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Forme e significati in Alberto Arbasino – Nicola D'Antuono

CAPITOLO I
Arbasino dà sempre molta importanza a forma e costruzione dell'opera, perchè “il contenuto
di un'opera letteraria è precisamente la sua forma”, senza distinguere tra forme poetiche,
narrative e saggistiche.
Privilegia la scrittura in prima persona, con tutte le sue varianti, la forma diaristica (i Blue
jeans non si addicono al signor Prufrock), la cronaca, il diario incrociato (Giorgio contro
Luciano), lo scambio epistolare, tutte tecniche che gli permettono di riferire ciò che ha visto
in modo veridico e sincero.
Le forme narrative dell'io risultano indispensabili, necessarie e utili per Arbasino, il cui
pensiero trova un'adeguata espressione attraverso la lettera e le sue forme affini. La lettura
dei formalisti russi lo fortifica nelle sue scelte formali e negli ultimi decenni privilegia
lettere, epistolari, zibaldoni, dialoghi, diari e note. Negli ultimi anni, e anche tutt'ora, ha
scritto lettere a quotidiani e rotocalchi considerandoli sostituti dei caffè letterari di un tempo.
Egli afferma che non c'è letteratura senza lettera, in quanto essa rappresenta l'arte della
conversazione. La conversazione per Arbasino assume un ruolo fondamentale, in quanto fa
dialogare nelle sue opere i personaggi, permettendogli di dare la propria versione dei fatti in
prima persona. Proliferano anche diari, confessioni, memorie, tutti testi che presentano una
importante invadenza dell'io, ma pur sempre ben lontani dall'autobiografismo.

Fin dagli esordi Arbasino fa conversare e dialogare i personaggi delle sue opere. Per
esempio il romanzo Fratelli d'Italia è un testo in cui si conversa molto; i protagonisti
manifestano un'idea di conversazione e ritengono che l'Italia sia un Paese in cui si vive di
chiacchiera e di conversazione, anche se la sua letteratura è muta. Arbasino dice che dove
c'è poca conversazione si finisce per diventare monologhisti; la conversazione permette ai
personaggi di dare la propria visione degli intrecci.

In diverse occasioni Arbasino ha rifiutato l'autobiografia in quanto infastidito dal dover


parlare di sé (rifiuta le domande sulla sua infanzia e sull'adolescenza). 1 L'autobiografia è
possibile solo come esercitazione e riflessione sul proprio lavoro intellettuale. I suoi testi
diventano strumento di conoscenza nei confronti di se stesso e il lavoro di scrittura
rappresenta una riflessione sul ruolo e sul senso del mestiere del narratore. Nonostante ciò
sono spesso presenti, fin dagli esordi, indizi autobiografici. Solo intorno a metà degli anni
Settante cambia atteggiamento. In un viaggio del 1967 in Nepal, per analogia Arbasino
“vede” i luoghi della sua infanzia e adolescenza a Voghera. I ricordi emergono attraverso le
associazioni che si sviluppano in disgressioni e ricordi di guerra e scuola. I flash-back
presenti sono spesso distorsioni e accomodamenti, ma mai falsi memoriali.

Una variante della scrittura dell'io, caratteristica di Arbasino, è la testimonianza, cioè il


resoconto elaborato da pagine di taccuino, inchieste ed interviste come avviene in Parigi o
cara. Egli interpella, documenta, intervista, prende appunti e compila schede. Nelle sue
interviste è sempre testimone, si pone in secondo piano rispetto all'intervistato, si considera
organizzatore del materiale altrui e diventa quindi il montaggio la forma vera e propria
dell'opera; il testo in sé è neutro, il montaggio fa la differenza. La testimonianza è frequente
anche nei testi successivi, che rientrano nella forma già analizzata come ad esempio Grazie
per le magnifiche rose, Certi romanzi e Due orfanelle. Quest'ultimo è un reportage su

1 “Il passato bruciamolo prima di cominciare a lacrimarci sopra”.


Venezia e Firenze sotto forma di inchiesta, Arbasino fa domande, telefona, gira per le strade,
ecc.

Arbasino si considera testimone oculare, reporter della situazione italiana di quel periodo. Il
reportage in Arbasino diventa un metodo di lavoro, una “forma giuridica”. È una fotografia
del reale. In Fantasmi italiani e In questo Stato il reportage e la testimonianza assumono
consistenza formale. Nel primo capitolo di Fantasmi Italiani, ad esempio, Arbasino avverte
il lettore che il suo obiettivo è l'attualità politica e culturale italiana giorno per giorno.

Arbasino si considera testimone di una situazione sconvolgente e traumatica ed è ben


predisposto verso questa forma di rappresentazione artistica, la considera la “presa diretta”
di realtà ancora calde, per contrapporla al freddo. In In questo Stato, per esempio, egli
registra “a caldo” e si sente diarista, “giorno per giorno” vuole ottenere l'autenticità che può
essere raggiunta solo con diari ed epistolari che registrano e rappresentano “il vero colore, la
vera atmosfera di un'epoca.” Essere testimone oculare e reporter è anche, per lui, un dovere
civile in alcune circostanze storiche. Il reportage diventa in tal modo una forma abituale di
rappresentazione seguita anche per mostre d'arte, viaggi e spettacoli. Si tratta di una
testimonianza, qualificata quale dovere culturale o un piacere civile. La storicizzazione è
fredda (rappresenta il passato prossimo / remoto), il reportage è caldo (rappresenta il
presente); l'aveva già riferito l'Anonimo a proposito del racconto epistolare, non “scritto a
caldo” contemporaneamente ai fatti in questione. Il ritmo in Arbasino è necessario: ogni
volta che c'è il freddo arriverà il caldo, e viceversa. Tutte le opere di Arbasino, anche le
meno impegnative, sono reportages in senso tecnico, tanto che egli viene considerato vero e
proprio giornalista, più che scrittore.

Arbasino oltre alle forme letterarie predilige quelle musicali, teatrali e cinematografiche.
Nelle sue pagine domina la predilezione per la musica operistica, sinfonica, da camera e
leggera, per i direttori d'orchestra, i critici, i maestri, per le forme musicali come la
cabaletta, il rondò, la rapsodia, il vaudeville musicale, la forma sonata, le barcarole, le
ariette, le romanze, le arie, i cori, il valzer, il fandango, il fox-trot, l'operetta, il charleston, il
tango e il rap. I due volumi Rap e Marescialle e libertini sintetizzano la sua passione per il
ritmo, l'ascolto e la recitazione. Il secondo, in particolare, tratta di musica; il titolo allude a
due opere fondamentali della musica mondiale: M → Mozart da “Così fan tutte” e L →
Strawinski da “Vita di un libertino”.
Il melodramma italiano per il narratore lombardo risulta l'equivalente del romanzo europeo
(e del musical americano, poi) nella cultura nazionale. Egli scrisse che il musical è un
genere culturale tra i più affascinanti. Vi riscontra un'analogia con il melodramma italiano,
evidenzia le somiglianze tra musical, prodotto americano tipico, e il nostro melodramma
delle epoche buone. Osserva che la forza dei grandi musicals è che anche sotto le più
affascinanti apparenze di evasione e contaminazione e 'magia' se la stanno prendendo
continuamente con qualche aspetto preciso della realtà contemporanea.
Negli anni cosiddetti formalisti Arbasino frequenta molto (in Italia e all'estero) anche il
balletto, la danza e l'attenzione critica si focalizza più sullo spettacolo che sulle tecniche
musicali. Lo scrittore lombardo ama la letteratura teatrale e vive il rapporto con il reale sotto
forma teatrale. Questo spiega anche la passione per il cabaret. All'autore de la bambinaccia,
il cabaret piace proprio per la poetica sarcastica, perchè sviluppa la tragedia in farsa, per via
di contrasti.
Tutte le forme utilizzate riconducono alla forma circolare che si genera chiudendo se stessa
in una sovrapposizione di presente e passato, doppiata da una splendida coincidenza fra
realtà e creazione. Questa è la struttura fondamentale di lavoro e pensiero, in quanto
Arbasino parte da un punto della circonferenza, ma divaga, decentra, dilunga, dilata,
accumula fatti e aneddoti, si allontana dal centro narrativo con analogie e uso abbondante
delle parentesi tonde, con figure retoriche circolari, come la ripetizione, con movimenti e
gesti dello stesso tipo. Lavora soprattutto per associazione, contiguità, assonanze, analogie e
usa molto le virgolette e gli apici. Non traccia una retta, ma uno zig-zag, una linea sinuosa e
asimmetrica, una spirale.

