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SOLLECITAZIONI DI FATICA

Nelle sollecitazioni di fatica il materiale è sottoposto a carichi che si ripetono


ciclicamente nel tempo. Si verifica un danneggiamento progressivo del materiale
che inizia con una fase di nucleazione di un microscopico cretto e che procede con
una fase di propagazione del difetto fino a dimensioni critiche, tali da provocare
la rottura di schianto.
Le rotture a fatica presentano aspetti peculiari: il coefficiente di sicurezza statico risulta
in genere largamente soddisfatto, la rottura appare di tipo fragile, ma un’analisi
frattografica rivela una eterogeneità nella superficie di rottura nella quale è possibile
distinguere una zona caratterizzata da una rugosità fine e regolare, spesso con presenza
di sottili striature che decorrono parallelamente, e una zona con rugosità accentuata e
irregolare.

Fractured
region

A
Le linee di spiaggia vengono anche dette "linee
di arresto" in quanto esse sono linee
microscopicamente visibili che corrispondono
generalmente a variazioni cromatiche che si
manifestano quando si hanno interruzioni nella
fase di propagazione (fase 2) di una frattura per
fatica, in metalli relativamente duttili.

L’aspetto delle superfici induce a pensare ad una rottura progressiva in cui le sottili
striature rappresentano una traccia del fronte di avanzamento di una cricca
macroscopica. Seguendo a ritroso il percorso della cricca si evidenzia la zona di origine
della rottura che in genere presenta discontinuità nella geometria o presenza di difetti
nel materiale. La superficie con rugosità accentuata rappresenta l’area resistente
residua ultima, su cui le tensioni massime hanno prodotto una rottura statica quasi
sempre con aspetto fragile. La fatica si caratterizza quindi come fenomeno di
progressivo danneggiamento di un componente in cui una cricca, partendo da una zona
di innesco (nucleazione del difetto), si propaga fino a rendere insufficiente la sezione
resistente residua e a produrre infine la rottura finale di schianto.

La fatica rappresenta ancor oggi la causa più importante di rottura in servizio di


componenti meccanici e una stima delle perdite economiche legate ad essa porta
a totalizzare, a livello planetario, cifre enormi. Lo studio della fatica ha prodotto una gran
mole di risultati teorici e sperimentali. Le problematiche relative alla fatica costituiscono da sole una
branca della Meccanica dei Materiali e ancor oggi molti aspetti non sono stati del tutto chiariti e sono
oggetto di ricerca. Gli argomenti relativi a una trattazione introduttiva del fenomeno possono essere
così sintetizzati:
• Meccanismi di innesco e propagazione e regimi di fatica;
• Limite di fatica e progettazione a vita infinita;
• Curve di durata e progettazione a vita finita;
• Dispersione statistica dei risultati sperimentali;
• Sollecitazioni ad ampiezza variabile;
• Progettazione a vita infinita e finita in presenza di difetti.

La sollecitazione di fatica è caratterizzata dalla tensione massima max e dalla


tensione minima min agenti sul materiale e dal numero di cicli N in cui la
sollecitazione è applicata al componente.

Ampiezza di oscillazione

Rapporto di
 = a =
sollecitazione

Carico “alterno” con max>0, min<0, R<0


Tensione media

 = a =

Detto anche “oscillante”


 =

Carico “pulsante”


In funzione dell’entità della tensione massima raggiunta nel ciclo è possibile


definire vari tipi di comportamento che determinano una durata in termini di
numero di cicli più o meno grande.
La fatica ad alto numero di cicli (HCF: high cycle fatigue) si manifesta a partire da una durata
di 10000 cicli in su ed è caratterizzato da tensioni estreme notevolmente più basse di quella di
snervamento del materiale. Nella vita ad alto numero di cicli prevale la fase di nucleazione della
cricca che può coprire l’80% e oltre della vita complessiva. Nella fatica ad alto numero di cicli è
estremamente improbabile riuscire a scoprire una cricca che si manifesta solo in una limitata fase
della vita a fatica ed evolve molto rapidamente nella fase finale.

All’aumentare delle tensioni massime del ciclo si ha un diverso comportamento meccanico


definito fatica a basso numero di cicli o fatica oligiciclica (LCF: low cycle fatigue). La vita di
nucleazione diviene via via più breve e quindi, nella vita del componente, prevale la fase di
propagazione. Se viene superato il limite di plasticizzazione del materiale possono verificarsi
principalmente due tipi di comportamento. Se in ogni ciclo la deformazione plastica aumenta, si ha
un progressivo accumulo di deformazione, chiamato ratcheting, che porta alla rottura in un numero
di cicli che va da poche decine a qualche centinaio. Se dopo qualche ciclo si ha un adattamento
plastico con redistribuzione delle tensioni (chiamato anche shakedown) con qualche stato di stress
residui e si ricade nella LCF.

Le curve S−N mettono in relazione l’ampiezza di sollecitazione  con il numero


di cicli a rottura Nf del componente.
I fenomeni che possono determinare il danneggiamento progressivo di un componente sotto l’azione
di carichi ciclici sono molteplici e fisicamente differenti (plasticità ciclica, fase di innesco, fase di
propagazione, effetti dovuti alla geometria, alla presenza di difetti, alla storia dei carichi, alle tensioni
residue, ecc.). La relazione tra ampiezza di sollecitazione e numero di cicli a rottura in tutto il range
di σ=σa non è esprimibile univocamente. È possibile per i vari casi ottenere sperimentalmente e per
interpolazione delle curve che mostrano la dipendenza tra le due grandezze. Tali curve sono chiamate
sinteticamente curve S−N. Se rappresentate in coordinate logaritmiche si nota la presenza di tratti con
andamento lineare che possono essere rappresentati da leggi di potenza espresse nella forma:

