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DIMENSIONAMENTO DI ELEMENTI DI MACCHINE

Il dimensionamento degli elementi di macchine può essere svolto in base a tre


diversi criteri:
1. Cautelarsi dalla rottura (dimensionamento a RESISTENZA);
2. Cautelarsi dal danneggiamento superficiale (dimensionamento ad USURA);
3. Fornire all’elemento una rigidezza accettabile (dimensionamento a RIGIDEZZA).

DIMENSIONAMENTO A ROTTURA
Si deve innanzitutto stabilire quali azioni possono provocare la rottura. Le diverse
azioni si possono classificare nel seguente modo:
- Forze applicate staticamente a temperatura ambiente in ambiente non corrosivo.
- Forze applicate staticamente a temperature elevate in ambiente non corrosivo. Fenomeni di
scorrimento viscoso (creep).
- Fatica a temperatura ambiente ed in ambiente non corrosivo (fatigue).
- Fatica ad alta temperatura, in ambiente non corrosivo (high temperature fatigue).
- Forze applicate staticamente a temperatura ambiente in mezzo corrosivo. Fenomeni di
corrosione sotto sforzo (stress corrosion).
- Forze che si ripetono ciclicamente, in mezzo corrosivo (stress corrosion fatigue).
- Forze statiche a temperatura ambiente, in ambiente non corrosivo, in presenza di difetti o
fessure nel pezzo. La presenza di difetti può portare a rotture disastrose di tipo sia duttile sia
fragile. Lo studio di tali sollecitazioni viene eseguito per mezzo della Meccanica della Frattura
(fracture mechanics).
- Forze che si ripetono ciclicamente a temperatura ambiente, in ambiente non corrosivo, in
presenza di difetti o fessure nel pezzo. La fessura si propoga o la rottura si verifica a causa di
sollecitazioni di fatica. Si usa ancora la Meccanica della Frattura (fracture mechanics).
- Deformazioni statiche, in mezzo non corrosivo dovute a variazioni di temperatura (thermal
stresses).
- Deformazioni ripetute ciclicamente, in mezzo non corrosivo dovute a variazioni di
temperatura (thermal fatigue).
- Accumulo ciclico di deformazioni a causa di forze applicate e/o variazioni termiche
(mechanical o thermal ratcheting).

I meccanismi che possono provocare la rottura sono molteplici e sono associati alle
diverse condizioni di funzionamento tipiche dei vari elementi di macchine.
Si ipotizza un rischio di rottura per ogni condizione operativa tipica (COT). Ogni
elemento di macchina può avere più condizioni operative tipiche e ad ogni
condizione operativa si associa un danno. In presenza di più condizioni operative
tipiche, il danno totale può essere maggiore della somma dei danni associati al
verificarsi delle singoli condizioni (fenomeno del sinergismo).
La rottura si verifica se il danno diventa maggiore di un danno ammissibile.
Non si verifica rottura se accade che:
DANNO  DANNO AMMISSIBILE

Il danno ammissibile viene definito come una frazione del danno limite:
DANNO LIMITE DI ROTTURA
DANNO AMMISSIBILE =
coefficiente di sicurezza

Il coefficiente di sicurezza (c.s.) indica in che misura il funzionamento della


macchina si discosta dal limite di rottura. Il coefficiente di sicurezza viene anche
chiamato coefficiente di ignoranza poiché non sempre si sa con esattezza come
determinare l’entità del danno. Il coefficiente di ignoranza è tanto più grande quanto
maggiore è l’incertezza su come calcolare il danno globale ed il danno limite.

Invece del parametro DANNO, si possono usare parametri legati alle azioni agenti
su un dato elemento. Ad esempio, in corrispondenza di forze agenti su un
elemento ci si riferisce alla tensione massima srif, cioè quella agente nella zona più
sollecitata ed il criterio di dimensionamento diviene:
s
s rif  lim
c. s.
Se l’azione sull’elemento è dovuta a deformazioni applicate all’elemento, si
deve verificare che la deformazione risultante Defrif sia minore di un valore
ammissibile: Def rott
Def rif 
c. s.
È pratica comune esprimere ricondursi ai valore delle tensioni, una volta calcolati i
valori delle deformazioni. Definito il modulo di elasticità normale E (o modulo di
Young) si possono ricavare i valori delle tensioni di riferimento, ammissibile e di
rottura:
s rif = E  Def rif
s amm = s rott / c. s.
s amm = E  Defamm ovviamente, accade pure che: 
Defamm = Defrott / c. s.
s rott = E  Def rott

