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Viscoelasticità

Il comportamento caratteristico di polimeri organici termoplastici


o polimeri poco reticolati intermedio tra il comportamento elastico
ed il comportamento di un fluido.
Anche materiali metallici e ceramici si comportano in modo
viscoelastico ad "alta temperatura" .
deformazione
istantanea ex

(a) materiale elastico

(b) fluido viscoso

(c) materiale viscoelastico

Risposta ad una deformazione istantanea a gradino : (a) materiale elastico,


(b) fluido viscoso e (c) materiale viscoelastico;  è la viscosità del fluido e
(t) un impulso di Dirac.
Modi di deformazione

Rilassamento degli sforzi


Variazione del carico nel tempo quando al materiale
si impone una deformazione costante.

Scorrimento (Creep)
Variazione della deformazione nel tempo per azione di
un carico costante.

OSSERVAZIONE!
I modi di deformazione (ad es. rilassamento e scorrimento) dipendono dal
tempo, mentre i tipi di deformazione (ad es. estensione monoassiale,
taglio semplice, compressione uniforme) dipendono dallo sforzo applicato:
si può applicare qualunque modo di deformazione a qualunque tipo di
deformazione.
rilassamento scorrimento
degli sforzi (creep)

Due modi di deformazione in viscoelasticità:


(a) rilassamento degli sforzi, (b) scorrimento.
Qual è l’origine del comportamento
viscoelastico ?
Nel caso dei polimeri il comportamento viscoelastico origina dalla
contemporanea presenza di forze intermolecolari deboli (tra le
catene) e intramolecolari forti (delle catene stesse).
Quando si applica uno sforzo meccanico le catene non possono
spostarsi liberamente nelle nuove posizioni di equilibrio, le
proprieta' meccaniche sono quindi funzione del tempo.
Modulo di rilassamento
Nel caso di una estensione monoassiale costante ex(t)=ex,0:

 t 
E r t  
e0

Predisposizione allo scorrimento o cedevolezza


Se si applica una tensione monoassiale costante x(t)=x,0

e t 
Jc  t  
0
Durezza e Prova di durezza

(a) Durometro (b) Sequenza per la misura della durezza con un


penetratore conico di diamante; la profondità t è inversamente correlata alla
durezza del materiale: quanto minore è t, tanto più il materiale è duro.
Durezza (Hardness)
Misura della resistenza di un materiale alla deformazione
plastica localizzata.
La misura di durezza si esegue mediante uno strumento detto durometro e
consiste nel premere un indentatore di determinata forma e dimensione
contro la superficie del pezzo di cui si vuole determinare la durezza, applicando
una forza nota in direzione perpendicolare alla superficie.
Si mantiene il carico per un tempo determinato , lo si rimuove e, allontanato
il penetratore, si misura la dimensione dell'impronta ottenuta oppure
la profondità di penetrazione. Il valore della durezza si legge
direttamente sullo strumento o si ricava facendo uso di opportune tabelle di
conversione.
La durezza viene espressa mediante numeri che fanno riferimento a
scale convenzionali, non correlabili tra di loro se non per mezzo di
tabelle di conversione empiriche. Esse devono essere ricavate
per ogni materiale. Sono note per gli acciai.
Dato che il valore di durezza è in relazione con la deformazione plastica
della zona del materiale nell’intorno del punto di contatto tra superficie del materiale

ed indentatore, è stata ricavata una relazione empirica tra


la durezza (H) ed il carico di snervamento (s)

H = k s,

in cui k è una costante che dipende dal tipo di materiale, all’incirca pari a 3.
Prove di durezza

Parametri relativi alle principali prove di durezza


Durezza Brinell
Simbolo: HB

Indentatore: sfera di acciaio duro (o carburo di tungsteno)

D = 10 mm
carico: 3000 - 1500 - 500 kg

Misura: diametro dell'impronta (d )

Unita' di misura BHN = rapporto tra carico applicato e


superficie dell'impronta (kg/mm2)
Durezza Vickers
Simbolo: HV

Indentatore: piramide di diamante a base quadrata con angolo di 136°

carico variabile (1-120 kg)

Misura: diagonale dell'impronta (d )

Unita' di misura VHN = rapporto tra carico applicato e


superficie dell'impronta (kg/mm2)
Durezza Knoop
Simbolo: HK

Indentatore: piramide di diamante rombica (rapporto tra le diagonali di 7:1)

carico variabile

Misura: diagonale maggiore

Unita' di misura HKN = rapporto tra carico applicato e


superficie dell'impronta (kg/mm2)
Durezza Rockwell
Simbolo: HR
(seguito dalla lettera che distingue le diverse scale da A a G)

