Introduzione
In Italia un elevato numero di edifici sono stati realizzati in assenza di adeguate regole
normative in materia di progettazione alle azioni sismiche. Come sappiamo gli edifici
realizzati ai giorni nostri sono progettati basandosi sul superamento di prefissati livelli
prestazionali (Performance Based Design), soddisfatti principalmente mediante il principio
di gerarchia delle resistenze. Gli edifici esistenti, invece, sono il frutto di una progettazione
basata sulla verifica della massima resistenza (in termini puntuali) dei singoli elementi
strutturali, relative alle varie azioni di carico. In pratica, anche se l’azione sismica è stata
introdotta sin dalle disposizioni pubblicate dopo il terremoto di Reggio Calabria e Messina
del 1908, la progettazione basata sullo sfruttamento delle capacità dissipative della
struttura è un concetto recente per la nostra nazione (Circolare n. 65 del 10 aprile 1997 e
OPCM 3274/2003 in poi).
Il comportamento sismico ottimale delle strutture intelaiate in c.a. è legato alla formazione
di meccanismi di collasso di tipo globale che coinvolgono l’intera struttura. In particolare la
gran parte dell’energia sismica in gioco viene dissipata durante la formazione di “cerniere
plastiche” alle estremità degli elementi.
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Figura 2 - Ordine di plasticizzazione ottimale
Figura 3 – Effetti del collasso duttile Figura 4 – Effetti del collasso fragile
La formazione di collassi di tipo duttile (ad esempio rottura a flessione che precede la
rottura a taglio) consente agli elementi di mantenere residue capacità portanti ai carichi
verticali (figura 3). Viceversa, rotture di tipo fragile innescano possibili sequenze di
collasso di altri elementi adiacenti con conseguente perdita di portanza nei riguardi dei
carichi verticali (figura 4). Come evidenziato sinteticamente dalle figure questa modalità di
collasso porta è frequentemente causa della perdita di vite umane, in quanto spesso le
rotture fragili si manifestano senza fenomeni di preavviso.
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Le strutture in c.a. esistenti, spesso progettate per i soli carichi verticali, sono
caratterizzate da bassi quantitativi di armatura longitudinale nei pilastri rispetto alle
armature a taglio. Inoltre essendo la discriminante principale il carico verticale, anche le
travi risultano abbondantemente armate in direzione longitudinale e a taglio rispetto ai
pilastri. Queste condizioni descritte si identificano in modo chiaro nel meccanismo di
collasso “travi forti – colonne deboli”.
In questo articolo, dopo aver messo in evidenza i fattori principali che influenzano la
duttilità, affronteremo i possibili criteri di intervento e una casistica di rinforzi selezionati ad
esempio di approccio al consolidamento degli edifici esistenti in c.a. Gli interventi sono
affrontati principalmente dal punto di vista teorico, concentrandosi particolarmente sugli
effetti che hanno nel contesto strutturale ed alla strategia da seguire per ottenere un
comportamento antisismico.
L’aumento delle caratteristiche dissipative di una struttura (e dei suoi elementi) passa
necessariamente per l’incremento della duttilità, in modo particolare a livello locale.
Pertanto è importante capire quali sono gli aspetti e i fattori che influenzano la duttilità
dell’elemento strutturale in modo da progettare interventi mirati al corretto sviluppo dei
meccanismi di collasso più convenienti.
Il meccanismo di rottura duttile di un elemento di una struttura intelaiata in c.a., si sviluppa
in generale se la rottura a flessione perviene prima di quella a taglio. Cioè, all’incremento
di un’azione (quale può essere quella sismica), l’aumento delle sollecitazioni deve creare
nell’elemento un deficit relativamente alla flessione e non alla verifica a taglio. Questo è
spiegato anche in virtù del tipo di diagramma di comportamento (sollecitazione-
deformazione) dei due fenomeni. Riferendosi a condizioni di progettazione ideale abbiamo
i seguenti diagrammi:
Nella figura sottostante sono riportati diversi diagrammi momento-curvatura elaborati sulla
stessa sezione ma con diverso sforzo normale applicato (da N1 a N5). Come possiamo
notare all’incremento di sforzo normale è associato un effetto di irrigidimento dell’elemento
(incremento della pendenza tratto iniziale) e una diminuzione del campo plastico, con
conseguente diminuzione di duttilità (rapporto tra deformazione ultima e di snervamento).
