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Materiali per l’industria meccanica

1 Meccanismi di rafforzamento
1.1 Rafforzamento per soluzione solida (6pt)

È una tecnica utile per aumentare la durezza e la resistenza


dei metalli legandoli con atomi di impurezza in modo da
formare al loro interno soluzioni solide interstiziali o di
sostituzione.

Questo rafforzamento avviene grazie all’introduzione di


atomi di soluto in soluzione solida nel reticolo del solvente,
che vanno a posizionarsi vicino le dislocazioni riducendo gli
stress residui. Le dislocazioni possono essere a spigolo e a
vite, quest’ultime non sono indicate per questo tipo di
rafforzamento per via dei campi tensionali di solo taglio.

Nelle soluzioni solide sostituzionali, gli atomi del soluto


possono sostituirsi agli atomi del solvente o muoversi nelle
vacanze (in funzione anche della temperatura). In base alla
dimensione dell’atomo di soluto si possono generare stress
di compressione nel caso in cui l’atomo di impurezza sia più
grande dell’atomo del solvente e stress di trazione nel caso
opposto.

Nelle soluzioni solide interstiziali invece, l’atomo di soluto (H,


C, B, N) è di dimensioni molto ridotte rispetto all’atomo del
solvente e pertanto può andare a occupare posizioni
interstiziali del reticolo del metallo base (come ad esempio
nel Fe-C dove il carbonio si posiziona nelle lacune
ottaedriche).

L’utilizzo di questo metodo di rafforzamento permette di


abbassare l’energia legata alle dislocazioni e innalza l’azione
tangenziale di taglio all’interno del solvente. Ciò fa sì che le
leghe siano più resistenti dei metalli puri in quanto le
impurezze introducono degli stress maggiori che ostacolano
il movimento delle dislocazioni. Ne è una prova il True stress
che sale con differenze notevoli nella lega rispetto
all’elemento puro, seguendo la legge:

𝟑
𝚫𝛕 = 𝐆𝐛𝛆𝟐 √𝐜

Dove G è il modulo di taglio, b è il vettore di burger, c è la


concentrazione soluto, ε è la deformazione.

Si può notare che in alcune curve nella lega al Mg


(soprattutto lega 5182) ha una specie di andamento
seghettato. Questo è dovuto all’effetto Portevin-Le
Chatelier, dovuto alle tensioni che salendo fanno disancorare
gli atomi di soluto, facendo scendere per poi riprendere le
dislocazioni e per poi far salire di nuovo lo stress necessario.

Un esempio negativo però si può avere nella lega ferro


idrogeno che crea una soluzione solida interstiziale, creando
così gli acciai effervescenti che non solo sono soggetti ad
invecchiamenti rapidi e infragilimento ma sono anche non
saldabili. Infatti, gli acciai strutturali sono raramente zincati
perché generano questo infragilimento da idrogeno.
Nell’alluminio e anche nel rame non esistono elementi
interstiziali.

Esempi di rafforzamento per soluzione solida:


- Alluminio con Mg (leghe serie 5000) o Mn (leghe serie
3000),
- Ottone quindi rame zinco fino al 39% di zinco in massa
primo titolo,
- Acciaio da costruzione con manganese o azoto o cromo
o rame.

1.2 Rafforzamento per incrudimento (6pt)


Fenomeno per cui aumentiamo la durezza e resistenza a
scapito della duttilità del materiale, effettuando una
deformazione plastica a bassa temperatura. Esaminiamo il
grafico.

Facendo riferimento, per semplicità, ad


una prova di trazione:
-deformo plasticamente a T bassa
superando Rp 0.2,
-arrivo al punto 1 e scarico,
-quando riapplico il carico ho un nuovo
carico di snervamento R’p 0.2 > Rp 0.2.

È possibile notare come questo meccanismo di


rafforzamento aumenti la tensione di snervamento e al
contempo riduca la lunghezza a rottura. In alcuni materiali si
verifica anche un infragilimento dovuto all’aumento della
temperatura di transizione oltre alla diminuzione di alcune
proprietà fisiche come conducibilità elettrica, la permeabilità
magnetica e la densità.

Durante la deformazione all’aumentare di questa, cresce la


densità delle dislocazioni (tanto da arrivare ad una
concentrazione così elevata di dislocazioni da essere definita
foresta di dislocazioni) e ciò porta ad un rallentamento del
loro moto, per cui lo sforzo necessario per mettere in moto
le dislocazioni cresce e si ha un carico di snervamento
maggiore.

Il risultato finale è che il movimento


delle dislocazioni è ostacolato dalla
presenza di altre dislocazioni e di
conseguenza lo sforzo necessario
da impiegare per deformare un
metallo cresce all’aumentare della
deformazione a freddo.

L’effetto dell’incrudimento è qualitativamente


rappresentato dalla formula, essa descrive la curva di
deformazione plastica, cioè la curva che va da Rp0.2 a Rm, dove
si ha uno stato di tensione uniassiale (oltre Rm: strizione):

Dove:
▪ τ0 è la tensione di taglio sul piano di scorrimento di una
dislocazione che si muove senza incontrare ostacoli, cioè
la resistenza intrinseca del reticolo cristallino
▪ α è una costante che dipende dalla natura delle
dislocazioni
▪ G modulo elasticità tangenziale
▪ b modulo del vettore di Burgers
▪ ρ indica la densità delle dislocazioni è definita come
tensione di flusso plastico
▪ M è il Fattore di Taylor che riguarda l’orientazione dei
sistemi di scorrimento (policristallini M=3)
Di seguito alcuni valori di densità delle dislocazioni ρ

-acciaio laminato cm/cm3


-acciaio incrudito per trazione cm/cm3
-acciaio ricotto cm/cm3

Durante la deformazione plastica a T bassa si osservano


modifiche nella forma del grano, aumento delle dislocazioni
ed energia di deformazione associata a zone con stati
tensionali residui. Per questo motivo si può fare un
trattamento termico di ricottura per recuperare la struttura
originaria.
1.3 Rafforzamento per precipitazione (8pt)

Il rafforzamento per precipitazione è tipico delle leghe


leggere (Al e Mg) e avviene quando delle particelle di
seconda fase precipitano nel reticolo ospitante. Queste
bloccano il movimento delle dislocazioni e migliorano le
proprietà meccaniche. Le particelle di precipitato hanno
dimensioni comprese tra 10 nm e 100 nm.

Le particelle delle seconde fasi servono a rendere difficoltoso


il passaggio delle dislocazioni, talvolta le dislocazioni riescono
ad attraversare le particelle consumando però energia per
deformale, ma se le particelle sono incoerenti (o
indeformabili) allora le dislocazioni sono costrette ad
AGGIRARLE secondo lo schema di Orowan. La dislocazione si
piega curvandosi attorno alla particella per poi ricomporsi al
di là della particella dopo aver lasciato attorno ad essa un
anello di dislocazione che ostacolerà il passaggio della
dislocazione successiva.

Definiamo la τ critica per l’aggiramento dei precipitati:

▪ beta= costante di aggiustamento


▪ G= modulo elasticità tangenziale
▪ b=vettore burger
▪ r=dimensione precipitato
Si nota che più il precipitato è piccolo più è difficile aggirarlo.
Inoltre, definiamo anche la τ critica per il taglio dei precipitati
(meccanismo di Friedel):

▪ alfa = costante sperimentale


▪ f=frazione in volume del precipitato
▪ gamma=energia del bordo di antifase

Questi meccanismi avvengono in funzione della natura dei


precipitati. Ne esistono tre tipi:
o Coerenti: il piano reticolare della matrice e del
precipitato è lo stesso, quindi la matrice cristallina é
continua, cioè i piani cristallini sono allineati.
Un’ipotetica dislocazione potrebbe attraversare
facilmente il precipitato. (Friedel)
o Incoerenti: la particella di precipitato ha un piano
cristallino che non è continuo rispetto alla matrice, sia
per orientazione che per struttura. Difficilmente le
particelle vengono attraversate, ma solitamente
vengono scavalcate con il meccanismo di Orowan.
o Semi-coerente: sono particelle coerenti ma presentano
distorsioni reticolari, dunque la continuità della matrice
non è omogenea. Di conseguenza le dislocazioni non
possono attraversare facilmente i precipitati.
Perché avvenga il meccanismo di Friedel
è necessario che le particelle piccole
siano coerenti, oppure le particelle
incoerenti siano molto grandi. In questo
meccanismo le dislocazioni attraversano
i precipitati tagliandoli e lasciandosi alle
spalle un bordo di antifase che rende più difficoltoso il un
ulteriore passaggio. Questa legge segue un andamento
proporzionale alla radice del raggio medio, dunque più la
particella è grande, maggiore sarà l’energia necessaria per
attraversarla.

Nel meccanismo di Orowan si ha l’aggiramento del


precipitato, dunque è applicabile nei casi in cui il meccanismo
di Friedel richiederebbe quantitativi di energia troppo
elevati, come in precipitati molto grandi o incoerenti. Questo
meccanismo segue un andamento proporzionale al reciproco
del raggio.

Come da grafico si avrà un’intersezione tra le due curve


rappresentanti i due meccanismi. Si può notare come quel
punto evidenzi un raggio critico in cui avviene il passaggio tra
i due. Vi sono alcuni fattori che influenzano il raggio critico
come la frazione in volume dei precipitati e la durezza delle
particelle di precipitato.
Per ottenere un rafforzamento per precipitazione si
effettuano in successione 3 diversi trattamenti termici:
▪ Solubilizzazione: mi avvicino il più possibile alla T
eutettica per avere la soluzione solida limite cioè faccio
entrare nel solvente più soluto possibile, mantengo
questa temperatura per ottenere la completa
dissoluzione del soluto nella fase.
▪ Tempra: porto le condizioni metastabili a T ambiente
solitamente con acqua (a temperatura di circa 50°C) e si
ottiene la SSSS (super satur solid solutions )
▪ Invecchiamento artificiale: riscaldo a una temperatura
precisa per un certo periodo di tempo al fine di ottenere
i precipitati voluti, in particolare i metastabili intermedi
(semi-coerenti). Questo processo può avvenire anche a
temperatura ambiente per alcuni tipi di leghe (Al-Cu) e
prende il nome di invecchiamento naturale.

Esiste un 4 trattamento, chiamato super invecchiamento in


cui si ritorna alle fasi stabili e viene utilizzato solitamente per
ridurre gli effetti della corrosione.

Cosa succede al materiale durante il meccanismo di


invecchiamento?
1 - Clusters di soluto: come prima cosa si formano delle
piccole aggregazioni di soluto che si chiamano zone Guinier-
Preston. All’ inizio queste zone sono poche decine e si parla
di zone GPI e causano un modesto aumento di durezza, poi,
col passare del tempo, si parla di zone GPII caratterizzate da
clusters più numerosi, di dimensioni maggiori e che causano
durezze maggiori.
2 - Precipitato semicoerente : stadio in cui compare la fase
semicoerente, in cui si ha il massimo della durezza e quindi
del rafforzamento
3 - Precipitato incoerente : questa fase è indicata con
(chiamato rafforzamento per dispersione con particelle di
dimensioni superiori a 10 micrometri) in cui il precipitato
assume una composizione incoerente con la matrice e la
durezza del materiale incomincia a diminuire
4 - Overaging: prolungando troppo a lungo l’invecchiamento
si ha un aumento di dimensioni del grano e una successiva
coalescenza che porta un notevole calo delle proprietà di
durezza.
1.4 Rafforzamento per trasformazione martensitica (8pt)

La trasformazione di austenite (CFC) in


martensite(TetragonaleCC) avviene per riorientamento del
reticolo cristallino mediante piccoli movimenti degli atomi
(spostamenti inferiori all’unità reticolare), in totale assenza
di diffusione. La trasformazione martensitica è diffusa in
molti sistemi metallici (Fe-C, Fe-Ni, Ti-Ni. Ni-Al (lega a
memoria di forma)).
È rilevante soprattutto nelle leghe Fe-C, infatti le elevate
caratteristiche meccaniche della martensite indicano
differenti barriere al moto delle dislocazioni. A differenza
della maggior parte dei sistemi e delle leghe a memoria di
forma, nei sistemi Fe-C la martensite non è una struttura di
equilibrio, quindi al riscaldamento non si genera
direttamente austenite.

La formazione di martensite è costituita da una rapida


nucleazione con un’energia di attivazione nulla, a qualunque
temperatura il tempo di nucleazione è dell’ordine del
microsecondo (10^-6), mentre la velocità di movimento
dell’interfaccia è dell’ordine del 10-30% della velocità del
suono (nell’acciao 10^3 m/s). Essa avviene tramite una
deformazione della fase madre. La trasformazione può
avvenire in determinate condizioni anche al di sopra di Ms
per mezzo di deformazioni plastiche e al di sotto di una
temperatura Md>Ms.
La martensite che si forma dipende solo dalla temperatura e
non dal tempo secondo l’equazione di Koistinen e
Marburger:
1-fv=eβ(ms-T)

▪ beta è una costante che vale -0,011 in Fe-C


▪ fv è la frazione in volume della martensite start
▪ T la temperatura
Dato che dipende solo dalla temperatura questo tipo di
trasformazione prende il nome di trasformazione ATERMICA.

La trasformazione martensitica, avvenendo senza diffusione,


è molto caratterizzata dal punto di vista cristallografico. Le
evidenze sperimentali hanno indicato che il movimento delle
dislocazioni o la geminazione sono i due possibili meccanismi
per le trasformazioni senza diffusione, come appunto la
trasformazione martensitica. Due sono le caratteristiche
morfologiche possibili:
• la grande densità delle dislocazioni (lath martensite)
• la struttura finemente geminata (plate martensite).

Si definisce come piano d’abito (habit plane) quell’interfaccia


piana semicoerente e glissile, che potrebbe ben essere
l’interfaccia fra la martensite e la fase madre (austenite nei
sistemi Fe-C).

Lath martensite
Questo tipo si trova in acciai al carbonio
oppure debolmente legati fino a C=0,5%.
La morfologia è fatta da pacchetti di piccole placchette
stratificate e molto lunghe. Nei pacchetti le placchette sono
separate fra loro soprattutto da bordi di grano a basso
angolo. Non è mai stata trovata la presenza di geminati. La
densità di dislocazioni è di 109-1010 mm-2, comparabile con
quella di metalli fortemente deformati

Plate martensite
E' tipica di acciai ad alto tenore di C,
tendenzialmente maggiore di 1%. E'
costituita da placchette fatte di una coppia di geminati molto
fini, dello spessore di 10-100 nm. Le placche crescono in
modo indipendente le une dalle altre.

Una caratteristica tipica delle martensiti ad alto tenore di C è


il fenomeno della detonazione, cioè una placca di martensite
nuclea una serie di altre placche quando la sua crescita
provoca una concentrazione di stress a causa dell'incontro
con un bordo di grano o con altre placche martensitiche.

Questo tipo di martensite è anche rinvenibile in acciai a basso


tenore di C o addirittura in assenza di C, purchè vi siano
elementi leganti in quantità massiccia. Un esempio è la lega
Fe-Ni con circa il 30% di Ni.
A tenori di carbonio intermedi, fra 0,5 e 1,4%, vi può essere
coesistenza di lath e plate martensite. Quest'ultima però
cresce dando origine a placche perpendicolari fra loro. Nella
plate martensite, la cui percentuale aumenta con la
percentuale di C, le placche nucleano e crescono
isolatamente.

È inoltre da notare che all'aumentare della percentuale di C,


la geminazione diventa progressivamente più difficile,
perchè gli enormi stress elastici interni dovuti alla
trasformazione martensitica finiscono per opporsi al piccolo
movimento degli atomi necessario. Rimane quindi una
percentuale di austenite non trasformata, detta austenite
residua (retained austenite).

ll prevalere dell'una o dell'altra struttura dipende dalla


competizione dei due meccanismi, cioè il movimento delle
dislocazioni o la geminazione. Tale competizione è governata
dal confronto dei valori di stress reticolare ai quali avviene la
geminazione o ai quali si raggiunge la CRSS nei sistemi a facile
scorrimento dell'austenite.
Il prevalere dell'uno o dell'altro meccanismo dipende
principalmente dalla composizione chimica:
• concentrazione di C
• concentrazione degli elementi leganti
• temperatura di trasformazione Martensite Start Ms.
L'organizzazione cristallografica comporta di per sé un
rafforzamento, operante in qualunque tipo di martensite,
anche quelle non Fe-C. Viste le morfologie dei due tipi di
martensite negli acciai, i due meccanismi di rafforzamento
morfologico operanti che esercitano un ostacolo al moto
delle dislocazioni sono:
• lath martensite: le dislocazioni già presenti (come se
fosse un rafforzamento per incrudimento) e le
interfacce fra le placchette (come se fosse una specie
di rafforzamento per bordo di grano)
• plate martensite: i fittissimi bordi dei geminati (come
se fosse una specie di rafforzamento per bordo di
grano)
Il secondo e più importante contributo al rafforzamento è
dato dalla presenza degli atomi di C. Nel passaggio
dall'austenite alla ferrite, la solubilità del C crolla, come si
vede dal diagramma delle fasi Fe-C. Come è ben noto, la
tempra congela gli atomi di C in soluzione solida nei cristalli
CCC della ferrite, anzi nei nuovi cristalli TCC della martensite.
Tali atomi di C deformano elasticamente in modo molto
pronunciato il cristallo ospitante, perché occupano tutti i siti
potenzialmente disponibili, assimilabili a delle lacune
(ottaedriche e tetraedriche), per l'introduzione
degl'interstiziali.
Gli atomi di C diffondono lentamente a T ambiente e si vanno
ad attaccare sulle dislocazioni presenti, ancorandole
fortemente.Un altro fenomeno è la formazione di cluster di
atomi di C sui piani cristallini, dove ostacolano il moto delle
dislocazioni con un meccanismo simile a quello svolto dalle
fasi GP nelle leghe leggere.
1.5 Rinvenimento della martensite (8pt)
Dopo tempra l'acciaio è costituito da una miscela meccanica
di martensite e austenite residua, la prima largamente
predominante. Entrambe tali fasi sono termodinamicamente
instabili, e possono lentamente degenerare, l'austenite
anche a temperatura ambiente. L'austenite si può
trasformare in martensite, mentre quest'ultima tende a
trasformarsi in fasi meno metastabili o, alla fine, nelle fasi di
equilibrio.

Vi sono inoltre altre due questioni fondamentali:


• le trasformazioni di entrambe le fasi implicano variazioni
di densità del materiale, e quindi di volume dei
componenti, del quale si deve tenere conto
• la martensite è una fase abbastanza fragile, ed è inoltre
soggetta a cricche che possono svilupparsi anche senza
che il pezzo venga sollecitato, ma solo lasciato a
temperatura ambiente.

Quanto sopra esposto mostra chiaramente che la


martensite, da sé sola, è poco utile nella maggior parte dei
casi, e che quindi ne deriva la necessità di un trattamento
termico che ne cambi le proprietà in modo favorevole. In
generale, si tratta di riscaldare il componente temprato a
temperature che non devono raggiungere la temperatura
eutettoidica (727°C), con permanenza di alcune ore, e finale
raffreddamento non controllato a temperatura ambiente. Di
qui si capisce subito che la temperatura permetterà la
diffusione di elementi nell'acciaio, permettendo così delle
trasformazioni di fase che portano l'acciaio ad una maggiore
tenacità e stabilità dimensionale. Come sarà qui di seguito
descritto nel dettaglio, il rinvenimento viene
convenzionalmente suddiviso in 5 possibili stadi diversi,
ognuno caratterizzato da specifiche trasformazioni di fase.

1° Stadio:
Avviene a temperature basse, cioè da temperatura ambiente
fino a 150-200°C, secondo la composizione chimica
dell'acciaio. I fenomeni microstrutturali sono i seguenti:
• una piccola parte del carbonio (massimo 0,2%) in
condizioni di sovrasaturazione nella martensite ne
fuoriesce, e rilassa meccanicamente il reticolo cristallino
diffondendo in minima parte e andando a decorare le
dislocazioni, è da notare che tali atomi di C rimangono in
posizione interstiziale
• tutti gli atomi di C che eccedono lo 0,2% concorrono ad
una trasformazione di fase:
MC+ (martensite tetragonale con molto C)→Mc-
(martensite tetragonale con poco C)+ε(carburo Fe2.4C),
cioè la martensite si rilassa espellendo almeno una parte
del C; quest'ultimo concorre con il Fe a generare la nuova
fase, il carburo ε, che è metastabile, di struttura
cristallografica a prisma esagonale, di forma aghiforme e
con dimensioni molto piccole.

In questo stadio il rilassamento delle deformazioni reticolari


elastiche della martensite, generate dagli atomi di C in
soluzione solida sovrasatura, porta ad una mitigazione del
rafforzamento della martensite che, di conseguenza risulterà
meno dura che a piena tempra. Una parte della durezza
persa è recuperata dal rafforzamento per precipitazione del
carburo ε, che ostacola efficacemente il movimento delle
dislocazioni, perché è molto piccolo e coerente.
Complessivamente, nel primo stadio del rinvenimento si
verifica solo un moderato abbassamento di durezza del
metallo.

