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10 lezione

POP ART
Idea di affrontare il tema della pop art in un contesto più ampio e di vedere come la pop art porti al
sistema ad un livello più elevato l’idea della realtà rappresentata nell’arte.
Non è un processo nuovo.

La realtà ottica dei preraffaelliti che guardano al medioevo, a un mondo lontano però il modo con
cui il tema viene restituito è molto attento al dettaglio, al particolare, Millet fa una specie di
censimento, di repertorio catalogo-erbaio e il modo con cui questi dettagli sono restituiti è di
iperrealismo.
Quando si parla di realtà inscritta al mondo dell’arte, parliamo di suggestioni, esiti, intenzioni molto
diverse.

Gli spaccapietre di Courbet: nella storia dell’arte, quando si parla di realismo si associa questo
termine a Courbet e al momento in cui alla metà dell’800, grazie alle pressioni sociali ed
economiche che si avvertono nella società, la pittura smette di rappresentare solo la pittura di
storia per rappresentare e fissare sulla tela la realtà concreta.
Altro aspetto che abbiamo iniziato a vedere è il superamento di questa concezione che si afferma a
metà dell’800 per arrivare a non solo rappresentare la realtà ma a prelevare dalla realtà gli oggetti
per inscriverli nel mondo dell’arte. Bisogna dare una valenza semantica a oggetti di tutti i giorni, la
ruota della bicicletta, lo sgabello, lo svuota bottiglie ecc.
In questo senso scardinando la storia dell’arte, non è più il pittore che rappresenta la realtà ma è
una realtà trasferita dalla scelta dell’artista all’interno del mondo di opere d’arte. Non necessita più
la sua riproduzione ma passa per il trasferimento dell’oggetto all’interno del mondo dell’arte con
una scelta che fa l’artista.

Segnano le tappe del mondo e della realtà in cui siamo immersi oggi: la prevalenza della scelta
dell’artista rispetto al cosiddetto sistema dell’arte. La rivoluzione sta nel fatto che laddove fino a
quel momento erano state le accademie, i galleristi, i cronisti ecc. con Duchamp e con il tentativo
che fa di rappresentare e prelevare la realtà e di collocarla all’interno del mondo dell’arte, ci
troviamo di fronte alla figura dell’artista protagonista andando a sostituire quelli che erano i ruoli
che avevano determinato il significato dell’opera d’arte.

Si tratta di un’opera a più mani. Il titolo è “Vivere o morire o la fine tragica di Duchamp”. È un oli su
tela, è una sorta di polittico, costituito da una serie di elementi che rappresentano la morte di
Duchamp.
Da un lato vediamo gli assassini del giallo, dall’altra la scelta di opere cardine di Duchamp,
identificate come le opere principali di quest’artista.
Opera chiamata “il grande vetro”. Titolo in realtà molto complesso e provocatorio.
Il tema è alchemico e viene sviluppato con una serie di vestiti sulle grucce con un meccanismo che
sembra essere un trita cacao che idealmente viene messo in moto e permette l’elevazione di questi
elementi in sovrapposizione. Idea di processo attraverso il quale si supera la materialità per
ascendere a un livello superiore.
L’opera d’arte non è più l’oggetto di Duchamp che ha una sua matericità e concretezza. Ci troviamo
di fronte a un’opera d’arte che utilizza il vetro, non come supporto in cui fare una composizione, in
cui dare un senso di lettura, coprendo tutta la superficie, ma facendone vedere la trasparenza, la
sostanza, permettendo le persone di traguardare all’occhio di passare al di là dell’opera d’arte
stessa. L’opera d’arte dunque non è più l’opera d’arte, quella cosa appesa alla cornice, non è più
l’oggetto di Duchamp che viene messo in alto, appeso ma che ha una sua matericità , ma è
un‘opera quasi “ambientale”, necessita di uno spazio e con lo spazio entra in rapporto di
interazione. Il cambiamento sta nel fatto che obbliga lo spettatore a farsi delle domande. L’artista
non è quello che prende l’oggetto che prende l’oggetto e lo mette nel mondo dell’arte dando il suo
significato ma porta lo spettatore a farsi delle domande senza di fatto dare delle risposte del tutto
personali in maniera oggettiva.

