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ISTITUTO MUSICALE PAREGGIATO G.

LETTIMI

Scuola di pianoforte

Tesina di “Teorie e tecniche dell’armonia”

Presentata da Claudia Pasquini

INDICE

1.1 Le tre teorie dell’armonia

1.2 La teoria funzionale

1.2.1 Funzioni armoniche principali

1.2.2 Funzioni armoniche secondarie

Accordi paralleli e contraccordi


Il VII grado del modo maggiore e il II grado del minore: triadi diminuite
incompatibili
Accordo di settima sul II grado

1.2.3 Dissociazione tra funzione armonica e grado fondamentale

1.2.4 Sovrapposizioni armoniche

1.2.5 Dominanti secondarie


1.1 LE TRE TEORIE DELL’ARMONIA

Tre sono le teorie e i possibili approcci attraverso i quali si può studiare l’armonia.
La più antica, chiamata teoria del basso numerato, individua i rapporti intervallari che
costituiscono un accordo unicamente rispetto al basso reale; ad esempio in Do maggiore la triade
do-mi-la sarà identificata con la simbologia do36 o do6.
La teoria generalmente seguita oggi in Italia è la teoria dei gradi fondamentali, messa a punto da
Rameau. Si ricerca in un accordo il suono generatore della sovrapposizione di terze cui è possibile
ricondurlo e basa poi su di esso l’analisi armonica; ad esempio la triade do-mi-la sarà identificata
come “rivolto” della sovrapposizione di terze costruita sul suono generatore la, il VI grado della
scala di Do maggiore, ossia come rivolto della triade allo stato fondamentale la-do-mi e indicata col
simbolo VI36 o VI6.
Le due teorie sopra illustrate si dedicano all’analisi dell’accordo isolandolo rispetto al contesto. La
teoria funzionale, sulla quale si concentrerà la seguente tesina, ha invece come obiettivo quello di
individuare il “valore sonoro intrinseco” di un suono o di un accordo all’interno di un contesto
preciso e determinato, non in quanto fenomeno isolato. La teoria funzionale ricerca la funzione
armonica dell’accordo, il rapporto organico instaurato con quel che precede e quel che segue,
interpretando quello che sta dietro a ciò che appare in un istante determinato. La teoria funzionale
vuole cogliere il significato, il ruolo che l’evento sonoro ricopre rispetto ad altri eventi che lo
precedono e lo seguono e studia la “funzione” che l’evento sonoro ricopre nel contesto in cui è
immerso.

1.2 LA TEORIA FUNZIONALE

1.2.1 Funzioni armoniche principali

Nella teoria funzionale il fondamento di ogni tipo di successione accordale è rappresentato dalle
funzioni armoniche principali di tonica, sottodominante e dominante, alle quali si può ricondurre la
logica armonica di ogni tipo di concatenazione accordale.

Nel modo maggiore le tre funzioni armoniche principali si indicano con i simboli relativi alle lettere
maiuscole T (tonica), S (sottodominante), D (dominante) e corrispondono ai tre accordi maggiori
sul I, IV e V grado.

Nel modo minore (naturale, quindi senza considerare la sensibile) le tre funzioni armoniche
principali si indicano con le rispettive lettere minuscole t, s, d, e corrispondono ai tre accordi minori
sul I, IV e V grado.

Le tre funzioni armoniche principali sono legate tra loro da un rapporto basato sull’intervallo di 5a
giusta che separa le fondamentali dei tre accordi corrispondenti: esiste quindi un’affinità di quinta
e, considerati a due a due, un suono in comune.

1.2.2 Funzioni armoniche secondarie

Sui restanti gradi della scala si formano accordi cui competono funzioni armoniche secondarie,
considerate i “rappresentanti” del I, IV e V grado. Tra le funzioni armoniche principali e le
secondarie esiste un’affinità di terza, cioè due suoni in comune, in quanto è la 3a (minore o
maggiore a seconda dei casi) l’intervallo che regola la distanza tra le rispettive fondamentali.