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Test VResNodo > VResTaglio
se “NO”
se “SI”
Fragile
se “SI” se “NO”
Duttile Fragile
Quindi, ipotizzando che il nodo abbia una resistenza maggiore della resistenza a taglio
dell’elemento, un elemento è duttile se il taglio resistente (VRes) è superiore al taglio
𝑖𝑛𝑖 𝑓𝑖𝑛
associato ai momenti resistenti degli estremi (𝑀𝐶,𝑅𝑑 quello iniziale e 𝑀𝐶,𝑅𝑑 per il finale)
dell’elemento:
𝑖𝑛𝑖 𝑓𝑖𝑛
𝑀𝐶,𝑅𝑑 + 𝑀𝐶,𝑅𝑑
𝑇(𝑀𝑅𝑒𝑠) =
𝐿
Come possiamo notare l’incremento di sforzo normale riduce la zona dedicata alla
definizione “elemento duttile”. Stesso effetto si ottiene in termini di variazione di armatura
longitudinale: l’aumento di armature implica incremento di momenti resistenti, e quindi,
affinché l’elemento sia duttile è necessario un aumento di resistenza a taglio. Inoltre,
utilizzando procedure non lineari, è possibile riscontrare che l’aumento di armatura
longitudinale comporta un aumento di rigidezza dell’elemento (Fig. 11). Il grafico seguente
è elaborato analizzando una colonna, con diversa armatura longitudinale per lato,
mediante analisi statica non lineare.
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Infatti, all’aumentare dell’armatura la pendenza del tratto iniziale aumenta. Sfruttiamo le
considerazioni fatte in precedenza per comprendere meglio l’influenza dell’armatura a
taglio. Nei riguardi della resistenza a flessione, la percentuale meccanica di armatura
trasversale ha l’effetto di “confinare” il nucleo di calcestruzzo, conferendo maggior
resistenza alla compressione dell’elemento corrispondente ad un modesto incremento di
rigidezza. Nei riguardi del taglio, invece, nel caso in cui il collasso sia “lato armatura”
(𝑉𝑅𝑠𝑑 < 𝑉𝑅𝑐𝑑 ), l’aumento dell’armatura trasversale porta un incremento del valore resistente
del taglio. Nel caso in cui il collasso a taglio è “lato calcestruzzo”, si ha solo il contributo
migliorativo del confinamento, anche nei riguardi della resistenza alle azioni di taglio.
Utilizzando lo stesso modello dell’analisi non lineare, gli effetti dell’incremento delle
armature trasversali si traducono in un maggiore aumento della duttilità e dell’ energia
dissipata (area sottesa dalla curva Fig. 12).
Queste affermazioni sono fondamentali per il progetto degli interventi di rinforzo per
conferire alla struttura le caratteristiche antisismiche rapportate all’azione applicata.
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Strategie di intervento di rinforzo
Il progetto di rinforzo degli edifici esistenti può essere affrontato solo in presenza di un
completo studio preliminare delle criticità e l’elaborazione di un modello strutturale
adeguato a cogliere i vari aspetti. Lo studio dello “stato di fatto” può essere fatto
utilizzando i diversi metodi previsi dalla normativa:
Per i metodi lineari è necessaria la classificazione in elementi fragili e duttili. Nel caso di
spettro elastico la differenziazione è in termini di verifica (elementi fragili in termini di
resistenza e duttili in termini di deformazioni). Nel caso di utilizzo del fattore di struttura q,
la differenza tra i due tipi di elementi è legata al diverso valore del fattore di struttura.
