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il bimestrale di storia della roma grandiosa

CON L
CIVILTA

I
N TIN
TE O
A
ST
civiltà romana

I
ROM A NA Marco aurelio
Imperatore e filosofo
TARIFFA R.O.C. POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE AUT. MBPA/LO-NO/008/A.P./2019 - PERIODICO ROC - S/NA

UNA GIORNATA
DA ANTICHI ROMANI
Dall’alba al tramonto, tra affari, doveri e piaceri

CIRCO MASSIMO, IL CASTRUM


L’ARENA DELLE BIGHE DEI LEGIONARI
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EDITORIALE

“N
iente di nuovo sotto il sole”: con
questo adagio gli antichi Romani ci
danno il metro della loro saggezza.
Per quanto il tempo scorra, recando la sua messe
di scoperte, d’invenzioni, di rivoluzioni socia-
li, di nuovi costumi e usanze; sebbene i
sistemi politici, le lingue, i popoli e le
divinità si avvicendino incessantemente
in quel caotico mulinello che è la Storia;
nonostante tutto questo, i Romani sanno
che l’uomo sarà sempre uguale a se stes-
so, con i suoi vizi e le sue virtù, i suoi
timori e le sue ambizioni.
Ecco perché, leggendo come si svolge-
va la giornata di un cittadino dell’Urbe
di duemila anni fa, finiamo per stupirci
più per le somiglianze con la nostra quoti-
dianità che non per le differenze, che pure
ci sono. Scopriamo, così, che nonostante la
superba organizzazione, i Romani non erano
poi dei lavoratori infaticabili, che la famiglia oc-
cupava il primo posto nella loro scala di valori
e che molte delle nostre tradizioni che riguardano
le buone maniere, l’igiene o il gusto per il bello e le
comodità provengono proprio da quei secoli. Tempi
lontanissimi, se diamo retta soltanto al calendario e non
consideriamo che, in fondo, ”nihil sub sole novi”.

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letta: attraverso i film reso immortale il West dei nativi americani l’Italia 150 anni fa del nostro Paese guidato intere nazioni

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di Nazareth e quali della Storia su un i suoi metodi e i suoi più importante dopo e dibattuti dall’alba leggende e scorrerie
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SOMMARIO
6 Imperatori
Marco Aurelio, imperatore filosofo

12 Militaria
Castrum, l’accampamento dei legionari

18 Roma dall’alba al tramonto


Cover Story

28 Religione
Priapo, dio scostumato

32 Costume
Alla moda, tra colori e trasparenze

38 La rivolta di Boudicca
Eventi

44 Personaggi
Orazio, l’eroe monocolo

48 Tempo libero
Le terme, igiene e salute

54 Cucina
Tra pentole e padelle

58 Eventi
Etruschi, maestri artigiani

60 Monumenti
Un circo per le bighe

64 Letteratura
Fedro, poeta delle favole

68 Diritto
Cittadini per diritto

74 Luoghi da visitare - Piazza Armerina


Una villa principesca

76
Spettacoli
I salaci fescennini

PROSSIMO
78 News NUMERO
IN EDICOLA
80 Libri, mostre, film IL
NOVEMBRE QUESTA CARTA
RISPETTA
82 Simboli
La bulla L’AMBIENTE

CIVILTÀ ROMANA 5
IN TRIONFO
Rilievo con il Trionfo
di Marco Aurelio,
da un arco eretto
nel 176 d.C. per
celebrare le sue
vittorie su Ger-
mani e Sarmati.
Nella pagina a
fronte, l’imperatore
Antonino Pio, padre
adottivo di Marco.

6 CIVILTÀ ROMANA
IMPERATORI

MARCO
AURELIO
IMPERATORE FILOSOFO
Inflessibile contro i nemici dell’Impero, di cui difese strenuamente
i confini, Marco Aurelio fu mite e riformatore in politica interna.
E oltre che un politico illuminato, si rivelò anche un ispirato filosofo
di Giacomo Alibrandi

U
nico fra gli imperatori romani, a importanti magistrature. Suo padre, Mar-
eccezione di Giuliano l’Aposta- co Annio Vero, aveva sposato Domizia
ta, Marco Aurelio non lasciò a Lucilla, figlia di un console e apparte-
propria memoria solo monumenti nente a una dinastia di fabbricanti
o imprese belliche (che pure non di laterizi che avevano fatto fortuna
mancarono nel suo principato), ma dopo il grande incendio di Roma del
anche un’opera letteraria: i Colloqui 64 d.C. Marco Annio Vero, da par-
con se stesso, scritti (in greco) a testi- te sua, era figlio di Rupilia Faustina,
monianza della sua filosofia e della sua imparentata con l’imperatore Traiano,
vita interiore. Impegnato in continue ed era fratello di Faustina Maggiore,
campagne militari in terra straniera, affidò moglie di Antonino Pio.
alle carte l’anima di un uomo che viveva Marco Aurelio nacque a Roma il 26
il principato come un dovere, ma la cui aprile 121, durante il secondo consolato
aspirazione era una vita fuori delle costrizio- di suo nonno, un altro Marco Annio Vero.
ni del protocollo e degli obblighi di palazzo. Il padre morì quando aveva 3 anni e fu la
madre ad allevarlo, con il nonno e un
ORIGINI DI UN IMPERATORE avo materno, Lucio Catilio Severo, più
La famiglia di Marco vantava una discen- volte magistrato al tempo di Adriano. I
denza da Numa Pompilio, secondo re di suoi maestri erano di origine greca, retori
Roma, e i suoi antenati avevano ricoperto e filosofi. Uno in particolare, Diogneto, ›

CIVILTÀ ROMANA 7
MARCO AURELIO, IMPERATORE FILOSOFO

MOGLIE E MADRE avviò Marco a una visione razionale del mon- sacerdotali. Intanto, continuava lo studio della fi-
Al centro, busto do, libera dalle superstizioni della religione e losofia e della retorica con il sofista Erode Attico
di Annia Galeria guidata dai principi della filosofia. (che fu anche console e governatore) e con Mar-
Faustina, nota come Nel 138 d.C., sentendo avvicinarsi la fine, co Cornelio Frontone, avvocato di fama, consi-
Faustina Minore, mo- l’imperatore Adriano indicò come suc- derato inferiore solo a Cicerone.
glie di Marco Aurelio cessore Aurelio Antonino (il futuro Nell’aprile del 145, durante il suo
e madre dei suoi Antonino Pio). Poco dopo, costui secondo consolato, Marco sposò
numerosissimi figli. adottò Marco, facendone il proprio Faustina: lei aveva 14 anni, lui 24.
erede. Adriano, che portò il ragazzo I due ebbero 14 figli, forse 16, mol-
a vivere nella sua casa, morì nel lu- ti dei quali morirono in tenera età
glio del 138, e fu grazie al defunto (uno di loro, Commodo, sarebbe
imperatore (che ottenne per lui una però divenuto imperatore nel 161).
dispensa dal Senato per accedere alle
magistrature prima dei 25 anni) che MARCO LO STOICO
Marco compì i primi passi in Pare che la moglie di Marco
politica: nel 139 fu nominato Aurelio, Faustina, non fosse una
questore e l’anno dopo console. donna irreprensibile. Scrive lo
Antonino Pio, divenuto im- storico Gibbon nella Storia del-
peratore, lo fece fidanzare con le decadenza e caduta dell’Impero
la figlia Faustina Minore: i due Romano: «La grave semplicità del
erano cugini. Quale erede designato, filosofo non era fatta per attirare la
Marco Aurelio fu nominato princeps licenziosa leggerezza di lei, o per fre-
iuventutis, assunse il titolo di Cesare nare quella sua smodata passione per
e venne associato ai principali collegi la varietà che le faceva spesso trova- ›

I PENSIERI DI UN SOVRANO

«S iamo nati per la cooperazione: come i piedi, le mani, le palpebre, le chiostre


dei denti di sopra e di sotto. Operare gli uni contro gli altri è dunque contrario
alla natura delle cose; fremere di odio e distogliersi dalla cooperazione è quindi
operare contro di essa.»

«Bisogna ormai che tu ti accorga, una buona volta, di quale cosmo sei parte;
a quale governante del cosmo sottostai in quanto emanazione; e che vi è per
te un limite circoscritto di tempo il quale, se non te ne servirai per respirare
aria pulita, disparirà e non vi sarà più un daccapo.»

«Ogni ora preoccupati seriamente, da Romano e da vero uomo, di


effettuare ciò che hai per le mani con precisa e non artefatta solennità,
con affettuosità, libertà e giustezza.»

«Anche se tu avessi da vivere tremila anni e altrettante volte


diecimila anni, comunque ricorda che nessuno perde altra vita
che questa che vive, e non vive altra vita che questa che perde.»

«Tutto quanto concerne il corpo è un fiume; quanto concerne l’a-


nimo è sogno e vanità; la vita è guerra e soggiorno di uno straniero;
la fama presso i posteri, oblio.»

8 CIVILTÀ ROMANA
IMPERATORI

LO STOICO
LA VITA DI MARCO AURELIO Al centro, busto
di Marco Aurelio.
NELLA “HISTORIA AUGUSTA” L’Historia Augusta,
scritta nel IV secolo,
conserva una delle
Natus est Marcus Romae VI. kl. Maias Marco nacque a Roma, il sesto giorno sue biografie più
in monte Caelio in hortis avo suo iterum prima delle calende di maggio [il 26 complete, con
et Augure consulibus. 6 Cuius familia aprile], in una villa sul monte Celio, notizie desunte,
in originem recurrens a Numa probatur durante il primo consolato di Augure e probabilmente, da
sanguinem trahere, ut Marius Maximus il secondo di suo nonno [121 d.C.]. opere precedenti.
docet; item a rege Sallentino Malemnio, La sua famiglia, risalendo alle origini, Viene generalmente
Dasummi filio, qui Lopias condidit. è detta discendere da Numa, come attribuita a sei diversi
Educatus est in eo loco, in quo natus racconta Mario Massimo, e parimenti autori, ma secondo
est, et in domo avi sui Veri iuxta aedes dal re salentino Malemnio, figlio di studi recenti si tratte-
Laterani. Patre mortuo ab avo paterno Dasummo e fondatore di Lupia [Lecce]. rebbe del lavoro di
adoptatus et educatus est. Fu allevato nel posto in cui nacque, e un unico storico.
anche nella casa di suo nonno Vero,
Fuit a prima infantia gravis. at ubi vicino al palazzo del Laterano. Quando
egressus est annos, qui nutricum foventur suo padre morì, fu adottato e allevato
auxilio, magnis praeceptoribus traditus dal nonno.
ad philosophiae scita pervenit. Usus
est magistris ad prima elementa Fu persona seria sin dalla prima
Euforione litteratore et Gemino infanzia. Non appena ebbe
comoedo, musico Androne superato l’età in cui i bimbi
eodemque geometra. Quibus sono allevati sotto la cura
omnibus ut disciplinarum delle nutrici, venne messo
auctoribus plurimum detulit. nelle mani di illustri precettori,
che gli fecero conoscere
Educatus est in Hadriani la filosofia. Ebbe come
gremio, qui illum, ut supra suoi primi maestri il letterato
diximus, Verissimum nominabat Euforione, il commediografo
et qui ei honorem equi Gemino e il musico e
publici sexenni detulit, geometra Androne.
octavo aetatis Verso tutti costoro,
anno in saliorum come maestri
collegium rettulit. nelle diverse
discipline, si
Operam mostrò molto
praeterea riconoscente.
pingendo
sub magistro Fu allevato
Diogeneto dedit. sotto l’occhio
Amavit pugilatum di Adriano,
luctamina et cursum che lo chiamava
et aucupatus et pila lusit Verissimus, come
adprime et venatus est. Sed abbiamo già detto, e
ab omnibus his intentionibus gli fece l’onore d’iscriverlo
studium eum philosophiae all’ordine equestre quando
abduxit seriumque et gravem aveva sei anni e nominarlo, al
reddidit, non tamen prorsus suo ottavo anno, al collegio
abolita in eo comitate, quam dei sacerdoti Salii. ›

CIVILTÀ ROMANA 9
MARCO AURELIO, IMPERATORE FILOSOFO

IL SUCCESSORE praecipue suis, mox amicis atque etiam Imparò anche la pittura, sotto la
Sotto, un busto di minus notis exhibebat, cum frugi esset sine guida di Diogneto. Gli piacevano
Commodo (161-192) contumacia, verecundus sine ignavia, sine anche il pugilato, la lotta, la corsa e
nelle vesti di Ercole. Il tristitia gravis. l’uccellagione; giocava a palla molto
giovane imperatore, abilmente e praticava la caccia. Ma
decisamente lontano Dum Parthicum bellum geritur, natum est il suo ardore per la filosofia lo distolse
dalla gravità del Marcomannicum, quod diu eorum, qui da tutte queste occupazioni e lo rese
padre, preferiva i ludi aderant, arte suspensum est, ut finito iam serio e posato, senza tuttavia incidere
gladiatori (passione orientali bello Marcomannicum agi posset. sul trasporto affettuoso che manifestava
ereditata dalla ma- verso la sua famiglia, i suoi amici
dre) e i divertimenti Tantus autem timor belli Marcomannici e persino verso quelli meno intimi:
sfrenati, e non disde- fuit, ut undique sacerdotes Antoninus era sobrio, ma senza ostentazione,
gnava di scendere a acciverit, peregrinos ritus impleverit, riservato ma non indifferente, serio ma
esibirsi nell’arena. Romam omni genere lustraverit. non ombroso.

Tanta autem pestilentia fuit, ut Mentre la guerra partica era ancora


vehiculis cadavera sint exportata in corso, scoppiò quella marcomannica,
serracisque. che i luogotenenti abilmente bloccarono
a lungo, in modo che quel conflitto non
Et multa quidem milia potesse avere inizio se non fosse prima
pestilentia consumpsit cessato quello in Oriente.
multosque ex proceribus,
quorum amplissimis Antoninus Era così grande il terrore della guerra
statuas conlocavit. marcomannica, che Antonino convocò
sacerdoti da ogni dove, celebrò riti
Triennio bellum postea cum stranieri e purificò Roma in tutti i modi.
Marcomannis, Hermunduris,
Sarmatis, Quadis etiam E ci fu, inoltre, una tale pestilenza, che
egit et, si anno uno per portare via i morti si dovette ricorrere
superfuisset, provincias a ogni sorta di veicoli e carri.
ex his fecisset. Ante
biduum quam exspiraret, A migliaia vennero portati via dal
admissis amicis dicitur morbo, compresi molti nobili, per i più
ostendisse sententiam importanti dei quali l’imperatore fece
de filio eandem quam erigere statue.
Philippus de Alexandro,
cum de male Per tre anni egli fece guerra con i
sentiret, Marcomanni, gli Ermunduri, i Sarmati e
addens i Quadi, e se avesse vissuto un anno in
minime più avrebbe trasformato i loro territori
se aegre in province. Due giorni prima della sua
ferre morte, si dice abbia convocato i suoi
[quod moreretur, amici e detto del figlio ciò che anche
sed quod Filippo [re di Macedonia] aveva detto
moreretur talem] di Alessandro, pensando male di lui,
filium superstitem relinquens; aggiungendo che lo addolorava non il
nam iam Commodus turpem se et morire, ma il morire lasciando dietro di
cruentum ostentabat. sé un simile figlio; Commodo, infatti, già
si mostrava turpe e crudele.
Caput operuit quasi
volens dormire, sed Si coprì il capo, come se volesse
nocte animam efflavit. dormire, e durante la notte rese l’anima.

10 CIVILTÀ ROMANA
IMPERATORI

re dei meriti nel più vile degli uomini». Il futuro ardue, che Marco Aurelio affrontò con fermezza: LA MORTE
imperatore, intanto, aveva abbracciato la filoso- tra il 172 e il 175, i Germani furono costretti alla La fine di Marco
fia stoica e nel 161, quando Antonino Pio morì, pace. Per la prima volta (anche perché l’Impero, Aurelio in un quadro
accettò con riluttanza il ruolo di imperatore. a causa della pestilenza, si era spopolato), coloni di Eugène Dela-
Si associò il fratello adottivo Lucio Vero: per la barbari furono accolti entro i confini imperiali. croix (1790-1863).
prima volta Roma ebbe due “augusti”, anche se Ma la pace durò poco: nell’estate del 178, Accanto a lui, vestito
Marco Aurelio godeva d’indiscussa superiorità. Marco Aurelio tornò alla frontiera danubiana. di rosso, c’è il figlio
Dei 19 anni del suo regno, 17 furono impe- Trasformò la fortezza di Brigetio, nell’attuale Un- Commodo, che il
gnati in guerre: in Gallia, sul Danubio, contro gheria, nel suo quartier generale e da lì condusse sovrano, contravve-
i Parti. Contemporaneamente, ci furono rivol- una campagna che aveva l’obiettivo di occupare nendo alla prassi
te in Spagna e in Egitto e un’usurpazione in parte del territorio di Marcomanni e  Sarmati. dell’adozione (che
Oriente da parte di Avidio Cassio, nel 175 (forse Dopo una vittoria decisiva, nel 178, il piano fu escludeva i figli dalla
istigato da Faustina); inoltre, una pestilenza di abbandonato quando l’imperatore cadde malato, successione), aveva
vaiolo o morbillo mieté vittime in tutto l’Impero forse colpito a sua volta dalla pestilenza. La sua nominato suo erede
(200 mila solo a Roma), riducendone la popo- salute era cagionevole da anni: soffriva di ulcera e nel 177. Commodo,
lazione e la forza militare. Marco Aurelio razio- faceva uso di oppio per alleviare i dolori. In que- salito al principato
nalizzò l’amministrazione pubblica creando l’a- gli anni, intanto, scriveva la sua opera, che mette- dopo la morte del
nagrafe, regolò l’usura, stabilendo interessi equi, va in risalto l’impotenza dell’uomo e la superfi- padre, fu imperatore
e le vendite di beni pubblici, spesso oggetto di cialità del pensiero comune. Secondo il sovrano, fino al 192, quando
malaffare. Proibì la tortura per i cittadini e cercò all’insensatezza del mondo il saggio doveva con- venne assassinato
di migliorare la condizione degli schiavi, renden- trapporre un’esistenza ricca di significato. da un sicario.
doli meno soggetti all’arbitrio dei padroni. Marco Aurelio morì il 17 marzo 180. «Ti sei
imbarcato, hai navigato, sei arrivato in porto:
GLI ULTIMI ANNI sbarca» dice uno dei suoi pensieri, forse lo stesso
Ma fu alla difesa dei confini che l’imperatore che gli passò per la mente quel giorno. Secondo
rivolse le cure maggiori. La pace conclusa con Gibbon, «l’innata mitezza era la sua qualità più
i  Parti  nel 166, che permise il rafforzamento amabile e, insieme, l’unico suo difetto». Il luo-
del limes, aveva portato a una relativa tranquillità go della morte è incerto: Vindobona (Vienna),
in Oriente. Sul Danubio, invece, la situazione era o Sirmio (Sremska Mitrovica, oggi in Ungheria),
instabile, a causa di Marcomanni, Quadi e Sar- lungo il fronte sarmatico. Gli succedette il figlio
mati. Nel 167, orde germaniche erano scese ad Commodo: con Caligola e Nerone, uno dei più
Aquileia: ricacciarle oltre il Danubio fu impresa vituperati imperatori dell’intera storia romana.

CIVILTÀ ROMANA 11
IL CASTRUM, ACCAMPAMENTO DEI LEGIONARI

CASTRUM
L’ACCAMPAMENTO
DEI LEGIONARI

12 CIVILTÀ ROMANA
MILITARIA
MILITARIA

Nulla come un campo romano suscitava nel nemico la sensazione


dell’imminente sconfitta e dell’occupazione da parte delle legioni.
Unita a una profonda ammirazione per i suoi geniali costruttori
di Giuseppe Cascarino

I
Romani ereditarono dagli Etruschi tutto IN CAMMINO al contrario dei Romani, erano soliti edificare
quello che era possibile conoscere, all’epoca, Sotto, una legione il campo conformandosi alle caratteristiche
circa il tracciamento topografico e la tecni- in marcia. Ogni naturali del terreno, per evitare la fatica della
ca di edificazione delle città, e quindi anche sosta di fine gior- realizzazione di fortificazioni artificiali.
sull’arte della costruzione dei campi militari. nata prevedeva la
Quando, nel III secolo a.C., il raffinato re preparazione di LA SCELTA DEL LUOGO
dell’Epiro ellenistico, Pirro, osservò un castro un campo per la La tradizione e la pratica quotidiana impo-
romano a Eraclea, concluse che i costrutto- notte, realizzato nevano invece a qualsiasi esercito romano in
ri di un campo tanto razionale e organizzato in sole due ore. marcia la costruzione di un campo fortificato
non potevano essere definiti barbari. I Greci, in grado di accogliere uomini e bagagli al se- ›

CIVILTÀ ROMANA 13
IL CASTRUM, ACCAMPAMENTO DEI LEGIONARI

guito, non solo nell’imminenza ne; oppure poteva essere mantenuto, con un
di una battaglia, ma anche per piccolo presidio, per riutilizzarlo in seguito.
la semplice sosta notturna. La Pur nascendo con obiettivi difensivi, il castro
sistematicità di questa pratica non era una fortezza, e non aveva lo scopo di
era tale che le giornate di marcia resistere a un assedio. La dottrina e la filosofia
di un esercito venivano espresse tattica dell’esercito romano prevedevano, tradi-
in termini di accampamenti co- zionalmente, l’uscita dal campo e l’immediato
struiti: quintis castris, per esem- attacco frontale delle forze nemiche, anche in
pio, significava “dopo cinque condizioni d’inferiorità numerica.
giornate di marcia”. La costruzione di un campo prevedeva un
Il campo mobile poteva esse- certo numero di operazioni; la più importante
re completamente smantellato era la scelta del luogo, compito solitamente affi-
il giorno dopo la sosta, dato al comandante o al centurione più esperto.
di solito per impe- Il terreno non doveva essere soggetto ad alla-
dire al nemico gamenti o trovarsi troppo lontano dall’itine-
di servirse- rario di marcia e doveva consentire un agevole
approvvigionamento di foraggio per i cavalli e
legna, specialmente d’inverno, offrendo la pos-
sibilità di una via di fuga in caso di attacco.
Il campo di marcia andava eretto preferibil-
mente in posizione elevata, se possibile su un
terreno leggermente degradante in direzione
del nemico e senza ostacoli naturali a breve
distanza, come boschi o alture, che avrebbero
potuto essere utilizzati dagli avversari per na-
scondersi, lanciare proiettili, o semplicemente
per osservare ciò che avveniva tra i Roma- ›

IL GIURAMENTO DEL CAMPO

S Marco Aurelio, in antica epoca repubblicana i tribuni aveva-


econdo quanto riferisce Gellio, storico romano vissuto sotto

no l’incarico, una volta completata la costruzione del campo, di


radunare le truppe e i loro accompagnatori, e di far prestare
solenne giuramento (a fianco, la cerimonia incisa su una mo-
neta) a tutti, liberi e schiavi, con la seguente, curiosa formula:
«Nell’esercito del console [seguiva il nome] e del con-
sole [nome], e per diecimila passi all’intorno, non com-
metterai furto con destrezza, da solo o con altri, per un
valore superiore a quello di una moneta d’argento al gior-
no. Eccetto che per una lancia, il legno di questa, la le-
gna, i frutti, il foraggio, un otre, una borsa, una torcia, se
trovi qualcosa che non sia tuo e valga più di una moneta
d’argento devi consegnarlo al console [nome] o al console
[nome], o a quello dei due che l’avrà ordinato; oppure ti
obbligherai, entro i tre giorni seguenti, a restituire tutto ciò che
avrai trovato o sottratto con destrezza a colui che ritieni ne sia il
proprietario, in modo da agire secondo rettitudine».

