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Beppe Fenoglio – La Malora

Introduzione e cura di Gabriele Pedullà

1. Un singolare romanzo storico.

Nella maggior parte dei casi i vocaboli usati nel libro sono sconosciuti per il classico lettore contemporaneo.

es: - GERLA: cestino costruito intrecciando vimini e generalmente utilizzato per portare il cibo
- MASTELLO: botte con due doghe sporgenti che, grazie all’aiuto di un bastone, permettono di
trasportare facilmente il contenuto in due
- SARACCO: sega con una sola impugnatura e la forma trapezoidale.
 Pedullà parla di civiltà contadina: civiltà che in gran parte dell’Occidente si è chiusa negli anni 60 del
secolo scorso con l’inurbamento di massa e la modernizzazione delle campagne. Alcuni degli elementi che
accomunano le diverse civiltà contadine sono: il tempo ciclico (che ha il sopravvento sul tempo lineare), le
giornate coincidono con le ore di luce e le incombenze sono scandite dal succedersi delle stagioni; la
precarietà delle condizioni, per cui il minimo imprevisto può innescare un ciclo negativo, per cui nemmeno
chi gode di un relativo benessere può considerarsi davvero al sicuro; la stanzialità; la contrapposizione col
mondo urbano, al tempo stesso seducente e spaventoso.
Solo negli ultimi due secoli, con l’emergere della prosa realistica e del romanzo, la vita della gente dei campi
ha iniziato a diventare oggetto d’interesse tra gli scrittori. La svolta decisiva si produce però con l’avvento
del naturalismo, tra gli anni 70 e gli anni 80 dell’800. Romanzieri come Emile Zola e novellieri come Guy de
Maupassant cominciarono a presentare per la prima volta la vita campestre in tutte le sue indicibili
asprezze. Dopo la stagione del naturalismo la narrativa contadina non scomparve in Europa ma a poco a
poco si assestò nella celebrazione dei caratteri regionali assumendo via via tratti sempre più stereotipati.
Una terza ondata creativa avviene tra l’inizio degli anni 30 e gli anni 50, in parallelo con un’intensificazione
del processo di trasformazione delle campagne già da tempo in atto; si è parlato a proposito di romanzi
della crisi contadina. In Italia alcune opere di maggior risonanza in quest’ambito sono: Fontamara di Ignazio
Silone, Paesi tuoi di Cesare Pavese. Rispetto alle due ondate precedenti, romanzi tanto diversi appaiono
accomunati dalla centralità che assegnano all’irruzione della modernità nelle campagne e al conseguente
stravolgimento di equilibri che sino a quel momento tutti avevano ritenuto immodificabili. Un’eccezione
nella letteratura contadina di questi anni è La Malora.
 La malora viene pubblicato da Einaudi ne “I Gettoni” di Elio Vittorini nell’estate del 1954, in coda alla
stagione di fermenti del dopoguerra. i libro presenta dei tratti assolutamente peculiari che bastano a
distinguere in maniera assai netta il suo romanzo da quelli dei narratori della generazione precedente. A
differenza dei suoi predecessori Fenoglio non mostra alcun interesse per la grande trasformazione allora in
corso nelle campagne italiane. Il suo non è, e non vuole essere, un ennesimo romanzo della crisi contadina,
e per scongiurare qualsiasi contaminazione con l’attualità politica, l’azione viene anticipata di circa mezzo
secolo, a monte dei cambiamenti (sociali, tecnologici, antropologici) che da qualche anno si stavano
facendo sentire con sempre maggior forza. Ambientata addirittura prima della nascita di Fenoglio, La
malora si annuncia come un oggetto letterario assai singolare: un romanzo storico che trasporta il lettore
indietro nel passato, in un momento ben preciso dell’Italia del primo novecento, ma con l’obiettivo di
mettere meglio a fuoco un mondo rurale apparentemente senza tempo, dove, nel racconto del giovane
“servente” Agostino, i succedersi sempre uguale delle stagioni e la piccola cronaca familiare e paesana
hanno la meglio sui grandi eventi pubblici del periodo. un paradossale romanzo storico senza la storia. Si
tratta di una scelta assai decisiva, ma che all’uscita del romanzo fu segnalata solo da due lettori, Paolo
Spirano e Piero Gadda Conti, mentre gli altri critici non diedero alcun peso alla cosa.
Come mai questa scelta? Si può escludere con sicurezza che Fenoglio non avvertisse quanto stava
succedendo attorno a lui, conviene invece pensare che probabilmente è stata proprio la conoscenza di
prima mano delle campagne del suo tempo a spingere l’autore ad ambientare nel passato La malora. Gli
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eventi dell’ultimo mezzo secolo avevano trasformato lo stile di vita dei piccoli paesini attorno ad Alba, fino a
mettere in discussione gli stessi caratteri fondamentali della civiltà contadina: la ciclicità, la scarsità dei beni
materiali, il senso di precarietà, l’impossibilità di mutare la propria condizione. Le Langhe dove Fenoglio
aveva fatto il partigiano tra il gennaio 1944 e l’aprile 1945 erano già profondamente cambiate rispetto a
questo mondo primigenio. Per recuperarlo allora non rimaneva che tornare col racconto indietro nel
tempo: prima del trauma della prima guerra mondiale, prima della macchinizzazione delle campagne, prima
delle automobili, prima dell’elettricità. Solo in questo modo, voltando le spalle al presente, era possibile
attingere ancora a una sorta di civiltà contadina in purezza.