Accordi paralleli e contraccordi

Le funzioni armoniche secondarie si dividono in due categorie:

- Accordi paralleli, le cui fondamentali distano una 3° minore da quelle delle rispettive
funzioni armoniche principali “rappresentate”;
- Contraccordi, le cui fondamentali distano una 3° maggiore da quelle delle rispettive funzioni
principali.

Gli accordi paralleli corrispondono agli accordi principali del relativo minore della tonalità presa in
considerazione. Ad esempio in Do maggiore gli accordi paralleli cadono su la, re, mi, che
corrispondono alle funzioni armoniche principali di La minore (relativo minore di Do maggiore).

La situazione si ribalta nel modo minore, dove gli accordi paralleli corrispondono agli accordi
principali del relativo maggiore della tonalità presa in considerazione. Ad esempio in La minore gli
accordi paralleli cadono su do, mi, sol, che corrispondono alle funzioni armoniche principali di Do
maggiore.

Per quanto riguarda la nomenclatura gli accordi paralleli si indicano con P nel modo maggiore, p
nel modo minore; i contraccordi si indicano con G nel modo maggiore, g nel modo minore.
Si indica prima il nome della funzione armonica principale rappresentata (maiuscola se maggiore,
minuscola se minore) e di seguito si indica se l’accordo è un parallelo o un contraccordo.

Il VII grado del modo maggiore e il II grado del modo minore: triadi diminuite incompatibili

Come si può notare nell’esempio (p. 21 n 5) non viene indicato il contraccordo minore della
dominante maggiore (Dg). Poiché la sua fondamentale (nell’esempio in Do maggiore il si) deve
trovarsi una 3a maggiore superiore rispetto a quella della funzione principale che rappresenta
(sol), esso giace sul VII grado, su cui però è possibile costruire una triade diminuita. Gli accordi
secondari però si creano laddove è possibile avere una triade maggiore o minore, non diminuita.
Una triade minore sul VII grado del modo maggiore implicherebbe l’alterazione semitonale
ascendente della 5° diminuita, quindi l’utilizzo di un suono estraneo alla tonalità (in Do maggiore:
si-re-fa#).

Stessa cosa accade nel modo minore per il contraccordo maggiore della sottodominante minore
(sG). Poiché la sua fondamentale (nell’esempio in La minore il si bemolle) deve trovarsi una 3°
maggiore inferiore rispetto a quella della funzione principale che rappresenta (re), esso giace sul
cosiddetto II grado napoletano, che però non appartiene all’insieme dei suoni del modo minore
naturale che è stato qui preso in considerazione (in La minore: si bemolle, da cui il sG,
contraccordo maggiore della sottodominante minore: si bemolle-re-fa).

La teoria funzionale risolve il problema della triade diminuita sul VII grado assumendolo all’interno
della funzione di dominante, considerandolo come un accordo di settima di dominante con la
fondamentale sottintesa, che si rappresenta col simbolo D7 (d barrato) quando si trova allo stato
fondamentale (ad esempio in Do maggiore: si-re-fa) o con D75 quando si presenta come accordo
di sesta, ovvero con al basso la 5a della fondamentale sottintesa (nell’esempio precedente: re-fa-
si). In generale gli accordi le cui fondamentali sono sottintese si indicano con il simbolo sbarrato.

Questo vale solo a partire ball’epoca bachiana; prima del barocco infatti la settima di dominante
(nell’esempio il fa appartenente all’accordo sol-si-re-fa) era considerata come un ritardo
dell’accordo precedente (fa-la-do). A partire dall’epoca di Bach la settima di dominante viene
sentita come un vero e proprio accordo autonomo.

Nel caso particolare in cui la triade diminuita sulla sensibile del modo maggiore (si-re-fa
dell’esempio 5) si trova all’interno di una progressione (del tipo do-fa, re-sol, mi-la, fa-si, quindi I-IV,
II-V, III-VI, IV-VII) questa non svolge più la sua funzione di sostituto della dominante, ma è un
accordo autonomo che serve all’interno della progressione e quindi lo si indica semplicemente
come VII grado.