Avvengono però altri due fenomeni di rilevante entità. La


scomparsa della martensite tetragonale ad alto tenore di C
porta ad una variazione negativa di volume, cioè l'acciaio si
contrae, e tende ad assumere una densità che si avvicina un
po' a quella della ferrite. Si ottiene quindi un miglioramento
della stabilità dimensionale dei componenti.

L'altro fenomeno, sempre connesso alla scomparsa della


martensite tetragonale ad alto tenore di C, è la diminuzione
delle tensioni residue di tempra, che si rilassano, rendendo
l'acciaio molto meno suscettibile alle cricche dopo tempra,
quindi con un moderato guadagno di tenacità.

2° stadio:
In un intervallo di temperatura compreso circa fra 100 e
300°C avviene la trasformazione
γres (austenite residua)→B (bainite).
Si tratta di una miscela meccanica di ferrite α e carburo ε o
anche cementite se la trasformazione avviene alle
temperature più prossime a 300°C. In entrambi i casi si tratta
di carburi finissimi sotto forma di aghetti lunghi dell'ordine di
10 nanometri (la dimensione dipende ovviamente dalla
temperatura alla quale avviene la transizione di fase).

La trasformazione avviene con sensibile diminuzione di


densità, e perciò con dilatazione dimensionale dei
componenti. Essa sarà rilevante solo quando la frazione in
volume dell'austenite residua è importante, cioè almeno al di
sopra del 10%. Complessivamente, però, va a compensare
almeno in parte la contrazione che si è verificata nel primo
stadio del rinvenimento, con l'espulsione di C da parte della
martensite tetragonale.
La bainite è una fase un po' meno tenace dell'austenite, ma
molto più resistente, grazie al rafforzamento per
precipitazione conferito dal carburo ε.
3° stadio:
Al di sopra di 250°C le fasi metastabili martensite, bainite e
carburo ε si trasformano nelle fasi di (quasi) equilibrio ferrite
e cementite:
Mc-→α+Fe3C
ε →α+Fe3C
B→α+Fe3C
Alle temperature più basse la cementite è estremamente
fine, con cristalli ellissoidali di lunghezza di 10-100
nanometri. A temperature al di sopra di 400°C la cementite
assume forma più globulare, con dimensioni dei cristalli al di
sopra dei 100 nanometri. Al di sopra dei 600°C diventa
possibile una vera e propria ricristallizzazione, con
formazione di cristalli di ferrite equiassica.

Nel terzo stadio del rinvenimento non avvengono sostanziali


variazioni di densità ma, al massimo, una leggera contrazione
dimensionale dovuta alla totale scomparsa della martensite.
Le caratteristiche meccaniche variano invece in modo molto
sensibile.

Concludendo, nel terzo stadio del rinvenimento si ha un


sostanziale abbassamento della durezza e delle
caratteristiche tensili, accompagnato da un aumento di
tenacità che però si fa fondamentale solo al di sopra di
temperature dell'ordine di 500- 550°C.

4° stadio:
Convenzionalmente questo stadio è assegnato a
temperature al di sopra di 600°C e consiste nella crescita in
dimensioni dei carburi (per lo più cementite) globulari
ereditati dal terzo stadio. La cinetica è governata dalla
diffusione allo stato solido, perciò è più rapida negli acciai al
C, più lenta o necessitante delle più alte temperature (il più
vicino possibile all'eutettoide) nel caso degli acciai legati,
dove gli elementi sostituzionali, se entrano nei carburi,
diffondono molto più lentamente. La spinta termodinamica
alla crescita dei carburi viene dalla necessità di minimizzare
l'energia libera superficiale delle interfacce fra carburi e
matrice ferritica.

Quindi la tendenza è avere il minor numero possibile di


carburi e questi devono essere il più grande possibile, perchè
così si minimizza la superficie dell'interfaccia. Per quando
detto finora, è coerente con l'interpretazione del fenomeno
il fatto che questa sia la microstruttura termodinamicamente
più stabile che si può ottenere a quelle temperature di
trattamento.

5° stadio:
In questo stadio avviene la precipitazione di cristalli di carburi
complessi fra C ed alcuni elementi leganti appositamente
introdotti nell'acciaio. Aggiungendo elementi leganti agli
acciai, essi possono essere solubili solo nelle fasi metalliche
ferrite ed austenite, oppure possono avere anche la
tendenza a formare carburi:
• non formano carburi Al, Cu, Si, P, Ni
• hanno crescente tendenza a formare carburi gli elementi
Mn, Cr, W, Mo, V, Ti, Nb
Gli elementi leganti sopra elencati hanno tutti l'effetto di
rallentare o posporre le trasformazioni di fase che avvengono
durante il rinvenimento. Ne consegue che, a pari
temperatura e durata del rinvenimento, gli acciai legati
abbiano caratteristiche migliori rispetto agli acciai al C.
Al di sopra di circa 550°C anche la diffusione degli elementi
sostituzionali diventa sensibile. La loro precipitazione
interrompe la decrescita delle caratteristiche meccaniche
resistenziali col prolungarsi del rinvenimento, anzi si assiste
ad un nuovo incremento delle stesse, soprattutto della
durezza che raggiunge un picco, al punto che si parla di
durezza secondaria.

1.6 Rafforzamento per bordo di grano e legge di Hall-Petch


(10 pt)

I BDG costituiscono degli ostacoli al movimento delle


dislocazioni. Infatti in questa particolare zona cambia
l’orientazione del sistema di scorrimento, inoltre i BDG sono
regioni ad alto disordine (discontinuità nel piano di
scorrimento).

Quando le dislocazioni incontrano il BDG si bloccano perché


nel grano successivo cambia l’inclinazione del piano di
scorrimento. Un materiale con grana fine è più resistente di
quello con grana grossolana perché il primo ha una maggiore
superficie di bordo di grano per impedire il movimento delle
dislocazioni.

Per quantificare la variazione della tensione di snervamento


in presenza del rafforzamento per bordo di grano utilizziamo
la legge di Hall-Petch in cui vediamo che all’aumentare del
diametro medio del grano diminuisce il carico di
snervamento infatti:

Per capire in cosa consiste la legge di Hall-Petch partiamo


dall’analisi del movimento di una dislocazione. La tensione
tangenziale da applicare sul piano di scorrimento per
muovere una dislocazione è definita come:

▪ è lo stress di taglio sul piano di scorrimento


▪ è dovuta ai meccanismi di rafforzamento operanti ad
esclusione dell’ostacolo dei bordi di grano,
▪ G è il modulo di taglio
▪ b il vettore di Burgers.

Consideriamo ora una dislocazione che deve superare un


bordo di grano e chiamiamo L la distanza dal punto in cui si è
generata, considerato che per i cerchi di Mohr avremo
che la tensione che bisogna applicare esternamente per far
arrivare la dislocazione al bdg è tale che :

dove il fattore (1-ν) è per la dislocazione a spigolo, per quella


a vite il fattore è 1.

Dall’equazione si vede anche che se L tende a infinito, cioè se


la sorgente di dislocazioni si allontana moltissimo, allora il
secondo membro tende a zero e σ→σ0, cioè la tensione
applicata per nucleare una dislocazione lontana non risente
dal bordo di grano, ma solo dagli altri meccanismi di
rafforzamento già operanti. Se ora lo stress σ sale, la
sorgente emetterà una nuova dislocazione, che scorre fino
ad impilarsi alla precedente, che esercita contro di essa
un’azione repulsiva, che si somma a quella del bordo di
grano. Man mano che lo stress sale, si genereranno nuove
dislocazioni, che andranno a rimpolpare l’impilamento al
bordo di grano.

Da un punto di vista microstrutturale, la distanza della


sorgente (che potrebbe trovarsi anche su un altro bordo di
grano) scala naturalmente con la dimensione d del grano,
cioè L proporzionale a d. Allora, per generare e impilare N
dislocazioni ai bordi di grano è necessaria una tensione
risolta sul piano di scorrimento tale per cui:

E’ interessante notare che le N


dislocazioni che si sono impilate al
bordo di grano, sono come avere
arrestato in quel punto una
superdislocazione con modulo del
vettore di Burgers Nb. Inizialmente la dislocazione e il
successivo impilamento si bloccano al bordo di grano. Lo
stress cresce per vincerne la resistenza, e così facendo
continuano a generarsi dislocazioni che continuano ad
impilarsi, facendo crescere le tensioni locale della
superdislocazione con vettore di Burger di modulo Nb. Lo
stress locale (l’estremità dell’impilamento sul bordo di grano)
vale N volte quello di generazione (σ-σ0) di una nuova
dislocazione quando N sono già presenti.
Si può seguire un altro metodo riconducibile alla meccanica
della frattura per una cricca che si propaga in modo di taglio
(mentre nell’equazione analizzata prima si seguiva il modo di
trazione). Cioè si schematizza il sistema di scorrimento
reticolare con sopra N dislocazioni, che scorrono e s’impilano
al bordo grano, come una cricca sollecitata da sforzi di taglio
remoti (idealmente all’infinito) paralleli al piano della cricca
stessa.

Nella seguente equazione si riporta la funzione tensione


tangenziale, parallela alla cricca, generata da una tensione
tangenziale lontana dall’apice della cricca. Segue la
simbologia:
o τxy = tensione di taglio parallela alla cricca funzione delle
coordinate x e y nel piano (l’asse X è parallelo alla
fessura, l’asse Y è perpendicolare ad esso)
o τ = tensione applicata remota (idealmente all’infinito) sul
piano di scorrimento
o a = lunghezza della cricca
o r = coordinata che dà la distanza dall’apice della cricca
o θ = coordinata che dà l’angolo d’inclinazione rispetto al
piano della cricca
o fxy(θ) = funzione angolare
Si può trasportare l’eq. nel caso presente facendo le seguenti
assunzioni:
o si sceglie di stare sul piano della cricca (in realtà stiamo
parlando ora del sistema di scorrimento), quindi θ=0 e
perciò fxy(0)=costante
o come grandezza remota al posto di τ s’introduce τ-τ0,
che è fisicamente coerente con lo scorrimento delle
dislocazioni
o si trasforma la lunghezza di cricca a nella lunghezza L del
sistema di scorrimento, anzi nella grandezza del grano d:

dove C2 è una costante che ingloba le costanti numeriche


dell’equazione precedente. Occorre adesso trattare la
singolarità elastica all’apice della cricca.

Per dare più significato fisico all’equazione successiva si deve


considerare che:
o come sopra, dai cerchi di Mohr τ=1/2 σ in trazione
monoassiale; quindi s’immagina che la tensione di taglio
remoto τ sia generata da uno stress di trazione
monoassiale remoto pari a σ
o per eliminare la divergenza della tensione locale τxy, ci si
avvicina al massimo all’apice della cricca, cioè si è ad un
vettore di Burger dal bordo di grano
o C3 è una costante che ingloba tutte le costanti
geometriche
o ora come equivalente locale della τxy si può prendere un
valore di σ locale, cioè σloc
o in particolare, come valore di σloc si sceglie il valore
critico σ* che fa oltrepassare il bordo di grano alle
dislocazioni

in cui denominando k*=σ*/C3 si ritrova le legge di Hall-Petch:

Si fa notare che si è voluto introdurre la costante k*, che è


determinabile sperimentalmente applicando una
regressione su dati di differenti prove di trazione condotte su
campioni con grani cristallini di diverse dimensioni, allo
scopo di mascherare la resistenza intrinseca σ* del bordo di
grano, in quanto grandezza fisica molto più incerta dal punto
di vista della sua determinazione sperimentale.
2 Tecnologia dei getti
2.1 Vantaggi dell’uso dei getti rispetto alle altre lavorazioni
(asportazione di truciolo e deformazione plastica) (5 pt)

I componenti fabbricati in fonderia hanno caratteristiche un


po' diverse da quelle degli equivalenti fabbricati dai
semilavorati mediante deformazione plastica ed
asportazione di truciolo. In generale i pezzi ottenuti per
colata hanno caratteristiche meccaniche inferiori. Tuttavia,
la fabbricazione in fonderia permette degl'innegabili
vantaggi che spesso ne fa preferire l'impiego.
Vantaggi:
• costi di fabbricazione molto minori per pezzi di forma
complessa
• Proprietà meccaniche isotrope
• Progettazione per funzionalità senza tenere conto di
problematiche di assemblaggio
• Aumento della velocità della prototipazione rapida

La produzione di pezzi mediante fonderia offre al progettista


vantaggi sui costi rispetto alle altre tecnologie di produzione
quando le geometrie sono molto complesse, per le seguenti
motivazioni:
• uso di un minor numero di pezzi
• eliminazione di lavorazioni per deformazione plastica o
per asportazione di truciolo
• tempi di montaggio più brevi
• risparmio di massa.

Applicazioni:
Negli ultimi decenni si è assistito a un grande incremento
nell'utilizzo di componenti in lega leggera per minimizzare le
masse di macchinari in movimento, soprattutto per quanto
riguarda l'industria dei trasporti. Si producono:
• componenti automobilistici (telaio o chassis, parti del
motore)
• parti strutturali in aeronautica (ipersostentatori,
alloggiamenti delle trasmissioni, involucri di
componenti...)
• parti fisse di motori, carcasse di turbine e compressori
• componenti per lo sport
• carcasse di strumentazione elettromeccanica e
bricolage.

Progettazione:
La progettazione di un componente si svolge in tre fasi:
• la determinazione della tensione che deve essere
sopportata
• valutazione delle limitazioni geometriche dovute
all'ingombro
• progettazione con distribuzione della massa in modo
ottimale per reggere i carichi ed evitare gli effetti
d’intaglio.

Proprietà meccaniche:
• esiste un'ampia varietà di leghe, una scelta adeguata
richiede delle conoscenze molto più profonde delle sole
tabelle delle normative;
• le proprietà dipendono dal processo di produzione del
componente:
• la microstruttura è determinata dalla tecnologia
utilizzata
• le proprietà meccaniche saranno poco disperse solo in
zone specifiche del getto, mentre potranno variare in
modo importante ma prevedibile da parte a parte del
pezzo
• il trattamento termico.

2.2 Sviluppo del danno microstrutturale in trazione di leghe


da fonderia (per esempio tratto plastico in leghe Al-Si) (5 pt)

Per capire la correlazione fra le caratteristiche resistenziali di


una lega leggera da fonderia e la sua microstruttura è
istruttivo esaminarne il comportamento durante una prova
di trazione in situ, cioè svolta all'interno della camera di un
microscopio elettronico a scansione (SEM). Si usa una lega
Al-Si ipoeutettica; la fase primaria è Al, rafforzata da fine
precipitazione della fase metastabile nanometrica β' (Mg2Si)
che deriva dal trattamento termico; la fase secondaria è fatta
da particelle di Si eutettico, che contornano i bracci delle
dendriti di Al. Sollecitando il campione di trazione al di là del
suo limite elastico, si entra nel campo plastico e quindi
s'induce un danno microstrutturale. La matrice metallica di
Al è capace di deformarsi plasticamente, mentre le particelle
di Si, di natura ceramica, non consentono il passaggio delle
dislocazioni e quindi si comportano solo elasticamente.

Si verifica sulle particelle di Si una concentrazione di stress


molto forte, per cercare di accomodare elasticamente la
deformazione plastica della matrice. Tale concentrazione di
stress supera ben presto il valore critico di resistenza locale,
quindi si dovrà assistere alla rottura delle particelle di Si o al
loro distacco interfacciale dalla matrice di Al. Si nota che
bande di dislocazioni (ciascuna formata da un pacchetto di
dislocazioni) attraversano i bracci dendritici e vanno ad
impattare sulle particelle interdendritiche di Si. Queste non
ne permettono il passaggio e quindi si accollano l'accumulo
di stress dovuto all'impilamento delle dislocazioni. In taluni
casi lo stress locale supera il valore critico di rottura delle
particelle.

Si osserva che si raggiunge più facilmente la condizione


critica delle particelle di Si quando queste sono più grandi o
presentano delle irregolarità geometriche con effetto
d'intaglio. Con il progresso della deformazione plastica si
moltiplicano le dislocazioni ed aumenta il numero delle
particelle di Si che si fratturano. Presto o tardi, le fratture di
particelle di Si adiacenti si congiungono lungo i percorsi
interdendritici attorno ai bracci secondari delle dendriti,
formando delle microcricche.

Si nota che, essendo le microcricche interdendritiche, la loro


dimensione sarà dell'ordine di quella del braccio secondario
delle dendriti (qualche decina di micrometri).
Successivamente la coalescenza delle microcricche genererà
una cricca, questa volta macroscopica, responsabile del
collasso del materiale.

2.3 Microstruttura del materiale ottenuto per colata


(dendriti, fasi secondarie, composti intermetallici
indesiderati, inclusioni…) e parametri stereologici che li
descrivono. (6 pt)

La microstruttura di pezzo ottenuto per fonderia dipende da


4 fattori:
o tipo di lega
o tecnologia di colata
o trattamento termico
o forma e dimensione della seconda fase
In dipendenza del tipo di lega usato, cambiano gli intervalli di
solidificazione. Infatti con un breve intervallo (ΔT<50°C) si
otterrà una microstruttura dendritica che cresce nella
direzione del calore di solidificazione, dunque le dendriti
andranno ad intersecarsi lasciando delle porosità arginate
con l’utilizzo di materozze.
Per intervalli più lunghi (50°< ΔT<100°), si nota che oltre alle
dendriti già descritte, al centro del bagno possono nucleare
dei cristalli di solido che cresceranno come dendriti
equiassici, dando luogo a porosità disperse (zona pastosa).
Con ΔT>100°C si otterranno poche o nulle dendriti colonnari
ma molte equiassiche portando alla formazione di una
grande zona porosa.
La tecnologia di colata influisce sul tempo di solidificazione,
infatti una solidificazione veloce favorisce la nucleazione
delle dendriti, che quindi saranno più numerose e di
dimensioni minori con proprietà meccaniche migliori per il
pezzo.
Nell’effettuare i trattamenti termici si otterranno delle
modifiche alla microstruttura, come la precipitazione di
seconda fase, caratterizzata dal Deq medio e dal fattore di
forma f:

Più la particella è grande, più si allontana dalla


sfericità e più ho concentrazione di tensione e si
arriva prima alla rottura. Quindi come
evidenziato da f (f ≥1) possiamo avere particelle sferoidali
oppure aghiformi.
Normalmente la microstruttura del getto è così costituita:
o chill zone (grani equiassici fini pareti fredde),
o columnar zone,
o Equiaxed zone(dendriti equiassiche, nucleazione
omogenea).
La proporzione tra zona colonnare e equiassica dipende da:
o surriscaldamento: Tcolata > Tfusione quindi alti gradienti
maggiore crescita colonnare
o composizione: Aumento elemento legante, diminuisce
ΔT e favorisce la crescita della zona colonnare
o inoculatori con affinazione grano: Riduce la crescita
colonnare
o vibrazione e agitazione meccanica: Spezza dendriti e
aumenta la zona di matrice equiassica

In alcuni casi si può verificare nel getto la presenza di


composti intermetallici che si formano durante il
raffreddamento seguendo regola di Hume-Rothery. Questi
sono caratterizzati da un reticolo cristallino diverso da quello
dei metalli costituenti e possono variare le proprietà fisiche
e meccaniche della lega dal momento che in determinate
condizioni possono precipitare e dare vita a dei punti duri. La
presenza di questi punti duri può essere nociva e declassare
la qualità dei getti.
Analizzando la microstruttura dei materiali per colata si
possono notare anche delle inclusioni, queste possono
essere di due tipi:
o Esogene, se vengono dall’esterno, come ad esempio
frammenti di crogioli, agglomerati di sabbia degli stampi.
o Endogene, se dipendono dalla composizione chimica del
metallo e da eventuali composti chimici aggiunti in
quantità eccessive.
I parametri stereologici principali che descrivono la
microstruttura sono:
o Deq, cioè il diametro equivalente della particella (si
ricava dall’area della particella), generalmente varia da
1-10 micrometri
o F il fattore di forma che è dmax/dmin ≥ 1, immaginando
le particelle ellittiche o inscrivibili in un rettangolo si
prende a il suo asse maggiore e b il suo asse minore
o SDAS (secondary dendrite arm spacing) =L/n, spazio tra i
bracci di una dendrite
2.4 Resistenza a fatica dei getti (6 pt)

Il limite a fatica per i getti si definisce come σlim,7, ossia la


resistenza a 10^7 cicli. Le prove per resistenza a fatica si
effettuano per flessione rotante (r=-1) σmin/σmax. In
maniera sperimentale,
per l’acciaio, se non si conosce la resistenza a fatica a 10^7
cicli, come tentativo posso prendere σlim,7=R/2. Per le leghe
leggere non esiste il limite a fatica.
Nel caso di presenza di difetti si introduce σlim,dif,7 che sarà
sicuramente minore di σlim,7.