2. Oltre il neoverismo.

La pubblicazione de La malora segna un vero e proprio punto di svolta nella vita di Fenoglio. Il diario da lui
tenuto dopo la sua uscita registra ripetutamente la certezza del proprio fallimento come scrittore:
dall’acuta sofferenza di quei mesi prende forma il progetto di riscossa dei successivi romanzi partigiani e in
particolare di quello che per comodità si può definire Il ciclo di Johnny: Primavera di bellezza (1959) e Il
partigiano Johnny (1968), inizialmente concepiti come una sola opera in due volumi da mandare il libreria a
un anno di distanza l’uno dall’altro. Motivo principale della crisi fu la quarta di copertina agrodolce firmata
dal direttore della stessa collana in cui il romanzo venne pubblicato, Elio Vittorini. Vittorini parla di un
timore legato ai giovani scrittori “dal piglio moderno e dalla lingua facile”; il timore che appena non trattino
più cose sperimentate personalmente, essi corrano il rischio di ritrovarsi al punto in cui erano verso la fine
dell’800 i provinciali del naturalismo, con gli spaccati e le storie di vita che raccontavano senza però saper
farne simbolo di una storia universale.
Raccontando la difficile vita delle Langhe contadine, Fenoglio pareva essersi incamminato anche lui per la
stessa strada percorsa tempo priva da Giovanni Verga.
La questione del rapporto de La malora con la tradizione del naturalismo era emersa già negli scambi
epistolari tra i redattori dell’Einaudi, con Calvino che, pur lodando il manoscritto, aveva rimproverato a
Fenoglio di essere rimasto nel giro del naturalismo, e Vittorini. Al momento di comporre La malora,
Fenoglio aveva ben presente la lezione del verismo italiano e in particolare di Verga. In quegli anni I
Malavoglia entravano in ogni discorso sulla letteratura e sul cinema e lui stesso in una lettera a Calvino,
aveva ammesso di aver avuto una cotta neoverista. In effetti diversi episodi de La malora richiamano alla
memoria, per analogia o per differenza, i romanzi o le novelle più celebri del grande scrittore siciliano: la
crisi innescata dalla decisione del padre di Agostino di non contrarre debiti per acquistare la censa non può
non far pensare a I Malavoglia, dove all’origine della rovina della famiglia c’è il prestito stipulato per avviare
il commercio di lupini. Il traviamento di Stefano durante il servizio militare rievoca quello di ‘Ntoni; nella
sua ossessione per i soldi Tobia ha sicuramente qualcosa di Mastro don Gesualdo; la boccetta di profumo
che Agostino offre a Fede ricorda il fazzoletto che Janu regala a Nedda nella novella a lei intitolata.
Tematicamente, quindi, le assonanze non mancano. Dal pov delle tecniche narrative Fenoglio si rivela assai
lontano da Verga. Lo si verifica su tre ambiti specifici: il punto di vista, la lingua e la struttura del racconto.

