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Officina Etruscologia

11.
Comitato Scientifico
Gilda Bartoloni
Francesca Boitani
Larissa Bonfante
Dominique Briquel
Federica Cordano
Michel Gras
Nota Kourou
Dirce Marzoli
Annette Rathje
Marco Rendeli
Nancy A. Winter

Comitato di redazione
Folco Biagi
Matteo Milletti
Sara Neri
Federica Pitzalis
Jacopo Tabolli

ISBN 9788860491329

© Copyright 2015
by Officina Edizioni, Roma
via Virginia Agnelli, 58
http://www.officinaedizioni.it
http://www.officinaetruscologia.it
LE CITTÀ VISIBILI
ARCHEOLOGIA DEI PROCESSI DI FORMAZIONE URBANA
I. Penisola Italiana e Sardegna

Atti del Seminario Internazionale in onore


di Gilda Bartoloni e Alberto Moravetti
(Alghero, Complesso di S. Chiara, 31 Gennaio - 1 Febbraio 2014)

a cura di Marco Rendeli

officina edizioni
Il volume è stato in parte finanziato da:
Indice

6 Chi festeggia Gilda e Alberto?

Marco Rendeli
7 Le città visibili…per Gilda Bartoloni e Alberto Moravetti

Stefano Santocchini Gerg


13 Felsina villanoviana: “città visibile”. Strategie insediative
tra Bronzo Finale e Primo Ferro

Discussione su Bologna

Matteo Milletti
59 La nascita di Populonia: dati e ipotesi sullo sviluppo della
città etrusca all’alba del primo millennio a.C.

Discussione su Populonia

Teresa Marino
97 Aspetti e fasi del processo formativo delle città in Etruria
meridionale costiera

Discussione sull’Etruria Meridionale

Valeria Acconcia
143 L’Abruzzo: sedi e percorsi degli uomini in armi
Discussione sull’Abruzzo

Alessandra Gobbi
181 Formazioni protourbane in Campania. Considerazioni tra
Pontecagnano e Capua
Discussione sulla Campania

Mauro Mariani
225 Sant’Imbenia e i processi di formazione urbana nel nordovest
della Sardegna durante l’età del Ferro

Discussione sulla Sardegna nord occidentale

259 Discussione finale


Chi festeggia Gilda e Alberto?

Le persone che hanno partecipato alla festa per Gilda Bartoloni e Alberto Moravetti sono:
Valeria Acconcia Teresa Marino
Elisabetta Alba Attilio Mastino
Pietro Alfonso Mattia Maturo
Maria Giulia Amadasi Mauro Menichetti
Daniela Angotti Matteo Milletti
Angela Antona Maurizio Minchilli
Giovanni Azzena Marco Edoardo Minoja
Emanuela Baldinu Greta Monti
Paolo Bernardini Demis Murgia
Maria Boffa Giorgio Murru
Claudio Bulla Federico Nurra
Roberto Busonera Massimo Osanna
Michela Bussu Giuseppe Padua
Luigi Campagna Marta Pais
Franco G. Campus Barbara Panico
Gabriele Carenti Sandra Parlato
Arnaldo Bibo Cecchini Antonella Pautasso
Luca Cerchiai Carmine Pellegrino
Federica Chiesa Caterina Petretto
Ercole Contu Enrico Petruzzi
Roberto Deaddis Giovanni Piredda
Ana Delgado Federica Pitzalis
Maria Antonietta Demurtas Elisa Pompianu
Anna Depalmas Annette Rathjie
Beatrice De Rosa Veronica Re
Vincenzo d’Ercole Marco Rendeli
Francesco di Gennaro Salvatore Rizza
Rubens D’Oriano Daniela Rovina
Luca Doro Giuseppina Ruggiu
Noemi Fadda Cinzia Saba
Lucia Faedda Luca Sanna
Simona Faedda Stefano Santocchini Gerg
Anna Falconi Enrico Sartini
Lavinia Foddai Giuseppe Sassatelli
Peppinetta Fois Maria Margherita Satta
Marcella Frangipane Salvatore Sebis
Giovanna Fundoni Emanuela Sias
Elisabetta Garau Alessandro Soddu
Dominique Garcia Margherita Solci
Alessandra Gobbi Giuseppa Tanda
Elisabetta Govi Loredana Tedeschi
Alessandro Guidi Carlo Tronchetti
Michele Guirguis Antonella Unali
Maria Iacovou Alessandro Usai
Nota Kourou Emerenziana (Emina) Usai
Alessandra La Fragola Raquel Vilaça
Mauro Mariani
La nascita di Populonia: dati e ipotesi sullo sviluppo della città
etrusca all’alba del primo millennio a.C.

Matteo Milletti*

The Birth of Populonia: data and hypotheses on the development of the Etruscan city at
the dawn of the first millennium BC

Populonia is the only Etruscan town on the sea. It occupies the hills of Poggio del Telegrafo
and Poggio del Castello, overlooking the Gulf of Baratti. The city benefits from a territory
rich of natural resources and with great potential. Nevertheless, because of its shape, requi-
red unconventional choices in its organization and its management. Until at least the Late
Bronze Age, the exploitation of the important resources of coastal lagoons seems to follow
similar patterns of other middle Tyrrhenian districts. The Populonian coast was studded
with small settlements, located on the dunes or in the immediate proximity of the sea. In
the Early Iron Age, the above described way of occupation seems to change gradually, all
Bronze Age sites were abbandoned, apparently in contrast with southern Etruria. In the
Gulf of Baratti, the existence of the Villanovan necropolis on top of previous settlements,
seems to support this interpretation. It is possible to relate this phenomenon with the con-
temporary concentration of the population in the area of the historical city, corresponding
to Poggio del Telegrafo and Poggio del Castello, as part of a larger commitment to planning
which also involved the gulf. Two different cemeteries have been identified at Baratti, the
first one was located at the center of the Gulf (San Cerbone and Casone-Porcareccia),
the second to the north-east (Poggio-Piano delle Granate). Furthermore, two small ne-
cropoleis have been identified on the south-western slopes of Poggio del Telegrafo, and
the northern foothills in locality Buca (or Buche) delle Fate. The settlement of Poggio del
Telegrafo and Poggio del Castello, if not enclosed, is at least partially surrounded by the
necropolis. This choice of settlement allowed the inhabitans to combine the high defensive
potential of a coastal headland with wide visibility of the surrounding coast. The system of
occupation of the hinterland seems to be centralized, as in southern Etruria, on a tight se-
lection of the smaller settlements and focused on the maintenance of those needed to ensu-
re control of the territory. On the Island of Elba, we have evidence of thriving metallurgical
activities, still connected to the mixed sulphides, while the material culture, especially the
bronzework, confirms its proximity to Populonia. The Villanovan Populonia appears to be
the hub of a geographical district rich in important resources, with the mineralization of
Elba and Campiglia’s hills, and not only as a crucial junction of Tyrrhenian routes but also
of the main Mediterranean routes. Such a reconstruction fits well with the features of the
local society which emerges from the analysis of the funerary evidence. Infact, the birth of
the great Villanovan towns implies the overcoming of the previous fragmentation through
a process of integration that lead to a more complex structure of the social hierarchy. In
the case of Populonia, we have to imagine that this layering process was influenced by a
strong human mobility characteristic of a port of trade, the point of arrival or passage of
different peoples.

* Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Scienze dell’Antichità


matteo.milletti@uniroma1.it
60 Matteo Milletti

Il litorale populoniese, compreso indicativamente tra le foci del fiume Ceci-


na a nord e del fosso Alma a sud1, appare oggi sostanzialmente mutato nel
paesaggio anche solo rispetto al secolo scorso, quando era ancora costellato
da ampie lagune e zone paludose2, peraltro già in regresso rispetto al passato
per i ripetuti interventi di bonifica succedutisi fin dal XIII secolo3. All’alba
del primo millennio a.C., il lago di Rimigliano a nord e l’ampia laguna di
Piombino a sud-est, delimitati verso mare da tomboli e cordoni di sabbia,
rendevano l’attuale promontorio piombinese una sorta di penisola, collegata
alla terraferma da una striscia di terra che partiva dal versante nord-est di
Monte Gemoli-LI4. L’attuale Golfo di Baratti si configurava, dunque, come
una zona lagunare, con ampie distese di dune sabbiose e con profonde inse-
nature, costellata da una serie di poggi costieri, forse le uniche aree non sog-
gette a eventuali impaludamenti5. L’entroterra, fino ai rilievi del Campigliese,
le cosiddette Colline Metallifere per le loro importanti mineralizzazioni, dove
il terreno diventa in alcuni casi addirittura aspro, offriva invece un paesaggio
collinare ma a tratti pianeggiante, solcato da una fitta rete di corsi d’acqua,
anch’esso non scevro dall’occasionale formarsi di paludi, con il fiume Cornia
che ne costituiva una sorta di asse mediano e la principale via di collegamento
con la costa.
La città di Populonia, sorta sulle alture di Poggio del Telegrafo e del Castel-
lo, che dominano da sud il Golfo di Baratti, unico centro etrusco sul mare, si
giova dunque di un territorio ricco di risorse e con grandi potenzialità logistiche
ma che, per la sua conformazione, impone alla nascente comunità scelte non
convenzionali nella sua organizzazione e nella sua gestione.

La tarda età del Bronzo: il sistema di popolamento costiero e dell’interno

Sino almeno dalla tarda età del Bronzo, lo sfruttamento dell’importante pat-
tern di risorse delle lagune costiere populoniesi sembra seguire modelli analoghi
a quelli di altri distretti medio tirrenici6. Il litorale, sia nel tratto settentrionale
1
  Cambi 2002, 2004; vd. anche Di Paola, Piani 2012 con bibl.
2
  Bardi 2002; Isola 2006; Botarelli, Cambi 2007, pp. 28-29. Inoltre, Camilli 2005
sul sistema di approdi populoniesi (vd. anche Zifferero 2006, pp. 392-394). Con specifico
riferimento alla laguna piombinese, con alcune differenze rispetto agli studi precedenti
nella superficie complessiva delle zone umide, che tuttavia non mutano il quadro d’insieme,
Giroldini 2012, cds e Cappuccini cds.
3
  Isola 2006, pp. 474-478 con bibl.
4
  Fedeli 1983a, pp. 53-62; Galiberti 1997.
5
  Per le recenti ricerche sul paesaggio antico del comprensorio populoniese e le conse-
guenti ipotesi ricostruttive, Dallai 2002; Botarelli, Dallai 2003; Botarelli 2006; Botarelli,
Cambi 2006.
6
  In generale sui siti costieri dell’età del Bronzo e della prima età del Ferro nell’attuale
Lazio, di Gennaro 2008 con bibl.; per il tratto di costa del Latium Vetus, compreso tra il
Tevere e il Garigliano, Alessandri 2005, 2007, 2013.
La nascita di Populonia 61

verso S. Vincenzo che in quello meridionale verso Follonica7, era così costellato
da piccoli insediamenti localizzati sulle dune8, sui tomboli, su cordoni di sabbia9
o nelle immediate vicinanze del mare (Fig. 1)10. Questo sistema d’occupazione
doveva essere integrato da una serie di piccoli approdi e i collegamenti con l’en-
troterra dovevano essere assicurati e facilitati non solo dai fiumi principali, come
il Pecora e il Cornia, ma anche da un fitto tessuto di corsi d’acqua minori allora
navigabili. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, l’unico abitato di una certa
consistenza sembrerebbe sia stato quello di Poggio del Molino, esteso almeno
su 3 ha, secondo la superfcie di dispersione dei materiali 11. All’insediamento,
localizzato su un modesto rilievo a circa 150 m dal mare, non distante da uno
dei principali varchi d’accesso al lago di Rimigliano12, va probabilmente ricon-
dotta la necropoli di Villa del Barone, distante meno di 500 m, che ha restituito
almeno 50 sepolture, purtroppo per lo più sconvolte, risalenti all’ultima fase
del Bronzo finale13. La natura degli altri nuclei, noti da recuperi d’emergenza,
resta invece incerta, sebbene la loro ubicazione direttamente sul mare e i mate-
riali ceramici rinvenuti, pertinenti in massima parte a forme per lo stoccaggio,
inducano ad interpretarli come abitati funzionali, ovvero installazioni di attività
produttive specializzate, quali l’estrazione del sale e/o la preparazione di com-
posti alimentari a base di pesce 14, come le recenti ricerche dell’Università di
Milano hanno consentito forse di chiarire per il nucleo di Pineta del Casone, al
centro del Golfo di Baratti15. Impianti con forni per il sale, d’altra parte, sono
stati individuati più a sud a Puntone di Scarlino, Follonica alla foce del Pecora16.

