saoshyant iranico e all’attesa dell’ultima disce-
sa di Vishnu sulla terra nella forma di Kalki, secondo quanto elaborato nella dottrina brahma-
nica degli avatara. La venerazione per il Buddha del futuro, documentata dai numerosissimi
Fig. 27 - Testa di Bodhisattva (?) o di principe, stucco dipin- Fig. 28 - Testa di Buddha, stucco, Pakistan o Afgha-
to, Pakistan o Afghanistan, IV sec. d.C. ca., MNAO inv. nistan, IV sec. d.C. ca., MNAO inv. 70 (Archivio rilievi e statue gandharici che ritraggono Maitreya, si inquadra perfettamente nell’ambito di que-
435 (Archivio MNAO: Costantino Astuti). MNAO: Costantino Astuti). sto atteggiamento di attesa messianica, un fenomeno religioso trasversale che pervade il mondo
orientale antico.
agli altri della conoscenza acquisita; il mahayana ha come ideale il Bodhisattva, colui che possiede
Correnti e sviluppo dell’arte gandharica
l’“essenza della Illuminazione”, ma che, animato dalla karuna o compassione, fa voto di non spe-
gnersi nel nirvana per venire in soccorso degli esseri senzienti nel cammino che conduce alla sop- A parte la generale unitarietà del linguaggio iconografico che caratterizza le sculture prove-
pressione del dolore. Questi incarna ideali di generosità assoluta e indica la necessità di una via che nienti da differenti aree del Nord-Ovest, nell’arte gandharica si riscontrano tuttavia notevoli dif-
contempli al tempo stesso la pratica della gnosi e della compassione attiva. ferenze stilistiche: in alcuni rilievi è visibile una tendenza d’ispirazione classica che studia i movi-
Talora si è voluto far coincidere la scuola del “piccolo veicolo”, detta anche dei thera (anzia- menti delle figure nello spazio, l’anatomia e il panneggio, mentre in altri appare un gusto deci-
ni), con il Buddhismo primitivo, sostenendo che il pensiero mahayana rappresenti una forma samente anticlassico con immagini frontali, panneggi rigidi e stilizzati e composizioni paratatti-
di Buddhismo più recente. In realtà è molto probabile che le due correnti coesistettero sin che. In questo senso l’arte del Gandhara non può essere considerata un fenomeno perfettamen-
da tempi molto antichi come forme di adattamento della Dottrina alle diverse esigenze degli te unitario. Dal punto di vista stilistico si suddivide infatti in varie correnti che mostrano diffe-
esseri che ad essa si rivolgevano. D’altra parte, la stessa decisione del Buddha di predicare il renti orientamenti estetici. Talvolta all’interno di tali suddivisioni si intravede inoltre l’impron-
dharma al mondo, pur sapendo che da ciò gli sarebbero derivati innumerevoli fastidi, si può ta di artisti che infondono alle opere uno stile personalissimo e inconfondibile, come avviene
interpretare in senso mahayanico come un avvicinamento all’ideale del Bodhisattva e al nel caso del fregio di Saidu Sharif, conservato in gran parte presso il Museo, in cui Domenico
superamento della visione che caratterizza la tradizione theravada. È possibile pertanto ipo- Faccenna ha riconosciuto la concezione unitaria di un artista di cui non conosciamo il nome,
tizzare l’esistenza di due tradizioni parallele, una monacale e l’altra laica. La scuola dei thera, detto “il Maestro di Saidu Sharif”.
più ascetica, si addiceva a quei ricercatori che erano pronti a sottoporsi ad austere discipline La presenza di diverse correnti figurative è esemplificata anche dai materiali provenienti da
e a dedicare l’intera vita al conseguimento della Illuminazione. Ma anche ai laici, impegnati Butkara, tra i quali Domenico Faccenna ha potuto distinguere tre gruppi stilistici denominati
nel lavoro e nella vita familiare, non era preclusa questa possibilità; essi, rivolgendosi ai convenzionalmente “disegnativo”, “naturalistico” e “stereometrico”. Lo stile “disegnativo” di
Bodhisattva e indirizzando loro preghiere, ottenevano aiuto e soccorso nella vita spirituale e Butkara è caratterizzato da immagini appiattite e da una sensibilità lineare più accentuata che
nelle tormentate vicende dell’umana esistenza. rende i panneggi con pieghe fitte e parallele. Lo stile “naturalistico” è quello in cui appare più
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venerazione e la preghiera caratterizzata da uno stupa centrale circondato da stupa minori e da cappel-
le o nicchie recanti immagini di Buddha o Bodhisattva, un’area destinata all’abitazione dei monaci
(vihara), costituita da un cortile quadrangolare su cui si affacciavano le singole celle abitative, e ambien-
ti accessori come il refettorio, magazzini e bagni. Come esempi di complessi monastici possono essere
ricordati qui il sito di Saidu Sharif I scavato dalla Missione Archeologica Italiana dell’IsMEO (si veda
Olivieri, in questo volume) e quello di Taht-i-bahi in Pakistan, innalzato sullo sperone di una collina
che domina la vallata sottostante, costituito da un insieme di ambienti cultuali ed abitativi, suddiviso
in tre cortili.