14 CIVILTÀ ROMANA
MILITARIA

ni. Questo vantaggio di posizione non solo Una volta tracciato il campo, prima ancora di FUORI DAI RANGHI
costringeva il nemico ad attaccare in salita, piantare le tende, venivano costruite le opere Nel tondo, un
ma rendeva più dinamica la sorti- di difesa, consistenti in un fossato legionario punito
ta dei legionari per il contrat- (fossa) largo 1,5 m e profondo con l’espulsione
tacco, allungando la gittata almeno 90 cm, un terrapie- dall’esercito per aver
delle armi da lancio dei no (agger) utilizzando la lasciato il campo
difensori. Inoltre, doveva terra di scavo, e un pa- senza autorizzazio-
sempre esserci un fiume rapetto o una palizzata ne. Sotto, lo schema
o una sorgente su un (vallum) per migliorare di un vallo e di un
lato del castro, oppure la protezione. Il vallum fossato rinforzato da
a breve distanza, per il doveva essere innalzato palizzate, con un
necessario approvvigio- in territorio ostile: nel camminamento per
namento d’acqua di uo- caso non fosse possibile le sentinelle. Nella
mini e animali e per mi- disporre di materiali ido- pagina a fronte,
gliorare l’assetto difensivo. nei, quali tronchi, rami o soldati armati di
pietre, come misura estrema picconi, vanghe e
IL TRACCIATO ESTERNO si realizzava una protezione me- ceste smuovono la
Stabilita l’ubicazione, veniva effet- diante una o più file di sentinelle. terra per tracciare
tuato il tracciamento del campo sul terreno, Se la permanenza si protraeva a lungo, o se si il confine del castro
a cura di appositi specialisti, detti mensores. Si decideva di trasformare il campo in un’installa- (da un rilievo della
segnavano poi le due strade maggiori, la via zione fissa, le opere di difesa venivano poten- Colonna Traiana).
principalis e la via praetoria, corrispondenti ri- ziate approfondendo il fossato, e realizzando la
spettivamente al cardo e al decumano delle città palizzata con tronchi d’albero di grosse dimen-
romane: all’interno di queste strade si traccia- sioni, ottenuti disboscando le aree circostanti e
vano una serie di quadrati destinati a ospitare rinforzando il parapetto con graticci o cannuc-
i vari reparti. Secondo Polibio, il campo tipico ciati (crates), munendolo di merli o spalti svi-
di epoca repubblicana, costruito per accogliere luppati in verticale (pinnae). Dal lato interno,
un esercito consolare al completo, costituito da numerosi accessi (ascensus), consistenti in sca-
due legioni e da un contingente di truppe alle- lette o sentieri di salita, permettevano di rag-
ate (per un totale di quasi 20 mila uomini), si giungere rapidamente le postazioni di difesa. ›
sviluppava all’interno di un quadrato di 763 m
di lato, occupando quindi un’area di 58 ettari
(l’equivalente di 90 campi da calcio) all’interno
di un perimetro di 3 km. Ogni manipolo, sia
delle truppe legionarie che degli alleati (divisi
nei tre corpi degli hastati, dei principes e dei
triarii), nonché la cavalleria, trovava una collo-
cazione precisa e stabile all’interno del campo,
in modo tale che la sua posizione fosse sempre
la stessa, come in una città ricostruita ogni vol-
ta in luoghi diversi: tale accorgimento tornava
utile non solo per conservare le preziose energie
mentali di un esercito in marcia, ma soprattutto
per trasmettere ai soldati un senso di sicurezza
e di protezione. Anche in caso di attacco not-
turno, i legionari avrebbero saputo raggiungere
facilmente il posto di combattimento.
Ogni campo era dotato, invariabilmente, di
almeno quattro porte, una per ogni lato del
perimetro (praetoria, principalis destra, princi-
palis sinistra e decumana), presidiate e difese da
macchine da lancio e da protezioni aggiuntive.

CIVILTÀ ROMANA 15
IL CASTRUM, ACCAMPAMENTO DEI LEGIONARI

STABILE E MOBILE Gli scavi


A destra, la ricostru- venivano ef-
zione di un accam- fettuati tutti
pamento “stabile” contempora-
di epoca imperiale, neamente, sui
dotato di mura ar- quattro lati del
rotondate e torrette. campo. Ogni lato
Sotto, lo schema veniva diviso in parti
di disposizione delle corrispondenti al numero dei
truppe all’interno di reparti incaricati. Se il campo dove-
un campo mobile. va essere costruito in territorio nemico, con mento delle
pericolo di attacchi improvvisi, solo una parte opere difen-
dei reparti (per esempio uno su tre) veniva sive, per prime venivano montate le tende del
impiegata nei lavori, mentre gli altri si dispo- comandante e dei tribuni, e solo dopo quelle
nevano all’esterno del perimetro del campo, per l’alloggiamento della truppa.
pronti a fronteggiare possibili minacce.
Si calcola che a ogni metro di fronte di scavo COMPITI E PUNIZIONI
lavorassero non meno di due uomini, quindi Al termine dell’allestimento del campo si sta-
una centuria di 80 uomini era responsabile di bilivano i compiti per la gestione delle necessità
circa 40 m. Per costruire le difese di un campo logistiche: alcuni reparti venivano incaricati di
mobile, un esercito in marcia impiegava com- approvvigionare l’acqua o la legna, altri si oc-
plessivamente due ore o poco più. cupavano della sorveglianza e della sicurezza
Terminati lo scavo del fossato e l’appronta- interna ed esterna. Inoltre, veniva attivato un
regime giuridico e disciplinare molto
severo: mentre la semplice uscita non
autorizzata dal castrum era punita con
LA STRUTTURA DEL CASTRUM la radiazione dall’esercito, il passaggio
LEGENDA: H = hastati; P = principes; T = triarii; EQ = equites o lo scavalcamento del vallum in un
punto diverso dalle porte era conside-
Porta praetoria
rato un reato gravissimo, passibile di
Intervallum
pena di morte immediata.
In epoca tardo repubblicana, attorno
Pedites extr. Pedites extr. Pedites extr. Pedites extr.
al 100 a.C., con la riforma organiz-
Auxilia Equites
extraord.
Equites
extraord.
Equites
extraord.
Equites
extraord.
Auxilia zativa dell’esercito attribuita a Mario,
anche l’organizzazione del campo subì
Praetorium delle modifiche. La coorte, la nuova
unità tattica che riuniva i tre manipoli
Voluntarii

Voluntarii

Quaestorium Forum
extraord.

extraord.

extraord.

extraord.
Pedites

Pedites
Equites

Equites
Evocati

Evocati

Trib.
di hastati, principes e triarii, assorben-
Intervallum

intervallum
Porta principalis

Porta principalis

Praefecti sociorum Tribuni Aug. Tribuni Praefecti sociorum


do nei ranghi anche i velites, comportò
V i a p r i n c i p a l i s
sinistra

dextra

Pedites Equites Equites Pedites


una diversa distribuzione degli spazi:
I H P T Eq Eq T P H
Sociorum Sociorum Sociorum Sociorum
era più razionale e compatta, con il ri-
p r a e t o r i a

II
sultato di ridurre le aree occupate.
III In epoca imperiale, l’unica descri-
IV zione dettagliata di un campo di mar-
V cia è contenuta nel De munitionibus
V i a q u i n t a n a
castrorum, un breve trattato compila-
I
to da un autore vissuto forse all’epo-
II
ca di Adriano. L’accampamento era
III a pianta rettangolare, lungo 700 m e
V i a

IV largo 485 m (in un rapporto caratte-


V ristico di tre a due), e aveva gli angoli
Socii Legio I Legio II Socii arrotondati per facilitare il compito
Intervallum

Porta decumana
MILITARIA

UNA PAROLA PER IL CAMPO

L mentale per la sicurezza del campo e veniva cambiata ogni


a parola d’ordine (signum) era ritenuta d’importanza fonda-

giorno. Costituiva il mezzo più valido, e forse l’unico, per di-


stinguere gli amici dai nemici, considerata l’assenza di unifor-
mi e l’eterogeneità dell’armamento, spesso catturato al nemico.
Secondo lo storico Polibio, ogni sera il tribuno di servizio con-
segnava a un incaricato una tavoletta di legno (tessera) conte-
nente la parola d’ordine per la notte e per il giorno seguente, e
spesso anche ordini piuttosto complessi e articolati.
L’incaricato, detto tesserarius, consegnava la tavoletta al cen-
turione del X manipolo, che la passava a sua volta al collega
del IX e così via, in modo tale che, prima del calare della notte,
venisse restituita al tribuno dal centurione del I manipolo, prova
che la parola d’ordine era stata trasmessa a tutti. Se le tesse-
rae non erano state restituite al tribuno entro il tramonto, veniva
aperta un’inchiesta per stabilire eventuali responsabilità. In epo-
ca imperiale, il compito di decidere e ordinare la circolazione
del signum era ritenuto talmente importante e prestigioso che,
quando l’imperatore era presente, era lui in persona a occuparsene.

dei difensori. Gli assi principali erano gli stessi poi in pietra. Con i secoli, molti di questi inse- IL TESSERARIUS
del campo repubblicano, ma i reparti dispone- diamenti attirarono le popolazioni circostanti, Sopra, la pietra
vano di spazi molto più ristretti, con le unità perché garantivano protezione e possibilità di tombale di Aurelius
maggiormente fidate (legioni e pretoriani) al scambi commerciali, divenendo il fulcro di vasti Ingenuus, tessera-
centro, attorno agli attendamenti del coman- insediamenti civili e costituendo il nucleo pri- rius della Legio II
dante o dell’imperatore, e le truppe ausiliarie mitivo di molte moderne città europee: Torino, Parthica, ritrovata ad
nelle porzioni più esterne. Parigi e Londra sono solo alcuni esempi. Apamea, in Siria.
Gli spazi interni non interessati dalle strade Nei primi secoli dell’Impero, i campi e le for- Il tesserarius era il
erano divisi in appezzamenti di lunghezza varia- tezze svolsero sostanzialmente una funzione di sottufficiale con il
bile, larghi 18 m e detti strigae, in cui venivano acquartieramento e coordinamento logistico compito di distribuire
disposti gli attendamenti dei vari reparti. per intraprendere campagne di conquista o le tavolette di legno
La tenda tipo dell’esercito era in cuoio e veni- dissuasione, proiettate in prevalenza all’esterno su cui era scritta la
va chiamata papilio, cioè “farfalla”: era a pianta dei confini; nel tardo Impero, con le continue parola d’ordine; di
quadrata, con lato di 10 piedi (2,96 m), e ospi- invasioni barbariche, le installazioni fisse do- solito si trattava di
tava otto uomini. La lunghezza della striga era vettero essere dotate di strutture di difesa più termini semplici,
pari all’estensione longitudinale delle 10 tende consistenti, in grado di resistere a lunghi assedi. dal momento che
affiancate di una centuria (80 uomini), con la Sorsero così mura più alte e spesse, strutture molti legionari
tenda del centurione collocata all’inizio della lineari più compatte e tali da minimizzare il erano analfabeti.
fila. In realtà, dal momento che un quarto dei perimetro difensivo, e infine torri costruite con
soldati (20 su 80 di una centuria) era costante- vistose proiezioni esterne, progettate allo scopo
mente di guardia, era sufficiente erigere 8 tende di tenere sotto tiro le mura soggette ad attacco.
per ospitare gli uomini che riposavano. Il termine castellum, diminutivo di castrum,
che nell’alto Impero serviva a designare un pic-
DAL CASTRO ALLA CITTÀ colo campo o un avamposto, cominciò a esse-
Con il tempo, i campi di marcia più strate- re utilizzato in modo diffuso per indicare una
gici divennero stabili e le costruzioni furono città dotata di mura. Tale definizione sarebbe
rese permanenti, realizzandole prima in legno e divenuta di largo uso in epoca medievale.

CIVILTÀ ROMANA 17
TUTTI AL FORO
Una ricostruzione
ottocentesca del
Foro romano: qui si
svolgeva gran parte
della vita pubblica.
Nella pagina a
fronte, uno dei
suoi colonnati.

18 CIVILTÀ ROMANA
COVER STORY

ROMA
DALL’ALBA AL
TRAMONTO
La giornata dell’Urbe era scandita dal ciclo del sole: la mattina
al lavoro, poi tutti alle terme. Cena a partire dal pomeriggio e subito
a riposare. Salvo i patrizi, che si attardavano tenendo convivio
di Mario Galloni

N
ell’antica Roma, patrizi e plebei nella sua stanza all’interno della domus (i
condividevano la sveglia prima coniugi di alto lignaggio preferivano dor-
dell’alba (a meno che i signori mire separati), veniva destato alle prime
non avessero gozzovigliato fino a tardi), luci del giorno dall’affaccendarsi di uno
in modo da non sottrarre al lavoro e allo stuolo di servitori che, armati di ramaz-
svago nemmeno un’ora di luce. Priva di ze, strofinacci, segatura e pietra pomi-
illuminazione pubblica, l’Urbe conclu- ce, sciamavano all’interno della casa
deva le sue frenetiche attività con l’ap- patrizia ancora avvolta dalle tenebre e
prossimarsi del tramonto: le strade buie, cominciavano a pulire i pavimenti in-
maleodoranti e infestate di malintenzio- tarsiati, quelli di cotto e i mosaici.
nati e senzatetto, sconsigliavano passeg-
giate dopo il crepuscolo e passatempi al RIPOSO, O QUASI
chiaro di luna, a meno che non fossero or- Ben diverso era il risveglio del plebeo.
ganizzati privatamente nelle magioni dei più Stipato con l’intera famiglia in un apparta-
ricchi. Il signore, placidamente addormentato mento di un paio di stanze ai piani alti di ›

CIVILTÀ ROMANA 19
ROMA, DALL’ALBA AL TRAMONTO

LETTI E COMPERE una povera insula (casermone popolare dove


Sotto, ricostruzione d’estate si moriva di caldo e d’inverno di fred-
di un letto singolo, do), il sonno del romano di umili natali era
usato anche come interrotto a più riprese, durante la notte, dai
divano durante il rumori provenienti dagli altri appartamenti,
giorno. Mariti e divisi dal suo da pareti quasi sempre di legno.
mogli della classe Altri fastidi giungevano dalla strada, dove i
patrizia dormivano carri per i rifornimenti, ai quali era vietato
abitualmente in circolare di giorno per non congestionare ul-
camere e letti sepa- teriormente una città già soffocata dal traffi-
rati. A destra, una co, davano vita a un continuo viavai segnato
matrona riceve in dal clangore delle ruote sull’acciottolato, dal
casa un mercante di tonfo dei sacchi scaricati, dalle invettive dei
tappeti orientali in mulattieri e dai versi degli animali.
un quadro di Ettore Nelle insulae mancava l’acqua corrente e
Forti (1880-1920). non c’erano servi da spedire a fare riforni-
mento alla fontana più vicina. La poca acqua
disponibile doveva servire alla toilette dell’in- veniva considerato negativamente, tanto che i
tera famiglia. D’altronde, non era la mattina maschi presero a rasarsi con regolarità, com-
il momento deputato all’igiene personale e presi i legionari tra un campo di battaglia e
alla cura del corpo, attività che si svolgeva- l’altro. Usavano rasoi in ferro (più rari quelli
no, di norma, al pomeriggio, recandosi alle in bronzo) che, sebbene costantemente affi-
terme. Per cominciare la giornata, al plebeo lati, in assenza di schiuma da barba finivano
come al patrizio bastava sciacquarsi le mani spesso per ferirli. I capelli, che inizialmente
e il volto mediante una sommaria abluzio- i Romani spuntavano con una semplice for-
ne con un bacile e un catino (per i ricchi in bice, durante l’Impero divennero oggetto di
bronzo, recato dagli schiavi assieme a panni maggiore cura. Si usavano unguenti per man-
di lino con i quali asciugarsi). tenerli morbidi e brillanti, non si disdegnava
Nei primi secoli di Roma, gli uomini non tingerli quando cominciavano a imbiancarsi e
facevano particolarmente caso alla cura di contro la calvizie esistevano già i parrucchini
barba e capelli, ma già nella tarda Re- (se il diradamento era solo incipiente, a celar-
pubblica ogni segno di trascuratezza lo bastava un po’ di nero fumo sulla cute).

20 CIVILTÀ ROMANA
COVER STORY

AZZARDO, CHE PASSIONE!

N on c’erano soltanto le corse dei carri e i ludi gladiatori a


occupare il tempo libero dei cittadini dell’Urbe. Al romano
antico piaceva rischiare ed era fortemente attratto dal gioco
d’azzardo, ragione per cui, già in epoca repubblicana, le
autorità furono costrette a legiferare (lex tabularia) per arginare
il fenomeno. Molto in voga erano giochi come la micatio, ante-
nata della morra, e il navia aut capita, antesignano dell’attuale
“testa o croce”, giocato con monete che riportavano su un lato
una nave e sull’altro la testa del dio Giano. Latrunculi, un gioco
simile alla dama o agli scacchi, comprendeva l’uso delle pedi-
ne bianche e nere e della tabula fusoria, in legno più o meno
Ad aiutare i patrizi pensavano i tonsores, pregiato, marmo o vetro decorato. Il Ludus duodecim scriptorum
schiavi addetti al taglio della barba e all’ac- (nell’immagine) era il gioco che ha preceduto l’odierno back-
conciatura dei padroni, compresa l’elimina- gammon: consisteva nel sorpassare le pedine dell’avversario
zione dei fastidiosi e antiestetici peli super- con le proprie e condurle nel lato opposto del tabellone.
flui. La maggior parte dei Romani, però, si Nei bassifondi andavano per la maggiore gli astragali, fatti
recava dal tonsor, il barbiere, la cui bottega era con ossi di piede di pecora, terracotta o marmo: avevano 4
aperta fin dalle prime luci dell’alba e sempre facce e venivano lanciati in aria per essere raccolti con il dorso
affollata. Si aspettava il proprio turno seduti della mano, ottenendo un punteggio favorevole. Molto simile
sulle panche, ingannando il tempo scambian- era il gioco dei dadi (aleae), il più apprezzato dai legionari.
do opinioni e notizie con gli altri avventori.
Si parlava di tutto: delle corse dei cavalli o di
politica. Non di rado lo stesso barbiere in-
terveniva nella discussione e la bottega si
trasformava in un salotto animato da
dibattiti mattutini, dove la rasatura fini-
va per diventare un pretesto per passare il
tempo e intessere relazioni sociali.

PRONTI PER IL LAVORO


Il romano non perdeva troppo tempo per
vestirsi: sopra gli indumenti intimi (indossa-
ti anche di notte) metteva la tunica, che una
volta fermata in vita da una cintura risultava
più lunga dietro che davanti, slanciando la
figura; quella dei semplici cittadini era più
corta di quella dei senatori, bordata e im-
preziosita da una striscia di porpora, il la-
ticlavium, a sottolineare il censo dell’uomo.
I personaggi di più alto rango erano anche
avvolti nella toga, indumento ufficiale di
senatori e magistrati. Indossarla era l’eserci-
zio mattutino più complicato: a facilitare il
compito era uno schiavo (vestiplicus), che già
la sera prima riponeva questo grande semi-
cerchio di lana, lungo tre volte e largo due ›

CIVILTÀ ROMANA 21
ROMA, DALL’ALBA AL TRAMONTO

PANE PER TUTTI volte l’altezza di chi lo indossava, in modo


Sotto, un adolescen- da disporne le pieghe e rendere più semplice
te romano: come il lavoro la mattina successiva.
le donne, passava Ricchi o poveri che fossero, i Romani con-
gran parte del tempo sumavano una colazione frugale: in genere si
in casa. A destra, accontentavano di un semplice bicchiere d’ac-
i clienti si affollano qua, per poi mangiare una focaccia acquistata
davanti alla bottega da uno dei tanti venditori ambulanti che ani-
di un fornaio. Tra le mavano le vie cittadine. Una colazione tipica
classi più umili, uno era quella a base di pane e fichi, ma spesso si
degli impegni giorna- finiva per consumare i resti della cena: pane,
lieri era partecipare formaggio, olive e miele.
alle distribuzioni Quando il romano era pronto per uscire e
pubbliche, gratuite, varcava l’uscio di casa, in genere non era an-
di pane o grano. cora spuntato il sole, e il più delle volte non
sarebbe rientrato se non al tramonto: l’Urbe
era in grado di soddisfare qualunque esigen-
za, dal pranzo nelle taverne agli acquisti nelle Negli alloggi popolari, le donne condivide-
botteghe, dai bisogni corporali nei numerosi vano con gli uomini la frugalità delle attività
bagni pubblici all’igiene del corpo nei com- mattutine, così da potersi dedicare per tempo
plessi termali, senza bisogno di rincasare. alle faccende domestiche. Poche, e solo di bas-
so ceto, lavoravano nei negozi, come artigiane,
o nelle case, come levatrici. Nelle domus, in-
vece, le matrone concedevano più tempo alla
cura del corpo, a cominciare dai capelli, alla cui
messa in piega provvedevano serve chiamate
ornatrices, specializzate nell’arricciare le chio-
me delle padrone con il pettine o servendosi
del clamistrum, uno stilo di ferro scaldato sotto
la cenere. Seguiva poi la vestizione, a partire
dai gioielli: un diadema tra i capelli, orecchini,
collane, bracciali, cavigliere, e infine gli anelli.
Sopra la tunica, lunga fino ai talloni, la signora
vestiva uno scialle che, dalle spalle, ricadeva
elegantemente fino ai piedi. Non di rado, al-
cune matrone usavano raccogliere i capelli in
una raffinata reticella d’oro o d’argento.

L’OBBLIGO DELLA CLIENTELA


Nel frattempo, di fronte alle case patrizie si
ingrossava la fila dei clientes, giunti per la sa-
lutatio matutina. L’istituto della clientela af-
fondava le radici nella storia di Roma e non
era legato a nessuna classe sociale particolare:
risiedeva nell’obbligo del rispetto che i cittadi-
ni romani provavano nei confronti di chi era
più potente di loro, il patronus, a sua volta te-
nuto a una serie di obblighi nei confronti del
cliente. Tanto più ampia e rumorosa era la folla
dei clienti davanti a casa, tanto più cresceva il
prestigio sociale del signore. Egli era tenuto ad
accogliere i postulanti, ascoltare le loro lamen-

22 CIVILTÀ ROMANA
COVER STORY

tele, rifornirli periodicamente di vettovaglie o


elargire loro un obolo in denaro. Si trattava, in
sostanza, di una forma di assistenzialismo pri-
vato, accettato e codificato dalle autorità. Allo
stesso modo, l’Annona dell’Urbe sovvenzionava
centinaia di migliaia di senza lavoro che, a vario
titolo, avevano diritto a un sostentamento. ›

PETTINI E TELAI
Sopra, una donna
intenta a lavorare al
telaio, affiancata da
una giovinetta. Le
matrone delle classi
più alte uscivano
raramente dalla do-
mus, svolgendo tutte
le attività giornaliere
tra le mura dome-
stiche. A sinistra,
una matrona si fa
pettinare dalle sue
serve, una delle
quali regge uno
specchio per con-
sentirle di controllare
l’acconciatura.

CIVILTÀ ROMANA 23
ROMA, DALL’ALBA AL TRAMONTO

Ma una metropoli di oltre un milione di


abitanti, come Roma al momento del suo
massimo sviluppo, non poteva reggersi uni-
camente su una politica di elargizione. Cro-
cevia di un enorme traffico internazionale,
terrestre e marittimo, l’Urbe non si limitava a
consumare l’esorbitante quantità di prodotti
che, grazie al lavoro dei mercanti, giungeva
sulle rive del Tevere dalle province più lonta-
ne. Nelle loro botteghe, gli artigiani lavora-
vano quotidianamente le materie prime per
farne prodotti da offrire ai clienti. Molti di
coloro che lasciavano le abitazioni alle prime
luci dell’alba correvano ad aprire i negozi. Per
dare un’idea dell’intensa attività commercia-
le che si svolgeva in città, basta ricordare che
gli scavi archeologici hanno attestato la pre-
senza di circa 150 corporazioni di lavoratori,
distinte in due categorie: la prima formata
da coloro che vendevano i propri prodotti,
la seconda da quei soggetti che fornivano la
manodopera. Tra i produttori si annovera-
vano falegnami, fabbri, ebanisti, ma anche
artigiani specializzati in beni di lusso, come
profumieri, orafi, calzolai e sarti. Tra i com-
TUTTO ESAURITO A TEATRO mercianti di generi alimentari c’erano i cosid-
detti fructuarii, venditori al dettaglio, e chi

L a passione per il teatro era un tratto distintivo dei Romani, che


facevano la fila per assistere alle rappresentazioni, dapprima
in semplici strutture di legno (temporanee e spesso pericolose),
invece era sia produttore che venditore, come

poi negli imponenti teatri in pietra costruiti a partire dall’88 a.C.