7
  Fedeli 1983a, pp. 67-76; G. Bartoloni in Bartoloni, Rossetti 1984, pp. 223-230;
Bartoloni 1991, pp. 3-6; Fedeli et alii 1997, pp. 64-75; Bartoloni 2011a, pp. 230-232;
2012, pp. 86-87. Per una prima carta dei ritrovamenti, vd. inoltre Fedeli 1984.
8
  Nello specifico, per il sito di Riva degli Etruschi (San Vincenzo), Fedeli 1997c con
bibl.; per il sito antistante alla Pineta del Casone nel Golfo di Baratti (Piombino), Fedeli
1997f, p. 127 con bibl. e Baratti 2010; per il deposito di materiali alle pendici NE di Poggio
delle Granate, Fedeli 1997f, pp. 127 e 129 con bibl.
9
  Per il sito di La Torraccia (San Vincenzo), Fedeli 1997d con bibl.
10
  Per i rinvenimenti di San Vincenzo, Fedeli 1997b con bibl.; per il sito di Poggio del
Molino (Piombino), Fedeli 1997g con bibl. Più incerto l’inquadramento di alcuni frammenti
d’impasto non tornito da Punta delle Tonnarelle, alle pendici nord-orientali di Poggio del
Castello, Acconcia et alii 2007, p. 59, fig. 25. Per il Golfo di Follonica, si veda il sito di Torre
Mozza, Piombino-LI, Fedeli 1997e con bibl.
11
  Fedeli 1983a, n. 297, p. 403 ma successivi sopralluoghi sembrerebbero indicare
un’estensione maggiore dell’insediamento (cortesia F. Biagi, comunicazione personale).
12
  Fedeli 1997g con bibl.; Bartoloni 2011a, pp. 231-232.
13
  Fedeli 2005 con bibl.
14
  Secondo una definizione ormai invalsa negli studi sul tema, ad es. in Belardelli,
Pascucci 1996; Belardelli et alii 2008, p. 360; Iaia, Mandolesi 2010, p. 63.
15
  Baratti 2010.
16
  Aranguren 2008, 2009, con gli impianti interpretati tuttavia come forni da cerami-
ca. I siti, forse gerarchicamente subordinati all’abitato della rocca di Scarlino (Bartoloni,
Rossetti 1984; Cucini 1985; Aranguren 2003), posto circa 6 km all’interno, sono localizzati
lungo la direttrice di collegamento costiera che conduceva da quest’ultimo al Puntone e al
62 Matteo Milletti

Ancora più limitate sono le informazioni sugli insediamenti dell’interno che


dovevano fare certamente sistema con quelli litoranei. In questo senso, appare
di rilievo un recupero effettuato in località Vallin del Mandorlo-S. Carlo, circa 5
km all’interno della costa di S. Vincenzo, che testimonierebbe l’esistenza di un
abitato stabile nel tratto superiore della Val di Gori, una delle principali vie di
penetrazione dalla pianura costiera alle propaggini occidentali del Campigliese.
Il sito, posto a poco più di 20 km a nord del Golfo di Baratti, ha restituito indizi
di frequentazione risalenti all’Eneolitico, con una testa di ascia-martello che,
in particolare, indicherebbe un precoce avvio dello sfruttamento delle risorse
minerarie locali17, e più consistenti tracce databili proprio all’ultima fase del
Bronzo finale18. Gli esordi del primo millennio a.C. rappresentano d’altra parte
uno dei periodi di massima fioritura della bronzistica locale, che doveva certo
essere sostenuta da uno sfruttamento sistematico delle risorse disponibili, la cui
vitalità è testimoniata non solo da alcuni ripostigli rinvenuti lungo la fascia co-
stiera compresa tra Populonia e l’odierna Livorno, tutti composti in massima
parte da materiali afferenti alla facies metallurgica tirrenica di Tolfa-Alluminere,
ma anche da un patrimonio di fogge e di tipi che dimostra i continui contatti
della tradizione populoniese con quelle di altre realtà italiche ed europee19.

L’età del Ferro: l’occupazione delle alture di Poggio del Telegrafo e del Castello e
la riorganizzazione dell’area di Baratti

Con gli inizi dell’età del Ferro, il sistema di occupazione della fascia litoranea
appena descritto sembra tramontare, con l’apparente abbandono di tutti i siti
dell’età del Bronzo20. Si tratterebbe di un dato in controtendenza rispetto all’E-
truria meridionale dove, pur con alcune differenze locali, gli insediamenti co-
stieri sembrerebbero conoscere la loro massima fioritura proprio nell’orizzonte

promontorio di Portiglioni, immediatamente a nord del fosso Alma (Aranguren, Castelli


2006 con bibl. dei nuclei); per l’impianto produttivo de Le Chiarine, Puntone Nuovo,
Scarlino-GR, vd. inoltre Aranguren 2009 con bibl.
17
  Fedeli 1996, p. 155, fig. 3. Sul sito, vd. anche Fedeli 1997a.
18
  Fedeli 1996, p. 225. Tuttavia, alcune sopraelevazioni ornitomorfe di anse (Id., nn.
27-28, p. 173, fig. 14.42-43) e, più dubitativamente, alcune teorie decorative incise su pic-
cole olle con decorazione dell’orlo a turbante (Id., n. 53, p. 178, fig. 16.53) sembrerebbero
prefigurare un orizzonte di frequentazione più antico, risalente almeno agli inizi del periodo.
19
  Vd. da ultimo, Lo Schiavo et alii 2013 con ampia bibl.
20
  G. Bartoloni in Bartoloni, Rossetti 1984, p. 230. Per altri distretti costieri etrusco-
settentrionali disponiamo d’informazioni piuttosto lacunose: ad es., se la frequentazione
intensiva dell’Isola di Coltano-PI sembrerebbe compresa tra la fine del Bronzo antico e gli
inizi del medio (Pasquinucci, Menchelli 1997; Di Fraia, Secoli 2002 con bibl.), si data
invece tra il pieno Bronzo finale e solo dubitativamente fino agli inizi della primo Ferro, il
villaggio palafitticolo dell’ex padule di Stagno, Collesalvetti-LI, attualmente distante alcuni
km dal litorale ma che all’epoca sorgeva anch’esso ai margini di una laguna costiera (Zanini
1997 con bibl.).
La nascita di Populonia 63

più antico del periodo21. Nel vulcente, con l’avvio del centro protourbano, si
assiste già nel corso del Bronzo finale a una razionalizzazione nel popolamen-
to del territorio, che comporta una selezione dei siti, tra i quali sopravvivono
ed emergono sul mare quelli posti sui promontori o a controllo delle foci dei
fiumi22; il quadro del periodo successivo, che si va componendo grazie ai più
recenti rinvenimenti, mostra un sistema altrettanto articolato, nel quale spicca
la vitalità del comprensorio dell’Argentario, area che presenta oggettive affi-
nità con il contesto populoniese23. A Tarquinia, mentre tutta la fascia costiera
antistante il centro della Civita e di Monterozzi sembrerebbe aver fatto perno
sull’esteso complesso delle Saline24, sul litorale civitavecchiese si assiste invece al
fiorire di un fitto tessuto di abitati funzionali25, che si dipanano fino alla costa di
Caere, anche se essenzialmente a nord di Capo Linaro26.

21
  Pacciarelli 1994, pp. 233-235.
22
  Casi 2000, pp. 303-304; Cardosa, Negroni Catacchio 2002, p. 168; Cardosa 2005,
pp. 552-553. Il sistema di popolamento del Tombolo della Feniglia appare ben struttura-
to già dal Bronzo medio e tardo (Cardosa 2002; in generale, sull’evoluzione del sistema
d’insediamenti della costa vulcente tra l’Arrone e Ansedonia, Casi 2000 con bibl.), così
come l’occupazione del distretto lagunare di Orbetello (Arcangeli et alii 2001) e, poco a
nord dell’Albegna, del limitrofo comprensorio di Talamone (Ciampoltrini 2001 con bibl.;
in particolare, per l’insediamento del BF 3 di La Puntata di Fonteblanda, Orbetello-GR,
Ciampoltrini 1999 con bibl.).
23
  Per l’area del Monte Argentario e del Tombolo di Feniglia, Cardosa 2002, 2004; a
tale riguardo, si veda, inoltre, il sito di Duna Feniglia, Orbetello-GR, attivo a partire dalla
fine del IX secolo a.C. (Negroni Catacchio et alii 2009; Benedetti et alii 2010; Negroni
Catacchio et alii 2011, 2012, 2013), che, per quanto concerne il primo Ferro, si è recen-
temente aggiunto ad altri già noti insediamenti costieri dell’agro vulcente, come quello
dell’Infernetto di Sotto, alla foce del Chiarone (Cardosa 2005, p. 553 con bibl.) e, forse, de
Le Murelle, nell’area di Regisvilla (Corsi, Mandolesi 1995).
24
  Mandolesi 1999a, pp. 200-204; 1999b; F. Trucco in Belardelli et alii 2007, n. 312,
p. 322 con bibl.; Bartoloni 2008, p. 42; di Gennaro 2008, p. 421; Pacciarelli 2010, p. 394;
Iaia, Mandolesi 2010, p. 62. Già nel BF 3, tuttavia, si conoscono alcuni siti, come Fontanile
delle Serpi e Casale Pacini, localizzati non direttamente sul mare ma nella pianura costiera
tarquniese, comunque una scelta anomala rispetto agli abitati su “castelline” propri del Bronzo
medio e tardo, che testimonia un evidente interesse delle comunità locali per un’occupazione
stabile della fascia costiera, che verrà completata nel periodo successivo (Fugazzola Delpino,
Delpino 1979; Mandolesi 1999a, pp. 194, 200-201, fig. 83; Bonghi Jovino 2005, pp. 32-33;
Barbaro 2010, n. 103, pp. 219-221, n. 108, pp. 222, 224 con bibl.)
25
  Con riferimento al tratto compreso tra il Rio Fiume e il Mignone, soprattutto Belar-
delli, Pascucci 1996, Belardelli et alii 2008 e Santi 2009 con bibl.; sull’evoluzione morfo-
logica del litorale tarquiniese, Mandolesi, Pelfer 2002. Alcuni di questi insediamenti hanno
restituito tracce di frequentazione risalenti già alla fine dell’Età del Bronzo: si vedano, ad es., i
siti di Acque Fresche, Civitavecchia-RM, Valdaliga, Civitavecchia-RM e Selciata a Mare, Santa
Marinella-RM (C. Belardelli in Belardelli et alii 2007, n. 248, p. 37, tav. II; n. 249, p. 39, tav.
II; n. 262, p. 49, tav. II; Barbaro 2010, nn. 195, 197, 222, pp. 307, 308, 322, fig. 54 con bibl.).
Sui cosiddetti Giacimenti costieri a olle d’impasto rossiccio, Pacciarelli 2000, pp. 170-176, con
l’ipotesi che rientrassero nel medesimo sistema anche siti non direttamente sulla costa. Per alcune
sperimentazioni atte a indagare la destinazione d’uso delle olle a impasto rossiccio, Campo 2012.
26
  Cerasuolo 2008, p. 689 con bibl.
64 Matteo Milletti