Lo stupa, la costruzione più sacra del complesso monastico, è il monumento buddhista per eccellenza,
destinato ad accogliere le reliquie (sharira) dell’Illuminato, connesso a valori funerari, oltre che cosmo-
logici e cosmogonici (per l’approfondimento di questi temi si rimanda alle opere fondamentali di Paul
Mus e di John Irwin). Esso è concepito come una struttura architettonica piena, il cui unico spazio
interno – un piccolo recesso contenente il reliquiario – non è raggiungibile, murato al momento della
costruzione. I vari riti, le offerte, le preghiere e le venerazioni si svolgono pertanto all’esterno del monu-
mento o intorno ad esso, come nel caso della pradakshina. Esso è costituito da alcune parti fondamen-
tali: una struttura emisferica o cupola chiamata anda (uovo) poggiata direttamente al suolo o su un tam-
buro cilindrico, a sua volta innalzato su una base quadrangolare; una balaustra (harmika) sulla sommità
della cupola; un pilastro (yupa o yashti) che attraversa il monumento, fuoriuscendo dalla cupola stessa,
arricchito da dischi circolari in numero variabile, denominati chattra (ombrelli); un recinto (vedika) che
circonda l’area sacra dello stupa, all’interno della quale si svolgono i riti e si compie la pradakshina e alla
quale si accede per mezzo di portali (torana).
Gli stupa indiani appartenenti alla fase più antica, come quelli di Bharhut e Sanci, mostrano una strut-
tura molto semplificata e sono caratterizzati dall’anda poggiato direttamente al suolo. I rilievi che raf-
figurano scene della vita del Buddha o delle sue esistenze anteriori sono posti a decoro del recinto e
dei portali di accesso all’area sacra.
Quanto agli stupa gandharici, i resti di questi monumenti non sempre ci permettono di avere una visio-
ne d’insieme della loro struttura, poiché generalmente la parte superiore non è sopravvissuta agli attac-
chi del tempo. Le notizie che riceviamo dai ritrovamenti possono tuttavia essere integrate dalle testi-
monianze che ci vengono da una particolare classe di materiali, i modellini degli stupa che riproduco-
Fig. 29 - Adorazione di uno stupa entro vihara, frammento di rilievo, “stile disegnativo”, schisto verde, Butkara no in miniatura le varie tipologie innalzate in questi territori, molto utili per ricostruire la fisionomia
I, Swat, Pakistan, metà I sec. d.C., MNAO inv. 1146, MAI B 920, Deposito IsIAO, (Archivio IsIAO: e l’evoluzione architettonica che subisce questo monumento nelle aree del Nord-Ovest indiano.
Francesca Bonardi). L’analisi dei dati permette di affermare che il Gandhara sperimentò l’utilizzo di vari tipi architettonici.
Non mancano esempi che riproducono l’antico modulo visto a Sanci e Bharhut, primo fra tutti il caso
del Grande Stupa di Butkara, in particolar modo la fase 1 del monumento; ma generalmente è testi-
moniata una tendenza alla verticalizzazione mediante l’aggiunta di basamenti, tamburi e ombrelli. La
I luoghi del Buddhismo: il monastero e lo stupa parte emisferica spesso viene collocata su uno o più tamburi cilindrici, che a loro volta possono essere
innalzati su un basamento quadrangolare, ai lati del quale quattro scalinate conducono al pradakshina
La maggior parte dei rilievi gandharici era destinata a fornire lo schema figurativo degli stupa che si patha, il camminamento intorno allo stupa, lungo il quale si svolge il percorso deambulatorio. Infine
ergevano all’interno di complessi monastici buddhisti (samgharama). I monasteri erano strutture com- non mancano esempi di stupa con basamento a pianta stellare, evoluzione dello stupa con basamento
plesse la cui organizzazione architettonica poteva subire delle modifiche, talora in considerazione di a pianta quadrata. Altro importante cambiamento della fase gandharica è rappresentato dallo sposta-
adattamenti alla natura geografica dei luoghi. Generalmente essi comprendevano un’area sacra per la mento dei rilievi dalla vedika e dai torana, sul corpo dello stupa.
evidente l’influsso classico, con un accentuato senso dei volumi e della forma. Lo stile “stereo- certamente economica: l’utilizzo di un materiale modellabile, la cui lavorazione è certamente
metrico”, sicuramente sviluppatosi in una fase più tarda, presenta figure appesantite, caratteriz- meno dispendiosa dell’attività scultorea, favorì, in un periodo di grande diffusione del Buddhi-
zate da volumi larghi e da un panneggio semplificato. smo anche tra i ceti meno fortunati, il fenomeno delle donazioni di sculture e di piccoli monu-
Nella fase più antica dell’arte gandharica i rilievi, la decorazione architettonica, le statue di menti votivi all’area sacra e al monastero, e attraverso esse garantì a una più vasta moltitudine la
Buddha e Bodhisattva sono realizzati prevalentemente in schisto. Tuttavia, sin da questo perio- possibilità di acquisire meriti per la vita presente e per quelle a venire.
