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A.

GUGLIOTTA

INTRODUZIONE
ALLA MECCANICA
DELLA FRATTURA LINEARE
ELASTICA

COLLANA DI PROGETTAZIONE
E COSTRUZIONE DELLE MACCHINE

LEVROTTOOBELLA
TORINO
INDICE

1 Premessa 1
2 La teoria di Griffith ...4
3 Stato di tensione all'apice del difetto 8
3.1 Lastra piana con difetto a tutto spessore 10
3.2 Lastra piana con due difetti ai lati 12
3.3 Lastra piana con difetto laterale 13
3.4 Trave inflessa con difetto laterale 14
3.5 Provino di trazione CTS 15
3.6 Difetto di tipo ellittico in piastra infinita 16
3.7 Difetto superficiale di tipo ellittico 17
4 Stato di deformazione all'apice del difetto 20
4.1 Raggio plastico 20
4.2 C.O.D - C.T.O.D 25
5 Tenacit alla frattura 27
5.1 Determinazione sperimentale della tenacit alla frattura 28
6 Caratterizzazione dei difetti 36
7 Applicazione della MFLE al progetto e verifica 39
8 Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 49
8.1 Legge di Paris 49
8.2 Effetto della tensione media 57
8.3 Previsione della durata: carico ad ampiezza costante 59
8.4 Previsione della durata: carico ad ampiezza variabile 68
8.5 Schema di integrazione lineare nel caso di carico random 70
Appendice 1 77
Appendice 2 81
Appendice 3 84
Bibliografia 87
INTRODUZIONE ALLA
MECCANICA DELLA FRATTURA
LINEARE ELASTICA
Antonio Gugliotta

1. Premessa
La progettazione classica basata sull'ipotesi che la struttura o l'organo di
macchina siano privi di difetti; il dimensionamento viene normalmente eseguito
verificando che un modulo caratteristico sia minore o uguale di una certa fra-
zione del corrispondente modulo di confronto: la tensione di snervamento o
quella di rottura nel caso statico, il limite di resistenza a fatica nel caso di carichi
variabili, il limite di instabilit nel caso questa possa essere una delle cause del
collasso.
Questo tipo di approccio progettuale si per rivelato inadeguato nel caso di
alcune inesplicabili rotture di strutture e/o componenti assoggettati a carichi di
esercizio anche ben inferiori a quelli di progetto.
Alcuni di questi cedimenti furono probabilmente dovuti ad una progettazione
insufficiente, ma nella maggior parte dei casi i risultati delle analisi delle rotture
indicarono che il cedimento ebbe inizio in corrispondenza di saldature e che
molte di esse presentavano difetti o discontinuit. Prove di resilienza mostrarono
anche che i materiali utilizzati avevano un comportamento fragile alle tempera-
ture di esercizio.
L'interesse nei confronti del problema del cedimento per frattura fragile
crebbe soprattutto nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, quando
si ebbero numerosi cedimenti di strutture, in gran parte saldate: circa 140 delle
2500 navi di tipo Liberty costruite in quel periodo si ruppero in due e molte altre
furono soggette a rotture irreparabili; tra gli altri casi si ricordano quelli degli
aerei Comet (cedimenti a causa di cricche da fatica iniziatesi da fori per rivetti in
vicinanza dei finestrini), di serbatoi in pressione, di ponti, etc. Anche in questi
casi i cedimenti avvennero a livelli di tensione ben al di sotto di quelli di pro-
getto (alcune delle navi Liberty si ruppero in due mentre erano ormeggiate in
porto).
2 1. Premessa

Il problema della frattura fragile emerse anche in concomitanza dell'utilizzo


di materiali a pi alta resistenza, ma a pi bassa resilienza, ed alla maggior sofi-
sticazione dei metodi di calcolo che permettono una analisi pi accurata dello
stato di tensione e quindi l'utilizzo di coefficienti di sicurezza pi piccoli. In tal
modo le tensioni di esercizio possono raggiungere livelli tali da rendere possibili
rotture di tipo fragile, specie se sono presenti zone di concentrazione di tensione
o cricche iniziali.
E' ormai comunemente accettato che nella strutture o componenti di mac-
chine siano presenti dei difetti o discontinuit (di varia origine: lavorazioni, sal-
dature, etc. e che questi possono propagarsi, sotto l'azione dei carichi, ad alta o
bassa velocit. Nel primo caso si parler di rottura fragile; nel secondo si potr
avere rotture duttile o propagazione per fatica del difetto con successiva rottura
fragile o duttile.
La Meccanica della frattura, supponendo che all'interno della struttura siano
presenti dei difetti, permette di valutare in termini quantitativi sia la rilevanza
del difetto sia il periodo di crescita stabile del difetto stesso.
Le origini della Meccanica della frattura si possono far risalire ad un lavoro
di Griffith (1921), il quale utilizz un approccio energetico per spiegare il com-
portamento a frattura del vetro; in seguito questa teoria fu estesa da Orowan e
Irwin (1948) per tener conto della zona plastica all'apice della cricca, e svilup-
pata in forma organica da Irwin (1957) con l'introduzione del concetto di fattore
di intensificazione delle tensioni. Si arriv cos alla definizione della Meccanica
della frattura lineare elastica.
Pi recentemente (1968) Rice e altri hanno sviluppato le teorie della Mecca-
nica della frattura elasto-plastica per l'interpretazione di rotture di tipo duttile.
Nel frattempo (Paris, 1964) sono stati sviluppati metodi per analizzare la cre-
scita del difetto sotto l'azione di carichi variabili per poter prevedere, con una
certa approssimazione, il periodo di vita della struttura.
Va sottolineato, a questo punto, che l'approccio basato sulla teoria della Mec-
canica della frattura non ha sostituito le procedure classiche di progettazione, ma
ne e ne deve essere un complemento in quei casi dove sono importanti motivi
di sicurezza ed economici.
In quanto segue ci si soffermer solo sulla teoria ed applicazioni della Mec-
canica della frattura lineare elastica.
Le numerose ricerche condotte in questo campo hanno mostrato che, sebbene
siano numerosi i fattori che possono influenzare il fenomeno della frattura: tem-
peratura, tensioni residue, velocit di applicazione del carico, etc., il fenomeno
1. Premessa 3

pu essere analizzato mediante i seguenti tre parametri principali, i quali a loro


volta potranno variare in funzione di parametri secondari:
a) dimensioni del difetto o cricca, a;
b) stato di tensione, :
c) tenacit alla frattura, Kc, KIc, Kd,
La meccanica della frattura lineare elastica, utilizzando strumenti propri della
meccanica del continuo, permette di correlare l'intensit e la distribuzione delle
tensioni nell'intorno dell'apice del difetto alla tensione nominale ed alle dimen-
sioni, forma ed orientazione del difetto.
Irwin, basandosi su di un metodo sviluppato da Westergaard, formul le
equazioni che descrivono lo stato di tensione nell'intorno dell'apice del difetto.
Dall'esame delle equazioni si deduce che la distribuzione delle tensioni in pros-
simit dell'apice del difetto invariante in tutti i componenti strutturali soggetti
allo stesso tipo di deformazione e che l'intensit del campo di tensioni pu
essere descritto da un singolo parametro detto fattore di intensificazione delle
tensioni e indicato con KI, KII, KIII a seconda del tipo di deformazione.
Di conseguenza la sollecitazione applicata, la forma, dimensione e orienta-
zione del difetto e la configurazione strutturale del componente influenzeranno
il valore del fattore di intensificazione delle tensioni, ma non altereranno la
distribuzione delle tensioni.
L'uso di questo concetto ha il grande vantaggio che le propriet del materiale
in presenza di un difetto possono essere misurate in termini di valore critico del
fattore di intensificazione delle tensioni, detto tenacit alla frattura.
Ne risulta che si ha rottura quando il fattore di intensificazione delle tensioni,
calcolato a partire dalle dimensioni del difetto e dalla tensione nominale appli-
cata, maggiore o uguale al valore della tenacit alla frattura, caratteristica del
materiale. E' ovvio che le condizioni fisiche al contorno (temperatura, velocit
di deformazione, etc. devono essere le stesse).
La tenacit alla frattura pu essere definita come l'abilit del materiale di
deformarsi plasticamente o di assorbire energia in presenza di un intaglio e
viene generalmente indicata con KIc in condizioni di stato di deformazione
piano.
Oltre a fattori metallurgici, la tenacit alla frattura dipende dalla temperatura,
dallo stato di tensione all'apice del difetto, dalla velocit di deformazione. Ci si
riferisce generalmente a Kc in condizioni di stato di tensione piano e a KId in
condizioni di stato di tensione piano e carico dinamico.
4 2. La teoria di Griffith

2. La teoria di Griffith

La prima analisi del comportamento a frattura di componenti strutturali con-


tenenti difetti acuti fu sviluppata da Griffith nel 1921.
Si consideri una lastra di larghezza infinita e di spessore unitario contenente
un difetto a tutto spessore di lunghezza 2a e soggetta ad un carico di trazione
uniformemente distribuito (figura 1).

figura 1 : Lastra di larghezza infinita con difetto centrale

L'energia potenziale elastica del sistema pu essere scritta come:

(1)
con:
U : energia potenziale elastica,
U0 : energia potenziale elastica della lastra priva di difetto,
Ua : decremento di energia potenziale elastica dovuta all'introduzione del difetto
nella lastra,
U : incremento di energia superficiale elastica dovuta alla formazione delle
superficie del difetto.
La condizione di equilibrio rispetto all'estensione del difetto ottenuta ugua-
gliando a zero la derivata prima dell'energia totale rispetto alla lunghezza del
difetto:

(2)
2. La teoria di Griffith 5

ovvero, essendo U0 indipendente da a:

(3)

Griffith, utilizzando l'analisi dello stato di tensione sviluppata da Inglis, calcol,


nel caso di una lastra di larghezza infinita con un difetto largo 2a:

(4)

In stato di tensione piano:

(5)

e nel caso di difetto con un solo apice:

Il termine G detto strain energy-release rate, cio energia di deformazione ela-


stica liberata per unit di avanzamento del difetto.
Il termine a secondo membro della (3) rappresenta la resistenza del materiale
all'avanzamento del difetto ed generalmente indicato con R.