Le carenze della ricerca archeologica, e in particolare le difficoltà d’inqua-


dramento della locale facies ceramica del tardo Bronzo27, impongono cautela
nel considerare un dato acquisito l’abbandono di tutte le istallazioni litoranee
populoniesi con la prima età del Ferro28. Tuttavia, quantomeno per i nuclei di
Baratti (Fig. 2), il sovrapporsi delle necropoli villanoviane ai precedenti insedia-
menti, appare confortare questa lettura e spinge a mettere in relazione il feno-
meno con l’avvio del processo sinecistico: il concentramento della popolazione
nelle sedi della città storica, corrispondenti ai Poggi del Telegrafo e del Castello,
sembra dunque rientrare in un più vasto impegno di pianificazione che investe
anche il prospiciente Golfo di Baratti, nell’ottica del quale le necropoli rap-
presentano degli importanti marcatori di pertinenza territoriale da parte della
nascente comunità. La peculiare conformazione dell’area di Baratti, come già
accennato una zona perilagunare, e la posizione stessa del centro abitato, su di
un promontorio costiero, rendono ragione dell’anomala posizione dei nuclei
sepolcrali, che non cingono del tutto l’abitato, come da consuetudine etrusca,
ma si dispongono in gran parte lungo il golfo, nelle aree allora disponibili, una
dislocazione che ha fatto supporre in passato una struttura policentrica per la
Populonia villanoviana, ipotesi poi smentita dalle ricerche sul campo29.
A Baratti sono così identificabili due aree funerarie, l’una localizzata al cen-
tro del golfo (Casone-San Cerbone e Porcareccia), l’altra all’estremità nord-
orientale (Poggio-Piano delle Granate). Allo stato attuale delle nostre cono-
scenze, i limiti della prima necropoli (Fig. 2.1), della quale non conosciamo che
poche disiecta membra, sembrerebbero compresi sulla costa tra la località de Il
Ficaccio, poco ad est della chiesetta di San Cerbone30 e la riva destra del fosso di
Valgranita, ai margini sud-occidentali della Pineta del Casone, dove la scoperta
dei resti di alcuni pozzetti villanoviani da parte di C. Chiaromonte Trerè e G.
Baratti dell’Università di Milano31, ha finalmente sostanziato precedenti segna-
lazioni di materiali dell’età del Ferro, tra i quali un consistente numero di fibule

27
  Il problema investe, più in generale, la produzione ceramica del Bronzo finale della
fascia costiera a nord dell’Ombrone, come già rilevato da A. Zanini in relazione agli ossuari
della necropoli di Sticciano Scalo-GR, avvicinati dall’autore alle evidenze di Villa del Barone
a Populonia, al contempo sottolineando le differenze rispetto alle coeve tradizioni del gruppo
Cetona-Chiusi e di quello Tolfa-Allumiere (Zanini 1994, p. 40).
28
  Bartoloni 1991, p. 5.
29
  Peroni 2003; Pacciarelli 2000, p. 134 con bibl. e, ancora di recente, Romualdi 2010,
p. 36. Per una disamina delle varie posizioni, Bartoloni 2011a, p. 232.
30
  Una sepoltura a pozzetto con pareti rivestite, pesantemente sconvolta e per questo
solo genericamente riconducibile alla prima Età del Ferro, è stata indagata lungo la costa,
circa 70 m a nord della Chiesetta di S. Cerbone. Nell’area, d’altra parte, sono stati segnalati,
nel corso dei primi anni ’80 del secolo scorso, numerosi scavi clandestini che avrebbero
interessato almeno altre 11 tombe villanoviane (Fedeli 1983b, p. 128, nota 2). Interventi di
recupero della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, che si susseguono a
partire dal 2004 in seguito all’azione erosiva dei marosi, hanno confermato l’uso di questo
lembo di necropoli a partire dal IX secolo (Biagi, Neri 2013, p. 465).
31
  Mordeglia, La Terra 2011, pp. 187-189.
La nascita di Populonia 65

appartenenti a fogge tipiche dell’ambiente populoniese e che sembrerebbero


indicare un orizzonte piuttosto arcaico di utilizzo della necropoli (Fig. 3). Verso
l’interno, ad est dell’odierna Via del Golfo, conosciamo tre nuclei separati, l’uno
alle pendici settentrionali di Poggio alla Porcareccia32, un altro tra la Tomba dei
Carri e la Tomba dei Letti Funebri, l’unico di una certa consistenza33, ed un
ulteriore gruppo poco a nord-ovest di quest’ultimo34.
Nel sepolcreto nord-orientale (Fig. 2.2), invece, le evidenze si estendono,
a quanto è noto, dalle pendici settentrionali, occidentali e sud-occidentali di
Poggio delle Granate a tutta la prospiciente fascia litoranea del Piano omoni-
mo, verso sud-ovest oltre l’attuale Rotonda delle Granate. La necropoli è stata
oggetto di ricerche intensive da parte di Antonio Minto e della Soprintendenza
agli inizi del secolo scorso35, anche se una notevole mole di dati resta anco-

32
  Per gli scarsi resti delle sepolture a pozzetto rinvenute su Poggio della Porcareccia,
notizie in Fedeli 1983a, n. 153, p. 275, figg. 201-202.
33
  Scavi Milani 1908, diretti sul campo da Angiolo Pasqui: Milani 1908, pp. 211-214;
Minto 1922, pp. 15-21; 1943, pp. 56-75; n. 8a, p. 309; Fedeli 1983a, n. 142a, pp. 256-257.
Scavi Minto 1914, diretti sul campo da Cesare Barlozzetti: Minto 1914, pp. 445-446; Minto
1943, n. 8b, pp. 309-310; Fedeli 1983a, n. 142d, p. 259. In particolare, per la tomba 40/1908,
Bartoloni, Delpino 1975, n. 155, p. 37 per un primo inquadramento cronologico; Bartoloni
1989, n. 1, pp. 50-51, tavv. XIV-XIV; per le tombe 46 e 47/1908 e per altri materiali sporadici,
Bartoloni 1991, pp. 12-14, figg. 4-5, 7a-b, 8. I contesti sono stati inoltre oggetto di tesi di
laurea da parte di V. Palone, Populonia. La necropoli di Podere San Cerbone nella prima età
del Ferro (“La Sapienza” Università di Roma, a.a. 2004-2005; relatore prof.ssa G. Bartoloni).
34
  Minto 1925, pp. 348-349; Fedeli 1983a, n. 80a-b, p. 220.
35
  Per le indagini di A. Minto e per le numerose evidenze dell’Età del Ferro indagate,
si rimanda all’ampia bibliografia in Fedeli 1983a, pp. 362-390. In particolare, alcuni corredi
sono editi in Bartoloni 1989, 1991, 2002b con bibl. e in alcune mostre: Piano delle Granate,
tomba a fossa 7/1915 (Bartoloni 1991, p. 12, fig. 6; Bartoloni 2002b, p. 348, fig. 5); Piano
delle Granate, tomba a fossa 8/1915 (Bartoloni 1989, n. 2, p. 51, tav. XVI.1; M. Milletti in
Oristano 2012, n. 59, p. 61); Piano delle Granate, tomba a fossa 10/1915 (Bartoloni, Delpino
1975, p. 6-7, nota 16; Bartoloni 1987, pp. 38-41, figg. 3-11; Bartoloni 1989, n. 3, pp. 51-52,
tav. XVII; Bartoloni 1991, p. 19, fig. 10); Poggio delle Granate, tomba a fossa 1/1920 (G.
Bartoloni in Portoferraio 1985, nn. 48-56, pp. 51-2; Bartoloni 1989, n. 4, p. 52, tav. XVIII-XIX);
Poggio delle Granate, tomba a fossa 4/1922 (Fedeli 1983a, n. 245, p. 375; Bartoloni 1991,
figg. 11-12); Poggio delle Granate, tomba a fossa 13/1922 (Bartoloni 1989, n. 5, pp. 52-53, tav.
XVI.2); Poggio delle Granate, tomba a camera 1/1920 o del rasoio lunato (G. Parise Presicce
in Firenze 1985, n. 2.7.3, p. 69); Poggio delle Granate, tomba a camera 4/1922 (Bartoloni
1989, n. 6, p. 53, tav. XX; Bartoloni 1991, p. 24, fig. 16; Bartoloni 2002b, pp. 344-345, fig.
3 a sinistra); Poggio delle Granate, tomba a camera 18/1922 (Bartoloni 1989, n. 7, pp. 53-54,
tav. XXI-XXII; Bartoloni 2002b, pp. 344-345, fig. 3 a destra; M. Milletti in Oristano 2012,
n. 52, p. 60); Poggio delle Granate, tomba a camera 2/1933 (Bianco Peroni 1979, n. 579, p.
97, tav. 100f; G. Parise Presicce in Firenze 1985, n. 2.7.4, pp. 69-70). Alle ricerche degli inizi
del secolo scorso, sono seguiti alcuni interventi effettuati nel corso degli ultimi decenni dalla
Soprintendenza, tra i quali si segnalano lo scavo di un pozzetto (De Agostino 1957) e di quattro
tombe a camera (solo una pubblicata in Rosi 1996) scoperte sul versante sud-occidentale di
Poggio delle Granate, nonché due recenti recuperi, l’uno nell’area della Rotonda delle Granate
(E. Sorge in Sorge et alii 2014, tomba 1/2013, pp. 58-59), l’altro nel tratto di falesia immedia-
tamente a nord di quest’ultima (notizie preliminari in Biagi, Milletti 2013).
66 Matteo Milletti