Indentatore: cono di diamante (scale A-C-D) con angolo 120°


sfera 1/16 pollice (scale BFG)
sfera 1/8 pollice (scala E)

carico 60 - 100 - 150 Kg

Misura: profondità di penetrazione

Unita' di misura: HR =
Considerazioni generali

A differenza della prova di trazione, che richiede l’uso di una


provetta che viene portata a rottura, la prova di durezza può
essere considerata non distruttiva, in quanto l’impronta lasciata
dal penetratore normalmente non danneggia il pezzo.
La prova di durezza trova quindi largo impiego come rapido
controllo di qualità negli stabilimenti di produzione, sia per
verificare che la durezza corrisponda a quanto richiesto dalla
normativa applicabile, sia come misura approssimata del s.
Frattura
Una struttura può arrivare a frattura anche in presenza di
carichi inferiori al limite di snervamento !!!!!!!?????

(a) causa
presenza nel materiale di difetti di volume (intagli, pori, cricche)

(b) meccanismo
insorgenza di condizioni di instabilità

propagazione catastrofica del difetto


Frattura

 2x 
   f  sin 
  
σf: sforzo teorico di frattura
2x
  f  λ: lunghezza rappresentativa
 E 
f   del raggio di azione delle forze
 E
x 2 a0 atomiche
a0
Frattura
La resistenza a rottura di un solido dipende dalle forze di
legame fra gli atomi.

Sulle basi teoriche si stima che in un solido fragile elastico


presenti una resistenza a rottura =E/10, con E modulo
elastico.

In realtà si osservano valori sperimentali di  da 10 a 1000


volte inferiori è ciò a causa della presenza di difetti
microscopici o microcricche presenti all’interno o sulla
superficie del pezzo (Griffith, 1920 – Irwin , 1957).
Frattura
(a) concetti fondamentali
1. definizione di frattura
separazione in due o più parti di un corpo solido
in seguito alla applicazione di un carico di
trazione, compressione, flessione o torsione.

2. modalità di frattura
• frattura fragile
• frattura duttile
(a) frattura duttile
deformazione plastica elevata della frattura

elevato “assorbimento” energetico

(b) frattura fragile


deformazione plastica non apprezzabile della frattura

basso “assorbimento” energetico


(b) cause di frattura

1.progettazione
2. materiale
3. processo
(c) meccanismo
In risposta ad una sollecitazione meccanica

prima….la formazione di cricche


poi…la propagazione delle cricche

La modalità di frattura dipende dal meccanismo


di propagazione del difetto.
La modalità di frattura caratteristica di un dato
materiale dipende da:
(a) temperatura
(b) velocità di deformazione
(c) stato di sforzo
polimeri (T maggiore o minore di Tg),

metalli (“bassa” T < 0.3-0.4 Tm, “alta” T > 0.3-0.4 Tm)

ceramici (“bassa” T < 0.4-0.5 Tm, “alta” T > 0.4-0.5 Tm)


Frattura duttile

(a) estesa deformazione plastica in prossimità


della cricca in propagazione

(b) cricca “stabile”


se non viene aumentato il carico, il difetto
avanza a velocità di propagazione controllata

(1) possibilità di applicare misure preventive


(2) caratteristica di materiali ad elevata tenacità
tipica di metalli e polimeri termoplastici semicristallini
Frattura duttile
Frattura duttile
Frattura fragile

(a) scarsa deformazione plastica


in prossimità della cricca in propagazione

(b) cricca “instabile”


avanzamento rapido e spontaneo

(1) frattura improvvisa e catastrofica


(2) caratteristica di materiali a bassa tenacità
tipica di ceramici, polimeri termoplastici amorfi e polimeri termoindurenti
Frattura fragile
• Esempio: Zinco EC monocristallino
Frattura fragile
Frattura fragile

Frattura Transgranulare

Frattura Intergranulare
Frattura Duttile e Fragile

Frattura duttile Frattura fragile


Quando si propaga un difetto ?
La propagazione di un difetto all'interno di un materiale comporta:

(a) rilascio di energia elastica (Uel) immagazzinata dal materiale

(b) formazione di nuove superfici a cui è associata


energia superficiale (Us )