(7)

Per materiali fragili R pu essere considerata costante (l'energia richiesta per


produrre un avanzamento da del difetto per decoesione dei legami atomici, la
stessa per ogni incremento da). In tal caso l'energia superficiale elastica relativa
alla creazione di nuove superficie di frattura uguale al prodotto dell'energia
superficiale e del materiale per l'area delle superficie di frattura; per un difetto
con un solo apice si ha:

(8)
6 2. La teoria di Griffith

(9)

La figura 2 mostra l'andamento qualitativo delle energie in funzione della lar-


ghezza 2a del difetto:

figura 2: Energie potenziali elastiche in funzione della dimensione del difetto

Per avere propagazione del difetto si deve quindi avere, nel caso di stato di
tensione piano:
(10)

(11)

(12)
e, in stato di deformazione piano:

(13)
Dalle (12) e (13) si nota che, essendo le caratteristiche del materiale E e e
delle costanti, si ha la propagazione del difetto quando il prodotto raggiunge un
valore critico.
2. La teoria di Griffith 7

Il valore critico caratteristico del materiale pu essere determinato sperimen-


talmente
KIc. ed indicato con Kc o, in condizioni di stato di deformazione piano, con

Irwin e Orowan (1948) notarono che l'energia richiesta per la propagazione


di un difetto nei metalli era pi grande dell'energia superficiale necessaria per
creare superficie libere; ci dovuto alla presenza di una zona plastica all'apice
del difetto. Essi suggerirono quindi che il criterio di frattura sviluppato da Grif-
fith per materiali fragili potesse essere modificato per tener conto di una piccola
deformazione plastica all'apice del difetto. L'eq. (11) fu modificata in tal senso:

(14)

essendo p l'energia corrispondente alla deformazione plastica all'apice del


difetto. La resistenza all'avanzamento R costante se l'energia necessaria alla
formazione della zona plastica la stessa per ogni incremento da del difetto:
questo ci che si verifica in prima approssimazione nel caso di stato di defor-
mazione piano. Anche in tal caso si ha quindi propagazione quando G raggiunge
un valore critico GIc:

(15)

ovvero:

(16)
8 3. Stato di tensione all'apice del difetto

3. Stato di tensione all'apice del difetto

La Meccanica della frattura lineare elastica si basa sulla conoscenza dei


campi di tensione, deformazione e spostamenti nell'intorno dell'apice del difetto
che si ipotizza con raggio di fondo infinitesimo. L'analisi dello stato di tensione
si basa sulle equazioni introdotte da Westergaard, le quali distinguono tre modi
di separazione delle superficie del difetto (figura 3).

figura 3 : Modi di separazione delle superficie del difetto

Il modo I (modo di apertura o opening mode) caratterizzato da deforma-


zioni locali che sono simmetriche rispetto ai piani x-y e x-z. Tale modo quello
che generalmente si incontra in fratture fragili di componenti in condizioni di
stato di deformazione piano. Nel modo II(modo di scorrimento o sliding o shear
mode) le deformazioni sono simmetriche rispetto al piano x-y e antisimmetriche
rispetto al piano x-z; Le due superficie di frattura scorrono l'una sull'altra in
direzione perpendicolare alla linea definita dall'apice del difetto. Nel modo III
(modo di lacerazione o tearing mode) le deformazioni sono antisimmetriche
rispetto ai piani x-y e x-z; le due superficie di frattura scorrono l'una sull'altra in
direzione parallela alla linea definita dal fronte del difetto. E' raramente riscon-
trato nel fenomeno di frattura dei materiali metallici.
Le equazioni che descrivono il campo delle tensioni nell'intorno dell'apice
del difetto sono riportate in tabella 1 ; la figura 4 illustra il sistema di riferimento
(r, ) utilizzato e le relative componenti delle tensioni, inoltre v il coefficiente
di Poisson. Le equazioni relative ai modi I e II rappresentano il caso di stato di
deformazione piano e inoltre trascurano i termini di ordine elevato; a causa di
ci esse sono valide quando r piccolo rispetto alla lunghezza del difetto.
Riferendosi al modo I, anche perch quello che pi frequentemente si
riscontra, le equazioni di tabella 1 si possono riassumere nella formula di carat-
tere generale:
3. Stato di tensione all'apice del difetto 9

(17)

Tabella 1: Stato di tensione all'apice del difetto


10 3. Stato di tensione all'apice del difetto

figura 4: Stato di tensione all'apice del difetto

Dalla (17) si nota che la distribuzione delle tensioni nell'intorno dell'apice


del difetto invariante in tutti i componenti soggetti al modo I di deformazione;
l'intensit del campo pu quindi essere caratterizzata da un solo parametro, KI,
fattore di intensificazione delle tensioni. Analogo risultato si ottiene per i modi
II e III di deformazione, avendosi rispettivamente i parametri KII e KIII.
L'analisi dimensionale della (17) indica che il fattore di intensificazione delle
tensioni deve essere direttamente proporzionale alla tensione nominale ed alla
radice quadrata di una lunghezza caratteristica. In base ad analisi condotte da
Griffith su strutture in vetro contenenti difetti ed a successive estensioni a mate-
riali pi duttili, si trovato che tale lunghezza caratteristica la lunghezza del
difetto. In forma del tutto generale il fattore di intensificazioni delle tensioni pu
quindi essere espresso dalla relazione:

(18)
dove Y un fattore di forma adimensionale dipendente dalla geometria del
sistema, dalla forma del difetto e dal tipo del carico, la tensione nominale
agente in direzione normale al difetto e a la dimensione caratteristica del
difetto.
Di seguito sono descritti i casi pi comuni di componenti strutturali soggetti al
modo I di deformazione.

3.1 Lastra piana con difetto a tutto spessore


Per una lastra soggetta ad una sollecitazione uniforme di trazione conte-
nente un difetto di lunghezza 2a (figura 5) si ha, nel caso di a/w 1 (larghezza
infinita):
3. Stato di tensione all'apice del difetto 11

(19)

figura 5: Lastra di larghezza infinita con difetto centrale

Ricordando dall'eq. (6) che la strain energy-release rate G, in stato di deforma-


zione piano, data da:

(20)

si ha:

(21)

Nel caso di lastra di larghezza finita w si ha:

(22)
dove Y il coefficiente di forma, una prima soluzione approssimata per Y
dovuta a Westergaard, Irwin, Koiter, e ricavata dall'analisi dello stato di ten-
sione di una lastra di larghezza infinita con difetti collineari e ugualmente spa-
ziati di un passo pari a w:

(23)
12 3. Stato di tensione all'apice del difetto

Feddersen ha proposto una diversa formulazione approssimata sulla base della


soluzione di Isida:

(24)

La figura 6 illustra l'andamento del coefficiente di forma in funzione di 2a/w per


le formulazioni di Irwin e Feddersen.

figura 6: Coefficienti di forma per lastre di larghezza finita con difetto centrale

3.2 Lastra piana con due difetti ai Iati


Per una lastra soggetta ad una sollecitazione uniforme di trazione a conte-
nente due difetti laterali di lunghezza a (figura 7) si ha, nel caso di a/w 1 (lar-
ghezza infinita):

(25)

Nel caso di lastra di larghezza finita w:


3. Stato di tensione ali apice del dirette 13

(26)

con

figura 7: Lastra di larghezza infinita con difetti laterali

3.3 Lastra piana con difetto laterale

figura 8: Lastra di larghezza infinita con un difetto laterale


14 3. Stato di tensione all'apice del difetto

Per una lastra soggetta ad una sollecitazione uniforme di trazione conte-


nente un difetto laterale di lunghezza a (figura 8) si ha, nel caso di a/w 1 (lar-
ghezza infinita):

(27)

Nel caso di lastra di larghezza finita w:

(28)

con

3.4 Trave inflessa con difetto laterale


Per una trave inflessa soggetta ad un momento flettente M (figura 9), si ha:

(29)

figura 9: Trave inflessa con difetto laterale

a/w 0.05 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6


Y 0.36 0.49 0.60 0.66 0.69 0.72 0.73

Per una trave di spessore B, soggetta ad un carico concentrato P nella mezze-


ria (figura 10), si ha:
3. Stato di tensione all'apice del difetto 15

(30)

figura 10: Trave inflessa con difetto laterale

3.5 Provino di trazione CTS.


Per un provino CTS (Compact Tension Specimen) (figura 11) si ha:

figura 11 : Provino CTS


16 3. Stato di tensione all'apice del difetto

(31)

3.6 Difetto di tipo ellittico in piastra infinita

figura 12: Difetto ellittico in piastra di larghezza infinita

Molti difetti riscontrati in pratica sono spesso situati sulle facce laterali o
sugli spigoli del manufatto; essi tendono ad accrescersi verso l'interno ed assu-
mere forme semiellittiche o di quarto d'ellisse (surface flaws e corner cracks). A
causa di questa loro importanza il problema dei difetti di tipo ellittico stato
ampiamente trattato in letteratura. Irwin, basandosi su uno studio di Green e
Sneddon, ricav la formulazione del fattore di intensificazione degli sforzi per
un difetto ellittico all'interno di un corpo infinito soggetto a sollecitazione di tra-
zione; con le notazioni di figura 12, KI dato da:

(32)

dove l'integrale ellittico di seconda specie:


3. Stato di tensione all'apice del difetto 17

(33)

Per difetti circolari (a = c) la (23) diviene:

(34)

Per c = e = /2 l'eq. (32) si riduce alla (19) per difetto a tutto spessore
in lastra piana. I valori di possono essere calcolati in modo approssimato
mediante l'espansione in serie:

(35)

Per a/c tendente a zero il terzo termine della serie pu essere trascurato:

(36)

3.7 Difetto superficiale di tipo ellittico


L'eq. (32) pu essere applicata, con piccole modifiche, al caso di un difetto
ellittico superficiale (figura 13).
Il valore del fattore di intensificazione delle tensioni varia lungo il fronte del
difetto; il massimo si ha sull'asse minore = /2 :

(37)

e il valore minore sull'asse maggiore = 0 :

(38)
18 3. Stato di tensione all'apice del difetto

figura 13: Difetto ellittico superficiale

Normalmente a queste espressioni sono applicate due correzioni: la prima per


tener conto del fatto che il difetto superficiale, la seconda per tener conto della
zona plastica. L'espressione finale per il valore massimo di KI la seguente:

(39)

dove Q, fattore di forma, dato da:

(40)

con a tensione nominale e S tensione di snervamento. I valori di Q sono ripor-


tati, per vari valori di /S, in figura 14 in funzione del rapporto a/2c.
Infine una terza correzione si rende spesso necessaria per tener conto di forme
molto appiattite di difetti; l'eq. (39) diviene perci:

(41)

dove Mk, fattore di correzione dovuto a Kobayashi et al., dato in forma grafica
dalla figura 14, avendo indicato con B lo spessore del componente.
3. Stato di tensione all'apice del difetto 19

figura 14: Fattori di correzione per difetto ellittico


20 4. Stato di deformazione all'apice del difetto

4. Stato di deformazione all'apice del difetto

4.1 Raggio plastico


L'eq. (11) mostra che nell'intorno dell'apice del difetto, dove r a, le tensioni
sono molto elevate, al limite infinite per r tendente a zero. In realt questo non
pu succedere poich il materiale subisce deformazioni plastiche per valori di
tensione superiori alla tensione di snervamento. Nell'intorno dell'apice del
difetto si dovr quindi presupporre una regione plasticizzata.

figura 15: Stato di tensione all'apice del difetto

La figura 15 rappresenta l'andamento della tensione y lungo l'asse x


( = 0 ) :

(42)

In tal caso le tensioni y e x sono tensioni principali ed in prima approssi-


mazione la zona plastica pu essere considerata di forma circolare il cui raggio
rp* pu essere ottenuto dalla (42), trattando il problema in condizioni di stato di
tensione piano e ponendo il valore di y uguale al valore della tensione di sner-
vamento s :

(43)
4. Stato di deformazione all'apice del difetto 21

e per un difetto passante in una lastra di larghezza infinita

(44)

In realt la zona plastica dovr essere pi grande di quella definita da rp*;


infatti la quota parte di carico corrispondente all'area tratteggiata (al di sopra
della tensione di snervamento) dovr essere equilibrata mediante una diversa
distribuzione delle tensioni. A tale scopo Irwin ha suggerito quanto segue: in
presenza di una zona plastica il difetto si comporta come se fosse caratterizzato
da una dimensione effettiva a e f f pi grande della sua dimensione fisica a di una
quantit incognita :
(45)

figura 16: Stato di tensione all'apice del difetto

La figura 16 illustra le condizioni relative al difetto effettivo: anche in tal caso la


tensione y non potr superare il limite di snervamento s e la dimensione
della zona plastica corrispondente al difetto lungo aeff. Il valore di pu essere
determinato in modo analogo a quanto fatto per rp*; si ha, con
22 4. Stato di deformazione all'apice del difetto

(46)

da cui, essendo 8 a:

(47)

Il campo di tensione nell'intorno dell'apice del difetto fisico (area delimitata da


) anch'esso limitato dalla tensione di snervamento s. Per l'equilibrio del
sistema la distanza 8 deve essere grande abbastanza da controbilanciare la parte
di carico corrispondente all'area A. L'area A deve essere quindi uguale all'area
B, quest'ultima vale:
(48)

e l'area A:

(49)

con:

(50)