ra inedita36; il suo settore settentrionale (Fig. 4), nella fascia compresa tra le
pendici occidentali del Poggio e lo Stradello della Macchia delle Granate37, è
stato inoltre interessato nel quinquennio 2001-2005 dalle indagini dell’équipe
di G. Bartoloni dell’Università “La Sapienza” di Roma38, che hanno consentito
di chiarire alcune delle specificità del sepolcreto, già in parte rilevate dal Min-
to39. Alle due aree del Golfo, fanno riscontro due piccole necropoli identificate
l’una sul versante sud-occidentale di Poggio del Telegrafo (Fig. 2.3), in località
Buca (o Buche) delle Fate40, nota solo da alcune brevi note41, l’altra alle pendici
settentrionali del Poggio stesso (Fig. 2.4), individuata agli inizi degli anni ’70 del
secolo scorso e, anch’essa, ancora in parte inedita42.
L’abitato di Poggio del Telegrafo e del Castello viene così a trovarsi, se non
propriamente racchiuso, quantomeno in parte circondato dalle aree funerarie43.
Questa scelta insediativa consente di coniugare l’alto potenziale difensivo di
un promontorio costiero con un’ampia visibilità del litorale circostante, della
prospiciente isola d’Elba e, con buone condizioni metereologiche, di Capraia e
addirittura delle coste orientali di Cap Corse44. La città etrusca è oggetto di un
progetto di ricerca dell’Università “La Sapienza” di Roma in collaborazione con
la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana dal 2003 (Fig. 5)45. Le
ricerche interessano la sommità di Poggio del Telegrafo, mentre le segnalazioni
di materiali villanoviani da Poggio del Castello e dalla sella tra le due alture re-
36
  I contesti dell’Età del Ferro sono stati oggetto di tesi di laurea da parte di F.R. De
Castro, Populonia. La necropoli di Piano e Poggio delle Granate nella prima età del Ferro (“La
Sapienza” Università di Roma, a.a. 2004-2005; relatore prof.ssa G. Bartoloni).
37
  Il Minto si riferisce con questo nome al sentiero che attraversa il bosco delle Granate
sul lato del mare già in Minto 1923, fig. 10, p. 138 e ad esso fa costantemente riferimento
per localizzare gli interventi di scavo.
38
  Bartoloni et alii 2001, Bartoloni et alii 2005; Biagi et alii 2006; ten Kortenaar et
alii 2006; ten Kortenaar et alii 2007.
39
  Sulle necropoli del Golfo di Baratti e sui vari aspetti legati all’architettura e alle pratiche
funerarie, Bartoloni 1989, 1991, 2000, 2002b, 2003, pp. 45-49, 57-63 con bibl.; cds.
40
  Sul toponimo, apparentemente legato alla presenza di tombe (sia a fossa che a camera
ma sempre in gruppo), Del Lungo 1996, p. 75.
41
  Un’incinerazione in biconico è stata recuperata recentemente dalla Soprintendenza;
nella stessa occasione sono state inoltre identificate altre due sepolture a pozzetto, purtroppo
già prive di urne e corredo (Bartoloni 2007, pp. 52-53, fig. 3). Successivamente, grazie alle
indagini condotte nell’area dell’équipe di C. Chiaromonte Treré dell’Università di Milano,
sono stati individuati ulteriori sette pozzetti, purtroppo sconvolti dall’impianto delle tombe
ellenistiche (Mantia 2010, p. 268).
42
  Fedeli 1983a, n. 200a, p. 335; Fedeli 2000. Si tratta di cinque tombe a camera,
dislocate sul ripido versante del poggio, quattro a 60 slm circa, una a 125 slm circa. In
particolare, per la tomba 1, F. Fedeli in Portoferraio 1985, nn. 15-47, pp. 47-51; Bartoloni
1991 (indicata come tomba 5), p. 20, figg. 13-14.
43
  Sulla presenza di un ulteriore nucleo sepolcrale dell’età del Ferro in località Fosso dei
Lavatoi lungo il Fosso di S. Quirico, Fedeli 1983a, n. 188, pp. 323-324; Bartoloni 2007, p. 53.
44
  Sul precoce inserimento delle isole dell’arcipelago toscano nell’orbita populoniese,
Bartoloni 1991, pp. 4-5; 2004, p. 237; Acconcia et alii 2006a, p. 19; Acconcia, Milletti 2009.
45
  Bartoloni 2004; 2007; 2011a; cds.
La nascita di Populonia 67

stano ancora sporadiche46. Le due principali aree di scavo sono localizzate sulle
pendici sud-occidentali (2003-2009, Fig. 5.1) e nord-orientali (2002-in corso,
Fig. 5.2) della terrazza superiore47. Sebbene le evidenze più antiche siano state
pesantemente intaccate dagli interventi successivi, le indagini hanno consentito
di ricostruire un’intensa occupazione della sommità, fin dall’orizzonte iniziale
dell’età del Ferro, con capanne di struttura e dimensioni differenti che, succe-
dendosi nel tempo, sembrerebbero distribuirsi su tutta l’area. Tuttavia, l’esten-
sione dell’abitato nelle terrazze e nei pendii sottostanti resta ancora incerta, an-
che per la presenza di una fitta vegetazione boschiva che, avendo riguadagnato
terreno in seguito al progressivo abbandono delle coltivazioni a partire dagli
anni ’50 del Novecento, ha ostacolato le più recenti campagne di ricognizione,
rendendo peraltro difficoltoso la datazione e lo stesso riconoscimento delle for-
tificazioni urbiche, articolate in un due circuiti parzialmente concentrici, raccor-
dati da una bretella (Fig. 6). Se per le mura alte, che cingono l’acrocoro, recenti
indagini orientano per un inquadramento nell’età ellenistica, quantomeno per
il sistema di Poggio del Telegrafo48, maggiori perplessità permangono per la
cinta bassa, che taglia il promontorio da Cala S. Quirico fino al Golfo di Baratti
seguendo la dorsale di Poggio della Guardiola, tradizionalmente considerata
più recente e riportata alla prima metà del III secolo a.C., ma con proposte di
rialzamento fino all’arcaismo sulla base della tecnica costruttiva49. L’esistenza di
fortificazioni più antiche, che sembra ragionevole presupporre per Populonia
anche perché riscontrata ormai per tutte le principali città etrusche50, è per ora
solo indiziata dal rinvenimento, a ridosso di uno dei torrioni d’avancorpo della
cinta bassa e non lontano da una delle porte urbiche, del noto ripostiglio di Fal-
da della Guardiola51. Se si accoglie l’ipotesi di G. Bartoloni che propone d’inter-
pretare il complesso come un’offerta di fondazione consacrata per la costruzione
di un’antica fortificazione urbica52, il cui perimetro sarebbe stato, in tutto o in
parte, ricalcato dalle successive mura, il centro villanoviano avrebbe raggiunto,
almeno nel corso del terzo quarto dell’VIII secolo a.C., secondo la cronologia di
deposizione del ripostiglio, la ragguardevole estensione di 180 ha53 ca. Tuttavia,
bisogna considerare la natura del terreno in questione, accidentata e con ampi

46
  Acconcia et alii 2007, p. 59 con bibl.
47
  Acconcia, Botarelli 2004; Acconcia et alii 2006a, 2006b; Acconcia et alii 2007;
Biancifiori 2010; Milletti et alii 2010; Pitzalis et alii 2011.
48
  Mascione, Salerno 2014; Cambi et alii 2014. Per le mura di Poggio del Castello e in
particolare per il tratto orientale, con una cronologia compresa tra la fine del VI-inizi V secolo
a.C., tradizionalmente attribuita a tutto il circuito dell’acrocoro, Romualdi 2012, pp. 124-127,
con la localizzazione dei tratti indagati in Cambi et alii 2014, p. 51, nota 1, fig. 1. 97-98.
49
  Romualdi, Settesoldi 2008 con bibl.
50
 Atti Chianciano Terme 2008; Atti Roma 2014.
51
  Bartoloni 1991, p. 20 con bibl.; 2002b, pp. 346-348, fig. 4; Bartoloni 2011b, p.
102; 2013, pp. 53-57; Zifferero 2006, pp. 399-400; Lo Schiavo, Milletti 2011; Milletti cds.
52
  Bartoloni 2002b, p. 346; 2013, pp. 53-57.
53
  Bartoloni 2004, p. 247.
68 Matteo Milletti

tratti in forte pendenza, per cui l’effettiva superficie utilizzabile deve essere sta-
ta, pur presupponendo interventi di terrazzamento, decisamente più ridotta,
in ogni caso difficile da determinare con un buon margine di approssimazione,
ma forse più vicina a quella di centri come Vulci, ovvero intorno ai 120-130
ha54, piuttosto che a quelle di Caere e Veio, pari rispettivamente a 160 e 185 ha
ca., le maggiori d’Etruria55. Qualora al contrario, volessimo considerare come
discriminante la posizione delle necropoli di Poggio del Telegrafo e di Buca
delle Fate, la cui esatta estensione comunque non è nota, attestandoci quindi
ai limiti delle terrazze che li ospitano e seguendo ancora una volta la dorsale
di Poggio della Guardiola per definire parte dei confini orientali, raggiunge-
remmo una superficie compresa tra i 70 e i 90 ha, non lontana dagli 85 ha di
Orvieto-Volsinii veteres, un’altra realtà nella quale considerazioni di carattere
strategico sembrerebbero aver prevalso sulla ricerca della massima superficie
abitabile56.
Notevoli incertezze permangono anche nella ricostruzione del sistema di
popolamento del territorio tradizionalmente ascritto al controllo populoniese
(Fig. 7)57. Tuttavia, i pochi dati a disposizione sembrano prospettare, anche per
l’area in esame58, le medesime dinamiche insediative già ricostruite per il com-
parto etrusco meridionale dove, con l’avvio dell’occupazione delle sedi cittadi-
ne storiche, si assiste ad una stretta selezione dei centri minori ed al manteni-
mento di quelli necessari a garantire il controllo del contado59. Già al debutto,
ma soprattutto dalla metà dell’VIII secolo a.C.60, i grandi centri villanoviani,
espressione di organizzazioni socio-politiche complesse61, si fanno però promo-
tori di un nuovo popolamento rurale mediante un sistema gerarchizzato d’in-
sediamenti62. Con tempi e modalità differenti nei vari distretti, i nuclei satellite
recuperano sedi di pochi ettari, naturalmente difese e strategicamente rilevanti

