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DIMENSIONAMENTO A ROTTURA
Si deve innanzitutto stabilire quali azioni possono provocare la rottura. Le diverse
azioni si possono classificare nel seguente modo:
- Forze applicate staticamente a temperatura ambiente in ambiente non corrosivo.
- Forze applicate staticamente a temperature elevate in ambiente non corrosivo. Fenomeni di
scorrimento viscoso (creep).
- Fatica a temperatura ambiente ed in ambiente non corrosivo (fatigue).
- Fatica ad alta temperatura, in ambiente non corrosivo (high temperature fatigue).
- Forze applicate staticamente a temperatura ambiente in mezzo corrosivo. Fenomeni di
corrosione sotto sforzo (stress corrosion).
- Forze che si ripetono ciclicamente, in mezzo corrosivo (stress corrosion fatigue).
- Forze statiche a temperatura ambiente, in ambiente non corrosivo, in presenza di difetti o
fessure nel pezzo. La presenza di difetti può portare a rotture disastrose di tipo sia duttile sia
fragile. Lo studio di tali sollecitazioni viene eseguito per mezzo della Meccanica della Frattura
(fracture mechanics).
- Forze che si ripetono ciclicamente a temperatura ambiente, in ambiente non corrosivo, in
presenza di difetti o fessure nel pezzo. La fessura si propoga o la rottura si verifica a causa di
sollecitazioni di fatica. Si usa ancora la Meccanica della Frattura (fracture mechanics).
- Deformazioni statiche, in mezzo non corrosivo dovute a variazioni di temperatura (thermal
stresses).
- Deformazioni ripetute ciclicamente, in mezzo non corrosivo dovute a variazioni di
temperatura (thermal fatigue).
- Accumulo ciclico di deformazioni a causa di forze applicate e/o variazioni termiche
(mechanical o thermal ratcheting).
I meccanismi che possono provocare la rottura sono molteplici e sono associati alle
diverse condizioni di funzionamento tipiche dei vari elementi di macchine.
Si ipotizza un rischio di rottura per ogni condizione operativa tipica (COT). Ogni
elemento di macchina può avere più condizioni operative tipiche e ad ogni
condizione operativa si associa un danno. In presenza di più condizioni operative
tipiche, il danno totale può essere maggiore della somma dei danni associati al
verificarsi delle singoli condizioni (fenomeno del sinergismo).
La rottura si verifica se il danno diventa maggiore di un danno ammissibile.
Non si verifica rottura se accade che:
DANNO DANNO AMMISSIBILE
Il danno ammissibile viene definito come una frazione del danno limite:
DANNO LIMITE DI ROTTURA
DANNO AMMISSIBILE =
coefficiente di sicurezza
Invece del parametro DANNO, si possono usare parametri legati alle azioni agenti
su un dato elemento. Ad esempio, in corrispondenza di forze agenti su un
elemento ci si riferisce alla tensione massima srif, cioè quella agente nella zona più
sollecitata ed il criterio di dimensionamento diviene:
s
s rif lim
c. s.
Se l’azione sull’elemento è dovuta a deformazioni applicate all’elemento, si
deve verificare che la deformazione risultante Defrif sia minore di un valore
ammissibile: Def rott
Def rif
c. s.
È pratica comune esprimere ricondursi ai valore delle tensioni, una volta calcolati i
valori delle deformazioni. Definito il modulo di elasticità normale E (o modulo di
Young) si possono ricavare i valori delle tensioni di riferimento, ammissibile e di
rottura:
s rif = E Def rif
s amm = s rott / c. s.
s amm = E Defamm ovviamente, accade pure che:
Defamm = Defrott / c. s.
s rott = E Def rott
Combinando le varie relazioni scritte, si giunge alla classica espressione usata nel
dimensionamento a resistenza:
s rif ( oppure defrif ) s amm ( oppure defamm )
Si noti che gli stati di tensione sono di solito pluriassiali. Per tale motivo, si indicano
i valori di riferimento con la notazione di “valori ideali”, perché la verifica di
resistenza viene compiuta utilizzando trattando la sollecitazione pluriassiale come
se fosse “idealmente” monoassiale.