Si va a definire un’area che viene introdotta nella formula


come una lunghezza ottenuta come (area)^1/2. L’area è
quella perpendicolare al massimo stress principale del
massimo difetto in superficie, se ci sono più difetti molto
vicini si utilizza l’area dell’inviluppo.
HV = durezza Vickers
Si ha che:

Queste formule derivano dalle scoperte di Murakami-Ueno.


In linea di massima se la dimensione del difetto diventa
piccola la σlim,dif,7 aumenta, se l’area del difetto tende a
zero allora la σlim,dif,7 tende a σlim,7 . La σlim,7 è un valore
costante che si determina statisticamente attraverso prove
sperimentali e rappresenta il limite superiore della resistenza
nel caso di pezzi perfetti.
Al di sotto di certe dimensioni, i difetti non propagano, anche
se sono presenti. Quindi i difetti troppo piccoli non sono
propaganti, ed è come se non esistessero. Ne consegue che
le soprastanti equazioni possono prevedere il valore minimo
dei difetti propaganti, ed è quello per il quale la resistenza a
fatica con difetti eguaglia quella senza difetti.

2.5 Indicare le cause di insorgenza di strappi a caldo nei


getti e citare quali leghe di Al e di Mg potrebbero esserne
affette. (6pt)
Il grosso della contrazione avviene durante la solidificazione.
Gli strappi a caldo (hot tears) avvengono quando lo stress
durante le ultime fasi di solidificazione supera la resistenza a
trazione del metallo pastoso. Le fratture sono sempre
intergranulari e la tendenza o meno alle cricche dipende
molto dal tipo di lega.

Gli strappi a caldo si formano in certe determinate


condizioni. Se vi è un contrasto geometrico in zone di fine
solidificazione, dove si ha un liquido pastoso e esiste un
pericolo di porosità, che provocando stress vanno a
sommarsi agli stress termici e di contrazione di
solidificazione, la somma di questi stress porta alla
formazione di strappi a caldo. Se l’ultima parte a solidificare
è quella dove avviene il cambio di sezione, allora si vengono
a creare stress elevati; per questo si tendono: ad evitare
queste zone o si inseriscono raffreddatori in modo che
solidifichi non per ultima oppure si aggiusta la composizione
chimica inserendo elementi fluidificanti che formano
eutettici basso fondenti e che danno degli ultimi liquidi molto
fluidi, fungendo nelle zone delle cricche da cicatrizzanti. Un
classico esempio per questo è Al-Si con un eutettico a 577°C
inserendo il ferro l’eutettico si abbassa, la fase liquida si
prolunga e pur infragilendo il pezzo ottengo un buon
compromesso evitando gli strappi a caldo.
La Composizione chimica è anche un fattore che gioca sul
favorire o meno sugli strappi a caldo, esistono leghe
predisposte proprio a dare questi strappi a caldo ad esempio
Mg-Zn (fenomeno contrastato da aggiunta di Terre Rare) o
Al-Cu (fenomeno contrastato da aggiunta di ferro).
Ricapitolando, i metodi per minimizzare il rischio di strappi a
caldo:
o curare il disegno della forma evitando bruschi cambi di
dimensioni della sezione del pezzo, perchè angoli, spigoli
e soprattutto rientranze generano hot spots che
inducono solidificazione finale isolata con vincolo
volumetrico; al fine di contrastare i vincoli al ritiro
volumetrico, l'uso di raffreddatori o isolanti termici nel
posto giusto è benefico
o Impurezze, per esempio Fe nelle leghe di Al, se in
quantità sufficiente, fluidificano l’ultimo liquido e
accomodano il metallo pastoso allo stress
o grandi intervalli di solidificazione favoriscono il
fenomeno, perché alla fine si ha poco liquido eutettico
che può riempire e riparare le cricche
o è bene affinare il grano il più possibile per disperdere
l'ultimo liquido che solidifica, che non deve quindi essere
concentrato in pochi bordi di grano

2.6 Spiegare la porosità da ritiro in una lega di intervallo di


solidificazione corto e una con intervallo di solidificazione
lungo, facendo il paragone tra le due. (6 pt)

La porosità da ritiro si manifesta a fine solidificazione, perché


in quell'ultimo liquido si riassume tutto il ritiro della
trasformazione liquido-solido, senza che sia più possibile
avere altro liquido che riempa le cavità che si formano a
causa della contrazione.

In certi casi il fenomeno si compensa con le materozze, che


concentrano dentro di sè il ritiro volumetrico della
trasformazione. Tuttavia, tale contromisura non è sempre
efficace. In ogni caso, anche in presenza di materozze, è
condizione necessaria, ma non sufficiente a spostare il ritiro
fuori dal getto, l'attuazione di solidificazione quanto più
possibile direzionale. In pratica si deve organizzare il
contenitore che accoglierà il metallo liquido in modo che i
gradienti termici pilotino la solidificazione nella direzione
delle materozze, che devono solidificare per ultime.

Nel caso del metallo puro l'intervallo di solidificazione è nullo


(Tsolidus=Tliquidus) e non vi sono dendriti. Di conseguenza il
fronte di solidificazione è piano e segue semplicemente il
gradiente termico. Il gradiente localizzerà la zona di fine
solidificazione, e lì avverrà il ritiro volumetrico. Il
posizionamento coerente della materozza farà sì che
quest'ultima rifornisca la zona critica del getto del liquido
necessario e concentri dentro di sé la porosità. Nel caso delle
leghe l'intervallo di solidificazione Tliquidus -Tsolidus non è
nullo e inoltre vi sono le dendriti. Nella grande maggioranza
delle leghe la solidificazione termina ad un punto eutettico.
o Nelle lega ad intervallo di solidificazione corto Tliquidus
-Tsolidus<50°C la situazione è simile a quella che avviene
nei metalli puri, la solidificazione direzionale è efficiente
perché il fronte del solido più indietro dell'apice primario
delle dendriti si trova a moderate distanze da esse. In tal
caso la zona di fine solidificazione è abbastanza
circoscritta. Se il contenitore dove si cola il liquido è ben
congegnato, si piazzano le materozze accanto alle zone
dove dovrebbe terminare la solidificazione, cosicché
esse possono fornire il liquido che serve per compensare
il ritiro. Annullare completamente quest'ultimo è
possibile, ma non è facile, così qualche modesta porosità
può rimanere in quella zona.
o Nella lega ad intervallo di solidificazione ampio Tliquidus
-Tsolidus>110°C, le difficolta di compensazione del ritiro
della trasformazione liquido-solido non sono arginabili.
La solidificazione direzionale è inefficiente perché il
fronte del solido si trova più indietro dell'apice primario
delle dendriti o a grandi distanze da esso oppure, più
frequentemente, vi sono dendriti equiassiche isolate
ovunque sparse nel liquido. La mushy zone (zona
pastosa) è di ampie dimensioni e quindi le zone di fine
solidificazione non sono circoscritte, ma sono
sparpagliate su ampia scala. Compensare il ritiro con le
materozze quindi non ha alcun effetto e ci si ritrova con
piccole porosità interdendritiche diffuse quasi ovunque.
2.7 Spiegare la porosità da gas (idrogeno e aria intrappolata
nei getti) e le contromisure per evitarle. (6p)

L'idrogeno è un gas solubile in tutti i metalli liquidi. La sua


solubilità nel solido è invece praticamente nulla. Non è così
per tutti i metalli, per esempio nel Fe un poco di solubilità
allo stato solido c'è. Durante la solidificazione dell'Al e del
Mg, l'H viene rigettato fuori dal solido sotto forma
molecolare e provoca la formazione di porosità, che
appaiono come vuoti nei getti.
La sorgente dell'H è principalmente l'umidità di provenienza
atmosferica. L'ossido superficiale che ricopre il liquido
rallenta l'assorbimento, ma se si verificano disturbi che ne
rompono l'integrità (come turbolenza fluida durante travasi
e colata), la protezione diminuisce e l'acqua presente
nell'umidità dell'aria reagisce con l'Al:
3H2O+2Al→Al2O3(ossido superficiale)+6H(disciolto nel
liquido)

Vi può essere anche contaminazione dal riciclo di boccame


umido o dall'utilizzo di scorie protettive (flux) umide
derivanti da sali igroscopici. Nel caso di colate in sabbia le
forme stesse possono essere umide.

La porosità da H si manifesta in due forme:


o quando vi è poco H si formano bolle sferiche nell'ultimo
liquido che solidifica;
o si formano invece vuoti interdendritici dispersi quanto vi
è abbondanza di H.
Lo sviluppo di H può essere ostacolato da solidificazione
rapida come in conchiglia o ancora di più in pressocolata,
perchè rimane in soluzione solida sovrassatura. Si rimuove
l'H dal bagno liquido facendo il flussaggio con gas inerti (nei
confronti del metallo, non è detto in assoluto), cioè facendo
gorgogliare gas secchi puri come N, Ar o Cl, il più efficace.
Fra i gas intrappolati nei pezzi si annoverano soprattutto aria
e poi, in secondo ordine, vapore e gas da combustione di
lubrificanti. L'aria intrappolata è un problema nella colata a
pressione e influenza profondamente la qualità e le
caratteristiche meccaniche del getto. Se il liquido arriva in
velocità, sposta e comprime il gas oppure lo assorbe come
bolle compresse, che danno porosità centrali di grande
entità. Da notare che i pezzi che hanno sacche di gas
intrappolati non siano trattabili termicamente, per non dare
origine al blistering. Se si rimuove l'aria dalla forma prima
della colata, non ci sarà gas intrappolato e i pezzi saranno
trattabili termicamente.

Le contromisure per eliminare o almeno mitigare il problema


sono le seguenti:
1) il metodo più semplice di evacuazione del gas è quello di
mettere dei piccoli canali di sfiato nel contenitore.
2) Un metodo più costoso, ma ben più efficace, è quello di
mettere sottovuoto (in realtà bassa pressione) l'interno della
forma, risucchiando l'aria in un accumulatore prima della
colata.
3) Altro metodo è quello di lavare l'atmosfera dentro lo
stampo con soffiaggio di ossigeno, che rimane il solo gas
all'interno. Il metallo liquido reagirà poi con il gas
eliminandolo come strato di ossido superficiale. Il metodo
non porta a risultati apprezzabili se la velocità d'ingresso del
liquido è grande.
4) Infine, si può applicare alla forma una camera di sfogo
dove si raccoglie l'ultimo liquido con una parte del gas non
ancora intrappolato. La forma deve essere fatta apposta per
consentire il semplice spostamento del gas durante la colata.
La camera di sfogo, per essere efficace, deve essere grande.
Il metallo che la occupa va poi eliminato dopo la sformatura
e questo implica uno scarto che ha un costo.

2.8 Peculiarità delle caratteristiche meccaniche dei getti


(dipendenza dai parametri di fabbricazione e microstruttura
che ne deriva), differenza rispetto ai semilavorati ottenuti
per deformazione plastica (piastre, lamiere, barre) (8 pt)

La modalità di fabbricazione influenza la microstruttura del


getto soprattutto per quanto riguarda la velocità di
raffreddamento (sabbia 0,2 °C/s, conchiglia 5, squeeze
casting 40, pressocolata 100, semisolido 10), che determina
la finezza della microstruttura e quindi proprietà meccaniche
diverse. Molto importanti sono anche la geometria del getto,
la temperatura di colata, la geometria di alimentazione e la
presenza o meno di raffreddatori.

Un metallo puro ha una temperatura di solidificazione e


presenta un fronte piano di solidificazione. Una lega ha un
intervallo di solidificazione ed a seconda della sua ampiezza
presenta una microstruttura diversa. Il getto solidifica con
una struttura colonnare che si propaga in verso opposto a
quello di scambio termico, se l’intervallo di solidificazione è
breve (<50°C) si ha una solidificazione direzionale (con
struttura colonnare) che favorisce il concentrarsi delle
porosità in corrispondenza delle materozze opportunamente
collocate. Se invece l’intervallo di solidificazione è ampio
(>110°C) si ha una struttura meno colonnare ed equiassica in
zone lontane dalle pareti, si hanno porosità diffuse che
abbassano molto le caratteristiche meccaniche.

Con velocità di raffreddamento elevate (ordine di 100 K/s) si


ottengono microstrutture molto fini. Partendo dalla legge di
Chvorinov, con dei passaggi matematici ci riconduciamo
all’allungamento percentuale a rottura:
Ovvero possiamo dire che all’aumentare della dimensione
della cella dendritica l’A% decresce. In presenza di dendriti di
grosse dimensioni le dislocazioni si addensano ai bordi di
grano provocando una rottura del pezzo anticipata rispetto
al caso di dendriti piccole a cui fanno capo caratteristiche
meccaniche migliori.

La resistenza a snervamento non dipende dalla dimensione


della cella dendritica perché il moto delle dislocazioni
dipende dalla resistenza intrinseca del reticolo. Dunque
abbiamo visto che nel caso dei getti il DAS (dendrite arm
spacing ) e il parametro L(dimensione della cella dendritica)
hanno una forte influenza sulle caratteristiche meccaniche
oltre a questi parametri sono importanti il Deq (diametro
equivalente delle particelle di seconda fase) e il parametro f
(fattore di forma della particella di seconda fase) che
forniscono informazioni riguardo le proprietà meccaniche di
un getto, infatti, tanto più è grande e tanto più f è diverso da
1 maggiormente fragile sarà il getto (meno duttile). Fatte
queste considerazioni possiamo confrontare le proprietà dei
getti con quelli dei semilavorati ottenuti per deformazione
plastica.

La differenza principale tra le leghe utilizzate nei semilavorati


per deformazione plastica e le leghe da fonderia sta nel fatto
che per le prime resistenza e duttilità sono caratteristiche
opposte, cioè alta resistenza a trazione comporta bassa
duttilità e viceversa; mentre nelle leghe da fonderia si vede
che alta resistenza a trazione comporta alto allungamento
percentuale e questo perché non si arriva mai a strizione
perché in questo materiale la trazione comporta l’insorgere
delle cricche e la loro crescita, e dunque se la lega è duttile
riesce a resistere bene alle cricche.

Inoltre è possibile notare come nei semi-lavorati ottenuti per


deformazione plastica le proprietà meccaniche siano
anisotrope e dipendano dalla specifica direzione di
lavorazione secondo la quale sono state ottenute (ad
esempio pezzi laminati o trafilati). Non presentano effetti di
scala come i getti e le proprietà tabellari sono molto affidabili
a differenza dei getti dove è presente una sovrastimatura del
20% circa.

2.9 Contrazione di volume e porosità da ritiro (7 pt)

Ci sono in generale tre tipi di ritiro durante le operazioni di


fonderia:
1. contrazione liquida, e dipende dal grado di
surriscaldamento con il quale si cola
2. contrazione solida fra la solidificazione e la temperatura di
sformatura, e di solito si compensa facendo le forme poco
più grandi
3. contrazione di solidificazione, è la più importante; dà luogo
a ritiro liquido-solido che può portare facilmente alla
creazione di porosità, con decadimento delle caratteristiche
meccaniche; dipende dalla composizione delle leghe e si
contrasta utilizzando assieme il principio della solidificazione
direzionale e il posizionamento di materozze vicino alle aree
di fine solidificazione.

La porosità da ritiro si manifesta a fine solidificazione, perché


in quell'ultimo liquido si riassume tutto il ritiro della
trasformazione liquido-solido, senza che sia più possibile
avere altro liquido che riempa le cavità che si formano a
causa della contrazione. In certi casi il fenomeno si compensa
con le materozze, che concentrano dentro di sé il ritiro
volumetrico della trasformazione. Tuttavia, tale
contromisura non è sempre efficace. In ogni caso, anche in
presenza di materozze, è condizione necessaria, ma non
sufficiente a spostare il ritiro fuori dal getto, l'attuazione di
solidificazione quanto più possibile direzionale. In pratica si
deve organizzare il contenitore che accoglierà il metallo
liquido in modo che i gradienti termici pilotino la
solidificazione nella direzione delle materozze, che devono
solidificare per ultime.
Nel caso del metallo puro l'intervallo di solidificazione è nullo
(Tsolidus=Tliquidus) e non vi sono dendriti. Di conseguenza il
fronte di solidificazione è piano e segue semplicemente il
gradiente termico. Il gradiente localizzerà la zona di fine
solidificazione, e lì avverrà il ritiro volumetrico. Il
posizionamento coerente della materozza farà sì che
quest'ultima rifornisca la zona critica del getto del liquido
necessario e concentri dentro di sé la porosità. Nel caso delle
leghe l'intervallo di solidificazione Tliquidus -Tsolidus non è
nullo e inoltre vi sono le dendriti. Nella grande maggioranza
delle leghe la solidificazione termina ad un punto eutettico.

2.10 Effetti di scala (influenza del volume) nelle proprietà


meccaniche dei getti (8 pt)

I valori tabellari delle proprietà tensili dei getti sono dei valori
tipici. Infatti, per quanto riguarda i dati reali di Rm e Reh si ha
che sono circa il 20% inferiori a quelli tabellari. Il motivo
principale di ciò sta nel fatto che le caratteristiche
meccaniche sono variabili da zona a zona nel getto a causa
della diversa velocità di raffreddamento locale che quindi
favorisce la formazione di microstrutture più o meno fini.

Per determinare la probabilità di rottura di un getto, si


utilizza la statistica di WEIBULL. Si definiscono:
o V è il volume del pezzo o della zona sollecitata che
interessa (“è un fattore di scala”);
o V0 è un volume rappresentativo del materiale (dipende
dalla microstruttura; per esempio un grano cristallino o
la cella dendritica);
o σ0 è la soglia di tensione al di sotto della quale non vi può
essere rottura (di solito si prende pari a 0);
o σmed (V0) è il valor medio della tensione di rottura nel
volume rappresentativo;
o w è l’esponente di Weibull, se è basso indica un’elevata
dispersione nei valori di resistenza, viceversa una bassa
dispersione (per la resistenza statica si hanno i seguenti
valori tipici: vetro(5), ceramica(10), metalli laminati(80),
metalli forgiati(50), getti in lega di Al (30), getti in lega di
Al “premium quality”(50));
o P è la probabilità cumulativa di rottura;

Assumendo σ0=0, e eseguendo alcuni passaggi:


Introducendo le coppie di dati
sperimentali ottenuti da prove
di trazione sui getti, si riportano
sul diagramma doppio
logaritmico (R, P) e facendone la
regressione, si ricava la retta la
cui pendenza è w e dall’intercetta q si ricava σmed(V0) (lega
A356 T6). Si nota a livello più pratico che all’aumentare di V
aumenta P, infatti se V è grande il tempo di raffreddamento
sarà più lungo, allora saranno f grande e Deq grandi, dunque
avrò dendriti più grosse, per cui calano resistenza a trazione
e allungamento a rottura e soprattutto se V è grande il getto
avrà molti difetti.
2.11 Solidificazione con dendriti colonnari (9 pt)

La solidificazione di un componente incomincia sempre dalle


pareti del contenitore del getto, ovviamente più fredde del
liquido. La rugosità superficiale del contenitore fornisce
naturalmente i siti iniziali di nucleazione eterogenea dei
cristalli della lega. La bassa temperatura iniziale della parete
e il gran numero di siti di nucleazione favoriscono la copiosa
formazione di fini cristalli equiassici, che formano uno strato
iniziale per il solido in formazione, la cosiddetta chill zone. A
questo punto l’interfaccia solido-liquido è all’incirca piana,
cioè avrà una rugosità che riflette la presenza di molti
piccolissimi cristalli affiancati.

Nel diagramma, che mostra l’evoluzione delle grandezze


fisiche all’allontanarsi dall’interfaccia, sita a z=0, sono
disegnati quattro tipi di curve:
o la distribuzione di temperatura nel solido (curva a
sinistra), approssimata come retta dalla pendenza GS
o la distribuzione di temperatura nel liquido (curve a
destra), approssimate come rette a, b, c con pendenze
GL ognuna diversa dall’altra
o la distribuzione di concentrazione di soluto nel liquido,
ovviamente decrescente a partire dall’interfaccia ed
avente gradiente GC
o la temperatura di solidificazione costituzionale
Tcostitutional, ovviamente crescente a partire
dall’interfaccia (tratteggiata nella Figura), che esprime il
fatto che la sovrassaturazione in soluto del liquido vicino
all’interfaccia abbassa localmente la temperatura di
solidificazione, che ritorna al valore nominale quando la
concentrazione del soluto è di nuovo quella nominale
(vedere la curva di concentrazione del precedente
punto, il che accade sufficientemente lontano
dall'interfaccia solido-liquido).