Si ha quindi:

(51)

ed essendo a e = rp* :

(52)

La condizione A = B :

(53)
4. Stato di deformazione all'apice del difetto 23

(54)

essendo Risolvendo l'equazione di 2 grado si ottiene:

(55)

(56)

Tutto ci valido nel caso di stato di tensione piano in cui z = 0 e le condizioni


di snervamento si raggiungono quando y = s.
Nel caso di stato di deformazione piano, all'apice del difetto si ha:

(57)

e le condizioni di snervamento (secondo l'ipotesi della tensione tangenziale mas-


sima) si hanno quando:
(58)

(59)

(60)

In condizioni di stato di deformazione piano la tensione di snervamento effettiva


quindi tre volte pi grande del corrispondente valore in stato di tensione piano:
ci a causa dei vincoli elasto-plastici dovuti a z = 0. Il raggio plastico rIp* cor-
rispondente :

(61)

In realt non possibile riscontrare uno stato di deformazione piano puro


poich in corrispondenza delle superficie libere si ha uno stato di tensione piano
24 4. Stato di deformazione all'apice del difetto

(Z = 0); di conseguenza la tensione di snervamento effettiva in un componente


in prevalente stato di deformazione piano sar pi piccola di 3s Irwin ha sti-
mato un fattore pari a Si ha quindi:

(62)

Per conoscere la forma della zona plastica bisogna calcolare le dimensioni


del raggio plastico per 0 confrontando la tensione equivalente (secondo
l'ipotesi di Von Mises o della tensione tangenziale massima) con le condizioni di
snervamento (in stato di tensione piano o deformazione piano).
In un componente spesso con difetto si hanno condizioni di stato di deforma-
zione piano nella porzione centrale del fronte della cricca, dove lo spostamento
secondo z nullo, e condizioni di stato di tensione piano vicino le superficie
libere, dove Z = 0. Quindi la regione plastica varia lungo il fronte della cricca
essendo pi piccola nella zona centrale e pi estesa nelle zone vicine alle super-
ficie libere. La figura 17 illustra schematicamente la zona plastica all'apice del
difetto.
La presenza di una regione plastica troppo estesa rende non pi valide le ipo-
tesi di base della Meccanica della frattura lineare-elastica: in particolare il
campo di tensioni all'apice del difetto non pu pi essere descritto dall'eq. (17).
Irwin ha mostrato come tale formulazione possa essere ancora utilizzata,
mediante opportuna correzione, purch la zona plastica sia piccola rispetto alle
dimensioni caratteristiche del difetto, cio che rp* sia al massimo qualche per-
cento della lunghezza a del difetto.
La correzione consiste nell'aumentare la lunghezza del difetto di un valore
pari al raggio della zona plastica; viene cos introdotto il concetto di difetto equi-
valente di lunghezza pari a 2(a + rp*) . Il fattore di intensificazione delle ten-
sioni (eq. (18)), diventa quindi:

(63)

E' da notare che la (63) richiede una soluzione iterativa, dal momento che Kj
dipende da rp* che a sua volta funzione di KI.
4. Stato di deformazione all'apice del difetto 25

figura 17: Zona plastica all'apice del difetto

4.2 C.O.D - C.T.O.D.


E' anche interessante conoscere lo spostamento COD dei bordi del difetto
(C.O.D.: Crack Opening Displacement). Nel caso illustrato in figura 18 si ha:

(64)

Al centro del difetto (x = 0) il COD raggiunge il valor massimo:

(65)
26 4. Stato di deformazione all'apice del difetto

figura 18: C.O.D.

Il risultato fornito dalla (64) per x = a (COD = 0) non corretto in presenza di


una zona plastica in quanto l'apertura all'apice del difetto fisico (CTOD: Crack
Tip Opening Displacement) diversa da zero. Applicando la correzione plastica
al COD si ottiene:

(66)

e, per x = a:

(67)
5. Tenacit alla frattura 27

5. Tenacit alla frattura


Come gi specificato in 1 la tenacit alla frattura il valore critico del fattore
di intensificazione delle tensioni in corrispondenza del quale il difetto si propaga
in modo instabile senza che vi sia contributo di energia dall'esterno.
La tenacit alla frattura, generalmente indicata con Kc, dipende essenzial-
mente da tre variabili principali: lo spessore del componente strutturale, la tem-
peratura e la velocit di applicazione del carico.

figura 19: Tenacit alla frattura in funzione dello spessore

figura 20: Tenacit alla frattura in funzione della temperatura


28 5. Tenacit alla frattura 28

La figura 19 mostra l'andamento qualitativo della tenacit alla frattura in fun-


zione dello spessore del componente strutturale. Il valore della tenacit alla frat-
tura Kc diminuisce all'aumentare dello spessore sino ad un valore limite,
indicato con KIc, corrispondente ad uno stato di deformazione piano.
La figura 20 mostra l'andamento qualitativo della tenacit alla frattura in fun-
zione della temperatura e della velocit di applicazione del carico.
La tenacit alla frattura aumenta all'aumentare della temperatura, mostrando
una zona di transizione. Analogo effetto si ha con l'aumentare della velocit di
carico; in tal caso viene definito un valore dinamico della tenacit alla frattura,
KId.

5.1 Determinazione sperimentale della tenacit alla frattura


La determinazione della tenacit alla frattura viene eseguita mediante prova
di flessione su tre punti o di trazione su provette intagliate meccanicamente e
prefessurate per fatica all'apice dell'intaglio. L'intaglio ottenuto per lavorazione
meccanica pu essere sia ad angolo retto che a freccia (Chevron). La provetta
viene quindi sottoposta a carico crescente di flessione (o di trazione) e viene
registrato l'andamento del carico in funzione dell'apertura dell'intaglio. Si deter-
mina il valore del carico all'inizio della propagazione instabile della fessura e,
mediante opportuna formula, si ricava quindi il valore probabile KQ della tena-
cit alla frattura.
Le specifiche delle prove sperimentali standard e le procedure da seguire
sono indicate in diverse normative (ASTM E399-83, BS 5447, UNI 7969).

a) Dimensioni della provetta


L'accuratezza con la quale KIc descrive il comportamento a frattura dipende
da quanto il fattore di intensificazione delle tensioni sia rappresentativo delle
condizioni di tensione e deformazione all'interno della zona interessata al pro-
cesso di frattura (apice del difetto). In tal senso il KIc esatto solo nel caso di
deformazione plastica nulla, cosa che si ha in un materiale completamente fra-
gile quale il vetro. Per i materiali strutturali di uso corrente, che esibiscono un
comportamento plastico, il Klc considerato una caratteristica intrinseca del
materiale se la zona plastica all'apice del difetto piccola in relazione alle
dimensioni del difetto stesso in modo da non alterare la distribuzione dello stato
di tensione elastico.
Questo comporta che le dimensioni del provino per la determinazione di KIc
5. Tenacit alla frattura 29

devono essere tali da garantire un prevalente stato di deformazione piano


all'apice del difetto cos che l'effetto della zona plastica su KIC pu essere trascu-
rato.
Le dimensioni fondamentali da considerare sono: la lunghezza a del difetto,
lo spessore B e la larghezza w del provino. Per garantire un prevalente stato di
deformazione piana lo spessore deve essere un multiplo delle dimensioni della
zona plastica; simile criterio deve essere adottato per le dimensioni del difetto.
Le norme ASTM e UNI prevedono i seguenti valori:

(68)
Lo spessore del provino risulta quindi circa 50 volte il raggio della zona plastica
(in condizioni di stato di deformazione piano):

(69)

Dalle (68) si nota che bisogna stimare un valore di KIC prima della prova al fine
di ottenere le dimensioni richieste del provino. Si conduce quindi la prova e si
determina un valore candidato di KIC, indicato con KQ. Si controlla quindi che le
condizioni (68) siano soddisfatte e, in caso positivo la prova viene considerata
valida ed il valore candidato KQ il KIC ricercato.

b) Procedimento d prova
Il procedimento di prova pu essere suddiviso nei seguenti passi:
1) Determinare le dimensioni del provino sulla base di una stima del valore di
KIC ottenuta dall'esperienza con materiali simili e/o da deduzioni basate su
altri tipi di prove di tenacit. In assenza di elementi per una stima sufficiente-
mente approssimata di KIC la scelta delle dimensioni pu essere basata sulla
Tabella 2: (UNI 7969):
30 5. Tenacit alla frattura 30

Tabella 2: spessore delle provette

Spessore minimo
os/E
raccomandato B [mm]
0.0050 - 0.0057 75
0.0057 - 0.0062 63
0.0062 - 0.0065 50
0.0065 - 0.0068 44
0.0068 -0.0071 38
0.0071 -0.0075 32
0.0075 - 0.0080 25
0.0080 - 0.0085 20
0.0085 -0.0100 12.5
>0.0100 6.5

2) Selezionare il tipo di provetta. I modelli standard sono due: il provino per


flessione su tre punti ed il provino compatto di trazione CTS (figure 21 e 22).

figura 21: Provino di flessione su tre punti


5. Tenacit alla frattura 31

figura 22: Provino CTS

La lunghezza iniziale del difetto a deve essere circa 0.45w. Le espressioni per
il calcolo del fattore di intensificazione delle tensioni sono, per il provino di
flessione su tre punti:

(70)

e per il provino CTS:

(71)

Queste espressioni sono valide solo per 0.45 < a/w < 0.55, che copre la mag-
gior parte delle dimensioni di difetti nei provini standard. Srawley ha propo-
sto altre espressioni per il fattore di intensificazione delle tensioni: per il
provino di flessione su tre punti (valido per l'intero campo di a/w):
32 5. Tenacit alla frattura

(72)

e per il provino CTS (valido per 0.2 < a/w < 1):

(73)

3) prefessurare per fatica il provino in modo da simulare un difetto


piano ideale con un raggio nullo all'apice (figura 23).
Le dimensioni dell'estensione per fatica devono essere al minimo 0.05w al
fine di eliminare ogni effetto della geometria dell'intaglio meccanico.
Il valore massimo di KI durante il ciclo di fatica (Kfmax) deve essere minore
di 0.6 KQ poich se la zona plastica dovuta ai cicli di fatica risulta prevalente
rispetto alle condizioni di prova l'accrescimento per fatica del difetto pu
significativamente condizionare i successivi risultati della frattura e quindi la
misura della tenacit a frattura.

figura 23: Intaglio e fessura di fatica nel provino

4) Eseguire la prova e registrare l'andamento del carico P in funzione dell'aper-


tura dell'intaglio. Una descrizione schematica delle possibili curve illu-
strata in figura 24.
5. Tenacit alla frattura 33

figura 24: Diagrammi carico - apertura dell'intaglio

Per calcolare KQ occorre conoscere il carico PQ all'inizio della propagazione


instabile del difetto e la dimensione del difetto stesso.
Come si nota dalle curve di figura 24 le curve denunciano un comportamento
non perfettamente elastico ma mostrano un certo grado di non linearit. Per la
determinazione di PQ si utilizza il metodo basato sulla secante offset, con un
valore di offset pari al 5%: si traccia una linea secante dall'origine con una
pendenza del 5% minore della tangente al tratto lineare della curva e si indi-
vidua un carico P5 corrispondente all'intersezione della secante con la curva
registrata dall'esperimento.
Il carico PQ si definisce uguale a P5 o a qualsiasi carico pi elevato che pre-
ceda sul diagramma il punto P5. Per assicurare la validit della prova e cio
che la deviazione dalla linearit sia dovuta non solo a deformazione plastica,
ma ad una effettiva propagazione del difetto, occorre inoltre verificare che
Pmax/PQ <1.10, dove Pmax il carico massimo raggiunto nella prova.
La dimensione del difetto viene calcolata come media delle misure in tre
punti equidistanti nella sezione di rottura (figura 25). La prova non conside-
rata valida se lo scarto tra le tre misure ed il valor medio maggiore del 5% o
se lo scostamento tra la dimensione del difetto in corrispondenza delle super-
ficie esterne ed il valor medio maggiore del 10%.
34 5. Tenacit alla frattura

figura 25: misura della dimensione del difetto.

