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NOTIZIE

ARCHEOLOGICHE
BERGOMENSI
23
2015
ISSN: 1127-2155

Periodico di archeologia del Civico Museo Archeologico di Bergamo


fondato da Stefania Casini

I testi sono stati sottoposti a revisione paritaria.


La responsabilità di quanto riportato nel testo, nonché di eventuali er rori e omissioni,
rimane esclusivamente degli Autori.

Autorizzazione del Tribunale di Bergamo, n. 32 del 27.11.1993

Direttore responsabile: Stefania Casini

Tutti i diritti riservati Comune di Berg amo, Museo Archeologico

Sede: Civico Museo Ar cheologico di Bergamo, piazza Cittadella 9, 24129 Bergamo


Proprietà: Comune di Bergamo
Stampato da: Grafo s.r.l., Palazzago, Bergamo

2
Lo scavo di via Moneta a Milano (1986-1991).
Protostoria e romanizzazione
a cura di
ANNA CERESA MORI

con la collaborazione di
CARLA PAGANI

3
Lo scavo di via Moneta a Milano (1986-1991).
Protostoria e romanizzazione
Coordinamento scientifico
Anna Ceresa Mori

Coordinamento redazionale
Stefania Casini

Direzione dello scavo archeologico


Anna Ceresa Mori

Esecuzione dello scavo archeologico


Società Lombarda di Archeologia

Fotografie
Luciano Caldera, Luigi Monopoli (SAL); Società Lombarda di Archeologia

Riordino e sistemazione dei materiali


Annalisa Majorano (Società Lombarda di Archeologia)

Disegni dei reperti


Remo Rachini; Autori dei testi

Rilievi
Società Lombarda di Archeologia

Elaborazioni grafiche
Michela Ruffa; Società Lombarda di Archeologia

Montaggio tavole grafiche


Roberta Cavalli, Carla Pagani (Società Lombarda di Archeologia)

Restauro dei reperti


Annalisa Gaparetto (SAL); Lori Nistri

Revisione dei testi


Ilaria Piccolini

L’elaborazione e l’informatizzazione dei dati di scavo e lo studio dei reperti sono stati finanziati dalla
Banca d’Italia e dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.

4
SOMMARIO

Presentazione
Filippo M. Gambari p. 7

Premessa
Anna Ceresa Mori » 9

Il quadro storico
Alberto Barzanò » 11

Lo scavo
Anna Ceresa Mori » 37

Via Moneta: analisi culturale delle fasi preromane


Stefania Casini - Marco Tizzoni » 69

La produzione ceramica preromana: analisi delle forme


Stefania Casini - Marco Tizzoni » 177

La ceramica attica
Claudia Lambrugo » 267

La ceramica a vernice nera


Lilia Palmieri » 273

Le lucerne
Marina Ricci » 291

La ceramica a pareti sottili


Sara Masseroli » 301

Le anfore
Patrizia Cattaneo - Diana Dobreva » 309

I kalathoi iberici e gli pseudo-kalathoi


Stefania Casini - Marco Tizzoni » 329

Gli ornamenti metallici di età preromana


Marta Rapi » 339

Instrumenta e recipienti di bronzo


Marina Castoldi » 345

La coroplastica
Rosanina Invernizzi » 351

Le armille di vetro
Marta Rapi » 357

Le monete
Ermanno A. Arslan » 363

5
Gli ossi lavorati
Chiara Bianchi » 377

Il quartiere celtico degli artigiani del metallo di Mediolanum


Costanza Cucini » 387

Analisi di manufatti e scarti metallici di epoca celtica


Costanza Cucini - Maria Pia Riccardi » 451

Le tecniche edilizie
Mauro Rottoli » 461

6
ISSN: 1127-2155 Notizie Archeologiche Bergomensi, 23, 2015 pp. 273-290

La ceramica a vernice nera


Lilia Palmieri

Il repertorio morfologico della ceramica a vernice nera documentata per la fase II dello scavo
di via Moneta appare piuttosto diversificato e comprende una ventina di forme attribuibili sia a
manufatti d’importazione sia a produzioni locali. Per il presente contributo sono stati analizzati
265 frammenti (= 150 esemplari) relativi alle parti significative del vasellame (orli, fondi/piedi,
pareti iscritte).
Tale ricerca va ad incrementare e integrare parzialmente il quadro delle attestazioni della ceramica
a vernice nera tracciato dalla Frontini per Milano1, che nei suoi fondamentali studi sulla presenza di
questo vasellame nel centro urbano aveva posto in evidenza i prodotti d’importazione e identificato
le caratteristiche della produzione locale.
I frammenti analizzati appartengono per la maggior parte alla produzione delle manifatture
locali sviluppatasi a partire dagli inizi del I secolo a.C. e risultano caratterizzati da corpi ceramici
compatti e mediamente depurati di colore bruno beige e da un rivestimento nero-bruno opaco,
spesso in pessimo stato di conservazione. Non mancano tuttavia esemplari d’importazione
provenienti dai centri dell’Etruria settentrionale, tra cui Volterra, con frammenti riconoscibili per
il corpo ceramico fine, duro e compatto di colore beige e il rivestimento uniforme e coprente, e
Arezzo, con frammenti dal corpo ceramico duro e compatto di colore rosato e dal rivestimento
coprente e lucente, prodotti tra la seconda metà del II e il terzo quarto del I secolo a.C. Nell’analisi
tipologica sono stati inseriti, dunque, esemplari inquadrabili in un orizzonte cronologico compreso
tra il II e il terzo quarto del I secolo a.C., con la rilevante eccezione di un nucleo di frammenti di
produzione volterrana ascrivibili al III secolo a.C., che, sebbene residui, attestano tuttavia i precoci
contatti tra il centro milanese e l’Etruria settentrionale2.