Al fine di semplificare un problema che nella realtà dei fatti


sarebbe un problema a sei variabili (temperatura, tempo,
composizione, x, y, z) faremo le seguenti osservazioni in
modo da ricondurci ad un problema a 1 dimensione:
❖ Si descrive una situazione con gradienti termici
monodirezionali
❖ Il gradiente termico nel solido è basso se il
contenitore è metallico allora facilmente è minore di Gl,
non è detto se il materiale del contenitore varia questo
resti vero
❖ Il gradiente Gl nello strato limite iniziale sarà forte
poi andrà a diminuire man mano che il contenitore si
scalda

1- Inizialmente il gradiente termico è ancora molto forte


subito dopo la nucleazione dei primi cristalli equiassici
superficiali. Quindi la retta ha una pendenza molto alta:
nucleano e accresono cristalli di dimensioni molto ridotte
2- Crescendo lo strato di piccoli cristalli equiassici, nella chill
zone si abbassa il gradiente termico Gl, quindi anche la
pendenza della sua retta fino a quando sarà uguale a quella
Tcostitutional. A questo punto finisce la crescita della chill
zone. Se il pezzo è molto piccolo e il raffreddamento molto
veloce la solidificazione si potrebbe anche concludere qua e
non si avrà formazione di dendriti.
3- Se invece si va ancora avanti con la solidificazione, il
gradiente termico del liquido diventa più basso di quello della
temperatura di solidificazione Tconstitutional, cioè si troverà
nella situazione della retta c.

Questo accade immediatamente oltre all’interfaccia dove si


avrà la superficie solida a contatto con un liquido sotto
raffreddato. A causa dell’irregolarità della superficie di
interfaccia sono presenti piccolissime regioni solide più
avanzate rispetto al fronte medio dove saranno a contatto
con un liquido ancora più sotto raffreddato rispetto agli altri
bracci dendritici rimasti “indietro” rispetto a loro. Questo
sistema è, dunque, instabile e la continua crescita di quei
bracci più avanzati rispetto al fronte comune formano delle
protuberanze che si prolungano nel liquido.

Questa zona tende a crescere più velocemente, le


protuberanze tendono a crescere in maniera equidistante,
perché crescendo il calore di solidificazione rilasciato inibisce
la crescita dei bracci dendritici rimasti “indietro”. Crescendo
queste protuberanze rilasciano soluto in eccesso, che
anch’esso sotto raffreddato va a generare altre protuberanze
anche lateralmente formando strutture reticolari chiamate
dendriti. Quest’ultime sono costituite da bracci primari,
secondari e, più raramente, terziari formando una struttura
ad albero.

E’ subito evidente che il fattore più importante sia il


gradiente di raffreddamento nel liquido. Se questo si abbassa
sufficientemente, come nel caso della retta c si verificherà la
crescita di cristalli dendritici colonnari. Tuttavia, un altro
fattore può entrare in gioco, la velocità di v=avanzamento
dell'interfaccia solido-liquido.
Due meccanismi di trasporto di massa sono invece operanti:
❖ la diffusione allo stato liquido, che obbedisce alla
legge di Fick, inevitabile perchè esiste il gradiente GC
❖ la convezione naturale dovuta al gradiente di
temperatura imposto dal raffreddamento; ciò implica un
rimescolamento del liquido ed un'attenuazione del
gradiente composizionale.

L'importanza dei due fattori sopra enunciati è di natura


essenzialmente cinetica: se la velocità di v avanzamento
dell'interfaccia solido liquido è alta, non vi è tempo per il
riequilibrio composizionale dettato dai due fattori di cui
sopra. Al contrario, avanzamenti lenti dell'interfaccia
lasciano il tempo per smorzare a sufficienza i gradienti
composizionali, finché il sottoraffreddamento costituzionale
non sarà più sufficiente a garantire la crescita delle dendriti
colonnari.
In definitiva, basso deve essere il gradiente termico nel
liquido ed alta deve essere la velocità di avanzamento
dell'interfaccia solido-liquido. Mettendo assieme questi due
fattori, si può formulare come criterio di crescita dendritica
colonnare il rapporto fra gradiente termico e velocità GL/v,
che va minimizzato.

Con solidificazioni effettuate in contenitori di sabbia o di


metallo (conchiglie), i gradienti sono sufficientemente bassi
per assicurare solidificazione dendritica. Al contrario, con
colata a pressione e squeeze casting, i gradienti termici nel
liquido sono molto alti e si arriva facilmente a sopprimere la
solidificazione dendritica.

2.12 Solidificazione con dendriti equiassiche (9 pt)

Man mano che la solidificazione avanza si affossa tutto il


profilo della temperatura T nel liquido, ma la temperatura
all’interfaccia diminuisce poco per via dello scambio quasi
stazionario fra il contenitore e l’ambiente circostante(fig.A).
In uno stadio avanzato della solidificazione tutta la curva
della temperatura del liquido si abbassa, e si andrà a finire
che ci sarà tutta la zona centrale in cui T<Tcostitutional (fig.
B).
A questo punto si avrà crescita di nuclei solidi già presenti
nell’ultimo liquido. Lavori di ricerca sperimentale hanno
dimostrato che nuclei del solido sono già presenti e vengono
a concentrasi nel liquido finale, come tutte le impurezze; i
nuclei sono già presenti per i seguenti motivi:
a) alcuni di essi si sono formati durante il versamento del
liquido della colata quando questo è venuto
transitoriamente a contatto con il contenitore più freddo
b) durante la crescita colonnare normale, si sono staccati
alcuni frammenti di dendriti che si sono poi concentrati
nell’ultimo liquido.
Da questo punto in poi la crescita dei nuclei cristallini già
presenti sarà dendritica ed equiassica per i seguenti motivi:
a) il gradiente GL perde la monodirezionalità, che era la
condizione per avere crescita colonnare
b) c’è sottoraffreddamento come prima, ma ora non
direzionale
c) ci può anche essere effetto del calore latente di
solidificazione, che avvelena la crescita del cristallo nelle
regioni immediatamente adiacenti al braccio dendritico che
si stava sviluppando; tuttavia, siccome non si partiva da
un’interfaccia planare ma da un cristallo più o meno
poliedrico, vi saranno facce cristalline più distanti da quelle
interessate dalla liberazione del calore latente di
solidificazione e che saranno quindi in grado di crescere in
una diversa direzione; in definitiva si ha una crescita
complessiva non direzionale in modo simultaneo.

3 Alluminio da fonderia
3.1 Composizione, microstruttura e proprietà delle leghe
binarie Al-Si (6 pt)

Le leghe binarie sono le leghe della serie 4XX.Y.La lega tipica


di questa famiglia è la 413.0 (AlSi13Fe). Sono le leghe da
getto più usate perché: sono molto fluide per il grande
volume di liquido eutettico. Infatti il calore di fusione del Si è
alto, 1810 kJ/kg, mentre per l'Al è 395 kJ/kg, perciò si
prolunga la vita della fase fluida. Sono molto resistenti a
corrosione e hanno buona saldabilità perché il Si riduce il
ritiro da solidificazione e abbassa il coefficiente di espansione
termica.

Inoltre, le particelle dure di Si peggiorano la lavorabilità


all'utensile quando si fanno forature o finiture superficiali,
però danno rafforzamento per dispersione e conferiscono
resistenza all'usura.

Nella struttura di solidificazione vi sono almeno due fasi, Al e


Si, la scala microstrutturale è nell'intervallo 1-100 μm (1-10
μm le particelle di Si, 10-100 μm i bracci secondari delle
dendriti). La duttilità della lega dipende dalla morfologia del
Si (diametro equivalente Deq e fattore di forma f):
• a bassa velocità di solidificazione la struttura è
grossolana con l'eutettico fatto da grandi placche o aghi
di Si su fondo di Al (Deq e f grandi)
• le particelle di Si sono quasi interconnesse e danno
fragilità perché in tal modo creano percorsi prestabiliti
per una facile frattura
• a grandi velocità di solidificazione la struttura è fine e il
Si assume una forma fibrosa che aumenta duttilità e
resistenza
• si possono migliorare ancora le caratteristiche
meccaniche modificando l'eutettico.

Le leghe binarie hanno una duttilità appena discreta se sono


ipoeutettiche e presentano queste caratteristiche:
• La percentuale di Fe deve essere bassa, al massimo lo
0,2% per leghe colabili in sabbia e conchiglia, altrimenti
si forma il composto Al5FeSi aghiforme, che conferisce
notevole fragilità alla lega.
• E' possibile contrastare l'azione negativa del Fe
aggiungendo Mn, che mitiga gli effetti deleteri sulla
duttilità degli aghi di β-Al5FeSi, causandone un
cambiamento morfologico in favore di cristalli α-Al5FeSi
cosiddetti a scrittura cinese.
• Nelle leghe da pressocolata, che hanno alto Si e grande
velocità di raffreddamento, si mette 1 ≤ Fe ≤ 2% per
scongiurare gli strappi a caldo; il Fe farebbe anticipare la
rottura in leghe con percentuali di Si molto minori
dell’eutettico, perché quelle sarebbero di per sé ben più
duttili, e di conseguenza lunghi aghi di β -Al5FeSi
produrrebbero fragilità. Se viceversa il Si è circa in
percentuale prossima all'eutettico o ipereutettica, e
quindi molto alta, la lega è già molto fragile, e quindi la
presenza di β -Al5FeSi non diminuirebbe quasi
allungamento a rottura, mentre l’effetto positivo dei
liquidi basso fondenti contenenti Fe a fine solidificazione
contrasterebbe gli strappi a caldo. Alla fine è meglio una
particella contenente Fe che incrementa ormai poco la
fragilità, che avere la presenza di cricche dall’ultimo
liquido solidificato.

Le leghe eutettiche hanno molto Si e quindi:


• hanno poco ritiro
• sono molto fluide
• si rafforzano per dispersione di particelle di Si
• vanno bene per getti a parete sottile dove la resistenza
non è fondamentale, esempio scatole per ingranaggi
automobilistici, ma dove evitare la porosità da ritiro è
fondamentale, perché aumenta la tenuta a pressione di
componenti cavi, senza perdite di liquido contenuto;
tipico esempio è la lega B413.0/AlSi13Fe si colano
soprattutto in conchiglia o a pressione perché,
contenendo molto Si e da solo (Cu e Mg peggiorano la
fluidità del liquido), sono di per sé molto fluide e quindi
sono adatte a riempire velocemente delle forme più o
meno complicate geometricamente; tipico esempio è la
lega A360.0/AlSi9MgFe.

3.2 Effetto del Si nelle leghe di Al da fonderia (7 pt):

Il silicio inserito nelle leghe di alluminio ha molti effetti tra i


quali:
• Migliorarne la colabilità per via del delle elevate energie
in gioco, ci sta tanto a solidificare (per fondere un Kg di
Al sono necessari 395 KJ invece per un kg di Si 1810KJ);
questo evita anche la porosità nella lega.
• Le leghe contenenti silicio danno poco ritiro volumetrico
che è funzione del silicio presente per via del fatto che il
silicio ha la stessa densità dell’alluminio liquido quando è
solido questo contrasta il ritiro.
• Le leghe con il silicio hanno un’ottima resistenza alla
corrosione, l’alluminio è ottimo come resistenza alla
corrosione perché si passiva formando uno strato
superficiale nel pezzo stabile non poroso e aderente alla
superficie; il silicio al più migliora questa proprietà ma
non la peggiora.
• Le leghe alluminio-silicio sono saldabili, non saranno
ovviamente saldature ad alta resistenza, interessante
anche per eventuali riparazioni.
• Hanno un coefficiente di espansione termica basso,
questo permette di ridurre le tensioni residue all’interno
del pezzo. Infatti durante una saldatura si va a fondere
una zona, lasciando quindi un gradiente di temperature
nel pezzo. Questo gradiente genera delle tensioni
residue alle volte anche vicino allo snervamento che crea
problemi di resistenza a fatica e stress corrosion
cracking.
• Il silicio da rafforzamento per dispersione, non per
precipitazione per via della grandezza dei precipitati
• Data la durezza delle particelle di silicio i componenti di
questa lega danno un’usura maggiore degli utensili di
lavorazione.
• Il silicio da anche una resistenza all’usura in vantaggio.
3.3 Composizione, microstruttura e proprietà delle leghe Al-
Si-Mg da fonderia (7 pt)

Sono leghe della serie 3xx.y, aventi circa il 7%Si e 0,3-


0,5%Mg, sono molto utilizzate come componenti strutturali
in meccanica e aeronautica. Hanno applicazioni come:
supporti motori aeronautici, supporti motori automobilistici,
ipersostentatori, ecc. Sono usatissime soprattutto le 356 e
357 per colate in sabbia e conchiglia, perché il Mg permette
il trattamento T6, con il quale come minimo si raddoppia il
limite elastico rispetto a leghe binarie con pari Si.
Hanno le seguenti proprietà:
• Alte proprietà meccaniche (R circa 300MPa, A% circa
7%);
• Buona fluidità grazie alla presenza del Si (buona
colabilità);
• Ottima tenuta a pressione;
• Ottima resistenza a strappi a caldo;
• Buona resistenza a corrosione;
• Buona saldabilità;
• Bassa resistenza a caldo;
Queste leghe possono essere rafforzate con un T6 grazie alla
presenza del Mg ottenendo il precipitato β’(Mg2Si)
nanometrico che favorisce una resistenza allo snervamento
circa il doppio rispetto ad una lega Al-Si avente la stessa
quantità di Si. Si ha inoltre un rafforzamento per dispersione
di particelle di Si micrometriche. Deformando la lega
plasticamente in trazione si ha la rottura delle particelle di Si
o di β (fragili).
La duttilità in trazione è controllata da:
1 rottura di particelle di Si in matrice plasticamente
deformata
2 è fondamentale modificare l'eutettico e svolgere il
trattamento T6 per abbassare Deq e f e aumentare il
limite elastico rafforzando la matrice metallica.
3 Si contrasta l'infragilimento dovuto al Fe in due modi:
o si mantiene Fe≤0,2%, ma meglio ancora sotto lo 0,1%
o si aggiunge Mn che contrasta la formazione di aghi di
β-Al5FeSi in favore di α-Al5FeSi a scrittura cinese.
Le leghe Al-Si-Mg spesso lavorano a fatica. Si verificano
sporadicamente alcuni problemi:
• le curve di Woehler talvolta sono poco sensibili al T6
• ciò è in contrasto con il comportamento delle leghe da
deformazione plastica, dove un innalzamento della
resistenza a trazione comporta anche un innalzamento
della resistenza a fatica
• la spiegazione sta nel tipo, posizione e dimensione dei
difetti: se questi non sono presenti, o sono pochi e non
in zone superficiali, l'effetto del T6 è di aumentare anche
la resistenza a fatica; se invece vi sono difetti superficiali,
oppure sono centrali, ma in grande quantità, fungono da
nucleatori di cricche di fatica oppure aumentano la
sollecitazione sul componente a pari stress apparente
applicato: in tal caso il T6 è poco o nulla efficace.
3.4 Composizione, microstruttura e proprietà delle leghe Al-
Si-Cu (7 pt)

Sono leghe della serie 3xx.y e la lega tipica di questa famiglia


è la A380 (“lega target per resistenza a creep”). Si utilizzano
al posto delle leghe binarie quando si necessita una maggiore
resistenza (grazie al Cu). Spesso si ha anche un po’di Mg<1%.
Le tipiche applicazioni sono di tipo strutturale come blocco
motore o pistoni.

Se si ha un tenore elevato di Si, normalmente si ha anche un


tenore di Fe (1-2%) che sfavorisce la formazione di cricche a
caldo (dovute alla presenza di Cu) seppur forma β-Al5FeSi,
che è una struttura aghiforme e fragile (effetto meno
dannoso delle cricche a caldo).
Solitamente la composizione di questa lega è data da
particelle numerose e fini. Le composizioni più comuni sono
con Si (3-10,5%) e Cu (1,5-4,5%). Getti con basso Si% e Cu%
si producono in sabbia e conchiglia, mentre, con alto Si (10%)
sono colati a pressione.

Effetto dell’alto contenuto di Si (>8%):


➢Aumento resistenza all’usura (particelle di Si);
➢Colabilità favorita dalla fluidità e riduzione dei ritiri;
➢Permette raffreddamenti rapidi e riempimenti di forme
complesse;
➢Modificazione dell’eutettico con P, che forma AlP che è
un nucleante per ottenere piccole particelle di Si.
Effetto del Cu:
• Si applica il trattamento termico T5 quando il
raffreddamento dopo solidificazione è veloce quasi
come una tempra;
• Migliora la resistenza meccanica tramite rafforzamento
per soluzione solida, per precipitazione e per
dispersione;
• Migliora la lavorabilità all’utensile;
• Peggiora la duttilità e la colabilità;
• Peggiora la resistenza alla corrosione;
• Favorisce la formazione di strappi a caldo (hot tearing);

Rafforzamento:
o rafforzamento per dispersione di particelle
micrometriche di dimensioni fra 1 e 10 μm: Si, θ (Al2Cu)
e β(Mg2Si)
o rafforzamento per precipitazione di particelle
nanometriche di dimensioni fra 10 e 100 nm: θ' (Al2Cu)
e β' (Mg2Si) e S' (Al2CuMg)
o rafforzamento per soluzione solida di Cu e Mg rimasti in
soluzione solida sovrassatura al termine della
solidificazione e del raffreddamento rapidi. 

Trattamenti termici:
▪ F: grezzo di colata;
▪ T5 (invecchiamento artificiale): si consegue un
incremento della resistenza da modesto a buono;
▪ T6: praticabile solo se il getto ha bassa porosità,
altrimenti si ha il blistering.
3.5 Confronto della composizione e microstruttura delle
leghe Al-Si e Al-Si-Cu. (7 pt)

Le leghe Al-Si sono le leghe della serie 4xx.y mentre le leghe


Al-Si-Cu sono leghe della serie 3xx.y. Confrontando le due
leghe:
Le applicazioni sono molto diverse:
le leghe binarie Al-Si hanno minore resistenza e se
contengono molto Si sono molto colabili e vengono
impiegate per ottenere getti complessi e a parete sottile
(scatola ingranaggi) aventi buona tenuta a pressione; invece,
le leghe Al-Si-Cu (con circa Si (3-10,5%) e Cu (1,5-4,5%)) sono
usate per impieghi strutturali ove si necessita maggiore
resistenza, la lega A332 con il 2% di Ni ha elevata resistenza
a caldo (pistoni);

Le leghe Al-Si hanno rafforzamento per soluzione solida e per


dispersione del Si ma non contengono elementi che
favoriscono rafforzamento per precipitazione; mentre le
leghe Al-Si-Cu oltre al rafforzamento per soluzione solida e
per dispersione (Si, θ(Al2Cu) e β(Mg2Si)) se soggette ad un
trattamento T5 o T6 (solo se si hanno getti con poche
porosità facendo attenzione al blistering) hanno
rafforzamento per precipitazione di θ’(Al2Cu) e β’(Mg2Si);

Dal momento che le leghe Al-Si-Cu contengono Cu, questo le


caratterizza rispetto alle leghe binarie Al-Si con:
- migliore lavorabilità all’utensile;

- migliore resistenza meccanica e peggiore duttilità;
- peggiore colabilità;
- peggiore resistenza a corrosione;
- peggiore resistenza agli strappi a caldo.

Si può aumentare la resistenza agli strappi a caldo inserendo


nelle leghe Al-Si-Cu 1-2% di Fe che però aumenta la fragilità
(β).
3.6 Modificazione dell’eutettico nelle leghe di Al contenenti
Si (leghe ipoeutettiche e ipereutettiche) (8 pt)

La modificazione chimica dell'eutettico fa lo stesso effetto di


un raffreddamento rapido, cioè si aumenta la velocità di
nucleazione e si diminuisce la velocità di crescita dei cristalli
di solido eutettico; le particelle di Si passano da grandi
aghiformi a piccole fibrose (Deq e f piccoli) e si ottiene:
o miglioramento della resistenza R
o migliora la duttilità come allungamento a rottura A% e la
tenacità a frattura KIc.

LEGHE IPOEUTETTICHE (<12%Si): La modifica dell’eutettico si


effettua inserendo Na (come sale di sodio o come metallo).
Si ottiene un sottoraffreddamento di circa 12°C, si riduce
inizialmente la nucleazione del Si, ma scendendo di
temperatura la velocità di nucleazione aumenta favorendo
una bassa crescita. Se è presente P, si forma il composto AlP
che essendo un nucleante di Si porta a formare grandi
particelle di Si (fragilità). Aggiungendo Na (0,005-0,015% in
massa) si neutralizza l’effetto del P formando NaP, ma ciò
diminuisce l’effetto della modifica dell’eutettico e deve
essere inserita una quantità maggiore di Na (problema della
sottomodifica). Allo stesso tempo, se è presente troppo
sodio si ha il problema della sovramodifica caratterizzata
dalla formazione di AlNaSi che è nucleatore di Si. Occorre
quindi partire da leghe povere di P (0,0005%) facendo inoltre
un controllo attento della dose di Na efficace considerando
anche il problema dell’evaporazione e ossidazione.
Nell’utilizzo del Na come modificante si ha una minore
fluidità del liquido e la perdita della modifica in caso di
rifusione del metallo per cui si possono utilizzare in
alternativa al Na, lo Sr o l’Sb. Con l’uso di Sr (0,02%) o di Sb
(0,2%), si affina l’eutettico ottenendo caratteristiche
comparabili alla modifica con Na, il maggior vantaggio è che
non hanno il problema della sottomodifica e sovramodifica
ed inoltre la struttura modificata si mantiene anche dopo
rifusione.