54
  Pacciarelli 1991, pp. 17-20.
55
  Per le stime della superficie dei pianori urbani delle principali città etrusche, di
Gennaro 1986, pp. 133-144; Pacciarelli 2000, pp. 128-136, fig. 69; Bartoloni 2012, pp.
88-93 con bibl.
56
  Delpino 2000, pp. 79-86; Pacciarelli 2000, p. 131 con bibl.
57
  Data la penuria di dati sul contado, la definizione territoriale della sfera d’influenza
populoniese nella fase recente del primo Ferro appare particolarmente incerta: se il confine
con l’agro vetuloniese potrebbe aver coinciso in questa fase effettivamente con la foce del
fiume Pecora, per quanto riguarda il limite settentrionale, la presenza di una serie di piccoli
stanziamenti, ritenuti di emanazione volterrana, a sud del Cecina, hanno portato ad ipotizzare
che potesse coincidere con un corso d’acqua compreso tra gli odierni centri di Bibbona e di
Bolgheri (Cateni, Maggiani 1997, pp. 74-76; Bartoloni 2013, p. 59).
58
  Bartoloni 2013, pp. 58-59.
59
  Bartoloni 2002a, p. 115.
60
  Iaia, Mandolesi 2010, pp. 62-63.
61
  Bonghi Jovino 2005, p. 45 con riferimento al caso di Tarquinia.
62
  Colonna 1977, pp. 196-198 con specifico riferimento al comparto vulcente; Iaia,
Mandolesi 1995 con bibl. per un primo censimento sistematico dei siti; Bartoloni 2008, p.
42; Iaia, Mandolesi 2010 con un aggiornamento delle evidenze; Bartoloni 2012, pp. 104-107.
La nascita di Populonia 69

ma abbandonate alla fine dell’età del Bronzo, o si localizzano su pianori minori,


raramente superiori ai 10 ha, ma dominanti importanti vie di comunicazione o
settori cruciali per l’economia dei centri maggiori, mentre sorgono in posizione
aperta nuovi nuclei produttivi63. Per quanto concerne l’hinterland populoniese,
assume così particolare rilevanza la sepoltura collettiva del Riparo Biserno (Fig.
7.1)64, databile alla fine del IX-inizi dell’VIII secolo a.C. e localizzata nelle vi-
cinanze del già citato sito di Vallin del Mandorlo, indizio dell’esistenza in zona
di un piccolo abitato, forse parte di un più complesso sistema d’insediamenti,
atti a garantire il controllo di questo versante del Campigliese e lo sfruttamento
delle sue mineralizzazioni, come segnalato dalla presenza nell’area di tracce di
coltivazione, cunicoli e gallerie, alcune delle quali sembrerebbero riconducibili
proprio alla tarda età del Ferro65. A prevalenti esigenze strategiche, sembra inve-
ce rispondere per la particolare ubicazione, l’insediamento di Monte Pitti (Fig.
7.2)66, alle estreme propaggini meridionali delle Colline Metallifere, indiziato
da alcune sepolture venute alla luce agli inizi del secolo scorso lungo le pendi-
ci sud-orientali67; il poggio ospiterà poi una delle fortezze d’altura ellenistiche
poste a controllo del confine con Vetulonia68. In Etruria meridionale, d’altra
parte, lo stesso distretto minerario tolfetano sta rivelando un complesso d’inse-
diamenti, di varia entità e con diversa funzione, che dopo aver conosciuto una
contrazione tra la fine dell’età del Bronzo e il Ferro iniziale, proprio nel corso
dell’VIII secolo riprende una fase di crescita69, forse indizio dell’interesse del
centro egemone di Cerveteri nello sfruttamento delle mineralizzazioni locali70.
Per quanto concerne il popolamento della piana di Piombino durante l’avan-
zata età del Ferro, dobbiamo rilevare la medesima penuria di dati, anche se la
recente pubblicazione di alcuni materiali recuperati grazie alle attività di survey
dei volontari dell’Associazione Archeologica Piombinese, consente di ipotizzare
anche per questa zona un complesso di centri abitativi in posizione aperta, che
dobbiamo immaginare proiettati sulla prospiciente laguna71. I dati disponibili
per l’isola d’Elba, sebbene lacunosi e frutto in gran parte di notizie d’archivio e

63
  Iaia, Mandolesi 2010, pp. 66-73; Bartoloni 2012, pp. 106-107.
64
  Fedeli et alii 1989.
65
  Sullo sfruttamento del bacino minerario dei Monti di Campiglia e sul sistema di
popolamento in epoca preromana, Zifferero 2002, pp. 182-200 con bibl.
66
  Minto 1943, n. 12, p. 351; Fedeli 1983a, n. 326, pp. 414-415; Di Paola, Piani 2012,
pp. 269-272 con bibl.
67
  Falchi 1895, p. 335; Fedeli 1983a, p. 415; F. Fedeli in Bruni et alii 1995, pp. 197-205.
68
  Maggiani 2008.
69
  Cristofani 1988, pp. 85-93; Iaia, Mandolesi 1995, p. 38; Cerasuolo 2008, pp. 689-
690; Naso 2010, in particolare pp. 134-135; Cerasuolo 2012, p. 136 con bibl.
70
  Zifferero 1995, p. 543; sulla metallurgia estrattiva nel Lazio settentrionale, Ziffe-
rero 1991, 1992.
71
  Giroldini cds. Desidero ringraziare l’amico Pierluigi Giroldini della Soprintendenza
per i Beni Archeologici della Toscana per avermi messo a disposizione il suo testo ancora
nelle more di stampa.
70 Matteo Milletti

di recuperi effettuati nel corso del XIX secolo72, sembrano indicare una fiorente
attività metallurgica, ancora essenzialmente legata ai solfuri misti, indiziata dal
rinvenimento di alcuni ripostigli di bronzi73, mentre la cultura materiale, so-
prattutto gli aspetti legati alla bronzistica, ne confermano il pieno inserimento
nell’orbita populoniese, pur con alcune specificità legate alla sfera funeraria,
con una netta predilezione per l’uso delle sepolture collettive in grotta, sulle
quali torneremo in seguito74.

La comunità populoniese durante l’età del Ferro

Il quadro appena tracciato restituisce così l’immagine di una Populonia villa-


noviana quale centro propulsore di un distretto geografico ricco d’importanti ri-
sorse, con le mineralizzazioni campigliesi ed elbane, e quale snodo cruciale non
solo delle rotte tirreniche ma di alcune delle principali direttrici transmarine
mediterranee. Tale ricostruzione bene si accorda con i tratti della società locale
che emergono dall’analisi delle evidenze funerarie. La nascita dei grandi centri
villanoviani, infatti, implica il superamento della precedente frammentazione
mediante un moto d’integrazione che determina una più complessa articolazio-
ne della gerarchia sociale75. Nel caso di Populonia, dobbiamo immaginare che
questo processo di stratificazione sia stato influenzato anche dalla forte mobilità
umana caratteristica di un port of trade, punto di arrivo o di passaggio di genti
diverse76. Una marcata complessità sociale emerge nelle sepolture locali, seb-
bene ancora in modo non del tutto codificato, per la presenza d’indicatori di
ruolo verticali e orizzontali che sembrano in anticipo rispetto al resto d’Etruria
dove, nell’orizzonte più antico del periodo, un’ideologia funeraria apparente-
mente isonomica tende invece a mascherare più a lungo le testimonianze di tali
fermenti della collettività. In questa chiave, andrebbe letta la precoce attesta-
zione a Populonia del rituale inumatorio, indizio di forte rottura rispetto alla
tradizione, forse da ricondursi al contatto con l’ambiente sardo e corso77, così
come l’uso delle sepolture collettive in grotta, non altrimenti attestato in Etru-
ria, segnalato sulla terraferma per ora solo nel riparo Biserno a San Vincenzo78
ma predominante, se non esclusivo, sull’isola d’Elba79. L’adozione del rituale
inumatorio sembra aver comportato, inoltre, a Populonia un certo allentamento

72
  Sull’Elba durante la prima età del Ferro è ancora fondamentale Delpino 1981 con
bibl.; per i ritrovamenti più recenti vd. anche Zecchini 2001. Per gli ultimi interventi della
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, Alderighi et alii 2013.
73
  Lo Schiavo, Milletti 2011, pp. 335-336 con bibl.
74
  Cfr. infra.
75
  d’Agostino 2005, pp. 21-22.
76
  Bartoloni cds.
77
  Bartoloni 2003, pp. 45-49 con bibl.
78
  Fedeli et alii 1989.
79
  Milletti 2012, pp. 233-234 con bibl.
La nascita di Populonia 71

del cosiddetto tabù delle armi80, ovvero il divieto di deporne di funzionali nelle
tombe, tratto caratteristico delle comunità esclusivamente o prevalentemente
d’incineratori dell’Italia centro-meridionale durante l’età del Ferro iniziale 81: tra
le culture d’inumatori, invece, l’armamento costituiva l’elemento caratterizzante
per eccellenza l’universo maschile, sia come indicatore orizzontale, di virilità,
sia come emblema verticale, quindi di rango, soprattutto nei casi in cui le spade
o altri elementi difensivi come gli elmi, in bronzo e polimaterici, si associano o
si sostituiscono alle più comuni lance. Non è dunque un caso che sia proprio
Populonia ad aver restituito alcune tra le più antiche sepolture di guerrieri d’E-
truria82, al pari di un’altra comunità di frontiera come quella picentina, dove tale
particolarità del costume funerario è stata ricondotta al contatto con le limitrofe
realtà di Fossakultur83. In questo senso, emblematico è il caso della tomba a
fossa 7/1915 di Piano delle Granate (Fig. 8.1), di grandi dimensioni e rivesti-
ta di lastre di macigno, quasi una sorta di cassone, che accoglieva accanto al
corpo del defunto, tra l’altro, spada e cuspide di lancia. La cronologia del con-
testo, affidata all’armamento, resta purtroppo ancora incerta: la spada è stata
inquadrata da V. Bianco Peroni in un raggruppamento abbastanza eterogeneo
di fogge che si inseriscono nel phylum delle spade a lingua di presa del Bronzo
finale84. L’esemplare, avvicinabile a un altro da Montagna di Campo-Elba (Fig.
8.3) e ad uno sporadico dall’Etruria (Fig. 8.2)85, ne rappresenta però un tardo
esito specifico noto come spade a lingua di presa tipo Populonia86, effettivamente
avvicinabile al tipo Contigliano87 ma con corta lama, quindi già lontano dalle
carp’s tongue sword88, alla cui tradizione le armi in questione si richiamano so-
prattutto per l’impugnatura dalle spalle concave con terminazione a T89. Que-
ste spade presentano, inoltre, tratti maggiormente arcaicizzanti rispetto a un
gruppo recentemente isolato di Griffzungenschwerter italiche che, attestate dalla
seconda metà del IX secolo, rientrano già tra i tipi più diffusi e caratteristici di

80
  Bartoloni 2003, pp. 159-160; Bietti Sestieri 2006 con bibl.; Iaia, Pacciarelli 2012,
pp. 349-351; Bietti Sestieri et alii 2013, pp. 155-157.
81
  Per l’Italia settentrionale, da ultimi Speciale, Zanini 2012.
82
  Bartoloni 2002b, pp. 348-350.
83
  Bartoloni 1994, p. 218.
84
  Bianco Peroni 1970, n. 187, p. 77.
85
  Vd. rispettivamente Bianco Peroni 1970, n. 186, p. 77 e Bianco Peroni 1974, n.
187A, p. 19.
86
  Bianco Peroni 1974, p. 19.
87
  Bianco Peroni 1970, nn. 179-182, p. 76; 1974, nn. 180A, 182A, pp. 16-17. Sul tipo
Contigliano, vd. anche Bietti Sestieri, Macnamara 2007, type 5 (nn. 220, 221, 223-226),
pp. 21-22.
88
  Brandherm, Burgess 2008; Barndherm, Moskal-del Hoyo 2010, pp. 431-443.
89
  Barndherm, Moskal-del Hoyo 2104, pp. 2-3. Vd. anche le considerazioni espresse
da A.M. Bietti Sestieri ed E. Macnamara circa una spada adesposta conservato al British
Museum (Bietti Sestieri, Macnamara 2007, n. 125, p. 63, tav. 27), avvicinato al tipo Mon-
tegiorgio del Bronzo recente, richiamando nel contempo alcuni tratti comuni con le spade
tipo Populonia e tipo Contigliano.
72 Matteo Milletti