σ a m ∙N = K
Nel campo tra 103 e 106 cicli, per un gran numero di acciai si riscontra tale comportamento con un
parametro m compreso tra 8 a 10. Si noti che nel diagramma doppio logaritmico, la pendenza della
linea S−N è pari a −1/m, ossia:
1
ln(σa ) = (−ln(N) + ln(K))
𝑚

In presenza di effetto d’intaglio il parametro m tende a diminuire (tra 3 e 5) e quindi la pendenza della
linea S−N tende ad aumentare. Ciò è spiegabile ricordando che l’effetto di intaglio si evidenzia
soprattutto nella riduzione del limite di fatica lasciando inalterato il comportamento statico. Nel caso
di intagli o di giunzioni saldate il parametro tende ad assumere valore m=3. Un metodo approssimato
per tracciare le linee S−N in presenza di sollecitazioni di flessione rotante o alterna consiste nel
considerare come estremi i punti (103, 0.9σut), (106, σe) ove σut è la resistenza statica a trazione mentre
σe è il limite di fatica del materiale.

La curva S−N viene detta curva di Wöhler e viene ricavata da test su provini
cilindrici ben definiti e ben lavorati in condizioni di carico alterno-simmetrico:
R=−1 in condizioni operative di laboratorio.

Macchina di fatica per trazione/compressione Macchina di fatica per flessione alterna

La macchina di fatica operante in modalità trazione/compressione è una classica macchina che


sollecita il provino in direzione assiale. Una delle traverse si muove alternativamente in modo da
porre il provino ciclicamente in trazione e compressione o realizzare il rapporto di sollecitazione
previsto dalla prova sperimentale.

Il tipo di sollecitazione a fatica che storicamente è stato approfondito per primo è la flessione rotante.
Si ha quando un albero rotante è soggetto ad un sistema di forze che agiscono con direzione e intensità
constanti nel tempo e nello spazio. È la sollecitazione di fatica tipica di alberi di trasmissioni
meccaniche e assali.
Il set up di prova mostrato in figura è costituito da due collari uguali all’interno dei quali è montato,
un mandrino con un sistema di cuscinetti che consente di ammorsare una estremità il provino. I collari
sono montati in contrapposizione, consentendo di montare il provino al centro. I due collari
presentano esternamente e internamente delle cerniere. Quelle poste all’esterno costituiscono un vero
e proprio vincolo mentre quelle all’interno un punto di applicazione per una forza fissa, applicata per
mezzo di un peso. Si realizza così una flessione a quattro punti. Uno dei mandrini è collegato ad un
motore elettrico con un giunto flessibile in modo da porre in rotazione il provino. All’atto della rottura
la rotazione di uno dei mandrini arresta motore e contagiri.
2
2

Vale la relazione σ a m N = K
La costruzione della curva di
Wöhler ha come fine ultimo
quello di determinare il limite
di fatica del materiale LIM
(indicato in letteratura anche
come LF, D o e).
Se l’ampiezza di sollecitazione
è minore del limite di fatica, il
materiale ha vita infinita.

Se il limite di fatica si può individuare chiaramente la curva di Wöhler ha un “gomito”


come avviene nel caso dell’acciaio e del titanio. Nel caso delle leghe di alluminio non è
possibile individuare chiaramente il limite di fatica e lo si definisce quindi
convenzionalmente come il  corrispondente ad una certa durata (solitamente alcune
decine di milioni di cicli).
<1

Descriviamo ora i principali fattori che influenzano il limite di fatica del materiale.

Effetto della tensione media


Le prove di fatica vengono in genere effettuate con cicli oscillanti a tensione media nulla. In realtà,
la gran parte dei componenti meccanici lavora a fatica con tensione media non nulla di trazione o
compressione. All’aumentare della tensione media si osserva una diminuzione del limite di fatica
poiché il materiale è soggetto a trazione per la maggior parte del tempo e quindi aumenta la probabilità
che possano originare e propagare le cricche. Se la tensione media è di compressione si osserva che
il limite di fatica non varia significativamente per un lungo intervallo e poi inizia a diminuire molto
più lentamente che nel caso di corrispondenti tensioni medie di trazione.
LF

LFosc

m<0 m>0
Effetto della finitura superficiale (fattore ka)
La finitura superficiale è un parametro fondamentale nella resistenza a fatica perché interviene
direttamente sui meccanismi di innesco della cricca. Essa si caratterizza come insieme di micro-
intagli, che pregiudicano il limite di fatica in maniera più o meno pronunciata, a seconda della
sensibilità del materiale agli stessi intagli. Il relativo fattore di riduzione del limite di fatica a causa
della finitura superficiale (ka) viene fornito in diagrammi con curve differenziate a seconda del tipo
di finitura superficiale introdotto dalle lavorazioni meccaniche riportate in funzione della tensione di
rottura del materiale utilizzato. Si nota che il limite di fatica del materiale decresce all’aumentare del
carico di rottura statico poiché i materiali fragili non riescono a redistribuire i picchi di tensione che
si originano in corrispondenza di discontinuità geometriche e difetti. Ciò favorisce il progredire delle
cricche. Al contrario, i materiali duttili possono plasticizzare nelle regioni di concentrazioni delle
tensioni ostacolando così la propagazione delle cricche.
Si osserva che a parità di lavorazione, il limite di fatica può decadere sensibilmente se il componente
lavora in ambiente aggressivo.
I rivestimenti superficiali “metallici” in generale riducono la resistenza a fatica. Ad esempio, per
lavorazioni di cromatura e nichelatura il K correttivo varia da 0.9 fino a circa 0.4 a seconda del tipo
di acciaio. Trattamenti come la nitrurazione generano tensioni superficiali di compressione che, in
particolare per i componenti sottoposti a flessione e/o torsione migliorano (anche se di poco) il
comportamento a fatica del materiale. Trattamenti superficiali come cementazione o tempra per
induzione portano invece ad aumentare il parametro K tra 1.368 a 2 per certi acciai.
Lo stesso discorso si può fare per i trattamenti “meccanici”. Ad esempio, le lavorazioni di pallinatura
e rullatura comportano un miglioramento di circa il 20% (o più) del limite di fatica a seconda del tipo
di acciaio e del componente.