LEGHE IPEREUTETTICHE (>12%Si):
Hanno molto Si che


favorisce poco ritiro, maggiore fluidità e sono quindi
maggiormente prodotte in conchiglia o a pressione. Si usano
per getti a parete sottile dove la resistenza non è
fondamentale (scatole per ingranaggi). La modifica
dell’eutettico consiste nell’affinare i cristalli primari di Si
mediante l’aggiunta di P, ottenendo AlP che è nucleatore dei
cristalli di Si (inoculazione). Per far ciò è necessario svolgere
prima un flussaggio prolungato con Cl per eliminare H e
impurezze come Ca, Na, che diminuirebbero il P necessario
per la modifica. Quindi si aggiunge P e alla fine si effettua il
flussaggio breve per eliminare l’H eventualmente entrato. In
successivi riutilizzi, dovendo rieseguire il flussaggio si perde il
P, che quindi deve essere introdotto di nuovo.

4 Leghe di Magnesio
4.1 Resistenza alla corrosione nelle leghe di Mg con Al e Zn
(5 pt)

• Il Mg è un metallo molto anodico, ha il potenziale


elettrico più piccolo di tutti i metalli strutturali.
Accoppiato con altri metalli, si corrode galvanicamente
in modo più o meno veloce.
• In presenza di H2O o aria umida si passiva con
formazione di Mg(OH)2 ed è più resistente alla
corrosione atmosferica dell'acciaio dolce. Tuttavia lo
strato di passivazione è più poroso e meno stabile di
quello di Al e Ti.
• In ambiente rurale all'atmosfera o in acqua il Mg resiste
discretamente, la velocità di corrosione è dell'ordine di
0,25 mm/anno. Le soluzioni contenenti Cl- distruggono
molto facilmente lo strato di passivazione e danno
corrosione per pitting. Quindi il Mg non resiste a
corrosione in ambiente acido.
• Le soluzioni contenenti Cl- distruggono molto facilmente
lo strato di passivazione e danno corrosione per pitting.
• Il Mg non resiste a corrosione in ambiente acido.
• Nelle leghe storiche Mg-Al e Mg-Al-Zn si verificavano
severi problemi di corrosione in condizioni di bagnato o
umido. Il problema si riduce se si aggiunge Mn=0,2%,
perché si neutralizzano le impurità Cu, Fe e Ni formando
composti intermetallici poco dannosi, che a volte
passano nella scoria, oppure sono poco catodici rispetto
alla matrice. Ci sono limiti di tolleranza: Cu=0,13%;
Fe=0,017%; Ni=0,0005%. Al di sopra di questi la velocità
di corrosione aumenta enormemente. Altra misura è
appunto quella di abbassare i tenori di Cu, Fe, Ni.
• Si può proteggere dalla corrosione con dei ricoprimenti
di natura organica o inorganica.

Le leghe basate sul sistema Mg-Al sono le leghe più usate


per il loro costo e, per l'eccellente fluidità impartita dall'Al,
si prestano a essere colate soprattutto a pressione.
Contengono principalmente Al che conferisce indurimento
per soluzione solida. Sono leghe che contengono, oltre ad
Al, almeno anche o Zn o Si o Mn come elemento legante o
come piccola aggiunta per migliorare la resistenza alla
corrosione.
In particolare, le leghe Mg-Al con aggiunta di Zn hanno le
seguenti caratteristiche:
• sono leghe molto fluide per via dell'Al e quindi si
colano a pressione
• per la ragione di cui sopra, contengono la tipica
porosità centrale nei getti
• l'Al conferisce rafforzamento per soluzione solida
• sono leghe inoculate, quindi anche rafforzate per
finezza di grano
• possono soffrire di corrosione (per esempio AZ91A,
AZ91B e AZ91C) a meno che
➢non siano di alta purezza (bassissimi Fe, Cu e Ni)
➢abbiano composizione bilanciata con Mn per
avere buona resistenza alla corrosione (Fe, Cu e Ni
in intermetallici con il Mn poco catodici rispetto
alla matrice)
• sono leghe di uso generale, con buona resistenza e
duttilità a T ambiente
• la massima temperatura di esercizio è 120°C, poi
soffrono il creep.
4.2 Proprietà ingegneristiche peculiari (leggerezza, capacità
di smorzamento, lavorabilità) delle leghe di magnesio (7 pt)

Le leghe di magnesio sono utilizzate in ambito ingegneristico


per:
❖ Leggerezza
Densità =1740 kg/m3
E=45 Mpa
La bassa densità del Mg (in confronto con l’acciaio e
l’alluminio) consente di ottenere, a partirà di rigidezza o
resistenza a flessione, un considerevole alleggerimento
strutturale, a patto di un ingombro maggiore. Per questo
motivo trova impiego in campo aeronautico e
automobilistico
❖ Capacità di smorzamento elevata
Il Mg possiede elevata capacità di smorzamento: la capacità
specifica di smorzamento è definita come rapporto fra
l'energia dissipata per ciclo e l'energia elastica del ciclo stesso
durante vibrazioni meccaniche. Dipende ovviamente
dall'ampiezza di sollecitazione, visto che le dislocazioni
incominciano a muoversi già ben al di sotto del limite
elastico, che rimane un valore convenzionale utile per
l'ingegnere. Tuttavia, anche a bassi carichi, alcune
dislocazioni sui sistemi di scorrimento (piani e direzioni) più
favorevolmente orientati alla tensione di taglio agente
cominciano a muoversi, generando fenomeni dissipativi per
attrito interno, che si manifesta a livello macroscopico come
ciclo d'isteresi. Innalzando l'ampiezza della sollecitazione, si
attivano nuove dislocazioni su sistemi via via meno
favorevolmente orientati, allargando così il ciclo d'isteresi.
Elevata capacità specifica di smorzamento:
(D=Udiss/Uel), dovuta ad un ciclo di isteresi molto ampio.
Energia dissipata

Energia elastica

Per quanto detto sopra, la


capacità specifica di
smorzamento diminuisce con
l'alligazione e l'incremento di
resistenza. Infatti quei fattori che
alzano il limite elastico
convenzionale rendono
comunque più difficile l'attivazione del moto delle
dislocazioni e pertanto, a pari ampiezza di sollecitazione,
tendono a stringere il ciclo d'isteresi.

❖ Eccellente lavorabilità all’utensile:


Il Mg è contraddistinto dalla migliore lavorabilità all'utensile
di tutte le leghe metalliche strutturali. Ciò è principalmente
dovuto alla formazione di trucioli piccoli (il Mg ha
comportamento relativamente fragile) che si staccano
facilmente.
Ciò provoca:
• incremento della vita dell'utensile di 5-10 volte tanto
• le superfici di lavorazione sono molto lisce e non c'è
bisogno di finitura o di lubrificazione fino a velocità di
taglio al di sotto di 5 m/s
• la lubrificazione può essere consigliabile per evitare
rischi d'incendio da parte delle polveri prodotte che, se
sono molto fini, risultano piroforiche, soprattutto se le
velocità di taglio sono molto elevate.
4.3 Leghe Mg-Al-Zn, Mn-Al-Mn e Mg-Al-Si (composizione,
microstruttura e proprietà) (7 pt)

❖ Leghe Mg-Al-Zn (AZ):


Si può diminuire molto la quantità di β (composti
intermetallici) introducendo Zn; si ha solo aumento
moderato di resistenza a creep, ma è interessante il
rafforzamento per precipitazione: durante l'invecchiamento
in un T5 o T6, dove lo Zn porta a η’= MgZn2, semicoerente e
rafforzante. Lo Zn deve essere presente in quantità
moderate (1-3%), altrimenti causa la comparsa di strappi a
caldo.

La lega AZ91B è suscettibile di corrosione atmosferica perché


il contenuto delle impurezze di Fe, Cu, Ni non è basso. Essa è
in commercio perché meno costosa, in quanto viene
prodotta a partire da scarti e riciclaggi, si può quindi usare
quando non è richiesta resistenza a corrosione, come parti
verniciate in ambienti non corrosivi. Per avere elevata
resistenza alla corrosione si passa alle leghe ad alta purezza
e contenenti un minimo prescritto di Mn (in assenza di Mn i
limiti sono Cu=0,13%; Fe=0,017%; Ni=0,0005%): la AZ91D,
con resistenza a corrosione atmosferica in ambiente urbano
o industriale eccellente, oppure AZ91E che ha purezza
ancora maggiore, che le permette una moderata resistenza
a corrosione anche in acqua salata.

❖ Leghe Mg-Al-Mn (AM)


L’introduzione di Mn comporta una maggiore duttilità e
tenacità, una diminuzione di fase beta Mg17Al12 (composto
intermetallico) a BDG e un’ottima resistenza alla corrosione.
Infatti vengono prodotte leghe ad alta purezza come AM60.
Tuttavia la percentuale di Mn deve stare intorno allo 0,3%.
Questo tipo di leghe viene utilizzato per la produzione di
interni di auto come sedili e volante, e per ruote.

❖ Leghe di Mg-Al-Si (AS)


L’introduzione di Si comporta una riduzione in volume della
fase beta, tuttavia con raffreddamenti lenti si ottengono
Mg2Si a scrittura cinese il quale peggiora le caratteristiche
meccaniche. Si può ovviare al problema cercando di
eliminare Mg2Si aggiungendo lo 0,1% di Ca oppure
sfruttando le alte velocità di raffreddamento realizzate con
processi del tipo pressocolata, dove in particolare Mg2Si va a
depositarsi, come precipitato fine, nei BDG.
Questo tipo di precipitazione inoltre comporta una maggiore
resistenza al creep fino a temperature moderate 140°, valore
che non si ottiene in leghe del tipo AZ e AM. AS41(più fluida)
e AS21(meno fluida ma più resistente a creep) sono leghe
abbastanza diffuse, per esempio la VW le ha utilizzate per la
produzione di blocchi motore.

4.4 Temprabilità degli acciai da bonifica (5 pt)

La temprabilità degli acciai descrive essenzialmente la


capacità del metallo di trasformarsi in martensite a distanze
via via crescenti dalla superficie temprata.

Assumendo come ben noti i concetti relativi agli aspetti


tecnologici del trattamento di tempra, si ricorda che il
diametro critico ideale di tempra (Dci) è il diametro della
barra cilindrica che prende tempra fino a cuore, cioè sarà
costituita a cuore da almeno il 50% di martensite con una
tempra ideale, che è quella che è capace di portare
istantaneamente la superficie della barra alla temperatura
del bagno di spegnimento e di mantenerla per tutta la durata
del trattamento. E' chiaro che si tratta di una situazione
ideale.
Si ricorda che il diametro critico ideale dipende dalla
composizione chimica dell'acciaio e dal diametro del grano
austenitico che si raggiunge durante l'austenitizzazione.

Definiti quindi:
Dci = diametro critico ideale di tempra per l'acciaio in esame
Dc = diametro critico ideale di tempra per un acciaio con la
percentuale di C pari a quella in
esame, ma privo di elementi leganti (in pratica una lega
binaria Fe-C)
n = numero di grani di austenite al pollice quadrato visti con
un microscopio ad un
ingrandimento di 100X
N = dimensione del grano ASTM, ottenuto arrotondando
all'intero più vicino il valore
ottenuto dalla seguente equazione
n=2^(N-1)
fi = fattore moltiplicativo del diametro critico ideale che tiene
conto della temprabilità
conferita dagli elementi leganti iesimi (nell'ordine di efficacia
Mo, Mn, Cr, Ni, Si)
Dic = Dc*fMo*fMn*fCr*fNi*fSi

dove i singoli fattori, qui riprodotti in Figura 1, si trovano


tabellati nelle varie normative.
Il diametro critico ideale permette, scegliendo il mezzo
temprante reale e la geometria del pezzo effettivo da
trattare, di calcolare la profondità di tempra dei
componenti. Per questo si fa ricorso a tabelle e diagrammi
riportati nelle normative e nella letteratura tecnica
attinente. In questa sede giova solo ricordare quali fattori
influiscono sulla temprabilità e collegarli con le curve CCT di
ciascun acciaio. Come si vede sopra, all'aumentare delle
percentuali di C e degli elementi leganti aumenta la
temprabilità perchè aumenta il diametro critico ideale, il
che si ribalta nel fatto che le curve CCT si spostano
progressivamente verso destra, cioè le trasformazioni
avvengono dopo tempi d'incubazione più lunghi. Ciò
permette di ottenere martensite con raffreddamenti più
lenti o, visto sui diagrammi delle curve CCT, con curve di
raffreddamento più prolungate, che incrociano la retta di
martensite start prima della curva di trasformazione
dell'austenite in una fase diversa dalla martensite.
4.5 Resistenza alla fatica a flessione di ruote dentate: criteri
di scelta degli acciai e sensibilità all’intaglio (7 pt)
Per poter scegliere l’acciaio adatto per le ruote dentate,
bisogna tenere conto di diversi fattori strutturali ed in
particolar modo bisogna tener conto della resistenza a
fatica a flessione e della sensibilità all’intaglio.
La massima tensione equivalente a flessione nel punto più
sollecitato (il piede del dente) σF deve essere minore o
uguale alla tensione ammissibile σFP: σF≤σFP
A sua volta, la tensione ammissibile σFP è funzione dei
seguenti parametri:
• σFlim = limite di fatica o, più correttamente, resistenza
a fatica del materiale (riferito a condizioni di rapporto di
carico -1 (flessione rotante)
• SFmin = fattore di sicurezza minimo alla flessione
(reperibile nella normativa)
• YF = fattore della geometria delle ruote dentate e delle
condizioni di esercizio (dettagliato nella normativa)
• yNT = fattore di durata del materiale, che indica come si
abbassa la resistenza a fatica con il numero di cicli di
sollecitazione fino a 3 106 cicli, oltre i quali yNT è
unitario
• yδrelT = fattore relativo all'intaglio, che dipende dalla
sensibilità all'intaglio a fatica del materiale

I parametri σFlim yNT e yδrelT, che rappresentano le


caratteristiche dei materiali e quindi devono essere utilizzati
nella scelta degli acciai opportuni, si trovano tabellati nelle
normative, sia pure con parecchia approssimazione.
❖ Resistenza a fatica
Per quanto riguarda la resistenza a fatica, in una prima
grezza approssimazione si può fare uso di una tabella
riportata dalla norma UNI 8862, che condensa in modo
spiccio e vago le caratteristiche delle leghe ferrose più
usate. Vi è correlazione di σFlim con la durezza. Si tratta
di un espediente approssimato, che è molto sbrigativo
nei calcoli di progetto ma, nel caso di materiali a
durezze molto basse o molto alte, trascura parecchi
fenomeni come indurimento ed addolcimento durante
il ciclaggio, che portano a resistenze a fatica un po'
diverse.
Anche la norma ISO
correla in modo
semplicistico la resistenza
a fatica alla durezza
mediante delle
correlazioni lineari,
tuttavia è apprezzabile lo
sforzo di fornire un
panorama più dettagliato sui materiali e il loro diverso
comportamento. Talvolta le durezze sono espresse sia
in scala Rockwell, sia in quella Vickers. Quest'ultima è
sempre preferibile, sia per la maggiore affidabilità alle
alte durezze, sia per il fatto che mediante la Vickes a
bassi carichi è possibile ottenere valori significativi e
differenziare con precisione fra diverse posizioni su un
dente di un ingranaggio.

Per quanto riguarda il fattore di durata yNT, di nuovo la


norma interviene per la sua determinazione, sia pure
con una drastica approssimazione. Ovviamente,
giocando sui parametri di trattamento termico (il
rinvenimento durante la bonifica) o termochimico (il
tipo di cementazione o nitrurazione), si possono
modulare le caratteristiche degli acciai con grande
flessibilità, cosa che non appare nelle tabelle delle
normative.
Un'alternativa alle norme è tratta dalla letteratura
americana, che rimane sempre piuttosto grezza, ma ha
il pregio di mostrare in modo più ampio come varia la
resistenza a fatica con il numero di cicli di sollecitazione,
e in funzione della durezza che consegue al trattamento
termico. Si coglie l'occasione per rimarcare che si evita
di dipingere un limite di fatica per vita infinita, che in
molti casi non esiste, come è sempre più evidente dai
risultati riportati dalla letteratura scientifica in materia
negli ultimi 20 anni.

❖ Sensibiltà all’intaglio
il fattore relativo all'intaglio yδrelT dipende da due
parametri:
qS = fattore geometrico del dente tabellato dalle norme
ρ' = sensibilità del materiale all'intaglio quando
sollecitato a fatica, tabellato in modo sbrigativo dalle
norme
Si può avere una visione più
approfondita e più precisa
del comportamento dei
materiali prendendo in
considerazione la loro
microstruttura. In particolare,
trattando di sensibilità
all'intaglio, sarebbe bene
considerare le discontinuità
microstrutturali
caratteristiche.

Avendo esaminato le caratteristiche microstrutturali


che fungono da discontinuità, cioè da
intaglio interno, e considerando anche la durezza,
all'aumentare della quale la matrice
aumenta la sua sensibilità all'intaglio, si può avere una
visione sia più generale, e nel
contempo anche più precisa, della sensibilità all'intaglio
delle leghe ferrose. Il compendio è dove le curve sono
parametrate dalla durezza.
4.6 Resistenza alla fatica di contatto e pitting di ruote
dentate: criteri di scelta degli acciai (6 pt)
Per poter scegliere l’acciaio adatto per le ruote dentate,
bisogna tenere conto di diversi fattori strutturali ed in
particolar modo bisogna tener conto della resistenza a
fatica di contatto e del fenomeno del pitting.
La massima tensione equivalente derivante dalla pressione
di contatto dei denti sul loro fianco deve essere minore o
uguale alla tensione ammissibile σHP: σH≤σHP
A sua volta, la tensione ammissibile σHP è funzione dei
seguenti parametri:
• σHlim = resistenza a fatica per contatto del materiale
per durata a lungo termine che, per le 4 famiglie di
acciaio menzionate all'inizio, vale al di sopra dei 5 107
cicli di carico); la norma ISO assume di avere probabilità
di danno per pitting non superiore all'1%
• SHmin = fattore di sicurezza minimo nelle condizioni di
contatto superficiale (reperibile nella normativa)
• YH = fattore della geometria delle ruote dentate, dalla
loro finitura superficiale, del loro accoppiamento e delle
condizioni di esercizio (dettagliato nella normativa)
Anche in questo caso,
come per la flessione, la
norma ISO correla in
modo semplicistico la
resistenza a fatica alla
durezza mediante delle
correlazioni lineari. Di
nuovo, è comunque
apprezzabile lo sforzo di
fornire un panorama più
dettagliato sui materiali e
il loro diverso
comportamento. Le
durezze sono espresse sia
in scala Rockwell, sia in
quella Vickers, che rimane
sempre preferibile ed è
quindi quella di riferimento.
Altro fenomeno che si manifesta nelle ruote dentate è il
pitting.
E' il meccanismo di danneggiamento e
messa fuori servizio più comune.
Presenta le seguenti connotazioni:
richiede alti stress hertziani
• avviene in componenti che
devono sostenere un altissimo
numero di cicli di lavoro, tipicamente superiore al
miliardo, sicché non si può o è improprio parlare di limite
di fatica
• il pitting è un fenomeno di fatica che fa nucleare una
cricca in superficie o poco sotto
• ha una morfologia caratteristica, dove la cricca propaga
per un po' al di sotto della superficie e parallelamente ad
essa, poi si ramifica e torna in superficie
• la formazione di un pit visibile avviene quando si stacca
un pezzo di materiale dalle superfici
• se diversi pits si uniscono per formarne uno grosso, si
parla spesso di spalling.

Quando si verifica il rotolamento con strisciamento fra due


superfici, si assiste allo spostamento del massimo dello
sforzo di taglio nel contatto con attrito fra due ruote dentate,
cha da sottocorticale (rotolamento puro) si avvicina alla
superficie, fino ad affiorare quando un attrito intenso genera
sforzi di sfregamento elevati.