5) Calcolare KQ secondo le (70)-(71) e verificare che:

(74)

Se le (74) sono soddisfatte allora KIc = KQ, altrimenti necessario utilizzare


un provino pi spesso per determinare KIc. Il valore di KQ pu essere utiliz-
zato per stimare le dimensioni del nuovo provino.
Il valore di KIc ottenuto deve essere sempre accompagnato dai dati relativi
alla prova: temperatura, velocit di applicazione del carico, tipo e spessore
della provetta, tensione di snervamento, direzione del prelievo della provetta,
etc.
Si gi detto che se le condizioni (74) sono rispettate il valore di KIc determi-
nato una costante del materiale. Se questi criteri non sono rispettati, o non
possibile rispettarli, a causa del limitato spessore B allora il KQ calcolato non
una costante del materiale, ma rappresenta sempre la misura della tenacit alla
frattura di una piastra di quel determinato spessore (invece il valore di KQ non
di grande utilizzo se le dimensioni del difetto sono piccole).
D'altra parte se una struttura non rientra nelle condizioni di stato di deforma-
zione piano a causa dello spessore insufficiente, la sua resistenza alla frattura
non determinata da KIc. In tal caso la tenacit reale maggiore di KIc, e l'uso
di KIc per tale struttura porta a stime conservative di lunghezza critica del difetto
o di resistenza residua.
La tabella 3 elenca i valori di KIc per alcuni materiali.
5. Tenacit alla frattura

Tabella 3 : Tensione di snervamento e tenacit alla frattura per alcuni


materiali. (Temperatura ambiente)

Unit di conversione:
1 ksi = 6.8947 MPa = 0.7028 kg/mm 2
1 MN/m 3 / 2 = 3.22 kg/mm 3 / 2 = 3.22 N / m m 3 / 2 = 0.91 ksi in 1 / 2
1 kg/mm 3 7 2 = 0.31 MN/m 3 / 2 = 0.283 ksi in 1 / 2
1 ksi i n 1 / 2 = 1.099 MN/m 3 7 2 = 34.75 N/mm 3 / 2 = 3.54 kg/mm 3 / 2
36 6. Caratterizzazione dei difetti

6. Caratterizzazione dei difetti


L'applicazione della Meccanica della Frattura richiede la conoscenza del tipo
di difetto presente nella struttura (forma, dimensioni ed orientazione rispetto al
carico) per poter determinare la relazione necessaria alla valutazione delle con-
dizioni critiche.
Nella fase di costruzione o di servizio del componente, informazioni di tal
genere sono ricavabili da prove non distruttive; generalmente per i difetti rile-
vati presentano una forma geometrica non sempre univocamente definibile e
correlabile alle forme geometriche semplici a cui fanno riferimento le formule
per il calcolo del fattore di intensificazioni delle tensioni KI
E' necessario quindi formulare delle ipotesi per ricondurre i difetti riscontrati
a difetti equivalenti, con geometrie e orientazione ben definiti. A titolo di esem-
pio le norme ASME (sez. XI, relative ai codici di progettazione ed ispezione di
recipienti in pressione) prevedono quanto illustrato nella figura 26.

figura 26: Difetti "equivalenti"

Analoghe procedure sono prescritte da altre normative, ad esempio quelle di


tipo aeronautico.
6. Caratterizzazione dei difetti 37

E' inoltre da tener presente che qualora l'esame con tecniche non distruttive
non evidenzi alcun difetto, si deve ipotizzare esistente un difetto le cui dimen-
sioni siano pari alla sensibilit del metodo adottato.
In fase di progetto le caratteristiche del difetto ipotizzato presente nel compo-
nente o struttura sono in generale dettate da normative; in mancanza di esse si
dovr far riferimento ad informazioni relative a componenti simili.
Nel caso, ad esempio di strutture aeronautiche o aerospaziali, si richiede di
considerare diverse tipologie di difetti (figura 27) le cui dimensioni sono specifi-
cate in funzione del tipo di tecnica non distruttiva da utilizzare poi nella ispe-
zione del componente. In tal senso le prove non distruttive sono suddivise in due
grosse categorie: prove non distruttive standard (liquidi penetranti, raggi X,
ultrasuoni, etc.) e prove non distruttive speciali.

figura 27: Alcune tipologie di difetti

E' anche richiesto che i difetti possano essere rilevati con il 90% di probabi-
lit ed il 95% di confidenza; chiaramente le dimensioni del difetto ipotizzato
risulteranno pi grandi se verranno utilizzate tecniche standard; se, per ragioni
progettuali, si vuole o si deve ipotizzare un difetto pi piccolo, allora prove di
garanzia della qualit devono dimostrare che le tecniche non distruttive di tipo
speciale utilizzate possono rilevare i difetti ipotizzati con il 90% di probabilit
ed il 95% di confidenza.
Generalmente sono utilizzate le indicazioni derivanti dalle prove non distrut-
tive di tipo standard, data la maggior difficolt di esecuzione ed il maggior costo
38 6. Caratterizzazione dei difetti

delle prove speciali, dovuto anche al fatto che devono essere effettuate da opera-
tori specializzati e muniti di apposito patentino.
La figura 28 mostra la curva da utilizzare per determinare, con il 90% di pro-
babilit ed il 95% di confidenza, le dimensioni di un difetto ellittico superficiale
nei casi di prove standard e speciali.

figura 28: Dimensioni minime rilevabili di un difetto ellittico


7. Applicazione della MFLE al progetto e verifica 39

7. Applicazione della MFLE al progetto e verifica


Nella fase di progetto o verifica di un componente e/o struttura in cui si con-
siderino presenti dei difetti, oltre a valutare il possibile collasso per snerva-
mento, necessario analizzare sia il cedimento per frattura fragile (controllo a
frattura) sia la propagazione nel tempo del difetto da una dimensione iniziale
sino ad una dimensione critica (piano di controllo alla frattura).
In assenza di difetti la resistenza di un componente (indicata anche come
resistenza limite I) coincide con la tensione di snervamento s o di rottura R.
In presenza di difetti la resistenza del componente, funzione della dimensione
degli stessi, sar chiaramente inferiore alla tensione di snervamento o di rottura.
Note le condizioni di funzionamento (temperatura, velocit di applicazione
dei carichi, etc.) e noti:
a) le caratteristiche del materiale (tensione di snervamento S, tenacit alla frat-
tura KIc, Kc o KId), alla temperatura di esercizio ed alla data velocit di defor-
mazione;
b) lo stato di tensione nominale; nelle formulazioni di Meccanica della frattura
lo stato di tensione viene valutato ipotizzando la struttura integra; inoltre,
almeno in prima approssimazione si pu considerare come tensione di riferi-
mento la massima tensione principale positiva agente in una direzione per-
pendicolare al difetto, (questa ultima ipotesi rappresenta chiaramente una
situazione limite).
c) la tipologia, le probabili dimensioni dei difetti e le corrispondenti equazioni
per il calcolo del coefficiente di intensificazione delle tensioni KI.
si ha frattura se il fattore di intensificazione delle tensioni maggiore o uguale
alla tenacit alla frattura del materiale (KIc Kc o KId):

(75)

Per una data dimensione di difetto si pu calcolare la tensione critica di frat-


tura e confrontarla con la tensione nominale di progetto n, verificando che non
si ha frattura se:

(76)

La tensione critica coincide con la resistenza limite l a meno che il cedimento


della struttura avvenga ad un livello di tensione inferiore per collasso plastico.
In via alternativa si pu calcolare la dimensione critica ac del difetto corri-
40 7. Applicazione della MFLE al progetto e verifica 40

spondente al livello di tensione di progetto n e confrontarla con la dimensione


a del difetto presente o ipotizzata nel componente, verificando che non si ha
frattura se:

>a (77)

La (77) non pu essere risolta direttamente perch Y dipende da a e viceversa;


quindi necessaria una soluzione iterativa.
Se per una data dimensione del difetto si ha n = l; si ha rottura del compo-
nente. Se i carichi sono tali per cui n < l il difetto si propagher (per fatica,
stress-corrosion o creep), la resistenza limite diminuir e la probabilit di rottura
aumenteranno. In mancanza di interventi correttivi o di manutenzione si potr
arrivare alla condizione in cui n = l con conseguente frattura. Ci da evitare:
il difetto non dovrebbe mai diventare cos grande in modo da avere frattura ai
carichi di servizio. Obiettivo del piano di controllo appunto prevenire che il
difetto raggiunga una dimensione critica.

a
figura 29: Diagramma della resistenza limite

Le condizioni di frattura possono essere rappresentate in un diagramma - a


(figura 29), chiamato anche diagramma della resistenza limite, in cui si ripor-
tano i valori delle tensioni critiche in funzione delle dimensioni del difetto (76).
Dalla figura 29 si nota che ci sono una semi infinit di combinazioni che pos-
7. Applicazione della MFLE al progetto e verifica 41

sono causare frattura fragile di una struttura costruita con un materiale caratte-
rizzato da una tenacit alla frattura KIc
A tale scopo si consideri, ad esempio, il caso di un componente costruito in
acciaio maraging 200 (tabella 3), in cui si supponga esistere un difetto a tutto
spessore (figura 5). L'equazione che fornisce il valore del fattore di intensifica-
zione delle tensioni :

(78)

Dalla tabella 3 si legge un valore di tenacit alla frattura pari a 110 MN/m 3/2 ed
una tensione di snervamento pari a 1300 MN/m 2 ; le possibili combinazioni criti-
che di tensione e lunghezza di difetto sono ricavabili da:

(79)
La tabella 4 riporta le coppie di valori - a che conducono a frattura, oltre a
quelli relativi ad un valore KI di progetto, pari a KIc/2, usando cio un fattore di
sicurezza pari a 2 rispetto alla frattura fragile controllata dal fattore di intensifi-
cazione delle tensioni.

Tabella 4: Valori limite di rottura

Questi risultati sono illustrati nella figura 30.


La figura 31 illustra le condizioni di lavoro (KI e K'I) relative a due stati di
42 7. Applicazione della MFLE al progetto e verifica

tensione nominali n e ' n : c rappresenta la tensione critica in corrispondenza


di un difetto lungo a; ac e a'c sono le lunghezze critiche del difetto in corrispon-
denza rispettivamente di n e 'n.
7. Applicazione della MFLE al progetto e verifica 43

Dalla relazione:

(80)
si nota che tende a infinito per a tendente a zero. Il valore della tensione per
limitato dalla tensione di snervamento per cui ci sar sempre una regione al di
sotto di un determinato valore di a dove il cedimento sar per collasso plastico
anzich per frattura fragile, qualsiasi sia il valore della tenacit alla frattura.
In questa parte del diagramma il valore letto sulla curva caratteristica di KIC
pi alto di quello reale risultando quindi in errore per eccesso; si pu ragionevol-
mente approssimare il diagramma con il metodo della tangente, tracciando cio
una retta passante per il punto s o R e tangente alla curva caratteristica.
La figura 32 illustra il caso di una lastra, larga w e contenente un difetto di lun-
ghezza 2a, quando siano utilizzati due materiali diversi aventi tenacit alla frat-
tura ( K I C ) 1 e (KIC)2.

figura 32: Curve di rottura per frattura e snervamento

Si inoltre gi detto che una verifica contro la frattura fragile deve essere
sempre accompagnata da una verifica a collasso plastico; nel caso della figura
32 questa condizione rappresentata da una retta che si ottiene congiungendo il
44 7. Applicazione della MFLE al progetto e verifica

punto - s con il punto la = w.