Le forme
Coppa Lamboglia 1. La coppa Lamb. 1 è attestata da un unico frammento rinvenuto in
giacitura secondaria (US 1052). Il recipiente presenta due sottili scanalature sotto l’orlo che ne
permettono un’attribuzione alla variante morfologica più antica (variante A) e un inserimento
nella serie Morel 2323. La forma, da ricondurre alle produzioni B-oidi delle officine attive tra
Campania settentrionale e Lazio meridionale, è particolarmente diffusa tra la fine del II e la prima
metà del I secolo a.C. e, sebbene risulti già documentata a Milano3, il frammento di via Moneta è
l’unico a conservarne il profilo completo (fig. 1:1).

Pisside Lamboglia 3. Appartengono presumibilmente alla produzione locale i due frammenti


relativi alla medesima pisside Lamb. 3 (da US 1964B ), le cui caratteristiche morfologiche mostrano
una chiara adesione ai modelli etrusco-settentrionali: si tratta, infatti, di un esemplare pertinente
alla variante antica a profilo continuo (fig. 1:2), riconosciuta dalla Frontini attraverso l’analisi dei
corredi tombali della Lombardia e accostabile alla serie Morel 75444, ascrivibile a un orizzonte

1) FRONTINI 1985, EADEM 1986, EADEM 1991, 3) FRONTINI 1991, p. 23 e tav. I:1.
FRONTINI et Al. 1998.
4) FRONTINI 1985, p. 10.
2) Per una comunicazione preliminare dei dati vd.
LOCATELLI-RIZZI 2000.

273
cronologico compreso tra l’ultimo quarto del II e i primi decenni del I secolo a.C. Di grande
interesse risulta essere la presenza di una pisside miniaturistica (fig. 1:3) rinvenuta in giacitura
secondaria (US 1607A), della variante a profilo continuo e le cui caratteristiche tecno-morfologiche
escluderebbero una pertinenza alla produzione locale5. Sebbene la forma continui a risultare
scarsamente attestata a Milano6, così come in molti scavi urbani dell’Italia settentrionale (con qualche
eccezione)7, la presenza nello scavo della pisside Lamb. 3 nella sua variante antica risulta di grande
importanza poiché in giacitura primaria, permettendone così un inquadramento cronologico
puntuale anche in contesto urbano e ricollegandone la produzione alle botteghe locali attive all’inizio
del I secolo a.C.

Piattello su alto piede Lamboglia 4. Sette frammenti risultano attribuibili al tipo Lamb. 4,
corrispondenti a 4 esemplari di piattello su alto piede pertinenti alla specie Morel 1410. Due
esemplari appartengono alla produzione volterrana: se il primo piattello costituito da 4 frammenti
(da US 1187A) mostra un profilo interamente ricostruibile avvicinabile alla serie Morel 1414 (fig.
1:4), caratterizzato da un orlo a tesa pendente e leggermente concava, il secondo (da US 1889),
rinvenuto in giacitura secondaria, conserva soltanto il profilo del piattello, caratterizzato da un
orlo a tesa orizzontale e leggermente concava e accostabile alla serie Morel 1411 (fig. 1:5). Due
frammenti pertinenti alla tesa dell’orlo sono riconducibili alla produzione locale8, per i quali, nel
solco di quanto già affermato dalla Frontini per gli scavi MM3, si può proporre una datazione alla
prima metà del I secolo a.C. 9, in concomitanza con l’avvio delle officine artigianali milanesi (fig. 1:6).
Il piattello su alto piede, tuttora assente nei corredi tombali della Lombardia e del Piemonte,
risulta tuttavia documentato negli scavi urbani dell’Italia settentrionale, tra la metà del II e la metà
del I secolo a.C.: è attestato, infatti, sia con materiali d’importazione sia con produzioni locali a
Ivrea 10, Cremona11 , Calvatone12 , Piacenza13, Parma14 e in area emiliana15 , mentre continua a
constatarsene l’assenza a Brescia.

Patera Lamboglia 5. La patera Lamb. 5 risulta una delle forme più documentate nel repertorio
morfologico in esame, con cinquantanove frammenti pertinenti a ventidue esemplari. Le varianti
maggiormente documentate risultano quelle più antiche, caratterizzate da un profilo a linea curva
continua, carena arrotondata e vasca piuttosto profonda (specie Morel 2250), mentre pochi esemplari
sono riconducibili alla variante più recente a carena spigolosa (Morel 2280). La specie Morel 2250,
che si caratterizza per l’attaccatura arrotondata dell’orlo alla parete, è documentata dalle serie
Morel 2252 e 2255, pertinenti a un orizzonte cronologico compreso tra l’ultimo quarto del II e i
primi decenni del I secolo a.C. Otto patere, piuttosto omogenee per dimensioni, presentano
caratteristiche distintive della serie Morel 2252, con vasca piuttosto profonda e parete obliqua e
sono tutte riferibili alla fase più antica delle produzioni locali16, caratterizzate da un corpo ceramico
compatto e mediamente depurato a dominante bruno beige e da un rivestimento opaco e scrostato
di colore nero-bruno (fig. 1:7-8)17 . Tale variante, derivante da prototipi prodotti in Etruria
settentrionale18, viene prodotta per il mercato locale in diversi siti dell’Italia settentrionale, tra cui

5) Varianti minia turistiche della pisside Lamb. 3 sono 11) GALLI 1996, p. 75, figg. 9-12.
attestate a Calvatone, GRASSI 2008, p. 43; a Parma, BONINI-
CAPELLI 2012, p . 77; nella necropoli di Vale ggio sul 12) GRASSI 2008, p. 44.
Mincio, Valeggio sul Mincio , tav. 15:B2 e tav. 16:C9.
13) CARINI 2008, p. 150.
6) FRONTINI 1991, p. 24.
14) BONINI-CAPELLI 2012, p. 74.
7) La forma risulta attestata nei centri urbani di Cremona,
GALLI 1996, p. 69; a Calvatone, GRASSI 2008, p. 43; a 15) Ad esempio a Bologna, BALDONI 1986, p. 128, fig.
Piacenza, CARINI 2008, p. 149; a Bologna, BALDONI 1986, 112:6; a Reggio Emilia, MALN ATI et Al. 1996, tavv. VI:5 e 8,
p. 126, fig. 112:1-2; a Reggio Emilia, MALNATI 1988, p. 123 X:2; nel Modenese , GIORDANI 1988, p. 38, fig. 16:10.
e MALNATI et Al. 1996, p. 53.
16) FRONTINI 1991, p. 24.
8) Fase II: US 194B; residui: US 27.
17) US 194C, US 267B, US 1135, US 1182D, US 2013, US 2022,
9) FRONTINI 1991, p. 24. US 2058.