Nella figura soprastante si schematizza il contatto di


rotolamento fra due superfici. Questa sarebbe la situazione
tipica dei cuscinetti (rotolamento puro) e la curva che
rappresenta la tensione tangenziale in funzione della
distanza dalla superficie è rappresentata in linea continua. In
linea tratteggiata è invece rappresentato lo stress
tangenziale generato dalla frizione fra le due superfici. Infine,
la curva punteggiata è la somma delle due. Il massimo si
sposta verso la superficie quanto più l'azione abrasiva
superficiale è intensa.
Innesco del pitting:
1. Gli inneschi sono sub-superficiali se vi sono difetti
localizzati, tipicamente inclusioni (di qui la stringente
necessità di utilizzare acciai molto puliti) mentre le
condizioni di lavoro che si riscontrano sono normali e
cioè:
• alta velocità di rotazione
• ottima finitura superficiale
• adeguata lubrificazione
2. sono per lo più superficiali, o si spostano dalla zona sub-
corticale verso la superficie all’aumentare dell’intensità
delle forze di attrito fra le superfici antagoniste; infatti, il
picco di stress di taglio (che nuclea la cricca) si sposta
gradualmente verso la superficie; in tal caso le cause più
comuni sono:
• spessore del film di lubrificante insufficiente
• contatto metallo-metallo esageratamente intenso,
tipicamente legato a finitura superficiale inadeguata o
difetti superficiali; in questo caso si hanno:
o interazioni fra le asperità delle superfici antagoniste
o contatti con difetti come righe o solchi
3.vi sono alterazioni nel lubrificante:
• contaminazione con H2O, con conseguente corrosione
• contaminazione con particelle abrasive, con susseguenti
indentazioni e solchi sulla superficie.
Contromisure:
• abbassare gli stress di contatto, di solito variando i
parametri geometrici delle ruote dentate, cioè in tal caso
si agisce sul progetto
• scegliere un materiale ed un trattamento termico adatti
per avere un dente resistente con una superficie dura; di
solito, ma non sempre, si scelgono acciai da
cementazione, perché sono quelli più adatti; le
caratteristiche salienti sono:
o la superficie è molto dura
o in superficie vi sono tensioni residue di
compressione
o i costi di produzione sono elevati
o dopo trattamento termico necessitano di
finitura superficiale mediante rettifica o
lappatura.
• occorre scegliere un lubrificante tale da dare origine ad
un film spesso e viscoso, in ottemperanza ai dettami
dell’elasto idrodinamica, che prescrive:
o lubrificante molto viscoso
o pulito, cioè non contaminato da particelle o
sostanze estranee
o il lubrificante deve poter lavorare freddo,
altrimenti perde viscosità
o deve essere secco, cioè deve essere privo di
acqua.
5Acciai per ruote dentate
5.1 Inclusioni non metalliche e il loro effetto negli acciai per
ruote dentate (5 pt)
Gli acciai legati (debolmente, cioè nessuno degli elementi
introdotti raggiunge o supera la percentuale del 5%) hanno
un contenuto di elementi leganti dell'ordine del 3%. Essi sono
aggiunti per conferire temprabilità, in modo da avere
penetrazione della trasformazione martensitica durante la
tempra fino a grandi profondità.

Nella citata norma UNI EN 10083 la percentuale massima


ammessa di P è sempre 0,035 per tutti gli acciai; per quanto
riguarda lo S, che induce la presenza d'inclusioni non
metalliche come solfuri, vi sono tre grandi gruppi di acciai:
o gli acciai da bonifica al C, ognuno dei quali (ad esempio
C40) presenta la variante E (C40E), in cui la percentuale
di S è al massimo 0,035; nella variante R (C40R) la
percentuale di S è invece compresa fra 0,02 e 0,04;
o gli acciai da bonifica legati (salvo un sottoinsieme
speciale), ognuno dei quali (ad esempio 41Cr4) presenta
la variante senza aggiunte di lettere (41Cr4), in cui la
percentuale di S è al massimo 0,035; nella variante S
(41CrS4) la percentuale di S è invece compresa fra 0,02
e 0,04;
o gli acciai (un po' più) legati 50CrMo4, 36CrNiMo4,
34CrNiMo6, 30CrNiMo6, 36NiCrMo16 e 51CrV4 per i
quali entrambe le percentuali di S e P sono al massimo
0,035.

Si specifica che c'è un limite di accettabilità per la


popolazione d'inclusioni. Si esaminano le metallografie senza
attacco chimico, esplorando diverse zone secondo le regole
delle norme; ciascuna zona, usualmente osservata ad un
ingrandimento di 100X, ha un'area della superficie pari a 0,5
mm2. Siccome le inclusioni possono essere allungate (caso
dei solfuri) oppure possono manifestarsi come gruppi
allineati, la direzione di deformazione del semilavorato (per
esempio la direzione di laminazione) è importante, quindi il
piano metallografico la deve contenere.

Le norme classificano le inclusioni nelle seguenti 4 categorie:


A-solfuri, B-ossidi (allumina), C-silicati, D-ossidi globulari, e
forniscono delle tavole con delle immagini tipo con le quali
confrontare ciò che si vede al microscopio. I tipi A e C sono
abbastanza simili, quindi è richiesta un'analisi metallografica
più attenta, che le distingua per colore, che è grigio chiaro
per i solfuri, mentre è nero per i silicati.
5.2 Pallinatura negli acciai per ruote dentate
(5 pt)
Per ovviare a certe situazioni in cui,
mediante un acciaio da bonifica, si vogliono
nel contempo elevata temprabilità, elevata
durezza e resistenza a fatica, ma anche eccellente
resistenza agli urti, tutte caratteristiche necessarie nella
progettazione dei denti delle ruote dentate, non resta che
scegliere un acciaio molto temprabile, bonificarlo a valori di
tenacità elevati e quindi con solo moderata resistenza a
fatica. Per recuperare quest'ultima è necessario incrudire la
superficie e nel contempo conferirle uno stato di tensioni
residue di compressione. L'incrudimento va pari passo con
la durezza, crea un forte ostacolo al movimento delle
dislocazioni e di conseguenza aumenta la resistenza a fatica.
Tecnologicamente ciò si attua applicando un trattamento di
pallinatura. La pallinatura è un'operazione che consiste nel
martellamento superficiale eseguito a freddo mediante un
violento getto di pallini sferici, oppure di cilindretti ottenuti
tagliando un filo. Un tipico profilo di tensioni residue
ottenuto mediante pallinatura è mostrato nella Figura 6 per
l'acciaio 42CrMo4 bonificato con rinvenimento a 600°C per
1 h. Il vantaggio sulla resistenza a fatica è evidente. Si deve
comunque concludere che la pallinatura comporta dei
rischi. Nel caso degli acciai da bonifica, il rischio più comune
è il notevole peggioramento della rugosità. Infatti, dopo tale
trattamento si deve prescrivere una finitura superficiale.
5.3 Acciai per tempra superficiale e le loro condizioni di
applicazione per gli ingranaggi (5 pt)
La temprabilità degli acciai descrive essenzialmente la
capacità del metallo di trasformarsi in martensite a distanze
via via crescenti dalla superficie temprata. Assumendo per
ben noti i concetti relativi agli aspetti tecnologici del
trattamento di tempra, si ricorda che il diametro critico
ideale di tempra (Dci) è il diametro della barra cilindrica che
prende tempra fino a cuore, cioè sarà costituita a cuore da
almeno il 50% di martensite con una tempra ideale, che è
quella che è capace di portare istantaneamente la superficie
della barra alla temperatura del bagno di spegnimento e di
mantenerla per tutta la durata del trattamento. E' chiaro che
si tratta di una situazione ideale.

Gli acciai per tempra superficiale si prefiggono di raggiungere


elevate durezze superficiali, maggiori o uguali a quelle degli
acciai da bonifica, mantenendo però di questi ultimi le
caratteristiche resistenziali e di tenacità. Gli acciai da tempra
superficiale potrebbero ricadere nella categoria degli acciai
da bonifica, sia per la loro composizione chimica, sia per il
fatto che essi, prima del trattamento superficiale, vanno
bonificati, altrimenti non è possibile ottenere l'elevata
tenacità che solo le microstrutture di rinvenimento della
martensite garantiscono.

Vi sono alcune differenze rispetto agli acciai da bonifica


comunemente detti, quelli della norma UNI EN 10083. Il
tenore di C non scende mai sotto lo 0,36%, perché altrimenti
non si raggiunge la durezza superficiale che giustifica la scelta
di questi acciai. D'altro canto, confrontandosi con gli acciai
da bonifica, con gli acciai da tempra superficiale non si
adottano tenori di elementi leganti particolarmente elevati,
perché questa volta si presuppone che la tenacità sia un
requisito meno stringente. Si tratta quindi di acciai per ruote
dentate che lavorano sia nel caso della fatica a flessione, sia
nel caso della fatica di contatto, sebbene in quest'ultimo caso
non si possa garantire una durata, come resistenza al pitting,
paragonabile a quella degli acciai da cementazione. E'
evidente che la tempra, essendo superficiale, porta al
vantaggio di avere tensioni residue di compressione in
superficie. Non è quindi necessario ricorrere a pallinatura per
aumentare la resistenza a fatica.

L'acciaio deve prima essere bonificato e poi temprato


superficialmente; si prescrive poi che tutte le ruote dentate
temprate ad induzione debbano essere soggette a
rinvenimento in forno, mantenendo alcune prescrizioni
previste per gli acciai da bonifica. Si fa riferimento alla
superficie, di cui ci sono prescrizioni per quanto riguarda la
durezza e la microstruttura.

5.4 Pitting per le ruote dentate (6 pt)


E' il meccanismo di danneggiamento e messa fuori servizio
più comune. Presenta le seguenti connotazioni:
• richiede alti stress hertziani
• avviene in componenti che
devono sostenere un altissimo
numero di cicli di lavoro,
tipicamente superiore al miliardo,
sicché non si può o è improprio
parlare di limite di fatica
• il pitting è un fenomeno di fatica che fa nucleare una
cricca in superficie o poco sotto
• ha una morfologia caratteristica, dove la cricca propaga
per un po' al di sotto della superficie e parallelamente ad
essa, poi si ramifica e torna in superficie
• la formazione di un pit visibile avviene quando si stacca
un pezzo di materiale dalle superfici
• se diversi pits si uniscono per formarne uno grosso, si
parla spesso di spalling.

Quando si verifica il rotolamento con strisciamento fra due


superfici, si assiste allo spostamento del massimo dello
sforzo di taglio nel contatto con attrito fra due ruote dentate,
cha da sottocorticale (rotolamento puro) si avvicina alla
superficie, fino ad affiorare quando un attrito intenso genera
sforzi di sfregamento elevati.
Nella figura soprastante si schematizza il contatto di
rotolamento fra due superfici. Questa sarebbe la situazione
tipica dei cuscinetti (rotolamento puro) e la curva che
rappresenta la tensione tangenziale in funzione della
distanza dalla superficie è rappresentata in linea continua. In
linea tratteggiata è invece rappresentato lo stress
tangenziale generato dalla frizione fra le due superfici. Infine,
la curva punteggiata è la somma delle due. Il massimo si
sposta verso la superficie quanto più l'azione abrasiva
superficiale è intensa.
Innesco del pitting:
3. Gli inneschi sono sub-superficiali se vi sono difetti
localizzati, tipicamente inclusioni (di qui la stringente
necessità di utilizzare acciai molto puliti) mentre le
condizioni di lavoro che si riscontrano sono normali e
cioè:
• alta velocità di rotazione 

• ottima finitura superficiale
• adeguata lubrificazione
4. sono per lo più superficiali, o si spostano dalla zona sub-
corticale verso la superficie all’aumentare dell’intensità
delle forze di attrito fra le superfici antagoniste; infatti, il
picco di stress di taglio (che nuclea la cricca) si sposta
gradualmente verso la superficie; in tal caso le cause più
comuni sono:
• spessore del film di lubrificante insufficiente
• contatto metallo-metallo esageratamente intenso,
tipicamente legato a finitura superficiale inadeguata o
difetti superficiali; in questo caso si hanno:
o interazioni fra le asperità delle superfici antagoniste
o contatti con difetti come righe o solchi
3.vi sono alterazioni nel lubrificante:
• contaminazione con H2O, con conseguente corrosione
• contaminazione con particelle abrasive, con susseguenti
indentazioni e solchi sulla superficie.
Contromisure:
• abbassare gli stress di contatto, di solito variando i
parametri geometrici delle ruote dentate, cioè in tal caso
si agisce sul progetto
• scegliere un materiale ed un trattamento termico adatti
per avere un dente resistente con una superficie dura; di
solito, ma non sempre, si scelgono acciai da
cementazione, perché sono quelli più adatti; le
caratteristiche salienti sono:
o la superficie è molto dura
o in superficie vi sono tensioni residue di
compressione
o i costi di produzione sono elevati
o dopo trattamento termico necessitano di
finitura superficiale mediante rettifica o
lappatura.
• occorre scegliere un lubrificante tale da dare origine ad
un film spesso e viscoso, in ottemperanza ai dettami
dell’elasto idrodinamica, che prescrive:
o lubrificante molto viscoso
o pulito, cioè non contaminato da particelle o
sostanze estranee
o il lubrificante deve poter lavorare freddo,
altrimenti perde viscosità
o deve essere secco, cioè deve essere privo di
acqua.
Micropitting:
E' tipico di acciai con grande durezza superficiale, come acciai
cementati o nitrurati, e si manifesta con pit aventi profondità
dell'ordine di 10 μm. E' il contrario di quel che accade negli
acciai da bonifica, che sono relativamente teneri e tenaci, e
in cui le cricche devono propagare molto prima che dalla
superficie si stacchi un frammento, che risulta in quel caso
con dimensioni dell'ordine del mm. Negli acciai da bonifica
non si verifica quindi di micropitting, perchè i pit sono ben
distinguibili ad occhio nudo. Invece negli acciai trattati
superficialmente, la durezza superficiale è molto alta, mentre
è assai bassa la tenacità, si staccano subito frammenti molto
più piccoli. Alcune note caratteristiche del micropitting sono:
➢aspetto da superficie brinata (frosting)
➢talvolta non risulta distruttivo, quando viene
gradualmente eliminato durante il running-in perchè si
verifica una specie di lucidatura
➢si forma facilmente se lo spessore del film lubrificante è
troppo piccolo
➢è favorito da superfici rugose
➢è contrastato da levigatura o lucidatura superficiale
➢è facilitato da basse velocità di rotazione, perchè in
quelle condizioni diminuisce lo spessore del film
lubrificante.
Le contromisure da prendersi per evitare la formazione di
micropitting sono le stesse di quelle adottate nel caso del
pitting normale.

5.5 I diversi tipi di usura nelle ruote dentate (6 pt)


❖ Usura adesiva
L’usura adesiva consiste nello staccarsi di sub micrometrici
frammenti quando si verifica saldatura estremamente
localizzata delle superfici. Un po' di usura adesiva contenuta
è tollerabile se si limita ad interessare lo strato di ossido
superficiale.

Quando il distacco di frammenti interessa anche il metallo al


di sotto dell'ossido superficiale, allora il fenomeno è rilevante
e dannoso, e dà origine a:
▪ vibrazioni e rumore durante l'esercizio
▪ riduzione graduale dello spessore dei denti, il che induce
un progressivo aumento dei carichi dinamici delle
vibrazioni, che in un secondo tempo portano a rotture
per fatica a flessione.
Contromisure
o Utilizzare ruote dentate con superfici dei denti molto
lisce
o svolgere una procedura di running-in, facendo
precedere l'entrata in servizio da un esercizio per 10 h a
metà del carico di progetto
o far lavorare le ruote dentate ad alta velocità, perché ciò
contrasta l'assottigliamento del film di lubrificante; da
questo punto di vista, gli acciai da nitrurazione sono
favoriti, perché funzionano bene con lubrificanti molto
viscosi
o Se non si lavora ad alta velocità, evitare l'utilizzo di
lubrificanti con additivi allo S e al P, che sono ottimi per
prevenire lo scuffing, ma peggiorano il funzionamento in
condizioni di usura adesiva
o Si consiglia l'uso di lubrificanti molto viscosi, puliti, cioè
non contaminati con sostanze chimiche o da particelle
solide; essi devono anche essere secchi, cioè privi di
acqua; si suggerisce inoltre di evitare condizioni di
funzionamento in cui la temperatura sale, riscaldando il
lubrificante e facendogli perdere viscosità.

❖ Scuffing
Si tratta di una forma accelerata di usura adesiva. Nel caso di
pressioni di contatto estremamente elevate e susseguente
innalzamento di temperatura, lo strato superficiale di ossido
che ricopre ogni superficie antagonista si scaglia. Si ha quindi
contatto diretto fra il metallo dei denti antagonisti e si
provocano delle saldature localizzate. Subito dopo queste
vengono strappate via, generando una superficie opaca e
ruvida. In definitiva, il fenomeno si verifica in precise
condizioni:
• lo spessore del film lubrificante è troppo piccolo
• il contatto è così forte che si verifica un notevole
surriscaldamento
• non si riscontra tempo d'incubazione del fenomeno
come nel pitting
• si verifica più facilmente in denti nuovi che non hanno
ancora sperimentato il running-in.
Contromisure:
o utilizzare ruote dentate con denti molto lisci, la lappatura
è preferibile alla rettifica
o Praticare il running-in per 10 h a metà carico di lavoro
o usare lubrificanti ad alta viscosità con additivi
antiscuffing che, quando la temperatura sale, reagiscono
chimicamente con le superfici metalliche impedendo
l'incollaggio
o Lubrificare copiosamente
o Se è possibile, preferire ruote dentate costruite con
acciai nitrurati.

❖ Usura abrasiva
Si basa essenzialmente su l'azione di sfregamento di piccole
particelle dure appuntite che piano piano asportano
materiale dalle superfici dei denti. La loro origine è la
seguente:
contaminazioni esterne
o avvengono durante le operazioni di montaggio
o avvengono durante le operazioni di manutenzione
sorgenti interne di detriti, quali
o fatica hertziana con generazione di pitting, soprattutto
micropitting
o usura adesiva che genera distacco di frammenti
appiccicati da adesione delle superfici antagoniste.
Contromisure:
1. rimozione contaminazioni esterne e cambio lubrificante
2. minimizzare la formazione di detriti di usura:
o utilizzate acciai cementati o induriti superficialmente 

o utilizzare denti con superfici molto lisce
o applicare un lubrificante molto viscoso

❖ Lucidatura
E' una specie di usura abrasiva che si produce soprattutto
quando si utilizzano lubrificanti che hanno additivi
antiscuffing e le condizioni di scuffing non si verificano. Gli
additivi basati su solfuri o fosfuri di ferro sono chimicamente
reattivi ed impediscono l'incollaggio dello scuffing quando la
temperatura o la pressione locali salgono troppo. Quando
non svolgono questa funzione perché non si verificano
queste ultime condizioni, agiscono come finissime particelle
abrasive e chimicamente aggressive (accelerano l'usura
favorendo l'asportazione del metallo per dissoluzione
anodica) e piano piano si riduce l'accuratezza del profilo dei
denti.
Contromisure:
o rimuovere gli abrasivi dal lubrificante, o meglio ancora
cambiare quest'ultimo
o se si ritiene comunque necessario prevenire lo scuffing
con degli additivi, sceglierne di meno chimicamente
reattivi, come i borati.
5.6 Variazioni di volume per le trasformazioni di fase nel
sistema Fe-C (6 pt)
Le transizioni di fase implicano quasi sempre una variazione
di densità che, come nel caso delle deformazioni termiche,
non porta mai a deformazioni libere, che quindi si traducono
in tensioni residue. Nel caso del sistema Fe-C la situazione è
accentuata dalla presenza di C, che può esacerbare od
attenuare le differenze di densità fra le fasi.

Esaminando cosa accade durante la tempra, se ne deduce


che la formazione di martensite porterà ad un aumento di
volume rispetto alla sola austenite. D'altro canto, a seconda
dell'acciaio e della sua composizione chimica, un po' di
austenite residua dopo tempra sarà presente. Il suo effetto
immediato è quello di moderare l'aumento di volume del
pezzo dovuto alla trasformazione.

Tenendo conto della densità delle fasi, spesso in letteratura


sono indicate le variazioni di volume e dimensionali in
funzione delle fasi che si possono trovare prima e dopo le
lavorazioni e i trattamenti termici. Questi possono essere
utilizzati per una prima stima di valutazione se e di quanto le
lavorazioni e i trattamenti portano i componenti fuori dalle
tolleranze previste. Si tratta appunto di una prima stima, e
per giunta ottimistica, delle variazioni dimensionali, perché
queste sono state supposte isotrope.

Ciò in pratica difficilmente accade, fondamentalmente per


due fattori:
la microstruttura e la natura delle fasi fanno sì che la
dilatazione termica durante i riscaldamenti e i
raffreddamenti sia essa stessa anisotropa, cioè ha delle
direzioni dove è più intensa, altre dove è più attenuata dalle
trasformazioni di fase, e soprattutto quella martensitica,
sono sensibili alla distribuzione di temperatura nei
componenti quando questa varia, sicché le trasformazioni
iniziano in certe zone prima di altre (per esempio la
trasformazione martensitica inizia nella zona del pezzo che
per prima impatta con il liquido di spegnimento), inducendo
distorsioni di forma che non si recuperano al completamento
del trattamento termico.

Le variazioni di volume più vistose avvengono nella


trasformazione martensitica, ma non sono le uniche. Si può
in linea di massima osservare che:
o le trasformazioni al raffreddamento dell'austenite
comportano sempre degli aumenti di volume, e la loro
entità diminuisce all'aumentare della percentuale di C in
modo più o meno spiccato, a seconda delle fasi che si
formano 

o durante il rinvenimento la trasformazione della
martensite porta sempre ad una diminuzione del volume
del componente 

o durante il rinvenimento la trasformazione dell'austenite
residua in bainite, o in martensite, se si svolgono invece
trattamenti sotto zero, avviene sempre con aumento di
volume, che può in parte compensare il restringimento
del componente dovuto alla trasformazione della
martensite 

o il rinvenimento della martensite a temperature
sufficientemente alte da entrare nel terzo stadio,
tecnologicamente di solito fra 550 e 650°C, porta sempre
ad una contrazione finale di volume rispetto alla
martensite di partenza 

o per gli acciai suscettibili di durezza secondaria, il
verificarsi del quinto stadio del rinvenimento comporta
la formazione di carburi complessi meno densi della
cementite, di conseguenza il componente aumenta
leggermente di volume rispetto allo stato di
microstruttura costituita di sola ferrite e cementite. 