ka

Effetto delle dimensioni (fattore kb)


I dati sperimentali relativi al limite di fatica reperibili in letteratura si riferiscono, nella maggior parte
dei casi, ai risultati di prove di fatica a flessione rotante su provini di diametro pari a 810 mm. La
sperimentazione evidenzia come il limite di fatica diminuisca al crescere della dimensione assoluta
del provino. È opportuno precisare che esiste un effetto di dimensione assoluta legata alla
distribuzione di difetti, cui normalmente ci si riferisce come effetto scala. Dal punto di vista generale,
l’aumento delle dimensioni del componente comporta maggiore probabilità che ci siano imperfezioni
geometriche e rende più difficile realizzare effettivamente la distribuzione teorica delle tensioni
ipotizzata in fase di progetto.
Nella fatica, con particolare riferimento alle sollecitazioni di flessione e di torsione, a parità di
tensione massima e di distribuzione di difetti, si evidenzia un effetto gradiente di sollecitazione dalla
superficie al cuore del provino, dovuto alla maggiore o minore estensione di zone sollecitate ad
elevate tensioni. La formula empirica che meglio rispecchia i risultati sperimentali (con accettabile
margine di sicurezza) nel caso di flessione rotante su provini circolari e lisci è riportata nel seguente
grafico per il range 8dprovino250 mm. Si nota come la sollecitazione di torsione presenti valori di kb
maggiori di quelli relativi alla sollecitazione di flessione poiché a parità di momento applicato
(Mf=Mt) al provino cilindrico il gradiente di tensione che si genera passando dalla linea d’asse alla
superficie del provino è maggiore nel caso della flessione. Infatti, in termini di tensione equivalente
di Von Mises si ∆𝜎𝑓𝑙𝑒𝑥 = 32𝑀𝑓 /𝜋𝑑3 contro ∆𝜎𝑡𝑜𝑟𝑠 𝑒𝑞𝑣 = 16√3𝑀𝑡 /𝜋𝑑 3 .

Fattore di affidabilità kc
Il fattore di affidabilità si introduce per tenere conto che il limite di fatica rappresenta una variabile
casuale e il valore numerico reperito è spesso quello medio (in tal caso applicando una sollecitazione
pari al limite di fatica solo il 50% dei provini ha vita a fatica infinita). Il materiale con cui è realizzato
un componente meccanico preso a caso all’interno di un lotto di produzione potrebbe statisticamente
rientrare nel frattile che non supera il limite di fatica. Gli acciai utilizzati per la produzione di
componenti meccanici (con l’esclusione di componenti saldati) hanno una deviazione standard del
limite di fatica che raramente va al di là dell’8%. Definendo come affidabilità di un componente la
probabilità che un campione estratto da un lotto di produzione non incorra nella rottura a fatica, il
fattore di affidabilità è un coefficiente che penalizza la tensione alterna di lavoro in modo da collocare
la probabilità di sopravvivenza dei componenti prodotti entro il limite progettuale previsto.
Effetto della frequenza di applicazione del carico
L’effetto della frequenza di applicazione del carico è trascurabile fino a 150 Hz l’effetto. A frequenze
maggiori si ha un iniziale apparente miglioramento delle prestazioni dovuto al ritardo con cui la
tensione nel materiale segue la sollecitazione applicata. A frequenze ancora maggiori (>1000Hz)
prevale l’effetto dovuto all’incremento di temperatura provocato dall’isteresi elastica che tende a
ridurre la vita del materiale.

Effetto della temperatura di esercizio


Al diminuire della temperatura di esercizio il componente tende ad assumere un comportamento
fragile mentre l’aumento della temperatura può provocare fenomeni di creep abbassando la resistenza
a fatica del materiale. La figura seguente mostra i dati relativi a una lega di alluminio.

Effetto delle tensioni residue


Le tensioni residue possono migliorare o peggiorare il comportamento a fatica del componente. Le
tensioni residue di compressione indotte ad esempio dalla pallinatura (su molle elicoidali) aumentano
di circa il 20% la resistenza a fatica del componente.

Effetto di intaglio
L’intaglio è una non linearità geometrica consistente in un significativo cambio del profilo del
componente. La presenza di intagli comporta l’insorgere di concentrazioni locali di tensione che
possono innescare cricche e causare il cedimento del materiale. Le linee isostastiche si distorcono
addensandosi in corrispondenza dell’intaglio e lo stato di tensione diviene localmente addirittura
triassiale.
La concentrazione di tensione che si manifesta all’intaglio può essere visualizzata facendo ricorso
all’analogia idrodinamica. Le linee isostatiche sono l’equivalente delle linee di flusso che si
addensano in corrispondenza della sezione ristretta facendo aumentare la velocità del fluido. Infatti,
le linee di flusso di un fluido sono tangenti ai vettori velocità e quindi rappresentano le derivate
spaziali dei gradi di libertà del problema fluidodinamico. In elasticità lineare, le derivate spaziali dei
gradi di libertà sono le derivate delle componenti di spostamento u, v e w. Le derivate u/x, v/y e
w/z corrispondono alle dilatazioni x, y ed z mentre le somme delle derivate miste corrispondono
agli scorrimenti angolari xy, yz e xz. In sostanza, le derivate degli spostamenti definiscono le linee
di flusso delle deformazioni e, vista la relazione lineare tra sforzo e deformazione, anche le linee di
flusso delle tensioni.
La trattazione dell’intaglio varia a seconda che si abbia a che fare con sollecitazioni statiche o
di fatica. Si consideri ad esempio la geometria di intaglio mostrata nella seguente figura e si denoti
con Ao l’area della sezione nominale e Aint l’area della sezione ristretta in corrispondenza dell’intaglio.