In caso di sollecitazioni di fatica si considerano come valori di riferimento la
tensione (o la deformazione) massima nel ciclo e la differenza tra le tensioni (o le
deformazioni) massima e minima nel ciclo. I limiti di rottura dipendono dal numero
di cicli (vita utile richiesta), dal tipo di sollecitazione (trazione-compressione,
flessione alternata, ecc.) e da un parametro che caratterizza la tensione (tensione
media, rapporto tra le tensioni massima e minima).
Se ci sono cricche o fessure, si definisce un fattore di intensificazione degli sforzi
e si usa la teoria della meccanica della frattura elastica. Il fattore di intensità degli
sforzi K viene calcolato come:
K = Ys a
ove:
Y è un coefficiente dipendente dalla forma dell’elemento di macchina e della fessura nonché
dalla zona in cui è presente la fessura;
s è la tensione che si avrebbe all’apice della fessura se la fessura non fosse presente;
a è una dimensione tipica della fessura.
Il criterio di dimensionamento sarà quindi:
K
c
K K =
amm c. s.
ove Kc è un valore limite per il quale la frattura non si propaga in modo instabile.
Nel caso in cui si debba progettare un pezzo a fatica e siano presenti cricche o
fessure, il criterio di dimensionamento è il seguente:
K K
amm
F = 0 ; M = 0 Moto uniforme
F = ma ; M = I
..
Moto non uniforme
Nel caso di strutture iperstatiche, le equazioni cardinali non sono sufficienti e si
devono perciò utilizzare delle condizioni di congruenza. Si formula quindi un
problema elastico per la cui risoluzione vi sono vari strumenti: il metodo degli
elementi finiti, il metodo delle forze, il metodo degli spostamenti. Si noti che la
scelta del metodo non influenza la soluzione del problema elastico ottenuta poiché
quando la soluzione esiste è comunque unica (teorema di unicità dell’equilibrio
elastico). Una volta che sono state determinate le forze scambiate e le reazioni
vincolari si può determinare lo stato interno del sistema in termini di tensioni e
deformazioni.
Nella pratica progettuale si possono trovare svariati tipi di strutture.
Trave di Saint Venant, è una struttura con una dimensione molto maggiore delle
altre due.
Lastra e piastra, sono strutture con una dimensione molto più piccola delle altre
due. La struttura si può considerare come un “mantello” avente un certo spessore.
In strutture siffatte, si ha uno stato piano di tensione: se z è la coordinata in
direzione dello spessore lo stato piano di tensione è quello per cui si risulta
sz=txz=tyz=0.
La struttura viene chiamata “lastra” se i carichi agiscono nel piano xy. Se invece i
carichi agiscono normalmente al piano xy la struttura viene chiamata “piastra”.
Guscio, è ancora una struttura sottile ma la superficie (“mantello”) è curva e le
forze possono agire sia nel piano xy, sia perpendicolarmente ad esso.
La struttura viene considerata un modello solido quando non esistono delle
dimensioni prevalenti rispetto alle altre. Si possono introdurre delle semplificazioni
nella geometria, nei carichi e nei vincoli (p.e. simmetria, emisimmetria,
assialsimmetria).
Per strutture di tipo trave, lastra, piastra e guscio esiste una vasta raccolta di
formulazioni e soluzioni analitiche. (cfr. Roark-Joung, “Formulas for stress-strain”, Mc
Graw-Hill, New York, 1975).
Se non esiste una soluzione analitica si può comunque trovare una soluzione
numerica utilizzando il metodo degli elementi finiti.
EA T
F = −
EA
+1
cl
s = − E T b
term
s = − E T
term , max
=
1 s − (s
+ s ) + T = +
y E
y x z
y, m y, T
=
1 s − (s
+ s ) + T = +
z E
z x y
z, m z, T
t t t
xy yz xz
= = =
xy G yz G xz G
dove:
è il coefficiente di dilatazione termica, assunto uguale in tutte e tre le direzioni
x,y,z per l’isotropia del materiale;
E e G sono i moduli elastici normale e tangenziale, con G=E/2(1+), mentre è il
rapporto di Poisson.