Quest’ultimo metodo consente di valutare l’apporto dei vari rinforzi anche in termini di
duttilità. Indipendentemente dalla modellazione utilizzata (lineare o non lineare) l’analisi
dinamica è particolarmente indicata per lo studio del comportamento globale all’azione
sismica. Il metodo push-over, derivato dalle prime applicazioni alle pile da ponte, consente
di stimare l’evoluzione di formazione delle cerniere plastiche e di conseguenza la curva
convenzionale di comportamento globale della struttura, anche se il suo utilizzo per la
comprensione dell’efficacia delle varie tecniche di consolidamento risulta più difficoltoso
rispetto ai metodi lineari.
Per l’approfondimento dei vari metodi di analisi si consiglia l’articolo “Metodi di calcolo per
l’analisi della sicurezza sismica di edifici in c.a.” scritto dallo stesso autore e visualizzabile
su Ingenio-Web.it (www.ingenio-web.it/immagini/Articoli/PDF/Sl8F2uqQXW.pdf).
E’ importante ricordare che nella maggior parte dei casi abbiamo a che fare con edifici
integri. Ciò comunque non aggiunge informazioni utili in più alle considerazioni che
dovremo comunque affrontare per stabilire la resistenza sismica delle strutture. Infatti,
l’unico “banco di prova” attendibile nei riguardi della resistenza sismica è il comportamento
della struttura durante un evento sismico significativo. La gran parte degli edifici sono
soggetti nel corso della propria vita al solo peso proprio con l’aggiunta di una parte dei
carichi variabili considerati. In realtà, visti i tempi di ritorno di eventi severi, una struttura è
concepita per funzionare al massimo delle sue potenzialità in una sola occasione (l’evento
sismico), la quale con buone probabilità non è si ancora verificata. Appunto per questo
motivo non possiamo basare le nostre analisi su eventuali considerazioni relative
all’integrità o meno delle strutture, realizzate anche da tempo relativamente recente.
Inoltre, come abbiamo già accennato, la gran parte degli edifici esistenti non è stata
progettata con dettagli strutturali richiesti dai criteri antisismici. Esperienza insegna che la
gran parte delle strutture esistenti sono realizzate con pilastri poco armati rispetto alle travi
(per i carichi verticali il contributo dato dal calcestruzzo compresso è notevole). Le
armature trasversali delle colonne presentano in media passo intorno a 25-30 cm non
raffittito nelle zone critiche. Inoltre, il diametro delle staffe solo dagli anni ‘80 in poi si è
attestato al Ø8, rispetto al più diffuso Ø6. Le travi venivano spesso armate con un’elevata
quantità di armature longitudinali, addensate in modo particolare agli estremi mediante
l’utilizzo di monconi e sagomati. Questo particolare impedisce la formazione delle cerniere
plastiche in quanto le zone critiche hanno maggior resistenza alla flessione che al taglio.
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In queste zone inoltre, inoltre, sono presenti bassi valori di armatura in zona compressa, in
quanto l’azione sismica delle “vecchie” normative, non era sufficiente ad indurre
l’inversione dei momenti. L’evidenza seguente all’osservazione dei danni degli eventi
sismici ha accertato che l’azione del sisma induce, agli estremi degli elementi, l’inversione
dei momenti. Nelle recenti normative, questo aspetto, oltre ad essere colto dall’aumentata
azione sismica di progetto, è evidenziato (per i nuovi edifici) dall’inserimento di un minimo
di armatura compressa in proporzione a quella tesa.
Le staffe delle travi esistenti, seguendo il diagramma del taglio sollecitante, presentano
frequentemente per gli elementi più lunghi raffittimenti con passo medio di 10-15 cm. Al
quadro descritto c’è da aggiungere inoltre che nelle regioni che erano considerate “non
sismiche” è molto frequente l’utilizzo di pilastri 30x30 cm o addirittura 20x20 cm. Si riporta
un esempio di armatura di edifici esistenti:
Volendo dare delle prime indicazioni, alla luce delle considerazioni sulle duttilità fatte,
l’aumento della resistenza a taglio è, senza ombra di dubbio, un’operazione volta alla
realizzazione del miglioramento del comportamento alle azioni sismiche. In generale è
consigliabile progettare l’intervento in modo da contrastare lo sviluppo di meccanismi locali
(in particolare meccanismi fragili). Ciò porta, come vedremo, ad un miglioramento anche
del comportamento globale della struttura.