Il difetto si propaga quindi se è verificata la condizione:

dW  dU  dU el s

( dW = lavoro eseguito dallo sforzo)


Difetto
TENACITA’ (Gc)

dU  Gctda
s

t = spessore
da = avanzamento della cricca di dimensione iniziale a
t da = incremento di area di cricca

Gc = energia assorbita per unità di area di cricca (J m-2)

Gc è una caratteristica intrinseca del materiale

Gc elevato: propagazione cricca richiede molta energia …. materiale tenace

Gc basso: la propagazione cricca richiede poca energia ….. materiale è fragile


I concetti su espressi possono essere impiegati per
calcolare l'adesione di un nastro adesivo.

Misura dell’adesione di un nastro adesivo


Trascurando il termine relativo all'energia elastica ,
l'equazione precedente diventa:

dW  Gctda  Mgda  Gctda


Mg
Gc  (Gc 500 Jm-2)

t
Gc = adesione
t = larghezza del nastro (2 cm)
Mg = forza peso (1 kg)
da = lunghezza di nastro distaccato dal peso Mg
F

da

spessore (t)
a

Propagazione di una cricca esterna di lunghezza a in una piastra vincolata (dW=0).


Nel caso in cui la struttura sia sottoposta a vincoli che
ne impediscono la deformazione si ha:

dW  0 e quindi,

 dU  Gctda el

(l'energia elastica è ceduta, quindi - dU elè positivo)


L’ energia elastica per unita' di volume (Uel ) è data da:

1  2
U  e 
el

2 2E
da
s

e
1  2
U  e 
el

2 2E

Rilascio di energia elastica, immagazzinata in fase di deformazione,


durante la propagazione della cricca.
Per una cricca esterna di lunghezza a, l’energia elastica è:

 2 a 2t
U el

2E 2

La propagazione della cricca di da provoca quindi un rilascio


di energia elastica pari a:

dU  el 2
dU  el
da   atda
da 2E
Condizione critica di propagazione del della cricca :

 2
atda  Gctda
2E
 a 2
Gc 
2E
Considerando la reale distribuzione degli sforzi intorno all'apice della cricca si ottiene :

 a 2
Gc 
E
L'equazione precedente, che descrive la condizione di frattura,
viene più convenientemente messa nella forma:

 a  EGc
rappresenta la condizione di sforzo,
 a viene indicato con il simbolo K (MNm-3/2),
fattore di intensità degli sforzi

proprietà intrinseca del materiale


EGc che viene indicata con il simbolo Kc (MNm-3/2), ,
fattore di intensità degli sforzi critico
(TENACITA’ A FRATTURA)
Quando si verifica la frattura ?
K  Kc
A seconda della direzione di propagazione della cricca
rispetto alla direzione di applicazione dello sforzo, per
il fattore di intensità degli sforzi K si usano i simboli

KI KII KIII
Teoria di Griffith
In forma più generale la condizione di frattura di un materiale fragile
si ricava nel modo seguente.
Assumendo la presenza di un difetto interno di dimensione 2a e profondità t =1


U  2  2a    4a
2
s
U  el
a 2

 2
U  U  U  4a s el
a 2

E
Variazione totale di energia necessaria alla propagazione della cricca
 2
U  U  U  4a 
s el
a 2

Condizione critica massima energia totale

s el
dU dU dU
  0
da da da
s el
dU dU dU
  0
da da da

dU d d  2
 4a  a  0
2

da da da E
2  2
4  a   a  2E
E
equazione di Griffith 2E
(per materiali fragili)

a
energia superficiale

Us=4γa

energia totale U=Us+Uel

a critica lunghezza cricca (a)

Uel= -σ2πa2
E

energia elastica

Variazione dell’energia superficiale, dell’energia di deformazione elastica e dell’energia totale in


funzione della lunghezza della cricca.
2Gc = 4γ
dU s
 4
da

dU el 2 2a
   2Gc
da E

a critica lunghezza cricca (a)

La condizione critica, in condizioni di sforzo piano ( t<<a<< altre dimensioni)


per materiali idealmente fragili è quindi

Gc = 2γ
stabile critico

instabile

Variazione del volume di rilascio di energia in funzione della propagazione


di una cricca durante una deformazione a trazione:
(a) cricca stabile per  < c,ovvero l < lc;
(b) (b) cricca critica,  = c
oppure l = lc; (c) barretta rotta l > lc; la zona in grigio rappresenta il volume
interessato da rilascio di energia elastica.
TENACITA’: lunghezza critica del
difetto
L’energia somma ha un massimo in corrispondenza al
valore lc della cricca.