1. IL PUNTO DI VISTA.

Prima persona: i naturalisti francesi e i veristi italiani raccontano quasi sempre alla terza persona,
evitandola confessione soggettiva di un personaggio implicato negli eventi per far balenare semmai i giudizi
dei singoli o della collettività attraverso il discorso indiretto libero. Ne La malora, invece, Fenoglio assegna il
compito di narrare la storia allo stesso protagonista, così da rivelare ai lettori non solo un mondo poco
conosciuto (le Langhe), ma la particolarissima visione che di quel mondo hanno coloro che vi sono nati e vi
abitano. Fenoglio da voce a un giovane servente delle sue Langhe completamente sordo alla bellezza di una
natura che gli si manifesta solo nei suoi aspetti materiali, come gli effetti del tempo sul raccolto o i segni
premonitori di una buona o di una cattiva annata, mentre si commuove (nell’unica epifania di tutto il
romanzo), davanti alla rivelazione della maestà di Alba. Non è strano che quindi proprio la presunta

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freddezza de La malora fu uno dei suoi difetti principali. Fenoglio viene così accusato di essere rimasto
prigioniero di un positivismo impietoso e di non aver saputo approfondire le ragioni segrete che muovono i
personaggi. Il gusto letterario degli anni 50 evidentemente faticava ad accettare la radicalità fenogliana e
trattava come un limite di empatia, e dunque come una carenza letteraria, l’assenza degli indennizzi lirici ai
quali Verga aveva abituato i suoi lettori. Nel romanzo di Fenoglio la vita delle langhe è filtrata interamente
dall’occhio e dalla voce di un solo personaggio, che solo in parte comprende quello che succede a lui e ai
suoi cari e che per raccontare le loro sventure non sa che appellarsi a una generica “malora”. Come nota
Calvino non è privo di importanza che questa voce arrivi dal punto più basso della scala sociale.
Agostino viene quasi subito strappato all’intimità dei rapporti familiari e gettato in un ambiente ostile: già
dopo qualche pagina è solo, e il racconto trascura gli altri Braida, per mettere a fuoco la sua eccezionale
capacità di resistere alle avversità senza farsi piegare dagli eventi o modificare la propria indole. Agostino è
a tutti gli effetti una prefigurazione di Johnny, che nella parte conclusiva del ciclo a lui dedicato rimarrò a
presidiare fino alla fine la collina che gli è stata assegnata. Da questo punto di vista viene il sospetto che
entrambi i personaggi, trasfigurazioni di un’identica lotta per affermare la dignità umana, siano nati da un
unico parto gemellare nel terribile inverno del 1944, quando Fenoglio, invece di cercare riparo in città,
decide di attendere la ripresa primaverile delle operazioni alla Cascina della langa.
Per quanto la cattiva sorte si accanisca contro l’intera famiglia Braida, è principalmente di Agostino e della
sua capacità di sopportazione che parla il romanzo. La morte del padre, la partenza del fratello Stefano, la
malattia del fratello Emilio, l’imminente scomparsa della madre, la perdita del poco che ancora rimane del
podere dell’infanzia servono a mettere in luce il suo carattere, e così la fine improvvisa lancinante del breve
idillio con Fede. Ogni disgrazia serva a fare risalto alla caparbia forza di volontà del protagonista, ma la
stessa funzione spetta anche ai due personaggi che, assieme a Fede, sono chiamati a vivacizzare la seconda
parte, dopo il ritorno di Agostino dal funerale. Mario Bernasca incarna la rivolta di chi, piuttosto che
rassegnarsi a vivere di stenti, preferisce mollare gli ormeggi e lanciarsi nell’oceano dell’esistenza sfinando i
pericoli e gli imprevisti; egli vorrebbe che Agostino si unisse a lui: scelta che però priverebbe la madre e il
fratello del sostegno economico che ricevono dai Rabino per il suo lavoro, per questo Agostino rifiuta. C’è
poi Costantino: il contadino più prossimo al Pavaglione, che un giorno si arrende alla maledizione della sua