Altro motivo per cui questa opera è importante perché: ci ha messo 8 anni, perché Duchamp inizia
a lavorare a quest’opera, la lascia in laboratorio, poi decide di regalarla alla sua amica Drailer,
quando viene fissato il trasferimento il vetro viene spaccato. Quella confusione, queste righe sono
in realtà i frantumi del vetro che si spacca. Duchamp decide di arrestare l’operazione di
trasferimento, torna in Europa e negli Stati Uniti e decide di non rifare l’opera applicando un
atteggiamento e una modalità di operare tipica del mondo Dada, con l’idea del caso: il caso ha
voluto che l’opera si rompesse e quindi deve rimanere tale, e la polvere a cui allude è la polvere
che si deposita nei diversi anni in cui lui lascia lì l’opera e non interviene e poi quando decide che
così l’opera deve rimanere e quindi fissa la polvere che viene depositata sull’opera d’arte. Anche
qui con l’'idea di fissare quello che il caso ha voluto fare per integrare in un certo censo la sua
opera d’arte.
Quest’opera è talmente cruciale che diventa in un certo senso oggetto di venerazione, dà anche il
suggerimento per un’opera teatrale.
Ognuno di quegli elementi che Duchamp aveva immaginato nel grande vetro, viene riproposto
all’interno di questa rappresentazione di Cunningham che viene diretta da Jasper Johns.
Non solo l’idea di opera d’arte tradizionale è superata, non solo l’opera d’arte supera i propri
confini per includere in un certo senso lo spazio che la circonda, ma addirittura è superata l’idea di
arte in senso tradizionale, cioè altre arti sono coinvolte all’interno della realizzazione dell’opera
d’arte, in particolare l’associazione alla musica, che abbiamo già visto essere uno degli elementi
forse più fortemente innovatori all’interno dell’opera d’arte, giocando un ruolo importante
all’interno dell’Ottocento e inizio Novecento. A questo punto non c’è più differenza tra le arti.
L’artisticità delle persone si può esprimere in ambiti diversi. Idea di multidisciplinarietà ed
esperienze didattiche che si sviluppano negli anni 30-40.
Albers, uno dei protagonisti della Bauhaus europea nel momento in cui si trasferisce negli Stati
Uniti va ad insegnare al Black mountain college. Da questo college passano praticamente tutti,
l’idea della multidisciplinarietà o transdisciplinarietà è un’idea che matura grazie anche a tutta una
serie di esperienze didattiche che si sviluppano già negli anni 30-40 e che creano il terreno fertile
per far germogliare queste nuove istanze.
Permette all’arte e agli artisti americani di abdicare rispetto alla tradizione europea. Per adesso
abbiamo visto sempre le stesse dinamiche, l’artista europeo parte, va negli Stati Uniti e porta con
sé tutto il suo mondo.

Quello che succede tra gli anni 30 e 40 degli Stati Uniti è informarsi di una scuola autoctona che a
volte guarda al mondo europeo ma non più con l’atteggiamento di sudditanza che aveva fatto
prima.

Duchamp che viene trasportato da una serie di artisti che sono degli anni 60. Sono coloro che
seppelliscono Duchamp, e che probabilmente lo hanno ucciso. Possono essere considerati un po’
gi eredi della tradizione di Duchamp, con l’idea di prendere un oggetto dalla realtà e di portarlo nel
mondo dell’arte.
La realtà non è più una realtà naturale, ma è una società del business che nasce e si afferma negli
anni 60 nel Dopoguerra. Siamo abituati ad associare la pop art a Wharol al contesto americano.

Si tratta di un’esposizione dedicata al nuovo modo di abitare, che l’industria e i nuovi meccanismi
messi in atto con la ricostruzione avevano permesso. Si ha la consapevolezza che il modo
tradizionale di abitare non fosse più adeguato e che un rinnovamento dovesse essere proposto.
Questo rinnovamento per tutte le nozioni di arti, c’è tutta una dinamica legata alla grafica, a
interrogativi molto immersiva.