Ao

Aint
Applicando la teoria di De Saint Venant in corrispondenza della sezione nominale e della sezione
ristretta e indicando con o e t le tensioni lontano dall’intaglio e in corrispondenza dell’intaglio,
dovrebbe risultare che t /o =Ao/At . Tale relazione non è però verificata proprio a causa della
presenza dell’intaglio. La concentrazione di tensione all’intaglio viene allora quantificata dal
fattore di forma Kt (talvolta indicato anche come fattore teorico di intaglio) pari al rapporto tra
la tensione massima all’intaglio calcolata con la teoria rigorosa dell’elasticità e la tensione
massima del componente non intagliato calcolata con la teoria di De Saint Venant.
Il fattore di forma Kt dipende dalla geometria dell’intaglio e dal tipo di sollecitazione applicata
al componente. La figura seguente si riferisce ad esempio ad un albero con uno spallamento soggetto
a flessione. Simili diagrammi sono disponibili per differenti geometrie di intaglio, sollecitazioni e
ipotesi di rottura (criterio della massima tensione o criterio di Tresca).
Nel caso in esame, il fattore Kt aumenta col rapporto D/d tra il diametro nominale dell’albero D e il
diametro della sezione ristretta d mentre diminuisce al crescere del rapporto r/d tra raggio di intaglio
e diametro della sezione ristretta. Tale andamento si spiega col fatto che la non linearità geometrica
dell’intaglio diviene più marcata all’aumentare di D/d provocando così una maggiore distorsione
delle linee isostatiche che si concentrano in corrispondenza dell’intaglio. L’aumento del raggio di
curvatura rende invece l’intaglio più “dolce” distorcendo meno le linee di flusso delle tensioni.
Si noti che il raggio di intaglio r non è necessariamente uguale a (D−d)/2 per le varie geometrie di
intaglio.

r
D d

Flessione

Kt

D/d

r/d
La definizione di Kt fornita in precedenza dipende però dal criterio di rottura adottato e viene
pertanto sostituita da una definizione più ingegneristica ove Kt è pari al rapporto tra la tensione
teorica di picco t all’intaglio ed una tensione di riferimento o valutata lontano dall’intaglio.
Si scrive allora:
σt
Kt =
σo

Si definisce poi il fattore di intaglio Kf (talvolta indicato anche come fattore effettivo di intaglio
Ke) come rapporto tra la tensione di rottura del componente non intagliato e la tensione di
rottura del componente intagliato calcolata con la teoria rigorosa dell’elasticità. Poiché anche
questa definizione dipende dal criterio di rottura ipotizzato in sede di calcolo, si passa a definire
Kf come rapporto tra tensione effettiva all’intaglio f e tensione di riferimento o. Ossia:

σf
Kf =
σo

A seconda della geometria dell’intaglio, la tensione teorica di picco t può superare il limite di
snervamento del materiale causando così delle plasticizzazioni localizzate in prossimità dell’intaglio.
Le tensioni sono ridistribuite nella sezione di intaglio. In assenza di incrudimento (comportamento
elasto-plastico perfetto), la tensione massima all’intaglio si abbassa da t a SN, facendo sì che f t
e di conseguenza Kf Kt. Se invece il materiale incrudisce, la tensione effettiva all’intaglio f può
addirittura superare la tensione t provocando così lo scorrimento plastico della gola dell’intaglio. In
tal caso, il fattore di intaglio Kf diventa maggiore del fattore di forma Kt.
In condizioni statiche, un materiale fragile presenta una tensione massima all’intaglio che è Kt volte
la tensione di riferimento o mentre un materiale duttile che plasticizza presenta una tensione
massima effettiva all’intaglio pari a Kf volte la tensione di riferimento. La presenza di zone
plasticizzate in corrispondenza della sezione di intaglio causa una ridistribuzione delle tensioni che
tendono ad aumentare nel resto della sezione resistente, in particolare nella zona dove il materiale
lavora ancora in campo elastico (vedi figura). Tale fenomeno aumenta il pericolo di cedimento del
materiale.
La curva blu rappresenta la
distribuzione teorica di tensione t
nella sezione di intaglio mentre la
curva rossa è la distribuzione SN
f
effettiva di tensione. In assenza di
incrudimento, i picchi di tensione
si riducono da t al limite di
snervamento SN ma diventano
maggiori le tensioni nel resto della
sezione aumentando così il
pericolo di rottura del materiale.

Il modello elasto-plastico perfetto rappresenta bene il comportamento plastico dei materiali in


condizioni di fatica. L’incrudimento infatti non ha tempo di manifestarsi a causa del fatto che durante
il ciclo di carico le tensioni non restano per un tempo sufficiente al livello necessario per innescare e
mantenere il moto delle dislocazioni. Il materiale potrebbe addirittura non plasticizzare in condizioni
di fatica anche se ha comportamento duttile in condizioni di sollecitazione statica. In sostanza, un
materiale fragile in condizioni statiche lo è anche in condizioni di fatica mentre un materiale
duttile in condizioni statiche potrebbe diventare fragile in condizioni di fatica. Tale fenomeno
prende il nome di plasticità dinamica.
La tendenza del materiale a plasticizzare in condizioni di fatica viene quantificata dal
coefficiente di sensibilità all’intaglio definito come il rapporto tra l’effettivo incremento di
tensione all’intaglio rispetto al corrispondente incremento teorico di tensione che si
verificherebbe in campo elastico. Si scrive:

σf − σo
q=
σt − σo

Ricordando le definizioni di Kt e Kf, la precedente relazione si può riscrivere come:

K f σo − σo
q=
K t σo − σo

che diventa infine:

Kf − 1
q=
Kt − 1
Tale relazione consente di determinare il fattore di intaglio Kf una volta noti il fattore di forma Kt e il
coefficiente di sensibilità all’intaglio q:

K f = 1 + q ∙ (K t − 1)

Ricordando che Kf e Kt rappresentano il fattore effettivo di intaglio e il fattore teorico di intaglio


si conclude che:
- Un materiale fragile ha la massima sensibilità all’intaglio con q=1 e di conseguenza Kf = Kt;
- Un materiale perfettamente duttile avrebbe q=0 e Kf =Kt =1 non presentando in sostanza
alcuna concentrazione di tensione all’intaglio e raggiungendo la tensione di snervamento SN
in tutti punti della sezione resistente. Tuttavia, se sottoposto a carico ciclico, il materiale può
perdere la sua tendenza a plasticizzare;
- Più realisticamente, un materiale duttile avrà q<1 e Kf <Kt.