famiglia e, proprio come aveva fatto il fratello 20 anni prima, mette a tacere i propri fantasmi impiccandosi
a un albero. Per quanto diverse siano le loro fughe, è evidente che i due servono a indicare ad Agostino
delle comode vie d’uscita della “malora”.
La malora è quindi la storia di Agostino, che seguiamo in tutti i suoi spostamenti. Nel libro viene adoperato
per la prima volta un procedimento che tornerà anche in Una questione privata (1963). Qui Fenoglio pedina
per tutto il romanzo il protagonista Milton ma nel penultimo capitolo lo abbandona improvvisamente per
poche pagine in modo da seguire le conseguenze impreviste del tentativo di liberare il suo amico Giorgio e
a tal fine introduce due nuovi personaggi, le staffette adolescenti Riccio e Bellini. Inserendo questo episodio
Fenoglio intende stabilire una precisa analogia tra le situazioni, pur diversissime, in cui si trovano i vari
personaggi della storia: Giorgio, che attende l’esecuzione in una prigione fascista; il sergente, freddato da
Milton con un colpo alle spalle mentre cercava di fuggire; Riccio e Bellini, giustiziati nonostante la loro
giovane età; Milton, che nell’ultimo capitolo cadrà inseguito dai fascisti all’inizio di un bosco dove le piante
sembrano fare “muro” davanti a lui. Per quanto animato da una passione privata, il protagonista dell’ultimo
romanzo di Fenoglio viene a incarnare così una condizione più generale, comune a tutti coloro con i quali
incrocia il cammino: quella del condannato a morte in attesa che venga attuata la sua sentenza.
Anche ne La malora Fenoglio usa i personaggi minori per confermare la validità esemplare della storia del
protagonista, ma lo fa aprendo improvvisamente uno squarcio sui loro pensieri più intimi. Agostino si trova
a sorprendere un dialogo e due monologhi di figure chiave del racconto; la scoperta delle vita intima degli
altri personaggi obbliga a riconsiderare almeno in parte i giudizi su di loro.
1- la prima di queste scene, ovvero la conversazione tra Toba e il figlio Jano, svela il motivo delle ristrettezze
in cui il padre costringe a vivere la sua famiglia, ed è l’unica davvero essenziale ai fini dell’intreccio, perché

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Agostino scopre che i loro risparmi serviranno a comprare un piccolo terreno per affrancarsi dalla
condizione di mezzadro.
2. La frase di rimpiatto per la figlia morta ancora bambina che Agostino sente pronunciare alla madre
mentre prepara il formaggio fermentato.
Le due confessioni, quella di Tobia e quella della madre, allargano la prospettiva della voce narrante e si
rivelano decisive per l’interpretazione del romanzo. Nel caso del monologo di Tobia ci troviamo con un
personaggio che sino a questo punto ha incarnato la figura dell’aguzzino, ma che tutto a un tratto svela dei
movimenti insospettati, che affondano le loro radici nella sua infanzia di orfano e fanno balenare una luce
di inattesa umanità: pure lui è una vittima. E questo basta a trasformarlo istantaneamente da antagonista in
compagno di sventura di Agostino.
Ne La malora non ci sono buoni o cattivi, perché persino coloro che si attirano l’antipatia dei lettori non
appena vengono osservati in un contesto meno angusto appaiono altrettanto vulnerabili alla sopraffazione
dei più forti.
L’ultimo svelamento de La malora sorprende il lettore nella scena conclusiva e, forse anche per questo,
riveste la massima importanza per il senso della storia. Questa volta Agostino si trova a spirare per caso la
madre: una presenza costante nell’intero racconto ma come tutti gli altri personaggi poco incline alle
espansioni sentimentali e quasi sempre muta. Ignorando di essere osservata dal figlio, anche lei si mette a
nudo, dando sfogo all’angoscia con cui ha sempre seguito le tribolazioni dei suoi cari. È sulle sue parole che
il romanzo si chiude.