Combinando le varie relazioni scritte, si giunge alla classica espressione usata nel
dimensionamento a resistenza:
s rif ( oppure defrif )  s amm ( oppure defamm )

Si noti che gli stati di tensione sono di solito pluriassiali. Per tale motivo, si indicano
i valori di riferimento con la notazione di “valori ideali”, perché la verifica di
resistenza viene compiuta utilizzando trattando la sollecitazione pluriassiale come
se fosse “idealmente” monoassiale.
In caso di sollecitazioni di fatica si considerano come valori di riferimento la
tensione (o la deformazione) massima nel ciclo e la differenza tra le tensioni (o le
deformazioni) massima e minima nel ciclo. I limiti di rottura dipendono dal numero
di cicli (vita utile richiesta), dal tipo di sollecitazione (trazione-compressione,
flessione alternata, ecc.) e da un parametro che caratterizza la tensione (tensione
media, rapporto tra le tensioni massima e minima).
Se ci sono cricche o fessure, si definisce un fattore di intensificazione degli sforzi
e si usa la teoria della meccanica della frattura elastica. Il fattore di intensità degli
sforzi K viene calcolato come:
K = Ys a
ove:
Y è un coefficiente dipendente dalla forma dell’elemento di macchina e della fessura nonché
dalla zona in cui è presente la fessura;
s è la tensione che si avrebbe all’apice della fessura se la fessura non fosse presente;
a è una dimensione tipica della fessura.
Il criterio di dimensionamento sarà quindi:
K
c
K  K =
amm c. s.

ove Kc è un valore limite per il quale la frattura non si propaga in modo instabile.
Nel caso in cui si debba progettare un pezzo a fatica e siano presenti cricche o
fessure, il criterio di dimensionamento è il seguente:
K  K
amm

ove K è un valore limite per il quale la velocità massima di propagazione del


difetto è ancora accettabile.

Parametri caratteristici delle cricche


Supponiamo di avere una piastra rettangolare soggetta a trazione sui
bordi trasversali. C’è una cricca di lunghezza 2a completamente
contenuta nella piastra. La dimensione caratteristica della cricca da
inserire nella formula del fattore di intensità degli sforzi K è pari ad a,
ossia metà della lunghezza della cricca. Nel caso di una cricca a
“unghia” che parte dal bordo longitudinale della piastra, la dimensione
caratteristica coincide proprio con la lunghezza della cricca.
Il campo di tensione si “deforma” in corrispondenza delle cricche e le
linee isostatiche si concentrano all’apice di ciascuna cricca
aumentando così il livello di stress locale.
Per operare il dimensionamento a rottura si deve determinare in quale zona
della macchina si ha la massima tensione o deformazione. Si deve esaminare il
tipo di azione applicata e la sua pericolosità, come anche la geometria
dell’elemento.
Se le azioni sono delle forze, si devono stabilire quali forze vengono trasmesse ad
un dato elemento di macchina dagli elementi ad esso adiacenti; inoltre si devono
determinare le reazioni vincolari. Queste operazioni sono compiute in base a
considerazioni di equilibrio.
Si applicano le Equazioni Cardinali della Statica e della Dinamica.