CAPITOLO II
Fin dagli esordi Arbasino scrive romanzi brevi e un solo romanzo lungo chiamato Il ragazzo
perduto. L'Anonimo spiega la propria poetica e riferisce di utilizza la forma breve o lunga a
seconda delle esigenze, con l'utilizzo costante della prima persona. L'approdo più
tecnicamente maturo è il romanzo epistolare, l'applicazione di una forma già passata alla
storia letteraria, ma ancora utile per esplicare l'arte della maschera, la finzione e l'artificio
che si vogliono far passare per realtà, con un desiderio di verità attraverso la scelta della
prima persona. Esso ha punti in comune con il dialogo teatrale e con due tipologie di lettera:
quella d'amore e confidenziale, ma soprattutto con la lettera reportage. Nel romanzo
epistolare l'autore si nasconde. Come in quasi tutti gli altri racconti, anche nel Ragazzo
perduto siamo all'intero dello statuto della prima persona, forma piena di numerose note che
rendono ancora più divagante e labirintica la narrazione, dilatandola fino alla mostruosità,
facendola diventare un racconto saggistico.
Ma è Fratelli d'Italia l'opera che impegnò più severamente Arbasino; rappresenta
un'eccezione nella sua carriera. Ebbe lunga elaborazione e fu sottoposta a continue revisioni,
per poi essere pubblicata solo nel 1963. La sua struttura fondamentale è il viaggio e l'intento
è quello del romanzo di formazione; mala tipologia del viaggio non arriva ad un esito
positivo e la formazione degli adolescenti non è più possibile, in quanto il gruppo di amici,
ritrovatosi a Fiumicino per girare un film, non ha una direzione determinata, è solo una
corsa topografica e culturale per l'Italia e per l'Europa agli inizi del decennio 1960-70.
L'unico elemento che tiene insieme il testo è la conversazione tra i personaggi. 2
La narrazione non raggiunge la compattezza ed evidenzia l'impossibilità della forma
romanzesca, data soprattutto dalla liricità incombente interna all'opera e più in generale,
come causa esterna, dalla mancanza di una tradizione romanzesca come Arbasino stesso
nota in Certi romanzi. Il limite dell'autore è infine la ricerca dello straordinario, dell'eroico e
del tragico che invece andrebbe accantonato per il racconto del quotidiano. Secondo
Arbasino uno scrittore sperimentale può solo agire in modo negativo, svalorizzando la
forma tradizionale del romanzo (smontandola e disgregandola) come aveva fatto per quella
epistolare. Il procedimento era stato già usato da Musil, la cui esperienza intellettuale era
conosciuta da lettori anche non tedeschi. Arbasino usa lo stesso atteggiamento e sceglie una
vecchia forma romanzesca per svalorizzarne il congegno e il romanzo diventa
incompiutezza, dove non esiste più un centro topografico e narrativo.
Nell'ordine narrativo Arbasino immette il disordine, non esiste più la totalità ma solo il caos.
Quando la totalità si frantuma, dai pezzi che vanno per la loro strada emergono il saggio e
l'autobiografia. Invece di mettere in ordine, Arbasino provoca ancora più disordine. Il

2 Il teatrino di macchine di lusso, cene con i letterati, notti brave e incontri galanti ricorda il Giorno di Parini
in cui si accompagna il giovin signore nella sua giornata-tipo fatta principalmente da frivoli impegni, da
quando si sveglia la mattina a quando si addormenta la sera.
romanzo del boom economico diventa impossibile.
Arbasino poi abbandona il romanzo e passa a un'altra idea di narratività. Con Grazie per le
magifiche rose è già avvenuta la trasformazione. Si sviluppa il romanzo critico. Passa
dall'invenzione dei personaggi a critico. Egli stesso, le opere d'arte, gli spettacoli teatrali e
musicali sono diventati i personaggi.
Dagli anni Settanta, dopo Specchio delle mie brame, non troviamo più romanzi, solo libri di
saggistica. La conversazione saggistica diventa struttura narrativa profonda. Nella scrittura
di Arbasino la dissonanza non si emancipa, le istanze dell'inconscio non vengono liberate e
la materia del contenuto si organizza all'interno delle strutture tradizionali che però sono
svuotate. Arbasino stesso avverte consapevolmente lo scacco e constata l'impraticabilità
della sua scrittura nei territori del romanzesco. I personaggi non possono esistere e allo
scrittore è possibile soltanto un romanzo-conversazione-saggio contemporaneo.
Il romanzo è in crisi e si preferiscono diari, lettere, ecc. Perciò lui sceglie la culturalcritik
che significa mettere a nudo i luoghi comuni, smascherare i meccanismi, ecc.
I valori borghesi tradizionali del romanzo possono essere solo rifiutati, come evidenziano i
narratori francesi del nouveau roman. In Arbasino questi stessi valori sono rappresentati
come impossibilità e dissonanza con il reale. Lo scrittore non sceglie questa strada in quanto
abbandona il romanzo, resta narratore e segue il reportage qualificandosi soltato come
reporter.

L'impossibilità romanzesca fa emergere il romanzo-saggio, già sperimentato in Ragazzo


perduto e in Fratelli d'Italia. Arbasino ricava una poetica già utilizzata e scrive che l'arte è
pastiche (opera composta, in tutto o in larga parte da brani tratti da opere preesistenti, per lo
più con intento imitativo).
Il pastiche è quindi una forma di lavoro di rottura e intersecazione di generi; la divagazione
dal centro narrativo è un allontanarsi consapevole. Di conseguenza la narrazione si mescola
con il reportage, la cronaca, la polemica, la satira. Arbasino sente di poter mescolare generi
e forme, ritiene di poter utilizzare liberamente il pastiche.

Arbasino osserva la satira menippea (considerata un super genere), un tipo di satira che
prende il nome da Menippo di Gàdara. Essa è caratterizzata da uno stile serio-comico, dal
frequente inserimento di parole straniere (per es. greche), ecc. Il dialogo è un elemento
costante.