Accordo di settima sul II grado

Il caso più complesso dell’accordo di settima costruito sul II grado (nell’esempio in Do maggiore re-
fa-la-do) ha due interpretazioni possibili:

- Secondo la prima prospettiva può essere considerato come un accordo autonomo allo
stato fondamentale con la fondamentale re al basso, quindi sarebbe il parallelo minore
della sottodominante maggiore con l’aggiunta della settima (Sp7); secondo la stessa
prospettiva, l’accordo fa-la-do-re può essere considerato come rivolto dell’accordo
precedente e indicato come Sp73 perché ha la terza al basso (fa);
- Secondo la seconda prospettiva, l’accordo fa-la-do-re viene interpretato come un accordo
di sottodominante con la sesta aggiunta, indicandolo col simbolo S56, dove la
fondamentale della funzione coincide con il fa. Ne consegue che l’accordo di settima con la
fondamentale re al basso (re-fa-la-do) può essere visto come un rivolto del precedente,
indicandolo col simbolo S56.

Su questo punto la teoria funzionale non riesce a dare una risposta univoca, perché è a seconda
del contesto e del moto delle parti che l’accordo re-fa-la-do (l’accordo di settima costruito sul II
grado) può essere considerato un II grado autonomo allo stato fondamentale o un IV grado in
rivolto.

**

Confrontando i vari esempi si può notare che:

- Il I, IV e V grado dei due modi ricoprono ciascuno la sola funzione armonica principale,
rispettivamente T, S, D per il modo maggiore e t, s, d per il modo minore;
- Il II grado del modo maggiore e il VII del modo minore ricoprono la sola funzione armonica
secondaria, rispettivamente Sp e dP;
- Il VII grado del modo maggiore e il II del modo minore non ricoprono alcuna funzione
armonica propria;
- Il III e il VI grado di entrambi i modi ricoprono contemporaneamente due funzioni armoniche
secondarie (nel modo maggiore Dp e Tg per il III grado, Tp e Sg per il VI grado; nel modo
minore tP e dG per il terzo grado e sP e tG per il VI grado). Per stabilire se un accordo sul
III o sul VI grado è un accordo parallelo o un contraccordo è necessario analizzare il
contesto.
1.2.3 Dissociazione tra funzione armonica e grado fondamentale

Ci sono alcuni casi di dissociazione tra funzione armonica e grado fondamentale effettivamente
riscontrabile. Il caso più tipico è quello della “quarta e sesta in cadenza” che precede dl’accordo
di dominate; l’esempio in Do maggiore la successione di accordi sol-do-mi (V in 46) sol-si-re (V).

Secondo la teoria dei gradi l’accordo di quarta e sesta (sol-do-mi) viene inteso come secondo
rivolto della tonica (quindi si considera il do come fondamentale e il sol come quinta) e lo si indica
con il simbolo I46 che va al V35 (I46V35), per evidenziare la diversa origine dei due accordi
usati. Questo collegamento viene utilizzato per la cadenza composta: IV-I46-V(35)-I.

Secondo la teoria funzionale invece, il basso dell’accordo in 46 (il sol) viene interpretato come
fondamentale della funzione di dominante, mentre la quarta e la sesta (do e mi) vengono
considerate appoggiature o ritardi della terza e della quinta (si e re) della triade di dominante.
I simboli che si utilizzano per questi due accordi sono: D46D35, e si può sintetizzare in un unico
simbolo, proprio per evidenziare che il collegamento si regge sulla sola funzione armonica di
dominante.

Utilizzando la simbologia della teoria dei gradi quindi avremmo IV-V46-V35-I; utilizzando la
simbologia della teoria funzionale si ha S-D46-D45-T.

1.2.4 Sovrapposizioni armoniche

A livello di dissociazione tra le funzioni, nella teoria funzionale è presente il caso della
sovrapposizione di funzioni armoniche nell’accordo di settima diminuita sulla sensibile del modo
minore. Esso è interpretabile come una mescolanza delle funzioni di dominante (D) e
sottodominante (s) e viene indicato con Dv e sopra la D si pone una s. Ad esempio nella tonalità di
La minore l’accordo di settima diminuita sulla sensibile è sol#-si-re-fa, che è una sovrapposizione
della funzione di dominante mi (sol#-si-re) e della funzione di sottodominante re (re-fa).