▪ Un materiale fragile resta tale passando dalla


sollecitazione statica a quella di fatica. Il suo
fattore di intaglio è sempre pari a Kt.
▪ Un materiale duttile passa invece dalla totale
ridistribuzione di stress che avviene in campo
statico (Kf=Kf=1) alla parziale ridistribuzione di
stress che attenua la concentrazione di tensione
fino a Ke (i.e. Kf) in condizioni di fatica.

Il coefficiente di sensibilità all’intaglio q non è costante per i singoli materiali ma viene definito
per “classi” di materiali. La sensibilità all’intaglio aumenta ovviamente col carico di rottura
statico poiché un materiale fragile in condizioni statiche ha lo stesso comportamento in
condizioni dinamiche. Un’eccezione alla trattazione precedente è rappresentata dalle ghise che pur
essendo fragili non presentano sensibilità all’intaglio. Ciò si spiega con la presenza nelle ghise di forti
tensioni residue che sopravanzano le concentrazioni di stress generate dagli intagli.

Inoltre, si osserva dalla figura che il fattore q aumenta col raggio di intaglio poiché al crescere delle
dimensioni dell’intaglio diminuisce la regione di materiale dove si possono ridistribuire le tensioni
dopo che avvengono le plasticizzazioni locali.
Una volta ottenuti i valori del fattore di intaglio Kf e dei coefficienti ka, kb e kc che
tengono conto degli effetti di stato superficiale, dimensioni e affidabilità del
componente si determina il limite di fatica effettivo del componente come:

eff k a ∙ k b ∙ k c ∙ ∆σLIM nom


∆σLIM =
Kf

poiché ka, kb e kc sono minori di 1 mentre Kf 1. Il limite di fatica nominale LIMnom è quello che
risulta dalle prove sperimentali.
In caso di sollecitazioni di torsione o taglio variabile, si determina il limite di fatica effettivo come:

k a ∙ k b ∙ k c ∙ (∆σLIM 𝑛𝑜𝑚 /√3)


∆τLIM eff =
Kf

applicando il criterio di resistenza di Von Mises per trasformare il limite di fatica nominale LIMnom
nel corrispondente limite di fatica nominale a torsione.

DIAGRAMMA DI GOODMAN-SMITH, DIAGRAMMA DI


HAIGH & COEFFICIENTE DI SICUREZZA A FATICA
Il diagramma di Goodman-Smith è il diagramma più utilizzato per avere una chiara
rappresentazione dei risultati delle prove di fatica condotte sui materiali. Esso consente di
ricavare, per un qualsiasi valore della tensione media σm, i corrispondenti valori delle tensioni
limite per i vari tipi di sollecitazione.

Sull’asse delle ordinate del diagramma di Goodman-Smith si riportano i valori del carico di rottura
statico Rm, del carico di snervamento ReL, del limite di fatica pulsante dallo zero σ'Fa (resistenza
dall’origine a trazione) e del limite di resistenza a fatica alternata σFa (resistenza alla oscillazione)
del materiale. Sull’asse delle ascisse, invece, si riportano le corrispondenti tensioni medie σm.
Si traccia la bisettrice del primo e terzo quadrante. Un punto qualsiasi M di tale bisettrice avrà come
ascissa e ordinata la tensione media utilizzata in una particolare serie di esperimenti. Si aggiunge
all’ordinata del punto M il limite di fatica ottenuto negli esperimenti ottenendo così la tensione limite
massima di fatica rappresentata dall’ordinata del punto A. La tensione limite minima, rappresentata
dall’ordinata del punto B, si ottiene invece sottraendo dall’ordinata del punto M il limite di fatica
determinato negli esperimenti.
Collegando i punti C, A, E, H, si ottiene la linea σLFmax delle tensioni limite massime di fatica;
congiungendo i punti D, B, F, K, G, si ricava la linea σLFmin delle tensioni limite minime di fatica. Le
due linee limite si intersecano ovviamente in corrispondenza del punto R per cui la σm coincide con
la tensione di rottura statica ed ovviamente il limite di fatica è nullo. Le due linee σLFmax e σLFmin sono
però limitate all’altezza della tensione di snervamento (segmento HG) poiché siamo interessati alla
fatica ad alto numero di cicli in cui predominano le deformazioni elastiche.
Nella figura si può osservare che:
• il segmento AB rappresenta un ciclo alterno asimmetrico;
• il segmento CD rappresenta un ciclo alterno simmetrico;
• il segmento EF rappresenta un ciclo pulsante dallo zero;
• il segmento HG è la linea della deformazione plastica, corrispondente al raggiungimento della
tensione di snervamento ReL. Dal punto H si traccia la parallela all’asse delle ordinate definendo
il punto K, simmetrico di H rispetto alla bisettrice OR.
• Il limite di fatica del materiale diminuisce all’aumentare della tensione media e si annulla in
corrispondenza del carico di rottura statico. Tale condizione è però superata dal fatto che in
corrispondenza del limite di snervamento il limite di fatica è posto uguale a zero.