Arbasino si rende conto che il reale non può essere inventato e fabbricato, ma solo
riprodotto da altri libri. Le esperienze intelletuali e vitali vengono solo ripetute, facendo
finta che la parodia e lo smascheramento non abbiano concluso il loro percorso: così
Arbasino prende il cattivo gusto già esistente e lo parodizza. Nasce la poetica del kitsch. Il
termine ha origini tedesche ed è usato per descrivere oggetti di cattivo gusto. Può anche
essere usato per descrivere un oggetto artistico che presenta qualche mancanza. I testi di
carattere kitsch sono immediatamente comprensibili.
La poetica del kitsch è un'assunzione parodica del cattivo gusto imperante, in modo che
anche la citazione diventi ironica e sarcastica. Essa è anche una frattura tra l'inizio del
racconto e il finale: c'è un ribaltamento anche nello stile e a causa di esso il lettore non
riesce a immedesimarsi.

CAPITOLO III
La scrittura di Arbasino si presenta ricca di citazioni e referenti culturali. La tecnica
citazionale e referenziale è tratta da T.S.Eliot, suo modello negli anni giovanili, come
l'autore stesso chiarisce nella XIX lettera de Il ragazzo perduto. Il titolo I blue jeans non si
addicono al signor Prufrock è tratto da Love song of J.Alfred Prufrock anche se il
riferimento è molto più profondo e implica il rapporto tra disillusione e invecchiamento.
Nella lettera XIX del Ragazzo perduto l'Anonimo confessa di prediligere la tecnica della
citazione, che rinvia alla sua educazione letteraria profondamente libresca (di ciò che si è
appreso esclusivamente dai libri, senza essere rielaborato personalmente o sperimentato).
Consapevole di non avere alle spalle una plausibile tradizione letteraria, Arbasino va alla
ricerca di antenati. La citazione quindi serve a saldare un rapporto con la tradizione,
maturando, erodendo, demistificando e minandone le basi. La citazione assume rilevanza e
si trasforma infine nella parodizzazione della tradizione.
La lettera X di Ragazzo perduto è composta da quattro citazioni, la XX è un'intera citazione
del Croce, la XXI è tratta da una lettera del Giordani a Leopardi. Le citazioni invadono tutte
le pagine, ma le fonti esibite sono in quantità minima rispetto a quelle occulte: lo scrittore
lombardo, con cattiveria, sfida il lettore ad accorgersene.
Molte citazioni sono travestite perchè nelle interviste, quando dà la parola ad altri, quando
segnala titoli di libri, di quadri, di balletti, spettacoli teatrali e musicali, Arbasino cita.
Anche nei dialoghi e le battute delle conversazioni possono essere definite citazioni, che
sono sparse un po' dappertutto, pur non essendo virgolettate e derviano da ogni tipo di
materiale: autori classici e moderni, volumi, articoli, ecc.
In Amate sponde e in Certi romanzi le citazioni da romanzi, liriche, luoghi comuni e
proverbi sono insensissime.

La citazione è una forma di lavoro dell'autore attraverso un processo di accumulo tecnico e


caotico.
Arbasino maliziosamente nasconde il lavoro di laboratorio. Le sue letture sono state
sterminate ed egli le accumula sulle pagine, a volte esibendo a volte occultando. Queste
mettono in difficoltà il lettore, specialmente quando i dati sono presi da fonti secondarie;
Arbasino sfida il lettore ad arrivare alle fonti. In Arbasino già sin dagli anni Cinquanta tutto
è plagio, recita e letteratura.
Significativa è la discussione sui titoli in Fratelli d'Italia, a proposito del romanzo che
Antonio vorrebbe scrivere. Vi ritroviamo parecchie cose, dai titoli allusivi alla citazione del
Decennale Primo di Machiavelli. Quasi tutti i titoli sono frutto di citazioni: La provinciale
da Moravia, I blue jeans non si addicono al signor Prufrock da T.S. Elliot, Distesa estate da
Caldarelli, Povere mete da Saba. Il ragazzo perduto allude all'Albertine disparue proustiana,
alla Traviata e a La ragazza perduta di David Herbert Lawrence, L'Anonimo lombardo a
Parini e a Manzoni.

Anche gli intertitoli, quando presenti, funzionano secondo lo stesso procedimento. I


referenti sono sempre titoli di opere e spettacoli, chiare allusioni a luoghi comuni della vita
quotidiana o dell'immaginario collettivo.
Le citazioni risultano evidenti anche nelle epigrafi che in Arbasino preparano il lettore alla
lettura.
La prima versione di Ragazzo perduto presenta undici epigrafi. Esse sono presenti anche in
Grazie per le magnifiche rose, in particolare sei si trovano in apertura, altre invece sono
all'inizio del primo, del sesto e del dodicesimo capitolo. In Certi romanzi c'è un epigrafe che
inaugura ognuno degli undici capitoli.
Oltre alla citazione, in Arbasino troviamo frequentemente anche l'autocitazione. Passi interi,
motivi, idee critiche sono ripetute nelle sue opere a distanza di pochi mesi dalla
composizione dell'uno o dell'altra, altre volte dopo anni. Nell'articolo Una giornata con
Angus Wilson, Arbasino inserisce una conversazione avuta con lo scrittore inglese nella
quale afferma che quest'ultimo è l'unico a saper scrivere romanzi importanti come quelli di
Dickens, Balzac e Proust: grossa trama intersecante, molti personaggi interessanti e tanti
ambienti sociali diversi.

Le citazioni sono usate anche come annotazioni. Ad esempio il narratore di Fratelli d'Italia
elenca con un bloc notes i foglietti che compongono l'ultimo paragrafo. Grazie per le
magnifiche rose è totalmente composto da note. Nelle varie edizioni e riscritture dei testi,
Arbasino toglie o aggiunge note. Le funzioni delle note sono: divulgazione, accumulo,
digressione. Spesso sono testo e si confondono con il testo stesso. Si tratta di note non
comunemente intese, in quanto appartengono al testo, che esse prolungano, ramificano e
non fungono semplicemente da chiarificatrici o commentari.
Esistono anche le note autoriali che costituiscono delle modulazioni del testo, come ad
esempio frasi tra parentesi o tra virgolette che svolgono la funzione di completamento. Lo
scrittore è da collocare all'interno della nota.