10) BRECCIAROLI TABORELLI 1988, n. 26, p. 66; n. 129, 18) PALERMO 2003, pp. 292-293 e 316.
p. 80; n. 144, p. 83.

274
Fig. 1: 1) Coppa Lamb. 1 (Morel 2323); 2-3) pisside Lamb. 3 (Morel 7544); 4-6) pia ttello su alto piede Lamb. 4
(Morel 1410); 7-8) patera Lamb. 5 (Morel 2252); 9-10) patera Lamb. 5 (Morel 2255).

275
Piacenza 19, Bologna20 , Modena e Reggio Emilia21. Appartengono allo stesso periodo e
presumibilmente alle stesse officine i due frammenti di patere Lamb. 5 ascrivibili alla serie Morel
2255, dotate di profilo a linea curva continua (US 1148, fig. 1:9-10). Alla stessa serie possono
essere accostate due patere presumibilmente importate dall’area etrusca settentrionale (da US
1943, US 444/91): una, in particolare, ricomposta da 20 frammenti (fig. 2:11), reca sul fondo una
decorazione composta da una solcatura circolare spiraliforme, sei palmette impresse radialmente,
due cerchi concentrici incisi, una fascia di cinque file di minuti tratti a rotella inclinati a sinistra
delimitata da altre due scanalature concentriche, che trova confronti in analoghi prodotti di
produzione volterrana22. Un unico frammento (US 2013) appartiene alla serie Morel 2254, che si
caratterizza per l’attacco spigoloso dell’orlo alla parete (fig. 2:12) e corrisponde alla variante più
recente della patera Lamb. 5 prodotta dalle botteghe locali tra il secondo e il terzo quarto del
I secolo a.C.23. Sette frammenti possono essere assegnati con una certa sicurezza alla specie Morel
2280, variante diffusa nei decenni centrali del I secolo a.C. e anch’essa caratterizzata dalle pareti
della vasca orizzontali e dall’attacco tra orlo e parete a spigolo vivo: in particolare, due frammenti
(da US 70 e US 1187A) per le caratteristiche tecniche possono essere ascritti alla produzione
locale, mentre per cinque frammenti 24, accostabili alla serie Morel 2286/2287, è possibile ipotizzare
un’importazione dalle officine dell’Etruria settentrionale, presumibilmente da Arezzo (fig. 2:13-
14). I frammenti d’importazione sono caratterizzati da una certa uniformità, con il fondo orizzontale,
l’orlo ripiegato quasi ad angolo retto, a sezione triangolare con angoli stondati, che si allarga verso
la base, lati rettilinei e non bombati: le stesse caratteristiche si riscontrano in altri esemplari rinvenuti
a Milano e attribuiti a fabbriche aretine, datati genericamente al I secolo a.C.25.
In alcuni casi l’esiguità dei frammenti consente solo una generica attribuzione al tipo Lamb. 5,
senza che se ne possa definire con certezza la variante.
Tre esemplari26, infine, possono essere attribuiti alla specie Morel 2820, documentati da
frammenti molto esigui (figg. 2:15-16, 3:17); per le caratteristiche tecniche e morfologiche trovano
confronti puntuali con recipienti riferibili a un momento iniziale delle produzioni locali (primi
decenni I secolo a.C.)27.

Patera Lamboglia 6. Le patere Lamb. 6 documentate sono per lo più riconducibili alla
variante più antica ad ampia tesa, prodotta dal II secolo a.C. fino all’inizio del secolo successivo,
quando la diffusione dei prototipi etruschi nei centri dell’Italia settentrionale fornisce un modello
per le rielaborazioni create dalle officine padane nella prima metà del I secolo a.C.; risulta attestata
in Lombardia e in Piemonte quasi esclusivamente in contesti urbani, in particolare a Ivrea, Milano,
Piacenza, Brescia, Cremona, Calvatone, Mantova e Parma28. Tale variante, corrispondente alla
serie Morel 1443, è documentata da venticinque esemplari sia d’importazione sia di produzione
locale. Per questo tipo gli esemplari d’importazione sembrano prevalere sulle produzioni locali29.
Sono documentati, infatti, sedici esemplari importati probabilmente dalle officine dell’Etruria
settentrionale e prodotti nel II secolo a.C.: tra questi, sette sono accostabili a prodotti volterrani,
mentre l’impasto e il rivestimento di un solo frammento ne consigliano l’attribuzione alla produzione
aretina. Tutti i frammenti analizzati, sia di importazione che di produzione locale, presentano il

19) CARINI 2008, p. 133. 27) FRONTINI 1991, p. 24.

20) BALDONI 1986, pp. 18-129, fig. 112:7-8. 28) Per Ivrea BRECCIAROLI TABORELLI 1988; per Milano
FRONTINI 1991, p. 25; per Piacenza CARINI 2008, pp. 135-
21) A Reggio Emilia, MALNATI et Al. 1996, tav. VIII:8; nel 136; per Brescia FRONTINI-ONGARO 1996, p. 65; per
Modenese, GIORDANI 1988, p. 37, f igg. 4-5. Cremona GALLI 1996, p. 70, CROCI 1996, p. 139; per
Calvatone GRASSI 2008, pp. 48-50; per Mantova TAMASSIA
22) CARINI 2008, p. 155, tav. 42:6. 1970, p. 23, fig. 10:g; per Parma BONINI-CAPELLI 2012, pp.
74-75.
23) FRONTINI 1991, p. 24.
29) Produzione volterrana: US 188, US 1302, US 1958, US
24) US 1148, US 1187, US 1187A. 1963, US 1996, US 2058, US 444/91; produzione aretina: US
1139; pr oduzione locale: US 70, US 188, US 194B, US 194C,
25) FRONTINI 1991, p. 24. US 1139, US 1145, US 1759, US 1996, US 2061.