Si nota che solo le deformazioni x,y, z lungo le direzioni principali dipendono dalla
temperatura e sono somma di due contributi: un contributo dovuto alle sollecitazioni
meccaniche (indicato con il pedice m) ed un contributo dovuto alle sollecitazioni termiche
(indicato con il pedice T).
In un cubetto isotropo non vi è quindi alcuna variazione di forma dovuta alla temperatura.
s x = − E T
espressione identica a quella ricavata in precedenza nel caso che la molla fosse infinitamente
rigida (b=1).
Nel caso di vincolo perfetto bidimensionale, il vincolo agisce lungo le direzioni x ed y (lastra
incastrata lungo un bordo) e pertanto si ha che: x= y=0, sz=0. Dalle prime due relazioni
costitutive si ricava che:
E T
sx = sy = −
1−
Si nota che questa condizione è più pericolosa di quella che si trovava per il caso di vincolo
monodimensionale. Infatti, per il caso dell’acciaio, il modulo di Poisson è 0.3 e il
denominatore è di conseguenza 0.7. La corrispondente tensione termica è perciò il 40%
maggiore della tensione termica dovuta alla presenza di un vincolo monodimensionale.
Una situazione ancora più critica si verifica nel caso di vincolo perfetto tridimensionale. Il
vincolo agisce lungo le tre direzioni x, y e z (modello solido incastrato in corrispondenza di
alcune sue porzioni) e pertanto si ha che: x= y= z=0. Dalle relazioni costitutive si ricava che:
E T
sx = sy = sz = −
1 − 2
Tale valore di tensione è addirittura 2.5 volte maggiore di quella corrispondente al caso
monodimensionale.
Le espressioni delle tensioni termiche ricavate per il caso di una variazione
uniforme di temperatura, si generalizzano per vincoli monodimensionali,
bidimensionali e tridimensionali. Si scrive che la generica (isima lungo x,y,z)
componente di tensione vale:
s i = − E T b
Il parametro b fornisce informazioni sul tipo di vincoli agenti sulla struttura e varia tra 0
(assenza di vincoli) ed 1 (vincolo infinitamente rigido, ideale).
Il parametro dipende dai gradi di libertà che il vincolo sottrae alla struttura e vale 1, 1/(1-) o
1/(1-2) se il vincolo è monodimensionale, bidimensionale o tridimensionale.
L’elemento di materiale non può deformarsi in direzione x a causa dei
vincoli cinematici esterni e/o dell’azione del materiale circostante (vincoli
interni) ma è libero di deformarsi lungo y e z.
x =0 sx 0
sy =0 y 0
sz =0 z 0
Le equazioni costitutive termo-meccaniche diventano allora:
𝜎𝑥
0= + 𝛼∆𝑇 𝜎𝑥 = −𝐸𝛼∆𝑇 c.v.d.
𝐸
𝑣
𝜀𝑦 = 𝜀𝑧 = − 𝜎𝑥 + 𝛼∆𝑇 = (1 + 𝑣)𝛼∆𝑇
𝐸
x =0 sx 0
y =0 sy 0
z =0 sz 0
𝜎𝑥 2𝑣 𝐸𝛼∆𝑇
0= − 𝜎𝑥 + 𝛼∆𝑇 𝜎𝑥 = −
𝐸 𝐸 1−2𝑣
Allora:
𝐸𝛼∆𝑇
𝜎𝑥 = 𝜎𝑦 = 𝜎𝑧 = − c.v.d.
1−2𝑣
Se la variazione di temperatura è disuniforme, ci possono essere tensioni
termiche anche se la struttura non è vincolata iperstaticamente.
Una struttura complessa viene suddivisa in tanti cubetti elementari. Ogni cubetto avrà una
differente variazione dimensionale. In particolare, un cubetto di piccolo volume tende a
contrarre un cubetto adiacente di volume maggiore; analogamente un cubetto di maggiore
volume tende ad espandere un cubetto adiacente di minore volume. Le differenti variazioni di
volume producono delle tensioni termiche che devono essere tenute in conto per effettuare il
dimensionamento dell’elemento di macchina.