5.7 Confronto tra cementazione e nitrurazione: vantaggi e


svantaggi di ciascun trattamento (6 pt)
E' possibile condurre un confronto fra i due classici
trattamenti termochimici superficiali utilizzabili per la
fabbricazione di ruote dentate, cioè cementazione e
nitrurazione. Entrambi i trattamenti portano alla formazione
sull'acciaio di strati superficiali induriti, tuttavia si
differenziano profondamente per le modalità di esecuzione
ed i risultati ottenuti. Fra i vantaggi che la nitrurazione può
annoverare rispetto alla cementazione vi sono i seguenti:
o una maggiore durezza superficiale, perché si passa da
circa 700 HV fino a 1200 HV per gli acciai che contengono
Al
o la durezza si mantiene inalterata per tempi di esercizio
molto lunghi fino quasi alla temperatura di nitrurazione,
cioè le ruote dentate nitrurate possono lavorare fino a
temperature dell'ordine di 500°C; viceversa, per i pezzi
cementati la durezza comincia a scendere sensibilmente
al di sopra della temperatura di distensione, quindi ruote
dentate cementate non sono esercibili al di sopra di
180°C;
o il trattamento di bonifica dell'acciaio può essere svolto
prima della fabbricazione della ruota dentata mediante
lavorazione meccanica; si evitano così le variazioni di
volume e le distorsioni che la tempra comporterebbe sul
componente semifinito 

o la nitrurazione svolta dopo la fabbricazione è condotta a
temperature dell'ordine di 500°C, quindi non vi sono
deformazioni dovute a trasformazioni di fase durante il
successivo raffreddamento, mentre le deformazioni
termiche sono di entità contenuta visto il salto termico
non eccessivo e le velocità di raffreddamento moderate
in quanto non è necessario temprare; di conseguenza le
ruote dentate nitrurate necessitano alla fine al massimo
una rettifica molto leggera o una lappatura, al contrario
delle talvolta pesanti rettifiche necessarie dopo
cementazione e tempra 

o al di sotto dello strato nitrurato, e magari fino a cuore,
l'acciaio bonificato è costituito da martensite rinvenuta,
quindi presenta la migliore combinazione di resistenza-
tenacità possibile in un acciaio. 

La nitrurazione presenta tuttavia degli inconvenienti, che
talvolta le fanno preferire la cementazione:
o uno strato indurito molto più sottile, che può non essere
sufficiente alle condizioni di esercizio di fatica di contatto
o i tempi del trattamento termochimico sono un ordine di
grandezza più lunghi rispetto alla cementazione
(tipicamente di 4 h per quest'ultima, di 50 h per la
nitrurazione), e di conseguenza il processo risulta assai
più costoso; 

o il costo degli acciai è sempre elevato, poichè si tratta
sempre di metalli che contengono quantità non irrisorie
di elementi leganti costosi (soprattutto Mo, Ni e V).
5.8 Applicazione degli acciai da bonifica nelle ruote dentate:
condizioni di lavoro degli ingranaggi e tipi di acciaio
(composizione e trattamento termico) (7 pt)
Gli acciai da bonifica si usano per costruire ruote dentate a
cui non è richiesta grandissima durezza superficiale,
tipicamente si rientra nell'intervallo 32-48 HRC. Per arrivare
a questo, una percentuale media di C deve essere indicata,
inclusa nell'intervallo 0,3-0,6%, dove l'estremo superiore si
applica laddove sia richiesta maggiore durezza superficiale.

Dopo bonifica (tempra + rinvenimento), la resistenza e la


tenacità sono elevate nella maggior parte o in tutta la sezione
del dente, non solo in superficie. Per contro, tali acciai in
superficie non raggiungono una grandissima durezza, quindi
non sono in grado di resistere a severe condizioni di fatica di
contatto. Le ruote dentate costruite con acciai da bonifica, se
usate in presenza di elevati sforzi di contatto applicati per
moltissimi cicli, vanno per forza fuori servizio per pitting. Tali
acciai sono quindi adatti a costruire ruote dentate a cui è
chiesto prioritariamente:
1. elevata resistenza meccanica e a fatica a flessione dei
denti
2. elevata tenacità e resistenza agli urti.

Il campo di applicazione è quello dei macchinari che devono


trasmettere coppie elevatissime ma per un numero di cicli
limitato, un intervallo tipico potrebbe essere da qualche
migliaio a un milione di cicli. E' necessaria grande resistenza
a flessione e a fatica dei denti, che di solito fanno parte di
ruote dentate di grandi dimensioni.

La grande tenacità è necessaria per poter avvertire un


fenomeno di danneggiamento in atto nei denti prima che si
abbia rottura catastrofica, la quale potrebbe avere
devastanti conseguenze nel cedimento di ruote di grandi
dimensioni. Perciò il campo più tipico di applicazione degli
acciai da bonifica è quello negli apparecchi di sollevamento,
cioè carroponti, argani, gru.

Se le ruote dentate sono di grandi dimensioni, è spesso molto


difficile o impossibile costruirle in acciaio da cementazione,
perché in quest'ultimo caso è poi inevitabile avere grandi
distorsioni dopo trattamento termico, e quindi essere
costretti a lunghe e costose operazioni di finitura
superficiale. L'applicazione di acciai da bonifica risolve in tal
caso il problema. Un tipico caso è quello di grandi ruote
dentate per propulsori marini di grandi dimensioni o di
trasmissione di potenza in campo ferroviario.

5.9 Tensioni residue conseguenti alla tempra di un acciaio al


C (per esempio C40) (8 pt)
In generale si può dire che la temprabilità di un metallo
cresce all'aumentare delle percentuali di C e degli elementi
leganti in quanto aumenta il diametro critico ideale di
tempra. Ciò si ribalta nel fatto che le curve CCT si spostano
progressivamente verso destra, cioè le trasformazioni
avvengono dopo tempi d'incubazione più lunghi. Questo
permette di ottenere martensite con raffreddamenti più
lenti o, visto sui diagrammi delle curve CCT, con curve di
raffreddamento più prolungate, che incrociano la retta di
martensite start prima della curva di trasformazione
dell'austenite in una fase diversa.

Poiché i denti delle ruote dentate lavorano a fatica,


specificamente a flessione, se sono scelti acciai da bonifica,
determinante è lo stato di tensione residua superficiale. Alle
tensioni generate dai carichi esterni, si sommano le tensioni
residue che, quindi, giocano un ruolo molto importante.
Sarebbe desiderabile che esse fossero di compressione,
almeno in superficie.
Nel nostro caso si può affermare che negli acciai al solo C
(C40) la temprabilità è bassa quindi, se la ruota dentata non
è troppo piccola, la trasformazione martensitica interesserà
solo o soprattutto lo strato corticale del componente; ne
segue, dopo tempra, uno strato di tensione residua di
compressione in superficie e nella zona corticale, di trazione
nel nucleo del componente. Quindi, con questi acciai, si
formerebbe prima martensite corticale, messa in stato di
compressione dal nucleo ancora austenitico.
La trasformazione del nucleo in ferrite e perlite avverrebbe a
temperature molto più alte di Ms, quindi il limite elastico di
quelle fasi sarebbe ancora modesto. La loro formazione
avverrebbe con minore espansione di quella che
accompagna la formazione della martensite e inoltre, non
potendo portare la martensite corticale a superare il limite
elastico, si deformerebbero plasticamente esse stesse per
accomodare la loro modesta deformazione in estensione.
Nel successivo raffreddamento le fasi del nucleo dovrebbero
contrarsi, in ciò contrastate dalla continuità con la martensite
corticale. Tuttavia, anche il nucleo ormai è a temperatura
abbastanza bassa e quindi non si supera il suo limite elastico.
Non sono più possibili deformazioni plastiche, perciò le
deformazioni elastiche necessarie a mantenere continuità e
congruenza delle deformazioni fra nucleo e strato corticale
contrastano la contrazione del primo (nucleo), mentre
schiacciano la martensite del secondo (strato corticale).
Considerando le tensioni residue di origine termica, si vanno
a sommare andando ad accentuare lo stato di compressione
sulla superficie.
Nel caso di componenti di piccole dimensioni o di mezzi
tempranti molto energici (salamoie ghiacciate, azoto liquido)
si può avere tempra fino a cuore anche con acciai poco
temprabili; ne segue uno strato di tensione residua di
trazione in superficie, di compressione nel nucleo del
componente.
5.10 Tensioni residue e conseguenti alla tempra di un
acciaio legato (per esempio 36NiCrMo16) (8 pt)
In generale si può dire che la temprabilità di un metallo
cresce all'aumentare delle percentuali di C e degli elementi
leganti in quanto aumenta il diametro critico ideale di
tempra. Ciò si ribalta nel fatto che le curve CCT si spostano
progressivamente verso destra, cioè le trasformazioni
avvengono dopo tempi d'incubazione più lunghi. Questo
permette di ottenere martensite con raffreddamenti più
lenti o, visto sui diagrammi delle curve CCT, con curve di
raffreddamento più prolungate, che incrociano la retta di
martensite start prima della curva di trasformazione
dell'austenite in una fase diversa.

Poiché i denti delle ruote dentate lavorano a fatica,


specificamente a flessione, se sono scelti acciai da bonifica,
determinante è lo stato di tensione residua superficiale. Alle
tensioni generate dai carichi esterni, si sommano le tensioni
residue che, quindi, giocano un ruolo molto importante.
Sarebbe desiderabile che esse fossero di compressione,
almeno in superficie.

Nel nostro caso, gli acciai legati (36NiCrMo16) presentano


una temprabilità alta, quindi ci sarà penetrazione in
profondità dello strato martensitico, eventualmente anche
fino a cuore; ne seguirà uno stato di tensione residua di
trazione in superficie, di compressione a cuore.

In questo caso quello che succede è che il metallo prende


tempra fino al cuore. Immediatamente dopo la tempra lo
strato corticale è freddo e quindi si è trasformato totalmente
in martensite. Nel contempo il nucleo è caldo, essendo
ancora austenite.
La martensite che si trova in superficie vuole espandersi,
quindi l’austenite (il centro) che è ancora caldo può
accoglierla causa del limite elastico basso, ma non viene del
tutto accolta in quanto non ha il limite elastico
completamente nullo.

A questo punto sulla zona corticale si ha uno stato tensionale


residuo di compressione, ma non così accentuato perché
l’austenite ha concesso una deformazione plastica. Infatti a
cuore, per l’equilibrio, ci sarà uno stato tensionale di
trazione, ma di piccole entità.
In seguito, il cuore si raffredda e vuole espandersi. La
martensite corticale, già fredda e con limite elastico molto
alto non potrà deformarsi, quindi avrò nel nucleo un forte
stato di compressione. D’altro canto, però, la martensite
corticale sarà allungata elasticamente dall’espansione del
nucleo e presenterà un forte stato di tensione residua di
trazione.

Considerando le tensioni residue di origine termica, queste si


sommerebbero algebricamente ottenendo solo
un’attenuazione delle tensioni residue di trazione in
superficie.

Nel caso di un acciaio alto legato la temprabilità è alta e lo si


dimostra anche con la formula del diametro critico di
tempra:
Dci= Dc*fmo*fmn*fcr*fni*fsi
Moltiplicando, nella formula del diametro critico, quei fattori
moltiplicativi, ognuno relativo alla concentrazione
dell’elemento legante, il valore sarà maggiore.

5.11 Acciai da cementazione: effetti del C e degli


elementi leganti (8 pt)
Le caratteristiche richieste alla cementazione sono le
seguenti:
a) dare una durezza superficiale molto grande,
accompagnata da un cuore tenace
b) produrre uno strato cementato che deve anche essere
sufficientemente spesso per resistere allo sfondamento che
si avrebbe sotto carichi alti se fosse troppo sottile
c) al contrario, se lo strato è troppo spesso, il dente può
risultare troppo fragile nel suo complesso ed avere la
tendenza a rompersi in modo catastrofico
d) in ruote dentate grandi, il carico di flessione è anche
grande, quindi è richiesto uno strato spesso o,
alternativamente, si devono utilizzare acciai legati per
aumentare la profondità di tempra ed avere uno strato
subcorticale resistente anche se la parte cementata è
relativamente sottile.

Gli acciai da cementazione utilizzati per le ruote dentate sono


acciai a basso tenore di C, con o senza elementi leganti.
Questi ultimi, se presenti, servono soprattutto a conferire
temprabilità dopo cementazione. Nella norma UNI EN 10084
la percentuale massima ammessa di P è sempre 0,035 per
tutti gli acciai.

Per quanto riguarda lo S, che induce la presenza d'inclusioni


non metalliche come solfuri, la norma ammette gruppi di
acciai che ne contengono di più, per una migliore lavorabilità
all'utensile, e gruppi che ne contengono di meno, per una
migliore resistenza alla fatica per contatto. Vi sono quindi
due grandi gruppi di acciai:
o gli acciai da cementazione al C, ognuno dei quali (ad
esempio C15) presenta la variante E (C15E), in cui la
percentuale di S è al massimo 0,035; nella variante R
(C15R) la percentuale di S è invece compresa fra 0,02 e
0,04;
o gli acciai da cementazione legati, alcuni dei quali (ad
esempio 16NiCr4) presenta la variante senza aggiunte di
lettere (16NiCr4), in cui la percentuale di S è al massimo
0,035; nella variante S (16NiCrS4) la percentuale di S è
compresa fra 0,02 e 0,04.

Effetto della percentuale di C:


La durezza in superficie dipende quasi solo dalla percentuale
di C. Nel contempo, la durezza è dettata dalla resistenza al
pitting richiesta dal progetto. L'esperienza ha portato ad
individuare come intervallo di composizione di C adeguato in
superficie quello compreso fra 0,8 e 1%. Le ragioni sono le
seguenti:
o aumentare il tenore di C significa, entro certi limiti,
aumentare la durezza superficiale e quindi la resistenza
alla fatica da contatto 

o se C>1%, vi può essere formazione di un reticolo di
carburi al bordo di grano dell'austenite, soprattutto in
presenza di elementi leganti come Cr e Mo; si ottiene
uno strato cementato troppo fragile, vi è probabilità di
scheggiatura della punta dei denti 

o se C>1%, dopo tempra è probabile che rimanga
un'eccessiva quantità di austenite residua, γ > 20%,
diminuisce troppo la durezza e quindi la resistenza a
fatica 

o una percentuale γ »10-15% è considerata l'optimum,
perché durante l'esercizio, sotto le forti sollecitazioni di
contatto, si trasforma in martensite e contrasta il
decadimento della durezza che si verifica a lungo
termine 

o con un'eccessiva quantità di austenite residua, γ>20%, la
sua trasformazione sotto stress in esercizio può causare
inaccettabili variazioni dimensionali dei denti a causa
dell'aumento di volume durante la trasformazione da
austenite a martensite.

Per quanto riguarda il cuore, la percentuale di C è


necessariamente bassa, di solito fra 0,1 e 0.2%. Ci vuole
infatti un cuore tenace per sostenere una superficie
cementata così dura, altrimenti i denti si romperebbero
facilmente in modo fragile per urti anche di bassa energia. Ne
consegue tuttavia che la resistenza del cuore non sia alta,
anzi talvolta è insufficiente in applicazioni dove i denti sono
soggetti a notevoli sforzi di flessione. In tal caso sarebbe
opportuno scegliere, fra la gamma degli acciai possibili, quelli
con maggiore percentuale di C e soprattutto contenenti
elementi leganti. Di conseguenza la scelta degli acciai al solo
C ricade sul caso di ruote dentate di piccole dimensioni e
dove non vi sia pericolo di urti.

Effetto degli elementi leganti:


Come detto sopra, la durezza a cuore è dettata, oltre che
dalla percentuale di C, dalla quantità di elementi leganti,
necessari se si vuole aumentare la profondità di tempra per
conseguire aumenti di tenacità e resistenza a flessione.
Questi elementi, oltre alle altre proprietà positive,
conferiscono soprattutto temprabilità: permettono quindi di
ottenere strutture aciculari (se non martensite almeno
bainite) nelle parti subcorticali, fino ad arrivare, se il pezzo
non è troppo grosso e la percentuale di elementi leganti è
sufficientemente alta, a cuore.

Gli elementi leganti utilizzati negli acciai da cementazione


sono più o meno gli stessi di quelli utilizzati negli acciai da
bonifica, e all'incirca nelle stesse percentuali. Ad esempio:
o il Mn, che intorno allo 0.4, è fisiologico, può essere
aumentato fino al 2% per aumentare la temprabilità
dell'acciaio a costi bassi
o per le stesse ragioni, e fino al 2%, viene introdotto il Cr.;
è più costoso ma forma carburi che aumentano la
resistenza all'usura abrasiva
o anche il Mo, introdotto fino ad un massimo di 0,5%,
favorisce la temprabilità e forma carburi che aumentano
la resistenza all'usura abrasiva; il suo uso è limitato a
basse percentuali perchè è costoso 

o il Ni, presente fino ad un massimo del 5%, favorisce la
temprabilità e conferisce grande tenacità all'acciaio;
nonostante il suo costo, il suo uso è imperativo nei casi
in cui la tenacità sia un fattore fondamentale in esercizio.
La resistenza alla frattura per urto può essere importante in
alcuni casi. Allora ciò che importa di più è che eventuali
cricche nucleate nello strato indurito si arrestino nella zona
subcorticale, senza che il dente si rompa. Quindi è la tenacità
del cuore che è determinante. Da questo punto di vista, gli
acciai legati si comportano meglio di quelli al C. Un
incremento di tenacità a frattura si ha nel seguente ordine:
acciai al Cr-Mn<Cr-Mo<Ni- Cr-Mo. Soprattutto il Ni è molto
efficace, al punto che smorza la tendenza alla fragilità
all'aumentare della percentuale di C.

5.12 Acciai da nitrurazione per ruote dentate: condizioni


di utilizzo e tipi di acciai (composizione chimica e
trattamenti). (8 pt)
La nitrurazione è un trattamento termochimico superficiale
che introduce N nello strato superficiale dell'acciaio a
temperature normalmente comprese fra 500 e 550°C,
quando si è in presenza di fase ferritica. Si procede
esponendo l'acciaio ad un'atmosfera di ammoniaca
parzialmente dissociata. Il Fe catalizza la dissociazione
dell'NH3 e l'azoto elementare che se ne sprigiona passa in
soluzione solida nel reticolo metallico:
NH3→3/2 H2 + N (in Fe α)

Così la nitrurazione è simile alla cementazione, perché la


composizione chimica della superficie dell'acciaio viene
alterata, ma l'azoto entra nella ferrite anziché nell'austenite.
Siccome non si entra in campo austenitico, per ottenere la
durezza non è necessario temprare per ottenere martensite.
Perciò la nitrurazione comporta distorsioni minime e quindi
permette un controllo dimensionale eccellente.

Tuttavia, la nitrurazione è un processo più costoso della


cementazione perchè la diffusione di N all'interno della
ferrite è lento, si ottengono strati spessi 0,1-0,2 mm con 50
h di trattamento.