CAPITOLO IV
La citazione in Arbasino assume col tempo un valore teorico, acquisisce una sua autonomia,
diventa annotazione, sistema frammentario. Le citazioni diventano frammenti e poi interi
libri. Arbasino non si accontenta della tecnica, ma ha bisogno di procurarsi una tradizione
illustre.
Il procedimento inizialmente era eliotiano, ma è tratto anche dalla tecnica musicale di
Strawinsky, ad esempio, poi dai formalisti russi e da Walter Benjamin. In seguito, dopo aver
conosciuto Carlo Dossi e Gramsci, il narratore inizia a considerare questi ultimi i due sommi
rappresentanti italiani dell'illustre genere letterario chiamato Frammentario Sistematico.
Il frammento si organizza e diventa sistema. Da intere pagine di citazioni e frammenti
Arbasino tende al libro intero di citazioni e lo denomina struttura “a coacervo”, che ritiene il
massimo dell'artificio formale dell'organizzazione dei materiali in struttura a cui corrisponde
il massimo della coerenza stilistica, e questa coincide con il massimo della comunicazione
espressiva.
La citazione è anche riscrittura: singole citazioni, elementi isolati e locuzioni sono ripetute,
riciclate, modificate, rielaborate. Perciò le varianti stilistiche ed espressive apportate ai testi
sono sempre significative e vanno studiate con attenzione.
Assumono così sempre maggiore importanza le varianzi, già presenti nei primissimi testi di
Arbasino. Egli le chiama modificazioni di stesura, brevi interventi stilistici, minimi
spostamenti.
La riscrittura di Ragazzo perduto con il titolo Anonimo lombardo è avvenuta secondo lo
stesso modo emotivo e culturale di quegli anni, senza ricorrere ad esperienze letterarie
successive.
Non esiste mai la versione definitiva di un testo, al contrario esistono molte versioni
possibili che si modificano ad ogni riscrittura. Arbasino apporta varianti, riscrive,
rimaneggia, attua rifacimenti che vanno da un minimo (Le piccole vazanze, Ragazzo
perduto) a un massimo (Fratelli d'Italia → riscritto tre volte con un processo complesso,
tornandoci sopra a distanza di trent'anni, come un'ossessione, un lebenswerk – testo di una
vita).
La riscrittura risulta necessaria per evitare l'invecchiamento, che nei tempi moderni è
comune a tutte le arti. Essa è restauro, riparazione di guasti prodottisi nel tempo per
conservare e tramandare gli oggetti. Riscrivere è sinonimo di accumulare, Arbasino cerca di
far fronte all'invecchiamento delle cose riscrivendo di continuo. La perenne riscrittura è data
dalla convinzione che non esista il passato, ma solo il presente, l'istante. La stessa tecnica
era già presente nella tematica dell'invecchiamento di Prufrock. Il personaggio con la
vacanza e la deresponsabilizzazione cercava di evitare i guasti del tempo.
Con restauro e riscrittura, con l'incessante aggiornamento e l'edizione non definita Arbasino
cerca di evitare l'angoscia dell'inattualità e vuole essere contemporaneo. Alcuni titoli sono
cambiati: il racconto Luglio, Cannes acquista il titolo dell'intera raccolta, ma poi viene
recuperato l'originale; I blue jeans non si addicono al signor Prufrock, fu sostituito da I blue
jeans non vanno bene al signor Prufrock, e poi ripristinato. Il racconto epistolare Il ragazzo
perduto diventa L'Anonimo Lombardo, acquistando il titolo dell'intera raccolta. Sono
importanti, nella fase di riscrittura, i tagli e la riorganizzazione dei testi. Per Fratelli d'Italia,
alcune note vengono tolte, altre spostate, altre aggiunte.

Arbasino accredita l'idea che verso la metà degli anni Sessanta sia finita un'epoca, così come
tempo prima era finita l'adolescenza. In Arbasino non c'è mai un repéchage (un ripescaggio)
del tempo perduto, ma sempre la consapevolezza che i tempi passano e che lui è l'autore
rappresentativo della fine e degli addii. Quella dell'addio è una tematica ricorrente in
chiusura dei testi, esso non è mai definitivo e serve ad esorcizzare il fluire del tempo.
La creazione artistica come godimento istantaneo nasce dall'angoscia del vuoto rimosso con
il meccanismo del divertimento e del piacere come fuga dall'anonimato. La letteratura
allontana l'angoscia storica degli anni Cinquanta, che aveva avuto risonanza particolarmente
sulle giovani generazioni del dopoguerra. Sull'argomento Arbasino ritorna spesso,
dichiarando di aver vissuto il periodo come terra desolata e di aver collegato i traumi
infantili con le condizioni storiche del periodo: età della desolazione e angoscia,
invecchiamento, dannazione.

Altra tematica importante è quella del tempo, che non è mai reale ma interiore. Viene
rifiutata la classificazione cronologica ed è ammesso solo il tempo vissuto. La misurazione
del tempo mette in sordina tutte le categorie del tempo (secolo, anni, giorni) e lascia spazio
a generazioni e decenni. Egli legge la realtà secondo una misura decennale e ogni effetto di
reale è classificato per decenni. La periodizzazione ha un significato che si intreccia con i
conflitti con i genitori. La vita, per Arbasino, è conflitto di generazioni. Ogni aspetto del
reale è conflittuale. Già dai primi racconti i giovani sono insofferenti e in rivolta. Il
desiderio di abbandonare la famiglia per compiere la scalata sociale. La questione appare
per la prima volta in Fratelli d'Italia e si rifà al rito di formazione del Ramo d'oro (The
Golden bough). → saggio scritto da James Prazer in cui l'autore si occupa delle culture
primitive collegate tra loro tramite il filo conduttore della teoria evoluzionistica storica.

Arbasino scrive e riscrive molto e confessa che nulla dies sine linea, cioè la necessità di
esercitarsi quotidianamente per raggiungere la perfezione. Lui divaga, cataloga e i suoi testi
sono, di fatto, dei cataloghi.

Note, riferimenti onomastici, citazioni, ecc., evidenziano nell'autore una struttura mentale
enciclopedica. L'enciclopedia rappresenta la totalità dei saperi ordinati in ordine alfabetico.
In tutte le pagine si avverte un accumulo di matriali, dati, letture dei libri, ecc. Se
enciclopedismo significa esaurire la conoscenza intellettuale in una totalità compiuta e
perfetta con ampliamenti e aggiornamenti, l'enciclopedia del sapere in Arbasino è anche
coscienza della sua impossibilità. Questo spiega il nesso tra enciclopedismo e frammento,
per cui non è possibile conoscere la totalità se non nelle forme del molteplice.

CAPITOLO V
Nella narrativa di Arbasino si mangia spesso, cibo e dettagli culinari sono maniacali e
invadenti. In Fratelli d'Italia, ad esempio, si mangia in ogni fase dell'avventura romanzesca,
ad ogni istante della giornata, non solo a tavola. L'alimentazione è in stretta correlazione con
il parlare ininterrottamente, in quanto molte delle conversazioni avvengono a tavola.
Arbasino dice “la forma normale della satira menippea è il dialogo in tre varianti, la terza è
proprio il pranzo”.

Metafore culinarie e alimentari vengono usate in modo ossessivo. Ad esempio in Povere


mete gli adolescenti “divorano libri”, gli entusiasmi culturali vengono definiti “cotti”, i libri
sono sempre “cotti e mangiati”, i critici letterari sono “raffinati buongustai”. La golosità
invade il reale evidenza la costante del possesso e dell'incorporazione orale degli oggetti che
diventa infine distruzione; il cannibalismo è evidente e non mancano riferimenti nei testi ad
esso. La cultura è nutrimento e l'attività culturale è rappresentata attraverso la cucina e i
processi di masticazione.

Il godimento e l'ingordigia danno vita ad una forma bulimica ricorrente, rappresentata anche
nell'abbigliamento. Il vestiario è indizio di distinzione sociale, il lusso e l'agiatezza dei
protagonisti sono evidenziati anche dal vestire. Coloro che indossano “vestiti magnifici”
sono gli unici a destare fascino. I capi d'abbigliamento sono sempre ricercati ed evitano
categoricamente la serializzazione.
Nella XXXII lettera del Ragazzo perduto, indirizzata a un “Caro giovane”, viene posta
l'attenzione sui vestiti, sul gusto del vestire, sulle stoffe e sui loro colori, sugli accessori e
sulla biancheria intima.

Per caratterizzare personaggi e periodi storici, ma anche la società intera, Arbasino descrive
le tipologie dell'abbigliamento perchè i vestiti riflettono, valutano e considerano. Il motivo
però perde di consistenza nel corso del tempo poiché lo scrittore avverte l'omologazione
crescente delle nuove generazioni. Prevale l'uniformità, e dopo la monocultura dell'auto si
impone la noncultura della moda. Abbigliamento è sinonimo di moda e quindi non va
considerata solo dal punto di vista estetico ed erotico, ma và letta anche come strumento di
potere in quanto la moda ha un enorme potere, è rapida, è una maschera che nasconde l'io e
rappresenta gli elementi mutevoli della vita.