Il diagramma di Goodman-Smith si ottiene sperimentalmente mettendo insieme i dati sui limiti di


fatica misurati per le varie tensioni medie. Le linee σLFmax e σLFmin delle tensioni limite massime e
minime di fatica contenute nel diagramma sono in realtà delle curve che vengono approssimate da
segmenti di retta ai fini pratici. Il diagramma di Goodman-Smith può essere quindi
immediatamente costruito conoscendo solo i punti C, D e R e tagliando i segmenti CR e DR con
la retta di snervamento (definendo così i punti H, G e K). Il segmento EF rappresentativo della
resistenza dall’origine a trazione sarà così delimitato con buona approssimazione dalle due linee
σLFmax e σLFmin.

La figura seguente rappresenta un diagramma di Goodman-Smith completo che comprende


anche il tratto corrispondente a tensioni medie negative. Il diagramma è pressoché
simmetrico rispetto all’origine. Si osserva che l’area utile del diagramma è più ampia nel tratto
con m<0 poiché in tale regime il materiale è sottoposto a compressione per la maggior parte dei
cicli di carichi e ciò rende più difficile far progredire il danneggiamento di fatica. A riprova di ciò,
la resistenza dall’origine a compressione è solitamente maggiore della resistenza dall’origine a
trazione.
SN

I diagrammi di Goodman-Smith ottenuti per i cicli di fatica a flessione e a torsione


hanno forma simile a quello ottenuto per i cicli di trazione-compressione.
Sperimentalmente si osserva che la curva della tensione limite massima è parallela alla
bisettrice solo nel caso della sollecitazione di torsione mentre è inclinata di circa 35°
rispetto all’orizzontale nel caso delle altre due sollecitazioni.

I diagrammi di Goodman-Smith per le varie sollecitazioni


sono perfettamente consistenti. Lo sforzo normale è
un’azione di tipo 1 (sollecitazione uniforme) e quindi più
pericolosa della flessione che è un’azione di tipo 2
(sollecitazione non uniforme): infatti, il diagramma per la
flessione contiene interamente quello dello sforzo nomale.
La torsione genera delle tensioni tangenziali e quindi può
essere paragonata alla flessione e allo sforzo normale solo
in termini di tensione equivalente. Applicando il criterio
di Von Mises, la tensione ideale per la torsione si ricava
come √3 Dal diagramma in figura, si nota che le
resistenze all’oscillazione in flessione e torsione stanno
nel rapporto 25/15=1.667, molto vicino proprio a
√3=1.732. Il confronto è stato fatto tra torsione e flessione
essendo queste due sollecitazioni azioni di tipo 2.

Come si usa il diagramma di Goodman-Smith? La figura (A) mostra una generica


sollecitazione di fatica caratterizzata dalla tensione media m, dalla tensione minima
min e dalla tensione massima max. Poiché il segmento 1-2 cade all’interno del
diagramma, il componente ha vita infinita. Si noti che dal diagramma si può ricostruire
l’intero ciclo di carico.
La figura (B) illustra il caso in cui le rette limite del diagramma di Goodman-Smith
corrispondono ad una certa durata (nel caso particolare 107 cicli). Poiché il segmento
rappresentativo della sollecitazione (m,min,max) cade al di fuori del diagramma, la
durata del componente sarà inferiore a 107 cicli. Si può valutare la durata del
componente considerando la famiglia di diagrammi di Goodman-Smith ottenuti per
durate inferiori a 107 cicli (p.e. 106, 105 cicli ecc.). Si osserva dalla figura che la durata
prevedibile sarà dell’ordine di 106 cicli.

A B

Per il caso (B), i diagrammi di Goodman-Smith


relativi alle durate 106 e 105 cicli si possono
costruire in modo approssimato partendo dalla
curva di Wöhler che forniva la resistenza alla
oscillazione poi inclusa nel diagramma (B).
Poiché tale curva si riferisce a m=0 e 107 cicli, i
valori N1, N2, N3 rappresentano le durate relative
alle ampiezze di sollecitazione a1, a2, a3. In
questa maniera, si ottengono le resistenze
all’oscillazione per durate “limitate”, inferiori a
107 cicli. I valori a1 e a2 riportati sul
diagramma di Goodman-Smith definiscono così
due coppie di punti che uniti al punto R della
bisettrice corrispondente al carico di rottura
statico limitano gli altri diagrammi di Goodman-
Smith per 106 e 105 cicli.
Il coefficiente di sicurezza a fatica si determina graficamente dal diagramma di
Goodman-Smith facendo l’ipotesi che le tensioni aumentano linearmente fino a
rottura. Ad esempio, la generica sollecitazione definita da m e  viene individuata
nel diagramma di Goodman-Smith dai punti M, S e I che corrispondono
rispettivamente a m, max e min. In particolare, si scrive che ̅̅̅ ̅̅̅̅=mlav,
SL=maxlav; ML
̅̅̅=MI
̅ =minlav, SL
IL ̅ =2lav. Poiché il segmento SI
̅̅̅̅=lav, SI ̅ è interamente contenuto nel
diagramma di Goodman-Smith, il materiale ha vita infinita.
Si potrebbe determinare il coefficiente di sicurezza a fatica prolungando il segmento
̅ fino a incontrare le linee delle tensioni limite massime e minime di fatica
SI
rispettivamente in S’ e I’ e definire il coefficiente di sicurezza a fatica come il rapporto
̅̅̅̅ e il segmento “di funzionamento” SI
tra il segmento “limite” S’I’ ̅ , cioè limlav.
Nonostante si arrivi alla classica definizione 𝐹𝐴𝑇 =limlav, un tale approccio
diviene fuorviante nel momento in cui la tensione media si avvicina alla tensione di
snervamento. Infatti, il segmento di funzionamento SI ̅ sarebbe molto piccolo e il
rapporto ̅̅̅̅ ̅ molto grande, cosa che non avrebbe senso essendo le tensioni di lavoro
S′I′/SI
prossime al limite di snervamento.

