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Le differenze più notevoli sono tra la prima e la seconda stesura: nella prima il testo
presenta tratti romanzeschi e ha una struttura che procede per blocchi separati, una lingua
che risente molto del francese e dei modelli letterari (sono presenti infatti francesismi e
frasi in dialetto lombardo).
Nel 1824 inizia quindi il lavoro di revisione che si conclude nel 1827. Nell’edizione del ’27
varia l’intreccio, che diviene più agile e mobile; varia la lingua, che approda la scelta del
toscano; predomina sul romanzesco un tono realistico, che comporta l’evidenza del
quotidiano (vero storico), ma anche un approfondimento psicologico nella
rappresentazione dei personaggi. I personaggi modificano il loro nome (Fermo Spolino
diventa Renzo Tramaglino, filatore di seta, come ricorda il cognome; Lucia Zarella si
chiama Lucia Mondella; fra Galdino, il cappuccino che protegge i fidanzati, assume il
nome di padre Cristoforo; il Conte del Sagrato riceve la misteriosa denominazione
dell'innominato, Marianna De Leyva diventa l'anonima monaca di Monza). Solo don
Rodrigo rimane immutato, anzi, risulta peggiore. Sembra che Manzoni voglia davvero fare
di lui l'incarnazione del male di tutto un secolo. Nel Fermo e Lucia, infatti, egli è scosso da
una vera passione per la ragazza e vive una tremenda crisi di gelosia nei confronti di
Fermo. La sua persecuzione, in fondo, nasce da un sentimento che potrebbe, se non
giustificarla, renderla umanamente comprensibile. Nella redazione successiva, invece, gli
ostacoli che frappone alle nozze nascono da una futile scommessa stipulata con il cugino
Attilio, superficiale e prepotente come lui.
Gli anni compresi tra il 1827 e il 1840 sono dedicati a una attenta ricerca di un linguaggio
vivo: la lingua è ancora rinnovata in direzione del fiorentino.
L'autore è da tempo interessato alla questione della lingua, che in Italia è dibattuta sin dal
XIII secolo. Infatti gli Italiani, divisi politicamente, si sentono uniti nella cultura e,
nell'Ottocento, aspirano ad una lingua letteraria che sia nazionale.
Perciò il Manzoni, che vuole fare del suo romanzo un'opera italiana, e non lombarda,
mobilita la famiglia, per trasferirsi a Firenze qualche tempo. Ha bisogno di imparare il
toscano parlato dalle classi colte, per frequenti e determinanti correzioni al linguaggio della
narrazione.
Nel 1840 esce così la versione definitiva intitolata “I Promessi Sposi”.
Con quest’opera, mette in evidenza i suoi intenti: la verità storica e l’impegno per l’unità
d’Italia. Egli, per fare ciò si riferisce al Seicento, quando il ducato di Milano viene
conquistato dagli spagnoli ma, in realtà, intende riferirsi il 1800 e agli austriaci per
suscitare lo spirito di ribellione negli italiani. Manzoni, inoltre, per poter raccontare in
maniera realistica il ‘600, si documenta leggendo grida e altri romanzi storici.
Un altro argomento trattato dal Manzoni ne “I Promessi Sposi” è la religione. Egli infatti si
occupa della figura della giustizia umana e della giustizia divina.
Martina Ferrara 2IL
2 MANZONI E LA QUESTIONE DELLA LINGUA
2.1 L’inadeguatezza della lingua letteraria e la soluzione fiorentina
Alessandro Manzoni ha dato un contributo linguistico incalcolabile alla letteratura italiana con la
redazione finale del suo romanzo, I Promessi Sposi, fornendo un nuovo modello di lingua
letteraria, un modello libero dell’antico “cancro della retorica“, come sosteneva un grande
linguista dell’Ottocento, Graziadio Isaia Ascoli.
Manzoni si è lungo dibattuto sul tema della lingua, infatti per il suo romanzo, indirizzato ad un
pubblico più ampio e nel quale venivano trattati problemi vivi nella coscienza contemporanea,
voleva una lingua che fosse facilmente comprensibile e non più legata alla tradizione aulica e
destinata a chi aveva una certa formazione culturale.
Nel carteggio con l’amico Fauriel, (si veda anche il realismo storico di Manzoni), precisamente
nella lettera datata 3 novembre 1821, Manzoni così scrive:
Manca completamente a questo povero scrittore questo sentimento – per così dire – di
comunione col suo lettore, questa certezza di maneggiare uno strumento ugualmente conosciuto
da entrambi.
Si chieda se la frase appena scritta sia italiana: come si potrà dare una risposta sicura a una
domanda che non è precisa? Che cosa significa italiano in tal senso? Secondo certuni [italiano] è
ciò che è consegnato nella Crusca, secondo altri ciò che si capisce in tutta Italia, ovvero dalle
classi colte; la maggior parte non applica a questa parola alcuna idea determinata. Io vi esprimo
qui in maniera vaga e molto incompleta un sentimento reale e doloroso. La conoscenza che Voi
avete della nostra lingua vi suggerirà subito quel che manca alle mie idee, ma temo che essa non vi
indurrà a contestarne il nocciolo. Nel rigore feroce e pedantesco dei nostri puristi c’è a mio avviso
un sentimento generale del tutto ragionevole: è il bisogno di una certa fissità, di una lingua
convenuta fra coloro che scrivono e coloro che leggono. Penso che abbiano solo il torto di
credere che tutta una lingua si trovi nella Crusca e negli scrittori classici e che, quando pure vi
fosse, avrebbero torto anche di pretendere che la vi si cerchi, che s’impari, che ci se ne serva.