2. IL DIALETTO

Una delle principali conseguenze della scelta di far raccontare la storia direttamente al suo protagonista
riguarda la lingua. Agostino è un giovane contadino che verosimilmente non è andato molto oltre il triennio
delle elementari previsto dalla legge Coppino del 1877. Questo assunto di partenza comporta però per
Fenoglio una serie di sfide stilistiche non trascurabili: come rendere verosimile la parlata di Agostino in
modo che non suoni falsa senza però mimare un gergo incomprensibile ai non piemontesi? Se Fenoglio
avesse raccontato alla terza persona e usato il discorso diretto libero, come fa Verga, il problema nemmeno
si porrebbe.
La maggior parte dei narratori neorealisti degli anni 40-50 si era rassegnata a far parlare i personaggi di
estrazione popolare in un italiano standard, appena sporcato con qualche pennellata di dialetto per
aggiungere ai dialoghi un tocco di realismo. Fenoglio invece imbocca la strada più difficile, accogliendo in
abbondanza vocaboli ed espressioni piemontesi ma non rinunciando a rivolgersi a un pubblico più ampio.
Questa scelta divenne altro oggetto di critica dai suoi commentatori, i quali sostenevano che in La malora
Fenoglio si era spinto troppo in là sulla strada dell’infrazione linguistica. Ai lettori La malora suonava come
un romanzo in dialetto. L’adozione della prima persona singolare porta con sé, inevitabilmente, uno
slittamento verso le parlate regionali.
La malora si allontana da Verga non solo per quello che Fenoglio fa (ammettendo le forme dialettali), ma
anche per quello che Fenoglio sceglie di non fare. Fenoglio fa un grande uso di anacoluti e raddoppiamenti
pronominali, mentre trascura le tecniche di oralizzazione più frequenti in Verga, come il CHE POLIVALENTE
in funzione di connettivo generico chiamato a svolgere funzioni diverse o come l’apertura di un paragrafo
con un’avversativa come “ma”, “però”, “invece” o “anzi”, o come la ripetizione, all’inizio di u paragrafo,
della parola o di una parte di frase con cui si è concluso il paragrafo precedente.

3. ANALESSI

I romanzieri naturalisti prediligono le narrazioni lineari, dove i flash-back, sono ridotti al minimo e hanno
unicamente la funzione di illustrare qualche antefatto utile alla comprensione della storia. La malora è uno
dei libri dalla struttura temporale più complessa di tutto il 900 italiano. Il romanzo si apre con il racconto
della morte del padre di Agostino, due anni prima; recupera gli antecedenti più significativi nella vita della