1. l < lc cricca stabile, ovvero la cricca non si


propaga spontaneamente

2. l > lc cricca instabile, ovvero la propagazione


della cricca è accompagnata dalla diminuzione
dell’energia del sistema e la cricca si propaga
spontaneamente provocando la frattura rovinosa
del sistema.
Nel caso di materiali fragili in condizioni di
deformazione piana (es. lamiere spesse) :

2E

a 1  2
 
coefficiente di Poisson
Nel caso di materiali
duttili per i quali interviene una deformazione
plastica all'apice della cricca

2 E    p 

a
energia di deformazione plastica per unità di superficie
In base alla equazione di Griffith si può dire che per un dato sforzo (o
per una data dimensione di cricca) esiste una dimensione critica della
cricca (o sforzo) che comporta la rottura catastrofica.

Materiali a comportamento fragile Gc  2

Materiali a comportamento duttile Gc  2(   p )


 p  10
Le condizioni critiche di frattura pertanto diventano:

Modulo di Young

(a) in condizione di sforzo piano tenacità

 a  Gc E , dove K c  Gc E
fattore di intensità degli sforzi critico
(TENACITA’ A FRATTURA)
(b) in condizione di deformazione piana

 a1   Gc E
2
Gc E , dove Kc 
1  2
Come si misura la tenacità (Gc) ?

Dato provino di geometria definita:

(1) si crea una cricca di dimensione nota a

(2) si applica uno sforzo crescente fino a rottura.


In questo modo si misura Kc, da cui noto E si ricava Gc

 a  Gc E
Meccanismi di propagazione di difetti
cricca ellittica (semiassi b ed a) contenuta in una lastra
sottile sottoposta a carico di trazione 

I difetti di volume (intagli, cricche ecc.) presenti nei materiali

provocano una concentrazione degli sforzi al loro apice.


Applicando uno sforzo nominale s in presenza di una
cricca ellittica di diametro maggiore 2a e diametro minore 2b,
lo sforzo effettivo raggiunge un valore massimo σm in corrispondenza
dell‘apice della cricca, calcolabile per mezzo dell'equazione:

 a se b << a
 m   1  2   m  2
a

 b b
L’ azione di concentrazione degli sforzi diventa minima per
difetti sferici (poro):

 m  3

Se si tiene conto del raggio di curvatura r all'apice del difetto:

 b a 2 si ha:  
 m   1  2  
a
 
se ρ << a

a
 m  2

Lo sforzo nella zona antistante il difetto (fronte della cricca )

varia con la distanza dall'apice della cricca (x):


Per ρ molto piccolo vale la relazione:

 a 
 loc   1  

 2 x 

Per x molto grande (grande distanza dall’apice)  loc  


Per x molto piccolo (in prossimità dell’apice)  loc   m
Ad una distanza xs dall'apice della cricca si può verificare
che lo sforzo raggiunga il valore del carico di snervamento σs

 a K 2 2
xs  
2 s 2 s
2 2

Se si raggiunge la condizione
K  Kc
 a K 2 2
xs   c
2 s 2 s
2 2

xs = profondità della zona deformata plasticamente


Principi di meccanica della frattura:
fattore di concentrazione dello sforzo

Per una criccaellittica di lunghezza 2a e raggio di curvatura t


lo sforzo massimo (m) all’apice della cricca è,
se l’asse maggiore è ortogonale alla
direzione di applicazione del carico (0):

 m  2 0 (
a 1/ 2 m a 1/ 2
t
) Kt   2( )
0 t
Fattore di concentrazione dello sforzo
L’effetto di intensificazione degli sforzi è più
significativo nei materiali fragili vs a quelli duttili.

Nei materiali duttili, infatti la deformazione plastica


porta ad una maggiore distribuzione degli sforzi
all’apice della cricca e, quindi, ad un valore di Kt
minore di quello teorico, cosa che non accade nei
materiali fragili nei quali il fattore è vicino a quello
teorico.