In genere si potr quindi avere rottura per collasso plastico quando si verifica
una delle seguenti condizioni:
a) la tenacit alla frattura molto alta
b) il difetto molto piccolo
Da quanto su illustrato si deduce che sempre consigliabile costruire tutto il
diagramma di resistenza limite sia per evitare di calcolare tensioni critiche non
reali che per valutare l'influenza sulla determinazione del difetto critico o della
tensione critica di una indeterminazione nella conoscenza della tenacit alla frat-
tura.

Esempio 1
In una lastra rettangolare in acciaio maraging (classe 200), in seguito ad una
ispezione, stato scoperto un difetto passante lungo la = 10 mm. Analizzare
le condizioni di frattura fragile e/o di collasso plastico sapendo che lo stato
di tensione nominale pari a n = 500 [MPa].

w= 100 [mm]

2a= 10 [mm]

n =500 [MPa]

figura 33: lastra di larghezza finita con difetto centrale

Si assumano le seguenti caratteristiche del materiale (tabella 3):


tensione di snervamento: s =1300 [MPa]
tenacit alla frattura: KIc= 130 [MPa(m)1/2]
Il fattore di intensificazione delle tensioni :
7. Applicazione della MFLE al progetto e verifica 45

con:

per (a/w) = 0.05 si ha Y=1.78 e quindi:

con un coefficiente di sicurezza pari a:

Il valore della tensione critica per frattura fragile in corrispondenza di un


difetto lungo 10 mm :

mentre il valore di tensione critica per collasso plastico:

Essendo c < p l'analisi fin qui svolta porta a concludere che il cedimento
del componente avverr per frattura fragile; si avr quindi:

con un margine di sicurezza, pari a quello relativo alla tenacit alla frattura:

La lunghezza critica del difetto, in corrispondenza della tensione nominale


n = 500 [MPa], data da:
46 7. Applicazione della MFLE al progetto e verifica

Il coefficiente Y dipende dalla lunghezza del difetto, per cui necessaria una
soluzione iterativa; assumendo si ha un primo valore di tentativo
della lunghezza critica:

da cui si calcola Y= 2.007 e successivamente:

In poche iterazioni si ha ac = 0.0181 e 2a c = 0.0362 [m] e si pu calcolare un


margine di sicurezza pari a:

Tabella 5: Larghezza critica del difetto

La figura 34 illustra il diagramma - a in cui sono riportate le curve corri-


spondenti al collasso plastico e alla frattura fragile per tenacit pari a
7. Applicazione della MFLE al progetto e verifica 47

Come si nota dalla figura, per una lunghezza di


difetto 2a = 10 [mm] il valore della tensione critica per frattura fragile sovra-
stima la resistenza limite che non quindi determinata dalla curva di frattura,
bens dalla retta passante per s e tangente alla curva caratteristica. Si legge
un valore di resistenza limite pari a:

figura 34: Collasso plastico e per frattura fragile

con un margine di sicurezza pari a:

La figura 34 riporta anche la curva relativa ad una tenacit alla frattura


(valore inferiore rilevato dalla tabella 3). In corri-
spondenza a tale valore si calcola una tensione critica alla frattura pari a:
48 7. Applicazione della MFLE al progetto e verifica

La resistenza limite l coincide in tal caso con la tensione critica alla frattura
c. Si ha un margine di sicurezza:

La lunghezza critica del difetto diventa 2a c = 0.0280 [m], con un coefficiente


di sicurezza pari a:

Una variazione della tenacit alla frattura del 15% porta quindi, per una ten-
sione nominale di 500 [MPa], ad una variazione percentuale di circa il 23%
per la lunghezza critica del difetto.
8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 49

8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici

8.1 Legge di Paris


La progettazione classica a fatica si basa generalmente sui diagrammi di
Whler e di Smith, limitando il livello delle tensioni al di sotto di un determinato
valore (limite di fatica, resistenza a termine), nell'ipotesi che il componente sia
esente da difetti. Questo tipo di approccio non per sufficiente a descrivere
adeguatamente il fenomeno della fatica nelle sue fasi di innesco e crescita dei
difetti sino al collasso del componente strutturale; si possono per rivedere que-
ste procedure e correlarle alle metodologie della Meccanica della Frattura le
quali permettono di studiare l'evoluzione del difetto nella sua fase subcritica
(cio dalla fase di innesco alla fase di rottura), fase che peraltro rappresenta una
percentuale significativa del periodo di vita utile del componente.
Il comportamento a fatica descritto dalla curva di Whoeler - N solita-
mente riferito al caso di tensione alterna simmetrica (R = -1); i dati di propaga-
zione di difetti sono invece normalmente ricavati applicando un ciclo di tensione
dall'origine (R = 0). Ci basato sul concetto che durante la fase di compres-
sione il difetto tende a richiudersi e quindi non pu esistere il fattore di intensifi-
cazione delle tensioni K. In effetti sperimentalmente confermato che una
tensione di compressione influenza poco la propagazione del difetto nel caso di
carico ad ampiezza costante; non altrettanto pu dirsi invece nel caso di carico
ad ampiezza variabile.
La fase di propagazione di un difetto pu essere analizzata sottoponendo una
provetta (CST o pannello con difetto centrale) ad un carico ciclico dall'origine di
ampiezza costante ( m i n = 0oR=0e max = ) in una macchina di prova a
fatica. Viene quindi costruito un grafico riportando la lunghezza del difetto
(misurata ad es. ogni N cicli) in funzione del numero totale di cicli.
La figura 35 illustra le curve di propagazione del difetto (curve a - N) per tre
provette identiche contenenti lo stesso difetto di lunghezza iniziale a0 e sottopo-
ste a tre differenti cicli di tensione 1>2>3. Si nota che aumentando il
livello di tensione aumenta la velocit di propagazione del difetto e diminuisce
sia la durata a fatica che la lunghezza del difetto al momento della frattura.
La figura 36 illustra invece le curve di propagazione del difetto per tre pro-
vette identiche contenenti uno stesso difetto ma con diverse lunghezze iniziali
ao1>ao2>ao3 e sottoposte allo stesso ciclo di tensione 3. Si nota che aumen-
tando la lunghezza iniziale del difetto aumenta la velocit di propagazione del
difetto e diminuisce la durata a fatica.
50 8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici

figura 35: Propagazione del difetto in funzione del livello di tensione

figura 36: Propagazione del difetto in funzione del difetto iniziale

Le curve illustrate nelle figure 35 e 36 non sono direttamente utilizzabili in


8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 51

un progetto a fatica a meno che non si verifichino le stesse esatte condizioni uti-
lizzate nella prova. Si rende quindi necessario applicare i concetti della MFLE al
fine di ridurre i dati sperimentali in una forma direttamente applicabile in un
progetto a fatica.
Dall'analisi dei diagrammi delle figure 35 e 36 si pu dedurre che l'incre-
mento a di lunghezza del difetto per ogni ciclo funzione dei livelli di tensione
massimo e minimo, della sua lunghezza corrente oltre che della geometria del
sistema:
(81)

Essendo = max - min questa dipendenza pu anche essere scritta come:

(82)
Lo stato di tensione all'apice del difetto descritto dal fattore di intensifica-
zione delle tensioni KI. se lo stato di tensione e/o la lunghezza del difetto
variano nel tempo anche il K I varier nel tempo secondo la legge:

(83)

(84)

(85)

In termini generali la velocit di propagazione del difetto sar quindi data da:

(86)
Nota la curva sperimentale di propagazione si pu ricavare il diagramma
da/dN-K nel seguente modo: dato un punto p sulla curva a - N (figura 37) il
punto P corrispondente nel diagramma da/dN-K avr una ascissa pari a:
52 8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici

(87)
dove il valore di quello al quale stata condotta la prova e a la lunghezza
del difetto letta in corrispondenza di p. L'ordinata del punto P data dalla pen-
denza da/dN della curva nel punto p.
Ripetendo l'operazione per tutti i punti della curva sperimentale si ottiene il
diagramma, normalmente in scala doppio logaritmica, illustrato nella figura 38.

figura 37: Costruzione della curva ( d A ) / ( d N ) = f(AK)

Un risultato particolarmente interessante, e di validit ben pi generale, che


tutte le curve delle figure 35 e 36 sono rappresentate dalla stessa curva (una retta
nel diagramma doppio logaritmico) nel diagramma d a / d N - K ; questo fu
messo in luce per la prima volta da Paris (1963) che formul la seguente legge di
propagazione del difetto, valida per carichi ad ampiezza costante:

(88)

dove C ed n sono parametri che dipendono dal materiale, dal rapporto


R = min/max, da altre variabili secondarie quali, ad es., le condizioni
ambientali; normalmente n, pendenza della curva da/dN-K, assume valori
variabili tra 3 e 4.
Si gi detto che la distribuzione delle tensioni all'apice del difetto unica e
dipende solo dal fattore di intensificazione delle tensioni: se due differenti difetti
in un componente dello stesso materiale hanno ugual valore del fattore di inten-
8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 53

sificazione delle tensioni allora le due distribuzioni di tensione all'apice del


difetto sono uguali.

figura 38: Legge di Paris

Come diretta conseguenza si ha che se il K lo stesso la velocit di propa-


gazione del difetto sar la stessa e la curva della figura 38 rappresenta quindi la
risposta del materiale in ogni caso e pu essere utilizzata per ricavare, mediante
integrazione, le curve di propagazione del difetto in componenti soggetti a
diversi livelli di tensione ed in cui siano presenti difetti di diverse lunghezze ini-
ziali.
Il fattore di intensificazione delle tensioni applicabile nel calcolo della pro-
pagazione del difetto anche nel caso di materiali ad alta tenacit perch i valori
di KI necessari per causare la propagazione del difetto sono abbastanza piccoli e
quindi la zona plastica all'apice del difetto piccola abbastanza da rendere appli-
cabile la MFLE. Per alte velocit di propagazione del difetto l'utilizzo della
MFLE pu portare a qualche problema a causa delle dimensioni della zona pla-
stica, ma ci non poi del tutto rilevante poich coinvolge una vita a fatica
molto limitata.
L'equazione (88) non rappresenta per completamente i dati sperimentali.
54 8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 54

L'intera curva da/dN ha una caratteristica forma ad S (figura 39) in cui si pos-
sono individuare tre regioni caratteristiche:
a) la regione I, corrispondente al periodo di nucleazione del difetto, caratteriz-
zata da un valore di soglia K0 (indicato anche con K t h (th: threshold =
soglia), al di sotto del quale non si osserva una apprezzabile propagazione del
difetto. Questa soglia si osserva ad una velocit di propagazione del difetto
dell'ordine di 2.5 10-10 m/ciclo o inferiore. Al di sotto di K0 il difetto si
comporta come stazionario. I valori di K 0 , sostanzialmente qualche per-
cento di KIc, sono talvolta considerati analoghi al limite di fatica di provette
non intagliate, dal momento che una variazione del fattore di intensificazione
delle tensioni minore di non causa propagazione del difetto.

figura 39: Curva ( d A ) / ( d N ) = f(K)

b) la regione II, corrispondente al periodo di propagazione subcritica del difetto,


mostra essenzialmente una relazione lineare tra log ( d a / d N ) e log(K)
secondo la formula suggerita da Paris.
c) la regione III corrisponde alla transizione dalla crescita stabile alla propaga-
zione instabile del difetto; si pu individuare in tale regione un valore limite
di KI (solitamente KIc o Kc); quando il KImax nel ciclo raggiunge il valore
8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 55

lmite KI si ha propagazione instabile del difetto. Questa regione principal-


mente controllata dalla tenacit alla frattura KIc o Kc.
La tabella 6 riporta i valori dei coefficienti C ed n relativi alla legge di Paris,
e di K0 per alcuni materiali.