Il tema che lega questa esposizione alla pop art è il catalogo della mostra, sulla copertina viene
rappresentato questo soggetto che viene composto da Richard Hamilton, che realizza un fondo
adottando tutti gli stereotipi della contemporaneità associati in maniera tale da dare un senso di
spaesamento alla scena. Il titolo dell’opera è “che cosa è che fa nelle nostre case di oggi così
diverse, così attraenti? “La risposta che si dà è POP ART.
Dà anche una definizione definendo anche le caratteristiche : “la pop art è: popolare(disegnata per
un audience di massa), transitoria (cioè una soluzione a breve tempo/rapida), espandibile
(facilmente dimenticata), low cost (quindi poco costosa),prodotta in massa, giovane (perché punta
a un linguaggio giovane), sexy, e big business(cioè con questa idea un po’ romantica che tutti noi
abbiamo dell’arte come il luogo in cui l’artista si rifugia ed esprime la propria sensibilità, qui è
totalmente messo da parte, con la consapevolezza di volersi rivolgere a un pubblico non
convenzionale ma il popolo , le masse a cui la nuova società permette di avere una maggiore
disponibilità finanziaria e quindi con la possibilità di interessarsi maggiormente alle cose dell’arte, e
che diventa essa stessa parte del mondo dell’arte. La vera novità della pop art sta nel prelevare la
realtà ma che non è meccanizzata ma sono gli oggetti della produzione di massa che vengono posti
al centro della scena artistica, con un approccio che guarda i vari esempi di arte che nel passato
hanno guardato il paesaggio artistico ma con la novità di indirizzarsi non solo all’élite ma anche a
un pubblico medio che può apprezzare questi oggetti che vengono fatti da questa classe mediane
con cui questa classe media si trova ad abitare.
Gli Stati uniti acquisiscono il primato rispetto alla pop art, per la dimensione di produzione di
massa che gli stati uniti hanno per l’impossibilità di pescare a un passato molto antico.

Una delle figure più emblematiche è la figura di Andy Wharol. Wharol disegna le vignette per
alcune delle più importanti riviste che promuovono la moda negli Stati Uniti negli anni 50 e 60.
La sua attenzione è spesso indirizzata alle calze, alle scarpe, con una declinazione che guarda un
po’ più al modello della storia, al mondo medievale, in particolare le calze sembrano i calzari che si
vedono in alcuni dipinti della tarda epoca medievale del rinascimento, le carte, che rimangono qui
a un mondo immaginario, con, un impaginato e una composizione che attraggono subito
l’attenzione del pubblico.
Warhol proviene da studi di tipo artistico ma da subito caratterizza il suo approccio come
transdisciplinare, interessato a ogni forma di espressione di arte. Quello che lui punta è andare nel
mondo delle gallerie ma non avendo un book consolidato, non avendo un repertorio da poter
offrire, la porta che gli dà l’accesso all’arte è quella della moda. La cosa interessante del suo
approccio è che oltre a tradurre la sua creatività nella grafica e ad un certo punto gli viene chiesto
di allestire alcune vetrine.

In particolare una delle più famose rispetto all’approccio più artistico della carriera di Wharol è la
vetrina di Bonwit Teller del Department store americano del 1961 che accoglie una serie di
manichini con i loro vestiti ma soprattutto accoglie una serie di opere che vengono realizzate da
Wharol stesso e che già ci dicono in un contesto diverso, nuovo, un mondo da cui Wharol pesca,
quale il mondo dei fumetti.
C’è un mondo che si guarda che è legato alla chirurgia estetica, si capisce che il mondo a cui allude
Wharol è il mondo della riproduzione di massa, si esprime attraverso il fumetto e attività e
interventi nuovi mai espressi precedentemente. Nella sua opera quindi questo è uno dei suoi punti
più importanti, con l’introduzione di produzione di massa all’interno di opere d’arte.
Altra esposizione cardine per la sua carriera è quella che fa nella Stable Gallery nel 1964, solo 3
anni dopo. Nel frattempo, ci sono altre mostre che lui tiene a Los Angeles, a New York; dunque, ha
modo di farsi conoscere però quest’esposizione risulta essere particolarmente importante perché è
totalmente straniante, non si tratta più di una gallerie con i quadri appesi, ma le persone che
entrano all’interno della galleria non capiscono dove si trovano, se si trovano in una galleria d’arte
o in un supermercato, perché le cose attorno le quali si ritrovano sono le riproduzioni di Levrli
robot, delle scatole dei Cornflakes, dei ketchup, tutti quegli oggetti che si ritrovano al
supermercato. A differenza di Duchamp, Wharol non si limita a portare un oggetto dalla realtà e a
portarlo nel mondo dell’arte, ma quello che lui porta nel mondo dell’arte è la riproduzione
dell’oggetto della realtà nelle stesse dimensioni, con la stessa forma, con gli stessi design ma poi
con dei materiali diversi.