Anche l’accordo di settima sulla sensibile del modo maggiore presenta una mescolanza di funzioni
di dominante D e sottodominante S e viene pertanto indicato col simbolo D7 e sopra la D si pone
una S. Ad esempio, in Do maggiore l’accordo di settima diminuita sulla sensibile è si-re-fa-la, che è
una mescolanza della dominante sol (si-re-fa) e della sottodominante fa (fa-la).

1.2.5 Dominanti secondarie

Le dominanti secondarie, indicate con la lettera D tra parentesi tonda (D), sono accordi che
svolgono la funzione di dominante rispetto a quelli che introducono.

È un concetto che ha un ruolo fondamentale per quanto riguarda il problema della modulazione:
permette di mantenere costantemente il riferimento alla tonalità principale del brano e fornisce una
visione globale dell’unità armonica tonale; inoltre riduce enormemente le possibilità di errore
riguardo al problema di distinguere tra semplice “deviazione” della tonalità principale e
modulazione vera e propria del brano.

Un caso particolare è rappresentato dalla cosiddetta dominante (secondaria) della dominante,


indicate con DD; un altro ancora è il caso della sottodominante della sottodominante, indicate con
SS.
2.1 L’ORCHESTRA GAMELAN

In Indonesia, ed in particolare nella cosiddetta “isola degli Dei” (Bali), la musica, insieme alla danza
e al teatro, ricopre un ruolo fondamentale ed insostituibile nella vita sociale e religiosa, laddove
non esiste quotidianità senza sacralità. La musica risuona infatti in tutte le numerose feste
dell’anno ed in tutte le occasioni sociali e culturali: nascite, matrimoni, cremazioni, raccolta del riso,
anniversari dei templi del villaggio, ecc…

Il gamelan è la tipica orchestra di strumenti a percussione di origine indonesiana che comprende


metallofoni, xilofoni, tamburi e gong, utilizzata solitamente per accompagnare riti religiosi, danze o
azioni sceniche. A volte queste orchestre possono essere composte anche da strumenti musicali a
corda pizzicata o suonata con l’archetto, strumenti a fiato o voci soliste e/o corali.

Non si hanno certezze circa l’origine del termine, ma probabilmente la parola deriva dal giavanese
gamel, che significa “percuotere con un mazzuolo”.

2.1.1 I sistemi musicali pelog e slèndro

Nella cultura musicale extraeuropea di Giava e Bali, estremamente sviluppata e ancora molto ben
conservata, si conoscono due sistemi musicali caratterizzati da due diverse suddivisioni dell’ottava:
pelog e slèndro.
Come abbiamo detto, centro dell’orchestra indonesiana (gamelan) sono i metallofoni, con piastre e
risuonatori a risonanza più o meno lunga; la funzione di ogni strumento è in rapporto diretto con la
durata del suono che emette: calme melodie nucleari, controcanti, rapide figurazioni motiviche… A
causa della diversa suddivisione dell’ottava, questi strumenti, che sono ad accordatura fissa,
appartengono o al sistema pelog o al sistema slèndro. Per questo motivo in ogni gamelan gli
strumenti sono costruiti e intonati per suonare insieme e strumenti di gamelan diversi non sono
intercambiabili.

Nel sistema slèndro, che meglio approfondiremo, la scala è composta da 5 note nell’ottava, con
intervalli circa equivalenti tra loro (per questo si parla di pentatonismo slèndro); il pelog è la scala
composta da 7 note, con intervalli irregolari: semitono, tono intero, terza maggiore. Due di questi
sette suoni della scala pelog non vengono quasi mai adoperati.

2.2 IL SISTEMA SLENDRO E L’INFLUENZA SU DEBUSSY

Grazie all’emigrazione, al commercio e a vari scambi culturali, si formarono delle orchestre


gamelan anche in Europa, America e Australia. Fu infatti all’ Esposizione universale di Parigi nel
1889 che Debussy, figura di geniale innovatore, che rivoluzionò l’armonia, il ritmo e la sonorità
della musica occidentale della seconda metà del XIX secolo, ebbe l’occasione di ascoltare
un’orchestra gamelan. Rimase totalmente colpito da questa cultura musicale extraeuropea, la cui
influenza si riflette nelle sue composizioni successive al 1889. In particolare egli venne influenzato
dal sistema musicale slèndro, differente dal sistema musicale pelog per la suddivisione dell’ottava.