daghe centro-meridionali della prima età del Ferro90. Con cautela, può propor-
si, dunque, per il tipo una datazione compresa entro la metà del IX secolo91,
parzialmente coeva o di poco posteriore al tipo Contigliano, datato a cavallo tra
l’età del Bronzo e gli inizi dell’età del Ferro92, del quale sembrerebbe una foggia
evoluta, già da punta e non più da fendente93. A partire dalla metà del IX secolo
a.C., d’altra parte, conosciamo anche nella necropoli di S. Cerbone alcune de-
posizioni di guerrieri, come la tomba ad inumazione 47/1908 (Fig. 9), con un
corredo costituito da una brocca in impasto (Fig. 9.1), una cuspide di lancia con
relativo puntale (Fig. 9.3-4) e una fibula ad arco serpeggiante a due pezzi con
staffa a disco (Fig. 9.2)94. Quest’ultima rientra in una foggia, di ampia diffusione,
attestata a Pontecagnano dai decenni iniziali del IX secolo, con declinazioni di
aspetto massiccio, con coste ben rilevate e disco spiraliforme con alette brevi ad
estremità arrotondate, ma che conosce fin dagli inizi del I Fe 1B un’evoluzione
che tende a semplificare e slanciare la struttura dell’arco, fino a trasformare le
coste in decorazioni anulari e ad allungare ed appuntire le alette della staffa95. La
nostra fibula sembrerebbe rientrare proprio in quest’ultimo orizzonte di pro-
duzione; d’altra parte la foggia è generalmente attribuita in Etruria al I Fe 1B,
ad esempio a Bologna96 come a Veio97, anche se occasionalmente affiorano in
letteratura proposte di rialzamento alla fase precedente98.
La maggiore innovazione della seconda metà del secolo, tuttavia, è rappre-
sentata a Populonia dall’apparizione delle prime tombe a camera, nella decli-
nazione ipogea con copertura a pseudocupola e breve dromos, in assoluto anti-
cipo rispetto al resto d’Etruria99. Questo fenomeno non solo ribadisce l’elevata
articolazione della compagine populoniese, ma più specificamente permette di
supporre l’esistenza al suo interno di famiglie o clan già ben strutturati, consa-
pevoli del proprio ruolo emergente e intenzionati a sottolinearlo nella sepoltura.
Alla testa della serie, si pone la tomba a camera 2/1933 di Poggio delle Granate

90
  Barndehrm, Moskal-del Hoyo 2104, list 17, pp. A15-17.
91
  V. Bianco Peroni (1974, p. 19) propone per gli esemplari populoniesi, prima avvicinati
al tipo Contigliano (1970, p. 77), una generica datazione agli inizi dell’Età del Ferro.
92
  Bianco Peroni 1974, p. 17. È d’altra parte incerta l’attribuzione al tipo Contigliano
di un breve tratto di lama, molto lacunoso (Maggiulli 2009a, p. 317; 2009b, p. 207, nota
22, fig. 1.11, 85), dal Ripostiglio 1 deposto nella cosiddetta capanna-tempio del sito di Roca
Vecchia-LE, distrutta nel corso del BF 2 (Pagliara et alii 2007, Fase V, pp. 312-315), at-
testazione che prospetterebbe un primo orizzonte di produzione decisamente più antico
rispetto alla datazione canonica.
93
  Sull’argomento, Mödlinger 2012, pp. 90-94 con bibl.
94
  Bartoloni 1991, p. 12, figg. 4-5.
95
  d’Agostino, Gastaldi 1988, tipo 32A3, pp. 50-51 (l’esemplare populoniese sembra
rientrare nella varietà A3b); Lo Schiavo 2010, tipo 322, pp. 639-639.
96
  Dore 2005, FIB06, p. 261, tav. 3
97
  Toms 1986, tipo III.1, pp. 50-51, fig. 15.
98
  Bartoloni, Delpino 1979, pp. 49, 94, tav. 9.
99
  Bartoloni 2000; 2003, pp. 57-63; Milletti 2012, pp. 236-237 con bibl. Per una
recente lettura, Zucca 2013.
La nascita di Populonia 73

(Fig. 10), ancora una volta un’inumazione di armato, con cuspide di lancia ma
soprattutto con spada e fodero tipo Pontecagnano (Fig. 10.1-2)100, accompagnata
inoltre da una fibula ad arco serpeggiante molto lacunosa, forse inquadrabile
nella classe delle fibule serpeggianti con due occhielli e spillone dritto101, e da un
rasoio tipo Vulci (Fig. 10.3)102. L’insieme di questi elementi orienta per una data-
zione della sepoltura nell’ambito della seconda metà avanzata del IX secolo103.
Anche in questo caso, dunque, la scelta dell’inumazione si accompagna alla de-
posizione nel corredo di un indicatore di alto rango, come la spada, status so-
ciale ribadito anche dalla struttura tombale che, in questo caso, avrebbe accolto
solo le spoglie del guerriero. Le strutture a pseudocupola sono attestate per ora
solo nel sepolcreto delle Granate e in quello del Telegrafo, anche se le poche
informazioni sugli altri nuclei funerari impongono cautela nell’interpretare il
dato come una specificità delle genti accolte nelle due necropoli. Inoltre, mentre
nel sepolcreto nord-orientale le tombe a camera risultano inserite in un tessuto
cimiteriale che comprendeva coevi pozzetti e tombe a fossa, alle pendici del Te-
legrafo, invece, le strutture a pseudocupola rappresenterebbero il tipo tombale
esclusivo, tratto in apparenza caratteristico che, assieme all’ubicazione, ai limiti
dell’abitato e di fronte al mare, ha richiamato per questo nucleo la suggestione
di una piccola necropoli di tipo aristocratico104. Appare in ogni caso indiscutibile
il prestigio delle sepolture della tomba 1 del Telegrafo, l’unica delle quali siano
conosciuti gli elementi di corredo, tra i quali spiccano, a quanto è noto, due
elmi pileati, due puntali di lancia, un’ascia e un ricco novero di oggetti d’orna-
mento, tra i quali fibule di vario tipo, vaghi in bronzo, ambra e pasta vitrea, e
un affibiaglio105. La datazione delle deposizioni e quindi del monumento resta
incerta, anche nell’impossibilità di attribuire i materiali ai singoli defunti, ovvero
due incinerati, un uomo e una donna, e due inumati, superata la pregiudiziale di
maggiore antichità dei primi rispetto ai secondi, per il rituale funerario adotta-
to106. L’arco cronologico degli oggetti di corredo non sembra amplissimo, forse
compreso entro un paio di generazioni, tra gli ultimi decenni del IX e i primi
dell’VIII secolo a.C., da fissare con maggiore esattezza con l’edizione completa
dei materiali107. Il sepolcreto, che resta uno dei nodi cruciali dell’archeologia po-
100
  Bianco Peroni 1970, n. 210, p. 85.
101
  Vicina al tipo 295 di Lo Schiavo 2010, pp. 608-609.
102
  Bianco Peroni 1979, n. 579, p. 97.
103
  Bartoloni 2002b, p. 352.
104
  Bartoloni 2002b, p. 354.
105
  F. Fedeli in Portoferraio 1985, nn. 15-47, pp. 47-52; Fedeli 1983a, n. 200, pp. 335-
336; Bartoloni 1991, p. 20, figg. 13-14; Fedeli 2000, p. 37 con bibl.; Bartoloni 2002b,
pp. 353-354; 2003, p. 49.
106
  Fedeli 1983a, p. 86.
107
  F. Fedeli in Portoferraio 1985, p. 51; Fedeli 2000, p. 42; Bartoloni 2003, p. 49.
Contra Iaia 2005a, p. 94; Iaia 2005b, con una datazione compresa tra il IFe 1A e IFe 1B; il
termine alto della cronologia sarebbe suggerito dalla presenza di una fibula con arco rivestito
a dischi metallici, che tuttavia sembrerebbe appartenere, sulla base delle foto edite, ad un
tipo già evoluto della foggia, con dischi graduati fittamente accostati e molla stretta, che si
74 Matteo Milletti

puloniese, spesso citato e utilizzato nelle ricostruzioni storiche senza che, pur-
troppo, se ne sappiano che poche informazioni decontestualizzate, imporrebbe
un supplemento di studio e di ricerche sul campo, allo scopo di comprenderne
sviluppo e caratteristiche peculiari ma può considerarsi quantomeno emblema-
tico della complessità dell’universo populoniese dell’età del Ferro.
Fin dai primordi, la comunità locale sembra, dunque, riflettere il carattere
aperto e proiettato sul mare del territorio che abita, offrendosi ai contatti e alle
reciproche influenze con altre realtà, vicine e lontane. Una forte propensione
all’innovazione e alla contaminazione con altre tradizioni, tanto nella metallur-
gia quanto nell’ideologia funeraria, trasmettono l’idea di un corpo sociale dina-
mico, spesso sollecitato in tutti i suoi livelli dall’inserimento di elementi allogeni
ma nel suo insieme sufficientemente coeso per avviare uno sfruttamento siste-
matico delle importanti mineralizzazioni del proprio territorio e per promuove-
re l’assurgere di Populonia ad importante scalo del Mediterraneo antico.

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(Babbi 2003, pp. 59-61). Gli esemplari più antichi presentano invece caratteristiche speci-
fiche, tra le quali dischi di diametro pressocché costante e molla larga (ad es., d’Agostino,
Gastaldi 1988, 32B18, p. 55, fig. I.18).
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Zecchini M. 2001, Isola d’Elba: le origni, Lucca.
Zifferero A. 1991, “Miniere e metallurgia estrattiva in Etruria meridionale: per una lettura
critica di alcuni dati archeologici e minerari”, in StEtr LXII, pp. 201-240.
Zifferero A. 1992, “Giacimenti minerari e insediamenti nel Lazio settentrionale: recenti ac-
quisizioni e prospettive di ricerca”, in E. Antonacci Sanpaolo (a cura di), Archeome-
tallurgia. Ricerche e prospettive, Atti del Colloquio Internazionale di Archeometallurgia
(Bologna, Dozza Imolese 1988), Bologna, pp. 81-103.
Zifferero A. 1995, “Archeologia delle miniere: note sul rapporti tra insediamenti e mineraliz-
zazioni in Italia centrale”, in N. Christie (ed.), Settlement and economy in Italy 1500 BC to
1500 AD, Papers of the Fifth Conference of Italian Archaeology (Oxford 1992), Oxford,
pp. 541-554.
Zifferero A. 2002, “Attività estrattive e metallurgiche nell’area tirrenica. Alcune osservazioni
sui rapporti tra Etruria e Sardegna”, in Atti Sassari 2002, pp. 179-212.
Zifferero A. 2006, “Confini e luoghi di culto nel suburbio e nell’agro populoniese: un contri-
buto alla ricerca”, in Aprosio, Mascione 2006, pp. 391-427.
Zucca R. 2013, “Un confronto sardo per le tombe con camera a tholos di Populonia della
prima età del Ferro?”, in StEtr LXXVI, pp. 11-31.