L’arte che ripropone degli oggetti di consumo sul territorio americano riproponendone la loro
riproduzione. Vi ricordo che lui stesso con appunto le famose Campbell’Soup Cans aveva affrontato
lo stesso tema appunto affiancando un numero spesso diverso parte da 30, poi arrivano a 70 poi
arrivano a 100 queste riproduzioni ma insomma già lui aveva proposto questa dinamica. In realtà
prima di lui negli anni 50 Jasper Johns era approdato a un’idea simile e cioè questa: prendere delle
lattine di birra e farne oggetto dell’arte e riprodurle nella materia più preziosa dell’artista, con il
bronzo.
Questa operazione non è molto distante da quella che viene fatta da Roden ,o comunque ei grandi
scultori del passato avevano fatto, cioè viene fatta una fusione attraverso cui vengono ottenute due
lattine esattamente uguali nella dimensione, nella forma, e anche nell’etichetta che viene appunto
incollata a quelle che si trovano in commercio. Vengono inoltre collocate su una specie di
basamento quasi a sottolinearne il loro valore artistico, riproponendo la tematica del prelevare un
oggetto, di riprodurlo e di farne un’opera d’arte. Questo è un punto di non ritorno per la storia
dell’arte. Si parla addirittura di “morte dell’arte”, nel senso che è uno snodo cruciale, un punto di
non ritorno, se tutto dunque può essere arte, in fondo nulla è arte.
In realtà la riflessione che faceva era più ampia e molto più articolata e legata al fatto che
probabilmente i media tradizionali avevano raggiunto il loro punto di arrivo; quindi, è una morte
dell’arte che però è stata superata dalle nuove tecniche e dalle nuove dinamiche. Basta pensare ai
video, al digitale, sono tutte sperimentazioni che negli anni 60-70 si fanno, non proponendo
dinamiche come quelle a cui siamo arrivati oggi ma con degli approcci del tutto simili.
Wharol è un po’ il rappresentante di questo mondo non solo perché si appropria di oggetti e li
ripropone nel mondo dell’arte ma perché ha una visione che supera i confini delle manifestazioni
artistiche e riguarda un po’ tutta la quotidianità.

Questa è il laboratorio all’interno della quale gira film, produce opere d’arte, incontra gli amici, ma
già anche il nome che lui associa a questo luogo “la fabbrica “rimanda direttamente a quella
produzione industriale, a quei prodotti di massa che diventano i protagonisti della sua arte.

In questo contesto si possono inserire i Velvet Underground, gruppo musicale degli anni 60, di cui
disegna uno degli album. C’è una completa fusione da parte di Warhol del suo fare arte e del suo
essere artista. Diventa lui stesso un’icona, un’opera d’arte.
Dipinge una BMW a proporre l’idea che anche una superficie di un’auto può essere plasmata come
delle tele. “Amo quella macchina e alla fine è risultata essere meglio dell’opera d’arte.”

Capiamo come l’ida di arte possa essere applicata a vari contesti: i colori che vengono usati, il
modo meno convenzionale con cui il design inizi ad essere proposto nel dopo guerra, pesca molto
nell’immaginario più disimpegnato di affrontare l’arte.
Divano Marshmallow: fatto di metallo tubolare nero.

Per vedere come l’idea dia arte superi i confini della tela, vediamo alcune opere di Claes
Oldenburg, che prende degli oggetti di tutti. I giorni e li fa in scala gigante.
Ago e filo di Cadorna sono anche di Claes Oldenburg.
È il presente che si fa storia.
Su quetso tema si diffonde anche Wharol, con un filmato del 1982: è importante perché apre delle
prospettive che lì per lì sembrano delle stupidaggini, ma è vero che vengono inaugurati dei trend.
All’interno del mondo della storia dell’arte, tutta una serie di artisti americani frequentano la
factory di Warhol e vivono di questa cultura che si forma a partire dagli anni 60 del 900.