F = 0 ; M = 0 Moto uniforme

F = ma ; M = I
..
Moto non uniforme
Nel caso di strutture iperstatiche, le equazioni cardinali non sono sufficienti e si
devono perciò utilizzare delle condizioni di congruenza. Si formula quindi un
problema elastico per la cui risoluzione vi sono vari strumenti: il metodo degli
elementi finiti, il metodo delle forze, il metodo degli spostamenti. Si noti che la
scelta del metodo non influenza la soluzione del problema elastico ottenuta poiché
quando la soluzione esiste è comunque unica (teorema di unicità dell’equilibrio
elastico). Una volta che sono state determinate le forze scambiate e le reazioni
vincolari si può determinare lo stato interno del sistema in termini di tensioni e
deformazioni.
Nella pratica progettuale si possono trovare svariati tipi di strutture.
Trave di Saint Venant, è una struttura con una dimensione molto maggiore delle
altre due.
Lastra e piastra, sono strutture con una dimensione molto più piccola delle altre
due. La struttura si può considerare come un “mantello” avente un certo spessore.
In strutture siffatte, si ha uno stato piano di tensione: se z è la coordinata in
direzione dello spessore lo stato piano di tensione è quello per cui si risulta
sz=txz=tyz=0.
La struttura viene chiamata “lastra” se i carichi agiscono nel piano xy. Se invece i
carichi agiscono normalmente al piano xy la struttura viene chiamata “piastra”.
Guscio, è ancora una struttura sottile ma la superficie (“mantello”) è curva e le
forze possono agire sia nel piano xy, sia perpendicolarmente ad esso.
La struttura viene considerata un modello solido quando non esistono delle
dimensioni prevalenti rispetto alle altre. Si possono introdurre delle semplificazioni
nella geometria, nei carichi e nei vincoli (p.e. simmetria, emisimmetria,
assialsimmetria).
Per strutture di tipo trave, lastra, piastra e guscio esiste una vasta raccolta di
formulazioni e soluzioni analitiche. (cfr. Roark-Joung, “Formulas for stress-strain”, Mc
Graw-Hill, New York, 1975).
Se non esiste una soluzione analitica si può comunque trovare una soluzione
numerica utilizzando il metodo degli elementi finiti.

Se nella struttura ci sono degli intagli si determina la tensione massima della


struttura senza intagli e si moltiplica il valore ottenuto per un fattore di forma KT
chiamato fattore di intensificazione degli sforzi (stress concentration factor) o anche
fattore di intaglio. Il fattore di forma KT dipende dalla forma dell’intaglio (cfr.
Patterson, “Stress concentration design factors”, Wiley, New York, 1974).
Ad esempio, per le travi è molto semplice risalire ai valori maggiorati di tensione,
perché una volta che si conoscono le caratteristiche della sollecitazione in una data
sezione si può immediatamente determinare il corrispondente stato tensionale.

Definizione di intaglio e confronto cricca-intaglio


L’intaglio rappresenta una non linearità geometrica in cui varia bruscamente
l’area della sezione resistente. Le dimensioni dell’intaglio sono “finite” e spesso si
usano intagli per realizzare le variazioni richieste dal progetto. Le differenze tra
cricche e intagli stanno quindi nelle dimensioni (cricche molto più piccole degli
intagli) e nella geometria essendo gli intagli vere e proprie strutture
tridimensionali.
Come nel caso della cricca, le linee isostatiche si distorcono, addensandosi
vicino all’intaglio dove varia la sezione resistente. Lo stress quindi si intensifica in
corrispondenza dell’intaglio. Lontano dall’intaglio le linee di flusso delle tensioni
restano invece rettilinee e il valore di tensione coincide con quello nominale.
Se lo stato di tensione è pluriassiale si usa come tensione di riferimento la
tensione “ideale” che dipende da che criterio di rottura viene adottato. I criteri di
rottura più largamente utilizzati sono:
Criterio di Tresca, che si basa sulla massima tensione di taglio;
Criterio di Von Mises, che si basa sulla massima energia di distorsione.
I due criteri sono sostanzialmente equivalenti. Il criterio di Von Mises è più utilizzato
per calcoli strutturali compiuti su elaboratori elettronici.

Nel caso di sollecitazioni pluriassiali dovute a carichi di fatica, non c’è


attualmente concordanza sul modo in cui determinare la tensione “ideale” (srif). Vi
sono due diversi approcci:
1. La tensione ideale viene calcolata come per il caso statico in base alla
componente alternata della tensione di fatica, valutando quindi l’effetto della
tensione media.
2. Ogni componente di tensione è vista come un contributo Di al DANNO globale:
i ove: i indica il contributo isimo: Smaxi ed Srotti sono le componenti di
i
D = (S /S )
i max rott tensioni massima e limite corrispondenti alla isima sollecitazione; Ni è
i
il numero di cicli durante i quali è attivo il contributo isimo; Nrotti è il
D = (N / N ) numero di cicli per cui il contributo isimo provocherebbe da solo la
i i rott
rottura del componente.
Può anche accadere che l’elemento di macchina sia soggetto a deformazioni
provocate da variazioni di temperatura, quando la temperatura delle condizioni
di esercizio è diversa dalla temperatura delle condizioni di montaggio. In tal caso, si
deve fare in modo che il corpo sia libero di deformarsi senza che intervengano delle
sollecitazioni addizionali: in sostanza non ci devono essere tensioni termiche.
c
B B
l

Si consideri una mensola di lunghezza l e sezione A, con modulo di elasticità E.