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famiglia Braida, si dilunga sul primo anno trascorso dal protagonista al Pavaglione e, dopo una lunga
partentesi sulle circostanze che un quarto di secolo prima avevano portato i suoi genitori a sposarsi, chiude
la parte iniziale tornando al punto di partenza, con la descrizione del funerale e l’amarezza di Agostino,
costretto dagli eventi a riprendere la posizione di servente.
La seconda parte segue le successive esperienze di Agostino fino al suo definitivo ritorno a casa, quasi due
anni dopo, quando ormai da adulto si guarda indietro per mettere ordine retrospettivamente nella
sequenza ininterrotta di sventure che ha flagellato lui e i suoi cari. Per narrare gli stessi eventi, Fenoglio
aveva a disposizione almeno due soluzioni assai più lineari. Poteva raccontare la storia in ordine
cronologico, dagli avvenimenti più antichi a i più recenti seguendo la fabula. Oppure poteva ripercorrere i
fatti dalla fine, con un unico flash-back dal momento in cui Agostino torna definitivamente a casa e tutto ad
un tratto misura la gravità della rovina che nei tre anni precedenti si è abbattuta sulla sua famiglia. La
malora comincia invece in medias res, scegliendo come punto di partenza un evento particolarmente
dirompente che per primo segna il culmine delle disgrazie dei Braida (la morte del padre), e da qui muove
ancora all’indietro per svelare gli antecedenti di questa crisi e poi, nella seconda parte, portare avanti il
flash back fino al presente del racconto, ma con lo sguardo già proiettato verso il futuro, verso le nuove
sventure che incombono sul protagonista (la morte del fratello Emilio e della madre, la definitiva perdita
del podere).
Cesare Segre ha descritto il sistema dei tempi della Malora senza interpretarlo, evitando di chiedersi che
cosa può aver spino Fenoglio ad adottare una struttura così elaborata, quando c’erano molti modi più
semplici di raccontare la stessa storia. La volontà di dare al libro un inizio memorabile deve aver giocato un
ruolo importante in questa scelta. La morte del padre non è però solo un evento di straordinaria forza
simbolica, anche importante è il fatto che il funerale incapsuli, ad anello, tutta la prima parte de La malora.
Superata la Grande Crisi, la storia riparte in una sorta di nuovo inizio messo in risalto della cesura
tipografica: da questo momento tutto è di nuovo possibile e il lettore almeno in un paio di occasioni è
portato ad attendersi che le cose evolvano in meglio. Già la comparsa nella scena di Mario Bernasca sembra
promettere un cambio di direzione nella trama, poi l’incontro con Fede e la scoperta di essere amato da lei
hanno l’effetto di portare un imprevisto barlume di luce nel racconto. Pure questo sogno è destinato però
ad infrangersi, lasciando il protagonista nella disperazione più nera. Ma Agostino ancora non si da per vinto,
e quando il fratello Stefano entra a servizio presso i parenti ricchi e lui viene richiamato a casa, una nuova
speranza si accende: forse il podere potrebbe riessere salvato. Alla fine però anche qua le speranze di
rimettere in sesto il patrimonio di famiglia si infrangono davanti alla scoperta della malattia di Emilio.
È qui che Fenoglio ha mirato sin dall’inizio a condurre il lettore con le sue analessi. Iniziando e chiudendo la
prima metà del romanzo con la morte del padre, ha generato la falsa aspettativa di un miglioramento delle
condizioni dei Braida, mentre a poco a poco chi legge deve riconoscere che la cesura non annuncia alcuna
remissione per Agostino e per la sua famiglia, tanto che nell’ultima pagina si proietta addirittura oltre i
confini del racconto, nell’immediato futuro di orfano di Agostino.
Fenoglio ha quindi deliberatamente costruito il racconto per ingannare i suoi lettori, giocando con le loro
aspettative e spingendoli a confidare in un miglioramento che non si realizzerà mai, così da rendere ancora
più dolorosa la conclusione della Malora.
 Come è giunto Fenoglio a concepire un impianto tanto complesso? Fenoglio era un grande appassionato
di cinema hollywoodiano, e proprio gli anni 40 sono caratterizzati dal dilagare dei flash back nei crime
drama del periodo che oggi sono conosciuti con il nome di film noir. A partire dal 1945 le pellicole
americane si erano riversate nelle sale tutte assieme, rivelando agli italiani una cinematografia assai diversa
da quella del decennio precedente, più cupa sia per il contrasto del b/w, sia per le trame e i personaggi. Nel
caso dei noir la scelta degli sceneggiatori e dei registi di raccontare la storia dalla fine, quando il corso degli
eventi non può più essere corretto e al protagonista non rimane che da pagare per i propri errori, si
giustifica con il pessimismo caratteristico di queste tragedie urbane, dove un’oscura fatalità incombe quasi
sempre sulle esistenze dei protagonisti.