Con i primi si interviene modificando la risposta della struttura, agendo sul periodo di
vibrazione e sulla ripartizione delle sollecitazioni in modo da ridurre la domanda di progetto
sugli elementi esistenti. Appartengono a questo tipo di interventi:
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Inserimento di pareti strutturali
Inserimento di controventi in acciaio (anche dissipativi)
Utilizzo di isolatori sismici
Una classificazione più esaustiva delle tecniche di rinforzo è riportata nelle linee guida
americane “Techniques for the Seismic Rehabilitation of Existing Buildings” – FEMA
547/2006. Il testo è suddiviso in funzione delle varie tipologie costruttive, e le tabelle
contenute, delle quali riportiamo un estratto tradotto, sono elaborate in funzione del deficit
riscontrato. La tabella relativa alle strutture intelaiate in c.a., denominate C1, è la
seguente:
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Tabella 2 - Tecniche di rinforzo
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Interventi sul comportamento globale
Ogni struttura possiede delle caratteristiche di risposta all’azione sismica intrinseche alla
sua geometria, materiali, distribuzione delle masse e delle rigidezze. Tutto ciò si traduce
nello studio e la valutazione dei modi di vibrare della struttura e dei periodi di vibrazione.
L’utilizzo dell’analisi con spettro di risposta evidenzia come dal periodo di vibrazione
dipende l’azione sismica subita dalla struttura.
Nella gran parte dei casi le strutture in c.a. posseggono periodi di vibrazioni compresi nel
plateau dove l’accelerazione sismica è massima:
Queste soluzioni sono tanto più efficaci quanto più la struttura è regolare, in quanto la
presenza di modi superiori (ad esempio a carattere torsionale) comporta un peso sempre
minore del primo modo di vibrare nel computo delle azioni assorbite.
Utilizzando invece l’analisi non lineare noteremo che si ottiene l’effetto sia di aumentare la
resistenza del sistema che la capacità in spostamento, rispetto alla struttura esistente.
Nella figura 15 possiamo notare inoltre, che mediante la curva (a) relativa alla “struttura
rinforzata” abbiamo ottenuto anche una riduzione della domanda (da) rispetto alla struttura
esistente (db), ottenendo un valore limite più facilmente raggiungibile.
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Figura 15 - Confronto tra strttura rinforzata ed esistente (interventi globali)
La riduzione dell’irregolarità degli edifici (sia in pianta che in altezza) può essere
perseguita operando sia sulle parti strutturali che sugli elementi non strutturali. Le
modifiche possono essere apportate in termini di massa, di resistenza e di rigidezza.
Nell’esempio sottostante si evidenzia la situazione in cui l’irregolarità in pianta comporta
valori di massa eccitata da modi torsionali. Ciò, indipendentemente dalle analisi
numeriche, è causa di comportamento poco prevedibile rispetto a situazioni di regolarità,
in cui l’azione sismica viene “distribuita” ai vari elementi in maniera più equa.
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Nel caso descritto nell’esempio della figura precedente, l’ampliamento in pianta della
costruzione comporta una “regolarizzazione” dei modi di vibrare. Anche se il periodo si
mantiene nella zona plateau (e quindi l’accelerazione sismica assorbita non varia), è
evidente il vantaggio che ne risulta dal far contribuire tutti i pilastri in maniera più
omogenea.