I generi andavano dai popolari fescennini, (dal carattere licen-
zioso e mordace) alle atellane (in origine, improvvisazini di ca-
rattere farsesco), dai mimi alla satira, fino alle vivaci commedie
di Plauto e Terenzio. Per i più esigenti c’era invece la tragedia,
inscenata con costumi diversi a seconda dell’argomento: la fa-
bula cothurnata vedeva gli attori imporre la loro presenza sce-
nica torreggiando dall’alto di calzature con le zeppe (i coturni,
appunto), mentre la fabula palliata li vedeva avvolti nel “pallio”,
una specie di mantello, alle prese con serissimi copioni di am-
bientazione greca. La fabula praetexta (dal nome della tipica
toga) affrontava infine argomenti di attualità.
Gli attori (histriones o scaenici) erano unicamente uomini, di
solito schiavi o liberti, riuniti in compagnie (catervae o greges)
dirette da un capocomico o regista (dominus gregis), che il più
delle volte era anche primo attore. Era lui ad acquistare il testo
teatrale dallo scrittore e, dopo l’approvazione dei magistrati, a
organizzare e dirigere la messa in scena dello spettacolo.

24 CIVILTÀ ROMANA
COVER STORY

gli olitores, specializzati in ortaggi e legumi, o


i fornai, venditori di pane ma anche mugnai.
Parte della forza lavoro cittadina era impe-
gnata nella manutenzione di edifici e strade,
o nell’edificazione di opere pubbliche: mano-
vali e carpentieri erano richiestissimi, quanto
mulattieri o battellieri, essenziali per muovere
l’ingente quantità di manufatti e materie pri-
me che alimentavano la poderosa macchina
produttiva dell’Urbe. La capillare diffusione
delle botteghe faceva di Roma un enorme
centro commerciale a cielo aperto, il paradiso
per i patiti dell’acquisto, stregati dai colori e
dai profumi di una moltitudine di panni, spe-
zie, vasellame, cibo esotico e gemme preziose.

DAL FORO ALLE TERME


Le prime vittime del consumismo erano le
facoltose matrone che, tra una visita e l’al-
tra ad amici e parenti, trovavano il tempo
di buttare l’occhio nelle botteghe di scultori
e pittori, ordinare un mobile all’ebanista o
acquistare scampoli di stoffa per farne un ve-
stito nuovo. Per ogni evenienza, le farmacie
vendevano ogni medicamento conosciuto e i compiti verso i loro clientes, non si occupa- CIBI E VIZI
in alcune era presente un medico, per chi vano di commercio o artigianato, ma erano Sopra, una prostituta
aveva bisogno di essere visitato. impegnati a competere in carriere più conso- con un cliente. I
I cittadini di alto lignaggio, una volta assolti ne al loro status. Politici, militari e avvocati di lupanari erano tra le
grido, avevano come teatro delle attività quo- attività commerciali
tidiane il Foro, vero centro politico e ammi- più attive dell’Urbe.
nistrativo non solo dell’Urbe ma dell’Impero A sinistra, una botte-
tutto, dove aveva sede il Senato e si svolgevano ga per la vendita di
i processi. Si trattava di un’immensa piazza, cibi pronti: a metà
accecante per la profusione di marmi, con- giornata, i Romani
tornata da lunghi porticati contrappuntati da tornavano raramen-
statue policrome. Sullo sfondo si stagliava la te nelle loro case
sagoma severa dei templi e delle basiliche, e per consumare il
poco distante l’immenso profilo del Colosseo: pasto, preferendo
su questo palcoscenico unico al mondo, sim- acquistarlo in una
bolo della potenza e della ricchezza raggiunta delle tante taverne o
da Roma, i cittadini abbienti giungevano in rivendite affacciate
lettighe sostenute da portatori, solcando una sulla strada.
folla brulicante: lasciavano intravedere appena
il viso dietro le tendine chiuse o si limitavano
a sporgere, indolenti, la mano ornata di anelli
carichi di pietre preziose. Intorno alle 11 del
mattino, l’attività del Foro raggiungeva il suo
acme. Avvocati in toga svolazzante si affretta-
vano, inseguiti dai clienti; patrizi contornati
da solleciti e annuenti clientes discettavano con
i loro pari di affari e politica; gruppi di affan-
nati cittadini raggiungevano trafelati l’aula ›

CIVILTÀ ROMANA 25
ROMA, DALL’ALBA AL TRAMONTO

NEL MOMENTO DEL BISOGNO

S olo pochi privilegiati avevano i servizi igienici in casa, mentre la


schiacciante maggioranza dei cittadini romani affollava le latrine
pubbliche, che in città erano oltre 150. Si trattava di locali dove vigeva
un senso del pudore molto lontano da quello moderno e i bisogni si
espletavano davanti a tutti, gomito a gomito con altre persone, senza
tende o separé che garantissero una seppur minima intimità. Due o tre
lati dell’ambiente erano attrezzati con una serie di sedili forati, disposti
sopra un canale dove scorreva l’acqua (nella foto). Gli escrementi cade-
vano dentro il flusso e venivano portati via dalla corrente fino a disper-
dersi nella cloaca più vicina, una delle tante scavate a Roma. L’Urbe,
fortunatamente, poteva giovarsi non solo di molti pozzi neri, ma anche
di un ottimo sistema fognario, che si basava sulla celebre Cloaca Maxi-
ma, costruita già nel VI secolo a.C. e poi continuamente implementata.
Al centro della latrina scorreva un’ulteriore canalina, dotata di acqua
pulita, in cui si intingeva una spugna montata su un bastoncino, usata
per pulirsi le terga. Conclusa l’abluzione, la spugna veniva gettata in
un apposito recipiente, dove sarebbe stata recuperata dai servi, lavata
per bene e preparata per essere utilizzata dal cliente successivo.

A BANCHETTO dove si celebrava un processo scandaloso che libero, ma il prezzo era davvero popolare.
Nel tondo, un uomo stava facendo parlare di sé tutta la città. All’interno, però, i servizi extra come i mas-
e una donna, forse Poco dopo mezzogiorno, la brulicante at- saggi e la custodia dei vestiti obbligavano a
un’etera (prostituta tività iniziava a scemare: la folla lasciava il un esborso ulteriore. Intorno allo stabilimen-
di lusso), intenti a monumentale spazio pubblico per fare ri- to balneare, lunghi viali ombreggiati attraver-
banchettare stesi su torno nelle strade, alla ricerca di savano giardini e boschetti, tra statue
un triclinio. La cena, una taverna dove consumare un e fontane, e all’ombra di un albe-
oltre a essere il pasto pranzo frugale. In piedi o se- ro era possibile mangiare, leg-
principale della duti ai tavoli, gli avventori gere e assistere a spettacoli
giornata, era occa- mangiavano olive, farro, teatrali, o solo passeggiare
sione di convivi per i lattuga, ceci e rape, spez- per ritemprarsi dalle fati-
cittadini più ricchi. zatino di carne o pesci che della giornata.
alla griglia; immancabili La cura del corpo co-
le uova e le polentine di minciava nelle palestre,
frumento. Solo pochi ap- grandi cortili contornati
partenenti all’élite cittadi- da porticati dove, in abiti
na rientravano nella domus. succinti, gli uomini si impe-
Alle 14 circa era ora di spo- gnavano nella lotta, le donne
starsi alle terme, di fronte alle quali in giochi con la palla: tutti eserci-
si era già creata la fila. Il romano antico zi utili a sudare e preparare il corpo ai
difficilmente superava le sette ore di lavoro al successivi ambienti. Le terme vere e proprie
giorno e dedicava il pomeriggio a ritemprare erano costruzioni monumentali dai soffitti
il fisico nelle molte strutture pubbliche mes- altissimi, rivestite di marmi e finemente stuc-
se a sua disposizione dallo Stato. La folla che cate e affrescate: si passava dal tepidarium al
premeva ai cancelli delle terme era composta calidarium in un crescendo di vapori caldi,
da uomini e donne, anziani e giovani, artigiani fino ai 60 °C dell’ambiente più torrido, il
e soldati, ricchi e schiavi. L’ingresso non era laconicum, per poi tornare al tepore del te-

26 CIVILTÀ ROMANA
COVER STORY

pidarium e ai rigori del frigidarium. Dopo il


gelo, quasi tutti si buttavano nelle acque della
piscina e infine abbandonavano i propri corpi PAROLE DI ROMA
Dies
alle mani sapienti e agli oli dei massaggiatori.

SUL FAR DELLA SERA


Intorno alle 16, ritemprati nel corpo e nello
spirito, i Romani tornavano in strada, dove la All’origine del termine dies, che per i Latini indicava il “giorno”
frastornante attività del mattino era solo un ri- (la parola italiana deriva invece dall’aggettivo diurnum), c’è lo
cordo: le taverne erano quasi tutte chiuse e la stesso senso di luminosità che si ritrova in termini come divus
gente si avviava verso casa. Per chi si era alzato (divino) o deus (dio), collegate al divino nella sua accezione di
prima dell’alba e aveva consumato due pran- luminosità e di splendore, qualità proprie del giorno. Alla base
zi frugali, era già ora di pensare alla cena, che c’è la radice indoeuropea div (o di), che significa “rilucere” e
doveva concludersi prima che calassero le tene- da cui ha origine la parola sanscrita divasa (giorno), abbreviata
bre, per permettere agli eventuali ospiti di fare anche in diva o dyu. Diva, inoltre, è il cielo luminoso, come il
ritorno a casa senza il rischio di brutti incontri. latino dium o divum, che significa “aria”, “cielo”, “aria libera”.
I cittadini del periodo repubblicano, parchi Non a caso la medesima radice si ritrova nei nomi di molte divi-
e parsimoniosi, a cena si accontentavano di nità romane, come Diana, Giove e Giunone. Le parole indicanti
una zuppa di legumi, formaggi, frutta fresca e il giorno in armeno (tiv), albanese (dite), irlandese (dia), inglese
secca; ma in tempi successivi e più opulenti, (day) e nelle lingue neolatine hanno la stessa origine.
comparve anche il pane e perfino la carne si
palesò sul desco dei più poveri. Il convivio,
ossia la cena con invitati, l’appuntamento
mondano dove i padroni di casa mostravano sdraiati sui lecti triclianiares, potessero consu- VINO A FIUMI
la ricchezza della propria magione e incon- mare le pietanze allungando semplicemente Distesi sui letti tricli-
travano persone influenti per proporre accor- una mano. Musica e spettacoli allietavano la niari, ricchi Romani
di politici e commerciali, restò appannaggio cena e il dopocena e spesso si facevano le ore gustano un banchet-
di una ristretta minoranza. Erano in pochi piccole: uno stuolo di schiavi era pronto a il- to, in una tela di
a disporre del denaro, degli schiavi e dello luminare con le torce il cammino verso casa Roberto Bombiani
spazio necessari ad accogliere e onorare ospi- degli illustri ospiti, attraversando le strade (1870). Per loro la
ti numerosi e importanti. Il luogo deputato buie e sfiorando le insulae dove la plebe era serata poteva durare
al banchetto era il triclinio, una stanza dove già a letto da tempo. L’indomani il patrizio e a lungo, se deci-
troneggiava un tavolo sul quale i servi appog- la matrona si sarebbero concessi un ulteriore devano di invitare
giavano tutte le portate, cosicché i convitati, lusso: quello di non doversi alzare all’alba. amici e conoscenti.

CIVILTÀ ROMANA 27
PRIAPO
DIO SCOSTUMATO

28 CIVILTÀ ROMANA
RELIGIONE

Con un enorme fallo sempre in vista, Priapo era il dio che presiedeva
alla fertilità di campi e armenti. Venerato dalle spose, era anche
un burlone, pronto a punire con la sua “arma” chi violasse gli orti altrui
di Elisa Filomena Croce

P
asseggiando per le vie di Roma o di qua- MEMBRI E FRUTTI (segno distintivo che i due avevano in comu-
lunque altra città dell’Impero, non era Una statua di Priapo: ne); ma anche per l’animalità che entrambi
inusuale imbattersi in statuette maschili sopra la veste, rappresentavano, più vicina alla primitiva na-
con organi sessuali così spropositati da appa- alzata per mostrare tura ferina dell’istinto sessuale che all’attra-
rirci oggi osceni. Eppure, nel mondo antico il fallo, porta i frutti zione erotica incarnata da Venere.
immagini di questo genere erano del tutto del suo favore.
normali e venivano collocate in prossimità Nella pagina DIO AGRESTE E FEMMINILE
delle abitazioni, degli orti e dei campi per fun- a fronte, il dio in un Priapo è una divinità fortemente legata
gere da talismani. Il dio a cui erano dedicate affresco di Pompei. all’elemento agricolo. Le statuette in suo
era Priapo, facilmente riconoscibile nell’ico- onore venivano poste nei campi e negli orti
nografia per la sproporzionata lunghezza del per invocare buoni raccolti, e con il passare
suo pene, simbolo di fertilità. dei secoli si trasformarono in cippi di for-
Secondo la mitologia, era figlio ma fallica, che finirono per delimitare il
di Afrodite e Dioniso, oppure di confine tra un campo e l’altro, senza
Zeus e Afrodite. In quest’ultima tuttavia perdere il significato origi-
versione, la dimensione dei geni- nario, benaugurante per i frutti, le
tali viene ricondotta alla gelosia messi e gli allevamenti.
di Era, che volle trasformare il Per quanto, in determinate cele-
figlio dell’ennesimo tradimento brazioni, venga associato a Dioni-
del marito in un essere mo- so, Priapo resta, prima di tutto,
struoso e ridicolo. una divinità agricola arcaica, cara
Un dio grottesco, sim- ai pastori e ai contadini, i quali
bolo della lussuria più non desideravano altro che mes-
sfrenata, che venne scac- si abbondanti e animali fecondi.
ciato dall’Olimpo per- A riprova di questo suo spirito
ché aveva cercato di rustico, il dio viene sempre raf-
violentare la dea Vesta. figurato come un burlone, che
Una punizione forte e il scherza su ogni cosa e si diverte
ripudio di una sessuali- a sfoggiare la sua prorompente
tà animalesca da parte sessualità in modo sguaiato,
del consesso divino. Il senza freni né rispetto.
mito racconta che per- La sua non è l’estasi mistica
sino l’asino, animale che derivava dalle orge doni-
associato da sempre siache, e nemmeno l’intimi-
alla lussuria, ragliò tà lussuriosa a cui presiedeva
contro Priapo. Per Afrodite: quella di Priapo è
questo, ogni anno, una sessualità grottesca e ir-
il dio richiedeva il refrenabile, animalesca, che
sacrificio di un asino, rende il gregge numeroso, le
divenuto il suo animale mogli feconde e la discenden-
sacro, associatogli per via za assicurata. Più che rappresen-
della lunghezza del membro tare uno sfoggio di virilità, ›

CIVILTÀ ROMANA 29
PRIAPO, DIO SCOSTUMATO

l’esposizione romane, il cui compito principale,


del pene eret- nel caso delle patrizie, era assicu-
to, legata al rare la continuità della stirpe
culto del dio e, per le plebee, generare
(sviluppatosi nuove braccia che potes-
probabilmente in epoca ales- sero lavorare nei campi o
sandrina), era connessa nell’impresa di famiglia.
alla richiesta di fertili- Priapo era tanto amato
tà. Questa è una delle dalle donne che, se-
ragioni per cui proprio condo la mitologia, un
le donne erano molto giorno i mariti gelosi
devote a Priapo. Poco lo allontanarono, ma di
prima di sposarsi, era a fronte alla reazione degli
lui che rivolgevano una dei, che li resero tutti im-
preghiera perché la potenti, non poterono fare
prima notte di noz- altro che richiamare il dio.
ze fosse piacevole, ed
erano sempre loro a in- FESTE E CANTI SCONVENIENTI
dossare come talismani Prima in Grecia e poi a Roma, esiste-
di fecondità monili con vano feste denominate “falloforie”. Si tratta-
la raffigurazione del dio, va di processioni, fortemente legate al mon-
o anche solo con il suo do agricolo, in cui venivano trasportati per i
elemento più caratteri- campi falli di legno in onore di Dioniso e di
stico, il pene eretto. Priapo, per invocare fertilità e abbondanza.
Tutto ciò risulta mag- Al termine di tali processioni il terreno ve-
giormente comprensibi- niva asperso con una soluzione di vino misto
le se si considera l’im- a miele, a simboleggiare il seme del dio che
portanza della ma- doveva donare la vita, rendendo le messi rigo-
ternità per le donne gliose e abbondantiß. Il festoso corteo, a cui

UN CANTO DI PRIAPO

C ur obscaena mihi pars sit sine veste requiris?


Quaero tegat nullus cur sua tela deus.
Fulmen habens mundi dominus tenet illud aperte;
T u mi domandi perché le mie pudenda non siano coperte?
E io allora ti chiedo perché nessun dio nasconda le sue armi.
Il re del mondo ha il fulmine e lo tiene alla vista di tutti;
nec datur aequoreo fuscina tecta deo. né il dio del mare nasconde il suo tridente.
Nec Mavors illum, per quem valet , occulit ensem; Né Marte cela quella spada per cui egli vale,
nec latet in tepido Palladis hasta sinu. né Pallade tien l’asta celata nel suo tiepido seno.
Num pudet auratas Phoebum portare sagittas? Forse che Febo si vergogna di portare le auree frecce?
Clamne solet pharetram ferre Diana suam? E Diana non è solita portar palesemente la faretra?
Num tegit Alcides nodosae robora clavae? Forse che Alcide nasconde la forza della sua clava nodosa?
Sub tunica virgam num deus ales habet? Forse che il dio alato tien celato il caduceo sotto la tunica?
Quis Bacchum gracili vestem praetendere thyrso, Chi vide Bacco stender la sua veste sul tirso sottile?
quis te celata cum face vidit, Amor? Chi vide te, o Amore, con la fiaccola nascosta?
Nec mihi sit crimen, quod mentula semper aperta est: Quindi non sia per me un delitto, se il membro in mostra io metto,
hoc mihi si telum desit, inermis ero. se quest’arma mi mancasse, inerme io sarei.

30 CIVILTÀ ROMANA
RELIGIONE

partecipava l’intera comunità rura-


le, veniva accompagnato da can-
ti licenziosi, particolarmente
graditi a Priapo. I compo-
nimenti decantavano la
potenza sessuale del dio,
ne raccontavano le ge-
sta sotto le lenzuola di
questa o quella ninfa, e
sottolineavano quanto
egli fosse insaziabile, e
come un desiderio ir-
refrenabile e la lussuria
più sfrenata lo guidassero
in ogni momento. I canti,
denominati “Priapea”, ebbero
un notevole successo nel mondo
romano, tanto da essere raccolti in
un’antologia anonima, giunta fino a noi.
Scopriamo, così, che Priapo non disde-
gnava che i suoi templi venissero utilizzati
come “nidi d’amore” per coppiette dai bol-
lori ardenti, al punto da esclamare: «Entri
chi vuole, anche lordato dalla nera fuliggine
del bordello». Ma appare altrettanto chiaro
come non sia saggio mettersi contro di lui:
«Che cosa vuoi da me, guardiano molesto?
Perché vieti al ladro di venire da me? Lascialo
venire: se ne andrà con il buco più allarga-
to». Proprio la minaccia del suo fallo fece di che contava, per i politeisti, era l’equilibrio A PESO D’ORO
Priapo il dio protettore degli orti: nessuno del tutto. Gli antichi vedevano il sacro in ogni Sopra, Priapo in un
si sarebbe azzardato a entrare nell’altrui pro- cosa, dalle stelle fino alla materia più vile. affresco pompeia-
prietà, mettendo a rischio l’incolu- Del resto, quelle che noi oggi no: la virtù del suo
mità del proprio posteriore... conosciamo come “lacrime fallo, posto su una
Priapo, dunque, non era un di San Lorenzo”, cioè le bilancia, viene ripa-
dio a cui affidare la vita in bat- Perseidi, lo sciame di gata a peso d’oro.
taglia o la guida di una città: luminose meteore A sinistra, una testa
era una divinità grottesca che nelle notti di marmorea del dio.
e burlona, la caricatura metà agosto (tra- In alto, coppa greca
di qualcosa di anima- dizionalmente il con l’immagine di
lesco, ma che è parte giorno 10, festa, una falloforia. Nella
integrante della vita appunto, di san pagina a fronte, un
umana: un dio che ci Lorenzo) ci fan- tintinnabulum (cam-
permette di riflettere no rivolgere lo panello domestico)
sul fatto che, nella re- sguardo al cielo raffigurante Priapo
ligione romana, a torto per esprimere un con un cappello da
considerata fredda e di- desiderio, a Roma cui spuntano falli.
staccata, ogni cosa, persino erano considerate gocce
quella che potrebbe sembra- del seme di Priapo, ca-
re meno sacra, trova spazio nel dute a fecondare la ter-
culto e nel sentimento religioso. ra. E, per questa ragione,
A dimostrazione del fatto che ciò erano invocate e lodate.

CIVILTÀ ROMANA 31
ALLA MODA
TRA COLORI
E TRASPARENZE
Se le stoffe non offrivano grande varietà, erano i colori a rendere
gli abiti seducenti e vistosi. E per chi se le poteva permettere, c’erano
anche la seta, prodotta ai confini del mondo, e la porpora regale
di Francesca Garello

A
nticamente, i capi d’abbigliamen- uomini che donne, si accontentassero d’in-
to di entrambi i sessi erano re- fagottarsi in pezze di lana dalle tinte
alizzati con pezze di tessuto scialbe. La moda dell’Urbe contava,
adattate al corpo con il minor in- al contrario, un gran numero di
tervento possibile. A Roma, l’in- elaborazioni dell’idea di base, che
dumento base per uomini e don- non avevano nulla da invidiare
ne era la tunica, formata da un agli abiti dei moderni stilisti.
unico rettangolo di stoffa piegato
in due e cucito su un unico lato. IL POPOLO DELLA LANA
La toga, simbolo del cittadino ro- Il materiale più utilizzato per la
mano, era un ampio panno di lana produzione delle stoffe, sia in Gre-
avvolto attorno alla persona, che re- cia che a Roma, era la lana, il che è
stava in posizione solo grazie alla ma- normale in società basate sulla pastori-
estria con cui era stato drappeggiato e a zia. Il cotone era coltivato solo in India e
una certa cautela nel muoversi da parte di chi arrivò in Europa secoli dopo. Piccole quantità
lo indossava. L’abito “di sartoria”, composto COLORI NATURALI di stoffe di cotone venivano comunque im-
da molteplici elementi tagliati in varie fogge Una donna con portate come materiale di pregio assieme alla
e assemblati con ago e filo, si sarebbe diffuso manti colorati: le seta, ma erano riservate alle classi privilegiate.
solo dal Medioevo in poi. tinte erano di origine Nelle regioni calde del Mediterraneo, so-
La semplicità strutturale dell’abbigliamen- vegetale o animale. prattutto l’Egitto e la Spagna, era diffusa la
to non deve farci credere che i Romani, sia coltivazione del lino. Questo, però, neces- ›

32 CIVILTÀ ROMANA
COSTUME

VELI DANZANTI
Affresco pompeiano
con una danzatrice
avvolta in un velo
trasparente, come
la biblica Salomè.
Le stoffe leggere,
esotiche e difficili
da produrre, erano
considerate partico-
larmente pregiate.