Griffith ipotizzò che tutti i materiali fragili contengono


una popolazione di microcricche con varie
geometrie ed orientazioni.
Tenacità a frattura ( KI c )
o
Fattore di intensità degli sforzi critico

K I c  E 2   aY
Fattore geometrico
numero puro che dipende
dalla geometria del pezzo

Proprietà intrinseche del materiale Condizioni al contorno


E (modulo di Young),  (energia sup. specifica) dimensioni della cricca (a)
carico applicato ()
Tenacità a frattura ( KI c )

2
 K IC 
B  2.5 
 
 y 
(a) Frattura fragile
• zona di deformazione plastica estremamente ridotta
• Kc basso
• σs alto (che impedisce la plasticizzazione all’apice della cricca ed il suo arrotondamento)
superficie di rottura liscia (per effetto della scarsa o assente deformazione plastica)

(b) Frattura duttile


• ampia zona di deformazione plastica
• Gc e Kc elevato
• σs basso
• superficie di rottura rugosa (per effetto della elevata deformazione plastica)
Meccanismo di frattura in materiali duttili
1. deformazione plastica

2. formazione di microvuoti

3. coalescenza dei microvuoti

4. arrotondamento dell'apice della cricca

5. riduzione dell'effetto di concentrazione degli sforzi

Meccanismo ad elevato costo energetico per la deformazione plastica:

Gc elevato Kc elevato
plasticizzazione all’apice della cricca

• coalescenza di microvuoti
• arrotondamento all’apice della cricca
• riduzione dell’effetto di concentrazione
dello sforzo
Teoria di Griffith della frattura fragile
Condizione perché si verifichi la frattura:

rilascio energia elastica


=
energia necessaria a creare due nuove superfici

Si dimostra così che in un materiale fragile lo sforzo critico (s)


richiesto
per la propagazione di una cricca di lunghezza a è dato da:

E (modulo di Young)
 2 E s 
1/ 2
c  
s (sforzo critico)

 a 
a (lunghezza cricca)
s energia superficiale specifica
nel caso di materiali duttili...

Si aggiunge all’energia superficiale specifica (s) il fattore (p)

che tiene conto anche della deformazione plastica associata alla

propagazione di una cricca di lunghezza a.

La formula diventa quindi:

E (modulo di Young)

 2 E ( s   p ) 
s (sforzo critico)
1/ 2
a (lunghezza cricca)  c   
s energia superficiale specifica
 a 
p energia superficiale specifica
relativa alla cricca plasticizzata
Materiali duttili tenacità a frattura (K Ic) elevata

Materiali fragili tenacità a frattura (K Ic) bassa


Transizione duttile-fragile
Alcuni materiali duttili a temperatura ambiente presentano
comportamento fragile al di sotto di una certa temperatura.
Essi sono caratterizzati da una

temperatura di transizione duttile-fragile

Nel caso dei materiali metallici, la ridotta agitazione termica rende più difficile il movimento
delle dislocazioni, innalzando il limite di snervamento.
Schema dei meccanismi di frattura all’apice di una cricca: (a) aspetto macroscopico, nel caso di
un materiale a frattura fragile (ceramica), duttile con zone di deformazione plastica (metallo)
e duttile per microfessurazioni (polimero termoplastico); (b) aspetto microscopico,
rappresentazione schematica della forma della zona di deformazione plastica assente
nel materiale fragile dovuta al movimento delle dislocazioni nei metalli, e risultante
da estensione e da rottura delle catene nei polimeri.
RESILIENZA
Capacità del materiale a resistere a sforzi dinamici

PROVA DI RESILIENZA

Tipi di prove: CHARPY e IZOD

Esecuzione della prova:

Un pendolo con all'estremità un martello di forma opportuna viene fatto cadere da


una data altezza, urta una provetta provvista di intaglio, e risale fino ad una
certa altezza. L'energia utilizzata per rompere la provetta è calcolata dalla differenza
tra l'altezza iniziale del martello e quella di risalita, dopo impatto con la provetta.
Le provette possono avere intaglio a V o ad U.

Misura
La misura dall‘ energia necessaria per rompere il provino per urto è la resilienza.
Le modalità di esecuzione della prova esaltano il
comportamento fragile del materiale

(1) presenza dell'intaglio


=
concentrazione degli sforzi
e
distribuzione triassiale dello sforzo

(2) applicazione dinamica dello sforzo


=
ridotta possibilità
di movimento delle dislocazioni

Effettuando prove a diverse temperature si può trovare la


temperatura di transizione duttile fragile
dimensioni tipiche dei
provini

h0
provino
hf

Charpy

provino

Izod
Risultati della prova d’urto per diverse leghe in
funzione della temperatura di prova.
Comportamento a fatica

Applicazione ripetuta o ciclica dello sforzo che


può causare la rottura del materiale per valori della
sollecitazione anche inferiori al limite di snervamento.