È frequente il caso in cui l’irregolarità è dovuta alla distribuzioni degli elementi non
strutturali, quali ad esempio le tamponature. In tal caso, innanzitutto, è necessario dotarsi
di modelli strutturali realizzati contemplando anche questo tipo di elementi. Comunemente
è possibile considerare le tamponature con semplici metodi “equivalenti”, come ad
esempio il metodo descritto nelle FEMA 273 “Guidelines for the seismic rehabilitation of
buildings”, in cui vengono aggiunte delle bielle diagonali:
Utilizzando l’esempio della struttura resa regolare, possiamo notare che se aggiungiamo al
nostro modello una distribuzione delle tamponature asimmetrica (ad esempio la presenza
di un portico) il primo modo di vibrare risulterà avere di nuovo carattere torsionale:
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L’esempio mostrato evidenzia l’importanza degli elementi non strutturali nella
modellazione delle strutture. Ancora più importanti sono gli effetti delle tamponature
nell’irregolarità verticale. Prendiamo ad esempio tre modelli diversi:
Dal confronto delle curve push-over dei tre casi notiamo che rispetto al Modello M1, la
presenza dei tamponamenti, seppur con presenza di aperture, contribuisce alla resistenza
di una struttura in modo determinante. In termini di resistenza notiamo che il modello M2
ha una resistenza di picco pari a circa 3 volte quella del modello M1. D’altro canto, come ci
sia aspettava, il modello M2 presenta una maggiore rigidezza e di conseguenza una
minore deformabilità laterale (spostamento 90% del modello M1).
La riduzione delle masse, soprattutto ai piani alti consente la diminuzione delle azioni
sugli elementi strutturali. Operativamente, oltre che alla rimozione di massetti pesanti,
sostituzione di solai, demolizione di balconi, si può operare anche sulla destinazione d’uso
dei vari livelli. Ad esempio la realizzazione di una copertura non praticabile, rispetto ad una
con un carico variabile da abitazione, porta alla riduzione dei coefficienti di presenza della
massa.
Una struttura isolata correttamente non riporta alcun danno in seguito all’evento sismico.
Ciò rende questo tipo di intervento particolarmente indicato, dove ci sono le giuste
condizioni, nell’ambito degli edifici esistenti, i quali saranno portati dall’intervento ad
essere sollecitati a condizioni simili a quelli della zona non sismica. L’intervento con gli
isolatori sismici fa si che la sovrastruttura possa lavorare in campo elastico e esula dal
raggiungimento di particolari capacità dissipative degli elementi.
L’isolamento sismico risulta essere l’intervento ideale soprattutto nei casi in cui la
costruzione svolge funzioni importanti, come ad esempio gli ospedali, in quanto il livello di
operatività durante l’evento risulta non compromesso.
Nell’ambito delle strutture esistenti l’utilizzo di isolatori sismici è applicabile in funzione
della configurazione strutturale in quanto è necessario identificare il livello al quale porre
l’isolamento sismico, compatibilmente con le funzioni assegnate alla zona di edificio
interessata.
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In ogni caso, essendo interventi che modificano il comportamento globale, sono utilizzati
anche per correggere irregolarità di comportamento (regolarizzazione dei modi) ed a
ridurre le eccentricità tra baricentro delle masse e delle rigidezze.
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Figura 22 - Effetti della deformabilità degli impalcati
Nella Figura 22 possiamo notare nel caso (b) l’efficacia della presenza di un impalcato di
rigidezza superiore.
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Interventi di rinforzo locale
Incamiciature in c.a.
Incamiciatura in acciaio
Rinforzi con metodo CAM
Rinforzi con FRP
Questi tipi di interventi possono essere utilizzati sia su travi, su pilastri e anche sui nodi
strutturali. Anche se locali, questi interventi hanno comunque influenza, più o meno
marcata, sul comportamento globale. In particolare le incamiciature in c.a., essendo
basate sull’aumento delle dimensioni delle sezioni, influenzano sia la posizione dei
baricentri (con relativa ellisse delle rigidezze), sia la forma e le caratteristiche dei modi di
vibrare. In maniera marginale, questo effetto è presente anche per le incamiciature in
acciaio e il metodo CAM, mentre con l’utilizzo degli FRP il contributo maggiore è l’aumento
di capacità deformativa. Questo tipo di interventi di consolidamento è comunque da
applicare, per quanto possibile, in modo regolare ed uniforme. Interventi su zone limitate
dell’edificio vanno opportunamente valutati, in modo da non realizzare notevoli variazioni
nella distribuzione di rigidezze, resistenze e masse.