26) US 1135, US 1148, US 444/91.

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Fig. 2: 11) Patera Lamb. 5 (Mor el 2255); 12) patera Lamb. 5 (Morel 2254); 13-14) patera Lamb. 5 (Mor el 2280)
(14, rid. 1:3); 15-16) patera Lamb. 5 (Morel 2820).

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profilo dell’orlo caratterizzato da tesa orizzontale (fig. 3:18-23), mentre un unico esemplare di
produzione locale mostra una tesa flessa (fig. 3:24), più incurvata e pendente, che rimanda ai tipi
in volterrana D di Luni30, riproposti abbastanza fedelmente nelle produzioni padane31.

Coppetta Lamboglia 8. Due coppette (da US 194B e US 1387), accomunate da parete più
o meno aperta e da orlo indistinto non sagomato, sono riconducibili alla forma Lamb. 8, accostabile
alla serie Morel 2245, rivestite da una vernice opaca di buona qualità (fig. 4:25). Si tratta di una
forma poco diffusa in Lombardia e in generale in Italia settentrionale: rara in contesti funerari,
risulta maggiormente attestata nei contesti urbani, tra cui Piacenza, Cremona, Calvatone32 e Milano,
dove gli esemplari sono attribuiti in maggioranza a officine volterrane33.

Olletta biansata Lamboglia 10. I 6 frammenti (da US 1187) riconosciuti come pertinenti a
un’olletta biansata Lamb. 10 di produzione volterrana accostabile alla specie Morel 3450 (fig.
4:26) portano a due esemplari le attestazioni di tale recipiente per il centro urbano di Milano,
sebbene il frammento proveniente dagli scavi di Santa Maria alla Porta sia inquadrato nell’ambito
della produzione locale34. Il tipo è prodotto dai centri della Campana B e in area volterrana35,
dove è documentato dalla fine del III al I secolo a.C., con un periodo di massima diffusione nel
II secolo a.C., mentre sporadiche risultano le presenze in area lombarda, sia nei corredi tombali
sia nei centri urbani36, tra i quali si distingue Calvatone per la presenza contestuale di due esemplari37.

Coppa Lamboglia 28. Con cinquanta frammenti identificati corrispondenti a ventisei esemplari
la coppa Lamb. 28 risulta il tipo più frequente nel repertorio morfologico in esame dopo la
patera Lamb. 6. La coppa è presente nelle due varianti riconosciute dalla Frontini per la produzione
locale attraverso l’analisi dei corredi tombali della Lombardia38: la prima variante, accostabile alla
serie Morel 2653, è caratterizzata da una vasca piuttosto profonda con carenatura arrotondata e
risulta appartenere a un orizzonte cronologico compreso tra la fine del II e i primi decenni del I
secolo a.C.; la seconda variante, accostabile alla serie Morel 2652 presenta carena angolosa e
solitamente dimensioni leggermente inferiori ed è ascrivibile a un orizzonte cronologico compreso
tra il secondo e il terzo quarto del I secolo a.C. Si sottolinea, tuttavia, il fatto che tale successione
cronologica delle varianti riscontrata nell’analisi dei corredi tombali della Lombardia non deve
essere interpretata troppo rigidamente, poiché è possibile verificare la compresenza delle due
varianti in una medesima unità stratigrafica. Il panorama delle attestazioni rispecchia quanto già
evidenziato per gli scavi MM339, anche se in alcuni casi l’attribuzione a una di queste varianti resta
dubbia e in altri impossibile a causa dello stato di conservazione dei frammenti, che spesso si
limitano a un’esigua porzione dell’orlo. Sono attestate prevalentemente produzioni locali,
caratterizzate per la maggior parte da un corpo ceramico bruno beige e da un rivestimento nero-
bruno, poco uniforme e spesso scrostato.
Quattro esemplari possono essere ascritti alla serie Morel 2653: se per un esemplare si può
ipotizzare una pertinenza alle produzioni dell’Etruria settentrionale e più precisamente alle fabbriche
aretine (da US 444/91; fig. 4:27), gli altri tre recipienti mostrano tutte le caratteristiche tecniche
della produzione locale40 (fig. 4:28-30). Tutti gli esemplari sono caratterizzati da un orlo a brevissima
tesa più o meno aggettante e, sebbene non si conservi integralmente il profilo, l’andamento della
parete, leggermente bombato, permette un’attribuzione alla variante.

30) CAVALIERI MANASSE 1977, p. 87, tav. 62:13. 35) LAMBOGLIA 1952, p. 150; MONTAGN A PASQUINUCCI
1972, p. 315.
31) CARINI 2008, p. 135, tav. 31:2.
36) FRONTINI 1985, p. 14.
32) Per Piacenza CARINI 2008, p. 140; per Cremona
CROCI 1996, p. 142, fig. 18, p. 150 e GALLI 1996, p. 69; per 37) GRASSI 1996, p. 55, figg. 28-29.
Calvatone GRASSI 2008, pp. 52-53.
38) FRONTINI 1985, p. 15.
33) FRONTINI 1991, p. 26.
39) FRONTINI 1991, p. 26.
34) FRONTINI 1986, pp. 310-311.
40) US 1182A, US 1991, US 1996.