Tabella 6: Costanti della legge di Paris e valori del fattore di soglia per alcuni
materiali

Spesso le costanti della legge di Paris sono date per a in [in] e AK in


per convertire il coefficiente C in unit internazionali SI:

(89)

dove 1.098843 il fattore di conversione tra la tenacit alla frattura espressa in


56 8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici

unit anglosassoni e quella espressa in unit SI

Barsom ha valutato l'equazione di Paris per una grande variet di acciai con
tensioni di snervamento variabili tra 250 a 2070 MPa e ha mostrato che per
acciai ferritici - perlitici e martensitici i dati sperimentali si addensano in una
fascia abbastanza ristretta. Egli ha quindi suggerito, per stimare in modo conser-
vativo la velocit di propagazione dei difetti in mancanza di dati certi, di utiliz-
zare le seguenti relazioni che rappresentano i valori limiti superiori dei dati
sperimentali (figura 40):
a) acciai martensitici (s > 480 [MPa], R > 620 [MPa]):

(90)

figura 40: Legge di Paris per acciai


8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 57

b) acciai ferritici-perlitici (200 < s < 5 5 0 [ M P a ] , 340 < R < 7 5 0 [MPa]):

(91)

c) acciai austenitici ( 2 0 0 < s < 3 4 0 [MPa], 5 1 0 < R < 6 5 0 [MPa]):

(92)

con a in [m] e AK in

8.2 Effetto della tensione media


La legge di Paris rappresenta in modo molto efficace e compatto la relazione
tra da/dN e K; essa per non tiene conto di variabili secondarie come il rap-
porto R, la presenza di un valore di soglia K0 e di un valore limite Kl (KIc o Kc).
L'influenza della tensione media sulla propagazione del difetto illustrata
schematicamente nella figura figura 41.

figura 41: Effetto della tensione media


58 8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici

Per valori crescenti di R si ha una tendenza all'aumento della velocit di pro-


pagazione del difetto in tutte le parti della curva ad S; nella regione II si ha
comunque una piccola influenza; nella regione III si ha una sostanziale varia-
zione del da/dN al variare di R: per R crescenti, e quindi per Kmax crescenti, le
curve risultano spostate a sinistra, verso valori minori di K.
L'effetto della tensione media sul valore di soglia altrettanto importante,
come indicato nella figura 41. Per R crescenti da 0 a circa 0.8 il valore di soglia
decresce di un fattore variabile da 1.5 a 2.5, spostando la parte della curva nella
regione I verso destra.
L'effetto di valori negativi di R, cosa che indica tensioni di compressione nel
ciclo, non stato sufficientemente indagato, in modo particolare per ci che
riguarda i valori di soglia. Risultati di diverse prove con R negativi su acciai,
ghise, leghe di alluminio indicano, nel caso di ampiezza di sollecitazione
costante, valori di velocit di propagazione dei difetti simili ai risultati ottenuti
nel caso di R = 0.
Per tener conto dell'effetto della tensione media e del livello massimo di ten-
sione sono state proposte altre leggi di propagazione del difetto come quella di
Broek-Schijve o, analoga, di Walker:

(93)

Un'equazione comunemente utilizzata per descrivere l'effetto della tensione


media nelle regioni II e III l'equazione di Forman:

(94)

dove Kj il valore della tenacit alla frattura per il dato materiale e per lo spes-
sore in esame.
Una successiva modifica di questa espressione per tener conto del valore di
soglia K0 conduce alla seguente legge:

(95)

Le differenze tra queste espressioni non sono molto grandi e nessuna di esse
ha una validit generale; la legge di Paris, grazie alla sua semplicit, general-
mente una delle pi utilizzate.
8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 59

8.3 Previsione della durata: carico ad ampiezza costante


In una struttura contenente un difetto iniziale la vita utile a fatica general-
mente corrispondente alla propagazione subcritica del difetto. Un problema
molto comune allora quello di determinare il numero di cicli necessario affin-
ch un difetto di lunghezza iniziale a0 raggiunga una lunghezza finale af in cor-
rispondenza della quale la struttura pu collassare per uno dei seguenti motivi
(figura 42)

figura 42: Previsione della durata

a) si sono raggiunte le condizioni critiche di frattura af= ac cio KImax = K I c ;


b) si sono raggiunte le condizioni critiche di collasso plastico af= ap (la ten-
sione nominale maggiore della tensione di snervamento a causa della ridu-
zione della sezione netta in corrispondenza del difetto).
Il calcolo della legge di propagazione del difetto e della durata richiede
l'integrazione della (86):

(96)

L'integrazione della (96) di solito eseguita numericamente; raramente


possibile risolverla in forma chiusa a causa della complessit della funzione che
esprime da/dN (il coefficiente Y noto sotto forma di lunghi polinomi in fun-
60 8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici

zione di a/w o solo in forma tabellare per cui l'integrazione analitica diventa
complicata anche se costante).

a) soluzione analitica
L'integrazione della (96) fornisce:

(97)
e, utilizzando la legge di Paris (88):

(98)
nel caso di carico ad ampiezza costante e supponendo Scostante:

(99)

(100)

dove Ao il campo di variazione della tensione nel ciclo di fatica, con l'avver-
tenza di trascurare la parte di compressione del ciclo. E' inoltre da osservare che
le espressioni su ricavate sono valide per K > K0 e KImax < Kl.

b) soluzione numerica
Un possibile modo di procedere illustrato nella tabella 7: nota la dimen-
sione iniziale a0 del difetto, si assume un passo di integrazione a, che in questa
fase potr essere considerato costante.
8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 61

Tabella 7: Schema di integrazione nel caso di carico ad ampiezza costante

Una variante a questo schema consiste nel considerare il passo di integra-


zione variabile in funzione della lunghezza corrente del difetto attraverso un fat-
tore moltiplicativo costante : ai =ai.

Esempio 2
Calcolare la durata di un componente, assimilabile ad una lastra rettangolare,
sottoposto ad un carico assiale variabile ciclicamente tra 0 e 300 kN ed in cui
si riscontrata la presenza di un difetto centrale passante di lunghezza 2a = 2
mm (figura 43).
62 8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici

figura 43 : Lastra di larghezza finita con difetto centrale

Le caratteristiche del materiale utilizzato sono:


tensione di snervamento: s=1800 [MPa]
tenacit alla frattura: KIc=57[MPa m]
Valore di soglia della tenacit: K0=2.7 [MPam]
Coefficienti della legge di Paris: C=2.33 1O 1 1 ; n = 3
Si valuta un ciclo di tensione nominale variabile tra m i n = 0 [MPa] e
m a x = 3 0 0 [ M P a ] con =300 [MPa].

Per il calcolo della durata a rottura necessario determinare la lunghezza


finale af del difetto in corrispondenza della quale si ha il collasso o per sner-
vamento o per frattura fragile; a f rappresenta quindi il valore minimo tra a p
e ac, essendo ap la lunghezza del difetto per la quale la tensione in corrispon-
denza della sezione netta raggiunge il valore della tensione di snervamento,
e ac la lunghezza del difetto per la quale il fattore di intensificazione delle
tensioni KI raggiunge il valore critico KIc.
Il valore di ap si ricava da:

cio:
8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 63

La lunghezza critica del difetto per cedimento a frattura fragile, per la tipo-
logia di difetto ipotizzata, si ricava dalla (ex16):

con Supponendo trascurabile la variazione del coeffi-


ciente Y in funzione di a, e assumendo un valore uguale a quello in
corrispondenza di a0, si ha:

e:

Considerando invece la dipendenza di Y da a, si ottiene, mediante iterazione


successiva della (66), un valore di ac pari a 1.083 10-2, con un errore del
6.2%.

Le condizioni critiche sono quindi dettate dalla rottura fragile e la lunghezza


finale del difetto da assumere :

La figura 44 illustra la curva limite per frattura fragile, di collasso plastico e


64 8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici

le condizioni iniziali di lavoro. Si noti come l'analisi completa di collasso


confermi le indicazioni trovate in precedenza. Una valutazione approssimata
della durata pu essere ottenuta analiticamente dalla (99):

figura 44. Curve limiti per collasso plastico e per frattura fragile

considerando per Y il valore medio tra quello in corrispondenza di a0 e quello


in corrispondenza di af :

Tenendo invece conto della effettiva variazione di Y con a si ottiene una


durata N= 12416 cicli.
E' da osservare che il K risulta sempre maggiore del K0 ; nelle condizioni
8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 65

iniziali si ha infatti:

La tabella 8 riporta i risultati ottenuti per via numerica, adottando un passo


di integrazione da = 0.001. Adottando un passo pi piccolo e pari a
da = 0.0005 si ottiene una durata pari a N= 12283 [cicli].
La tabella 9 riporta invece i risultati ottenuti per via numerica, adottando la
variante allo schema di integrazione e assumendo un fattore moltiplicativo
del passo di integrazione pari a =0.01.
La figura 45 illustra le curve di crescita del difetto nei casi di soluzione
numerica con passi di integrazione costanti pari a 0.001 e 0.0005 e con passo
di integrazione variabile con fattore moltiplicativo pari a 0.01.
Nelle Appendici le 2 sono riportati i programmi di calcolo in MATLAB utiliz-
zati per ricavare le tabelle 8 e 9.
66 8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici
8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 67
68 8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici

8.4 Previsione della durata: carico ad ampiezza variabile


Nel paragrafo precedente stato esaminato il caso di sollecitazioni a ciclo
costante, che per raramente si incontrano nelle effettive condizioni di servizio.
Generalmente i carichi sono di tipo random; in qualche caso si potr avere, pi
semplicemente, una successione di cicli ad ampiezza variabile.
Sorge quindi il problema di riuscire a valutare, in queste situazioni pi com-
plesse, la propagazione del difetto. Nel caso di una successione semplice di cicli
di sollecitazione ad ampiezza variabile possibile determinare la propagazione
del difetto calcolando separatamente l'effetto dei singoli cicli non interagenti tra
loro e sommando i vari incrementi parziali:

(101)

dove l'incremento ai considerato indipendente dalla storia di propagazione e


coincide con quello osservato per un carico ad ampiezza costante.

figura 46: Fenomeno del ritardo

Questo modo di procedere non per corretto in quanto tiene conto


dell'effetto dell'interazione dei cicli ad ampiezza diversa, ed in particolare del
fenomeno del ritardo che si verifica quando viene applicato un sovraccarico di
8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 69

trazione e caratterizzato da un periodo in cui la velocit di propagazione del


difetto diminuisce (figura 46).
Il fenomeno del ritardo pu essere spiegato confrontando le dimensioni della
zona plastica del ciclo normale e di quella relativa al sovraccarico di trazione
(figura 47).

figura 47: Dimensioni della zona plastica in funzione del carico

L'applicazione di un sovraccarico provoca la formazione di una zona plastica


di raggio rpo; quando cessa l'azione del sovraccarico tale zona si trova in uno
stato di compressione residua che tende a ritardare la propagazione del difetto
sino a che l'apice del difetto si trova all'interno di questa regione. Allorch
l'apice del difetto ha attraversato questa zona la propagazione del difetto
riprende il suo andamento normale.
Sono stati proposti diversi modelli per tener conto del ritardo nella valuta-
zione della propagazione del difetto: si riporta qui il modello di Wheeler, formu-
lato in base al rapporto tra il raggio della zona plastica corrente ed il raggio della
zona plastica corrispondente al sovraccarico (figura 47).
L'applicazione di un sovraccarico produce una zona plastica di dimensione:

(102)

dove K0 il fattore di intensificazione delle tensioni corrispondente alla tensione


di sovraccarico e C vale 1/2 in di stato di tensione piano e l/6 in stato di
deformazione piano. Il raggio della zona plastica relativa al ciclo normale,
quando il difetto ha raggiunto dimensioni ai dato da:
70 8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici

(103)

dove Ki il fattore di intensificazione delle tensioni corrispondente alla tensione


nel ciclo i-esimo.
Wheeler, per tener conto dell'effetto del ritardo, propose l'adozione di un fat-
tore di correzione Cp proporzionale al rapporto rpi/, con = a 0 +rpo - ai.