Esclusi gli interventi con utilizzo di c.a., come abbiamo osservato utilizzando l’analisi non
lineare, vale il principio rappresentato nella figura sottostante:
Possiamo notare che mediante la curva (a) relativa alla “struttura rinforzata” abbiamo
ottenuto un incremento di duttilità del sistema con un minimo incremento di resistenza. Ciò
rende praticamente immutata la domanda in spostamento (da = db).
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trasversali. Le difficoltà di getto possono essere superate con l’uso di betoncino a ritiro
compensato.
Questo tipo di intervento è utile sia per aumentare la resistenza a taglio che quella a
flessione, anche se la calibrazione tra i due effetti risulta difficile soprattutto in presenza di
elevata armatura longitudinale esistente o grandi spessore di calcestruzzo aggiunto.
Inoltre, mantenendo adeguati rapporti tra armature trasversali e longitudinali, è possibile
ottenere anche incrementi di duttilità.
La valutazione dell’incremento di resistenza può anche essere effettuata secondo le
indicazioni semplificative della Circ. 617/2009. In particolare, è possibile considerare tutta
la sezione con la stessa resistenza a compressione (del materiale “nuovo”), trascurando
che il carico venga trasmesso mediante il nucleo “esistente”. In questo caso i valori
resistenti (taglio e flessione) dovranno essere ridotti del 10%.
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Nella Figura 25 possiamo notare il notevole aumento di resistenza a flessione, riportando il
dominio di resistenza di entrambe le sezioni. Rispetto ad altri interventi locali, è da tenere
particolarmente d’occhio la posizione dei baricentri di rigidezze e masse. Applicato ai soli
pilastri, il metodo consente di eliminare il comportamento “travi forti – colonne deboli”.
L’intervento può essere realizzato solo per l’incremento della resistenza a taglio se le
armature longitudinali (disposte come sole reggistaffe) non vengono ancorate agli elementi
esterni al pilastro. Estendendo l’allargamento al nodo travi-pilastro, è possibile, mediante
l’inserimento di armature trasversali, effettuare anche il rinforzo del nodo, utilizzando le
formulazioni valide per le nuove costruzioni. L’armatura inserita sarà tale da realizzare un
efficace confinamento. L’intervento così realizzato, consente di creare il funzionamento
indicato dal principio di gerarchia delle resistenze. Questo tipo di intervento può essere
utilizzato anche sulle travi. In particolare per creare delle nervature di travi “a spessore”
(Figura 26-a e 26-b), o per aumentare le dimensioni delle travi di fondazione (Figura 26-e).
L’intervento (Figura 26-c) è utile per incrementare sia la resistenza ai momenti positivi che
negativi, il tipo (Figura 26-d) è indicato per i momenti positivi. A questo proposito si
evidenzia che le strutture esistenti sono spesso carenti di armature all’intradosso
all’incastro, in quanto solo con l’azione sismica delle recenti normative può avvenire un
inversione dei momenti significativa.
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Per quanto riguarda l’incamiciatura in acciaio, essa presenta caratteristiche esecutive
simili a quella in c.a. Consiste nel disporre degli angolari mediante malta strutturale o
resina epossidica per poi saldare i calastrelli realizzati con piatti in direzione trasversale
agli angolari. L’effetto del confinamento viene incrementato preriscaldando i calastrelli, che
raffreddandosi inducono uno stato di pretensione trasversale.
L’intervento è efficace per l’incremento della capacità portante verticale (effetto di
confinamento) e la resistenza a taglio.
Alcuni dei limiti di questo tipo di intervento possono essere superati da un suo diretto
discendente, del quale rappresenta un “evoluzione”: il sistema CAM. Tale metodologia
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acronimo di “cucitura attiva dei manufatti” nacque inizialmente per le strutture in muratura,
per poi essere esteso alle strutture intelaiate in c.a. alle quali conferisce elevate
caratteristiche di duttilità.