Tra gli artisti rappresentanti al “funerale di Duchamp” c’era anche Arman, apparentemente
francese due mondi diversi; invece, nel 1062 sempre a New York si svolge una esposizione che si
intitola “i nuovi realisti “: si tratta di un’ esposizione che coniuga realismi diversi: c’è la
consapevolezza che l’arte informale sia superata, che la realtà sia tornata nel mondo dell’arte e che
diversi modi di vedere la realtà siano stati espressi in diversi modi dell’oceano.

Uno dei personaggi che prende gli oggetti dalla realtà e li porta nel mondo dell’arte, ma con una
valenza quasi di rovina, quasi di spazzatura, e quindi ne vede forse gli aspetti più deleteri è Arman

Mostra che si tiene nel 1960, a Parigi, in una galleria privata, e si intitola “il Pieno”. Forse non si
riesce tanto a vedere ma il pieno è dato da tutta questa serie di oggetti che vengono immessi
all’interno della galleria e che vengono messi in maniera tale che non si riesce nemmeno a entrare
nella galleria, al pieno si allude in questo modo in una maniera molto divertente e molto ironica
con il catalogo che viene proposto all’interno di una scatola di sardine, stretti proprio come una
sardina, con la stessa idea che permea l’idea di questa mostra che Arman mette in campo negli
anni 60.
Questo per dire di come su fronti diversi ma in anni molto simili si inizino a guardare le cose e a
riproporle all’interno dell’opera d’arte traducendoli in modi anche molto diversi in maniera
autonoma e in maniera indipendente.
Il momento in cui queste correnti si incontrano solo le esposizioni e quella più importante ai fini
della cultura Europea è invece una esposizione biennale che si svolge a Venezia nel 1974. È la
prima volta che a Venezia vince un Leone d’oro un artista americano, BOB RAUSCHENBERG che
vince il premio riconoscendogli le novità che lui propone all’interno della sua arte che sono queste
grandi tele in cui vengono composte alcune delle figure in cui si trovano all’interno della cultura di
Wharol e che vanno a popolare il padiglione degli Stati Uniti all’interno della biennale. La cultura di
Rauschenberg portata in Italia e in Europa in generale contribuisce al rinnovamento della cultura
locale, non tanto per le opere su tela come queste ma per altre opere come queste:

Lui le definisce combining: cioè opere che risultano dalla combinazione di più elementi, il perché
queste opere sono importanti è perché anche queste rappresentano il superamento della
tradizionale idea di arte, quindi l’opera e i soggetti sono distribuiti in pratica su due tele autonome,
indipendenti, distaccate, ma che sono legate da una serie di elementi nella fattispecie c’è una
corda che è fissata su una tela che traguarda lo spazio tra le due tele, passa attraverso questo
perno e trattiene questo peso che viene rappresentato dall’altra parte. Supera l’interstizio, lo
spazio vuoto e in un certo senso con questo tipo di arte esplicita e rappresenta quello che appunto
è per lui l’opera d’arte.
“La pittura si riferisce sia all’arte sia alla vita, nessuna delle due può essere fatta, io cerco di
lavorare e agire nello spazio vuoto tra le due.”
C’è quindi l’idea di superamento di quelli che sono i confini tradizionali dell’arte, non tanto come
soggetto rappresentato ma come modalità di restituzione del soggetto stesso. Spesso applica ,
come nel suo famosissimo letto precedente , il lenzuolo, il cuscino, aggiungendo altri elementi al
suo fare arte supera quelli che sono i confini tradizionali.

È questo il modo con cui la pop art arriva in Europa, non è probabilmente un caso il fatto che alcuni
dei nuovi artisti della nuova generazione di artisti italiani si formino su questa idea, per esempio
Emilio Vedova, andando a realizzare una serie di opere che stanno nello spazio. Non si appendono
più alla parete, sono costituite da una serie di elementi che però non sono su unico piano, ma si
collocano all’interno dello spazio in maniera del tutto analoga a quella che Rauschenberg aveva
proposto con le sue combine.