Discussione

G. Bartoloni
A nome mio e di Annette (Rathje), desideriamo ringraziamo Marco per l’organizzazione del
convegno. Matteo ha mostrato essenzialmente l’apporto dei nostri scavi alla definizione della
storia urbana di Populonia. Per quanto riguarda le fasi dell’età del Bronzo, i materiali proven-
gono essenzialmente da ricognizioni, per cui non possiamo andare oltre una datazione molto
vaga al Bronzo finale per tutti i siti: Peroni mi suggerì addirittura la definizione di Bronzo
tardo, perché questo materiale, proveniente da siti produttivi, non è facilmente databile. Per
quanto riguarda il concentrarsi della popolazione in un solo villaggio, tutti sanno cosa pensa-
vo prima, che cosa ho scritto circa la formazione delle città etrusche, ebbene proprio lo scavo
di Populonia mi ha fatto cambiare idea, anche se mi si è obiettato che il problema a Populonia
sono le necropoli così lontane dalle sedi della città storica. Necropoli lontane, quindi più
84 Matteo Milletti

abitati vicini rispetto a un unico villaggio sul centro di Populonia, la cui estensione ho fatto
misurare: gli ettari all’interno della cinta ellenistica, ma che noi riteniamo ricalchi un tracciato
molto più antico (almeno dall’VIII secolo), è di 180 ha: leva i bordi di Buca delle Fate e di
Poggio del Molino e siamo a 150 ha. Non so se conoscete Populonia, il terreno è un po’ sco-
sceso: le fotografie aeree degli anni ‘50, quando l’area era coltivata, mostrano però un sistema
di terrazzamenti, come hanno confermato i nostri scavi. Certo non tutti gli spazi saranno stati
abitati, come non saranno stati abitati tutti i 180 ha di Veio. Quindi è proprio grazie a Populo-
nia che ho cambiato idea, facendo felice Peroni che allora mi abbracciò, mentre prima non mi
considerava, anzi mi guardava in cagnesco…Per quanto riguarda la supposta cinta muraria di
VIII secolo e l’eventuale rito di fondazione di Falda della Guardiola, effettivamente gli scavi a
Veio e a Bologna supportano l’ipotesi che anche a Populonia potesse esserci una fortificazio-
ne, ovviamente a terrapieno e con palizzate, come a Bologna. Quindi c’è nella seconda metà
dell’VIII secolo, esattamente come mi è sembrato di capire per Bologna, una specie di salto
di qualità nella formazione urbana, un passo avanti, una grande operazione dovuta secondo
me a un cambiamento nella politica locale, in perfetta coincidenza con cosa succede a Roma
(e io presumo a Veio) con l’istituzione di una figura di capo, che gestisce anche i rapporti
con il mondo esterno, che si intensificano nella seconda metà del secolo. La discussione a
Populonia è secondo me legata anche alla genesi delle tombe a tholos e se qualcuno vuole
cimentarsi…io passerei la parola ad Annette.

A. Rathje
Io avrei due domande specifiche ma tra loro collegate, sulla scorta di ciò che è stato detto ieri
dal collega Osanna sulle migrazioni. Alla luce della presenza di oggetti sardi in un ripostiglio
molto importante come quello di Falda della Guardiola, mi domando tutto ciò cosa signi-
fichi; poi mi domando da chi fossero gestiti i commerci, da un capo, come abbiamo sentito
adesso dalla Bartoloni, dai sardi stessi oppure dobbiamo pensare alla rete fenicia, perché
greci non ci sono, né in epoca micenea né dopo e questa è una caratteristica che distingue
nettamente Populonia.

G. Bartoloni
Anche perché a Ischia, nell’abitato di S. Montano è stata trovata ematite elbana e l’Elba è di
fronte a Populonia.

F. di Gennaro
Vorrei domandare a Gilda Bartoloni su quale base ci si può permettere di dire che le ne-
cropoli di Populonia sono troppo lontane per essere riferibili all’area della città storica. La
distanza è assolutamente compatibile con quella rilevabile negli altri contesti dell’Etruria. Le
aree corrispondenti sono gli unici spazi, non sottratti all’agricoltura perché erano tomboli,
dove potevano essere poste necropoli monumentali; comunque se ci fosse vicino qualche
nucleo insediativo potresti veramente credere a un sistema con due centri così vicini? Se mai
venisse scoperto un altro abitato, potrebbe ritenersi collegato funzionalmente al centro prin-
cipale: non so chi ti abbia espresso le riserve ma per me le distanze, ridottissime, consentono
di attribuire le tombe, almeno dal Primo Ferro, a Populonia. Riallacciandomi a un’afferma-
zione di Beppe Sassatelli, che condivido, ovvero che non dobbiamo credere che ciò che tro-
viamo rappresenti la realtà nella sua interezza, ma solo la punta dell’iceberg, credo che come
per Frattesina essa sia valida anche per alcuni casi del Lazio, dove manifestazioni eclatanti
non vanno considerate come eccezionali e uniche. Con riguardo quindi all’archeologia del
non visibile, credo che prima o poi troverete il Bronzo Finale su Poggio del Telegrafo, perché
nel sistema di insediamento che ci avete mostrato quella postazione non poteva non essere
controllata. Se lassù non ci fosse Bronzo Finale, dovremmo dire che Populonia è una colonia.
Credo che troverete il Bronzo Finale anche lassù e ve lo auguro.
La nascita di Populonia 85

A. Guidi 1992, “Recenti ritrovamenti in grotta nel Lazio: un riesame critico del problema
dell’utilizzazione delle cavità naturali”, in RassAPiomb 10 (1991/92), pp. 427-37.

G. Bartoloni
Ci sono in Corsica…

A. Guidi
Certo ma io facevo riferimento all’Italia continentale, però la cosa è interessante...

V. Acconcia
In realtà, i due fenomeni sono già stati messi in relazione. Anche all’Elba ci sono altre grotte…

A. Guidi
All’Elba, oltre alla grotta di Rio Marina che è eneolitico, ci sono altre grotte?

M. Milletti
Ce ne sono numerose, pubblicate sommariamente da Michelangelo Zecchini ma ci sono…

A. Guidi
Allora questa è una risposta…mi fa piacere. Un ultimo aspetto, circa quelle strutture, se
ho capito bene, del terzo quarto dell’VIII secolo del saggio nord, che hanno una certa aria
familiare. Vorrei ricollegarmi al discorso che faceva giustamente Gilda Bartoloni, del salto di
qualità di Veio, di Bologna e di Roma che avviene tra la metà e il terzo quarto dell’VIII secolo.
Quello che vorrei sottolineare, anche se rischio di togliere uno spunto alla discussione finale
ma qui si nota bene, se noi continuiamo a dire che c’è un salto di qualità in quel periodo, e se-
condo me c’è, potremmo dire che il passaggio da un centro protourbano a un centro urbano
avviene in quel momento. Non vorrei fare come i miei colleghi che prendono per buone tutte
le fonti e cercano di vedere tutto alla luce di queste, però questa svolta è indicata anche dalle
fonti storico-letterarie, delle quali non posso ammettere un uso forsennato ma in questo caso
c’è una effettiva corrispondenza tra dato archeologico e storico-letterario.

V. d’Ercole
Proprio circa la domanda di Francesco di Gennaro di cercare il Bronzo finale, io ho intravi-
sto in una tomba che hai fatto vedere una spada tipo Contigliano, mi sembra associata a una
lancia, quella se non è Bronzo finale, poco ci manca: le Contigliano anticipano le spade corte,
quindi sono più antiche…

G. Bartoloni
È più antica della deposizione della sepoltura che ha anche ceramica che orienta all’inizio
del Ferro…

M. Milletti
Inizio dall’ultima domanda. Certamente la spada è simile al tipo Contigliano, la stessa Bian-
co Peroni parla di “gruppo di spade a lingua di presa vicino al tipo Contigliano”, rispetto
al quale ha tuttavia delle anomalie nel sistema di fissaggio e nella stessa immanicatura.
Appartiene sicuramente a un orizzonte piuttosto antico del IX secolo, perché alcune at-
testazioni scendono cronologicamente, ma i caratteri generali mi sembra anticipino le da-
ghe italiche dell’età del Ferro; d’altra parte, un frammento nel ripostiglio di Poggio Berni
potrebbe indicare che l’iter evolutivo della foggia inizi già in una fase evoluta del Bronzo
finale. Questione difficile da chiarire, in ogni caso, anche perché il problema di Populonia,
e non solo di Populonia, è la definizione dell’orizzonte più antico del Ferro, per il quale
86 Matteo Milletti

disponiamo di un nucleo di tombe piuttosto limitato, insufficienti per impostare una seria-
zione. Questo è in ogni caso un contesto piuttosto interessante, una sepoltura così antica di
armato...Riguardo alla domanda di Annette Rathje, credo che si possa parlare di una forte
comunanza tra Populonia e l’ambiente sardo, non lo sostengo certo io per la prima volta.
D’altra parte, in ambito populoniese vengono riprodotti una serie di bronzi sardi, come
faretrine e bottoni, che presentano delle differenze anche sostanziali nella resa figurativa
rispetto agli originali; sulle brocche askoidi si è scritto moltissimo, una produzione locale
è stata identificata a Vetulonia su base archeometrica: l’impasto dei frammenti che abbia-
mo trovato su Poggio del Telegrafo sembrerebbe proprio locale e gli esemplari integri di
Poggio e Piano delle Granate non rientrano strettamente nel repertorio tipologico sardo,
sembrano prodotti villanoviani. Si tratta di due compagini sociali che sono sicuramente
permeabili, non si tratta solo della signora sarda che va in sposa al signore villanoviano ma
di una mobilità a più livelli, che investe ovviamente anche gli artigiani, e che rappresenta
per così dire il sale dell’età del Ferro…

G. Sassatelli
Sarò rapidissimo. Io mi sono ritrovato molto in questo sistema che utilizza pochi dati i quali
però, messi tutti in fila, funzionano perfettamente. È consolante che anche in presenza di una
marcata scarsità di dati, quando si fa ordine si arriva a conclusioni valide e solide. Due conside-
razioni anche rispetto a quello che diceva Guidi. Io credo che i due esempi che abbiamo visto
mostrino un fatto importante: c’è una fase molto antica, chiamiamola protourbana, un po’
incerta ed evanescente, a cui segue qualcosa che è assai più consistente. A Bologna questa cosa
più consistente è un limite che da ideologico diventa fisico e anche il fatto che i tre villaggi, che
a mio avviso sono già una proto-Bologna, non sono più un vecchio modo di abitare (quello di
tradizione protostorica di villaggi sparsi e omologhi in un vasto territorio), ma non sono ancora
un unico centro. Queste due cose mostrano che esiste una fase di preparazione nella quale
si compie questo passaggio. Un’ultima considerazione: voi che conoscete bene questa facies
archeologica dateci una mano per Bologna a datare meglio questi materiali del Bronzo finale,
perché io mi sono un po’ stancato del fatto che i pochi dati tra il XII e il X secolo vengano letti
solo alla luce di quello che c’è prima, come qualcosa di più antico che persiste, o solo come
anticipazione di quello che verrà dopo. Per cui questo cruciale periodo intermedio si tende a
farlo sparire per la difficoltà di dargli una sostanza e una certezza anche cronologica. Ci dovete
aiutare perché altrimenti si rischia di fare un deserto dove in realtà semplicemente abbiamo
delle carenze conoscitive.

