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Walter Benjamin (1892 - 1940), L’opera d’arte
nell’epoca della sua riproducibilità tecnica,
tradizionalmente escluse.
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Marcel Duchamp (1887 – 1968) - con i suoi ready-mades ha sovvertito gli schemi tradizionali
con i quali ci si accostava alle opere d’arte: l’arte si riduce al semplice gesto dell’artista che può
non fare altro che prendere un oggetto, anche il più comune, caricarlo di artisticità e metterlo
in una galleria d’arte. L’arte è ridotta ai minimi termini: solo il fatto di esporre un oggetto lo
rende “opera” e ciò accade perché essendo esposto in una galleria d’arte, quell’oggetto non ha
più il suo valore ma acquista quello di opera d’arte. E’ l’artista a designarlo, a dire questa è arte.
“Una nuova idea per un nuovo oggetto” sosteneva Duchamp: non esiste un’essenza dell’arte,
un insieme di qualità comuni a tutte le arti belle, nessuna proprietà è esclusiva dell’arte. La
differenza tra un oggetto e lo stesso come un’opera d’arte sta nel fatto che l’artista l’abbia
scelto come depositario dell’artisticità: la sua promozione sul piano artistico, il suo inserimento
nel campo delle arti, avviene semplicemente in base ad un gesto, ad una dichiarazione.
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Così come l’arte moderna sfugge ormai ad una definizione rigorosa, anche l’estetica sottostà
alla stessa sorte. Meglio parlare di estetiche, di discipline e di ricerche specialistiche differenti.
Non vi è più oggi la netta distinzione tra arte (come espressione libera soggettiva) e scienza
(come conoscenza esatta oggettiva) che vi era stata fino al secolo scorso. Un’opera come quella
di James Joyce o di Marcel Proust, un quadro di Leonardo o di Piero della Francesca insegnano
indubbiamente qualcosa; mentre anche nel campo della matematica, per esempio, lo stesso
Einstein parlava di Bellezza e di Estetica di un modello scientifico piuttosto che un altro.
Come sostiene il filosofo moderno Ludwig Wittgenstein si può parlare di oggetti d’arte non
più come di una classe ben precisa di oggetti, ma come di una famiglia dove esistono solo vaghe
somiglianza che collegano gli oggetti tra di loro.
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Si tratta di una riproduzione fotografica della Gioconda di Leonardo da Vinci alla quale sono stati aggiunti
provocatoriamente dei baffi e un pizzetto. Il titolo è sostanzialmente un gioco di parole, infatti le lettere
L.H.O.O.Q. pronunciate in francese danno origine alla frase Elle a chaud au cul ([el aʃ o o ky]),
letteralmente "Lei ha caldo al culo", che significa "Lei è molto eccitata". Può essere letto anche come la
parola inglese "look" (guarda). Come nel caso di altri ready-made, Duchamp ne ha realizzato diverse
versioni, tra le quali anche L.H.O.O.Q. Shaved del 1965 nella quale appare la Gioconda senza baffi e la
scritta in francese "rasée L.H.O.O.Q.".
L'opera può essere considerata un manifesto contro il conformismo. Dissacrando uno dei miti artistici più
consolidati, Duchamp non intende negare l'arte di Leonardo ma onorarla, a modo suo, mettendo in
ridicolo gli estimatori superficiali e ignoranti che apprezzano la Gioconda solo perché tutti dicono che è
bella, conformandosi acriticamente così al gusto della maggioranza delle persone. 6/6