A quetso tipo di composizione Vedova dà il nome di Plurimi, evocando l’idea di una pluralità e lui
stesso ci dice che cosa sono. “i Plurimi non sono né scultura né pittura ridotta all’oggetto: sono
pittura strutturalmente nuova, condotta su molti piani, con molte eventualità di visione”. Argan con
questa affermazione ci spiega il superamento dell’idea dell’opera d’arte, in termini di tecnica, di
media, di supporto ma anche in termini di pluralità di visione. Il punto di vista che viene proposto
non è più unico, non è una visione frontale, ma per poterla apprezzare, per poterla comprendere
bisogna ruotare intorno all’opera d’arte, vederne tutti gli interstizi, vederne le modalità con cui si
compone, e quindi guardando ai risultati a cui la cultura americana era approdata e proponendo
una vera svolta nell’arte anche in Italia. Vedendo queste opere di Vedova, non sembrano
particolarmente innovative, non sembrano particolarmente nuove ma in realtà dobbiamo pensare
che siamo negli anni 60, l’Italia si apre al nuovo (la pittura e l’arte italiana si apre al nuovo, solo
dopo la Seconda guerra mondiale)

La fortuna del design italiano. Il caso Sottsass


Parliamo del periodo compreso tra la fine degli anni 60 e degli anni 80 del 900. In questi anni, i
confini fra le arti diventano sempre più labili, e ci sono dei momenti in cui aspetti della vita e della
produzione che normalmente sono considerate all’interno di un determinato ambito, sconfinano e
vanno ad impegnarsi in ambiti diversi. È il caso di quello che avviene alla fine degli anni 60.
Nell’anno emblematico, ovvero il 1968, dove alla triennale di Milano viene presentata una
triennale con un tema forte che riguarda il design che va a superare il confine dell’arte.

Tema ancora maggiormente sottolineato in questa mostra che si tiene al Moma nel 1972 che si
intitola “Italy: The New Domestic Landscape”. Curata da Emilio Ambasz pone al centro del castello
dell’arte contemporanea il Moma, la produzione di design italiano, ponendosi da una prospettiva
critica che esce da quello che è la considerazione del design fino a quel momento, ovvero quella di
un prodotto fatto per un uso, quindi un prodotto che va ad arredare degli ambienti, che trasforma
la casa, la trasforma nel segno della bellezza. Quetso è il panorama della produzione del design
fino agli anni 60. Con questa mostra del 72 si va ad indagare in una prospettiva del design sotto un
profilo più sociologico. Può il prodotto essere vincolato ad una rappresentazione esclusivamente di
tipo funzionale? Questo prodotto che negli anni del dopoguerra è diventato un elemento di Status
Symbol, andando ad aumentare quelle caratteristiche che hanno reso il prodotto di design come
qualcosa di ricercato perché brandizzato creando di fatto una parte di produzione che si allontana
completamente da quella che è un apprezzamento universale ma diventa un prodotto di Élite, un
qualcosa che ha a che fare con il mercato del lusso. In un momento di profonda contestazione di
quello che era stato il processo di espansione dell’economia mondiale, a seguito del dopoguerra,
viene a diffondersi una contestazione che rimette le persone al centro della discussione e mette in
discussione questa suddivisione della società in una società opulenta che è in grado di farsi
rappresentare da quello che desidera nelle arti, nei viaggi e nell’arredamento, è invece una società
lasciata allo sbando, quella delle persone comuni. Quindi questo impegno sociale diventa rivolta in
tutti i settori dell’esistenza umana, e anche nel design trova un suo spazio.
Nel catalogo, quando Ambasz scrive come è il design italiano di quegli anni, usa queste parole
“leggere pag. 278 di progetto della bellezza”
In quetso contesto vediamo che il design non prende integralmente un’unica direzione ma …questi
tre livelli di produzione che in parte sono anche agevolati dall’utilizzo di nuovi materiali.

Sull’aspetto di nuove forme e di oggetti che in qualche modo possano anche portare di una
svitizzazione dell’oggetto di design che diventa anche un oggetto quasi ludico, divertente, troviamo
ad esempio prodotti come questo, del 67. Cesare Leonardi e Franca Stagi fanno questa sedia a
dondolo che utilizza del materiale (vetroresina) nuovo che si presta alla creazione di nuovi prodotti
di design. O la poltrona di Cini Boeri, Bobolungo, che invece utilizza il poliuretano espanso e altri
materiali provenienti dalla sinesi degli idrocarburi, nella creazione di un oggetto che è un oggetto
di arredo, ma è anche divertente e del tutto moderno.