278
Fig. 3: 17) Patera Lamb. 5 (Morel 2820); 18-24) patera Lamb. 6 (Morel 1443).

La serie Morel 2652 è documentata da dodici esemplari, uno dei quali è forse riferibile alle
fabbriche di Arezzo (fig. 4:31): tale frammento (da US 1998), caratterizzato da un corpo ceramico
duro e compatto di colore rosato e da un rivestimento coprente e lucente, trova un confronto
molto puntuale con un frammento rinvenuto negli scavi MM3, anch’esso dubitativamente ascritto
dalla Frontini alla produzione aretina, entrambi caratterizzati da un orlo a brevissima tesa appiattito
sulla sommità e da una parete rettilinea41. La studiosa sottolinea come le importazioni aretine di
questa forma risultino scarse se confrontate ad esempio con le importazioni aretine di patere
Lamb. 5 e che tale scarsità non rispecchi una situazione reale, quanto piuttosto la difficoltà di
distinguere i prodotti aretini esclusivamente in base all’esame autoptico e in assenza di analisi

41) FRONTINI 1991, tav. III:24.

279
archeometriche sulle argille42. I restanti undici esemplari43, per i quali è stato possibile l’inserimento
in tale variante, si suppone appartengano a un ambito produttivo locale, considerato il corpo
ceramico di colore prevalentemente bruno beige e un rivestimento opaco ampiamente scrostato.
Quattro coppe conservano un profilo completo e presentano un orlo a brevissima tesa, una
parete rettilinea e una carena angolosa: in particolare, due coppe (figg. 4:32 e 5:33) provenienti
dalla medesima unità stratigrafica (US 70) risultano omogenee per morfologia, presentano la
stessa decorazione a doppie solcature concentriche sul fondo e un segno graffito al centro del
piede – rispettivamente una lettera A e una sorta di asterisco – e mostrano la vernice parzialmente
alterata – contorno circolare netto di colore rosso sul fondo e impronte digitali intorno al piede
– quale effetto della verniciatura “a tuffo” e della cottura “a impilamento” del vasellame. Uno dei
due esemplari presenta, inoltre, una decorazione esterna con un motivo a rotella caratterizzato da
tratti leggeri e sottili appena visibile immediatamente sotto l’orlo. Due esemplari, infine, mostrano
caratteristiche peculiari, che li fanno rientrare, pur con qualche dubbio, nel tipo in esame. Il primo
esemplare (fig. 5:34), dal profilo completo, è caratterizzato da un orlo leggermente ingrossato e
appiattito, per il quale è stato proposto un confronto con una coppa carenata ascritta alla serie
Morel 294444, che tuttavia non presenta un orlo dalla sommità appiattita e orizzontale, come nel
caso dell’esemplare in esame, ma inclinato. Da segnalare, sulla parete interna del recipiente,
un’iscrizione composta da quattro lettere, di difficile interpretazione. Anche il secondo esemplare
(fig. 5:35) mostra un orlo leggermente ingrossato e appiattito superiormente associato a un profilo
rettilineo della parete, che per le sue caratteristiche tecniche può forse essere attribuito a una fase
iniziale e “sperimentale” delle officine locali (inizi del I secolo a.C.).

Coppe Lamboglia 31 e 33. Le coppe coniche rinvenute sono riconducibili sia alla forma
Lamb. 31 sia alla forma Lamb. 33. Alla coppa Lamb. 31 nella variante a, corrispondente alla
specie Morel 2950, è ascrivibile un unico frammento residuale rinvenuto in giacitura secondaria
(US 697), caratterizzato da un orlo semplice indistinto con banda suddipinta in bianco sotto l’orlo
interno (fig. 5:36): tale coppa, prodotta dall’inizio del III alla metà del I secolo a.C. quasi
esclusivamente in Campana A, raggiunse molti siti costieri del Mediterraneo occidentale45 e alcuni
siti nord-italici46.
Un esemplare (US 1354) affine alla coppa Lamb. 31b, prodotta a partire dalla fine del III
secolo a.C. e diffusa soprattutto in Etruria e in Italia settentrionale nel II secolo a.C., presenta
caratteristiche tecno-morfologiche che permettono di accostarlo alle produzioni dell’Etruria
settentrionale (fig. 5:38): risulta, infatti, caratterizzato da un corpo ceramico rosato duro e compatto
e da un rivestimento lucido e coprente e può essere inserito nella serie Morel 2615 per le pareti
piuttosto sottili e un orlo indistinto segnato all’interno da una scanalatura.
Due recipienti sono riferibili alle due varianti conosciute per la coppa Lamb. 33: il primo
esemplare (da US 1145; fig. 5:37), caratterizzato da un corpo ceramico beige rosato duro e
compatto e da un rivestimento nero e opaco, può essere ascritto alla variante a della coppa (serie
Morel 2154) per l’orlo lievemente ispessito, smussato verso l’interno e sottolineato da una larga
solcatura, e per le pareti rettilinee e trova confronti puntuali con pochi esemplari di fabbrica locale
attestati in alcuni siti dell’Italia settentrionale47; il secondo esemplare (da US 188; fig. 5:39), certamente
di dimensioni maggiori e caratterizzato da un corpo ceramico bruno beige compatto con piccoli
inclusi neri e un rivestimento bruno opaco, per l’orlo indistinto segnato all’esterno da una doppia
solcatura, può essere inserito nella variante b della forma e accostato alla serie Morel 2573. Entrambi
gli esemplari, per le caratteristiche tecno-morfologiche riconosciute, possono essere ascritti a un
momento iniziale della produzione delle officine locali (inizi I secolo a.C.).

42) FRONTINI 1991, p. 26. 46) A Piacenza CARINI 2008, p. 146; a Bologna BALDONI
1986, pp. 137-138; a Reggio Emilia MALNATI et Al. 1996, p.
43) US 70, US 194C, US 267A, US 1139, US 1928, US 1996, 52, tav. IX:10.
US 1998, US 2013, US 2043.
47) Per Piacenza CARINI 2008, p. 147, tav. 39:7; per Adria
44) LOCATELLI-RIZZI 2000, pp. 115-116. FIORENTINI 1963, p. 32, fig. 16:7; per Bologna BALDONI
1986, p. 138.
45) LAMBOGLIA 1952, pp. 180-181.

280
Fig. 4: 25) Coppetta Lamb. 8 (Morel 2245); 26) olletta biansata Lamb. 10 (Morel 3450);
27-30) coppa Lamb. 28 (Morel 2653); 31-32) coppa Lamb. 28 (Morel 2652).