CIVILTÀ ROMANA 33
ALLA MODA, TRA COLORI E TRASPARENZE

IL SEGRETO DELLA SETA

I Romani vennero in contatto per la prima volta con la seta


dopo la battaglia di Carre, in Asia Minore, combattuta nel
53 a.C. dalle legioni di Crasso contro l’Impero Persiano. Fu
una disfatta per i legionari, che però scoprirono un materiale
meraviglioso, che non avevano mai visto. Gli stendardi dei
Persiani, infatti, erano di seta. Roma avviò subito spedizioni
commerciali verso l’Oriente, stabilendo contatti con i Seri,
ossia Cinesi, che producevano l’ambitissima serica.
Per secoli, i Cinesi tennero segreto il metodo di produzio-
ne della seta (qui, un ritratto di guerriero occidentale su una
seta cinese), che nell’Urbe si credeva prodotta con la peluria
di una pianta. Nel VI secolo d.C., l’imperatore Giustiniano,
stanco di pagarla a peso d’oro, inviò due monaci in Cina a
rubare il segreto della seta. Tornarono vittoriosi, nasconden-
do in bastoni cavi alcuni bachi da seta vivi, che permisero di
avviare anche in Occidente la produzione del prezioso filato.

sitava di una complessa lavorazione,


quindi le fasce più basse della popo-
lazione non se ne servivano.
La lana forniva tessuti adatti a
tutti gli usi: c’era quella più gros-
solana, con cui il popolo imbastiva
rozze tuniche; quella robusta, dei
mantelli militari; quella più fine, che
le dame di rango usavano per le sot-
tovesti. La lana migliore proveniva
dalla zona di Mutina (Mode-
na) e dall’area veneta.
Se la materia prima era, in
definitiva, a buon mercato, il
prodotto finito, cioè il tessuto
di lana, risultava più costoso.
Il processo di trasformazione,
infatti, aveva dei limiti nel suo
strumento principale: il telaio. A
Roma si utilizzava un tipo di telaio
verticale che veniva manovrato in
piedi e produceva pezze piuttosto
strette a seguito di un processo len-
to e abbastanza faticoso.
In Egitto, Paese specializzato nel-
la produzione quasi industriale di
stoffe, esistevano grandi telai che

34 CIVILTÀ ROMANA
COSTUME

permettevano di realizzare tessuti operati o colori si usavano sostanze naturali: dalla rob- INSERTI CUCITI
jaquard. Sembra, addirittura, che proprio in bia (Rubia tintorum), pianta assai diffusa in Al centro, una
Egitto sia stata inventata la prima macchina Europa e in Africa, si ottenevano le sfumature donna con un pallio
“programmabile”: un telaio che, mediante l’u- dal rosa al rosso acceso; per l’azzurro si usava azzurro. I colori
so di tavolette di legno perforate, consentiva l’indaco (Indigofera tinctoria) o il guado (Isatis erano difficili da ot-
di produrre in automatico trame con disegni tinctoria); una brillante sfumatura di fucsia o tenere ed esistevano
complessi senza bisogno di un operatore che violetto era ottenuta con l’oricello, estratto da artigiani specializzati
spostasse a mano i fili per intrecciarli. un lichene (Roccella tinctoria). Per il giallo c’e- nella produzione di
rano due possibilità: il croco, pianta da cui si ogni singola tinta.
IL LUNGO PROCESSO DEL COLORE ricava anche lo zafferano, produceva Sotto, un mosaico
La differenza tra indumenti sfumature vivaci ma era costo- dalla villa di Piazza
di lusso ed economici non so; l’umile cipolla era pra- Armerina, con uomini
consisteva solo nella fi- ticamente gratuita, ma che indossano abiti
nezza della trama, ma se ne ricavava solo un colorati e decorati
anche nell’uso del giallino slavato. Le con fasce e inserti
colore. Tingere la altre tinte si ottene- a tinte contrastanti,
stoffa era un pro- vano mescolando i cuciti sopra le stoffe.
cedimento lungo e colori di base. Nella pagina a
dispendioso. Inol- Il processo di fronte, altorilievo con
tre, sia le sostanze tintura era sgrade- personaggi maschili:
impiegate per la vole. Per estrarre la il loro abito tipico
tintura sia quelle sostanza colorante era la toga, portata
adoperate per fissa- dalle piante era neces- sopra la tunica.
re il colore sciupavano sario sminuzzarle, la-
i tessuti: ciò limitava la sciarle fermentare e, a vol-
produzione e non garantiva te, aggiungere una sostanza
grande durata all’indumento. che ne favorisse la trasformazione.
I Romani amavano molto i colori, e il dif- Ottenuta la tinta, bisognava preparare le stof-
ficile processo di tintura delle stoffe produsse fe tramite “mordenzatura”: andavano, cioè,
artigiani estremamente specializzati: Plauto bollite con una sostanza capace di agevolare
cita i cerinarii, che tingevano le stoffe di az- il legame tra le fibre e i coloranti, rendendo-
zurro, i violarii di viola, i flammarii di aran- lo stabile. A questo scopo si utilizzava l’urina
cione e i crocotarii di giallo. Per ottenere questi animale, ricca di ammoniaca. Dopodiché, ›

CIVILTÀ ROMANA 35
ALLA MODA, TRA COLORI E TRASPARENZE

finalmente, si passava alla bollitura con il co-


lore. Per alcune tinte l’intero procedimento
andava ripetuto due o tre volte, in modo da
ottenere una tonalità più intensa.

LA FOLLIA DELLA PORPORA


Il colore più pregiato dell’antichità era la
porpora, che aveva un prezzo irraggiungibile
per il cittadino comune. All’epoca di Diocle-
ziano (IV secolo d.C.) la tintura di porpora
valeva il triplo dell’oro, a parità di peso. L’u-
so delle stoffe tinte con la porpora fu rego-
lato nei secoli da numerose leggi contro il
lusso, tanto rigide quanto disattese.
Il valore era legato alla scarsezza e alla diffi-
coltà della produzione rispetto alla domanda.
La porpora si otteneva da un mollusco oggi
sostanzialmente estinto, il murex (Bolinus
brandaris), che nel Mediterraneo si trovava
quasi dappertutto. La qualità migliore si pe-
scava di fronte alla città di Tiro, in Siria, dove
infatti si produceva la porpora più costosa.
Questo animale secerne un liquido vischio-
so da una speciale ghiandola, con cui immo-
bilizza l’avversario per poi nutrirsene. La so-
stanza, opportunamente trattata, genera una
sfumatura di colore che va dal rosso sangue al
violetto, o dal blu reale al celeste.
I murices sono animali molto piccoli: ce ne
volevano circa 12 mila per produrre 1,5 g di

SCIALLE PER DONNE AUDACI

O ttenere tessuti sottili con i telai antichi era un processo difficile, che rendeva
tali capi ricercatissimi. Uno degli accessori più amati dalle dame eleganti
era il babylonicum, uno scialle orientale, spesso trapunto di piccoli ricami
e perle o con fili d’oro nella trama. Indumento provocante, si avvolgeva
intorno alle anche e si annodava all’altezza dell’inguine, per sottoli-
neare la curva dei fianchi e le natiche. In alternativa, si fasciava la
vita e si faceva un nodo sotto il seno per rialzarlo, con un arcaico
“effetto push-up”. Le più audaci lo indossavano su vesti di seta o
lino trasparente, creando un intrigante effetto “vedo non vedo”.
Lo scialle veniva confezionato con seta o bisso. Questo termi-
ne indica sia un tessuto finissimo di lino, sia quello ricavato dai
filamenti prodotti da un mollusco, la pinna nobilis. Il bisso marino
aveva una sfumatura naturale simile all’oro e veniva prodotto in
minime quantità, per cui era particolarmente costoso e ricercato.
COSTUME

sostanza colorante, neppure sufficiente per


tingere un’intera tunica. Anche in questo caso
il processo produceva odori disgustosi. Per
isolare la sostanza colorante, i murices tritu-
rati venivano lasciati marcire in grandi vasche
d’acqua e poi filtrati. L’intero procedimento
doveva essere eseguito con molluschi fre-
schi, appena pescati. Si dovrà aspettare fino
all’epoca di Giustiniano (VI secolo d.C.) per
imparare a conservare i murices morti senza
alterarne la qualità colorante. Gli abiti tinti
di porpora venivano ulteriormente decorati
mediante applicazioni o ricami.
La stampa su stoffa, ora tanto comune, rag-
giunse l’Europa dall’Oriente solo intorno al
Settecento, pertanto i tessuti romani erano in
tinta unita o, al massimo, con qualche riga co-
lorata. La striscia color porpora che i senatori
portavano su toga e tunica, il laticlavius, ve-
niva cucita su indumenti candidi. Era diffusa
anche l’applicazione di pietre colorate, perle e
placchette realizzate con metalli preziosi.
In epoca tardoantica si diffuse la moda di
cucire sulle tuniche grandi cerchi colorati o
figure animali stilizzate, oppure simboli cri- un’abilissima calibratura del colore con im- LAVORO SPORCO
stiani, tutti realizzati a parte e applicati su in- mersioni alternate in guado e oricello. Con Sopra, un tintore di
dumenti già pronti. A Costantinopoli le mani- una simile procedura, se ben eseguita, si otte- stoffe, da un affresco
fatture imperiali producevano anche broccati nevano tonalità rosso-violacee prive di quella pompeiano. Le
di seta misti a fili d’oro, impreziositi dall’inse- sfumatura arancione che tradiva i rossi deriva- sostanze coloranti
rimento nella trama di piume d’uccello. Que- ti dalla robbia. Anche la seta veniva contraffat- venivano fatte
sto costosissimo tessuto, detto opus plumarius, ta, e spesso stoffe ottenute da miscugli di fibre macerare a lungo:
ebbe lunga popolarità e fu alla base del ricamo erano smerciate come pura seta. Le migliori si per essere fissate
in rilievo detto, in francese, “a plumetis”. ottenevano mescolando la seta con il lino. Si alle fibre, le stoffe
evitava la lana, perché la pur lievissima pe- dovevano essere
IL MERCATO DEI FALSI luria presente sul filo avrebbe impedito di preparate con bagni
Naturalmente, materiali tanto costosi riprodurre la lucentezza tipica della seta. di urina che facilitas-
e desiderati erano oggetto di numerose Il mercato dell’abbigliamento continuò sero l’assorbimento
contraffazioni. Un trucco che produ- a offrire capi costosi anche nei secoli a delle tinte. I lavoranti,
ceva ottime imitazioni della porpora seguire. La gente del popolo possedeva quindi, erano co-
era quello di realizzare i tessuti me- solo un indumento da lavoro e uno stantemente esposti
scolando una piccola quantità di per i giorni di festa. Nell’Impero, gra- a sostanze nocive.
filo tinto in vera porpora con fili zie alla meccanizzazione dei telai e Al centro, la Pinna
colorati con la robbia, un po’ all’applicazione della chimica nella nobilis, il bivalve
come si fa adesso unendo fili produzione dei colori, divenne da cui si ricavava il
di seta e acrilico e spaccian- finalmente possibile, anche per bisso. Nella pagina
do il tutto per pura seta. le fasce più basse, l’acquisto di a fronte, gli ambienti
Anche le contraffazio- abiti vari e colorati. Oggi la e le vasche di una
ni di filo misto erano porpora è scomparsa insieme tintoria di Pompei.
piuttosto costose, poi- al murice, distrutto dal suo
ché contenevano vera stesso successo, mentre la
porpora. Un sistema più seta è diventata un piccolo
economico era basato su lusso alla portata di tutti.

CIVILTÀ ROMANA 37
ALL’ASSALTO!
Boudicca, in piedi
su un carro, incita i
suoi guerrieri prima
dello scontro deci-
sivo con i legionari
(insieme a lei, le
figlie oltraggiate dai
veterani romani).
Nella pagina a fron-
te, guerrieri britanni
in un’illustrazione
cinquecentesca.

38 CIVILTÀ ROMANA
EVENTI

LA RIVOLTA DI
BOUDICCA
Alla conquista romana della Britannia seguì un decennio
di pace. Sotto Nerone, però, scoppiò la cruentissima rivolta
degli Iceni, guidati da una regina indomita e vendicativa
di Eugenio Anchisi

D
opo le spedizioni di Cesare nel 55 e druidi, levate le mani al cielo, lanciavano ma-
54 a.C., la conquista sistematica della ledizioni terribili: la novità della scena impres-
Britannia da parte di Roma ricomin- sionò i soldati. Poi, stimolati dal comandante
ciò solo nel 43 d.C., all’epoca del principato e incitandosi a vicenda a non mostrare paura
di Claudio. Nel giro di sette anni, la parte di fronte a una banda di donne e d’invasati,
meridionale dell’isola, più ricca e i legionari avanzarono, abbatterono
popolosa, venne occupata e chi li fronteggiava e li travolsero
sottomessa. Nel 58, fu no- nei loro stessi fuochi».
minato governatore della Mentre il governatore si
provincia Gaio Sveto- trovava a Mona, scoppiò
nio Paolino, che com- la rivolta degli Iceni,
pletò la sottomissione guidati dalla regina
del Galles e progettò Boudicca, il cui nome
di neutralizzare l’in- deriva probabilmen-
fluenza che i druidi, te dalla parola celtica
ritirati sull’isola di bouda, che significa
Mona (Anglesey, nel “vittoria”. Appartenen-
Mar d’Irlanda) e ostili te all’aristocrazia britan-
al dominio romano, eser- nica, Boudicca aveva rice-
citavano sulla popolazione. vuto l’educazione tradiziona-
Alla guida di due legioni, la XIV le del suo popolo. Nei primi anni
Gemina e la XX Valeria Victrix, Paoli- era stata allevata dalla famiglia e, in se-
no portò a termine l’operazione. Come scrive guito, da un clan alleato. Poco più che quat-
Tacito negli Annales: «Li aspettava sulla spiag- tordicenne, era andata in sposa a Pratusago,
gia un ben strano schieramento nemico, denso re degli Iceni, salito al trono nel 47 d.C. con
di uomini e armi e percorso da donne in vesti il consenso dell’Urbe: un re cliente che, alla
nere come Furie, impugnanti fiaccole; attorno i sua morte, avrebbe dovuto lasciare il regno ›

CIVILTÀ ROMANA 39
LA RIVOLTA DI BOUDICCA

EROINE E DRUIDI in eredità all’imperatore romano. che originariamente la circondavano


Sotto, in una stampa Questo, però, non accadde. erano state in parte smantellate e
dell’Ottocento, una Quando morì, nel 59 d.C., riutilizzate per la costruzione
donna guerriera Pratusago nominò erede Ne- di nuovo edifici. Presidiata da
britanna (a sinistra) e rone, ma gli associò la mo- una guarnigione di circa 200
un druido (a destra): glie Boudicca e le due figlie uomini (esclusi i veterani, che
prima di affrontare adolescenti che aveva avuto vi abitavano dopo aver lascia-
la regina ribelle, il da lei. La cosa, stando ai re- to l’esercito), la città non era
governatore della soconti di Tacito e Dione Cas- in grado di sostenere l’assalto di
Britannia, Svetonio sio, non fu accettata dai Roma- qualche migliaio di ribelli, il cui
Paolino, cercò di ni. I veterani delle legioni invasero numero, inizialmente, doveva superare
eliminare in massa quindi le terre degli Iceni come se si trat- le 10 mila unità. L’abitato fu raso al suolo e
questi sacerdoti. tasse di territorio romano, depredarono bruciato dai rivoltosi, come mostrano le
In alto, un gioiello i nobili della tribù e ne ridussero in evidenze archeologiche. I cittadini, molti
con motivi decorativi schiavitù i familiari. Commisero vio- dei quali Britanni che non si erano asso-
tipici dell’arte celtica. lenze varie, si appropriarono dei terreni ciati alla ribellione, vennero seviziati e uc-
e compirono un ignobile oltraggio ai danni cisi barbaramente, senza pietà. Secondo Dio-
delle donne che Patrusago aveva nominato ne Cassio, le donne dell’aristocrazia cittadina
sue eredi: spogliarono Boudicca e la fustiga- furono spogliate e legate, vennero tagliate loro
rono in pubblico, per poi stuprarne le figlie. le mammelle (ricucite poi sulla bocca, come
se le stessero mangiando) e infine
GLI ICENI IN RIVOLTA furono impalate. Mentre Paolino,
Il gravissimo episodio spinse abbandonata Mona, cercava di rag-
la tribù alla rivolta, che ebbe come giungere la zona della sommossa,
concause l’inasprimento della pres- il comandante della Legio IX
sione fiscale e la richiesta di rien- Hispana, Quinto Petilio Ce-
tro di alcuni crediti concessi da reale, di stanza a Lindum
Claudio ai Britanni. La ribel- (Lincoln), mosse verso
lione si estese alle tribù vicine, Londinium (Londra),
tra cui i Trinovanti, e il co- che era la città più ricca
mando dei rivoltosi fu assun- e popolosa della provin-
to da Boudicca, di cui erano cia. Tuttavia, nel corso
ben noti il carisma e il corag- della marcia, fu inter-
gio. Dione Cassio la descrive cettato dai rivoltosi e
così: «Era una donna molto sbaragliato: perse al-
alta e dall’aspetto terrifican- meno 2.000 uomini
te. Aveva gli occhi feroci e e riuscì a stento a
la voce aspra. Le chiome mettersi in salvo alla
fulve le ricadevano in gran guida della cavalleria.
massa sui fianchi. Quanto Paolino si dires-
all’abbigliamento, indossava se a sua volta verso
invariabilmente una collana Londinium con la
d’oro e una tunica variopin- cavalleria, mentre la
ta. Il tutto era ricoperto da uno fanteria lo seguiva
spesso mantello fermato da una a distanza. Intanto,
spilla. Mentre parlava, teneva stretta diede ordine alla
una lancia, che contribuiva a suscitare Legio II Augusta,
terrore in chiunque la guardasse». di stanza a Glevum
Il primo obiettivo dei Britanni era (Gloucester), di ri-
Camulodunum (l’odierna Colchester), congiungersi con le
capitale amministrativa della provincia. sue truppe. L’ufficiale
Era un ex castrum militare, ma le mura che guidava la legione Au-

40 CIVILTÀ ROMANA
EVENTI

gusta, però, non rispose al comando. Il governa- imprecisato di donne, bambini e familiari, a MORTE A LONDRA
tore, constatando la propria inferiorità nume- bordo di carri lenti e ingombranti. Furono la Sopra, Boudicca e i
rica (visti i primi successi, il numero dei ribelli preparazione militare dei legionari e l’acume ribelli britanni danno
era ben presto salito a più di 100 mila persone), strategico del governatore romano a ribaltare le fuoco alle mura di
decise di lasciare Londinium al suo destino, ma sorti di una battaglia apparentemente già persa. Londinium (Londra).
non prima di aver assicurato protezione a tutti i Ben conscio che uno scontro in campo aperto L’odierna capitale del
cittadini che avessero accettato di seguirlo. gli sarebbe stato fatale, Paolino (che annove- Regno Unito era già
Anche Londra venne quindi devastata dai rava tra i suoi ufficiali il giovane Giulio la città più ricca e
rivoltosi e, dopo di essa, Verulamium Agricola, futuro suocero di Tacito, popolosa dell’isola,
(St. Albans). Stando a Cassio Dio- dal quale lo storico ebbe notizie e i Romani avrebbe-
ne, i morti romani e britannici dirette circa l’andamento del- ro voluto difenderla,
durante la distruzione delle tre la guerra contro Boudicca) ma si trovarono
città furono almeno 80 mila. schierò i suoi uomini in un nell’impossibilità
vallone: dietro si stendeva una di farlo a causa
L’ULTIMA BATTAGLIA foresta, davanti si apriva una della schiacciante
Lo scontro finale tra Romani e radura. I fianchi, scoscesi e co- inferiorità numerica.
Britanni avvenne nel 60 o 61 d.C. perti da boschi, proteggevano i A sinistra, lo scudo di
lungo l’attuale Watling Street, la legionari da possibili manovre un guerriero celtico.
strada che collega Londra con il di accerchiamento o da assalti
Galles. Paolino, al comando delle laterali. Inoltre, il comandante
legioni Valeria Victrix e Gemina e dispose tra gli alberi le due ali
di alcune truppe ausiliarie germa- di cavalleria, in modo che re-
niche, mise insieme un esercito stassero nascoste alla vista,. Di
di circa 10 mila soldati. Neppu- conseguenza, lo scontro si sa-
re disposti su una sola fila i suoi rebbe concentrato sul fronte
uomini avrebbero pareggiato il dello schieramento. I Roma-
fronte dei nemici, che si trasci- ni disponevano anche di un
navano dietro anche un numero certo numero di scorpioni, ›

CIVILTÀ ROMANA 41
LA RIVOLTA DI BOUDICCA

IN CERCA DI FAMA
Sotto, Boudicca LA RIVOLTA DI BOUDICCA
nel bozzetto per un
monumento a lei
NEGLI “ANNALES” DI TACITO
ispirato. Dimenticata
a lungo, l’eroina fu Rex Icenorum Prasutagus Caesarem Il re degli Iceni, Prasutago, aveva
riscoperta nel Cin- heredem duasque filias scripserat, tali lasciato come eredi le due figlie e
quecento, quando obsequio ratus regnumque et domum l’imperatore, pensando, con tale atto
tornarono in auge suam procul iniuria fore. Quod contra di ossequio, di preservare il regno e
le opere di Tacito e vertit, adeo ut regnum per centuriones, la sua casa da ogni offesa. Accadde
Dione Cassio. domus per servos velut capta vastarentur. invece l’opposto: il regno fu depredato
Iam primum uxor eius Boudicca dai centurioni e la casa dai servi, quasi
verberibus adfecta et filiae stupro fossero preda di guerra. Per cominciare,
violatae sunt. sua moglie Boudicca venne fustigata e le
figlie violentate.
Deligit locum artis faucibus et a tergo
silva clausum, satis cognito nihil hostium [Svetonio Paolino] scelse un luogo
nisi in fronte et apertam planitiem esse, dall’accesso angusto, una gola chiusa alle
sine metu insidiarum. Igitur legionarius spalle da una selva, dopo aver accertato la
frequens ordinibus, levis circum armatura, presenza dei nemici soltanto di fronte, dove
conglobatus pro cornibus eques astitit. si apriva una pianura libera dal rischio di
agguati. I legionari vennero schierati in file
At Britannorum copiae passim per serrate, con intorno la fanteria leggera e i
catervas et turmas exultabant, quanta cavalieri concentrati alle ali.
non alias multitudo, et animo adeo
fero[ci], ut coniuges quoque testes Le truppe dei Britanni, invece, si
victoriae secum traherent plaustrisque muovevano baldanzose, in una mescolanza
imponerent, quae super extremum di orde appiedate e di bande di cavalieri,
ambitum campi posuerant. che formavano una massa mai vista prima;
erano spavaldi al punto da portare con sé
Ac primum legio gradu immota le spose, come testimoni della loro vittoria,
et angustias loci pro munimento collocandole sui carri disposti lungo il
retinens, postquam [in] propius margine esterno della pianura.
suggressos hostes certo iactu tela
exhauserat, velut cuneo erupit. In un primo momento la legione non si
Idem auxiliarium impetus; mosse, tenendosi nella gola come in un
et eques protentis hastis riparo; ma poi, al farsi sotto dei nemici,
perfringit quod obvium et scaricati tutti i colpi su di loro con lanci
validum erat. Ceteri precisi, si buttò avanti nella formazione
terga praebuere, a cuneo. Altrettanto violenta fu la carica
difficili effugio, degli ausiliari: la cavalleria travolse, a
quia circumiecta lancia in resta, chi si parava davanti per
vehicula opporre resistenza. I nemici volsero le
saepserant spalle in una fuga difficoltosa, perché i
abitus. carri disposti attorno avevano sbarrato
loro ogni via di uscita.
Boudicca
vitam veneno Boudicca pose fine alla sua esistenza
finivit. per mezzo del veleno.