Se l’estremo B è libero, la trave non è soggetta a sollecitazioni termiche in
corrispondenza di una variazione di temperatura T.
Se invece c’è una molla di rigidezza c si può determinare la forza assiale di
reazione F scambiata tra la trave e la molla. La presenza della molla simula la
rigidezza del vincolo in B. Dall’equazione di congruenza scritta per B, si ha:
Fl F
uB =0    T  l + + = 0
EA c

Si ricava il valore della forza F:


  T  l
F = −
1 l
+
c EA
La forza F si può riscrivere come:

  EA  T
F = −
EA
+1
cl

La forza F è di trazione se T<0, di compressione se T>0.


Se c=0, la forza di reazione esercitata dalla molla è nulla.
Se c → , si ottiene la forza di reazione F = −  EA  T. In questo caso si
dice che il vincolo è infinitamente rigido e la forza F non dipende né dalla rigidezza
della molla né dalla lunghezza della trave.
Si calcola quindi la tensione termica agente sulla trave:
F   E  T
s = = −
term A EA
+1
cl

Si definisce il parametro b che fornisce informazioni sull’effetto del vincolo. In


particolare succede che b vale 0 se c=0, oppure vale 1 se c →  .
 EA 
b = 1/  + 1
 cl 
Si scrive l’espressione finale della tensione termica nel caso monodimensionale:

s = −   E  T  b
term

che è di compressione o di trazione a seconda che il T sia positivo o negativo.


Poiché il parametro b varia tra 0 (estremo libero) ed 1 (vincolo ideale, infinitamente
rigido) si osserva che le tensioni termiche saranno presenti solo se il vincolo ha una
qualche rigidezza. La massima tensione termica si ha per b=1 e vale:

s = −   E  T
term , max

La soluzione del problema elastico se ci sono anche sollecitazioni termiche


deve ancora una volta rispettare tre tipi di condizioni:
1. Equilibrio;
2. Congruenza;
3. Legame costitutivo sforzi-deformazioni.
Le equazioni costitutive contengono i termini relativi alle sollecitazioni termiche.
Nel caso di un materiale omogeneo ed isotropo, i legami costitutivi sono modificati
nel seguente modo:
 =
1 s −   (s

+ s ) +   T =  + 
x E 
 x y z 
 x, m x, T

 =
1 s −   (s

+ s ) +   T =  + 
y E 
 y x z 
 y, m y, T

 =
1 s −   (s

+ s ) +   T =  + 
z E 
 z x y 
 z, m z, T

t t t
xy yz xz
 =  =  =
xy G yz G xz G

dove:
 è il coefficiente di dilatazione termica, assunto uguale in tutte e tre le direzioni
x,y,z per l’isotropia del materiale;
E e G sono i moduli elastici normale e tangenziale, con G=E/2(1+), mentre  è il
rapporto di Poisson.
Si nota che solo le deformazioni x,y, z lungo le direzioni principali dipendono dalla
temperatura e sono somma di due contributi: un contributo dovuto alle sollecitazioni
meccaniche (indicato con il pedice m) ed un contributo dovuto alle sollecitazioni termiche
(indicato con il pedice T).
In un cubetto isotropo non vi è quindi alcuna variazione di forma dovuta alla temperatura.

Le relazioni costitutive scritte sopra consentono di calcolare le tensioni termiche in


corrispondenza di ogni possibile condizione di vincolo.
Nel caso di vincolo perfetto monodimensionale, il vincolo agisce lungo la sola direzione x
(trave considerata in precedenza) e pertanto si ha che: x=0, sy= sz= 0. Dalla prima delle
relazioni costitutive si ricava che:

s x = − E    T

espressione identica a quella ricavata in precedenza nel caso che la molla fosse infinitamente
rigida (b=1).
Nel caso di vincolo perfetto bidimensionale, il vincolo agisce lungo le direzioni x ed y (lastra
incastrata lungo un bordo) e pertanto si ha che: x= y=0, sz=0. Dalle prime due relazioni
costitutive si ricava che:

E    T
sx = sy = −
1− 
Si nota che questa condizione è più pericolosa di quella che si trovava per il caso di vincolo
monodimensionale. Infatti, per il caso dell’acciaio, il modulo di Poisson  è 0.3 e il
denominatore è di conseguenza 0.7. La corrispondente tensione termica è perciò il 40%
maggiore della tensione termica dovuta alla presenza di un vincolo monodimensionale.
Una situazione ancora più critica si verifica nel caso di vincolo perfetto tridimensionale. Il
vincolo agisce lungo le tre direzioni x, y e z (modello solido incastrato in corrispondenza di
alcune sue porzioni) e pertanto si ha che: x= y= z=0. Dalle relazioni costitutive si ricava che:

E    T
sx = sy = sz = −
1 − 2

Tale valore di tensione è addirittura 2.5 volte maggiore di quella corrispondente al caso
monodimensionale.
Le espressioni delle tensioni termiche ricavate per il caso di una variazione
uniforme di temperatura, si generalizzano per vincoli monodimensionali,
bidimensionali e tridimensionali. Si scrive che la generica (isima lungo x,y,z)
componente di tensione vale:
s i = −   E  T  b  

Il parametro b fornisce informazioni sul tipo di vincoli agenti sulla struttura e varia tra 0
(assenza di vincoli) ed 1 (vincolo infinitamente rigido, ideale).
Il parametro  dipende dai gradi di libertà che il vincolo sottrae alla struttura e vale 1, 1/(1-) o
1/(1-2) se il vincolo è monodimensionale, bidimensionale o tridimensionale.
L’elemento di materiale non può deformarsi in direzione x a causa dei
vincoli cinematici esterni e/o dell’azione del materiale circostante (vincoli
interni) ma è libero di deformarsi lungo y e z.
x =0 sx  0
sy =0  y  0
sz =0 z  0
Le equazioni costitutive termo-meccaniche diventano allora:
𝜎𝑥
0= + 𝛼∆𝑇  𝜎𝑥 = −𝐸𝛼∆𝑇 c.v.d.
𝐸
𝑣
𝜀𝑦 = 𝜀𝑧 = − 𝜎𝑥 + 𝛼∆𝑇 = (1 + 𝑣)𝛼∆𝑇
𝐸

L’elemento di materiale non può deformarsi lungo le direzioni x e y a causa


dei vincoli cinematici esterni e/o dell’azione del materiale circostante
(vincoli interni) ma è libero di deformarsi lungo z.
x =0 sx  0
y =0  sy  0
sz =0 z  0
Le equazioni costitutive termo-meccaniche diventano allora:
𝜎𝑥 𝑣
0= − 𝜎𝑦 + 𝛼∆𝑇
𝐸 𝐸
𝜎𝑦 𝑣
0= − 𝜎𝑥 + 𝛼∆𝑇
𝐸 𝐸
𝑣
𝜀𝑧 = − 𝜎𝑥 +𝜎𝑦 + 𝛼∆𝑇
𝐸
Infine: Sottraendo la seconda equazione dalla prima si ottiene:
1+𝑣 1+𝑣
𝜎𝑥 = 𝜎𝑦 = −
𝐸𝛼∆𝑇
c.v.d. 𝜎𝑥 = 𝜎𝑦  𝜎𝑥 = 𝜎𝑦
1−𝑣 𝐸 𝐸
𝑣 2𝐸𝛼∆𝑇 1+𝑣 Sostituendo tale relazione, per esempio, nella prima equazione si ottiene:
𝜀𝑧 = − − + 𝛼∆𝑇 = 𝛼∆𝑇
𝐸 1−𝑣 1−𝑣 𝜎𝑥 𝑣 𝐸𝛼∆𝑇
0= − 𝜎𝑥 + 𝛼∆𝑇  𝜎𝑥 = −
𝐸 𝐸 1−𝑣
L’elemento di materiale non può deformarsi lungo nessuna direzione a
causa dei vincoli cinematici esterni e/o dell’azione del materiale
circostante (vincoli interni).

x =0 sx  0
y =0  sy  0
z =0 sz  0

Le equazioni costitutive termo-meccaniche diventano allora:


𝜎𝑥 𝑣
0= − 𝜎𝑦 +𝜎𝑧 + 𝛼∆𝑇
𝐸 𝐸
𝜎𝑦 𝑣
0= − 𝜎𝑥 +𝜎𝑧 + 𝛼∆𝑇
𝐸 𝐸
𝜎𝑧 𝑣
0= − 𝜎𝑥 +𝜎𝑦 + 𝛼∆𝑇
𝐸 𝐸

Sottraendo la seconda e la terza equazione dalla prima si ottiene:


1+𝑣 1+𝑣
𝜎𝑥 = 𝜎𝑦  𝜎𝑥 = 𝜎𝑦
𝐸 𝐸
1+𝑣 1+𝑣
𝜎𝑥 = 𝜎𝑧  𝜎𝑥 = 𝜎𝑧
𝐸 𝐸
Ossia: 𝜎𝑥 = 𝜎𝑦 = 𝜎𝑧

Sostituendo tale relazione, per esempio, nella prima equazione si ottiene:

𝜎𝑥 2𝑣 𝐸𝛼∆𝑇
0= − 𝜎𝑥 + 𝛼∆𝑇  𝜎𝑥 = −
𝐸 𝐸 1−2𝑣
Allora:
𝐸𝛼∆𝑇
𝜎𝑥 = 𝜎𝑦 = 𝜎𝑧 = − c.v.d.
1−2𝑣
Se la variazione di temperatura è disuniforme, ci possono essere tensioni
termiche anche se la struttura non è vincolata iperstaticamente.
Una struttura complessa viene suddivisa in tanti cubetti elementari. Ogni cubetto avrà una
differente variazione dimensionale. In particolare, un cubetto di piccolo volume tende a
contrarre un cubetto adiacente di volume maggiore; analogamente un cubetto di maggiore
volume tende ad espandere un cubetto adiacente di minore volume. Le differenti variazioni di
volume producono delle tensioni termiche che devono essere tenute in conto per effettuare il
dimensionamento dell’elemento di macchina.
Dalla discussione sopra riportata, si evince che nel caso di variazioni non uniformi
di temperatura, le sollecitazioni termiche insorgono per effetto dei vincoli interni,
che rappresentano la continuità del materiale.
L’espressione della tensione termica è simile a quella ricavata per il caso di
sollecitazioni uniformi. La tensione termica dipende dalla variazione di temperatura
T tra punto e punto della struttura, e dai soliti parametri b e , relativi al tipo e
all’effetto dei vincoli. L’espressione della generica componente (lungo x,y,z) di
tensione è:

s i = −   E  T ( x , y , z )  b  
Classificazione delle azioni gravanti sugli elementi di macchine
Le varie azioni possono essere più o meno “pericolose” per l’eventuale rottura di un
elemento di macchina. Per questo motivo, le azioni vengono suddivise in varie
categorie o classi e a ciascuna categoria corrisponde uno specifico valore di
deformazione e tensione ammissibile.

Azioni di tipo 1
Se la mensola soggetta al carico assiale P ha una
sezione costante A, in ogni sezione della trave agisce
P
una tensione costante pari a:
P
s =
A
Le condizioni di snervamento o rottura saranno raggiunte nel momento in cui la tensione s
diventa uguale ai corrispondenti valori limite sS e sR. La tensione ammissibile sarà scelta in
modo da non avere né snervamento e né rottura, definendo degli opportuni coefficienti di
sicurezza hS ed hR. In sostanza ci si cautela contemporaneamente dallo snervamento e dalla
rottura.
s s
S R
s = =
amm1 h h
S R
La tensione ammissibile samm1 rimane costante poiché viene ricavata in base a condizioni di
equilibrio.

Azioni di tipo 2
Se la mensola a sezione rettangolare in figura è soggetta
Mz al momento flettente Mz la tensione sx non sarà più
x
costante ma varierà lungo l’asse y con la seguente legge:

12 M  y
z
s =
b x bh 3
B

In corrispondenza dei punti A e B, cioè per y=h/2, si


h
avranno le tensioni massime e minime, pari a:
z

6M
z
A s = 
m bh 2
y
Se la tensione massima sm è pari alla tensione di snervamento sS, si snervano le fibre
disposte ad y= h/2, cioè sul bordo della sezione trasversale della trave, mentre le fibre
interne rimangono in campo elastico.
In questo caso non tutta la trave cede perché solo alcune fibre solo snervate. La
condizione di pericolosità corrisponderà allo snervamento di tutte le fibre e si
verificherà se il valore del momento applicato è tale da snervare tutte le fibre. Il
diagramma della tensione sarà del tipo mostrato nella figura sottostante:

-sS
Applicando un momento pari ad Mp, si nota che metà
sezione è snervata da un valore di tensione negativo pari a –
sS, mentre l’altra metà è snervata da un valore di tensione
+sS pari a sS.

s
Nel caso in cui si abbia un materiale
perfettamente elasto-plastico che non presenti
incrudimento la trave si deforma fino ad
arrivare a rottura nel momento in cui è caricata
con il momento Mp. Al fissato livello di tensione
sS la deformazione continua ad aumentare fino 
a che non si ha il cedimento della struttura.
Si può quindi dire che il momento Mp è il carico massimo sopportabile, prima che si
verifichi la condizione di cerniera plastica che corrisponde ad aumentare i gradi di libertà
della struttura rendendola labile.
P
Può accadere che non tutte le sezioni della trave siano in
condizione di cerniera plastica. Ad esempio se la mensola di x
lunghezza L è caricata con una forza verticale P, il momento
massimo si avrà in corrispondenza dell’incastro e sarà pari
ad PL. M=PL

I momenti di cerniera plastica Mp sono legati al valore del momento di snervamento Ms dal
parametro l. Si noti che il momento di snervamento ha un significato ben diverso dal
momento di cerniera plastica. Infatti, il momento di snervamento è il momento per il quale
solo alcune delle fibre della sezione resistente sono snervate, mentre il momento di
cerniera plastica è il momento per cui tutte le fibre della sezione resistente sono snervate.
È quindi evidente che il momento di cerniera plastica sarà più grande del momento di
snervamento. Si scrive che:
M
P
l =
M
S
ove il parametro l è maggiore di 1 ed i suoi valori sono tabellati per sezioni di varia
geometria (p.e. 1.1 per sezione a doppio T, 1.5 per sezione rettangolare, etc).
Le azioni di tipo due diventano quindi pericolose nel momento in cui si raggiunge la
condizione di cerniera plastica. Si scrive quindi che:
l  s
S
s =
amm 2 h
P
ove hP è il coefficiente di sicurezza a cerniera plastica.

Se hP è uguale al coefficiente di sicurezza a snervamento si può scrivere che:

s
s = l S
= ls
amm 2 h amm1
s

Si conclude quindi che le azioni di tipo 2 sono meno pericolose delle azioni di tipo 1.

Azioni di tipo 3
Sono caratterizzate dal livello di deformazione che si sviluppa nella struttura.
Il buckling è un classico esempio di azione di tipo 3.
Azioni di tipo 4
Queste azioni sono causate da deformazioni applicate ripetutamente.
Un tipico esempio è quello di “fatica termica” ove gli elementi di macchina sono fatti
funzionare e vengono arrestati in corrispondenza di temperature variabili, p.e. si passa
ripetutamente da una condizione “a freddo” ad una condizione “a caldo” e così via.
Se il corpo non è “sufficientemente libero”, ossia non vi sono gradi di libertà in
corrispondenza delle deformazioni indotte dalle variazioni di temperatura, insorgeranno
delle tensioni termiche che varieranno nel tempo.

Nello schema in figura sono rappresentati i cicli termici di un elemento di macchina il cui
funzionamento avviene in corrispondenza di temperature diverse dalla temperatura Tm di
montaggio. Si vogliono determinare le condizioni tipiche di un siffatto elemento di
macchina.

Temperatura
Tmax

Tmin
Tempo

L’analisi viene condotta considerando un modello elasto-plastico perfetto senza


incrudimento.
Si possono verificare tre diverse condizioni tipiche in funzione del valore di Tm. La
temperatura di montaggio è rappresentativa della differenza tra la temperatura di
esercizio della macchina e la temperatura di riferimento per cui non ci sono deformazioni
termiche. Si noti che la temperatura Tm è considerata negativa in maniera che le
conseguenti deformazioni termiche a siano positive (a = −.T).