• La frattura è di tipo fragile anche nei metalli duttili !!!


(i.e. ad essa è cioè associata scarsa o nulla deformazione plastica)

•Il processo procede attraverso la formazione e


successiva propagazione di cricche

• Responsabile del 90 % delle fratture di componenti


realizzati in materiale metallico. Importante anche
per ceramici e polimeri.
Esempi di strutture soggette a rottura per fatica:
Valvole cardiache, protesi, articolari, impianti dentali, ponti, aerei, componenti di macchine
Sollecitazione alternata, pulsatoria, casuale

Tipici andamenti della sollecitazione a fatica in funzione dei cicli.


(a) ciclo alternato simmetrico con max e min uguali in valore assoluto,
(b) ciclo pulsatorio con max e min disuguali,
(c) ciclo casuale.
Parametri relativi allo sforzo

 max  min    max   min

 max   min  max   min


m  a 
2 2
 min
R
 max
Prova di fatica
Si eseguono applicando ad una provetta di geometria e dimensioni
standard uno sforzo ciclico
(trazione-compressione, flessione rotante, piegamento alternato)

e costruendo dei diagrammi nei quali si riporta lo sforzo (a)


in funzione del numero di cicli a rottura (N).
Prova di fatica a flessione rotante
Dalla prova di fatica si osservano due comportamenti diversi
per diversi materiali:

(a) materiali caratterizzati da limite di fatica


Esiste uno sforzo al di sotto del quale non avviene rottura per fatica,
qualunque sia il numero di cicli. Il limite di fatica rappresenta il valore di carico massimo
applicabile per evitare la rottura a fatica per un numero infinito di cicli

(b) materiali senza limite di fatica


Il numero di cicli a rottura aumenta progressivamente al diminuire del carico.
acciai e leghe di titanio

leghe non ferrose


alluminio, rame, magnesio...

Risultati di prove di fatica in un diagramma


sforzo applicato-cicli a rottura (-N).
Si può distinguere tra:

(a) fatica in presenza di difetti


(componenti precriccati)

(b1) fatica ad alto numero di cicli


(componenti non precriccati)

(b2) fatica a basso numero di cicli


(componenti non precriccati)
(a) COMPORTAMENTO A FATICA DI COMPONENTI
PRECRICCATI

Parametri relativi allo sforzo

K min  Y min a K max  Y max a

K  K max  K min  Y ( max   min ) a  Y a

K max  K min K max  K min


Km  Ka 
2 2
K min
R
K max
Crescita di una cricca da fatica in componenti pre-criccati.
In queste condizioni la propagazione della cricca di fatica
In base al numero di ciclo è regolata dalla:

legge di Paris

da
 A m

dN
A, m: costanti del materiale

2.5  m  6
σ2> σ1
da
 A m

dN

Velocità di avanzamento di cricche di fatica per componenti precriccati


Velocità di avanzamento della cricca e' data da:

da da dN  da 
  f
dt dN dt  dN 

f = frequenza

La variazione della frequenza non modifica la legge di avanzamento della


cricca ed il numero di cicli a rottura.
Ciò permette l'esecuzione di prove di fatica accelerate.
MECCANISMI DI FATICA

L'avanzamento di una cricca di fatica è sempre legato


alla plasticizzazione del fronte della cricca.

Meccanismo di crescita di cricche da fatica.


(b1) Fatica a basso numero di cicli (σ> σ s):

La cricca di fatica si innesca in seguito alla formazione di


microcricche lungo i piani di scorrimento
(a 45° con la direzione di applicazione del carico)
generate dalla plasticizzazione generale del materiale.

Meccanismo di innesco di cricche nel caso di fatica a basso numero di cicli.


Una volta innescata la cricca si accresce con il meccanismo
descritto nella figura precedente.
(b2) Fatica ad alto numero di cicli (σ < σs):

La cricca si innesca in seguito a plasticizzazione in un punto in cui si ha


una concentrazione degli sforzi in grado di rendere localmente σ>σs.

Innesco di una cricca nel caso di fatica ad alto numero di cicli.


Fattori che influiscono sulla vita a fatica (1)

Sforzo medio
Fattori che influiscono sulla vita a fatica (2)
Effetti superficiali
fattori di progetto

trattamenti superficiali
pallinatura cementazione

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