Il compositore francese rimase talmente affascinato da questo tipo di musica che in alcune sue
composizioni, per esempio nel brano Pagodes, appartenente alla Suite per pianoforte "Estampes",
si possono riscontrare citazioni dirette di scale, melodie, ritmi o tessuti musicali di gamelan.
2.2.1 Il sistema slèndro

Nel sistema slèndro la scala è divisa in cinque parti quasi (ma non esattamente) uguali: due
intervalli sono più grandi degli altri tre. In ogni orchestra i due intervalli più ampi sono inseriti in
punti differenti della scala, ma mai in modo da susseguirsi direttamente uno dopo l’altro. In virtù del
fatto che in ogni orchestra i due intervalli più ampi sono situati nella scala in punti sempre diversi,
per le nostre orecchie una stessa composizione slèndro eseguita da orchestre diverse suonerebbe
in maniera sempre differente. L’effetto sarebbe cioè di pezzi impostati ciascuno su una diversa
scala pentatonica.

2.2.2 L’influenza del sistema slèndro su Debussy

Per le nostre orecchie l’impressione data dal pentatonismo slèndro è quasi quella di un sistema
privo di un suono fondamentale di riferimento; uno stesso pezzo, se eseguito da diverse
orchestre, viene impostato su un diverso suono della scala pentatonica, per cui quel pezzo non
avrà una “fondamentale” univoca e qualunque suono della scala pentatonica potrà assolverne la
funzione. Questo il motivo per cui, nelle composizioni di Debussy influenzate dal sistema slèndro,
non ci sono suoni “fondamentali” ed il clima sonoro assomiglia a quello della tonalità sospesa.

Nel sistema slèndro (e più in generale nel gamelan) è estranea la distinzione tra aggregati
armonici consonanti e dissonanti; questa particolarità della musica indonesiana venne
fortemente apprezzata da Debussy. Nelle sue opere successive al 1889 infatti ogni suono della
scala è libero di combinarsi con qualunque altro, senza che ciò dia luogo a effetti sonori tali da
doversi considerare dissonanze, implicanti a loro volta obblighi di risoluzione. In altre parole, in tale
ambiente sonoro non si instaurano tensioni, non si creano dissonanze che devono poi essere
risolte, ossia vi è la totale equiparazione degli eventi melodici.

Conseguenza della scomparsa del concetto di consonanza e dissonanza (nel sistema slèndro e
quindi in Debussy) è la scomparsa di tutte le regole relative alla condotta delle parti. I
procedimenti utilizzati da Debussy infatti non sono giustificabili in base alle regole tradizionali.
Questo perché tutte le regole relative alla condotta delle parti nascevano dal concetto di
consonanza e dissonanza, e poiché come si è visto esso non vale più in questo nuovo mondo
sonoro, anche quelle regole non varranno più.

Un’altra caratteristica del sistema slèndro è che non esiste alcuna gerarchia tra “melodia” e
“accompagnamento”: più eventi sonori contemporanei sono assolutamente equiparati gli uni agli
altri, ossia nessuno è a priori più importante dell’altro. La mancanza di una vera e propria
fondamentale e l’annullamento della distinzione fra “più importante” e “meno importante” è
un’influenza del sistema slèndro su Debussy.

Per quanto riguarda la dimensione temporale, si riscontra una grossa differenza tra Debussy e le
melodie classiche. In queste ultime regnavano dei percorsi armonici, che avevano un chiaro punto
di origine seguite da un fine preciso. In Debussy manca completamente questa valorizzazione
dell’inizio e della fine del brano. Per questo motivo, unito alle altre caratteristiche già presentate,
un tentativo di descrivere alcuni componimenti di Debussy potrebbe essere quello di paragonarli
ad una stoffa tessuta con molti fili senza un inizio né una fine, tutti grossi uguali.
Certamente anche nelle composizioni dell’autore possono emergere degli eventi melodici, ma i
suoni coinvolti appaiono come elementi costitutivi di un flusso sonoro che si muove con un
andamento privo di una meta preciso o uno scopo preciso, tanto che alla fine l’evento
melodico risulta praticamente impercettibile, non giungendo mai a una conclusione vera e propria,
ma viene piuttosto riassorbito nella trama sonora, al cui interno pare quasi estinguersi.