(104)

con:

(105)

e dove m un parametro empirico dipendente dal materiale e dai carichi prece-


denti.

8.5 Schema di integrazione lineare nel caso di carico random


Un carico random pu essere descritto sotto forma di spettro di carico o dia-
gramma delle eccedenze, mediante una operazione di conteggio applicata a dati
sperimentali descriventi la variazione del carico nel tempo. Lo spettro di carico,
di cui la figura 48 ne illustra qualitativamente un esempio, riporta quante volte
viene superato un particolare livello di carico in un determinato periodo di servi-
zio (un anno, un numero definito di missioni, etc.). E' da osservare che il pas-
saggio da una descrizione temporale del carico a una descrizione spettrale fa
perdere l'informazione relativa alla reale successione dei cicli di carico, cosa
che pu risultare importante se nello schema di integrazione per il calcolo della
propagazione del difetto vengono presi in considerazione effetti di ritardo. Si
inoltre fatta l'ipotesi di cicli alterni simmetrici, per cui possibile rappresentare
solo la parte superiore dello spettro.
Una volta stabilito lo spettro di carico questo deve essere tradotto in uno spet-
tro di sollecitazione e quindi in un diagramma o storia temporale delle tensioni
(stress history). La conversione da spettro di carico a spettro di sollecitazione
8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 71

diretta se vi proporzionalit tra carichi e tensioni, cio se il sistema lineare;


pi complessa se il sistema non lineare.
Nella generazione della stress history dallo spettro di carico bisogna tener
presente che esso una descrizione statistica della realt; ad esempio il livello
pi alto di tensione, che previsto accada 1 volta, potrebbe verificarsi pi di una
volta in alcuni casi o non potrebbe verificarsi del tutto in altri.

figura 48: Spettro di carico

Bisogna ricordare poi che i picchi di sollecitazione sono fortemente associati


con il fenomeno del ritardo e quindi il considerarli potrebbe rendere la valuta-
zione della propagazione del difetto non conservativa. Per queste ragioni
usuale troncare lo spettro di carico, cos da non considerare i livelli di carico che
hanno probabilit di verificarsi meno di 5-10 volte. E' da notare che questo
taglio significa esclusivamente che le tensioni pi alte sono state ridotte di gran-
dezza, mentre non stato omesso alcun ciclo di carico.
Ai livelli pi bassi di tensione si opera in senso opposto: qui lo spettro tron-
cato ad un determinato valore di eccedenze (truncation level). Questo livello
dovrebbe essere scelto in modo tale che i livelli di tensione pi piccoli contribu-
iscano in modo trascurabile alla propagazione del difetto (figura 49).
Questo modo di eseguire il taglio, che trascura i cicli ai livelli pi bassi di
tensione, compensato, in un certo modo, dal fatto che il livello di tensione pi
basso considerato avr un numero di eccedenze maggiore di quello reale.
72 8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici

figura 49: Livelli di "taglio"

figura 50: Stress history

Per la generazione della stress history lo spettro cos definito viene quindi
approssimato suddividendolo in un certo numero di livelli di sollecitazioni,
generalmente compreso tra 5 e 10. Le suddivisioni possono essere eseguite ad
intervalli di sollecitazione costanti oppure ad intervalli uguali (nella opportuna
8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 73

scala) sull'asse delle ascisse, rappresentante il numero di eccedenze; general-


mente seguito quest'ultimo criterio, (figura 50)
Dalla figura 50 si legge che il livello di tensione I; sar raggiunto n1 volte
durante il periodo indicato, il livello 2 n 2 volte, il livello a3n3 volte, e cos di
seguito; ci saranno quindi (n2 - n1) eventi in cui il livello di tensione sar com-
preso tra 1 e 2, (n3 - n2) eventi in cui il livello di tensione sar compreso tra 2
e 3, e cos di seguito. E' possibile costruire quindi la tabella 10 relativa alla
stress history definita come successione di blocchi di carico.

Tabella 10: Stress history

Nella terza colonna della tabella 10 sono riportati i numeri di cicli relativi a
ciascun livello di sollecitazione ed al periodo di tempo cui il diagramma della
stress history si riferisce; essi sono ottenuti sottraendo, a coppie, le eccedenze
riportate nella seconda colonna. Il blocco di sollecitazione cos ottenuto
potrebbe risultare troppo grande e non rappresentare adeguatamente la stress
history reale; si pu a questo punto considerare il numero di cicli relativo ad una
frazione N-esima del periodo definito dallo spettro, anzich quello relativo
all'intero periodo (quarta colonna della tabella 10). In tal modo la stress history
sar rappresentata da una sequenza di blocchi di sollecitazione, naturalmente
tutti uguali fra loro. Si pu considerare, come dimensione ottimale del blocco di
sollecitazione quello che provoca una propagazione del difetto pari circa al 5%
della dimensione corrente del difetto.

Esempio 3
Calcolare la propagazione di un difetto in una lastra indefinita, o quanto
meno considerata tale, soggetta allo spettro di sollecitazione riportato in
figura 51, e relativo ad un periodo di un anno; non si consideri l'effetto del
ritardo (integrazione lineare) e si assumano i seguenti dati:
74 8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici

lunghezza iniziale del difetto: a0 = 5 [mm]


Coefficienti della legge di Paris: C = 2.33 10-11; n = 3
Tenacit: KIc = 57 [MPa m]
Valore di soglia K0 = 2.7

figura 51 : Spettro di carico e stress history

Supponendo di troncare lo spettro di carico in corrispondenza di un numero


di eccedenze pari a 10 (clipping level) ed in corrispondenza di un livello di
sollecitazione pari a 50 [MPa] (truncation level); si avr un livello massimo
di sollecitazione pari a I = 260 [MPa] ed un numero massimo di eccedenze
pari a 27400.
Supponendo inoltre di suddividere, per semplicit, lo spettro in cinque livelli
di sollecitazione, si ricavano i dati illustrati nella tabella 11 ; stato assunta
una dimensione del blocco con un numero di cicli pari ad 1/10 di quelli rela-
tivi ad un anno.
8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici 75

Tabella 11 : Stress history

La legge di propagazione del difetto :

con:

La tabella 12 illustra i risultati, ottenuti mediante integrazione numerica,


dopo l'applicazione di due blocchi di carico.
E' inoltre da notare che alla fine del primo blocco la lunghezza del difetto
pari a 5.094 [mm], con un incremento del 1.88%, il che significa che le
dimensioni scelte del blocco sono pi che adeguate.
In Appendice 3 riportato il programma di calcolo in MATLAB utilizzato per
ricavare la tabella 12.
76 8. Propagazione del difetto sotto carichi ciclici
Appendice 1 77

Appendice 1

% E s e m p i o n. 2

% programma p e r c a l c o l o d e l l a c r e s c i t a d i u n d i f e t t o s o t t o c a r i c o
% c o s t a n t e secondo l a f o r m u l a d i P a r i s .
% i n t e g r a z i o n e n u m e r i c a con i n c r e m e n t o f i s s o d e l l a l u n g h e z z a d e l
% difetto.

% Caso d i una l a s t r a d i l a r g h e z z a f i n i t a con d i f e t t o a t u t t o s p e s s o r e

% A . i n : lunghezza i n i z i a l e d i f e t t o
% A . f : lunghezza f i n a l e d i f e t t o
% Ds : D e l t a sigma

clear
eie

% d a t i di input

Kic=57 ; % [MPa+m] .
S i g m a . s = 1 8 0 0 ; % [MPa]
C=2.33E-11;
n=3;
W=.l; % [m] .
Ds=3 0 0 ; % [MPa]

% lunghezza i n i z i a l e e f i n a l e (critica) del d i f e t t o

A.in=.001; % [m]
A.f=.01083; % [m]
temp=sprintf ('Lunghezza f i n a l e d i f e t t o Af = % 8 . 4 f ' , A . f ) ;
disp(temp);
78 Appendice 1

d A = i n p u t ( ' I n c r e m e n t o da c o n s i d e r a r e ? ') ;

% stampa i d a t i di i n p u t

t e m p l = s p r i n t f (1 \n \n Esempio n. 1 \n \n D a t i di I n p u t \n
C o e f f i c i e n t i legge d i P a r i s : \ n ' ) ;
temp2=sprintf (' C = %11.3E \n n = %6.3f',C,n);
temp3=sprintf (' C i c l o c o s t a n t e : \n D e l t a sigma : %6.3f \ f ' , D s ) ;
temp4=sprintf ( ' lunghezza i n i z i a l e d i f e t t o : % 8 . 4 f ' , A . i n ) ;
temp5=sprintf lunghezza f i n a l e d i f e t t o : % 8 . 4 f ' , A . f ) ;
temp6=sprintf (' passo di i n t e g r a z i o n e : %8.4f \n \n',dA);
disp (tempi);
d i s p (temp2);
d i s p (temp3);
d i s p (temp4);
d i s p (temp5);

disp (temp6);

% c a l c o l o d e l numero d e i p a s s i d i i n t e g r a z i o n e

Nstampe=12;
d A _ s t a m p a = ( A . f - A . i n ) / Nstampe;
dA_contr=dA_stampa;
d i s p (' a (i) a (i + 1) a (m) Y DK da/dN
dN N');

% calcolo durata

Aip = A . i n ;
Afp=Ap+dA;
N c i c l i = 0;
dN_stampa=0;
f o r i = 1 : N s t a m p e + 1;
while A f p < A . f ;
Am = ( A i p + A f p ) / 2 ;
Y=FattoreY(Am,W);
dK=DeltaK(Y,Ds,Am);
d a . d N = C * dK A n;
dN = dA / d a . d N ;
dN_stampa=dN_stampa+dN ;
N c i c l i = N c i c l i + dN;
d A _ c o n t r = d A _ c o n t r + dA;
if d A _ c o n t r >= dA_stampa -
dA_contr = 0 ;
temp= s p r i n t i ( ' %09.3E %09.3E %09.3E %06.4f %06.3f
Appendice 1 79

%010.4E %6.0f % 6 . O f ' , A i p , A f p , Am, Y , d K , d a . d N , d N _ s t a m p a , N c i c l i ) ;


d i s p (temp);
dN_stampa=0;
end
Aip = Afp;
Afp=Ap+dA;
end
end
Afp = A . f ;
dA = A f p - A i p ;
Am = ( A i p + A f p ) / 2 ;
Y=FattoreY(Am,W);
dK=DeltaK(Y,Ds,Am);
dN = dA / (C * dK * n ) ;
N c i c l i = N c i c l i + dN;
temp= s p r i n t f ( 1 %09.3E %09.3E %09.3E % 0 6 . 4 f % 0 6 . 3 f %010.4E %6. Of
% 6 . O f ' , A i p , A f p , Am, Y , d K , d a . d N , d N , N c i c l i ) ;
d i s p (temp);
80 Appendice 1

function [Y]=FattoreY(Am,W);
%
% Scopo:
% la funzione subroutine FattoreY.m c a l c o l a il f a t t o r e geometrico Y
% n e l l ' e s p r e s s i o n e del f a t t o r e di intensificazione delle tensioni Ki

% [Y]=FattoreY(Am,Y)

% Descrizione delle v a r i a b i l i :
% Input Am - A m p i e z z a media d e l d i f e t t o
% W spessore d e l l a l a s t r a

% Output Y - f a t t o r e geometrico
%

Y = sqrt(pi) * s q r t ( 1 / c o s ( p i * Am / W ) ) ;

function [dK]=deltaK(Y,Ds,Am);
%
% Scopo :
% la funzione subroutine deltaK.m c a l c o l a il Delta K,
% incremento d e l f a t t o r e d i i n t e n s i f i c a z i o n e d e l l e t e n s i o n i K i

% [dK]=deltaK(Y,Ds,Am)

% Descrizione delle v a r i a b i l i :
% Input Y - f a t t o r e geometrico
% Ds - A m p i e z z a d e l l a s o l l e c i t a z i o n e
% Am - A m p i e z z a d e l d i f e t t o

% Output dK - D e l t a K
%

%
dK = Y * Ds * s q r t ( A m ) ;
Appendice 2 81

Appendice 2

% E s e m p i o n. 2

% programma p e r c a l c o l o d e l l a c r e s c i t a d i u n d i f e t t o s o t t o c a r i c o
% c o s t a n t e , secondo l a f o r m u l a d i P a r i s
% i n t e g r a z i o n e n u m e r i c a con i n c r e m e n t o p e r c e n t u a l e d e l l a l u n g h e z z a
% difetto.