Gli acciai da nitrurazione si usano quando si vuole ottenere:


o strato superficiale duro anche a temperature elevate
quasi fino a quella del trattamento di nitrurazione
grande resistenza all'usura
o grande resistenza al grippaggio o scuffing
o ottima resistenza a fatica
o bassa sensibilità all'intaglio
o un po' di resistenza alla corrosione
o ottima stabilità dimensionale.
VANTAGGI APPLICATIVI:
o Poiché lo strato nitrurato è alquanto sottile, gli acciai da
nitrurazione non sono consigliati per pressioni di
contatto molto alte o se vi sono degli shock meccanici. In
quest'ultimo caso si avrebbe sfogliatura dello strato,
mentre nel primo il picco di stress di contatto potrebbe
verificarsi sotto lo strato di durezza maggiore. In tal caso
si trasferirebbe al substrato poco o non nitrurato il
compito di resistere alla nucleazione del pitting, cosa
inopportuna vista la durezza solo moderata dell'acciaio
di base.
o Specificamente, la grande durezza superficiale degli
acciai nitrurati li rende ottimi contro l'usura,
specialmente nelle ruote dentate. Visti i costi, non
vengono comunemente impiegati al posto degli acciai
cementati, che comunque hanno una durezza
superficiale ragguardevole.
Dove gli acciai da nitrurazione sono nettamente meglio
di tutti è nel caso dell'usura adesiva, e particolarmente
nella resistenza contro lo scuffing. In ciò la durezza gioca
di concerto con il coefficiente di attrito particolarmente
basso delle superfici nitrurate. In casi estremi, essi
possono lavorare anche senza lubrificante; tuttavia ciò è
da evitare perché la resistenza a fatica e allo scuffing
diminuiscono nettamente.
o La resistenza a fatica ad alto numero di cicli, con intaglio
o senza, è la migliore, attribuita alla presenza di forti
tensioni residue di compressione che sono il risultato
dell'ingresso di N nel reticolo del Fe e poi della
formazione della fase γ', meno densa della ferrite (vi è
quindi espansione di volume).
o L'assenza di trattamenti termici successivi alla
nitrurazione evita la decrescita della durezza, come
invece avviene, sia pur in modo moderato, durante il
rinvenimento di distensione degli acciai da
cementazione. Collegato a questo fatto vi è che la
nitrurazione è il trattamento superficiale che introduce
la massima durezza e i minori cambi dimensionali dei
pezzi. E' infatti possibile in alcuni casi mantenere i pezzi
in tolleranza dopo nitrurazione senza alcun trattamento
di finitura superficiale.
o Per tale ragione è possibile talvolta solo con la
nitrurazione (e, in sott'ordine, con la tempra superficiale)
indurire superficialmente ruote dentate di grandi
dimensioni, che invece risulterebbero fortemente
deformate se si adottasse cementazione e tempra.
o Inifine le ruote dentate nitrurate eccellono rispetto agli
altri trattamenti perché possono lavorare a caldo,fino a
temperature leggermente inferiori a quella di
nitrurazione. Non perdono infatti durezza e quindi
mantengono la resistenza a fatica. Per tale motivo, ruote
dentate nitrurate sono utilizzate comunemente
nell'industria dei trasporti, aeronautica e a terra.
Composizione chimica degli acciai:
Esaminando il diagramma delle fasi Fe-N si vede a che a
temperatura ambiente sono possibili 3 fasi, a seconda della
percentuale di N presente: a basse percentuali vi è la ferrite,
che alla temperatura eutettoidica del diagramma Fe-N
(592°C per la precisione) può accogliere fino a 0,1% di N; però
α è una soluzione solida, quindi non è particolarmente dura,
perciò non è interessante come fase nitrurata.
Cosa simile vale per tenori di N nettamente più elevati, cioè
il 6%, dove si forma la soluzione solida ε, che è talvolta
utilizzata per la sua buona resistenza alla corrosione, ma non
è sufficientemente dura per applicazioni dove è richiesta
elevata resistenza a fatica di contatto e ad usura. L'interesse
si concentra sulla fase γ', che è un composto semimetallico,
di composizione stechiometrica Fe4N. Tale fase ha le
caratteristiche richieste per le applicazioni delle ruote
dentate.
Per aumentare la durezza della superficie è interessante
esplorare le fasi che gli elementi leganti dell'acciaio possono
fare con l'azoto. Fra quelli studiati, sono risultati più
interessanti Cr, Mo, V, Ti e Al. Alla fine, gli acciai da
nitrurazione hanno generalmente un tenore di carbonio
medio (quindi sono temprati e rinvenuti) e soprattutto
contengono elementi, come Al, Mo, V e Cr, che favoriscono
la formazione di nitruri molto duri oltre al nitruro di ferro γ'-
Fe4N, su cui si basa l'indurimento di base. Si raggiungono
comunemente i 900 HV di durezza. L'elemento più efficace è
l'Al, introdotto in percentuali dell'ordine dell'1%. Nella ferrite
viene a formarsi il nitruro AlN, di per sé con elevatissima
durezza, quindi capace di far salire quella dell'acciaio fino a
1200 HV. D'altro canto, è necessario tenere conto che,
soprattutto Al e Cr, formando nitruri, finiscono per
ostacolare la diffusione dell'N. Lo strato nitrurato risulterà
così più sottile di quello ottenibile con la cementazione. Si
può concludere che, conducendo la nitrurazione a
temperature dell'ordine di 500°C o poco superiori, si
ottengono strati nitrurati di uno spessore dell'ordine di 2
decimi di millimetro e con tempi di processo assai lunghi,
tipicamente di 50 h.
Gli acciai da nitrurazione vengono prima bonificati, e poi
nitrurati in un intervallo di temperatura in cui si può avere
insorgenza di fragilità da rinvenimento. Questa risulterebbe
particolarmente grave perchè il trattamento si protrae per
decine di ore. Per tale ragione, quasi tutti gli acciai da
nitrurazione contengono del Mo come elemento legante. Vi
è da notare che il trattamento di rinvenimento è abbastanza
classico, cioè è svolto a 600- 650°C. Quindi la successiva
nitrurazione, che è svolta a temperature più basse, non
comporta diminuzioni di durezza.
5.13 Tempra degli acciai da cementazione: varianti del
trattamento termico e conseguenze per quanto riguarda le
cricche di tempra, tensioni residue, austenite residua e
distorsioni. (9 pt)
Dopo la cementazione, il tipo di tempra e il mezzo temprante
sono scelti per controllare i seguenti fattori:
o velocità di raffreddamento alta per avere tutta
martensite in superficie, e in profondità il più possibile
o la velocità di raffreddamento non deve essere così alta
da portare a cricche di tempra o a troppa austenite
residua.
o Si utilizzano soluzioni acquose, tipicamente per acciai al
C, dove lo spessore dello strato indurito deve essere
relativamente piccolo
o si utilizzano olio o soluzioni di polimeri fusi, adottati per
temprare acciai legati, che sono molto più temprabili
degli acciai al C, e che quindi possono soffrire di cricche
di tempra se quest'ultima è troppo energica.

Interconesse con le problematiche di scelta dell'acciaio, vi è


quindi quella della scelta del mezzo temprante e della massa
del pezzo, generandosi così una situazione complicata:
o ruote piccole si temprano facilmente, anche con mezzi
tempranti non troppo drastici; questi ultimi poi
dipendono anche dalla composizione chimica
dell'acciaio
o ruote dentate grosse manifestano problemi di lento e
soprattutto disuniforme raffreddamento
o per ruote grandi la scelta di mezzi tempranti drastici può
portare a cricche di tempra, al contrario la durezza
necessaria potrebbe non essere raggiunta
o in alcuni casi ruote grandi non sono adatte alla
cementazione se sono necessarie grandi profondità di
tempra, oltre ad elevata durezza superficiale.

❖ Tempra diretta:
Quando è possibile, si estraggono i pezzi dal forno di
cementazione e li si spegne subito nel mezzo temprante.
Questa è la tempra diretta e viene applicata quando è
possibile perchè è meno costosa dei trattamenti controllati o
a più riprese. Tuttavia, siccome la temperatura di
cementazione è 50°C sopra A3 dell'acciaio di partenza (ossia
il cuore), essa risulta dell'ordine di 920-930°C,
eccessivamente alta come temperatura di tempra rispetto
alla superficie, che ha una composizione vicino o poco
superiore all'eutettoide; in effetti, in superficie A3 varia fra
720 e 740°C circa, secondo la composizione. Si applica quindi
la tempra diretta quanto è possibile evitare: 

o cricche di tempra 

o distorsioni eccessive 

o austenite residua eccessiva, con abbassamento della
durezza in superficie

La tempra diretta può comportare negli acciai al solo C


l'inconveniente di temprare un'austenite surriscaldata, cioè
raffreddata da temperature (circa 920°C) 200°C più alte
rispetto ad A3 della superficie cementata (circa 720°C). Si
potrebbe cioè partire da austenite a grana grossa, dalla quale
seguirebbe martensite a placche o aghi grossi, perciò
particolarmente fragile e, ancora peggio, resterebbe traccia
evidente degli ex bordi di grano di austenite ingrossata, dove
sono concentrate tutte le impurezze nocive dell'acciaio. Ne
seguirebbe la facilità di fratture intergranulari in caso di
sovraccarichi od urti.
❖ Tempra singola:
Per evitare alcuni dei problemi di cui sopra, si può diminuire
lo sbalzo termico raffraddando in modo controllato fra 920 e
790°C e poi temprare da quest'ultima temperatura. E'
necessario tenere conto che l'abbassamento preliminare
della temperatura sopra descritto non deve essere eccessivo,
altrimenti si rischia di abbassarsi al di sotto di A3 ed avere
quindi precipitazione di carburi al bordo grano, che vengono
a formare un reticolo e accentuano la fragilità dello strato
cementato. Se si evita quest'ultimo problema, si ottiene un
profilo di durezza più adeguato. Tuttavia non si è eliminato il
problema dell'ingrossamento del grano dell'austenite, che
può essere molto negativo qualora la ruota dentata rischi di
subire degli urti.

❖ Tempra in due tempi:


La cosa migliore sarebbe allora raffreddare più o meno
lentamente i pezzi al di sotto di A1, senza scendere
inutilmente alla temperatura ambiente, ma accontentandosi
della formazione delle fasi stabili; subito dopo è allora
necessario riscaldare sopra A3 della superficie (rigenerando
così austenite a grano fine) e facendo infine lo spegnimento
di tempra. Tale procedura comporta due volte le
trasformazioni (anche se diverse) dell'austenite. Comunque,
deformazioni o distorsioni se ne generano ad ogni
trasformazione, anche se con la trasformazione martensitica
esse sono più pronunciate. Il saldo del trattamento a doppio
raffreddamento sarebbe una deformazione cumulativa
finale più ampia. In realtà tale differenza fra le distorsioni
totali è modesta perchè, con la tempra diretta, il
raffreddamento avviene a partire da una temperatura molto
più elevata, comportando maggiori distorsioni termiche e
percentuali di austenite residua nettamente maggiori.
Quest'ultima si trasformerà poi un po' in martensite o bainite
durante il rinvenimento, un po' alla temperatura di esercizio,
dando il suo contributo post-tempra alla deformazione.

Il principale motivo per cui può essere necessario il doppio


riscaldamento è quello di evitare martensite da austenite a
grana grossa e la traccia dei bordi di grano di quest'ultima. Il
fenomeno è sensibile soprattutto negli acciai al C. Invece
negli acciai legati il più delle volte si svolge la tempra singola
dopo raffreddamento a 790°C circa, perchè gli elementi
leganti come Cr, Mo e V formano carburi così stabili da non
essere totalmente disciolti alla temperatura di
austenitizzazione, esplicando quindi un effetto di ancoraggio
al moto del bordo di grano tipico delle alte temperature,
impedendo cioè l'accrescimento dei cristalli di austenite.

❖ Tempra sotto zero:


Per destabilizzare e diminuire definitivamente la percentuale
di austenite residua al di sotto del 20%, tendendo al 10%
ritenuto ottimale, è talvolta seguita, dopo la prima, una
seconda tempra. La prima tempra è lo spegnimento
tradizionale a temperatura poco sopra quella ambiente, la
seconda avviene immergendo subito dopo i pezzi a
temperature dell'ordine di -80°C, per essere sicuri di
scendere al di sotto della temperatura di Martensite Finish.
A tale scopo si usano bagni di composti organici a bassissimo
punto di fusione, come alcoli. In tal modo la percentuale di
austenite residua si abbassa, e si consegue sia maggiore
stabilità dimensionale della ruota dentata in esercizio, sia si
ottiene una maggiore percentuale di martensite in
superficie, che in tal modo risulta più dura e resistente alla
fatica di contatto.

Tensioni residue e rinveniment:


La cementazione induce forti tensioni residue di
compressione nello strato cementato dopo tempra,
soprattutto perché la trasformazione martensitica avviene
solo in superficie. Il rinvenimento successivo attenua un po'
lo stato di compressione, e ciò avviene in funzione della
temperatura e della durata del trattamento. Gli usuali
trattamenti di rinvenimento di distensione che si effettuano
dopo cementazione sono condotti per lo più nell'intervallo di
temperatura 120-180°C e prolungati per 1-2 h. In tali
condizioni la decrescita dello stato di compressione
superficiale è assai contenuta.

Le durezze desiderate dopo rinvenimento di distensione


sono:
o in superficie 60 HRC o più (700 HV o più,)
o a cuore sarebbero desiderate 32-48 HRC (300-550 HV),
ma talvolta è impossibile salire sopra 300 HV, in
dipendenza della composizione chimica dell'acciaio, che
detta la profondità di tempra.
o Alla fine il rinvenimento attenua un po' la fragilità e le
tensioni residue di compressione ma, poiché è condotto
alle temperature sopra indicate, non comporta una
diminuzione di durezza, se non modesta, o addirittura un
suo aumento se parte dell'austenite residua si trasforma
in bainite o martensite. Il rinvenimento viene talvolta
eliminato se interessa solo la durezza e la fragilità non è
un problema.

La distorsione:
La distorsione è un problema tipico dei trattamenti termici in
generale, a causa del gioco delle dilatazioni termiche. Con la
trasformazione martensitica il problema si aggrava, a causa
dell'aumento di volume del materiale dovuto alla
trasformazione di fase. Con la cementazione il problema è
ancora peggiore. Nelle ruote dentate si hanno dilatazioni
della massa, che comportano distorsioni di forma, con
eccentricità e fuori piano. Ci sono poi le deformazioni dei
denti, che sono dello stesso tipo. Quindi, per produrre ruote
dentate di qualità il problema della distorsione, non essendo
eliminabile, va tenuto sotto controllo.
Ovviamente, la distorsione è accompagnata da tensioni
residue, che sono concomitanti alle variazioni di volume, che
sono influenzare soprattutto da:
o i contenuti di C e degli elementi leganti della martensite;
più questi sono elevati, più si ha espansione di volume
perché si ha maggiore profondità di tempra
o la geometria della distribuzione di massa della ruota
dentata; il cuore e i denti hanno masse e geometrie
diverse, quindi in esse la trasformazione avverrà in modo
non coordinato (come per esempio in un semplice
cilindro), e questo causerà tensioni e distorsioni
o il modo di entrata dei pezzi nel bagno di tempra;
occorrerebbe idealmente avvicinarsi il più possibile ad
un impatto simultaneo su tutta la superficie del pezzo da
parte del mezzo di spegnimento
o il metodo di trattamento termico; la tempra diretta
porta alle minori distorsioni, perchè le trasformazioni,
che avvengono con variazione di volume, avvengono una
volta sola; svolgendo invece tempra in due tempi, dopo
il riscaldamento che viene fatto seguire al
raffreddamento lento dopo cementazione (quindi con
una trasformazione di fase già avvenuta), si ha nuova
variazione di volume, ora più grande, che introduce
anch'essa una deformazione e che si somma alla
precedente.
Purtroppo, se le distorsioni sono non trascurabili, è
necessario riportare le ruote dentate in tolleranza svolgendo
delle rettifiche. Vi sono i seguenti problemi:
o i costi elevati delle rettifiche o anche lappature
o in letteratura si trovano tabellate le distorsioni degli
acciai da cementazione; alcuni acciai legati presentano
distorsioni contenute e quindi si potrebbero scegliere,
ma con i costi maggiori dovuti agli elementi leganti
o non sempre è possibile ridurre in modo sufficiente la
distorsione, se non applicando rettifiche pesanti; però
asportando in parte la zona più dura ed efficace dello
strato.

5.14 Tipo di cariche di lavoro, caratteristiche per impiego e


rassegna generale per materiali per ruote dentate. (10 pt)
Normalmente la progettazione di ruote dentate si fa
riferendosi a due condizioni, la fatica a flessione e la fatica di
contatto. Queste due situazioni si manifestano, se non
fronteggiate adeguatamente, con rotture per fatica classica
al piede del dente, o con il fenomeno del danneggiamento
per pitting. Vi sono altre situazioni di messa fuori servizio
delle ruote dentate, fra le quali la più comune è l'usura
(abrasiva, adesiva, scuffing).

Gli acciai per ingranaggi sono perciò caratterizzati da:


1. elevata resistenza a fatica a flessione
2. elevata resistenza alla fatica per contatto, strettamente
correlata alla durezza
3. grande resistenza all'usura, quindi grande durezza
4. adeguata tenacità per fronteggiare eventuali urti
5. stabilità dimensionale durante l'esercizio
6. campo di accentuate tensioni residue di compressione in
superficie.

La più recente norma UNI è abbastanza più dettagliata sulle


caratteristiche dei materiali, anche se comunque i valori
riportati non permettono di apprezzare a fondo le differenze
fra i vari acciai e le varianti di trattamento termico, quindi
spalmano un po' al ribasso le possibilità del metallo. Sono per
fortuna di aiuto alcune prescrizioni sulle caratteristiche, la
microstruttura e i possibili difetti, che fanno la differenza per
quanto riguarda gli acciai, i costi, le prestazioni e l'affidabilità
del prodotto finito.

Possiamo definire 4 famiglie di materiali, cioè agli acciai da


bonifica, acciai da tempra superficiale, acciai da
cementazione, acciai da nitrurazione. Per tali famiglie la
norma ISO 6336 distingue tre gradi di qualità:
o grado ML, per il quale vi sono modeste richieste o
prescrizioni circa la qualità dell'acciaio o l'affidabilità del
trattamento termico; è un grado in generale da evitare,
può essere adatto per limitare al massimo i costi nel caso
di ruote dentate poco sollecitate o che debbano lavorare
poco e il loro danneggiamento non sia critico per
l'esercizio di un macchinario
o grado MQ, è il grado medio dove le prescrizioni di qualità
di acciaio e affidabilità del trattamento termico sono
dettagliate, ma con ampi margini in modo da lasciare la
libertà di fare scelte riduttive per abbassare i costi; è il
grado più utilizzato, sia per mancanza di conoscenze sui
materiali da parte di progettisti, produttori ed
utilizzatori, sia per lo scopo di contenimento dei costi;
non è consigliato per ruote dentate molto sollecitate o
aventi funzione critica
o grado ME, quello che garantisce la migliore qualità,
perchè prescrive in modo dettagliato le caratteristiche
dei materiali, la loro microstruttura e lo stato superficiale
dopo la fabbricazione del componente; tale grado
implica costi moderatamente più elevati, ma è sempre
consigliato se si vuole elevata affidabilità del
componente, mentre è obbligatorio nei componenti
critici.

Resistenza alla fatica a flessione:


La massima tensione equivalente a flessione nel punto più
sollecitato (il piede del dente) σF deve essere minore o
uguale alla tensione ammissibile σFP: σF ≤ σFP .A sua volta,
la tensione ammissibile σFP è funzione dei seguenti
parametri:
o σFlim = limite di fatica o, più correttamente, resistenza a
fatica del materiale (riferito a condizioni di rapporto di
carico -1 (flessione rotante)
o SFmin = fattore di sicurezza minimo alla flessione
(reperibile nella normativa)
o YF = fattore della geometria delle ruote dentate e delle
condizioni di esercizio (dettagliato nella normativa)
o yNT = fattore di durata del materiale, che indica come si
abbassa la resistenza a fatica con il numero di cicli di
sollecitazione fino a 3*106 cicli, oltre i quali yNT è
unitario
o yδrelT = fattore relativo all'intaglio, che dipende dalla
sensibilità all'intaglio a fatica del materiale

I parametri σFlim yNT e yδrelT, che rappresentano le


caratteristiche dei materiali e quindi devono essere utilizzati
nella scelta degli acciai opportuni, si trovano tabellati nelle
normative, sia pure con parecchia approssimazione.

Per quanto riguarda la resistenza a fatica, in una prima


grezza approssimazione si può fare uso di una tabella
riportata dalla norma UNI 8862, che condensa in modo
spiccio e vago le caratteristiche delle leghe ferrose più
usate. Si nota l'immediata correlazione di σFlim con la
durezza. Si tratta di un espediente approssimato, che è
molto sbrigativo nei calcoli di progetto ma, nel caso di
materiali a durezze molto basse o molto alte, trascura
parecchi fenomeni come indurimento ed addolcimento
durante il ciclaggio, che portano a resistenze a fatica un po'
diverse. Talvolta le durezze sono espresse sia in scala
Rockwell, sia in quella Vickers. Quest'ultima è sempre
preferibile, sia per la maggiore affidabilità alle alte durezze,
sia per il fatto che mediante la Vickes a bassi carichi è
possibile ottenere valori significativi e differenziare con
precisione fra diverse posizioni su un dente di un
ingranaggio.

Resistenza a fatica da contatto:


La massima tensione equivalente derivante dalla pressione di
contatto dei denti sul loro fianco deve essere minore o
uguale alla tensione ammissibile σHP: σH≤σHP
A sua volta, la tensione ammissibile σHP è funzione dei
seguenti parametri:
o σHlim = resistenza a fatica per contatto del materiale per
durata a lungo termine che, per le 4 famiglie di acciaio
menzionate all'inizio, vale al di sopra dei 5*107 cicli di
carico); per la norma ISO si assume di avere una
probabilità di danno per pitting non superiore all'1%
o SHmin = fattore di sicurezza minimo nelle condizioni di
contatto superficiale (reperibile nella normativa)
o YH = fattore della geometria delle ruote dentate, dalla
loro finitura superficiale, del loro accoppiamento e delle
condizioni di esercizio (dettagliato nella normativa)

Anche in questo caso, come per la flessione, la norma ISO


correla in modo semplicistico la resistenza a fatica alla
durezza mediante delle correlazioni lineari. Di nuovo, è
comunque apprezzabile lo sforzo di fornire un panorama più
dettagliato sui materiali e il loro diverso comportamento. Le
durezze sono espresse sia in scala Rockwell, sia in quella
Vickers, che rimane sempre preferibile ed è quindi quella di
riferimento.

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