L'abbigliamento svolge inoltre la stessa funzione dell'arredamento, che ha un ruolo


rivelatore. Perciò l'autore si comporta come architetto che dedica all'arredamento la stessa
attenzione che dedica ai personaggi. Arbasino rifiuta nell'arredamento gli oggetti scomodi.

CAPITOLO VI
Il tema della guerra, in particolare la seconda guerra mondiale, ha un significato particolare
in Arbasino. Nella racconta Le piccole vacanze, il racconto di apertura Distesa estate è la
rievocazione della guerra quale “fantastica avventura” vissuta da un adolescente in
campagna, ove giungono attutiti i tragici eventi bellici, trasfigurati nella fantasia e rivissuti
nel ricordo.

La fine della guerra è vista come la chiusura di un ciclo, si passa dall'avventura alla
monotonia quotidiana. La guerra coincide con la fine delle vacanze e con la fine
dell'infanzia e dell'adolescenza.
Gli adolescenti trasfigurano la realtà per difendersi dagli sconvolgimenti del trauma bellico,
costantemente rimosso. Sono i ricordi in età avanzata che riconducono al passato
individuale e generazionale.

L'idea dominante è quella della guerra come grande vacanza: “l'irripetibile estate” non è
solo una stagione temporale ma una dimensione dello spirito, una categoria privata e senza
conflitto che sospende la temporalità. Per questo la vita adulta, guori dalla guerra, è
rappresentata come esperienza dolorosa da evitare a tutti i costi.
Il sistema temporale di vita e di interpretazione della realtà è incarnato metaforicamente dal
ciclo delle stagioni. Il narratore di Distesa estate, discorrendo delle proprie “vacanze
lunghe” è cosciente della loro limitata duratura oggettiva: per lui non saranno più
contemplate lunghe vacanze, ma solo piccole: il sabato, ad esempio, oppure le vacanze di
Capodanno, come nel Ragazzo perduto. Quindi, la vacanza diventerà breve in età adulta e
con il solo scopo di evadere dalla realtà, come in Agosto, forte dei marmi.

In tutti i racconti giovanili di Arbasino, ma anche nei testi successivi, ritroviamo puntuale la
costante della vacanza. Necessitano frenetici spostamenti, vagabondaggi, allontanarsi dalla
città di residenza. Tutti i personaggi vanno in vacanza, quasi fosse un'esigenza strutturale
dei racconti.
Nella vita adulta il tempo è impegnato con il lavoro. Il tempo vuoto bisogna occuparlo
preferibilmente con divertimento culturale, per non essere angosciati.

Molte vicende sono vissute dai protagonisti nel periodo estivo. In Fratelli d'Italia
l'avventura romanzesca inizia in estate. Il film da girare è una storia estiva e nel romanzo
sono citate le “vacanze lunghissime” di Antonio.
In Giorgio contro Luciano, vacanza ed erotismo si intrecciano. I due protagonisti viaggiano
in Spagna, e si sentono liberi e leggeri. Perciò il personaggio non si adatta alla fine della
vacanza, né riesce a comprendere che si tratta soltanto di una “sospensione” per allentare il
ritmo della “solita vita” per riprenderlo con più energia in seguito.

La frattura fra vacanza e lavoro è netta. La quotidianità implica solo una severa e rigida
dedizione al lavoro. La vacanza invece rappresenta l'ozio nel senso classico, l'evasione, il
frutto di un avventuroso sognare ad occhi aperti. La vacanza è vista come un piacere,
evasione dalla routine, fuga dalle responsabilità e dalle norme sociali, tempo libero in
antitesi al lavoro.
Il tempo libero è sinonimo di vacanza e va vissuto come tempo del piacere e del godimento
assoluto. La vacanza è una festa, una “trasgressione legittima alle regole”.

CAPITOLO VII
Gli adolescenti di Arbasino hanno catalogato la fase bellica nella memoria come un periodo
di irraggiungibili splendori ed è considerata un'epoca eroica, nonostante nei personaggi vi
sia coscienza del superamento storico. Ciò è dato dallo sprezzante rifiuto della realtà,
descritto come conflittualità tra l'epoca fortemente eroica e quella di transizione. La
consapevolezza non elimina però la disperazione degli adolescenti, che comunque cercano
di adeguarsi.

I tempi sono cambiati e gli anni cosiddetti “eroici” sono solo un mito. Arbasino ha osservato
con attenzione i cambiamenti nei gusti e nelle abitudini delle nuove generazioni, ha
sollecitato con la scrittura il rinnovamento e la modernizzazione del tessuto sociale italiano,
ha interpretato le esigenze delle nuove generazioni borghesi in conflitto con la società
italiana del dopoguerra, la loro rivolta contro la tradizione. Egli rappresenta quei giovani
rifiutano l'arretratezza e sono in lotta con il peso del passato e i “rottami” della famiglia
patriarcale, coloro che vogliono una modernità anticonformista e antitradizionalista.

I racconti giovanili di Arbasino hanno lo scopo di rappresentare il conflitto che si instaura


tra monotonia quotidiana e sete di vivere, che assume una connotazione romantico-
borghese. La sete di vivere è alimentata dalla monotonia quotidiana, la voglia di vita
avventurosa nasce dalla mancanza di avventura.
L'angoscia post bellica del ritorno all'”orrenda provincia” è presente in I blue jeans non si
addicono al signor Prufrock: il personaggio, insieme a tanti altri “uomini che giunti alla
mezza età si rendono tristemente conto, quando ormai è tardi, di aver vissuto una vita troppo
cauta, troppo povera”. Le epigrafi del signor Prufrock sono proprio incentrate
sull'invecchiamento. La sfiducia è data non solo dall'inerzia e dal poco volere ma è anche
condizionata dal posto in cui vive. Il processo di evasione si rivela però fallace e i
personaggi tendono a ritornare a casa come in Agosto, Forte dei marmi. Il mondo sognato
non è quindi una prospettiva di diversa realtà sociale, ma un'evasione romantica.
Arbasino predilige testi che rappresentano la rottura dei luoghi repressivi (collegio e
famiglia ad esempio), che evidenziano anarchismo e rivolta. Non vi sarebbe salvezza senza
un rovesciamento radicale.

La poetica di Arbasino si fonda proprio sul disordine provocato dall'interno. Il rifiuto


sarcastico del mondo piccolo-borghese e la prigionia familiare è radicale. Sono tematiche
riprese da Osborne e Godard. La “parodia” diventa la categoria fondamentale, non
necessariamente nel senso di caricatura burlesca, bensì di travestimento a scopo
d'appropriazione.