Dalla discussione sopra riportata, si evince che nel caso di variazioni non uniformi
di temperatura, le sollecitazioni termiche insorgono per effetto dei vincoli interni,
che rappresentano la continuità del materiale.
L’espressione della tensione termica è simile a quella ricavata per il caso di
sollecitazioni uniformi. La tensione termica dipende dalla variazione di temperatura
T tra punto e punto della struttura, e dai soliti parametri b e , relativi al tipo e
all’effetto dei vincoli. L’espressione della generica componente (lungo x,y,z) di
tensione è:
s i = − E T ( x , y , z ) b
Classificazione delle azioni gravanti sugli elementi di macchine
Le varie azioni possono essere più o meno “pericolose” per l’eventuale rottura di un
elemento di macchina. Per questo motivo, le azioni vengono suddivise in varie
categorie o classi e a ciascuna categoria corrisponde uno specifico valore di
deformazione e tensione ammissibile.
Azioni di tipo 1
Se la mensola soggetta al carico assiale P ha una
sezione costante A, in ogni sezione della trave agisce
P
una tensione costante pari a:
P
s =
A
Le condizioni di snervamento o rottura saranno raggiunte nel momento in cui la tensione s
diventa uguale ai corrispondenti valori limite sS e sR. La tensione ammissibile sarà scelta in
modo da non avere né snervamento e né rottura, definendo degli opportuni coefficienti di
sicurezza hS ed hR. In sostanza ci si cautela contemporaneamente dallo snervamento e dalla
rottura.
s s
S R
s = =
amm1 h h
S R
La tensione ammissibile samm1 rimane costante poiché viene ricavata in base a condizioni di
equilibrio.
Azioni di tipo 2
Se la mensola a sezione rettangolare in figura è soggetta
Mz al momento flettente Mz la tensione sx non sarà più
x
costante ma varierà lungo l’asse y con la seguente legge:
12 M y
z
s =
b x bh 3
B
6M
z
A s =
m bh 2
y
Se la tensione massima sm è pari alla tensione di snervamento sS, si snervano le fibre
disposte ad y= h/2, cioè sul bordo della sezione trasversale della trave, mentre le fibre
interne rimangono in campo elastico.
In questo caso non tutta la trave cede perché solo alcune fibre solo snervate. La
condizione di pericolosità corrisponderà allo snervamento di tutte le fibre e si
verificherà se il valore del momento applicato è tale da snervare tutte le fibre. Il
diagramma della tensione sarà del tipo mostrato nella figura sottostante:
-sS
Applicando un momento pari ad Mp, si nota che metà
sezione è snervata da un valore di tensione negativo pari a –
sS, mentre l’altra metà è snervata da un valore di tensione
+sS pari a sS.
s
Nel caso in cui si abbia un materiale
perfettamente elasto-plastico che non presenti
incrudimento la trave si deforma fino ad
arrivare a rottura nel momento in cui è caricata
con il momento Mp. Al fissato livello di tensione
sS la deformazione continua ad aumentare fino
a che non si ha il cedimento della struttura.
Si può quindi dire che il momento Mp è il carico massimo sopportabile, prima che si
verifichi la condizione di cerniera plastica che corrisponde ad aumentare i gradi di libertà
della struttura rendendola labile.
P
Può accadere che non tutte le sezioni della trave siano in
condizione di cerniera plastica. Ad esempio se la mensola di x
lunghezza L è caricata con una forza verticale P, il momento
massimo si avrà in corrispondenza dell’incastro e sarà pari
ad PL. M=PL
I momenti di cerniera plastica Mp sono legati al valore del momento di snervamento Ms dal
parametro l. Si noti che il momento di snervamento ha un significato ben diverso dal
momento di cerniera plastica. Infatti, il momento di snervamento è il momento per il quale
solo alcune delle fibre della sezione resistente sono snervate, mentre il momento di
cerniera plastica è il momento per cui tutte le fibre della sezione resistente sono snervate.
È quindi evidente che il momento di cerniera plastica sarà più grande del momento di
snervamento. Si scrive che:
M
P
l =
M
S
ove il parametro l è maggiore di 1 ed i suoi valori sono tabellati per sezioni di varia
geometria (p.e. 1.1 per sezione a doppio T, 1.5 per sezione rettangolare, etc).