2.3 PAGODES (1903)

Come si evince dal titolo, il brano Pagodes, composto nel 1903, richiama alla mente
dell’ascoltatore l’immagine di meravigliose pagode appartenenti ad un incantevole paesaggio
orientale. Il brano, nella chiara tonalità di si maggiore, vuole esprimere il fascino delle atmosfere
orientali, delle pagode, dei sacri templi giavanesi, in cui si respira il significato degli antichi riti e la
vivacità delle feste popolari.

Come già descritto, il brano si ispira al gamelan; lo stimolo a scrivere Pagodes venne a Debussy
dopo aver ascoltato le orchestre giavanesi, apparse nelle Esposizioni internazionali di Parigi del
1889.

L’eco di suggestioni esotiche pervade l’intero brano attraverso l’uso della scala pentatonica,
ricorrenti ritmi percussivi e l’uso del pedale tonale, che garantisce un effetto percussivo agli accordi
pianistici, una sorta di accenno alle percussioni del gamelan giavanese.

In tutto il brano si può notare l’influenza del gamelan e della cultura musicale indonesiana,
estremamente differente dalla musica occidentale e lontana dalle regole dei compositori classici.

La prima parte è una morbida “passeggiata” delle mani del pianista sui tasti neri dello strumento,
che corrispondono alla scala pentatonica: questa è la prima caratteristica, che riguarda tutta la
prima pagina (battute 1-12) che Debussy prese in prestito dal pentatonismo slèndro.

Nella battuta 12 (ultima della prima facciata) ci troviamo di fronte ad un’anomalia per l’armonia
classica: le quinte parallele do# - sol# / fa# - do#. Come descritto precedentemente, le regole
relative alla condotta delle parti nascevano dal concetto di consonanza e dissonanza, ma poiché
queste non valgono nell’orchestra gamelan (e quindi nel tardo Debussy), anche quelle regole non
varranno più. Tutti i suoni della scala possono combinarsi con qualunque altro, senza creare effetti
dissonanti che necessitano di una risoluzione, come nell’armonia classica.

Nella sezione centrale appare un nuovo timido motivo, che sembra emergere dalle nebbie di un
sogno lontano. Dalla battuta 19 compaiono due eventi melodici; nessuno dei due è più importante
dell’altro e nessuno dei due è relegato a ruolo di accompagnamento. Sono due melodie alla pari
che si intersecano creando un gioco di suoni mai visto nelle composizioni classiche, dove “ci si
limita” ad una melodia e un accompagnamento.

La ripresa della parte iniziale precede l’episodio finale, nel quale il tema principale passa alla mano
sinistra e si dilegua lentamente nei veloci ma delicati arpeggi pentatonici della mano destra.

Nel brano manca uno sviluppo preciso e una destinazione; è un brano “sospeso”, dove
difficilmente si riscontrano eventi sonori che hanno un inizio e una fine.
P.321 es 4 Tutti toni interi, a volte il la bemolle è segnato come sol#, a volte come la bemolle a
seconda di come lui lo ritiene più facilmente leggibile dall’esecutore.

RIPIENI SONORI

Ripieno d’organo: premendo un tasto, oltre al suono fondamentale che si è suonato, mediante certi
pulsanti si mettono in azione altre canne che fanno suonare contemporaneamente la terza e la
quindi (ed eventuali altre ottave del suono fondamentale). Il suono che si sente è sempre quello
della fondamentale suonata, ma il risultato è che il suono è molto più ricco grazie agli armonici
creati artificialmente da altre canne.

Generalmente a livello orchestrale si adopera il ripieno della quinta e dell’ottava sopra; quello di
terza risulta più confuso. I ripieni sonori sono stati utilizzati da grandi compositori tra cui Ravel, che
si è servito di vari ripieni con la quinta sopra nel Bolero.

Esistono vari tipi di ripieni sonori:

a) ripieno vero e proprio consiste nella trasposizione esattamente parallela di un accordo.