G. Bartoloni
Il problema è la mancanza di necropoli…Io volevo poi ricollegarmi a quello che diceva Va-
leria Acconcia circa il rapporto di Populonia con la Corsica. In letteratura, tutti fanno riferi-
mento alle tombe a tholos di Populonia come il risultato dei contatti con l’ambiente sardo, io
ho un po’ contestata questa ipotesi però noi scaviamo anche in Corsica e…

A. Guidi
Sei “un’imperialista”…

G. Bartoloni
Si, sono un’imperialista…Scaviamo degli abitati dell’età del Bronzo locale ma che per noi è
piena età storica, parliamo di pieno VII secolo, uno si chiama Cuciurpula, l’altro si chiama
Puzzonu…

A. Guidi
Ma dove sono?
La nascita di Populonia 87

G. Bartoloni
In Corsica centro-meridionale, nell’Alta Rocca. Effettivamente, le strutture capannicole,
come anche le famose torri, hanno una struttura molto simile alle nostre tombe a tholos
microlitiche. Esistono anche all’Elba queste grotte che richiamano l’uso corso delle sepolture
collettive in ripari di roccia. Per cui, io credo che nel Mediterraneo bisogna considerare anche
la Corsica, non solo la Sardegna.

C. Tronchetti
Un intervento brevissimo rispetto a quello che ha detto Annette Rathje: erano sardi che an-
davano a Populonia, Etruschi che andavano in Sardegna o esisteva un circuito gestito dai
Fenici? Tra le moltissime cose che non so, c’è anche questa ma mi sentirei di escludere la
terza ipotesi perché siamo a una quota cronologica (IX- inizi dell’VIII secolo) nella quale
la presenza fenicia nel Tirreno settentrionale non è attestata; anche ad Ischia la presenza
di levantini è segnalata una generazione dopo. Ricollegandomi a quello che diceva Matteo
Milletti, c’è una permeabilità fortissima tra la Sardegna settentrionale e Populonia, era un
circuito gestito da entrambi…

G. Bartoloni
Ci sono le fibule trovate in Sardegna…

C. Tronchetti
C’era un interscambio continuo, senza che ci fosse una parte dominante. Ci sono moltissime
fibule, giungono tutte dall’Etruria, credo qualcuna dal Lazio, pochissime dall’Italia meridio-
nale. Quindi c’è un grosso circuito di scambio nord-tirrenico tra Etruria e Sardegna.

M. Minoja
Io vorrei dare qualche piccolo elemento in più, magari utile a chiarire alcuni di questi aspetti.
Richiamandomi alla cultura materiale, partirei da un oggetto da Populonia molto peculiare
mostrato da Matteo Milletti, un frammento di ciotola con decorazione a triangoli campiti;
un frammento di esemplare molto simile proviene da Sa Sedda ‘e Sos Carros in Ogliastra.
Se a Populonia può essere un dato poco caratterizzante, trovarlo a Sa Sedda ‘e Sos Carros è
più interessante. Nel sito ci sono fibule che provengono dall’Etruria e non escluderei anche
dall’Etruria campana e dall’Italia meridionale. Peraltro segnalo, sempre dall’Ogliastra, una
nuova fibula a doble resorte, che troviamo anche a Pitecusa, inserita in circuiti fenici. Su
questo argomento bisognerebbe forse adottare un’ottica più articolata, vanno valutate una
serie di componenti che contribuiscono alla circolazione di questi elementi. Menziono un
piccolissimo articolo apparso nel catalogo della mostra Tsunami di Salerno, con un titolo stra-
no, nessuno penserebbe che tratta di archeometallurgia, che illustra cose molto interessanti
(Balassone et alii 2011): oggetti in metallo provenienti rispettivamente da Ischia, dalle zone
interne della Campania, da Monte Vetrano, zone collegate a Pontecagnano, e sottoposti ad
analisi hanno rivelato la loro provenienza, in alcuni casi da miniere sarde, in altri da miniere
iberiche, in altri dubitativamente sarde o iberiche. Sa Sedda ‘e Sos Carros è un sito indigeno,
non si discute su questo, e potrebbe offrire qualche suggestione, senza dimenticare che an-
che in altri contesti in Ogliastra è documentata la tesaurizzazione e la lavorazione di oggetti
metallici: ulteriori analisi potrebbero dare elementi per ricostruire un circuito più complesso,
che coinvolge in maniera diretta, nelle relazioni con la costa orientale della Sardegna, tanto
l’Etruria mineraria quanto i centri della costa campana e dell’immediato entroterra.

G. Balassone, M. Boni, G. Di Maio 2011, “Un ibis e una scimmietta”, in A. Campanelli (a


cura di), Dopo lo tsunami, catalogo della mostra (Salerno 2011-2012), Napoli, pp. 184-187.
88 Matteo Milletti

F. di Gennaro
Per quanto riguarda l’uso delle grotte nella prima età del ferro vorrei riferire il caso particola-
re di Orvieto: scavando il pozzo di San Patrizio si trovarono materiali etruschi, probabilmen-
te anche di fasi protostoriche, che erano stati depositati in una cavità sotterranea trasversale,
quindi in una grotta, poi intercettata dallo scavo del ‘500. I materiali si sono persi ma ne è
conservata una descrizione, il tutto riportato, mi sembra, da Perali.

V. Acconcia
Volevo ricollegarmi al discorso della Sardegna e della nascita della città, ricordando che se
non ci sono prove di chi si sposta dove, in realtà la metallurgia dei solfuri misti, quindi anche
quella di Populonia, è legata in maniera strettissima a quella sarda tanto che questi reperti che
Matteo Milletti ha mostrato, rivelano un filo diretto con la Sardegna almeno dall’VIII secolo,
cioè in corrispondenza di quella fase che Alessandro Guidi affermava potesse costituire il
passaggio da un momento protourbano a un momento urbano. Noi abbiamo le prime atte-
stazioni dell’impianto di un quartiere artigianale a Populonia bassa (non è per la lavorazione
del ferro, perché il ferro elbano viene sfruttato in maniera sistematica a partire dal VII se
non dal VI secolo) che risalgono al pieno VIII secolo e sono riferibili alla lavorazione del
rame. Secondo me bisogna sottolineare l’importanza che la metallurgia e quindi il contatto
con il mondo sardo può avere avuto in questo processo. Poi una piccola considerazione sulla
mancanza di attestazioni di Fenici e di Greci in questa area, per sottolineare che, come diceva
David Ridgway tanto tempo fa, al di sopra di una certa linea non passa nessuno a parte i
sardi, e forse questo ci potrebbe dire qualcosa sul ruolo e la capacità di tenere lontani certi
agenti esercitato della città etrusche settentrionali e rivalutare anche il loro ruolo politico su
un piano internazionale.

M. Minoja
Solo una suggestione: ieri c’era una bellissima slide che ha fatto vedere Massimo Osanna sui
siti con la diffusione di prodotti greci ed è impressionante la linea latitudinale oltre la quale
questi siti non vanno, tolta Marsiglia e le coste della Sardegna e della Francia, in un momento
successivo; sopra quella linea non c’è nulla, dal Mar Nero fino alla Spagna. Senza voler fare
del determinismo topografico era veramente impressionante…

V. Acconcia
Senza aprire scenari fantascientifici, rispetto all’idea di un Mediterraneo aperto in tutti i sensi,
occorre porre la questione se soluzioni come i trattati romano-cartaginesi, che dividono le
zone del Mediterraneo, non potessero esistere, in qualche maniera, già ad una quota crono-
logica più alta.

A. Guidi
Riguardo all’osservazione che faceva Marco Minoja, è stato riconosciuto da tempo un circui-
to “occidentale” di scambi molto fiorente dal X secolo, di prodotti che circolano tra la Spa-
gna, la Francia meridionale, la Sardegna e l’Etruria, che riguarda sia bronzi che ceramiche.

P. Bernardini
Volevo aggiungere qualcosa non solo sui rapporti sardi con Populonia ma più in generale sul
tema. Prima è stata fatta la domanda su chi gestisca questi commerci, a cui mi sembra che sia
stata data una risposta un po’ frettolosa. Credo che la risposta, sia particolarmente semplice
anche se è una risposta semplice che presuppone processi di grande complessità e si ricollega
proprio al concetto di rete applicato ai commerci fenici nella fase più antica. Oggi fortuna-
tamente abbiamo dei contesti come quelli di Utica, di Cadice, di Siviglia, di S. Imbenia e di
Sulky, che in qualche modo restituiscono un quadro con delle costanti, perché si tratta di
La nascita di Populonia 89

giacimenti che possiamo collocare tutti approssimativamente tra l’800 e il 780, con l’associa-
zione continua e ripetuta di ceramiche del geometrico greco, fenice e nuragiche. Questa è
la rete che muove il Mediterraneo. Allora la risposta semplice che darei, è che i protagonisti
di questa rete sono tutti quelli che sono stati nominati, greci, fenici, sardi, secondo itinerari
complessi d’interrelazioni che restano ancora da studiare e da definire.

M. Osanna
Mi è sempre interessata a Populonia la residenza del capo, quella con la fossa con le 100 tazze,
che credo vada inserita in comportamenti e rituali molto diffusi nel Mediterraneo, all’interno
dei quali emerge la figura del capo che appare come l’ospite munifico che gestisce banchetti
per la comunità. Io penserei più che a forme libatorie che sono sempre associate a banchetti
e anzi li introducono, all’arredo domestico, che viene sepolto al momento del passaggio di
consegne. Io ho avuto la fortuna di scavare a Torre di Satriano una residenza di VII secolo,
che è stata incendiata repentinamente, sigillando tutto. Quello che impressiona, è che è stato
conservato tutto il set da banchetto, nel quale spiccano le forme locali, con le analisi che
hanno rivelato tracce di vino. Quindi credo che quello sia l’arredo del banchetto, seppellito
al momento del passaggio.

G. Bartoloni
Ma lì ci sono solo tazze, solo quelle, esattamente novantotto e due che son state trovate lì
vicino…

M. Rendeli
Bene signori, una breve pausa. Poi ricominceremo con l’intervento di Teresa Marino.
90 Matteo Milletti

Fig. 1. Il promontorio di Piombino e la Val di Cornia: principali siti del Bronzo finale.

Fig. 2. L’Età del Ferro nell’area del Golfo di Baratti.


La nascita di Populonia 91

Fig. 3. Baratti, Pineta del Casone: 1, 2, 3, 4- Fibule sporadiche (donazione Pietrelli).

Fig. 4. Poggio e Piano delle Granate: scavi Minto e saggi dell’Università La Sapienza di Roma
2001-2005 (ten Kortenaar et alii 2006).
92 Matteo Milletti

Fig. 5. Poggio del Telegrafo: 1, 2- Saggi dell’Università La Sapienza di Roma 2003-in corso
(PDT e POP).
La nascita di Populonia 93

Fig. 6. Fortificazioni di Populonia e localizzazione del ripostiglio di Falda della Guardiola


(Romualdi, Settesoldi 2008).

Fig. 7. Principali siti dell’Età del Ferro nell’agro populoniese.


94 Matteo Milletti

Fig. 8. Spade tipo Populonia: 1- Populonia, Piano delle Granate, tomba 7/1915; 2- Italia
centrale? (Bianco Peroni 1974); 3- Elba, Montagna di Campo (Bianco Peroni 1970).
La nascita di Populonia 95

Fig. 9. San Cerbone, tomba 47/1908: 1- Brocca; 2- Fibula ad arco serpeggiante a due pezzi; 3,
4- Puntale e cuspide di lancia (Bartoloni 1991).
96 Matteo Milletti

Fig. 10. Poggio delle Granate, tomba a camera 2/1933: 1, 2- Spada e fodero (Bianco Peroni
1970); 3- Rasoio (Bianco Peroni 1979).

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