CAPITOLO VIII
I personaggi femminili non affollano le pagine di Arbasino. Poche le protagoniste
femminili, molte personaggi di fondo. Nei racconti giovanili esse sono spesso immagini
fugaci, di sogno, di breve durata come l'estate, le vacanze e i viaggi. Ad esempio Mira di
Distesa estate, Claudia de I blue jeans, Marina e Monique in Agosto, Forte dei Marmi.
In ogni caso non rappresenta le donne del popolo, a suo parere ridicole, tutti i personaggi
femminili appartengono ad una sfera medio-alta. Sono tutte possessive, dominano il
maschio, non gli permettono di diffondere la propria individualità e di ottenere godimento
nella vita.
Da questo punto di vista va intesa la marginalità femminile nell'universo immaginario di
Arbasino, che è interamente maschile. I suoi protagonisti sono sempre adolescenti e giovani
uomini che hanno rapporti con altri coetanei dello stesso sesso. Vivono densamente il loro
narcisismo, sentono avversione per le donne e sono sostanzialmente celibi, solitari, nemici
del matrimonio, non procreano. Non hanno rapporti di coppia. . Personaggi sterili, misogini,
improduttivi.

Una “ragazza” secondo l'Anonimo, “dopo che ha fatto un po' di cose, un ragazzo normale la
considera inevitabilmente un po' puttana (“porcona”)”. Il sesso è sempre un'attività
riprovevole, soprattutto per le donne che sono descritte da un'ottica negativa. Il sesso come
“porcata” o “porcheria” e la metafora del “porco” è ossessiva in Arbasino ed è collegato al
grembo che genera e concepisce. Tale atteggiamento non è solo prerogativa delle donne, ma
anche degli uomini.
Il Luciano del racconto Giorgio contro Luciano, scrive di “maialata” e riferisce che Giorgio
si è rivelato un “animale”, si è “comportato da porco”. Egli mette in ridicolo il senso del
pudore attraverso l'eros inteso quale porcheria in contrasto con la società italiana arretrata e
depressa dei decenni scorsi. L'eros è sempre legato all'oscenità, anche linguistica, con
utilizzo frequente di un lessico osceno.
Il sesso è metaforizzato anche nel senso di “sporco” contrapposto al pulito; tutto si riduce in
un “porcaio”.
In Arbasino il sesso è soprattutto onanistico (masturbazione, non ha scopo di procreazione),
autoerotismo e amore omosessuale. L'omosessualità è un motivo profondo nel mondo di
Arbasino che vuole abbattere tabù e convenzioni.

L'eros, in generale, può essere raggiunto solamente in vacanza e durante il tempo libero,
unici momenti in cui i personaggi si lasciano andare alla sessualità come libertà totale.
Arbasino ama la “sessualità polimorfa” come diversità degli individui e di ogni aspetto del
reale. A tale proposito diventa naturale affrontare la questione dell'omosessualità, già
presentatasi nel racconto Giorgio contro Luciano, in Il ragazzo perduto e in alcune
osservazioni di Fratelli d'Italia.
Arbasino non ritiene l'omosessualità un ghetto e rifiuta categoricamente l'omosessuale
quando non sia considerato “una persona che fa tante cose, ha un lavoro, sente Verdi.. e di
tanto in tanto lo prende e lo mette in quel posto”. L'omosessualità è un motivo profondo nel
mondo immaginario di Arbasino ed appare già negli anni Cinquanta.
Il sesso è spesso metaforizzato e viene inteso come godimento, liberazione dalla repressione
e piacere.

Anche la critica è godimento. All'interno di questa prospettiva va inquadrato l'ostinato


rifiuto dell'engagement sartriano (nell'immediato dopoguerra, si fa vivissimo negli
intellettuali il bisogno di un impegno concreto nella realtà politica e sociale del paese,
quindi considerare la letteratura come una manifestazione e uno strumento del proprio
impegno) fin dagli anni giovanili. In Fratelli d'Italia è scritto apertamente che sono da
rifiutare sia l'engagement dello scrittore, che certe particolarità del romanzo di quegli anni,
per cui “la finalità del romanzo o del dramma dovrebbe essere prima di tutto il
divertimento”.

CAPITOLO IX
In Arbasino tutto ciò che è reale è cromatico, particolarmente nei racconti giovanili, come
accade in Distesa estate, con “paese giallo e sonnolento”, il “giallo autunno”, un “terreno
verde”, cani “neri rosso-focati”, una “ragazza in verde”, ecc. I colori comunque non
mancano anche in altri testi.
Egli osserva in modo dettagliato i colori delle cose e degli oggetti e questi sono colti in tutte
le gradazioni più sofisticate. Il rosso, ad esempio è “carminio, vermiglio, cremisino,
pompeiano”.
Il colore è, ovviamente, luce che assume un ruolo predominante, come la “luce stupenda”
del paesaggio padano, “la luce naturale”, con l'opposizione luce-tenebre.
Arbasino percepisce soprattutto con gli occhi. È stato giustamente osservato che “i colori
rispondono alla legge del richiamo, sono principi ordinatori della memoria”.
Per Arbasino andrebbe fatto un discorso critico sulle sensibilità dell'udito e sull'importanza
dell'ascolto (e quindi della musica). Va sottolineata anche l'importanza dell'olfatto con cui
egli riscontra odori naturali e animali.

Il narratore lombardo ama la pulizia e l'igiene e predilige “i meravigliosi odori di campagna


e d'estate”, le “mani pulite, la pelle chiara, i capelli chiari, color brodo”.
Rifiuta, naturalmente, il “cattivo odore”, il “forte odore di sudore”. In Arbasino esiste anche
l'associazione tra mancanza d'aria e puzza.
Esiste un'attenzione notevole al corpo nel mondo immaginario di Arbasino. Alcuni
personaggi sono adiposi o ossessionati dall'adipe (esempio in Prufrock, Agosto, Forte dei
marmi e Luglio, Cannes).
Nel narratore lombardo è trasparente anche l'attenzione per la cura, l'igiene e l'odore del
corpo. Si tratta di un'esigenza interiorizzata, risultato dell'educazione, del controllo e della
sorveglianza anche delle parti più intime. Il rapporto con il corpo è con il “corpo sociale”.

Arbasino odia gli spazi stretti, gli ambienti minuscoli dove tutti si conoscono. Perciò
preferisce la tranquillità negli spazi vasti. Claustrofobia e angoscia di soffocamento sono il
sintomo di essere rinchiuso nel ventre materno, ma anche le fantasia del proprio corpo. Gli
spazi vasti consentono l'esibizionismo e rafforzano la sicurezza, contro l'angoscia. In essi lo
scrittore ritiene di occupare il tempo vuoto come in vacanza e nel tempo libero.
La claustrofobia spinge ad uscire all'aria aperta, a vagabondare e a viaggiare. Perciò questa
appare più apertamente nei testi di viaggio.
In Australia, il viaggiatore rimane prima di tutto colpito dalla larghezza delle strade, guarda i
vasti spazi liberi, la distanza fra le persone. In Giappone invece è traumatizzato. Esso
presenta due elementi che lo ossessionano: frugalità e sovraffollamento. Gli ambienti stretti
e soffocanti diventano per Arbasino anche rifiuto della ristrettezza mentale e del
conformismo, dei tabù. La metafora ossessiva dei luoghi stretti ha un nesso evidente con la
sovrappopolazione.

Il motivo era già presente nei testi giovanili, infatti l'Italia era definita un “Paese
sovrappopolato e sottosviluppato”. Egli però insiste dagli anni Settanta. Osserva la
particolare situazione italiana, territorio povero, sovrappopolato e sottolinea la “scarsità di
risorse”. Il nesso tra spazi, sovrappopolazione e claustrofobia conducono Arbasino ad un
evidente neomalthusianesimo e ad una visione angosciosa, rappresentata dalla metafora del
“formicaio”, del “termitaio” e dell' “alveare”.