Le azioni di tipo due diventano quindi pericolose nel momento in cui si raggiunge la
condizione di cerniera plastica. Si scrive quindi che:
l s
S
s =
amm 2 h
P
ove hP è il coefficiente di sicurezza a cerniera plastica.
s
s = l S
= ls
amm 2 h amm1
s
Si conclude quindi che le azioni di tipo 2 sono meno pericolose delle azioni di tipo 1.
Azioni di tipo 3
Sono caratterizzate dal livello di deformazione che si sviluppa nella struttura.
Il buckling è un classico esempio di azione di tipo 3.
Azioni di tipo 4
Queste azioni sono causate da deformazioni applicate ripetutamente.
Un tipico esempio è quello di “fatica termica” ove gli elementi di macchina sono fatti
funzionare e vengono arrestati in corrispondenza di temperature variabili, p.e. si passa
ripetutamente da una condizione “a freddo” ad una condizione “a caldo” e così via.
Se il corpo non è “sufficientemente libero”, ossia non vi sono gradi di libertà in
corrispondenza delle deformazioni indotte dalle variazioni di temperatura, insorgeranno
delle tensioni termiche che varieranno nel tempo.
Nello schema in figura sono rappresentati i cicli termici di un elemento di macchina il cui
funzionamento avviene in corrispondenza di temperature diverse dalla temperatura Tm di
montaggio. Si vogliono determinare le condizioni tipiche di un siffatto elemento di
macchina.
Temperatura
Tmax
Tmin
Tempo
s
ss Y Il punto di funzionamento del materiale si
P muove sempre sul tratto OY, passando dalla
condizione tipica O alla condizione tipica P e
viceversa. Il materiale resta sempre in campo
elastico, resistendo indefinitamente.
O a= P= −.Tm
L = 2s S ( B − 2 S )
C
ove B è pari alla deformazione termica applicata a, mentre S e sS sono rispettivamente la
deformazione e la tensione corrispondenti al punto di snervamento.
Il materiale compie dei cicli di isteresi ed in ogni ciclo si dissipa un lavoro per unità di volume
pari ad LC. Il lavoro dissipato provoca un aumento della temperatura e un accumulo di
danneggiamento. Questa condizione di funzionamento è molto pericolosa perché il materiale
si rompe dopo un basso numero di cicli (low cycle fatigue). Il numero di cicli a cui il materiale
si rompe è strettamente legato al valore di Lc e la rottura per fatica termica si verifica di solito
a 104 cicli.
Un caso di rottura per fatica termica è quello di un filo di ferro piegato ripetutamente.
Condizione 3 : S < a = −. Tm < 2S
La deformazione massima a provocata dalla sollecitazione termica è compresa tra la
deformazione di snervamento ed il doppio della deformazione di snervamento.
s
Nel primo ciclo il materiale percorre dapprima il
tratto elastico OB e poi si deforma plasticamente
ss B F
nel tratto BF, fino ad arrivare nel punto F
corrispondente alla sollecitazione termica
applicata. La deformazione viene poi
2S R progressivamente ridotta ed il punto di
funzionamento del materiale si sposta lungo il
O S F = a= −. Tm
tratto FG, parallelo al tratto elastico OB. Ad un
certo punto la tensione diviene negativa ma il
G materiale non si deforma plasticamente in
compressione perché non si raggiunge il valore -
sS. Il primo ciclo si conclude nel punto G.
Nei cicli successivi al primo il punto di funzionamento si sposta sul tratto GF ed il materiale
rimane nel campo elastico, perché durante la fase di scarico non si raggiunge la tensione di
snervamento in compressione.
Il materiale si deforma plasticamente solo nel primo ciclo di lavoro e non presenta isteresi.
Questa condizione di funzionamento appare più sicura di quella che presentava cicli di
isteresi ed infatti la rottura interviene dopo un più elevato numero di cicli (high cycle fatigue).
Il tipico intervallo in cui varia il numero di cicli di rottura è 103−107.