281
Patera Lamboglia 36. Sono stati identificati soltanto due frammenti (da US 194B e US
1145) pertinenti a due patere Lamb. 36 (fig. 6:40), in particolare due frammenti, accostabili alla
serie Morel 1315, con ampio orlo a tesa ricurva caratterizzati da un corpo ceramico bruno-rosato
duro e compatto e da un rivestimento nero-bruno, caratteristiche che ne fanno ipotizzare una
produzione locale. Tale patera, diffusa in Italia settentrionale in particolare tra la seconda metà del
II e la prima metà del I secolo a.C., compare in grandi quantità nei contesti funerari soprattutto
nella versione acroma48, mentre esigue risultano le attestazioni nei contesti urbani, tra i quali si
distinguono Piacenza, Calvatone, Parma e Bologna49.

Coppetta Lamboglia 51. Un solo esemplare residuale rinvenuto in giacitura secondaria (US
109) attesta la presenza della coppetta Lamb. 51 (fig. 6:41): tale frammento risulta tuttavia di
grande interesse poiché si tratta della prima attestazione della forma nel centro urbano di Milano.
La coppetta appartiene alla serie Morel 2525, morfologicamente definita da un corpo piuttosto
largo e parete raccordata al limite inferiore del collarino, e si caratterizza per un corpo ceramico
rosato con piccoli inclusi neri e un rivestimento nero opaco, scrostato in alcuni punti. Si ritiene che
il recipiente possa appartenere alla produzione padana, confrontabile con esemplari rinvenuti in
contesti tombali lombardi, a Calvatone e a Mantova50. Il tipo risulta in generale poco diffuso in
Italia settentrionale, dove la maggior parte delle attestazioni possono essere ricondotte a contesti
pertinenti a un orizzonte cronologico di II secolo a.C.
Coppe a orlo ingrossato. Le coppe a orlo ingrossato rappresentano una novità nel repertorio
formale noto per il centro urbano di Milano: si tratta di coppe emisferiche non molto profonde,
pertinenti alla serie Morel 2538, caratterizzate da orli variamente configurati, la cui variazione
morfologica non sembra tuttavia corrispondere a una scansione cronologica puntuale. I prototipi
di tale forma devono essere ricercati in ambito etrusco e nel III e II secolo a.C.51 e sono
ampiamente esportati in Italia settentrionale, dove incontrano un grande favore presso alcuni
centri emiliani e della Lombardia orientale, che li rielaborano per adattarli al mercato locale52. Gli
esemplari documentati presentano caratteristiche tecniche – corpo ceramico di colore beige rosato
duro e compatto e rivestimento nero opaco – che permettono di collocarli nell’ambito delle
produzioni locali databili tra la fine del II e i primi decenni del I secolo a.C. Sei esemplari53
possono essere ascritti a tale tipologia e ben tre sono le varianti morfologiche dell’orlo individuate.
Due frammenti presentano orlo a sezione circolare, ma caratteristiche morfologiche differenti: se
il primo frammento appartiene a una coppa con pareti arrotondate e vasca profonda (fig. 6:42),
il secondo frammento presenta una più accentuata curvatura della parete della vasca (fig. 6:43),
che risulta così poco profonda, e trova confronti molto puntuali con esemplari rinvenuti a Cremona,
Calvatone e Mantova 54. Due frammenti presentano orlo a sezione triangolare (fig. 6:44-45), anche
in questo caso con delle variazioni evidenti, poiché la conformazione triangolare risulta più o
meno rigida. Due frammenti, infine, pertinenti a coppe emisferiche con vasca piuttosto profonda,
presentano un orlo a sezione subrettangolare (fig. 6:47-48): tali frammenti possono essere accostati
ad alcuni esemplari rinvenuti a Piacenza e riconosciuti come pertinenti a produzioni etrusco-
settentrionali della fine del II-inizi del I secolo a.C.55. Un solo frammento caratterizzato da un orlo
a mandorla (da US 1783; fig. 6:46) non sembra di produzione locale e trova un confronto molto
puntuale con un esemplare rinvenuto ad Adria e datato al terzo quarto del III secolo a.C.56.

48) FRONTINI 1985, pp. 16-17. a Mantova FRONTINI 1987, pp. 136-137; a Modena
GIORDANI 1988, p. 36, fig. 14:12; ad Adria FIORENTINI
49) Per Piacenza CARINI 2008, pp. 136-137; per Calvatone 1963, figg. 5:7 e 8:6.
GRASSI 2008, pp. 55-56; per Parma BONINI-CAPELLI
2012, p. 74; per Bologna BALDONI 1986, pp. 132-133. 53) US 210, US 1783, US 1928, US 1963, US 2031, US 433/91.

50) Per le necropoli FRONTINI 1985, p. 17; per Calvatone 54) Per Cremona GRASSI 1996, p. 57 e note 85-86 p. 62; per
GRASSI 2008, pp. 56-57; per Mantova TAMASSIA 1970, p. Calvatone GRASSI 2008, p. 58 e tav. 12:4; per Mantova
23; fig. 10:q, p. 22. TAMASSIA 1970, fig. 10:p.

51) MONTAGNA PASQUINUCCI 1972, p. 94. 55) CARINI 2008, p. 143 e ta v. 35:5.

52) Ad esempio a Calvatone GRASSI 2008, pp. 58-60; 56) FIORENTINI 1963, fig. 8:6.

282
Fig. 5: 33-35) Coppa Lamb. 28 (Mor el 2652); 36) coppa Lamb. 31 (Mor el 2950);
37) coppa Lamb. 33 (Mor el 2145); 38) coppa Lamb. 31 (Mor el 2615); 39) coppa Lamb. 33 (Mor el 2573).