L’intervento con il sistema CAM (vedi figura sotto) viene realizzato posizionando ai vertici
della sezione elementi presso-piegati ad “L” (ad ali uguali) in acciaio. I presso-piegati
hanno la particolarità di presentare la superficie interna di contatto con il CLS irruvidita,
mentre la superficie esterna è estremamente liscia per favorire il pretensionamento
uniforme dei nastri posizionati successivamente. I nastri in acciaio ad alta resistenza (fyk
pari a circa 850 MPa) sono pretensionati in modo da indurre uno stato di confinamento
all’elemento stesso e possono essere sia a strati singoli o sovrapposti.
Confinamento
Pressoflessione
Taglio
Resistenza Nodo trave-pilastro
Dove:
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L’incremento della capacità di deformazione può essere valutata con la formula C8A.7.8,
per le deformazioni ultime:
0.5 ∙ 𝛼𝑛 ∙ 𝛼𝑠 ∙ 𝜌𝑠 ∙ 𝑓𝑦𝑑
𝜀𝑐𝑐𝑢 = 0.004 + 0.5
𝑓𝑐𝑐𝑑
Mentre la deformazione alla resistenza massima post confinamento può essere calcolata
mediante la formula riportata nell’Eurocodice 8:
𝑓𝑐𝑐𝑑
𝜀𝑐𝑐2 = 𝜀𝑐2 [1 + 5 ( − 1)]
𝑓𝑐𝑑
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Figura 31 - Interventi su travi con CAM
26
Con simili effetti ma realizzati con materiali totalmente diversi, sono i rinforzi realizzati
con FRP. Essi consistono in placcaggi e fasciature in modo da perseguire:
Anche i rinforzi con FRP sono di tipo “selettivo”, pertanto è possibile ottimizzare
l’intervento in modo da raggiungere l’obiettivo di rendere l’elemento “duttile”. I materiali
fibrorinforzati a matrice polimerica (FRP) a fibre continue sono materiali compositi che
mostrano un comportamento prevalentemente elastico lineare fino al collasso. Rispetto ad
altri materiali da costruzione più comuni, gli FRP presentano caratteristiche di leggerezza,
elevate proprietà meccaniche, e non subiscono la corrosione. Inoltre presentano il
vantaggio che la loro applicazione non comporta aumenti di spessore degli elementi
strutturali. Questo tipo di materiale si trova in commercio secondo varie forme: lamine,
barre, tessuti. Per le applicazioni legate al rinforzo di strutture esistenti le forme più comuni
sono i tessuti bidirezionali, i quali si adattano facilmente alla superficie sui quali vengono
applicati. La famiglia degli FRP è formata dai principali tipi di polimeri: fibre di vetro
(GFRP), fibre di carbonio (CFRP) e fibre arammidiche (AFRP). Nella tabella seguente
sono riportate i valori indicativi delle proprietà meccaniche di fibre e matrice, confrontati
con il comune acciaio da costruzione.
L’applicazione di queste fibre viene effettuata mediate una matrice (resina epossidica), la
quale consente la perfetta adesione con il supporto sottostante in calcestruzzo. In effetti, la
resistenza finale del “pacchetto” fibra-matrice-supporto è spesso penalizzata dal distacco
del calcestruzzo secondo il fenomeno della “delaminazione”.
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Il rinforzo a taglio viene realizzato mediante l’applicazione di “fasce” ortogonali all’asse
dell’elemento (trave o pilastro) e può essere utilizzato per ripristinare i criteri della
gerarchia delle resistenze. Il rinforzo nel suo complesso deve essere valutato
considerando i contributi del calcestruzzo e dell’eventuale armatura trasversale metallica
presente, secondo la relazione:
Il rinforzo a flessione viene realizzato applicando nelle zone da rinforzare una o più
lamine preformate, oppure in alternativa, uno o più strati di tessuto impregnati in situ. Il
rinforzo a flessione è da utilizzare per elementi strutturali soggetti ad un momento flettente
di progetto maggiore della corrispondente resistenza. Nel caso di elementi “duttili”,
l’aumento della resistenza a flessione potrebbe creare un meccanismo di tipo “fragile”,
pertanto è spesso necessario accoppiare anche il rinforzo a taglio.