Ci sono poi dei designer che si occupano di realizzare degli oggetti maggiormente radicali. Marco
Zanuso ad esempio, con la sua Springtime armchair, del 66, è una poltrona totalmente componibile
e scomponibile, fatta di elementi che possono essere sostituiti in parte o massicciamente che in
qualche modo ripropongono un nuovo orizzonte dell’arredamento.
Sottsass invece comincia a ragionare e lavorare sul tema della fuoriuscita del design dallo stretto
ambito della produzione del prodotto e di metterla invece in relazione con un discorso più ampio.
“il design può dire qualcosa al di là dell’aspetto estetico e al di là dell’aspetto funzionale?”
Sottas è un architteto formatosi al Politecnico di Torino, ha avuto il suo studio a Milano, è stato
immediatamente coinvolto in importanti produzioni di design e architettura, ha un periodo
piuttosto lungo di vita passato a New York dove per altro è in contatto con il mondo di artisti e
letterati attive nella ricerca di nuove forme di linguaggio per il presente, con qualcosa che stacchi in
maniera radicale dal passato e che possa mettersi in una prospettiva del futuro. Le sue produzioni
di design sono influenzate da questa idea. Sottsass comincia a lavorare alla fine degli anni 30, al
suo primo studio del 38-39, ma nel dopoguerra la partecipazione a diverse mostre negli anni
immediatamente post bellici sono in linea con le tendenze del design di quegli anni , ma alla fine
degli anni 60 è pronto per rivoluzionare le forme del linguaggio e del design

Ci sono altri artisti che entrano in contatto con il mondo del design. A Milano forse l’artista più
significativo di questo gruppo è Nanda Vigo, che si è formata in accademia lavorando di fianco a
Lucio Fontana, che ha molti più anni. Decide di concentrare la sua produzione sulla luce, suo
strumento d’arte, realizzando opere artistiche tout court , e altre opere che sono in dialogo con la
creazione di spazi e ambienti. Quindi le sue opere diventano protagoniste di operazione di design
degli interni, con aspetti legati all’illuminotecnica.
Nanda Vigo, dunque, è decisamente tra goi artisti che meglio intreccia questa nuova corrente che
mette insieme designer e artisti in una produzione molto intrecciata.

L’espressione più importante di questo periodo che vuole scardinare il design tradizionale è
certamente l’esperienza di Contro design e Design radicale . Si tratta di un caso dove una nuova
onda del nuovo design non parte da Milano ma da Firenze . A Firenze gruppi di designer si mettono
a lavorare assieme, in particolare spinti da un produttore fiorentino particolarmente interesato alla
produzione di prodotti nuovi innovativi e con nuovi materiali. Controdesign e design radicale sono
gruppi di designer che assieme tentano di rivoluzionare il linguaggio del design e uscendo
dall’ottica del design come forma di funzione e arredo propongono oggetti che hanno un aspetto
che si avvicina molto al prodotto dell’arte.

In questa avventura che riguarda il design radicale, archizoom è tra i protagonisti, così come anche
alcuni designer che sono tutt’ora attivi. A fianco a questi artisti l’opera di Michele de Lucchi si
affaccia all’opera di questi.
La seduta perde non solo l’aspetto formale della seduta composta, ma si propone come un oggetto
che metteremmo in altri posti, mal si adattano al contesto del salotto, della camera, la casa
attraverso questi oggetti viene rivoluzionata. Hanno funzioni per un vivere contemporaneo, che
cerca di liberarsi e di svincolarsi da tutto quello che è la convenzione sociale.
Il lavoro di archizoom è un lavoro che indaga moltissimo sulla produzione dell’oggetto e
sull’inserimento del progetto in una vita all’interno di spazi abitativi che sono totalmente stravolti,
dove le stesse funzioni delle stanze possono essere cambiate.

La superonda è fatta di gommapiuma, ed è quindi soffice, morbida, il corpo si adagia sulla poltrona
che non si presta a fare sedute. Uno dei prodotti più noti nelle produzioni di questi anni è la
poltrona sacco.
Si tratta dunque di un approccio nuovo, non solo dell’arredo ma proprio del vivere.
Negli anni 70 c’è grandissima sperimentazione sui materiali plastici. Molti di questi essendo
materiali più sperimentali non sono adatti a una longevità del materiale, oggi un grandissimo
problema per i luoghi della conservazione dei prodotti di design, in particolare questi degli anni 60-
70 è il fatto che questi materiali si decompongono e si sbriciolano.