42 CIVILTÀ ROMANA
EVENTI

macchine da guerra simili a balestre, capaci di aver retto il primo urto, si disposero a cuneo e DUE REGINE
scagliare dardi a centinaia di metri di distanza. iniziarono a penetrare lo schieramento nemi- Sotto, la statua
I Britanni, abituati a combattere in manie- co, alternandosi in prima linea per meglio sop- equestre in bron-
ra confusa e individuale, pensarono che il co- portare la fatica. Il combattimento ravvicinato zo dedicata a
mandante romano si fosse messo in trappola favoriva i legionari, armati del corto gladio, Boudicca, che sorge
da solo. Boudicca, nel discorso d’incitamento mentre le spade lunghe e le lance britanniche a Londra nei pressi
ai suoi uomini riportato da Tacito, ricordò che risultavano inefficaci. Infine, si mosse la caval- del Parlamento,
«se valutavano il numero degli uomini in cam- leria romana, che strinse ai fianchi il nemico. all’estremità occi-
po e le ragioni della guerra, non c’erano dub- A fine mattinata, i Britanni furono messi in dentale del ponte di
bi. Dovevano o vincere o morire. Questa era rotta, ma la fuga venne bloccata dai loro stessi Westminster. Voluta
la scelta compiuta da una donna. Gli uomini carri, che li chiudevano alle spalle. Per i legio- dalla regina Vittoria
tenessero pure alla vita e fossero schiavi». nari fu facile dare il via alla carneficina: Tacito e realizzata nel
afferma che i ribelli caduti furono 80 mila, un 1850 dallo scultore
MORTE PER VELENO numero forse esagerato, ma anche gli storici Thomas Thornycroft,
La regina mandò all’attacco i carri da guerra, moderni parlano di non meno di 40 mila mor- raffigura la sovrana
che però in un campo così ristretto risultarono ti, a fronte di poche migliaia di vittime romane accompagnata
inefficaci, riuscendo solo a portare di fronte ai (Tacito dice 400). Boudicca si tolse la vita con dalle due figlie.
Romani i lanciatori di giavellotto, senza sfon- il veleno, o forse fuggì, morendo in seguito di
dare il fronte. Poi lanciò uno scomposto attacco malattia e stenti. La leggenda la vuole sepolta
frontale, con le famiglie dei guerrieri schierate sotto le pietre di Stonehenge, come un’eroina
sui carri alle loro spalle, in semicerchio. Agitan- mitica, ma più probabilmente il suo corpo
do teste di nemici uccisi, i Britanni si scaglia- andò disperso. Secondo Tacito, il comandante
rono urlanti sui legionari, ma furono flagellati della Legio II Augusta, Penio Postumo, che si
dalle frecce e dai pila, giavellotti capaci di sfon- era rifiutato di accorrere in aiuto del governato-
dare gli scudi. A quel punto, i Romani, dopo re Paolino, si diede la morte per il disonore.

43
IL GIGANTE
Orazio Coclite si
lancia sul nemico
in un’incisione rina-
scimentale. Nella
pagina a fronte,
uno scudo da para-
ta del Cinquecento,
attribuito a Domeni-
co Buti, che riporta
le gesta dell’eroe.

44 CIVILTÀ ROMANA
PERSONAGGI

ORAZIO
L’EROE
MONOCOLO
La storia arcaica di Roma è costellata di imprese straordinarie, al limite
dell’umanamente possibile. Quella che ha per protagonista Orazio Coclite
offriva ai cittadini un esempio di supremo coraggio e tempra guerresca
di Edward Foster

L
a vicenda di Orazio Coclite, leggendario tino) si tolse la vita per la vergogna, fu il
eroe con un occhio solo, si inserisce fattore scatenante per la sollevazione del
nell’ambito della guerra tra Roma e popolo di Roma, che scacciò Tarqui-
la città etrusca di Chiusi. Siamo ai tempi nio e stabilì che mai più un uomo solo
della cacciata di Tarquinio il Superbo, avrebbe governato la città.
ultimo re dell’Urbe, in seguito alla qua-
le, nel 509 a.C., era nata la Repubblica: VENDETTA ETRUSCA
Res publica populi Romani. Secondo la Venne istituito il consolato, in base
tradizione, la cacciata del monarca, di al quale due uomini avrebbero condi-
origine etrusca, fu dovuta alle malver- viso il governo di Roma e il comando
sazioni e alla tirannide che aveva instau- dell’esercito in caso di guerra. I primi
rato e, non ultimo, allo stupro della no- consoli furono Lucio Giunio Bruto,
bile Lucrezia da parte di suo figlio, Sesto uno dei più acerrimi oppositori di Tar-
Tarquinio. Questo fatto, in seguito al quale quinio, e Lucio Tarquinio Collatino, il
la donna (moglie di Lucio Tarquinio Colla- marito della sventurata Lucrezia. Costui, ›

CIVILTÀ ROMANA 45
ORAZIO, L’EROE MONOCOLO

I DUE DIFENSORI però, era parente del re scacciato e il popolo non dei morti, si constatò che gli Etruschi avevano
Sotto, Orazio Coclite vedeva di buon occhio la sua elezione; fu dun- perso 13 mila uomini e i Romani uno in meno.
(sulla destra) assieme que convinto a dimettersi e il suo posto venne Perduta la prima speranza di riprendersi il
allo spartano Leo- preso da Publio Valerio Publicola. trono, Tarquinio si rivolse a Lars Porsenna, lu-
nida, in un affresco Fu sotto Bruto e Publicola che Roma si cumone (cioè sovrano e sacerdote) di Chiusi.
del Perugino (1446- trovò ad affrontare la reazione dello scacciato Scrive Livio: «Porsenna, pensando sarebbe sta-
1523) dedicato Tarquinio. Per tornare sul trono, l’ex monarca to meglio per gli Etruschi che a Roma ci fosse
agli eroi antichi. chiese aiuto alle vicine città etrusche. Ottenne non soltanto un re, ma un re di sangue etrusco,
L’accoppiamento l’appoggio di Veio e di Tarquinia (di cui era marciò su Roma con le truppe. Mai prima il
non è casuale: originario) e con loro condusse un assalto con- Senato aveva provato un panico simile, tali era-
così come Leonida tro Roma, il cui esercito era guidato da Bruto, no la potenza di Chiusi e la fama di Porsenna».
difese il passo delle al comando della cavalleria, e Publicola, a capo
Termopili dall’inva- della fanteria. Lo scontro si svolse nella Selva L’ASSEDIO DI ROMA
sione persiana, allo Arsia, una zona boscosa presso l’Urbe, al con- Il re di Chiusi si mosse verso l’Urbe. Il pri-
stesso modo Orazio fine con il territorio di Veio. mo scontro fra i due eserciti si ebbe fuori dalle
si oppose al passag- Le prime a scontrarsi furono le cavallerie. Ar- mura cittadine, sulla riva destra del Tevere. La
gio degli Etruschi sul runte, che comandava quella etrusca, vide che preponderanza etrusca spinse i Romani a ri-
ponte che avrebbe tra i cavalieri nemici c’era uno dei consoli: Bru- fugiarsi all’interno delle mura, inseguiti dagli
consentito loro di to, di cui era cugino. Immediatamente spronò assalitori. Punto obbligato per entrare in città
conquistare Roma. il cavallo contro di lui. Come scrive Tito Li- era il ponte Sublicio, il più antico di Roma,
vio, «i due si scontrarono con un accanimento fatto erigere dal re Anco Marzio nel VII seco-
incredibile, preoccupandosi soltanto di colpire lo a.C. in corrispondenza di un antico guado.
l’avversario e non di schivarne i colpi. Così, tra- Se il ponte fosse caduto nelle mani del nemico
fitti l’un l’altro dall’asta dell’avversario, passata avrebbe consentito agli Etruschi di dilagare
attraverso lo scudo, fu- nell’Urbe. Il momento
rono sbalzati da caval- era cruciale, e fu in quel-
lo e franarono a terra la situazione di pericolo
in fin di vita». mortale che si mise in
Intanto, ebbe ini- luce Orazio. Come scri-
zio anche un violento ve Plutarco, costui era
scontro tra le fanterie: chiamato Coclite «per
«La fine del combatti- aver perduto un occhio
mento non fu meno in guerra o, secondo al-
aspra» scrive Plutar- tri, perché aveva il naso
co, secondo il quale talmente schiacciato
fu una tempesta a in- tra i due occhi da non
terrompere le ostilità. lasciare alcuno spazio,
Da entrambe le parti e le sopracciglia erano
i caduti erano stati così unite che la plebe
moltissimi e l’esito del- aveva voluto chiamarlo
lo scontro rimaneva Ciclope, ma per un er-
incerto. Scese la not- rore di lingua lo chiamò
te, e proprio quando Coclite». Questo spa-
le tenebre erano più ventoso guerriero, che
fitte giunse dalla selva doveva avere una statura
una voce profonda e terrificante: quella del dio fuori della norma, si piazzò alla testa del ponte
Silvano (secondo Livio), che spiegava come gli per presidiarlo in compagnia di Spurio Larcio e
Etruschi avessero perso un uomo in più rispetto Tito Erminio, entrambi giovani nobili romani.
ai Romani e che la vittoria spettava dunque a Quando ancora si combatteva sulla piana
questi ultimi. Udita la voce, i Romani innalza- alla destra del Tevere, Coclite vide che i nemi-
rono grida di gioia, mentre gli avversari abban- ci, scendendo dal colle Gianicolo (dove ave-
donarono il campo, fuggendo. Facendo la conta vano posto il campo), avevano messo in rotta

46 CIVILTÀ ROMANA
PERSONAGGI

i suoi compagni e si stavano precipitando in dalla sua posizione di difesa a oltranza del pon- AIUTO DIVINO
massa verso la città con l’intenzione di espu- te». L’impeto etrusco stava per travolgere Co- Sopra, Orazio
gnarla. Dopo aver fatto transitare i commili- clite, quando, alle sue spalle, egli udì il fragore Coclite, spronato
toni in fuga, Orazio si mise a presidio del pas- dell’ultimo tratto di ponte che crollava nelle ac- dalla dea Vittoria,
saggio, ordinando ai compagni di smantellare que del fiume. Allora, votandosi al dio Tevere, il che gli pone sulla
il ponte alle sue spalle. Come racconta Livio, guerriero si gettò a sua volta in acqua, completa- testa l’alloro del
«avrebbe retto lui l’urto dei nemici, nei limiti mente armato, e raggiunse la riva sicura, sebbene trionfo, difende il
del possibile per un uomo solo. Quindi avanzò i nemici lo bersagliassero con le frecce. Secondo ponte Sublicio (che i
a grandi passi verso l’ingresso del ponte, facen- Livio, Orazio ne uscì indenne, «protagonista di compagni, dietro di
dosi notare in mezzo alle schiere dei compagni un’impresa destinata ad avere presso i posteri più lui, stanno smantel-
che rinunciavano a scontrarsi e sbalordendo gli fama che credito» (ciò fa capire come anche lui lando) dall’assalto
Etruschi con l’incredibile coraggio che dimo- ci credesse poco). Per Plutarco, invece, «fu ferito etrusco. Il quadro è
strava nell’affrontarli armi in pugno». da un’asta etrusca alla coscia», che lo rese zoppo del pittore francese
per la vita. Comunque fosse, il suo eroismo con- Charles Le Brun
IL PONTE CROLLA sentì la chiusura delle porte cittadine prima che i (1619-1690).
Quando il ponte era già quasi completamente nemici vi penetrassero e salvò Roma dal disastro.
smantellato e restava solo un passaggio esiguo, Orazio Coclite fu ricompensato, dice Livio,
Orazio ordinò anche a Erminio e Larcio di re- con tanta terra quanta ne poté arare nello spa-
trocedere, restando da solo di fronte ai nemici. zio di un giorno; oppure, secondo Plutarco,
«Lanciando occhiate di fuoco ai capi Etruschi» con quanta ne poté circondare con l’aratro nel
scrive ancora Livio, «passava dallo sfidarli sin- volgere di una giornata. Ogni cittadino, inoltre,
golarmente a duello ad accusarli tutti insieme gli donò dei beni in base alla propria disponibi-
di essere schiavi dell’arroganza monarchica e di lità. Gli fu eretta anche una statua di rame nel
essere venuti a minacciare la libertà altrui senza tempio di Vulcano. Tuttavia, nonostante la fama
pensare alla propria. Essi allora ebbero un attimo guadagnata e la discendenza da una famiglia di
d’incertezza e si guardarono l’uno l’altro prima eroi (che aveva già dato a Roma i tre famosi fra-
di attaccare. Poi, spinti dalla vergogna, si butta- telli Orazi), egli non ottenne mai il consolato, a
rono tutti insieme all’assalto e, gridando a gran causa della zoppia. Secondo Appiano di Alessan-
voce, concentrarono i loro tiri contro quell’uni- dria (95-165 d.C.), «Orazio, invalido alle gam-
co nemico. Ma Orazio riuscì a ripararsi con lo be, non divenne console né in tempo di guerra
scudo da tutti i colpi e non si mosse di un passo né di pace, perché non aveva l’uso dei piedi».

CIVILTÀ ROMANA 47
LE TERME,
IGIENE
E SALUTE
Erano tra i luoghi preferiti dai cittadini di Roma, che li frequentavano
per igiene, per salute, ma anche per diletto. Spesso monumentali
e dotati di servizi grandiosi, costituivano uno dei fulcri della vita sociale
di Elena Percivaldi

C
on le loro dimensioni davvero colossali LOCUS AMOENUS all’area compresa tra Celio, Aventino e Circo
(337 x 328 m), ancora oggi percepibili Nella pagina a Massimo, le Terme richiesero per il loro ap-
dalle suggestive rovine, le Terme di Ca- fronte, donne alle provvigionamento la costruzione di un’appo-
racalla sono il più famoso complesso balneare Terme di Caracalla sita diramazione dell’Acqua Marcia (il terzo
dell’Impero Romano. Costruite sul Piccolo in un dipinto di acquedotto di Roma antica): l’Aqua Antoni-
Aventino per volere dell’omonimo imperatore Lawrence Alma-Tade- niana. Al loro interno ospitavano, oltre alle
della dinastia dei Severi tra il 212 e il 216 d.C., ma. Il complesso era monumentali vasche e ai locali adibiti alle più
poco lontano da dove iniziava la via Appia, aperto al pubblico diverse e inaspettate funzioni, addirittura un
rimasero per circa un secolo le più imponen- sia maschile che fem- Mitreo (tempio per il culto del dio Mitra) sot-
ti di Roma, superate solo da quelle volute da minile, ma in orari terraneo, il più grande mai ritrovato nell’Urbe.
Diocleziano nel 306, conservate poco lontano e ambienti diversi.
dall’odierna Stazione Termini. OZIO TERAPEUTICO
Furono un luogo simbolo della città e dello Le Terme di Caracalla, però, sono soltanto
Stato. Concepite per servire i residenti della uno degli innumerevoli complessi di questo
I, II e XII regione augustea, corrispondente tipo che, a partire dal II secolo a.C., si dif- ›

48 CIVILTÀ ROMANA
TEMPO LIBERO

GUERRIERI E DEI
Soldati sanniti in un
mosaico pompe-
iano: mostrano
le fogge di elmi
e corazze e un
vessillo sgargiante.
Nella pagina a
fronte, immagine
bronzea di una
divinità circondata
da animali sacri.

CIVILTÀ ROMANA 49
LE TERME, IGIENE E SALUTE

IN CIABATTE! fusero dalle province orientali alla Penisola sfruttavano le virtù terapeutiche di particolari
Sopra, quel che Iberica, dall’Africa Settentrionale alle Gallie sorgenti grazie a impianti realizzati in Marem-
resta delle Terme di e fino alla lontana Britannia, in tutte le città ma, ricca di acque sulfuree, o in prossimità di
Caracalla (Thermae più importanti dell’Impero. Il fatto vulcani ormai spenti come il monte
Antoninianae, in che i Romani fossero molto Amiata. Ma furono i successori
latino): edificate a attenti all’igiene personale, di Romolo a realizzare com-
partire dal 212 d.C. considerata indispensa- plessi sempre più ampi e
(secondo alcune bile per restare in buo- sontuosi, sia in Italia che
ipotesi, dal 206), na salute, non basta nelle altre province.
furono inaugurate nel a spiegare la ragione Ciò fu possibile da un
216. Polemio Silvio, dell’enorme succes- lato grazie al progresso
funzionario e scrittore so di questi impian- tecnologico, dall’altro
romano di origine ti. Lungi dall’essere per via della grande
gallica del V secolo, un semplice luogo disponibilità di schia-
le considerava una di balneazione (per vi che affluivano dai
delle sette meraviglie lavarsi e rinfrescarsi territori conquistati.
di Roma. A destra, esistevano i bagni pub- Il problema maggiore
mosaico termale con blici, i balnea), le terme era rappresentato dal riscal-
l’immagine di un erano un punto di ritrovo damento delle acque e degli
paio di ciabatte e cruciale, in cui i Romani di ogni ambienti: se ottenerlo era piuttosto
di alcuni strigili, classe sociale si incontravano per socia- semplice e immediato nei luoghi caratteriz-
usati per detergersi lizzare, riposarsi, praticare sport, discutere zati da sorgenti con temperatura adeguata,
dopo il massaggio. di politica e di affari, assistere a spettacoli e beneficiarne era quasi impossibile laddove
leggere libri. Se il Foro, con le sue transizioni tali risorse non erano disponibili, in primis
commerciali, le tribune politiche, le cerimo- a Roma. La soluzione arrivò a partire dal I
nie religiose e le arringhe giudiziarie, rappre- secolo a.C., quando il ricco Sergio Orata, os-
sentava il cuore pulsante del negotium, ovvero servando il modo in cui venivano convogliati
della vita attiva del cittadino, le Terme erano il i vapori bollenti provenienti dai Campi Fle-
luogo dell’otium, dove si rilassava il corpo dalle grei, pensò di far produrre artificialmente aria
fatiche e si ritempravano mente e spirito. calda in grandi forni circolari (praefurnia) e
I Romani non erano gli unici a conoscere i poi farla circolare in appositi spazi vuoti, pre-
benefici delle acque termali. Già gli Etruschi disposti sotto il pavimento (sospensura) dei

50 CIVILTÀ ROMANA
TEMPO LIBERO

locali e all’interno delle pareti, attraverso tubi nito di cabine e scaffali in legno o in muratura, IL GIUSTO TEPORE
in laterizio (tubuli). Nacque così il sistema oppure di semplici nicchie nelle pareti: qui gli Al centro, Nel tepi-
dell’“ipocausto”, e con esso il riscaldamento, avventori si toglievano abiti e calzari e li ripone- darium di Lawrence
subito adottato sia nelle terme che vano insieme agli altri oggetti perso- Alma-Tadema,
nelle domus patrizie. nali. In inverno era meglio fare che raffigura una
in fretta, dato che l’ambiente matrona nell’ambien-
APERTE A TUTTI non era riscaldato. Inoltre, te termale destinato
Tutti quanti anda- occorreva stare attenti a ai bagni in acqua
vano alle terme, sia che cosa si portava (e tiepida. Riscaldato
uomini che donne, si lasciava) nell’apo- da una corrente
benché, naturalmen- dyterion: poiché il lo- d’aria moderatamen-
te, non nello stesso cale si affacciava sulla te calda che correva
momento né nei pubblica via, era facil- sotto il pavimento, il
medesimi ambienti: mente preso di mira tepidarium si trovava
gli impianti presen- dai ladri, ragion per cui tra il calidarium e il
tavano settori separati, i Romani più facoltosi si frigidarium.
destinati a ciascuno dei facevano spesso seguire da
due sessi, e gli orari erano un servo che restava nel ve-
diversi, in modo da evitare il stibolo a montare la guardia. La
rischio di promiscuità. Anche il sua attesa sarebbe stata molto lunga:
censo rappresentava un discrimine: i patrizi le abluzioni erano un autentico rito sociale che
godevano di ambienti molto ampi e sontuo- durava ore, durante le quali, oltre a dedicarsi ai
si, mentre i plebei dovevano accontentarsi di bagni e agli immancabili massaggi, si discuteva,
spazi assai più spartani e ristretti. A nessuno, si passeggiava ammirando statue e opere d’arte e,
però, era precluso l’accesso, neanche ai meno nel caso di terme monumentali e ben strutturate
abbienti, dato che l’ingresso costava pochissi- come quelle di Caracalla, si poteva persino assi-
mo, quando non era del tutto gratuito. stere a spettacoli teatrali, consultare volumi in
L’accesso avveniva attraverso un apposito ve- biblioteca, fare acquisti in diversi negozi.
stibolo, l’apodyterium (“camera per spogliarsi”, Anche il bagno era lungo e accurato. Gli
in greco), costituito da un ampio ingresso mu- avventori, specie le donne, amavano im- ›

MANIACI NELLA CURA DEL CORPO

I Romani erano attentissimi alla cura del corpo. Gli uomini, ogni giorno, si radeva-
no dal barbiere (il tonsor) e regolavano con le pinzette i peli superflui. Le matro-
ne, invece, si facevano accudire da un gran numero di ancelle che sapevano
come esaltare la loro bellezza. I capelli erano acconciati con cura e adornati
di preziosi pettini e spilloni, oppure si ricorreva a elaborate parrucche che
variavano a seconda del gusto e della moda (a destra). Il trucco era assai
diffuso: per donare mistero e profondità allo sguardo si ricorreva a pigmenti
e nerofumo, mentre per rendere uniforme l’incarnato, la pelle (nutrita e levigata
con maschere e unguenti) veniva cosparsa di un fondotinta a base di biacca.
Le labbra, infine, venivano colorate di rosso vivace, ottenuto dal cinabro.
La toletta quotidiana era completata, per chi poteva permetterselo, da co-
stosi balsami e profumi orientali. Quanto ai denti, si pulivano con l’uso di
stuzzicadenti e si risciacquavano e strofinavano con paste dentifricie a base
di bicarbonato di sodio, oppure con l’urina (che si riteneva avesse un forte
potere sbiancante). Per avere l’alito fresco e profumato si masticavano foglie
di salvia o pasticche alle spezie, dal potere dissetante e digestivo.

CIVILTÀ ROMANA 51
11
LE TERME, IGIENE
12 E SALUTE
14
13
10
5 11
6

4
7
8 9
2
5 12

13
3 4
2

LE TERME
DI CARACALLA
LUSSO IMPERIALE mergersi in acque aromatizzate con profumi (laconicum), trattamento considerato un vero
La pianta sopra e vini speziati, secondo la moda egizia. Per toccasana. In base alla citata “teoria degli umo-
riproduce gli am- detergersi utilizzavano paste composte da ri”, si riteneva che il sudore riequilibrasse l’or-
bienti delle Terme polvere di equiseto (una felce con proprietà ganismo, preservandolo in salute e favorendo
di Caracalla, erette cicatrizzanti e leggermente abrasive), argilla e la guarigione dalle malattie. Allo stesso modo,
presso l’inizio della via olio d’oliva; per levigare la pelle usavano la per garantire il benessere psicofisico era con-
Appia. Furono le più pietra pomice, la sabbia o la cenere di faggio. sigliata la frequentazione delle palestre e del-
grandi dell’Impero fino le ampie vasche che consentivano di nuotare
all’edificazione delle FREDDO, CALDO, TIEPIDO come nelle piscine moderne (natationes).
Terme di Diocleziano, Si poteva scegliere tra vasche e ambienti Una volta terminato l’ultimo bagno, l’avven-
nel 306. 1 Ingressi e regolati a differenti temperature, secondo un
tabernae; 2 Spogliatoi; percorso stabilito, oppure in base alle proprie
3 Natatio; 4 Palestre; preferenze personali. In genere si iniziava im-
5 Saune; 6 Calida- mergendosi nel calidarium, caratterizzato da
rium; 7 Tepidarium; una temperatura intorno ai 30 °C. Stando
8 Frigidarium; 9 Giar- alla “teoria degli umori”, elaborata da Ippo-
dino; 10 Portici; crate e perfezionata da Galeno, secondo la
11 Biblioteche; quale il benessere dipendeva dall’equilibrio
12 Sale per riunioni; dei liquidi prodotti dall’organismo, questo
13 Latrine; 14 Cisterne. primo bagno rilassante e defatigante dilatava
i pori, consentendo agli umori in eccesso di
fuoriuscire depurando la pelle e il corpo. Si
passava poi al frigidarium, che offriva acqua a
temperatura decisamente bassa, ritemprante,
tonificante e rigenerante. Per finire, una sosta
nel tepidarium, che riportava il corpo in con-
dizioni termiche ottimali.
Chi lo desiderava poteva accedere alla sauna

52 CIVILTÀ ROMANA
TEMPO LIBERO

tore si recava al massaggio finale, praticato da


mani esperte con l’ausilio di unguenti profuma- PAROLE DI ROMA
Thermae
ti. Così ritemprato, poteva riprendere le proprie
occupazioni quotidiane con rinnovato vigore.