283
Altre forme. Si riportano di seguito alcuni frammenti che per la loro rarità e antichità rivestono
uno straordinario interesse nel repertorio morfologico attestato per il centro urbano di Milano,
sebbene rinvenuti in giacitura secondaria nei contesti dello scavo di via Moneta e dunque da
considerarsi residuali57.
Quattro frammenti appartengono a una patera mesonfalica Mont. 63 (serie Morel 2173) 58,
recipiente rituale di tradizione greca derivato da prototipi metallici (fig. 7:49). Le officine che
producono tale forma si situano da un lato al confine campano-laziale, dall’altro in area etrusca
meridionale e soprattutto settentrionale59, e pochi sono i recipienti rinvenuti in Italia settentrionale60.
L’esemplare milanese, di cui si conserva parte del fondo, mostra una decorazione impressa composta
da quattro palmette delimitate da una doppia solcatura circolare, risulta di produzione volterrana
ed è ascrivibile a un orizzonte cronologico di III secolo a.C.
Si inquadrano nel medesimo ambito produttivo e cronologico sette frammenti pertinenti a
quattro forme differenti. Quattro frammenti appartengono rispettivamente a due grandi coppe
omogenee Mont. 116 (serie Morel 2615)61 e Mont. 120 (serie Morel 2575)62: entrambi gli esemplari,
caratterizzati da un corpo ceramico di colore beige rosato e da un rivestimento nero lucido,
presentano al di sotto di un orlo semplice e verticale, sia all’interno sia all’esterno, una serie di sottili
scanalature accuratamente incise (fig. 7:50-51).
Un frammento, con corpo ceramico di colore beige rosato e rivestimento nero, coprente e
sottile, è molto probabilmente riconducibile a un colino Mont. 125 (serie Morel 6411)63: si conserva
l’orlo, distinto e pendente e decorato da una serie di ovoli abbastanza regolari e di fattura accurata,
e una piccola porzione di parete, che suggerisce la presenza di una vasca molto bassa e svasata, a
cui doveva essere applicato il bulbo perforato di forma ogivale qui perduto (fig. 7:52). Due
frammenti, infine, caratterizzati da un corpo ceramico duro e compatto di colore beige e da un
rivestimento spesso, nero e lucente, sembrano attribuibili a due esemplari di craterisco Mont. 140
(serie Morel 3561)64, di cui non è possibile definire la variante, poiché in entrambi i casi si è
conservata soltanto una piccola porzione dell’orlo decorato da ovoli regolari (fig. 7:53-54). Tale
forma, tipica della fabbrica di Malacena nell’ambito del III secolo a.C., risulta attestata anche ad
Adria in contesto funerario65 e a Piacenza in contesto urbano66.

Fondi e piedi decorati. Sono soltanto due i frammenti di fondi e piedi che rivestono un
qualche interesse, poiché la maggior parte di essi rientra nelle due varianti con profilo esterno à
bourrelet e profilo interno a linea spezzata, appartenente alla produzione aretina del I secolo a.C. 67,
e con profilo semplice, a linea continua internamente e con profilo esterno arrotondato, pertinenti
a fondi e piedi di patere e coppe di produzione locale.
Il primo frammento (da US 188) appartiene a una patera caratterizzata da un corpo ceramico
di colore rosato duro e compatto con rivestimento di colore nero coprente e lucente, che presenta
sul fondo una decorazione composta da quattro stampiglie impresse entro cartiglio quadrangolare
disposte radialmente intorno a una ombelicatura centrale, racchiuse da una doppia solcatura e da
una fascia circolare decorata da una rotellatura finissima (fig. 8:55). Il bollo appare composto da
un ovale allungato, intersecato ortogonalmente da un elemento allungato tra una coppia di C
contrapposte con estremità ingrossate. I prodotti caratterizzati da questo tipo di stampiglia, che
compare nelle produzioni dell’Etruria settentrionale del II-I secolo a.C.68, hanno conosciuto una

57) US 475I, US 813, US 1812, US 1889, US 444/91. I frammenti 63) MONTAGN A PASQUINUCCI 1972, pp. 396-398.
sono stati recentemente pubblicati in CERESA MORI 2015.
64) MONTAGN A PASQUINUCCI 1972, pp. 424-427.
58) MONTAGNA PASQUINUCCI 1972, pp. 351-358.
65) TAMASSIA 1993, p. 104, fig. 25:1.
59) BALLAND 1969, p. 107; CRISTOFANI 1973, p. 264, f ig.
172:14. 66) CARINI 2008, p. 151.

60) A Piacenza CARINI 2008, p. 138; a Parma BONINI- 67) FRONTINI 1991, p. 27.
CAPELLI 2012, p . 75, tav. 4:6; a Forlì CORTI 2013, p . 169.
68) BALLAND 1969, p. 153, tav. 16:3.
61) MONTAGNA PASQUINUCCI 1972, pp. 385-386.

62) MONTAGNA PASQUINUCCI 1972, pp. 389-391.

284
Fig. 6: 40) Patera Lamb. 36 (Morel 1315); 41) coppetta Lamb. 51 (Morel 2525);
42-48) coppe a orlo ingrossato (Morel 2538).

285
Fig. 7: 49) Patera mesonf alica Mont. 63 (Morel 2173); 50) coppa Mont. 116 (Morel 2615);
51) coppa Mont. 120 (Morel 2575); 52) colino Mont. 125 (Morel 6411); 53-54) craterisco Mont. 140 (Morel 3561).

286
Fig. 8: 55-56) Piedi decor ati con stampiglie.

certa diffusione in Italia settentrionale69 nel corso del I secolo a.C., raggiungendo anche il
Magdalensberg70.
Il secondo frammento (da US 1307) appartiene anch’esso a una patera che mostra le medesime
caratteristiche tecno-morfologiche del frammento precedente, ma risulta di dimensioni maggiori.
L’esemplare presenta sul fondo una decorazione composta da quattro stampiglie impresse entro
cartiglio quadrangolare disposte radialmente intorno a una ombelicatura centrale, racchiuse da
una doppia solcatura concentrica (fig. 8:56). All’interno del bollo si distinguono “C contrapposte”,
conformate a pelta, inframmezzate da un elemento allungato. Il motivo risulta ancora una volta
tipico della produzione aretina e diffuso in Italia settentrionale nel corso del I secolo a.C.71.