Sottsass diventa uno degli architetti prediletti da poltronova e produce diversi oggetti. Decide di
elaborare e di far studiare alcune proposte per alcuni materiali nuovi utilizzati negli inizi degli anni
70, che è la formica. È un materiale plastico molto resistente, anche piuttosto conveniente,
utilizzato per i rivestimenti dei mobili, anche negli arredi più semplici che consente anche un
utilizzo di materiale povero di grande diffusione. Essendo la formica un materiale molto duro che
può essere decorato in tutti modi, viene fissato su dei piani che non sono più di legno massello o
legno vero ma è un legno che viene riconvertito attraverso quetso processo che crea materiali
compensati. Poltronova decide di fare una sperimentazione su quello e questa collezione è una
capsule di mobili che vengono commissionati a Sottsass con l’idea di prendere dei mobili di uso
comune e di trasformarli attraverso l’innovazione della tecnica, utilizzando materiali innovativi.
A Milano c’è un bel fermento artistico. La figura più emblematica di questo fenomeno è Gae
Aulenti che apre alla fine degli anni 60 uno spazio, Centro Fly, che è uno spazio espositivo per la
vendita di prodotti di design. Attorno a Gae Aulenti vengono venduti oggetti appartenenti a questo
mondo del design radicale.

Sottsass realizza anche un ‘idea di arredo particolarmente interessante. Siamo nel 1970. Realizza
un prototipo “mobili grigi “: sono degli elementi di arredo che, a parte lo specchio, rimangono
prototipi elaborando un interno con degli elementi di arredo che sono di fatto un’opera d’arte. La
caratteristica di questi mobili grigi è quella di inserire all’interno di un elemento di arredo un segno
umano, lo stesso specchio riconduce ad una capigliatura mossa, c’è un tavolo con una mano che
sporge, ci sono dunque una serie elementi che simulano quasi l’uomo che utilizzando questi arredi
lasciasse le impronte, segnando questo connubio fra il mobile e il fatto di essere vissuto.
Vediamo come il designer opera in quetso caso non con l’idea di creare un prodotto che dovesse
essere diffuso e commercializzato in massa, ma qualcosa che porti a ragionare sull’idea di un
prodotto umano, di arredo che possa raccontare qualcosa che diventa arte.

Bitossi lo incarica della realizzazione di alcune ceramiche che sono una via di mezzo tra l’oggetto
decorativo e l’oggetto funzionale. Non si tratta di servizi da tavola ma di vasi. Sottsass crea questi
oggetti, alcuni di questi puramente decorativi.
Alla fine degli anni 70, nel 77, l’avventura di archizoom e di tutto il design radicale va attenuandosi
e spegnendosi. Quetso perché ognuno di questi designer artisti ha intrapreso un suo percorso. Una
volta stabilito il principio, la ripetizione di questo principio diventerebbe stucchevole, negli anni 80
il desiderio di lasciarsi alle spalle un periodo di lotta, faticoso, è qualcosa di molto sentito.
L’esperienza di Sottsass si sposta verso un nuovo orizzonte, che è quello del GRUPPO MEMPHIS .
Negli anni 80 di questa produzione degli anni 70 si salva l’idea dell’oggetto di design come oggetto
ludico, come oggetto nel quale il designer può abbandonare un po’ tutte le rigidità e le fatiche
dovute al doversi impegnare nel realizzare un oggetto funzionale e invece può lasciare libera la sua
fantasia nella realizzazione di un oggetto nuovo. Quello che si perde del design radicale è invece
l’impegno di creare degli oggetti che stravolgono la società, che vadano ad incidere sull’impatto
sociale dell’arredo.
In particolare, vengono creati oggetti con una idea rinnovata che si impongono per il loro valore
prettamente estetico. In questa serie si vanno ad inserire parte dei lavori che vengono realizzati da
Sottass tra gli anni 80- 90 e di un gruppo di artisti e designer che sono intorno a lui.

Libreria presente in tutti i musei del design, l’oggetto non perde la propria funzione ma il design si
sbizzarrisce nelle forme e nei colori.
Gli anni 80 sono caratterizzati da questo trend internazionale che parte dagli stati uniti dell’idea
della realizzazione personale, del cosiddetto edonismo reganiano che attraversa tutti gli anni 80,
con quel segno della ricerca del bello, della ricerca di una brandizzazione di status symbol.

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