CAPITOLO X
Accenni sulla tecnica narrativa e sullo stile del linguaggio sono presenti nel suo volume
d'esordio, ma è nel Ragazzo perduto che è molto più evidente: il redattore delle lettere si
avvale del parlato e della prima persona per accrescere la plausibilità e sostituire il dialogo;
lo stile è ricco di neologismi, calchi e pluristilismo innovativo. Si parla di bulimia
linguistica, attraverso la quale egli ingloba, divora e utilizza tutti i termini che ha a
disposizione.
Vengono utilizzate molte figure retoriche, come ripetizione e accumulazione → consiste nel
mettere insieme una serie di termini in modo ordinato e caotico, senza un percorso logico.
Tende a non utilizzare, o a farlo in modo sarcastico, la lingua adoperata dalla piccola
borghesia e allo stesso tempo critica i vocaboli storici perchè li trova desueti e poveri.

La gulliverizzazione è un altro elemento ossessivo e riguarda l'utilizzo di dimunitivi in


modo costante e frequente. Arbasino rimpicciolisce gli oggetti, li trasforma. I diminutivi
sono presenti ogni volta che il punto di vista sembra quello di un bambino, che la percezione
del reale è magica e non razionale, quando la funzione morfologica si associa a connotazioni
affettive familiari.

CAPITOLO XI
Arbasino ha sempre preso le distanze da Sartre e dagli intellettuali di sinistra in generale,
preferendo il pensiero liberale europeo, non solo per ragioni politiche ma anche perchè a suo
dire “manca di quel dono dell'ironia”.

Egli è avverso alla verosimiglianza e al naturalismo fotografico e documentario, si apre alla


magia e al surreale e lavora molto per compensare con la scrittura i suoi “fantasmi”.
Nella lettera XXXIII l'Anonimo chiarisce l'indicazione di lavoro futuro e scrive che
evocazione dei “mostri”, nelle storie, non significa “raffigurare personaggi spaventosi”,
quanto “idee, concetti, mere illuminazioni”, “quelle cose del subconscio che conosciamo
poco, non le confessiamo neanche a noi stessi e ci fanno paura”.
I mostri di Arbasino non sono altro che fantasmi provocati da un eccesso di ragione (non di
carenza), elementi torbidi della psiche (ne parla in Luglio, Cannes) e rappresentano il
rimorso.
Anche in Povere mete, le allucinazioni del regime notturno rappresentano una fuga dal reale
e un abbandono alla fantasticheria. La fuga e il vagabondaggio permettono l'evasione dalla
monotonia quotidiana e dall'angoscia generazionale. La realtà trasfigurata diventa
meccanismo di difesa dell'angoscia; è intervenuta una frattura insanabile tra passione e
fredda razionalità, che alcuni critici hanno individuato come il nodo fondamentale
dell'universo arbasiniano. I fantasmi non sono altro che scene immaginate dall'inconscio;
negli anni successivi mostri e fantasmi arrivano a coincidere.

La storia è annullata in una temporalità ciclica ove tutto ritorna e la natura umana non muta.
Nulla può essere quindi superato, neppure i traumi e i mostri che si ripresentano identici
anche a distanza di tempo. La società contemporanea è mostruosa e produce mostruosità,
come il conflitto generazionale. Quindi, fugge dai “mostri” del quotidiano e evade nel
meraviglioso.

All'interno del mondo visionario si annidano le fiabe di magia, le quali funzionano come
mondo incantato negli anni formativi di Arbasino. La loro importanza si deduce anche dalla
metafora dell'incanto per le città, come Amsterdam e Venezia. L'insistenza sulle fiabe di
magia e sugli archetipi che si annidano nel mondo favoloso dell'infanzia si instensifica
proprio in concomitanza dell'abbandono del romanzo (e dei personaggi).
Nel 1975 Arbasino collabora ad un volume di fiabe e ne realizza due per la regione
lombarda in cui ricrea ambienti degli anni infantili e adolescenziali. Quel mondo incantato
diventa meraviglioso proprio per esorcizzare mostri e fantasmi. I traumi sono stati spostati
dal reale al visionario e i fantasmi sono neutralizzati.

CAPITOLO XII
Arbasino rifiuta la famiglia come cellula fondamentale della società italiana. Ne consegue
un odio viscerale per il matrimonio e la scelta del celibato (visto come forma di resistenza).
La riflessione perciò si concentra anche sulla famiglia e sui suoi componenti: a volte il padre
è deceduto (Prufrock), a volte è assente (Povere mete, Distesa estate).
La rappresentazione della madre è sempre rancorosa e invade la pagina solo per essere
sbeffeggiata. In sostituzione troviamo frequentemente la parte cattiva della madre (la
matrigna, la Regina).
Fratelli e sorelle hanno scarsa rilevanza: risulta evidente un doppio gemellare fratello-sorella
che rappresenta la fragilità dell'io e la personalità scissa.
Le pagine sono invece invase dalle zie, che si occupano soprattutto della vita affettiva in
Arbasino. Con la casalinga di voghera si riferiva alle sue zie portatrici di buon senso
lombardo, virtù sconosciuta a molti italiani. (riferimento allo stereotipo della popolazione
italiana piccolo-borghese con scarsa istruzione, che fa un lavoro semplice).
La maggior parte dei personaggi giovani ha dei nonni (Giorgio contro Luciano, Prufrock)
che come in La Bella di Lodi, determinano costumi, abitudini e valori. Le nonne come
quella di Roberta, dirigono aziende e sanno padroneggiare i sentimenti.
Anche le figure dell'autorità sono sempre ricordate con fastidio e timore. Quelle scolastiche
in particolare sono identificate con presidi e direttori didattici.
La rappresentazione dei rapporti parentali nel mondo immaginario dello scrittore lombardo
sviluppa ed esaspera la svalorizzazione dell'educazione ricevuta dai personaggi in famiglia.
Costretto continuamente a fare i conti con lo spazio geografico e storico nel quale è nato,
vive metaforicamente il rapporto in modo claustrofobico. Ma si ribella, cerca la rottura e
progetta la fuga. Con il lavoro artistico egli degrada, svaluta i valori assimilati nell'infanzia.

Arbasino rappresenta una tradizione lombarda che rifiuta la lingua toscana, la letteratura
intimistica, lo sguardo regionale e propende per il cosmopolitismo, il pastiche e lo
sperimentalismo stilistico e tematico. Egli elabora una sua tradizione culturale,
periodizzandola soggettivamente e soffermandosi solo su alcune fasi. Preferisce il 500,
rifiuta il 600 controriformista e predilige soprattutto il 700 illuminista.

I personaggi di Arbasino sono tutti lombardi, appartengono ad una classe sociale media e
soffrono della mancanza di denaro. Quando lo hanno, lo sprecano.
Roberto del Ragazzo perduto, ad esempio, attua il sistema di “spendere per spendere, con
ostinata indifferenza”, mentre l'Anonimo, il quale dichiara di non avere “molti soldi”, è
accusato di “avarizia”.