NON SEMPRE SALUTARI


A volte, però, il trattamento termale non si Dal greco thermos, cioè “caldo”, deriva la parola latina thermae.
rivelava troppo salutare, o almeno non lo era Lo stesso significato si ritrova anche in formus, che vuol dire “cal-
per tutti. Le condizioni igieniche non sempre do” o “ardente”. Tutti questi termini traggono origine dalla radice
ottimali, i continui e repentini sbalzi di tem- indoeuropea ghar, o har, da cui deriva la parola sanscrita ghar-
peratura e l’esposizione, specie in inverno, alle mas, sempre con il significato di “caldo”.
correnti d’aria potevano portare l’incauto ba- Simili sono anche il gotico varmjan, “scaldare”, l’antico slavo goreti
gnante a contrarre infezioni o malanni anche e il boemo horeti, entrambi con il significato di “ardere”. La radice, con
gravi e potenzialmente letali. Frequenti erano gh mutato in th, si trova infine nel greco thero, “estate”.
le infezioni ai canali auricolari e nasali, così
come l’insorgenza di altre patologie legate
all’ambiente (che si riscontrano ancora oggi
nei nuotatori professionisti), che potevano notevoli danni, le terme iniziarono a essere MARMI E COLORI
provocare la sordità o la deformazione del set- progressivamente abbandonate, fino alla loro In basso, la ricostru-
to nasale. Se queste erano infermità da “ric- definitiva chiusura. Fu questa la sorte che toc- zione di uno degli
chi”, gli schiavi addetti alle terme si ammala- cò anche alle Terme di Caracalla: nonostante ambienti interni delle
vano per le condizioni proibitive in cui ope- vari restauri, realizzati nel corso del III, del Terme di Caracalla.
ravano e per i pesantissimi carichi di lavoro. IV e del V secolo, cessarono di funzionare nel Completamente
Le terme rimasero per secoli, insieme ai gio- 537, quando, in piena Guerra greco-gotica, rivestito di marmi e
chi e agli spettacoli teatrali, una delle occupa- il re barbaro Vitige tagliò gli acquedotti che altri materiali pre-
zioni preferite dai Romani. Con l’avvento del le rifornivano. Riutilizzato in parte come in- ziosi, il complesso,
cristianesimo e il suo trionfo, nel IV-V seco- sediamento abitativo, ospizio per i pellegrini dopo l’abbandono,
lo, la pratica cominciò a essere osteggiata, in e persino come area cimiteriale, il grandioso divenne una “cava”
quanto riconducibile all’ambito pagano, e gli complesso finì per fornire, nei secoli successi- di materiale da
stessi stabilimenti vennero demonizzati come vi, pregiati materiali da costruzione per i can- costruzione e fu
luoghi di promiscuità, corruzione e lussuria. tieri di importanti monumenti, a Roma e in lentamente sman-
Complice la crisi economica, il declino delle tutta la penisola: dalla basilica di Santa Maria tellato per costruire
strutture dell’Impero e, soprattutto, le incur- in Trastevere al Duomo di Pisa, fino alle colle- altri edifici. L’ultima
sioni barbariche, che causarono agli impianti zioni dei Farnese e dei Medici. colonna integra fu
Lo stesso inglorioso destino spettò agli im- asportata nel 1563.
pianti presenti in altre città dell’ex Impero.
Non ovunque, però. In alcuni casi fortunati
(per esempio a Lucca, Viterbo o Acqui) gli
stabilimenti romani, per quanto malridotti
e deteriorati, rimasero attivi anche nel Me-
dioevo. Altri ne furono costruiti, a partire
dall’VIII secolo, in tutte le maggiori città
d’Europa, eredi delle terme ma anche de-
gli hammam islamici (sorti, nel frattempo,
a imitazione degli impianti ancora presenti
nell’Impero Romano d’Oriente) e dei bagni
di vapore delle genti delle steppe, introdot-
ti in Europa dalle popolazioni “barbariche”.
Ciò a dimostrazione di quanto sia falso il
mito della sporcizia cronica medievale, uno
dei tanti luoghi comuni che offuscano ancora
l’immagine dei “secoli di mezzo”.

CIVILTÀ ROMANA 53
54 CIVILTÀ ROMANA
CUCINA

TRA PENTOLE
E PADELLE
La cucina dell’antica Roma era un luogo angusto, spesso confinato
in uno degli angoli più oscuri della domus. Eppure, sfoggiava
un’attrezzatura moderna, che poco avrebbe da invidiare a quella attuale
di Elena Guidi

L
a cottura dei cibi, per renderli più saporiti, AI FORNELLI e la frittura. Quest’ultimo metodo dovette
facili da masticare e anche più digeribi- Un piatto da portata aspettare il diffondersi di pentolame in me-
li, è una pratica molto antica. Pare certo in bronzo, finemente tallo e, soprattutto, dei grassi adatti per frig-
(soprattutto dagli studi antropologici, più che lavorato. Nella gere. Nel suo Antiquitates rerum humanarum
dai dati archeologici) che il primo sistema di pagina a fronte, una et divinarum, opera in 41 volumi sulla sto-
cottura adottato dall’uomo sia stato quello di cucina romana: sotto ria culturale e la religione romana, l’erudito
arrostire gli alimenti direttamente sul fuoco o ai fornelli, alimentati Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.) stabi-
sulla brace. Più tardi si scoprì la lessatura. In a legna, c’era il for- lisce la sequenza cronologica dei metodi di
mancanza di padelle o paioli di materiali capa- no. Alle pareti sono cottura della carne: cita prima l’arrosto (as-
ci di resistere al fuoco, si usava scaldare l’acqua appese pentole per sus), poi il lesso (elixus) e infine la carne cotta
(conservata in otri di pelle, ma anche in buche tutti gli usi. nel proprio sugo (ex iure). Per i Romani, e
scavate nel terreno, eventualmente rivestite per lo stesso Varrone, questi tre passaggi suc-
di sassi) facendo arroventare grosse pietre sul cessivi dovevano costituire un progresso.  La
fuoco e poi immergendole nel liquido dove si frittura non è citata, ma è interessante notare
trovava la carne o gli altri cibi da lessare. In se- che il verbo latino frigere poteva essere usa-
guito, molti millenni prima di Cristo, quando to sia per definire il metodo di tostatura dei
si cominciò a produrre vasellame impermeabi- cereali (da cui poi si ricavava la farina), sia
le e resistente al fuoco, le cose diventarono più la cottura in padella con un liquido
semplici, poiché i contenitori bollente diverso dall’acqua
potevano essere messi diret- ma che, a differenza del
tamente sulla fiamma viva. ius (sugo), non apparte-
neva alla carne che si sta-
OLIO E GARUM va cuocendo. Questo liquido
Le ultime a essere scoperte fu- non era necessariamente olio:
rono la cottura in forno, che si deve agli a volte si trattava di garum, la tipica
Egizi (la usavano per cuocere il pane) salsa di pesce in uso all’epoca, di un ›

CIVILTÀ ROMANA 55
TRA PENTOLE E PADELLE

INGREDIENTI DI IERI E DI OGGI

L a cucina romana usava diversi ingredienti uguali ai nostri, men-


tre altri risulterebbero, oggi, decisamente inusuali. Ma la diffe-
renza maggiore stava nelle aspirazioni di chi cucinava: mentre i
cuochi moderni puntano a far prevalere i sapori naturali dei cibi,
quelli romani aspiravano a mascherarli, facendo in modo che
di ogni piatto fosse quasi impossibile individuare i componenti.
Ecco alcuni ingredienti utilizzati proprio a tale scopo: miscuglio di vino e garum, oppure di garum
con olio e vino o con olio e miele.
Pepe: arrivò a Roma attorno al 100 a.C. I medici lo prescrive- In ogni caso, un elemento era importante
vano come calmante dei dolori femminili e come antidoto contro per i Romani: il tempo di cottura. A volte,
l’avvelenamento da cicuta. Compariva in quasi tutti i piatti. prima di essere arrostite, le carni venivano
Sale: era monopolio di Stato e, ai tempi della Repubblica, bollite per ammorbidirle ulteriormente. Per
veniva distribuito pubblicamente. Lo si otteneva facendo evapo- tutti questi tipi di cottura si usavano conte-
rare l’acqua salmastra in larghe teglie. In alcuni casi, si usava nitori sia di ceramica che di metallo.
direttamente l’acqua salata di mare o il liquamen, sale liquido o
semiliquido aromatizzato con erbe. UN ARSENALE DI ACCESSORI
Levistico: pianta dal gusto simile al sedano, oggi scomparsa. Il pentolame a disposizione dei cuochi non
Olio: la sua produzione, in Italia, era già insufficiente nel 50 era molto dissimile da quello attuale: c’e-
a.C., tanto che si cominciò a importarlo dalla Spagna. Era im- rano recipienti adatti alla cottura, chiamati
piegato soprattutto nel Mezzogiorno, mentre al Nord veniva so- vasa coquinatoria, fatti con argilla grossolana
stituito con il lardo suino. e poco raffinata; i vasa escaria, dentro cui si
Zucchero: era rarissimo e proveniva dall’India. mangiava o beveva; i vasa potoria, per portare
Miele: usato in vari piatti e anche per conservare la carne. in tavola gli alimenti cucinati. Tutto era d’ar-
Sapa: un mosto ottenuto con uva, fichi, mele cotogne e altri gilla, facilmente reperibile e poco costosa,
ingredienti dolciastri. che una volta cotta in forno diventava cera-
Aqua mulsa: miscela di miele e acqua piovana, lasciata a mica. Le forme delle pentole e delle padelle
decantare anche per anni, simile al nostro idromele. di cottura erano già ampiamente differen-
Color: composta di mele cotogne e fichi mescolati con miele. ziate. L’olla era la più comune: una pentola
panciuta, di dimensioni più o meno grandi,
che poteva essere messa a diretto contatto
con la fiamma o appesa a un gancio, sopra il
fuoco; aveva fondo piatto e coperchio ed era
adoperata per lessare carni e verdure. Simile
all’olla, ma di metallo, era il paiolo: un calde-
rone di grosse dimensioni che si usava per
cuocere diversi alimenti. C’erano poi le
casseruole, cioè pentole tonde e larghe
con due manici, piatte e con le pare-
ti meno alte di quelle dell’olla (spes-
so le si poggiava su un treppiedi) e,
infine, il tegame: basso e largo, di
bronzo, si usava per portare in ta-
vola il cibo, ma anche per friggere.
Oltre alle pentole, la cucina ro-
mana, che solitamente era un am-
biente piuttosto angusto, collocato in
prossimità di altri locali di servizio della

56 CIVILTÀ ROMANA
CUCINA

domus (di solito attigua alla la-


trina), pullulava di moltissimi
accessori dalle forme più di-
15
sparate. Innanzitutto c’erano le 16 19
10 12
anfore, che contenevano olio, 8 9
aceto, latte, ma anche cibi par-
zialmente solidi, come il pesce 13
o la carne in salamoia, e diversi 11
tipi di salse. Alcune, più piccole,
venivano utilizzate per i legumi e 3
17
per le farine. Poteva esserci una 4 5
20 21
bilancia a stadera, con un solo piatto e un 14
18
lungo braccio, e l’attingitoio, in pratica un
ramaiolo di bronzo, dal manico più o meno
lungo, che serviva per i liquidi, ma anche per
le olive, le salse e altri cibi conservati nell’o-
lio o in salamoia. Non mancavano i catini, di 1 6
rame o di bronzo, bassi e larghi, per i liqui- 7
2
di o anche per contenere grandi quantità di
cibo da portare sulle mense.
C’erano poi colatoi, simili a larghe bacinel-
le, ma forati, il cui scopo era scolare le verdu-
re o altri cibi lessati; e i colini, utilizzati per L’ATTREZZATURA
quantità minori di cibo, ma anche per Sopra, bronzi da
filtrare il vino. A volte, dentro il coli- ie (più grandi), cucina: 1 bollitore; 2,
no si metteva un po’ di neve e il vino utilizzate per ta- 3, 4, 5 pentole; 6, 7
veniva filtrato passando attraverso di gliare le verdure, secchi; 8, 9 attingitoi
essa, per rinfrescarlo. Sempre per il ma anche le car- per vino; 10, 11
vino, veniva usato il cra- ni e i formaggi, padelle per frittura;
tere, un grande vaso di ridotti a listarelle 12, 13 forme per
bronzo o terracotta a for- o pezzettini e serviti dolci; 14 pentolino;
ma di campana, adat- come antipasti o stuz- 15 tegame a due
to a mescolare acqua zichini. C’era già la grattugia, manici; 16 scolato-
e vino nelle giuste fabbricata in rame traforato, che si usava io; 17 brocca; 18
proporzioni duran- per grattare il formaggio, ma anche per i tar- cucchiaio da cucina;
te i banchetti. L’olpe tufi, molto apprezzati dai Romani. 19 grande ramaiolo;
era invece un’anfo- Di grande modernità erano i macinini: 20, 21 cucchiai
retta di bronzo, alla molto simili a quelli usati dai nostri non- di varia forma. A
cui base veniva inserito ni, a manovella, con un cassettino posto sul sinistra, un pentolino
un rubinetto per spil- fondo per raccogliere quanto triturato nella di bronzo. Sopra,
lare il vino oppure vaschetta. Si usavano per il pepe, il sale, o contenitori per la
l’olio. Non solo per per macinare altri tipi di spezia. Allo stes- frutta, di cui uno in
il vino, ma anche so scopo si usavano i mortai, che potevano vetro (a sinistra), con
per altri liquidi, avere dimensioni più o meno grandi: ne esi- uva e melograni;
si usava infine stevano modelli di metallo fuso, ma spesso sotto, un’anforetta
l’imbuto, soli- erano scavati nella pietra. per il vino.
tamente realiz- Si impiegavano, infine, spiedi, cucchiai e
zato in bronzo. forchettoni, oltre a graticole varie, teglie per
Tra gli acces- i dolci e cestini in argento o altro metallo,
sori da taglio, assai usati per contenere un cibo di cui i Romani
diffuse erano le for- erano ghiotti: la ricotta. Servita con frutta e
bici a molla, o le ceso- miele, era uno dei loro dolci preferiti.

CIVILTÀ ROMANA 57
ETRUSCHI
MAESTRI ARTIGIANI
Da Cerveteri e Tarquinia, centinaia di reperti straordinari restituiscono
tutta la maestria degli artigiani etruschi. Non soltanto
nelle lavorazioni lussuose, ma anche in quelle più semplici e comuni
di Elena Percivaldi

T
ra le città etrusche, Cerveteri e Tarquinia
sono probabilmente le più evocative, tanto
che nel 2004 si sono meritate l’iscrizione
nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’U-
nesco. La prima, l’antica Caere, è nota per la
“Via degli Inferi”, che metteva in collegamento
uno degli accessi settentrionali della cinta mu-
raria con la Banditaccia, la necropoli più estesa
di tutto il Mediterraneo. La seconda è celebre
per le tombe di Monterozzi, che conservano gli
affreschi più completi di tutta la pittura pre-im-
periale della nostra penisola.
Oltre alle decorazioni murarie,
entrambe le necropoli hanno
restituito reperti archeologici che
dimostrano lo straordinario livello
di raffinatezza raggiunto dagli Etru-
schi, così come la perizia degli artigia-
ni nella lavorazione dei metalli. A
loro è dedicata la mostra Etruschi,
maestri artigiani. Nuove prospetti-
ve da Cerveteri e Tarquinia, aperta
fino al 31 ottobre 2019 nei Musei
archeologici delle due città.

I VIVI E I MORTI
La necropoli della Banditaccia, a Cerveteri, è
chiamata così perché, alla fine dell’Ottocen-
to, la zona era stata affittata con un bando alla

58 CIVILTÀ ROMANA
EVENTI

popolazione locale. Vanta oltre 400


sepolture a tumulo, molte delle qua-
li scavate nel tufo. All’interno del-
le tombe, realizzate a imitazione
delle case che i defunti abitavano
INFO
artigiani.
da vivi, sono riemersi ricchi Etruschi, maestri da Cerveteri e Ta
rquinia
N uove prospe ttive
corredi, iscrizioni e ogget- 2019
obre
ti: tutti ritrovamenti aperta fino al 31 ott
che hanno permes- heologico Cerite
Museo nazionale arc
so di ricostruire nditaccia
e Necropoli della Ba (Rm)
, 00052 - Cerveteri
le usanze funebri piazza Santa Maria
degli Etruschi e
nazionale
le loro abitudini Museo archeologico
di Mo nte roz zi
nella vita di ogni e Necropoli
ur, 01 01 6 - Tarquinia (Vt)
giorno. Queste in- piazza Cavo
formazioni vengono nica: 8,30-19,3 0
Da martedì a dome
arricchite dalle scul- ridotto € 2
Biglietti: intero € 6,
ture in pietra, dai sarcofa-
4251
gi con i ritratti dei defunti 9941354 / 06 6999
Per informazioni: 06
e, soprattutto, dagli spettacolari affreschi della
necropoli di Monterozzi, che rappresentano
con colori vivaci i banchetti funebri, animati
da danzatori, suonatori di aulós e giocolieri: seale. È il caso del celebre
visioni ancora serene, ma destinate a essere tur- elmo bronzeo villano-
bate, dal V secolo a.C. in poi, dall’inquietante viano (X-VIII secolo
presenza di demoni e divinità, a sottolineare il a.C.), caratterizzato
mistero e il dramma del trapasso. dalla grande cresta
centrale e decorato
COMPARAZIONI RIVELATRICI con borchie e anelli
La mostra offre l’opportunità di conoscere la a sbalzo: un copricapo
stretta connessione esistente tra le due città etru- da parata, confrontabile
sche e rinsalda il legame naturale tra i loro musei con altri esemplari emersi in
e le rispettive necropoli. Curata da Andrea Car- Romagna e nelle Marche, a di-
darelli e Alessandro Naso, rilegge le prestigiose mostrazione delle contaminazio-
raccolte per mez- ni e degli scambi esistenti tra le
zo dei confronti popolazioni italiche durante l’Età
offerti da presti- del Ferro. Splendono anche la grande
ti esterni, come le situla d’inizio VII secolo a.C., con il
ceramiche conserva- nome in caratteri geroglifici del faraone Boc- ELMI E CRATERI
te al Museo nazionale cori, morto nel 715 a.C., inclusa nel corredo Sopra, una testa
etrusco di Villa Giulia, di un’importante tomba tarquiniese; oppure ferina in bronzo che,
a Roma, e i pre- la tromba-lituo, lo scudo e la scure in bronzo probabilmente, de-
ziosi che proven- finemente decorati, ritrovati in un deposito vo- corava una travatura.
gono dalla Tomba tivo di Tarquinia del VII secolo a.C. In alto, lo splendido
Regolini-Galassi, A rapire l’occhio, infine, i magnifici vasi im- elmo protoetrusco
dei Musei Vaticani, portati dall’Attica (V secolo a.C.), caratterizzati proveniente da
che per la prima volta dalle raffinate decorazioni con scene mitologi- Tarquinia. Al centro,
tornano a Cerveteri, dove che, tra cui spicca il grande cratere di Eufronio, il cratere di Eufronio,
vennero alla luce. I reperti di rinvenuto a Caere, finito al Metropolitan Mu- meraviglia di arte at-
Cerveteri e Tarquinia sono presen- seum di New York e poi rientrato in patria nel tica, ritrovato in una
tati, così, in una prospettiva nuova 2006: lo stesso che un ricco etrusco di Cerveteri tomba di Cerveteri.
rispetto all’abituale percorso mu- aveva voluto portare con sé nell’Oltretomba.

CIVILTÀ ROMANA 59
UN CIRCO
PER LE BIGHE
Accanto al Colosseo, il Circo Massimo fu uno dei luoghi simbolo
di quei circenses che, associati al panem, costituivano l’attrazione principale
dei cittadini di Roma: con annessi pericoli e giri di scommesse
di Stefano Bandera

CORSE SFRENATE
Il Circo Massimo
in un dipinto
secentesco di
Viviano Codazzi e
Domenico Gargiulo.
Irrealisticamente,
vi si vede la corsa
contemporanea
di bighe e
cavalli singoli.

60 CIVILTÀ ROMANA
MONUMENTI

D
i quello che fu il più grande impian- i colli Palatino (a nord) e Aventino (a sud):
to sportivo della romanità, il Cir- la stessa spianata dove, secondo la tradizio-
co Massimo, restano ormai solo ne, si sarebbero svolti i giochi durante i
poche vestigia: la fossa dentro cui cor- quali i compagni di Romolo avrebbero
reva la pista e i fianchi inclinati dove perpetrato il ratto delle vergini sabine.
trovavano posto le gradinate. Eppure, A quanto pare, era già un luogo desti-
all’epoca del suo splendore, con i suoi nato alle corse di cavalli, una delle quali
620 m di lunghezza e 140 m e oltre si svolgeva al termine della stagione di
di larghezza, era un edificio a dir poco guerra, in autunno, a scopo rituale. In
colossale, dentro il quale si svolgevano quell’epoca, i Romani si ingraziavano gli
alcuni degli spettacoli più apprezzati dal dei sacrificando il cavallo vincitore, con il
pubblico del tempo: le corse dei cavalli. cui sangue si purificavano le mura cittadine.
Le prime strutture stabili del Circo vennero
UN’ORIGINE REMOTA innalzate alla fine del IV secolo a.C. In origine,
Le prime strutture dell’impianto destinato a I LUDI EQUESTRI la pista era rappresentata dal semplice fondo
diventare, nel corso dei secoli, il Circo Massi- Sopra, una corsa della valle, mentre gli spettatori si disponevano
mo, pare siano state costruite all’epoca del re di bighe, tra gli sui pendii che ne delimitavano i lati. Il percor-
Tarquinio Prisco, a cavallo fra il VI e il VII se- spettacoli più tipici so delle gare era segnato da due mete di legno,
colo a.C. Doveva trattarsi di strutture mobili, del Circo Massimo. di forma conica. Quella occidentale, chiamata
in legno, già installate nella valle Murcia, tra meta prima, si trovava davanti alla fossa rico- ›

CIVILTÀ ROMANA 61
UN CIRCO PER LE BIGHE

ERA “MASSIMO” perta di terra in cui era stato sepolto l’altare del il materiale necessario all’allestimento delle cor-
La mole del Circo dio Consus (divinità del seme del grano), che se. Più o meno nella stessa epoca, le due mete
era impressionante, veniva scoperto solo due volte all’anno. furono collegate da un terrapieno, la cosiddetta
anche paragonata Nel 329 a.C., dalla parte opposta rispetto alla spina, sopra cui vennero posizionate le statue di
a quella del Colos- meta prima, furono costruite scuderie (carceres) alcune divinità. Vi furono poi installate le sep-
seo (sulla destra). in legno, dove trovavano posto i cavalli e tutto tem ova, gigantesche uova di legno che indica-
vano agli spettatori i giri di pista già percorsi.
Ma fu nel I secolo a.C. che il Circo cominciò
ad assumere l’aspetto grandioso che lo rese cele-
bre. Cesare, nel 46 a.C., fece allungare l’arena ai
due estremi, edificò carceres di tufo e fece spia-
nare una collina per realizzare 150 mila posti a
sedere. Nel 33 a.C., alternati alle sette uova in
legno, furono piazzati sette delfini di bronzo,
anch’essi con lo scopo di segnalare i giri di gara.
Pochi anni dopo, Augusto fece collocare al cen-
tro del circo l’obelisco di Ramses II, trafugato a
Eliopoli. Inoltre, sul lato nord, dalla parte del
Palatino, fece costruire un palco d’onore, il pul-
vinar, a cui avevano accesso lui e la sua famiglia.
L’imperatore Claudio fu il primo a erigere gra-
doni in pietra al posto di quelli legnei, che più
di una volta avevano rischiato di crollare sotto
il peso del pubblico. Sempre Claudio sostituì le
mete di legno con altre di bronzo dorato, e fece
ricostruire i carceres in marmo.
Dopo il grande incendio del 64 d.C., Nerone
restaurò l’intero impianto, ingrandendo la pista

GLI EROI DELL’IPPICA

G razie all’ardimento richiesto dalle gare e al giro


di scommesse che li circondava, molti fantini
e aurighi divennero personaggi famosi e ricchissimi,
soprattutto quando riuscivano a inanellare un gran
numero di vittorie. I loro nomi sono ricordati da iscri-
zioni e poesie, per esempio di Marziale. Tra i più
noti: Scorpo, vincitore di 1.043 gare; Pompeo Epa-
frodito, con 1.467 vittorie; Pompeo Muscolo, con
ben 3.559 successi; Diocle, vincitore di 3.000 cor-
se di bighe e 1.462 di quadrighe o carri più grandi.
I ritratti degli aurighi più famosi venivano appesi
nelle case. Gli allori che si erano meritati, tuttavia,
erano frutto anche del pericolo scampato. Si poteva
morire già in giovane età: Marco Aurelio Minucio a
20 anni, dopo 125 vittorie, Crescente a 22 anni e
Tusco a 24. Anche i cavalli potevano avere il loro
nome iscritto a futura memoria: come Tuscus, che vin-
se 386 gare, o Victor, con 429 trofei.