L’aumento della resistenza a flessione è indicato nel caso in cui siamo in presenza di
elementi con debole armatura, in quanto la presenza di elevate quantità di armatura
esistente rende inefficace il contributo dell’FRP.
Nel caso delle travi, il consolidamento può essere utilizzato anche per superare deficit di
resistenza ai carichi gravitazionali. In questo caso, essendo il rinforzo di FRP applicato su
una struttura già sollecitata, si deve tenere conto dello stato di deformazione della struttura
all’atto dell’applicazione.
Gli interventi sui nodi possono essere dimensionati anche per “assorbire” le spinte delle
tamponature. In questo caso, sfruttando le caratteristiche di direzionalità delle fibre è
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necessario disporre ordini di fibre diagonali che, abbracciando i pilastri superiore ed
inferiore, avvolgono il nodo contrastando le forze scambiate con il pannello murario.
Possiamo vederne due esempi nella figura sottostante:
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Conclusioni
Come abbiamo potuto notare esistono varie e differenti tecniche di rinforzo strutturale.
Tutti i tipi di rinforzi locali, utilizzati per zona sismica, hanno il fine di conferire duttilità ed
evitare meccanismi di rottura fragile. Le differenze tra i vari sistemi sono per lo più di
carattere realizzativo, in quanto i vari fenomeni sono tutti basati sulle teorie di
comportamento degli elementi in c.a.
Riportiamo una tabella riassuntiva dell’efficacia dei vari metodi per i vari fenomeni:
Inoltre, come ogni aspetto tecnologico e costruttivo, ogni intervento presenta elementi che
comportano vantaggi nell’utilizzo e criticità. Si riportano alcune riflessioni nella tabella
seguente:
Vantaggi Svantaggi
Incamiciatura in c.a. - Semplicità concettuale - Tecnica molto invasiva
- Richiede mano d’opera non specializzata - Effetti sul comportamento globale (rigidezza, baricentri e
- Economicità rispetto ad altre tecniche modi di vibrare)
- Possibili concentrazioni di tensione su elementi
circostanti
Rinforzi FRP - Leggerezza (variazioni di massa trascurabili) - Richiede mano d’opera molto specializzata
- Selettività effetti flessione/taglio - Applicazione che richiede particolare attenzione
- Limitati effetti globali - Richiede protezione contro incendio
- Durabilità (alterazioni caratteristiche resina a lungo
termine)
In merito agli interventi globali, operando spesso con strutture non progettate in maniera
antisismica, potrebbe risultare proficuo affrontare il problema dal punto di vista del
miglioramento del comportamento globale. Ancor di più rispetto agli interventi locali, la
tipologia di soluzione è molto ampia. In quest’ambito è importante operare una corretta
analisi del modello di calcolo in modo da isolare i fenomeni critici. Le varie soluzioni
possono essere in prima fase progettate in senso teorico, e successivamente devono
essere pensate con dettagli costruttivi idonei a sviluppare il comportamento previsto. In
particolare soluzioni come l‘inserimento di isolatori sismici o altri sistemi dissipativi
conferiscono alla costruzione elevate prestazioni nei riguardi di funzioni importanti delle
strutture in seguito all’evento sismico.
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Bibliografia
[2] Linee Guida - “Techniques for the Seismic Rehabilitation of Existing Buildings” – FEMA
547/2006.
[3] Isolatori sismici per edifici esistenti e di nuova costruzione – D. Foti, M. Mongelli - 2011
[5] Linee Guida cucitura attive manufatti in c.a. EDILCAM – R. Marnetto – A.Vari - 2013
[8] Circolare Ministero delle Infrastrutture 617 del 02/02/2009 - 'Istruzioni per l'applicazione
delle «Nuove norme tecniche per le costruzioni» di cui al decreto ministeriale 14 gennaio
2008.'
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