Condizione 1 : a = −. Tm < S


La deformazione a provocata dalla sollecitazione termica è inferiore alla deformazione
corrispondente allo snervamento.

s
ss Y Il punto di funzionamento del materiale si
P muove sempre sul tratto OY, passando dalla
condizione tipica O alla condizione tipica P e
viceversa. Il materiale resta sempre in campo
elastico, resistendo indefinitamente.
O a= P= −.Tm 

Condizione 2 : a = −. Tm > 2S


La deformazione massima a provocata dalla sollecitazione termica è maggiore del
doppio della deformazione corrispondente allo snervamento.
s Il primo ciclo comincia imponendo la
deformazione termica a. Il materiale lavora
inizialmente in campo elastico e poi va in
ss A E B
campo plastico, una volta che si raggiunge il
limite di snervamento, raggiungendo la
condizione operativa del punto B per cui la
S 2S R deformazione è pari a a e la tensione è pari
O a= B= −. Tm  alla tensione di snervamento sS.
Segue poi una fase di scarico progressivo in
cui la deformazione viene ridotta. Il materiale
segue il tratto BC parallelo al tratto OA che
−ss
D C corrispondeva al campo elastico.

La tensione si riduce progressivamente, invertendosi di segno, finché non raggiunge il


valore –sS pari allo snervamento in compressione, in corrispondenza del punto C. La
tensione non cambia più di valore e si giunge al punto D per cui si ha deformazione
nulla. Il primo ciclo di lavoro si conclude nel punto D.
Il materiale segue poi il tratto DE che corrisponde ad un nuovo aumento della
deformazione fino a che non si giunge al punto E per cui la deformazione è pari a 2S. Si
segue poi il tratto EB per raggiungere il valore imposto di deformazione a e si completa
il secondo ciclo riducendo progressivamente la deformazione (tratto BC) e lavorando
infine in regime di plasticità in compressione (tratto CD).
Nei cicli successivi al primo, la condizione operativa del materiale si muove lungo il
parallelogramma DEBC. In sostanza, il materiale passa ciclicamente dalle deformazioni
plastiche in trazione alle deformazioni plastiche in compressione. In ogni singolo ciclo viene
dissipato un lavoro per unità di volume pari all’area del parallelogramma DEBC:

L = 2s S  (  B − 2 S )
C

ove B è pari alla deformazione termica applicata a, mentre S e sS sono rispettivamente la
deformazione e la tensione corrispondenti al punto di snervamento.

Il materiale compie dei cicli di isteresi ed in ogni ciclo si dissipa un lavoro per unità di volume
pari ad LC. Il lavoro dissipato provoca un aumento della temperatura e un accumulo di
danneggiamento. Questa condizione di funzionamento è molto pericolosa perché il materiale
si rompe dopo un basso numero di cicli (low cycle fatigue). Il numero di cicli a cui il materiale
si rompe è strettamente legato al valore di Lc e la rottura per fatica termica si verifica di solito
a 104 cicli.
Un caso di rottura per fatica termica è quello di un filo di ferro piegato ripetutamente.
Condizione 3 : S < a = −. Tm < 2S
La deformazione massima a provocata dalla sollecitazione termica è compresa tra la
deformazione di snervamento ed il doppio della deformazione di snervamento.
s
Nel primo ciclo il materiale percorre dapprima il
tratto elastico OB e poi si deforma plasticamente
ss B F
nel tratto BF, fino ad arrivare nel punto F
corrispondente alla sollecitazione termica
applicata. La deformazione viene poi
2S R progressivamente ridotta ed il punto di
 funzionamento del materiale si sposta lungo il
O S F = a= −. Tm
tratto FG, parallelo al tratto elastico OB. Ad un
certo punto la tensione diviene negativa ma il
G materiale non si deforma plasticamente in
compressione perché non si raggiunge il valore -
sS. Il primo ciclo si conclude nel punto G.
Nei cicli successivi al primo il punto di funzionamento si sposta sul tratto GF ed il materiale
rimane nel campo elastico, perché durante la fase di scarico non si raggiunge la tensione di
snervamento in compressione.
Il materiale si deforma plasticamente solo nel primo ciclo di lavoro e non presenta isteresi.
Questa condizione di funzionamento appare più sicura di quella che presentava cicli di
isteresi ed infatti la rottura interviene dopo un più elevato numero di cicli (high cycle fatigue).
Il tipico intervallo in cui varia il numero di cicli di rottura è 103−107.

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