62 CIVILTÀ ROMANA
MONUMENTI

e aggiungendo altri posti per il pubblico. Inol-


tre, allargò il terrapieno della spina in modo che PAROLE DI ROMA
Circus
vi potessero trovare posto fontane con giochi
d’acqua, i cui getti sgorgavano dai delfini di
bronzo. All’epoca di Traiano, a cavallo tra I e II
secolo, si assistette all’ultimo allargamento della
cavea, che portò l’impianto alle sue dimensioni Il latino circus, nel senso di “circo” ma anche di “circonferenza” e
massime, con tre ordini di gradini per il pub- “orbita”, è affine al greco kirkos o krikos, che vuol dire “cerchio”
blico: il primo con posti a sedere di pietra, il se- e deriva dalla radice indoeuropea kr, che significa “curvità” (da
condo con sedili di legno, il terzo con soli posti essa viene anche il sanscrito chakra, “ruota” o “sfera”).
in piedi. Secondo alcuni documenti, i posti rag- La medesima origine hanno la parola slava krivu, “curvo”, e il la-
giungevano i 385 mila, numero che pare ecces- tino curvus. La radice kr si ritrova anche nel termine dell’antico tede-
sivo, ma di certo non erano meno di 250 mila. sco hrinh (da cui la moderna parola ring), con il senso di “anello”.

TRA GARE E FAZIONI


La spina, lunga 214 m, determinava il circu-
ito delle gare che si svolgevano nel circo, la cui sava inevitabili perdite di tempo e una sconfitta AL CINEMA
larghezza, variabile tra gli 87 m della meta pri- quasi certa. Perdere era rischioso, considerando Sotto, corsa di qua-
ma e gli 84 m della secunda, rendeva le compe- che attorno alle gare si sviluppava un ingentis- drighe al Circo Mas-
tizioni ancora più impegnative. Su un estremo simo giro di scommesse, a cui partecipavano simo nel film Beh-Hur,
della pista c’era un arco di trionfo a tre fornici, anche gli stessi imperatori. E non mancarono del 2016. Si tratta
sull’altro le stalle, dove cavalli e fantini aspet- casi di aurighi fatti addiritura uccidere. del remake dell’o-
tavano il momento di raggiungere la linea di Il Circo Massimo, in cui si svolgevano an- monimo capolavoro
partenza. Un giro di pista completo, compre- che le naumachie, ossia le battaglie navali, fu diretto da William
se le curve, misurava oltre 500 m e ogni gara utilizzato fino al VI secolo d.C. A organizzare Wyler nel 1959, la
(missus) si svolgeva sulla lunghezza di 7 giri le ultime gare che vi si svolsero fu il re ostro- cui scena della corsa
(spatia). Questo, perlomeno, finché il numero goto Totila, nel 549, quando riuscì a entrare a di quadrighe è con-
delle corse divenne talmente alto da costringere Roma, vincitore al terzo assedio. siderata una delle
gli organizzatori a ridurre ogni gara a 5 giri: se Una volta abbandonato, il Circo fu smantel- più spettacolari nella
sotto Augusto si correvano circa 12 corse per lato nel corso del tempo. In epoca medievale, storia del cinema.
ciascuna giornata di giochi, all’epoca degli im- sul lato sud fu edificata una torretta, apparte-
peratori Flavii le gare salirono a 100 al giorno. nuta alla famiglia Frangipane. Nell’Ottocento,
Sulla pista si svolgevano semplici corse di ga- il Circo divenne addirittura un’area agricola.
loppo, ma anche di bighe, trighe, quadrighe e
perfino di carri trainati da dieci cavalli, il cui
controllo era complicatissimo. Il via era segnala-
to da uno squillo di tromba, quando il console
o il pretore che presiedeva i giochi gettava in aria
un drappo bianco. Normalmente le gare di qua-
drighe impegnavano quattro equipaggi, uno per
ciascuna delle factiones (scuderie) principali (in
totale erano 12): i Bianchi, i Verdi, gli Azzurri
e i Rossi. Ciascuna di esse aveva propri aurighi,
spesso contesi a peso d’oro, e tutto il personale
necessario: allenatori, veterinari, sellai, ecc. Ca-
sco in testa e frusta in mano, i conduttori dei
carri affrontavano le corse con sprezzo del pe-
ricolo, specie quando si trattava di superare le
mete, che si trovavano sempre alla loro sinistra
(si correva in senso antiorario): affrontarle av-
ventatamente poteva provocare incidenti, anche
mortali, mentre prenderle troppo alla larga cau-

CIVILTÀ ROMANA 63
64 CIVILTÀ ROMANA
LETTERATURA

FEDRO
POETA DELLE FAVOLE
Rane, lupi, tartarughe, leoni: sono i protagonisti delle favole di Fedro,
racconti ereditati dal lontano passato greco e indoeuropeo,
scritti per fornire al popolo insegnamenti semplici ma memorabili
di Stefano Bandera

L
a favola è un genere letterario che af- più un nome che un personaggio concreto)
fonda le sue origini nell’antichità è difficile da dire: attorno alla sua figura
più remota. Oltre che della tra- si sono concentrati racconti che hanno
dizione egizia e orientale, le favole più la parvenza del mito che della sto-
facevano parte del bagaglio culturale ria e che tendono a trasformarlo in un
dei popoli di origine indoeuropea, personaggio leggendario, non molto
distribuitisi nel corso del tempo tra la diverso da quelli che popolano le favole
penisola indiana e l’Europa. In india, a lui attribuite. Viene tradizionalmente
il Panchatantra raccoglieva favole di descritto come uno schiavo originario
origine antichissima, i cui protagonisti della Frigia (nell’attuale Turchia), defor-
erano animali: sciacalli, topi, leoni, tarta- me e balbuziente, messo a morte ingiusta-
rughe, corvi, gazzelle. Probabilmente fu da mente dagli abitanti di Delfi, che il favolista
esempi tradizionali simili a questi che trasse accusava per la loro dissolutezza. Con le sue
origine la favola letteraria greca. narrazioni semplici ma mai prive di un inse-
Il primo autore ellenico di favole, stando alla UOMINI E LUPI gnamento morale, Esopo fu fonte d’ispira-
testimonianza del latino Quintiliano, fu Esio- Sopra, Fedro assie- zione per diversi autori greci: viene citato dal
do, che nelle Opere e giorni racconta la storia me al dio Mercurio commediografo Aristofane, dallo storico Ero-
dello sparviero e dell’usignolo: monito ai debo- (a sinistra), tratto da doto e anche dal filosofo Platone, che ricorda
li perché non cadano nelle grinfie dei potenti, un proemio delle come Socrate si fosse dedicato a tradurre in
e avvertimento a questi ultimi perché non si sue opere. Nella versi le sue favole, che erano scritte in prosa.
facciano vanto del loro potere, dal momento pagina a fronte, la
che la condizione umana è incerta e mutevole. favola della volpe e ANIMALI PARLANTI
In Esiodo ci sono già tutte le caratteristiche l’uva, la cui morale è I protagonisti delle storie di Esopo, brevi e
della favola che, attorno al VI secolo a.C., furo- nota: chi non riesce incisive, che terminano sempre con una mo-
no codificate da Esopo, considerato dai Greci a ottenere una cosa, rale, sono perlopiù animali. Molti di essi in-
al pari di Omero come maestro di sapienza. finge di disprezzarla. carnano sentimenti umani, alcuni nobili, altri
Chi fosse realmente Esopo (che come Omero è meno. Tra i primi, il leone, l’aquila, il ca- ›

CIVILTÀ ROMANA 65
FEDRO, POETA DELLE FAVOLE

vallo; tra i secondi, la rana, il topo, la formi-


ca. Altre bestie impersonano la scaltrezza o la
furbizia, come la volpe o la scimmia. Di rado
le favole hanno protagonisti umani, e si tratta
La morale è sempre quella sempre di personaggi umili: vasai, contadini,
pescatori oppure schiavi.
Qui sotto, alcuni insegnamenti morali di Fedro, divenuti proverbiali. L’insegnamento contenuto nelle favole eso-
piane è spicciolo, lontano dalla speculazione
“Amittit merito proprium qui alienum adpetit.” intellettuale dei filosofi, dei retori o dei poli-
“Perde il proprio, e se lo merita, chi cerca di prendere l’altrui.” tici. Il breve racconto e la morale che esprime
insegnano virtù comuni, ma importanti per
“Numquam est fidelis cum potente societas.” la convivenza civile: il rispetto dell’amicizia,
“Non è mai sicura l’alleanza con un potente.” la riconoscenza per i benefici ricevuti, l’amore
per il lavoro, l’accettazione del proprio desti-
“Sibi non cavere et aliis consilium dare stultum esse.” no, la moderazione, la sincerità.
“Non provvedere a sé e dare consigli agli altri è cosa stolta.” Questo bagaglio di favole si diffuse anche
nel mondo romano. Testimonianze dell’influs-
“Quicumque turpi fraude semel innotuit, so di Esopo nella letteratura latina si trovano
etiam si verum dicit, amittit fidem.”  nelle opere epiche di Ennio, nelle commedie
“Colui che di turpe frode una volta si macchiò, di Plauto e nelle satire di Lucilio e Orazio, ma
anche se dice il vero non è più creduto.” anche nella lirica di Catullo, che in una delle
sue poesie riprende il tema delle due bisacce
“In principatu commutando civium che Giove ci avrebbe messo addosso: quella dei
nil praeter domini nomen mutant pauperes.” vizi nostri e quella dei vizi altrui, l’una posta
“Molto spesso, con il cambiamento del governo, dietro le nostre spalle e l’altra, invece, davanti
per i poveri cambia solo il nome del padrone.”  al nostro naso, ragione per cui ci accorgiamo
sempre delle pecche altrui e mai delle nostre.
“Tuta est hominum tenuitas, magnae periclo sunt opes obnoxiae.”  È però alla penna di Fedro (Phaedrus, o Pha-
“La povertà mette l’uomo al sicuro, le grandi  eder, secondo alcune fonti) che si deve la più
ricchezze sono esposte ai pericoli.” importante raccolta di fiabe latine. Schiavo e
poi liberto di origine greca (proveniva della
“Vulgare amici nomen sed rara est fides.”  Tracia o della Macedonia, le regioni più set-
“Amico è parola usuale, ma raro è un amico fedele.” tentrionali del mondo ellencio), Fedro nacque
attorno al 15 a.C. e morì nel 51 d.C. Proba-
“Non semper ea sunt, quae videntur.”  bilmente fu servo nella famiglia di Augusto.
“Non sempre le cose sono come sembrano.”  Imparò il latino e fu pedagogo di uno dei ni-
poti dell’imperatore, Lucio. Ci sono rimaste
un centinaio di sue favole, redatte all’epoca
dell’imperatore Tiberio. Sappiamo che Fedro
ebbe problemi con il prefetto del pretorio Seia-
no (ministro, uomo di fiducia e confidente di
Tiberio), che lo fece anche processare, ma sen-
za esito. Lo accusava di vilipendio nei confron-
ti dell’imperatore e dei suoi più alti funzionari.
È probabile che alcune fiabe, in cui si de-
scrive il rapporto fra i potenti e gli umili, ve-
nissero interpretate come una forma di critica
nei confronti del principe e dei suoi ministri.
Del resto, nel prologo di uno dei suoi libri è
lo stesso Fedro a scrivere: «La schiavitù, non
osando dire ciò che avrebbe voluto, traspose
le sue opinioni in brevi favole, ricorrendo,

66 CIVILTÀ ROMANA
LETTERATURA

per schivare le accuse di calunnia, a scherzo-


se invenzioni». Per quanto timida, la critica al
PAROLE DI ROMA
Fabula
potere contenuta nelle sue favole doveva ri-
sultare pungente e la popolarità del suo lavoro
fra i ceti più bassi la rendeva molto fastidiosa.
Come scrisse il filologo Vittore Branca, la fa-
vola permette di «dire quello che sarebbe trop- La parola latina fabula, “racconto”, deriva dal verbo irregolare
po pericoloso dire. Dirlo in parabola per bocca fari, “parlare”, che appartiene alla stessa radice del termine osco
di esseri di questa terra ma non umani»: ha fation, “parlare”, e del greco phatòs, “detto”, “sentenza”. Alla
quindi una funzione di «rottura di tabù auto- medesima radice si collega il termine fatum, “sorte”, nel senso di
ritari e di emarginazioni sociali, operata in senso parola oracolare, che stabilisce un destino. Non lontano è anche
umoroso e ingegnoso dai più deboli e oppressi il termine sanscrito pada, che significa “parola” o “canto”.
in confronto dei più forti e dei dominatori». Analoga è l’etimologia di “fiaba”, derivata probabilmente da
una contrazione di fabula in fabla (presente nello spagnolo fabla,
FAVOLE SATIRICHE “discorso”). “Favola” si ritrova nel provenzale faula, nel francese
Fedro scrisse cinque libri di favole, compo- fable, “racconto”, nello spagnolo habla, “parla”, e nel portoghese
ste in versi e non in prosa, come invece ave- falla, “discorso”. Anche l’italiano “favella” ha la stessa origine.
va fatto Esopo. Il suo linguaggio è ricercato
e colto, e lascia immaginare che l’ex schiavo
aspirasse a una certa gloria letteraria, che gli
fu però negata dal genere scelto, ritenuto poco malversatori, faccendieri, arricchiti. Il popolo ORIGINE INDIANA
nobile. Pertanto, Fedro non ebbe un partico- romano, per esempio, viene ritratto nelle vesti A sinistra, una pagi-
lare riconoscimento da parte dei contempora- di un branco di rane che chiedono al sole di na del Panchatantra,
nei colti. Eppure, nelle sue favolette di animali avere un re, e ricevono come sovrano una ser- la più antica raccolta
parlanti, l’autore non esita a mettere alla berli- pe velenosa; oppure nei panni di un somaro di favole indiane,
na molti personaggi della sua epoca: delatori, che, pur cambiando padrone, non vede muta- i cui protagonisti
re la propria condizione servile. In un celebre sono animali. È da
racconto, il lupo e l’agnello si ritrovano a bere racconti come questi,
alla stessa fonte: ma la belva sta a monte, dove facenti parte del
l’acqua è più pulita e fresca, come a stigma- bagaglio culturale
tizzare l’arroganza del potente, che non perde dei popoli di lingua
occasione per sottomettere e vessare il debo- indoeuropea, che
le. Altre storie insegnano ad apprezzare quel ebbero origine le
che si ha, senza desiderate troppo, o a rendersi favole popolari, tra-
conto che a volte c’è maggior virtù nelle cose mandate oralmente e
che appaiono meno pregiate. Altro bersaglio poi riscritte dal greco
sono le apparenze e le pompe, come nella fa- Esopo e dal latino
vola della volpe che trova una maschera da te- Fedro. Nella pagina
atro e si rende conto che è tanto bella quanto a fronte, illustrazione
sciocca. Brevi e stringati, i racconti di Fedro della favola del lupo
racchiudono sempre un insegnamento e sotto e dell’agnello, che
il velo della metafora permettono all’umanità rappresentano il
di riconoscer se stessa, nei suoi aspetti migliori potente e il debo-
come in quelli deteriori. le, ingiustamente
Fedro fu riscoperto con l’affermarsi del cri- oppresso.
stianesimo, promotore naturale delle istanze
degli umili, e anche in epoca medievale i suoi
racconti ebbero notevole successo, traman-
dandosi fino ai giorni nostri. Basti pensare ad
alcuni episodi del Pinocchio di Collodi, che si
richiamano, più o meno esplicitamente, ai rac-
conti e ai protagonisti del poeta latino.

CIVILTÀ ROMANA 67
CITTADINI
PER DIRITTO

68 CIVILTÀ ROMANA
DIRITTO

All’inizio, solo gli appartenenti a una fortunata minoranza potevano


dirsi a pieno titolo cittadini romani. Ma nel corso del tempo questo privilegio
venne esteso, ricoprendo prima la penisola italiana e poi tutto l’Impero
di Marco Davide Pattono

I
us soli e ius sanguinis: nell’odierno dibattito CIVIS DA CIVIS nanza si poneva in termini molto diversi e più
sulla cittadinanza degli immigrati vengono Un matrimonio complessi rispetto a oggi. Di un vero e pro-
usate locuzioni latine. Termini che, in real- patrizio: solo da prio ius soli, cioè di un diritto inalienabile alla
tà, appartengono al linguaggio giuridico me- una coppia di sposi cittadinanza, si può cominciare a parlare solo
dievale e che i Romani antichi non avrebbero con padre romano nel tardo Impero. Fino a quel momento la cit-
forse neppure compreso. poteva discendere tadinanza era considerata un premio concesso
A Roma, la questione del diritto di cittadi- un cittadino romano. a singoli individui o a comunità meritevoli. ›

CIVILTÀ ROMANA 69
CITTADINI PER DIRITTO

BUONE LEGGI Conosciamo in modo piuttosto dettagliato


Sotto, il giurista le regole romane inn merito, grazie ai trattati di
Gaio: alle sue giurisprudenza, primo fra tutti le Institutiones
Institutiones si deve (Istituzioni), scritte da Gaio fra il 170 e il 200
gran parte della d.C. Ma già da fonti precedenti risulta chiaro lo
nostra conoscen- stretto rapporto fra cittadinanza e diritto. «Che
za del diritto cos’è la civitas [lo “Stato”], se non una comu-
romano. A destra, nità tenuta insieme dal diritto?» scrive Cicerone
rappresentazione nel De Republica. Una tradizione antica celebra
settecentesca del l’apertura di Roma nei confronti degli stranieri:
matrimonio roma- «Ai supplici che avessero trovato asilo in questo
no. Nella pagina a tempio, [Romolo] garantì che non avrebbero
fronte, l’imperatore subìto alcun danno in virtù della pietà verso il
Caracalla, padre divino e inoltre, se avessero voluto rimane-
dello ius soli. re nella sua città, avrebbe concesso loro
il diritto di cittadinanza e un lotto di
terra» scrive Dionisio di Alicarnasso nel
I secolo a.C. La disponibilità in questo
senso era tale che almeno tre dei sette
re di Roma furono Etruschi, e lo ius connubi, cioè il diritto di sposare un roma-
lo stesso accadde nell’Impero, no o una romana. Inoltre, il cittadino era esone-
con una successione di leader rato da alcune imposte, non poteva subire puni-
nati in Spagna o in Africa. zioni corporali o torture e aveva diritto a essere
giustiziato, se condannato a morte, in maniera
CIVIS ROMANUS non infamante. Non a caso, secondo la tradizio-
In realtà, nella Repub- ne, l’apostolo Pietro (nato in Galilea) fu croce-
blica, solo chi era nato fisso, mentre l’apostolo Paolo, che era cittadino
nel territorio di Roma romano, venne più onorevolmente decapitato.
ed era inquadrato in A quella di chi aveva la piena cittadinanza fa-
una delle 35 tribù ceva seguito, nell’ordine, la condizione dei La-
poteva affermare di tini, dei peregrini e degli schiavi. Questi ultimi,
essere un cittadino ovviamente, non avevano alcun diritto. Quan-
romano («Civis Ro- to ai primi due, inizialmente erano chiamati
manus sum»). Non Latini i cittadini dei centri più vicini a Roma,
si trattava di sempli- mentre erano peregrini tutti gli altri uomini li-
ce patriottismo: la beri. Ai Latini spettavano lo ius provocandi e
piena cittadinanza lo ius commerci, cioè il diritto di agire in sede
coincideva con i pieni civile per la tutela dei propri interessi e il di-
diritti. Al cosiddetto ritto di commerciare. Godevano anche di una
civis optimo iure spet- forma limitata di ius suffragi: potevano votare
tavano lo ius suffragii nelle assemblee popolari, qualora avessero luo-
(il diritto di voto), lo go mentre si trovavano a Roma.
ius honorum (il dirit- Gradatamente, l’Urbe estese il titolo di Lati-
to di essere votato o ni agli abitanti di altre città della penisola. Ma
nominato alle cariche non bastava: i popoli sottomessi o federati a
pubbliche), lo ius pro- Roma volevano di più, ed è noto che la manca-
vocationis (il diritto di far ta concessione della piena cittadinanza roma-
valere le proprie ragioni in na fu una delle cause della Guerra sociale del
giudizio) e lo ius militiae 91-88 a.C. l’Urbe, che ormai era diventata una
(il diritto-dovere di essere grande potenza del Mediterraneo, si rese conto
chiamato a combattere). che di non poter fare a meno del pieno consen-
A questo si aggiungeva so dei popoli vicini. Nell’89 a.C., la Lex Plautia

70 CIVILTÀ ROMANA
DIRITTO

Papiria estese la cittadinanza romana agli Italici


a sud del Po (non in modo automatico, ma solo
a chi avesse dato il suo nome al pretore della DIRITTO PEREGRINO
città natale entro sessanta giorni); nel 49 a.C.,
la Lex Roscia estese la cittadinanza all’intera
Gallia Cisalpina, ossia al resto del Nord Italia. S ia nella Repubblica che nell’Impero Romano, le cause tra
stranieri erano giudicate da un apposito magistrato, il pra-
etor peregrinus (sopra, Scipione mentre esercita questa carica),
PREMIO DI CITTADINANZA sulla base non dello ius civile, applicato interamente solo nei
La cittadinanza romana poteva essere confe- confronti dei cittadini romani, bensì dello ius gentium. Si trat-
rita a singole persone, ma anche tava di una sorta di “diritto naturale”, o “senso comune”, e
a intere città o comunità, per in passato diversi commentatori l’hanno definito come un
decisione del popolo riu- complesso di statuti e norme che si fondano sulla naturalis
nito in assemblea o sulla ratio e si riscontrano presso tutti i popoli.
base di una legge. In età Questo concetto, sorto probabilmente nell’ecumene del
imperiale, per concedere tardo Impero Romano, si era fatto ancora più esplicito con
la cittadinanza a un pri- l’avvento del cristianesimo, ma non sembrava coerente
vato o a una collettività con il modo di vedere le cose della Roma pre-imperiale.
era sufficiente un Senatus Ius gentium significa propriamente diritto specifico
consultum, in pratica un de- dei popoli stranieri: in pratica, i Romani erano ben
creto dell’imperatore. Proprio consapevoli del fatto che il loro edificio giuridico,
con un atto del genere (la Con- lo ius Quiritum, era sorto inizialmente da
stitutio Antoniana), nel 212 una pluralità di diritti propri delle
d.C., l’imperatore Cara- varie comunità. Di conseguenza,
calla rinunciò a utilizza- non sembrava corretto giudicare
re la cittadinanza come i cittadini non romani secondo
premio per le città e le loro leggi o, se vogliamo, per
i popoli più fedeli, mezzo di un insieme di leggi non
estendendola a tutti latine, riservando lo splendore del
gli abitanti dell’Impe- diritto romano ai soli cittadini dell’Urbe.
ro. Lo ius soli, come lo
intendiamo oggi, nac-
que in questo modo.
Oltre che per leg- ›