CAPITOLO XIII
Tutti i personaggi di Arbasino soffrono di sedentarietà e hanno il bisogno di muoversi e
viaggiare spesso, visitano paesi, città, mostre d'arte e musei, si spostano frequentemente con
la maggior parte dei mezzi di locomozione, vanno in vacanza per sfuggire dalla monotonia
quotidiana.
“Gita a Chiasso” è un luogo comune, una metafora dell'apprendimento culturale e della
sprovincializzazione. Gli adolescenti progettano viaggi in Italia e all'Estero. Il desiderio di
fuga dalla provincia claustrofobica, la sete di vivere e l'ansia per la novità li spingono al
“vagabondaggio”.
Fratelli d'Italia è ambientato subito dopo la riapertura dell'autostrada del Sole e il testo si
presenta come spazialità del viaggio: dal centro verso sud e poi verso nord.
Il viaggio è generalmente vagabondaggio, pellegrinaggio, è esperienza, prova, esilio, piacere
del distacco; è fuga, desiderio di libertà.

Per Arbasino i viaggi devono essere sempre formativi, non “viaggetti”. Non è tanto
importante viaggiare, ma come e che cosa si guarda, che cosa si porta via da un viaggio. Il
desiderio di fuga dalla miseria italiana è sempre stato investito nelle regioni più lontane e
meno corrotte dalla civiltà occidentale.
Se per Calvino la vita è leggere, per Arbasino la vita è viaggiare. Si sposta e viaggia
frequentemente, scrive di tutto ciò che ha visto e pubblica articoli e servizi culturali che poi
diventano libri di viaggio. Inizialmente si limita a visitare l'Italia e l'Europa,
successivamente gli Usa e infine l'America latina e l'Oriente, medio ed estremo. Compie
anche pellegrinaggi in Grecia e Turchia, evidenziando lo snobismo culturale. L'Oriente
rappresenta un mondo incorrotto in cui si può godere delle bellezze della vita.

I viaggi sono quasi sempre d'estate e durante le vacanze, alcuni da soli altri in compagnia.
Egli conosce bene la tradizione letteraria del viaggio e fa sempre riferimento ai modelli
(Hemingway-Spagna, De Amicis-Olanda, Moravia-Russia, Soldati-Usa, ecc).
Il viaggio si realizza solo con la narrazione, ogni racconto è viaggio.
Arbasino, preda dell'incanto, diventa narratore della mirabilia, del meraviglioso, degli
spectacula naturali e artistici (la percezione è sempre filtrata dalla letteratura e dall'arte).
Il reportage è la forma di scrittura preferita anche di Arbasino viaggiatore. Egli è un
“viaggiatore cosmopolita”, a volte si qualifica come “turista letterario” o “turista culturale”
nonostante odi il turismo di massa.

Arbasino compie un viaggio rele e uno allucinatorio, che diventa visione linguistica.
Egli ricerca il bello naturale, il bello artistico, ma ritrova il kitsch ovunque. Tutto il punto di
vista dello scrittore gira intorno ad un procedimento analogico con gli ambienti domestici e
viaggiare significa tornare implicitamente ai ricordi e a casa.
Il suo mondo quindi, nonostante sembri proiettarsi nelle metamorfosi, è il regno
dell'identico. La percezione si modifica con la velocità, che ha portato alla globalizzazione e
al turismo di massa.
In particolare nel suo atteggiamento ancora legato a Ezensberger e all'idiot du voyage,
emerge tutto il suo odio nei confronti del “turista curioso”. Rifiuta l'ideologia turistica
italiana che visita luoghi per moda, come ad esempio i viaggi in Messico.
Si sofferma sul consumismo, denuncia la colpa del turista che ha corrotto i luoghi con la sua
presenza e ha invaso le basi naturali. Il viaggio è ricerca di incontaminato e disprezzo per il
turista.
I suoi strumenti di percezione sono ben diversi da quelli dei turisti, ma la delusione prende il
sopravvento perchè il fascino è frammentario, non durevole.

I personaggi di Arbasino fuggono dalla miseria culturale attraverso i viaggi, l'autore invece
soffre la claustrofobia ed è continuamente in viaggio alla ricerca di una bellezza che il
quotidiano non offre. Ogni euforia provoca angoscia e ogni ebrezza provoca depressione.
Le contraddizioni diventano quindi evidenti e si notano nella fuga dalla provincia, erranza,
ansia del viaggio, scrittura labirintica, angoscia e rifiuto degli affetti familiari e dei legami
con la gran Madre.

CAPITOLO XIV
Per Arbasino tutto è gia stato. Non si vive, quindi, ma si rivive. Non si scrive, ma si riscrive.
Nulla di nuovo è da vedere, si rivede, essendo già stato visto.
Egli non indaga la storia ma l'antropologia di un paese, non ha alcuna fiducia nella storicità
del reale quindi la sostituisce con l'antropologia fenomenologica.
Il critico lombardo trascura le rotture epocali della contemporaneità e al tempo cronologico
sostituisce quello vissuto: contrapposizione tra storia e antropologia, in cui l'antropologia
annulla le differenze e la natura umana non è soggetta a mutamenti.
Lo scrittore procede per archetipi.
Il tempo, attraverso il viaggio, è annullato a favore dello spazio.
Con la storia sono annullate anche le ideologie. Tutto si ripete in modo ciclico.

La rappresentazione dell'Italia è influenzata negativamente da questa visione destorificata, il


Paese diventa una specie di cimitero. Roma e Milano, che in gioventù avevano avuto una
reputazione buona per Arbasino, diventano poi degradate e brutte. La diversità italiana si è
progressivamente assottigliata, perchè gli spazi e i costumi si sono omologati.
Dall'analisi del Paese emerge anche il fenomeno del trasformismo, percepito come archetipo
di comportamento sociale e politico.
Arbasino inoltre attira l'attenzione sarcastica anche sulle classi sociali della penisola, in
particolare sulla piccola borghesia, che rappresenta l'avversario d combattere in quanto
conglomerato di caratteri riconducibili agli aspetti più scadenti della natura umana.
L'aggravante è che la piccola borghesia rappresenta la cultura di massa, il conformismo.
Il lettore di Arbasino appartiene alla borghesia colta, che in Italia esiste in stratificazioni
esigue, e l'omologazione è conseguenza della prevalenza della piccola borghesia.

L'odio per la borghesia si unisce a quello per la fabbrica, che aveva prodotto folla e quindi
sovrappopolazione. Nel suo mondo immaginario, Arbasino contrappone all'impiego il
lavoro manuale. L'odio per il lavoro alla catena di montaggio e per la società industriale
trascina l'autore a far assumere un valore considerevole all'artigianato.
L'elogio dell'artigianato sembra quasi avvicinare Arbasino alle tematiche contro la
globalizzazione. Anche in questo caso utilizza uno schema antropologico – uno stereotipo –
secondo il quale gli italiani sarebbero inadatti alla società industriale e in possesso soltanto
di “alcune vocazioni, capacità, attitudini – artigianali, agricole, artistiche, turistiche, delle
quali però ci si vergogna e che sono state ripudiate, quando invece sono le sole nostre
vocazioni autentiche”.

EPILOGO
Nel lavoro intellettuale, Arbasino resta ancorato al “vecchio lavoro artigianale” fatto a
mano, aborre dal computer (utilizza ancora la macchina da scrivere elettrica) e dal cellulare.
Ha un orrore indicibile per la tecnologia.
Se non è in viaggio/vagabondaggio, Arbasino vive solitario nel suo interieur che funziona
come rifugio consolatorio dalla nevrosi da stato d'assedio della volgarita italiana, europea e
mondiale.
Va in giro per diletto, è interessato solo alle mostre d'arte, agli spettacoli teatrali e alla
musica. Rifiuta il rapporto instauratosi con la realtà virtuale ed è costro il decostruzionismo
e l'ipertestualità.

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