Giacché è assolutamente impossibile che dai ricordi della lettura risulti una conoscenza sicura,
vasta, applicabile a ogni istante di tutto il materiale di una lingua. Ditemi che cosa debba fare oggi
un italiano che, non sapendo fare altro, voglia scrivere. Quanto a me, disperando di trovare una
regola costante e speciale per far bene questo mestiere, credo tuttavia che vi sia anche per noi una
perfezione approssimativa di stile, e che per trasferirla il più possibile nei propri scritti bisogni
pensare molto a quel che si dirà, aver letto molto gli italiani detti classici e gli scrittori di altre
lingue, soprattutto francesi, aver parlato di temi importanti con i propri concittadini, e che con
ciò si possa acquisire una certa prontezza nel trovare nella lingua cosiddetta ‘buona’ quel che
essa può fornire ai nostri bisogni attuali, una certa attitudine a estenderla con l’analogia, e un
certo qual tatto per estrarre dalla lingua francese quello che può essere mescolato alla nostra
senza urtare con una forte dissonanza, e senza aggiungervi oscurità. Così, con un lavoro più
penoso e ostinato si farà meno male possibile quel che voi fate quasi senza fatica. Concordo con
Voi che scrivere un romanzo in italiano sia una delle cose più difficili, ma trovo questa difficoltà
in altri soggetti, sebbene a un grado inferiore; e con la conoscenza non completa ma sicura che
ho della imperfezione dell’operaio, sento anche in una maniera pressoché sicura che ve ne ha
molta nella materia.
Lamenta le difficoltà che la lingua italiana oppone alla scrittura di un romanzo, difficoltà che
derivano dalla mancanza di costrutti e specialmente da un “codice” che consenta a chi legge di
comprendere chi scrive.
Manzoni desidera trovare uno strumento comunicativo che sia biunivoco.
Martina Ferrara 2IL
I personaggi principali, ossia i protagonisti, sono ovviamente tre: Renzo, l’eroe; Don Rodrigo,
l’antagonista; e Lucia, che rappresenta l’oggetto del desiderio. Tutti gli altri personaggi si possono
raggruppare in due grandi gruppi: quello dei buoni e quello dei cattivi. Il primo gruppo è costituito
da quelli che aiutano i promessi sposi a realizzare il loro desiderio di sposarsi, mentre i secondi
fanno di tutto per ostacolarli. Bisogna tenere a mente, però, che in realtà nessuno dei personaggi
descritti da Manzoni può essere definito del tutto buono o del tutto malvagio e che diversi
personaggi, nel corso della storia, cambiano molto.
Una prima suddivisione tra i vari personaggi si può comunque fare secondo lo schema vittima-
oppressore. Renzo e Lucia sono le vittime, mentre Don Rodrigo è l'oppressore. Gli alleati di Don
Rodrigo sono l’Innominato, il cugino Attilio, il Conte Zio, i bravi e l'Azzecca-garbugli. Invece Fra
Cristoforo, il cardinal Federigo Borromeo, Agnese, Perpetua e gli amici al paese, Tonio e il fratello
Gervaso, possono annoverarsi fra gli aiutanti delle vittime. Ma bisogna ricordare anche don
Abbondio, che, con la sua paura di ribellarsi al signorotto del paese, dà il via alla vicenda,
rinviando il matrimonio tra Renzo e Lucia. Oppure la Monaca di Monza che collabora al
rapimento di Lucia.
1. Statici
Nel corso della storia non mutano e restano fedeli a se stessi nel corso del tempo. Sono
personaggi statici‚ (o piatti) quelli che non modificano la propria personalità nel corso della
narrazione, come don Abbondio. Egli, infatti, proprio perché si comporta in una maniera
diversa da come si dovrebbe comportare un normale parroco, non solamente diverte il
lettore, che sorride alle sue eccessive paure, alla sua pavidità di coniglio, al suo
egocentrismo, alle sue ansie per la propria tranquillità, alle meschinità messe in atto per non
compiere scomodi doveri, ma anche riflette sulle proprie piccinerie: in fondo don Abbondio
è il personaggio nel quale meglio si riflettono i difetti degli uomini e, soprattutto, le paure e
gli egoismi dei mediocri.
2. Dinamici
Quelli che nel corso del racconto modificano la loro personalità, cambiano opinione,
posizione.