SN
S”
S’

S
M”
M
L”
L
I
I”

I’

Il coefficiente di sicurezza a fatica può essere definito univocamente facendo


l’ipotesi che le tensioni di lavoro aumentano linearmente fino alla rottura. Le rette
OS e OI intersecano le rette limite rispettivamente in S” e I”. Considerando la
similitudine dei triangoli OSM e OS”M”, OML e OM”L”, OIL e OI”L”, OSL e OS”L”
e poiché questi triangoli hanno alcuni lati in comune, si possono scrivere le seguenti
relazioni:

̅̅̅̅̅̅
S"L" ̅̅̅̅̅
I"L" ̅̅̅̅̅̅̅
S"M" ̅̅̅̅̅
OL"
= = =
̅̅̅
SL ̅
IL ̅̅̅̅
SM ̅̅̅̅
OL

Dalla precedente relazione si evince che il rapporto tra la tensione massima limite e la
tensione massima di lavoro, il rapporto tra la tensione minima limite e la tensione
minima di lavoro, il rapporto tra l’ampiezza di oscillazione limite e l’ampiezza di
oscillazione di lavoro, il rapporto tra la tensione media di lavoro e la tensione media
limite sono tutti uguali. Pertanto, il coefficiente di sicurezza a fatica è univocamente
definito.
Poiché la retta OM su cui giace anche il punto M” è la bisettrice del primo quadrante,
risulta che ̅̅̅̅
OL=ML̅̅̅̅=m e ̅̅̅̅̅ ̅̅̅̅̅̅̅=mLIM. Sostituendo le corrispondenti grandezze
OL"=M"L"
nella catena di uguaglianze scritte sopra si ottiene in maniera univoca il coefficiente di
sicurezza a fatica dal diagramma di Goodman-Smith come rapporto tra tutte le tensioni
caratteristiche limite e quelle di lavoro.

̅̅̅̅̅̅̅
σ𝐿𝐼𝑀 ̅̅̅̅̅̅
σ𝐿𝐼𝑀 ̅̅̅̅̅̅̅̅
∆σ𝐿𝐼𝑀 ̅̅̅̅̅̅
σ𝐿𝐼𝑀
𝑚𝑎𝑥 𝑚𝑖𝑛 𝑚
𝐹𝐴𝑇 =
̅̅̅̅̅̅̅
=
̅̅̅̅̅̅
=
̅̅̅̅̅̅̅
=
̅̅̅̅̅
σ𝑙𝑎𝑣𝑚𝑎𝑥 σ𝑙𝑎𝑣 𝑚𝑖𝑛 ∆σ 𝑙𝑎𝑣
σ𝑙𝑎𝑣 𝑚

Un altro diagramma molto usato per determinare il coefficiente di sicurezza a


fatica è il diagramma di Haigh. La figura (A) mostra un tipico diagramma di Haigh
per trazione/compressione e flessione alterna mentre la figura (B) mostra un tipico
diagramma di Haigh per torsione variabile.

 

LIMeff r Q
r LIMeff FLIM
FLIM
F Q F s
lav lav
f s f
45° 45°
O mlav S R m O mlav S m
SN rott SN

Nel caso (A), il punto di funzionamento del materiale F ha come ascissa la tensione media di
lavoro mlav e come ordinata l’ampiezza di oscillazione lav. La retta di funzionamento f è quindi
definita dal punto di funzionamento F e dall’origine degli assi O. Si definisce la retta r che congiunge
il punto del diagramma di Haigh corrispondente al limite di fatica effettivo LIMeff e il punto R del
diagramma corrispondente alla tensione di rottura statica del materiale rott. Dal punto S
rappresentativo della tensione di snervamento si manda la retta s orientata a −45° rispetto all’asse
delle m. Le rette r ed s si intersecano nel punto Q.
Il quadrilatero di vertici LIMeff, Q, S e l’origine O del diagramma delimita la regione ammissibile
entro cui il punto di funzionamento F(mlav,lav) deve cadere per avere vita infinita del componente.
Nell’ipotesi di aumento lineare delle tensioni fino a rottura, il coefficiente di sicurezza a fatica
FAT viene definito dal rapporto dei segmenti ̅̅̅̅̅̅̅̅ 𝐎𝐅𝐋𝐈𝐌 e ̅̅̅̅
𝐎𝐅. Il punto FLIM viene ottenuto
intersecando la retta di funzionamento f con la retta r o la retta s.

Se la retta di funzionamento f interseca la retta di rottura r il punto limite FLIM si determina risolvendo
il sistema lineare:

∆𝜎 𝜎𝑚
𝑟: eff
+ =1
∆σLIM 𝜎𝑟
∆σlav
𝑓: ∆𝜎 = 𝑙𝑎𝑣 𝜎𝑚
{ σ𝑚

Sostituendo nella prima equazione l’espressione di  ricavata dalla seconda equazione e indicando
in rosso la tensione media m incognita si ottiene:

∆σlav
𝜎𝑚
σ𝑙𝑎𝑣
𝑚 𝜎𝑚
eff
+ =1
∆σLIM 𝜎𝑟

che, sviluppata, diviene:

∆σlav
σ𝑙𝑎𝑣
𝑚 1
𝜎𝑚 ( eff
+ )=1
∆σLIM 𝜎𝑟

ossia:

𝜎𝑚 ∆σlav σ𝑙𝑎𝑣
𝑚
( + )=1
σ𝑙𝑎𝑣
𝑚 ∆σLIM eff 𝜎𝑟

Ricordando l’espressione della retta f, si arriva alla relazione in funzione del  incognito:

∆𝜎 ∆σlav σ𝑙𝑎𝑣
𝑚
( eff
+ )=1
∆σlav ∆σLIM 𝜎𝑟

Da cui si ricava l’espressione del coefficiente di sicurezza a fatica:


𝜎𝑚 𝐹𝐿𝐼𝑀 ∆𝜎𝐹𝐿𝐼𝑀 1
FAT = = =
𝜎𝑚 𝑙𝑎𝑣 ∆σlav ∆σlav σ𝑙𝑎𝑣
𝑚
( +
∆σLIM eff 𝜎𝑟 )

Nel caso (B), il punto di funzionamento del materiale F ha come ascissa la tensione media di
lavoro mlav e come ordinata l’ampiezza di oscillazione lav. La retta di funzionamento f è quindi
definita dal punto di funzionamento F e dall’origine degli assi O. La superficie limite del diagramma
di Haigh in presenza di tensioni tangenziali è delimitata dalla retta r definita dall’equazione = LIMeff,
parallela all’asse delle tensioni medie, dalla retta s che origina dal punto S rappresentativo della
tensione di snervamento del materiale (definita come SN/√3 in accordo al criterio di resistenza di
Von Mises) e dagli assi del diagramma. Come nel caso del diagramma (A), la retta s è orientata a
−45° rispetto all’asse delle m. Se il punto di funzionamento F è situato all’interno del diagramma di
Haigh, il componente ha vita infinita.
Nell’ipotesi di aumento lineare delle tensioni fino a rottura, il coefficiente di sicurezza a fatica
FAT viene definito dal rapporto dei segmenti ̅̅̅̅̅̅̅̅ 𝐎𝐅𝐋𝐈𝐌 e ̅̅̅̅𝐎𝐅. Il punto FLIM viene ottenuto
intersecando la retta di funzionamento f con la retta r o la retta s.
Fatica a basso numero di cicli (oligociclica)
Risulta difficile modellare le curve S-N in maniera meccanicistica poiché esse rappresentano
l’inviluppo di comportamenti a rottura derivanti da una sequenza di processi fra loro dipendenti:
incrudimento o addolcimento ciclico*, nucleazione di cricche, propagazione di cricche fino alla
rottura finale. Le prime descrizioni empiriche risalgono ai primi anni del XX secolo. Una buona
descrizione per il regime ad "alto numero di cicli" è data dalla relazione

dove σ’f è il coefficiente di resistenza a fatica (approssimativamente uguale alla resistenza a frattura
in trazione), Nf è il numero di inversioni di cicli a rottura, b è l’esponente di Basquin; il suo valore è
all’incirca 0.1 per la maggior parte dei metalli. Poiché le prove sono condotte in campo elastico per
la maggior parte dei punti, in questo regime l’ampiezza di deformazione εa può essere supposta pari
a quella elastica pari a εaEL:

dove E rappresenta il modulo di Young.


Sotto l’azione di carichi più elevati il provino si deforma plasticamente in ogni ciclo. In questo caso
si ha il regime di fatica a "basso numero di cicli" (detto anche “fatica oligociclica”) ed è stata trovata
una correlazione tra il numero di cicli a rottura 2Nf e l’ampiezza di deformazione plastica εaPL,
descritta dalla legge di Coffin-Manson:

dove ε’f è il coefficiente di duttilità a fatica e c è l’esponente di Coffin (intorno a 0.5 per i metalli).
L’ampiezza di deformazione totale è la somma dei contributi elastico e plastico, che porta alla
relazione:

che descrive come si ripartisce la deformazione imposta εa nelle sue componenti elastica e plastica.
La transizione tra i due regimi può essere stimata valutando il punto di intersezione dei due regimi:

Si ottiene:

*
che si colloca tipicamente intorno ai 1000 cicli.
La figura seguente mostra le variazioni della deformazione a e delle sue componenti elastica e
plastica rispetto al parametro 2Nf. In scala doppio logaritmica, la retta rossa rappresenta il campo di
deformazione elastica che predomina ad alto numero di cicli mentre la retta blu rappresenta il campo
di deformazione plastica che invece predomina nella fatica oligociclica.

a

aEL=
E 2Nf*

aPL

Si noti che il valore di transizione 2Nf* sopra calcolato rappresenta un numero di cicli a rottura e non
indica che il regime di fatica varia nel corso della vita utile del componente. Il regime a basso o alto
numero di cicli dipende infatti dal valore di deformazione εa imposto al materiale e rimane sempre lo
stesso fino al cedimento.

* Nelle sollecitazioni di fatica dove sono presenti significative deformazioni plastiche si devono
tenere in conto gli effetti di incrudimento e addolcimento ciclico che possono comportare fenomeni
di isteresi finché non si stabilizza il ciclo di carico.
Fissato il livello di deformazione a dei cicli di fatica (per prove di fatica in controllo di deformazione,
si assume che la deformazione vari tra −a e a) che fa plasticizzare il materiale alternativamente in
trazione e compressione, nell’incrudimento ciclico si osserva, sia in trazione sia in compressione, un
progressivo incremento dell’ampiezza di oscillazione a corrispondente alla deformazione applicata.
In sostanza, il ciclo di isteresi seguito dal materiale si restringe ciclo dopo ciclo. Nell’addolcimento
ciclico invece l’ampiezza di oscillazione a relativa alla deformazione ±a diventa sempre più piccola
al progredire dei cicli di fatica e il ciclo di isteresi seguito dal materiale si allarga. Dopo un certo
numero di cicli si assiste ad una stabilizzazione del ciclo di isteresi sia per i materiali che incrudiscono
plasticamente sia per quelli che addolciscono plasticamente: l’ampiezza di oscillazione raggiunge
finalmente il valore astab.
INCRUDIMENTO CICLICO

ADDOLCIMENTO CICLICO

Unendo i vertici dei cicli di isteresi (a,astab) stabilizzati relativi ai diversi livelli di deformazione a
considerati negli esperimenti (pallini rossi in figura) si ottiene infine la curva monotona che descrive
la resistenza del materiale in regime di fatica oligociclica.

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