% C a s o d i una l a s t r a d i l a r g h e z z a f i n i t a con d i f e t t o a t u t t o s p e s s o r e

% A.in:lunghezza i n i z i a l e difetto
% A . f : lunghezza f i n a l e d i f e t t o
% D s : D e l t a sigma

clear
eie

% d a t i di i n p u t esempio 2
%

Kic=57; % [MPa+m]
Sigma.s=1800; % [MPa]
C=2.33E-11;
n=3 ;
W= . 1 ; % [m]
Ds = 3 0 0 ; % [MPa]

% lunghezza i n i z i a l e e f i n a l e (critica) del d i f e t t o

A . i n = . 0 0 1 ; % [m]
A . f = . 0 1 0 8 3 ; % [m]
temp=sprintf ("Lunghezza f i n a l e d i f e t t o Af = %8.4f',A.f);
disp(temp) ;
82 Appendice 2

dA_fact = i n p u t ( 1 F a t t o r e di incremento da c o n s i d e r a r e ?

% stampa i d a t i di i n p u t

t e m p l = s p r i n t f (1 \n \n Esempio n. 2 \n \n D a t i di I n p u t \n
C o e f f i c i e n t i legge d i P a r i s : \ n ' ) ;
temp2=sprinti ( v C = %11.3E \n n = % 6 . 3 f ' , C , n ) ;
temp3=sprintf (( C i c l o c o s t a n t e : \n D e l t a sigma : %6.3f \ f ' , D s ) ;
temp4=sprintf (v lunghezza i n i z i a l e d i f e t t o : % 8 . 4 f ' , A . i n ) ;
temp5=sprintf ( l lunghezza f i n a l e d i f e t t o : % 8 . 4 f ' , A . f ) ;
temp6=sprintf (' passo di i n t e g r a z i o n e : %8.4f \f \n \ n ' , d A _ f a c t ) ;
disp (tempi);
d i s p (temp2);
d i s p (temp3);
d i s p (temp4);
d i s p (temp5);

disp (temp6);

% c a l c o l o d e l numero d e i p a s s i d i i n t e g r a z i o n e

Nstampe=12;
dA_stampa=(A.f - A . i n ) / Nstampe;
dA_contr=dA_stampa;
disp C a (i) a (i + 1) a (m) Y DK da/dN
dN N') ;
% calcolo durata

Aip = A . i n ;
dA=dA_fact*Aip;
Afp=Ap+dA;
N c i c l i = 0;
dN_stampa=0;
f o r i = 1 : N s t a m p e + 1;
while A f p < A . f ;
Am = ( A i p + A f p ) / 2 ;
Y=FattoreY(Am,W);
dK=DeltaK(Y,Ds,Am);
d a . d N = C * dK A n;
dN = dA / d a . d N ;
dN_stampa=dN_stampa+dN;
N c i c l i = N c i c l i + dN;
d A _ c o n t r = d A _ c o n t r + dA;
i f d A _ c o n t r > = dA_stampa
d A _ c o n t r = 0;
Appendice 1 83

temp= s p r i n t i ( ' %09.3E %09.3E %09.3E %06.4f %06.3f


%010.4E %6.0f % 6 . O f ' , A i p , A f p , Am, Y , d K , d a . d N , d N _ s t a m p a , N c i c l i ) ;
d i s p (temp);
dN_stampa=0;
end
Aip = Afp;
dA=dA_fact*Aip;
Afp=Aip+dA;
end
end
Afp = A . f ;
dA = A f p - A i p ;
Am = ( A i p + A f p ) / 2 ;
Y=FattoreY(Am,W);
dK=DeltaK(Y,Ds,Am);
dN = dA / (C * dK A n) ;
N c i c l i = N c i c l i + dN;
temp= s p r i n t i ( 1 %09.3E %09.3E %09.3E % 0 6 . 4 f % 0 6 . 3 f %010.4E %6. Of
% 6 . O f ' , A i p , A f p , Am, Y , d K , d a . d N , d N , N c i c l i ) ;
d i s p (temp);
84 Appendice 3

Appendice 3

% Esempio 3 : stress history

% programma p e r c a l c o l o d e l l a c r e s c i t a d i u n d i f e t t o
% secondo l a f o r m u l a d i P a r i s

% i n t e g r a z i o n e numerica senza i t e r a z i o n e
% Caso d i una l a s t r a d i l a r g h e z z a i n f i n i t a c o n d i f e t t o a t u t t o s p e s s o r e
% Caso d i una l a s t r a d i l a r g h e z z a f i n i t a con d i f e t t o a t u t t o s p e s s o r e

% A_in: lunghezza i n i z i a l e d i f e t t o
% n l i v : N o l i v e l l i di tensione in un blocco
% s p e t t r o ( 1 0 , 2) ( i , l ) : s t r e s s , ( i , 2 ) occurences

clear

% d a t i di input

C=2. 3 3 E - 1 1 ;
n=3 ;

% d e f i n i z i o n e dei l i v e l l i in un blocco di carico

n l i v = 5; % No l i v e l l i di tensione in un blocco

% valore dei l i v e l l i di tensione


s p e t t r o ( 1 , 1) = 2 6 0 ;
s p e t t r o ( 2 , 1) = 2 3 5 ;
s p e t t r o ( 3 , 1) = 175;
s p e t t r o ( 4 , 1) = 1 1 0 ;
s p e t t r o ( 5 , 1) = 5 0 ;

% numero d i c i c l i a c i a s c u n l i v e l l o d i t e n s i o n e
s p e t t r o ( 1 , 2) = 1;
s p e t t r o ( 2 , 2) = 9;
Appendice 3 85

spettro(3, 2) = 90;
spettro(4, 2) = 900;
spettro(5, 2) = 1740;

% lunghezza i n i z i a l e del d i f e t t o

A _ i n = 5 / 1 0 0 0 ; % [m]
1
nblocchi=input("numero di b l o c c h i da c o n s i d e r a r e ? );

% stampa i d a t i di i n p u t
t e m p l = s p r i n t f (1 \n \n Esempio n. 3 \n \n D a t i di I n p u t \n
C o e f f i c i e n t i legge d i P a r i s : \ n ' ) ;
temp2=sprintf (' C = %11.3E \n n = %6.3f',C,n);
temp3=sprintf(1 1
);
temp4 = s p r i n t f (' lunghezza i n i z i a l e d i f e t t o : %8 . 4 f ' , A _ i n ) ;
%temp5=sprintf ( v Numero d i b l o c c h i : % 8 . O f ' , n b l o c c h i ) ;
temp5=sprintf ( ' s p e t t r o d i c a r i c o \ n Numero d i b l o c c h i : % 8 . 0 f \ n
Numero d i l i v e l l i : %2.0f \n \n sigma c i c l i 1 , nblocchi,nliv)
disp (tempi);
d i s p (temp2);
d i s p (temp3);
d i s p (temp4);
d i s p (temp5);

for i=l:nliv;
temp6=sprintf (' %8.0f %8.0f ' , s p e t t r o ( i ,,1) , s p e t t r o ( i , 2 ) ) ;
disp(temp6);
end
d i s p (temp3);

% calcolo durata

Aip = A_in;
Afin=Aip;
n c i c l i = 0;.
Y = s q r t ( p i ) ; % l a s t r a con r a p p o r t o w/a i n f i n i t o
for ib=l:nblocchi;
t e m p = s p r i n t f ( ' blocco n. % 3 . 0 f ' , i b ) ;
d i s p (temp);
d i s p (v sigma cicli a DK da/dN da
af N');
for i l i v = l : n l i v ;
A0 = A f i n ;
sigma= s p e t t r o ( i l i v , 1) ;
c i c l i = s p e t t r o ( i l i v , 2);
86 Appendice 1

ncicli= ncicli+ cicli;


dK=DeltaK(Y,sigma,AO);
d a . d n = C * dK A n;
delta_a=da.dn*cicli;
Afin=AO+delt a_a;
temp= s p r i n t f ( ' % 9 . 0 f % 9 . 0 f % 9 . 4 f % 6 . 2 f %9.2E %9.2E %9.4f
% 6 . O f ' , s i g m a , c i c l i , AO, d K , d a . d n , d e l t a _ a , A f i n , n c i c l i ) ;
d i s p (temp);
end
end
Bibliografia 87

Bibliografia

Si riporta qui l'indicazione di alcuni testi e lavori ritenuti utili per un appro-
fondimento degli argomenti trattati.
ANDERSEN T. L., Fracture Mechanics: Fundamentals and Applications,
C.R.C. Press, 1991.
BROEK D., Elementary Engineering Fracture Mechanics, 4th revised edition
Sjthoff&Noordhoff, 1986.
BROEK D., The Practical use of Fracture Mechanics, Kluwer Academic
Publishers, 1991.
COLLINS J. A., Failure of Materials in Mechanical Design, John Wiley & Sons,
1981.
HERTZBERG R. W., Deformation and Fracture Mechanics of Engineering
Materials, John Wiley & Sons, 1976.
KANNINEN M. F., POPELAR C. H., Advanced Fracture Mechanics, Oxford
Unievrsity Press, 1985.
KNOTT J. F., Foundamentals of Fracture Mechanics, Butterworths, London,
1973.
ROLFE S. T., BARSOM J. M., Fracture and Fatigue Control in Structures:
Applications of Fracture Mechanics, Prentice-Hall, 1977.
SIH G.C., FARIA L. ed., Fracture Mechanics Methodology, Martinus Nijhoff
Publishers, 1984.
A general introduction to Fracture Mechanics, A Journal of Strain Analysis
Monograph, Vol. 10, N. 4, 1975.
SIH G. C., Handbook of stress intensity factors, Lehig Univ., Bethlehem, 1973.
POOK L. P., "Analysis and application of fatigue crack growth data", Journal of
Strain Analysis, Vol. 10, N. 4, 1975, 242-250.
NISHIOKA K HIRAKAWA K, KITAURA I., "Fatigue crack propagation
behacviours of various steels", The Sumimoto search, N. 17, 1977, 39-55.
FORMAN R. G., KEARNEY V. E. ENGLE R.M., "Numerical analysis of crack
propagation in cyclic loaded structures", Journal of Basic Engineering, 1967,
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88 Bibliografia 88

SCHIJVE J., Four lectuers on fatigue crack growth", Engineering Fracture


Mechanics, VOI. II, 167-221.
PARIS F. C., ERDOGAN F., "A Critical Analysis of Crack Propagation Laws",
Journal of Basic Engineering, 85, 1963, 528-534.
WHEELER O. E., "Spectrum loading and crack growth", ASME pubbl., 1971.
ASME boiler and Pressure Vessel Code, Sect. Ill: Nuclear Power Plant Compo-
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ASME boiler and Pressure Vessel Code, Sect. XI: Rules for Inservice Inspection
of Nuclear Power Plant Components.
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