CIVILTÀ ROMANA 71
CITTADINI PER DIRITTO

CENSO E PREMI ge, la cittadinanza romana poteva essere acqui- rispettata nella Repubblica e nel primo Impe-
Sotto, particolare sita da singole persone per meriti, emancipazio- ro): erano queste le preoccupazioni maggiori
dell’ara di Enobar- ne o nascita. In seguito a un decreto della casta senatoriale e della città, ed
bo (II secolo a.C.) dell’imperatore Augusto, acqui- è comprensibile che l’onore di
con l’iscrizione al siva la cittadinanza romana poter dire «Civis Romanus
censo, cioè l’elenco chi avesse militato per al- sum» spettasse a chi aiuta-
dei cittadini romani cuni anni (inizialmente va l’Urbe a raggiungere
e dei loro beni. Il 6, in seguito ridotti a questi obiettivi.
compito di redigere 3) nel corpo dei vigi- La questione degli
la lista spettava ai li del fuoco (vigiles) schiavi emancipati dal
censori. Al centro, dell’Urbe. Un premio padrone (i liberti) è più
un porto mercantile: analogo era previsto complessa. Lo schiavo
ai commercianti per i mercanti che per liberato secondo le re-
meritevoli poteva un certo numero di gole e la ritualità della
essere concessa, anni avessero rifornito manumissio o per testa-
come premio, la cit- Roma di frumento, oltre mento (quindi in maniera
tadinanza romana. che per gli imprenditori che pubblica e ufficiale) acquisiva
macinassero grano nell’Urbe. La automaticamente la cittadinan-
cittadinanza era offerta anche ai Lati- za latina. Sempre più spesso, però, gli
ni che avessero investito una parte importante schiavi venivano emancipati senza le modalità
del loro patrimonio per costruire una casa nella iustae ac legitimae, ma semplicemente median-
capitale. Evitare gli incendi, rifornire il popo- te un atto privato del padrone. ll problema fu
lo di grano e tenere alti i valori immobiliari (la risolto nel 19 d.C. dalla Lex Iunia Norbana, che
proprietà fondiaria era la forma di ricchezza più garantì anche ai liberti emancipati “in privato”

72
DIRITTO

IL GIOCO DELLE COPPIE


COPPIE REGOLARMENTE SPOSATE

Padre Madre Cittadinanza dei figli


Latino Romana Latini
Romano Latina Romani
Peregrinus Romana Peregrini
Romano Peregrina Romani

COPPIE DI FATTO

Padre Madre Cittadinanza dei figli Cittadinanza dei figli
(prima della Lex Mincia) (dopo la Lex Mincia)
Latino Romana Romani Latini
Romano Latina Latini Latini
Peregrinus Romana Latini Peregrini
Romano Peregrina Peregrini Peregrini

la cittadinanza latina. Costoro, detti iuniani dal- alla cittadinanza romana nemmeno qualora il SOTTO ADRIANO
la legge che aveva permesso loro di acquisire la padre o la madre fossero romani. Per la preci- Sopra, busto
cittadinanza, godevano di una serie più limitata sione, il figlio di un latino e una romana, oppu- dell’imperatore Adria-
di diritti: si concedeva loro il solo ius commerci e re di un romano e una latina, era sempre con- no. Tra le riforme
non potevano sposare cittadine romane. siderato latino, mentre il figlio di una romana legislative realizzate
o di un romano con un partner peregrinus, era durante il suo prin-
IUS SANGUINIS (O QUASI) sempre considerato straniero. Tale discrimina- cipato ci fu quella
Il diritto di acquisire la cittadinanza dei ge- zione durò fino ai tempi di Adriano (I-II secolo che permetteva ai
nitori, il cosiddetto ius sanguinis, era regolato d.C.), che permise alle coppie miste di acqui- figli delle coppie non
in modo complesso e curioso. Se i genitori ri- sire la cittadinanza romana. regolarmente spo-
sultavano regolarmente sposati (connubium), Essendo un premio o un privilegio, la cit- sate, composte da
poteva dirsi civis romanus il figlio di padre ro- tadinanza poteva essere revocata. Perdeva au- un cittadino romano
mano; viceversa, chi nasceva da padre latino o tomaticamente la civitas romana chiunque si e una donna non
straniero non poteva accedere alla cittadinanza fosse trasferito in una città latina o non roma- romana (o viceversa),
romana, nemmeno se la madre era romana: na. Non si trattava sempre di una punizione: di ottenere la cittadi-
in questo caso, rimaneva Latinus o peregrinus. semplicemente, il diritto romano non preve- nanza dell’Urbe.
Se i figli nascevano invece da un’unione non deva la doppia cittadinanza.
legittima, o comunque non ufficiale, inizial- Il popolo in assemblea, un console o il Sena-
mente valeva il concetto “mater sempre certa to (e, in seguito, l’imperatore) potevano privare
est”: i figli acquisivano cioè la cittadinanza del- un cittadino romano del suo status. Anche in-
la madre, anche se il padre era latino o stranie- tere comunità potevano veder revocata la civitas
ro (se la madre era romana, dunque, godevano ai loro abitanti. Nell’81 a.C., Silla escluse dalla
della piena cittadinanza). cittadinanza gli abitanti di Volterra e di Arez-
Quest’anomalia durò fino alla Lex Mincia, zo, che si erano schierati con il suo avversario,
emanata all’inizio del I secolo a.C. per evita- Mario. La perdita della civitas era prevista anche
re l’accesso alla civitas da parte di figli di padri per i ladri colti in flagrante e per i cittadini ro-
stranieri. La Lex Mincia non favoriva i figli del- mani ridotti in schiavitù per debiti, qualora il
le coppie di fatto, i quali non potevano ambire loro padrone li avesse trasferiti fuori Roma.

CIVILTÀ ROMANA 73
UNA VILLA
PRINCIPESCA
Nel cuore della Sicilia, antico granaio di Roma, una lussuosa dimora
tardo-imperiale custodisce straordinari mosaici con scene
di vita e di caccia, e immagini di eroi e divinità di abbacinante bellezza
di Stefano Bandera

L
a cosiddetta Villa del Casale di Piazza Ar- VILLA IMPERIALE proprietario fosse Lucio Aradio Valerio Procu-
merina (Enna), in Sicilia, è uno straordi- Sotto, il sito lo, prefetto dell’Urbe, console nel 340 e gover-
nario esempio di dimora di lusso di epoca archeologico della natore della Sicilia attorno al 330 d.C.
imperiale. Appare così sontuosa e dissimile ri- Villa del Casale. Si
spetto al modello tipico della villa romana (che articola in quattro AL CENTRO DELL’ISOLA
era una casa di campagna con annessi terreni nuclei: l’ingresso; il Si tratta, in ogni caso, di una villa lussuosa, di
agricoli) da essere paragonata a una residenza corpo residenziale; grandi dimensioni, costruita in epoca tardo-im-
imperiale. Questo equivoco ha fatto immagina- la parte dedicata a periale, che mostra l’utilizzo del territorio in una
re che fosse appartenuta al tetrarca Massimia- eventi pubblici; la delle regioni rurali dell’Impero d’Occidente, os-
no, oppure a suo figlio, l’imperatore Massenzio zona termale. sia il cuore della Sicilia. La residenza è partico-
(278-312 d.C.). Oggi, invece, si crede che il larmente famosa per la ricchezza e la qualità dei
VIAGGI E LUOGHI DA VISITARE

INFO
ina
di Piazza Armer
Villa del Casale
elcasale.it
- www.villaromanad
Tel: 0935 687667
luglio e agosto:
9, ora solare 9-17;
Orari: ora legale 9-1
menica, 9-23,30
venerdì, sabato e do
o ai 25 anni)
ioni per i giovani fin
Biglietti: € 10 (riduz

La principesca dimora continuò a essere abi- EROS E BIKINI


tata fino in epoca bizantina e altomedievale A sinistra, il mosaico
(tra il V e il VII secolo), mentre nel periodo raffigurante una
arabo-normanno (tra il X e il XII secolo) venne ragazza con un
utilizzata come emporio e centro agricolo. costume simile al
moderno bikini: si
ABBANDONO E RISCOPERTA tratta probabilmen-
A cavallo fra il Trecento e il Quattrocento si te di una tenuta
formò nella zona un centro abitato chiama- ginnica, così come
to Casale, dal quale deriva la denominazione suggerisce l’attrezzo
dell’area archeologica, scavata, a partire dagli a forma di ombrello
mosaici, che risalgono al IV secolo d.C. e sono anni Cinquanta del Novecento, dall’archeo- impugnato dalla
considerati tra i più belli della zona. Un autenti- logo Gino Vinicio Gentili, che ne cominciò giovane. Sotto, un
co tesoro musivo, che testimonia la ricchezza e le l’esplorazione dopo le segnalazioni degli abi- mosaico licenzioso
abitudini di vita della classe dominante roma- tanti. A partire dal Cinquecento, in seguito ad di pregevole fattura.
na: non solo ricca e agiata, ma anche dotata di alluvioni e smottamenti, l’antico insediamen-
un raffinato gusto artistico. to romano venne abbandonato, ma proprio la
La villa si sviluppa in ben 48 ambienti (per copertura di terra e fango fece in modo che
una superficie complessiva di circa 3.500 mq), l’eccezionale patrimonio di mosaici della villa
tra cui un ingresso monumentale con archi e si conservasse inalterato per i posteri.
fontane, una grande sala da ricevimenti e diver-
si appartamenti padronali. Tutte le aree sono
ricoperte da mosaici in perfetto stato, forse ese-
guiti da maestri africani, che ritraggono scene
di vita quotidiana, caccia a grandi animali (tra
cui molte specie esotiche, come leoni, antilopi,
elefanti e struzzi: il tema è così insistito che si
è pensato che il proprietario trafficasse in belve
per l’allestimento di venazioni spettacolari nel-
le arene), episodi mitologici (come le fatiche di
Ercole, o Ulisse di fronte a Polifemo) e giochi.
La Villa del Casale rappresenta una testimo-
nianza assolutamente unica, fondamentale per
la conoscenza della vita quotidiana e della ci-
viltà romana dell’epoca tardo-imperiale, di cui
ci viene offerto, grazie alla perfetta conserva-
zione degli ambienti e delle rappresentazioni a
mosaico, un quadro di “prima mano”. Annesso
all’abitazione sorge un complesso termale, che
con ogni probabilità era accessibile anche agli
estranei, oltre che ai proprietari della tenuta.

CIVILTÀ ROMANA 75
I SALACI
FESCENNINI
Volgari e sboccati, i fescennini erano scambi rituali di versi dall’intento
propiziatorio, che i contadini “mettevano in scena” in recite improvvisate
durante le feste campestri: furono i primi vagiti del teatro latino
di Eugenio Anchisi

U
na delle tradizioni più curiose, ma an-
che misteriose, di Roma antica è quella
dei versi fescennini (fescennini versus), ai
quali si può far risalire, almeno in parte, l’ori-
gine dell’arte teatrale latina. Misteriosa perché
poco si sa della sua origine, e curiosa perché
se ne ritrovano tracce anche oggi, in tradizioni
popolari legate a cerimonie o riti festivi.
I fescennini erano una sorta di brevi rappre-
sentazioni sceniche del tutto improvvisate, sen-
za un testo o un canovaccio prestabilito.

SCENARI CAMPESTRI
Legati alle feste campestri che si tenevano in
occasione del raccolto o della vendemmia, ave-
vano una funzione apotropaica, servivano cioè
a scacciare il malocchio o i cattivi influssi, in-
graziandosi le divinità che presiedevano alle va-
rie attività agricole. Durante questi riti, i con-
tadini, forse mascherandosi in maniera rozza,
come pare suggerire un passo delle Georgiche
di Virgilio («coloni / versibus incomptis ludunt
risuque soluto / oraque corticibus sumunt hor-
renda cavatis», «i contadini / fanno festa con

76 CIVILTÀ ROMANA
RITI

versi grossolani e sghignazzate, / prendono


maschere repellenti, fatte di cortecce cave»),
si scambiavano battute e versi dozzinali. Parole
volgari e licenziose, pronunciate allo scopo di
ingraziarsi gli dei benevoli e allontanare i de-
moni, che avrebbero potuto arrecare danno
alle attività campestri.
Tali rituali rustici erano legati anche alle ceri-
monie nuziali, durante le quali la recita dei ver-
si fescennini aveva il medesimo scopo: allon-
tanare il malocchio dalla casa della nuova
famiglia e le possibili influenze negative
dalla vita della coppia. Non abbiamo
testimonianze dirette di queste pic-
cole scene improvvisate e nemmeno
delle parole che venivano pronunciate
(doveva esistere un “repertorio” tradizio-
nale, tramandato a memoria di generazio-
ne in generazione, con formule rituali pre-
costituite e di cui era stato verificato il buon
esito); tuttavia, il passo di un’epistola scritta dal
poeta Orazio (65-8 a.C.) ce ne fornisce una
descrizione piuttosto completa: «Gli antichi
agricoltori del Lazio, dopo aver riposto il gra-
no, davano ristoro, nei giorni di festa, al corpo
e all’animo che aveva sostenuto le fatiche con sfera sessuale,
la speranza di vederne il termine. Insieme con che avevano lo
i compagni di lavoro, i figli e le mogli fedeli, scopo di scatenare
solevano placare Tellure [dea della terra, protet- un riso sfrenato e rumo-
trice della fecondità, il cui culto era antichissi- roso, che avrebbe scaccia-
mo] con un maiale, Silvano con latte, il Genio to demoni e fantasmi. Del
che conosce la brevità della vita con fiori e resto, una delle etimologie possibili MASCHERE ROZZE
vino. L’usanza produsse la licenza fescennina del termine “fescennino” si ricollega Sopra, una
(fescennina licentia) che partorì rustici alla parola fascinum, che in latino maschera del
sarcasmi a versi alternati. Finché si indicava il membro virile eretto, in teatro farsesco e
limitò a scherzi piacevoli, la liber- grado, pare, di scacciare il maloc- satirico latino: simili
tà del fescennino fu ben accolta chio. Una diversa etimologia colle- dovevano essere i
nelle ricorrenze annuali. Ma gli ga i carmi alla cittadina di Fescen- mascheroni portati
scherzi divenuti crudeli iniziaro- nio, al confine fra Lazio ed Etruria. dai villici che recita-
no a trascendere in lividi attacchi Il centro, ormai scomparso, sorgeva vano i fescennini. A
personali, penetrando, truculenti lungo la via Amerina (che collegava sinistra, una figura
e impuniti, nelle case oneste». Roma all’Umbria passando per Ameria, mascherata, intenta
oggi Amelia), probabilmente dove oggi a declamare i suoi
DAL PASSATO FINO A OGGI sorge l’abitato di Corchiano. versi. Nella pagina
Anche Tito Livio parla dei fe- Bizzarri ed esotici già per i Romani, a fronte, attori latini
scennini, raccontando che veni- che faticavano a ricostruirne l’origine e il con gli attrezzi del
vano accompagnati da danze e senso, i fescennini hanno lasciato “eredi” mestiere, tra cui
canti, costituendo, a suo parere, nei lazzi scherzosi e sboccati che è uso campeggiano ma-
la prima forma di rappresen- recitare durante le feste di matrimonio schere colorate.
tazione teatrale della latinità. e nella tradizione toscana della salace
Doveva trattarsi di scambi “poesia all’impronta” (improvvisa-
di battute volgari, legate alla ta), tipica del mondo rurale.

CIVILTÀ ROMANA 77
GLI ACQUEDOTTI
NEWS ROMANI

S.P.Q.R. NEWS
LE ULTIME NOTIZIE DAL MONDO ROMANO
IL FUMETTO IL LEONE ALATO
PIÙ ANTICO Venuto alla luce nella terra di Vulci
C
Scoperto in Giordania ontinua a sorprendere la ne-
cropoli dell’Osteria, nell’antica
città di Vulci (Viterbo). Duran-
te recenti scavi archeologici, è venuta
alla luce una statua raffigurante un le-
one alato di origine etrusca, risalente
al VI secolo a.C. (nella foto). «Si tratta
di un leone alato ruggente, in atteggia-

S i trova in una tomba nell’odierna


città di Beit Ras e raffigura lavora-
tori dell’antica città di Capitolias, nel
mento aggressivo» ha spiegato Carlo
Casi, direttore scientifico della Fonda-
zione Vulci. «L’animale venne posto,
Nord della Giordania, citata anche ai tempi, nei pressi di un’importante
da Plinio il Vecchio. Il dipinto ripor- tomba, che la belva aveva il compito
ta, accanto a ciascuna figura, le frasi di custodire e proteggere». Il reperto
pronunciate dai protagonisti. verrà restaurato a Montalto di Castro.

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MOSTRE | ULTIMA CENA A POMPEI

È in corso all’Ashmolean Museum of Art and Archaeology di Oxford, in Gran


Bretagna, e rimarrà aperta fino al 12 gennaio 2020, la mostra Last Supper in Pompeii
(Ultima cena a Pompei). Attraverso una carrellata di 300 reperti archeologici (come lo
scheletro a mosaico qui a sinistra), alcuni dei quali di recente scoperta (oggetti di uso
quotidiano, utensili, vasi e persino resti di cibi carbonizzato e preservato dalle ceneri
del vulcano), i visitatori potranno rivivere le abitudini degli antichi Romani: dai
campi coltivati alle taverne, dagli empori ai triclini, dalle case ai luoghi di culto. Tutta
incentrata sul cibo, l’esposizione spazia dalle ricette agli ingredienti che i Pompeiani
usavano per prepararle (i Paesi di provenienza dei prodotti e quelli di esportazione),
fino alle cucine e agli attrezzi allora in uso, ai magazzini e alle trattorie dell’epoca. Ne
emerge un quadro ricco di particolari curiosi per la sensibilità moderna: per esempio,
che cosa mangiavano i cittadini di Pompei? Oltre ai classici della dieta mediterranea
arrivati fino ai giorni nostri (olive, noci, legumi e verdura, frutta e pesce), pare che
non disdegnassero il ghiro e alcune specie di uccelli canori.

Orari: tutti i giorni, dalle 10 alle 17. Biglietto: £ 12,25

LIBRI | MANGIARE NELL’URBE

C aratterizzata da una straordinaria cura nel bilanciamento dei sapori, ma anche dalla
capacità di “mimetizzare” gli ingredienti rendendoli quasi indistinguibili all’interno
del piatto, la cucina dell’antica Roma raggiunse il suo massimo splendore (tramandato
nel De re coquinaria, scritto dal cuoco e gastronomo Apicio) in età imperiale. Pur non
dimenticando il legame con il frugale passato repubblicano (quando i Romani, come
scrive Plinio, erano «mangiatori di polenta») e con le influenze derivanti dalle tradizioni
culinarie di tutto il mondo allora conosciuto. Una capacità di preparazione dei cibi
davvero insuperata, che decadrà nel corso dei secoli, trasformandosi in un vago modello
da imitare nella cucina di età medievale e rinascimentale. In questo volume, Marco
Gavio De Rubeis (studioso di storia della birra e di cucina medievale) e Giorgia Affanni
analizzano l’eccezionale patrimonio gastronomico romano nella sua forma più autentica,
restituendo ai lettori gli strumenti per ricostruirne le ricette e trovare nuove vie per
soddisfare il palato sperimentando antichi sapori, tutti da riscoprire.

Marco Gavio De Rubeis, Giorgia Affanni, Roma antica in cucina. Tradizioni e ricette tra
Repubblica e Impero, I Doni Delle Muse, pp. 154, € 11 

FILM | MARCO AURELIO CONTRO COMMODO

M arco Aurelio fronteggia ormai da anni le irrequiete popolazioni del Nord.


Durante uno scontro con i barbari, Livio (ufficiale romano di cui Lucilla, figlia
dell’imperatore, è innamorata) salva la vita di Commodo, che succede al padre Marco
Aurelio dopo la sua morte violenta. Questo l’inizio di La caduta dell’Impero Romano,
film diretto nel 1964 da Michael Mann e interpretato da Alec Guinness nei panni di
Marco Aurelio, Sophia Loren in quelli di Lucilla e Christopher Plummer nella tunica di
Commodo. Presto, le divergenze tra Livio e Commodo spingono l’imperatore a esiliare
l’eroe, che verrà richiamato in servizio solo quando una ribellione in Oriente assumerà
proporzioni preoccupanti. Nel frattempo, Lucilla torna a Roma assieme a Livio, che si
ribella alle crudeltà del brutale e turpe Commodo. Imprigionato insieme a lei, Livio
ha una sola possibilità di salvare la sua vita e quella dell’amata: battere l’imperatore in
duello. Spettacolare e con ottimi attori (vi recitano anche James Mason, Omar Sharif
e Mel Ferrer), il film si prende qualche libertà con la Storia, ma restituisce in modo
indimenticabile l’austera figura di Marco Aurelio, l’imperatore filosofo.

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uella della bulla è una tradizione romana arcaica, forse ereditata dagli Etruschi o da
un passato indoeuropeo ancora più remoto: oggetti simili alle bullae romane sono imperatore, che cambiò
stati ritrovati in Irlanda, in strati archeologici risalenti all’Età del Bronzo (1000 per sempre la storia d’Europa.
a.C. ca.). Si trattava di un amuleto a guscio (una sorta di piccola custodia a forma di sfera
schiacciata) che veniva messo al collo dei figli maschi al compimento dei nove giorni di vita.
Il significato e le origini di questo portafortuna rimangono ancora in gran parte misteriose,
LE CORAZZE
tuttavia il suo uso è ben testimoniato, anche da statue e bassorilievi in cui si vedono bambini DEI LEGIONARI
che la indossano. La bulla veniva portata dai ragazzi, come un medaglione, fino alla fine Com’erano fatte e perché.
dell’adolescenza, ossia quando compivano 16 anni, età in cui si diventava ufficialmente cit-
tadini. Poteva essere realizzata con vari materiali: nel caso di bambini appartenenti alla più
alta aristocrazia era interamente in oro, ma più comunemente era fatta di piombo rivestito di ORAZI E CURIAZI
una leggera foglia d’oro. La bulla, tuttavia, poteva essere anche in tessuto o in cuoio, com’era Il triplice duello con cui
d’abitudine tra le famiglie meno abbienti.
Il suo scopo era quello di proteggere chi la portava dagli spiriti e dalle in- venne sottomessa Albalonga.
fluenze maligne. Al suo interno, infatti, conteneva amuleti protettivi, di so-
lito piccoli simboli fallici. Alle figlie femmine, al posto della bulla ma I RITI FUNEBRI
con lo stesso scopo, veniva fatta indossare la lunula: un piccolo
amuleto a forma di spicchio di luna che doveva essere por-
Gli strani funerali per dire
tato fino al matrimonio. La si toglieva appena prima delle addio alle persone più care.
nozze, insieme a tutti gli altri oggetti legati all’infanzia,
perché da quel momento la ragazza iniziava a indossare
gli abiti tradizionali della donna romana adulta.
LE DODICI
Anche dopo la rimozione, bulla e lunula venivano TAVOLE
gelosamente conservate. In particolari occasioni, la La vera “costituzione” di Roma.
bulla veniva nuovamente indossata, per esempio quan-
do si veniva nominati generali dell’esercito o si parteci-
pava alle parate d’onore: portarla di nuovo al collo avreb- OVIDIO
be protetto dalle forze malefiche e dalla gelosia dei rivali. Il poeta e la sua Ars amandi.

CIVILTA
SERVIZIO QUALITÀ EDICOLANTI E DL Stampa: Arti Grafiche Boccia S.p.A.- Salerno
Sonia Lancellotti, Virgilio Cofano : tel. 02 92432295/440 Copyright : Sprea S.p.A.
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