Osservazioni conclusive
L’analisi della ceramica a vernice nera recuperata nei livelli di fase II dello scavo di via Moneta
permette di distinguere tre segmenti cronologici, corrispondenti a una significativa concentrazione
di materiali, che forniscono dati interessanti in merito alla circolazione e alla produzione di tale
classe ceramica nel centro urbano di Milano. Il repertorio morfologico descritto rientra
sostanzialmente nel quadro delle attestazioni già noto dai precedenti studi condotti dalla Frontini,
con qualche novità.
Sono stati identificati frammenti d’importazione e frammenti di produzione locale, distribuiti
lungo un arco cronologico compreso tra il secondo e il terzo quarto del I secolo a.C. (fig. 9).
Il mercato delle importazioni è dominato dalle produzioni delle officine dell’Etruria
settentrionale, con particolare riferimento ai centri di Volterra e Arezzo. Gli esemplari ascrivibili
alla produzione volterrana sono tutti riconducibili a un orizzonte cronologico di pieno II secolo
a.C.: risultano documentati frammenti pertinenti a piattelli su alto piede Lamb. 4 (Morel 1410),

69) Ad esempio ad Adria BUORA 2011, p. 108, fig. 33; a 70) SCHINDLER 1967, tav. 4:p.
Forlì CORTI 2013, p. 175, VN 16, p. 176.
71) GRASSI 2003, pp. 97-98.

287
patere Lamb. 5 (Morel 2255) e Lamb. 6 (Morel 1443) e l’olletta biansata Lamb. 10 (Morel 3450).
A tali frammenti rinvenuti in giacitura primaria si devono aggiungere alcuni frammenti rinvenuti in
giacitura secondaria, ma di grande interesse sotto il profilo morfologico. Si tratta di un nucleo di
recipienti che mostrano caratteristiche peculiari della produzione volterrana del III secolo a.C.: gli
esemplari appartengono, infatti, a forme particolari, come la patera mesonfalica Mont. 63 (Morel
2173), le grandi coppe Mont. 116 (Morel 2615) e Mont. 120 (Morel 2575), il colino Mont. 125
(Morel 6411) e il cratere Mont. 140 (Morel 3561), che sono stati in via del tutto ipotetica accostati
all’ambito rituale72.
Alle fabbriche aretine di ceramica a vernice nera sono stati ascritti frammenti pertinenti a
patere Lamb. 5 (Morel 2280) e Lamb. 6 (Morel 1443) e coppe Lamb. 28 (Morel 2652 e 2653),
oltre ad alcuni fondi decorati da stampiglie, riconducibili a un orizzonte cronologico compreso
tra la seconda metà del II e il I secolo a.C.
Risulta confermata dalla sequenza stratigrafica e dall’associazione dei materiali l’ipotesi formulata
dalla Frontini in merito a una sostituzione delle importazioni aretine a quelle volterrane tra la fine
del II e l’inizio del I secolo a.C.73: a prodotti di un certo pregio probabilmente destinati a una
ristretta cerchia di acquirenti subentrano, dunque, alla fine del II secolo a.C. ceramiche a vernice
nera aretine, che a partire dal I secolo a.C. si trovano a coesistere sul mercato con i prodotti delle
officine locali.
La maggior parte del materiale analizzato è riconducibile, infatti, a una produzione locale,
caratterizzata da manufatti di qualità variabile: sono attestate le forme Lamb. 3 (Morel 7544),
Lamb. 4 (Morel 1410), Lamb. 5 (Morel 2252, 2254, 2255, 2820, 2280), Lamb. 6 (Morel 1443),
Lamb. 8 (Morel 2245), Lamb. 28 (Morel 2652, 2253), Lamb. 36 (Morel 1315) e Lamb. 31/33
(Morel 2154, 2573, 2615). Rappresentano una novità nel repertorio morfologico milanese la
presenza della coppetta Lamb. 51 (Morel 2525) da attribuire alla produzione padana e soprattutto
le coppe a orlo ingrossato (Morel 2538), attestazioni funzionali ad attenuare la dicotomia tra
Lombardia occidentale e Lombardia orientale nella diffusione di alcune forme. Queste ultime, in
particolare, ben rappresentano il processo di rielaborazione di prototipi importati messo in atto
dalle officine locali.
Intorno ai decenni centrali del I secolo a.C. si assiste a una standardizzazione della produzione
locale – fenomeno ampiamente riconosciuto per molte aree dell’Italia settentrionale –, che si
limita a poche e semplici forme e a uno scadimento qualitativo: a tale periodo sono ascrivibili
quasi esclusivamente frammenti di patere Lamb. 5 e di coppe Lamb. 28, le forme più comuni e
più diffuse in questo periodo in Lombardia sia nei contesti tombali sia nei contesti urbani.
Lilia Palmieri
Dipartimento Beni Culturali e Ambientali
Università degli Studi
via Festa del Perdono 7
I-20122 Milano
lilia.palmieri@gmail.com

Summary
The black-glazed potter y. The paper focuses on the b lack-g lazed potter y found in the 2nd phase of via Moneta
excavation. The sherds provide interesting da ta on production and trade of this pottery in ancient Milan. We
identified imported and local sherds, dated between the 2nd century and the 3rd quarter of the 1st century BC. The
workshops of Northern Etr uria, in par ticular those of Volter ra and Arezzo, dominate the imports. Volterra vases are
all dated back to the 2 nd century BC, except for an exceptional group of mostly residual sherds dated to the 3rd century
BC. At the end of the 2nd century BC these high quality products destined to a few buyers are replaced by Arretine
ware. Starting from the 1st century BC Arretine vases co-exist on the market with local products, which, after an
“experimental” phases of copying the imported prototypes, become standardized around the mid 1st century BC.

72) LOCATELLI-RIZZI 2000, p. 113. 73) FRONTINI 1991, p. 29.

288
Fig. 9. Tabella riassuntiva delle forme presenti nelle unità str atigrafiche di via Moneta.

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