3.1.1 LUCIA MONDELLA: ANALISI E COMMENTO
Nel corso di tutto il romanzo questo personaggio rimane fedele a se stesso. Il Manzoni ne fa,
riguardo a talune vicende, una specie di strumento della Provvidenza Divina come avviene ad
esempio nel castello dell'Innominato in cui alcune parole che dice impulsivamente, circa il perdono
di Dio, che viene concesso anche solo per un'opera di misericordia, hanno un effetto dirompente sul
cattivo signore, in crisi di identità e, ancora inconsciamente, desideroso di mutar vita, stanco di
commettere violenze contro innocenti. Lucia sembra essere un mezzo della Grazia Divina, ma non
tutti i personaggi sanno accoglierla come accade per la monaca di Monza che si affeziona alla
ragazza e si consola al pensiero di poterle fare del bene e di riuscire a cambiare la propria vita
grazie alla sua influenza.
Anche don Rodrigo è un personaggio statico: lo troviamo sempre nel suo palazzotto, dal quale
dirige le operazioni per far arrendere Lucia; a un certo punto, vista la sua impotenza, è costretto a
spostarsi nel castello dell'innominato per chiedere aiuto, e alla fine viene letteralmente trascinato al
lazzaretto, dove finisce la sua miserabile esistenza: in questo senso lo possiamo definire come il
simbolo dell'eterna staticità del male nella sua essenza.
4 parti
legate tra loro da 3 blocchi, che fungono da cerniera tra le sequenze stesse.
L’ambiente è quello del paese, “quel ramo del lago di Como” e “Lecco, la principale di quelle
terre“, che vede i due protagonisti, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, riuniti, malgrado i
turbamenti che intervengono ad avviare la vicenza romanzesca.
– Incontro di Don Abbondio con i Bravi che gli intimano di non sposare Renzo e Lucia (vedi
riassunto capitolo 1)
– Scontro tra Renzo e Don Abbondio che non vuol celebrare il matrimonio (vedi riassunto
capitolo 2)
– Renzo si rivolge all’Azzeccagarbugli mentre Lucia incontra fra Galdino (vedi riassunto
capitolo 3)
– Padre Cristoforo incontra Don Rodrigo (vedi riassunto capitolo 5 e riassunto capitolo 6)
– Matrimonio a sorpresa nella notte degli imbrogli con Tonio e Gervaso come testimoni (vedi
riassunto capitolo 7)
– Tentato rapimento di Lucia, che si allontana da Lecco (Pescarenico) lungo l’Adda con la madre e
Renzo. Famoso l’Addio ai monti sorgenti (vedi riassunto capitolo 8)
Inizia la lunga separazione dei due promessi sposi. Le loro strade da questo momento divergono,
dando origine ad una biforcazione della vicenda e conseguentemente dello sfondo ambientale e dei
personaggi:
– Renzo va a Milano con una lettera di Fra Cristoforo per un confratello (vedi riassunto
capitolo 11)
– Renzo resta coinvolto nei tumulti della folla affamata: distruzione dei forni e assalto alla casa
del Vicario di provvisione (vedi riassunto capitolo 12)
– Intervento risolutore del governatore spagnolo Ferrer (vedi riassunto capitolo 13)
– Arresto di Renzo da parte della polizia come capo della sommossa e sua liberazione da parte del
popolo in subbuglio (vedi riassunto capitolo 15)
– Fuga di Renzo: passa l’Adda e si reca nel territorio di Bergamo sotto il controllo di Venezia
(vedi riassunto capitolo 16)
– Renzo viene accolto dal cugino Bortolo e lavora in filanda (vedi riassunto capitolo 17)
– Allontanamento di Padre Cristoforo da Pescarenico, che viene mandato a Rimini (vedi
riassunto capitolo 18)
Alla vicenda solitaria di Renzo di Renzo nella parte precedente qui simmetricamente corrisponde la
vicenda solitaria di Lucia anch’essa vittima.
Acquista sempre più rilievo nel frattempo lo sfondo storico collettivo che fa salire alla ribalta una
folta schiera di personaggi coinvolti nelle vicende determinate dalla guerra, dalla carestia e, in
ultimo, dalla peste.
– Don Rodrigo si rivolge all’Innominato per far rapire Lucia dal convento (vedi riassunto
capitolo 20)
– Complicità della Monaca di Monza e del suo amante Egidio (vedi riassunto capitolo 20)
– Sequestro e prigionia di Lucia presso il castello dell’Innominato (vediriassunto capitolo 20)
– Notte in cui Lucia fa il voto di castità alla Madonna e avviene la conversione
dell’Innominato (vedi riassunto capitolo 21)
– Il Cardinale Borromeo arriva in visita a Chiuso (vedi riassunto capitolo 22)
– Incontro tra l’Innominato e il Cardinale Borromeo (vedi riassunto capitolo 23)
– Lucia viene liberata e viene ospitata nella casa del sarto (vedi riassunto capitolo 24)
– Calata dei Lanzichenecchi nel territorio di Lecco portando la peste
– Fuga degli abitanti della zona: Agnese, Don Abbondio e Perpetua si rifugiano nel castello
dell’Innominato
I due protagonisti si ricongiungono dopo aver superato la “prova” della peste, che invece ha tolto
dalla scena numerosi personaggi.
La felice ricomposizione della vicenda viene sancita dal matrimonio contro il quale si era elevata
tutta la serie di ostacoli che avevano messo in moto la macchina romanzesca.