do la lavorazione della pietra appare accompagnata da una produzione in stucco. È pertanto pos- La produzione artistica di questa fase è caratterizzata da un rinnovarsi dell’influsso ellenisti-
sibile affermare che le due produzioni si svilupparono parallelamente. Deve esser detto però che co e da una tendenza alla semplificazione della linea che si fa più veloce grazie alla duttilità del
tra il III e il IV secolo a.C. si verificò un profondo mutamento che determinò un’amplissima dif- materiale. Lo stile di queste raffigurazioni è infatti definito talvolta come “bozzettistico”, poiché
fusione della plastica in stucco (Figg. 27, 28, 43). Una delle motivazioni di tale cambiamento è con pochi e rapidi tratti possono essere resi movimenti, espressioni e personaggi.
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Per i temi trattati si assiste a un ulteriore cambiamento rispetto al periodo precedente. Se,
infatti, nella fase della pietra è riconoscibile una tendenza narrativa più spiccata con la rappre-
sentazione di scene della vita del Buddha e delle sue esistenze anteriori, con l’affermarsi defini-
tivo dello stucco predominano raffigurazioni isolate del Buddha e di Bodhisattva non più inse-
rite in un contesto narrativo, ripetute varie volte sulle pareti degli stupa. Le immagini si differen-
ziano solo per le posizioni delle mani e per le posture del corpo. Si tratta di elementi gestuali
con i quali ci si vuole riferire a eventi particolari della vita del Buddha, che hanno la capacità di
riassumere un intero episodio. In questo caso una immagine del Buddha in bhumisparshamudra
e padmasana allude chiaramente alla “vittoria su Mara” e alla conseguente Illuminazione, men-
tre una raffigurazione del Maestro in dharmacakramudra può riferirsi all’episodio della “prima
predicazione”. D’altra parte, questa tendenza era già stata annunciata dall’introduzione, nei
complessi figurativi che decoravano le aree sacre, di stele isolate svincolate dai contesti narrativi
che talora riassumevano un momento particolare e unico della vita di Shakyamuni: è tale il caso
già citato delle stele provenienti dal Kapisha che raffigurano il miracolo di Shravasti, un evento
eccezionale che viene considerato atemporale ed è riconosciuto come evocabile. In sostanza,
seguendo i mutamenti figurativi intervenuti nell’arte gandharica, è possibile riconoscere lo svi-
luppo di una particolare linea di pensiero che ha come centro di speculazione la figura del
Buddha. La rappresentazione del Beato non varia sostanzialmente dal punto di vista iconogra-
fico, si verifica tuttavia una trasformazione del significato generale della sua immagine. Maurizio
Taddei (1972: 92) affermava che nelle scene narrative è presente una “tendenza all’umanizzazio-
ne eroizzante del Buddha”. Questi viene percepito come un eroe che compie azioni morali o
praxeis. Ma già nella fase della pietra si assiste all’introduzione di stele isolate ove l’immagine del
Buddha perde le caratteristiche di Maestro umano e viene divinizzata. Tale passaggio appare
ancora più evidente nella produzione in stucco: con l'ulteriore semplificazione iconografica l'im-
magine del Buddha ripetuta innumerevoli volte sulle pareti degli stupa diviene un “semema”,
per usare un termine caro a Mario Bussagli, che è immediatamente percepito dallo spettatore
come simbolo o espressione della realtà assoluta. Dalla raffigurazione del Maestro storico che
compie delle azioni morali si giunge ad una rappresentazione del Buddha collocata in una
dimensione atemporale ed identificata con il principio universale del dharma.
In definitiva, questa immagine, nata nel superamento della visione aniconica, per necessità
di ordine religioso e propagandistico, da rappresentazione umana che veicola messaggi di tipo
“storico” si trasforma nel tempo sempre più in un simbolo essa stessa le cui caratteristiche diven-
gono immutabili, veri e propri marchi semantici carichi di significati e valori. Essa, come molte
rappresentazioni iconografiche e motivi figurativi elaborati in ambito gandharico, giungerà nei
territori dell’Asia centrale orientale e quindi in Estremo Oriente, qualificata da quei segni che
ancora oggi, pur se interpretati secondo i modi di ciascuna cultura, restano quasi invariati. Allo
stesso modo molta parte avrà nello sviluppo della rappresentazione dell’Illuminato nell’India
propria, a Ceylon e nel Sud-Est asiatico, a dimostrazione che il fenomeno “Gandhara” rappre-
sentò un evento centrale nella storia dell’arte buddhista e della cultura asiatica in genere.
Laura Giuliano
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