Con questo tipo di ripieno ci si sposta mantenendo inalterati gli intervalli tra il suono sotto e
i suoni sopra. L’accordo rimane sempre maggiore e questo implica dei cambiamenti di
tonalità; tutte le alterazioni che compaiono contrastano con un’eventuale tonalità di
partenza. E’ un caso di ripieno assai raro nella musica di Debussy.

Do-mi-sol, si-re diesis-fa diesis, si bemolle-re-fa ………………..

b) ripieno tonale consiste nella successione parallela di accordi costituiti da suoni


appartenenti ad una sola tonalità. È un tipo di ripieno molto utilizzato da Debussy.
Si spostano gli accordi mantenendo le distanze come numero intervallare (la terza rimane
terza, la quinta rimane quinta…) ma si utilizzano i suoni di una sola tonalità. Rispetto al
primo tipo di ripieno c’è maggiore coesione tonale. A seconda del suono sul quale ci si
appoggia cambia il tipo di accordo (maggiore, minore, diminuito, eccedente), mentre nel
primo tipo di ripieno gli accordi erano tutti maggiori.

Do-mi-sol, si-re-fa (triade diminuita), la-do-mi (triade minore) ……………..

c) ripieno atonale consiste nel fare in modo che, utilizzando in maniera opportuna le
alterazioni, i suoni sentiti nell’accordo prima non si presentino nell’accordo successivo.
Vengono aggiustati gli accordi per evitare che si ripetano gli stessi suoni e questo porta ad
un effetto atonale.
In General Lavine (dal secondo libro dei Prèludes) triadi maggiori e minori si scambiano
reciprocamente in modo tale che i suoni di un accordo vengono quasi sempre evitati in
quello successivo.
…………………………………..
d) ripieno modulante certi passaggi vengono realizzati cambiando l’ambito tonale e quindi
aggiungendo delle alterazioni per adattare il brano e renderlo più gradevole.
Ad esempio prime due battute in mi maggiore, seguite da alcune battute in la maggiore
colorato con un re#.
e) ripieno come cornice consiste nel mettere il ripieno all’interno della melodia. Non c’è un
vero basso ma c’è una melodia in ottava. Ad esempio nell’inizio di Les son set les parfums
(dal primo libro dei Prèludes) solo le parti esterne sono condotte parallelamente. Stessa
cosa si può riscontrare anche in alcuni passi della Butterfly di Puccini.
f) ripieno slendro con i suoi ricavati da scale di pochi suoni.
Nell’esempio tutti gli accordi (ad eccezione del terzo e del quarto della seconda battuta e gli
ultimi tre) sono ricavati dalla stessa scala tetra fonica, costituita dai suoni mi bemolle-sol
bemolle-si bemolle-re bemolle. Si può pensare ad un pentatonismo limitato a 4 suoni, dove
manca il la bemolle.

Ripieno la condotta delle parti avviene secondo un movimento parallelo

Armonia e struttura compositiva come unità d’invenzione

Un fatto interessante e nuovo rispetto al passato è che nella musica di Debussy spesso un solo
accordo è alla base di intere melodie; l’accordo funge sia da sostegno armonico per le melodie sia
da vocabolario dal quale si attinge per scrivere le frasi delle melodie.

Le melodie però non sono composte solo con i suoni dell’accordo, ma sono arricchite con suoni
estranei che assumono un grande rilievo.
P.325 inizia la melodia con un suono estraneo ………………………………….

Anche altri compositori del ‘900, pur in un’estetica musicale diversa dall’impressionismo
debussiano, hanno utilizzato tecniche degli accordi nuove rispetto a quelle dell’armonia funzionale.
Ad esempio tante opere del compositore russo Skrjabin si basano, come alcune opere di Debussy,
su un unico accordo. Con Skrjabin si parla di “accordo mistico”.

Anche altri compositori del 900, pur in un estetica musicale diverssa dall’impressionismo
debussiano, hanno usato questa tecnica degli accordi da loro indivuiati nuovi rispetto a quelli
dell’armonia funzionale, alla base dellinvenzione sia armonica che melodica. Scriabin, schenberg
quando scriveva pezzi atonali, indemitt…

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