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Inoltre, gli storici del cinema generalmente riconducono la moda del flash-back nel cinema degli anni 40 al
successo dell’adattamento di Cime tempestose girato da William Wyler nel 1939; l’indicazione possiede un
valore particolare per Fenoglio, dato che il romanzo di Emily Bronte era stato fin dalla sua adolescenza uno
dei suoi libri preferiti e che il giovane scrittore aveva pure provato ad adattare per il teatro.
Anni dopo il triangolo amoroso attorno al quale ruota il romanzo della Bronte rivivrà in Una questione
privata nella competizione di Giorgio e Milton per il cuore di Fulvia, tuttavia, questo potrebbe non essere
l’unico spunto che Fenoglio ha tratto dalla scrittrice inglese. Raccontare al passato, come il cinema può fare
solo attraverso i flash-back, significa presentare una storia come irrimediabilmente conclusa e non più
suscettibile di sviluppi. Fenoglio sembra aver appreso proprio questo potere dell’analessi di rendere ancora
più irrevocabili gli errori; dalla fatalità “la malora” non si sfugge: ogni miglioramento è destinato a rivelarsi
solo illusorio.

3. L’epos della civiltà contadina.

La narrativa moderna è condannata al realismo, l’apologo morale, politico o esistenziale, quando c’è, è
quasi sempre nascosto sotto un guscio naturalistico che lo protegge dai lettori più distratti.
Fenoglio si dimostra bravissimo a cogliere e riprodurre la superficie delle cose: ha orecchio per le diverse
cadenze, italiane e dialettali; riconosce a colpo d’occhio i dettagli che si imprimono nella memoria, possiede
uno straordinario senso del ritmo e dell’affabulazione, con cui trasforma persino le descrizioni e le
divagazioni in racconto; è in grado di sbozzare la psicologia di un personaggio con pochi tocchi velocissimi.
Se nessun altro narratore della Resistenza ha saputo quanto lui trasmettere ai lettori delle generazioni
successive l’impressione di vedere con i propri occhi la lotta partigiana, il successo di Fenoglio è
riconducibile anzitutto a queste rare virtù di osservazione e di scrittura.
La malora non fa eccezione e offre un’immagine estremamente credibile dalla società langarola di inizio
900. Al vertice ci sono coloro che sono riusciti a liberarsi del lavoro della terra con una serie di professioni
più redditizie e meno gravose, come gli zii del protagonista, con la loro censa, o come il farmacista, che
affida i suoi poderi a mezzadri come Tobia. Vengono poi i contadini padroni dei propri terreni, sempre
minacciati dall’impoverimento a causa delle dimensioni limitate dei loro appezzamenti. Sotto di loro i
mezzadri (costretti a versare al padrone il 60% dei loro raccolti). Più in basso i braccianti, assoldati per
coltivare una proprietà agricola altrui in cambio dell’alloggio e di un modesto salario (in piemontese =
schiavenza). Poi i mietitori stagionali, precari ma in grado di farsi pagare bene i mesi di lavoro estivo e
autunnale. Infine i giovani servitori, ceduti dalla famiglia a qualche contadino benestante e bisognoso di
qualche braccia in più. Il dramma della Malora si precisa così come la storia di una famiglia prossima al
punto più alto della gerarchia e a un passo dal fare il salto verso la condizione privilegiata per eccellenza,
quella del commerciante, e che invece, per una serie di errori e di coincidenze sfortunate, si trova a poco a
poco a scivolare verso i gradini più bassi della scala sociale.
A Fenoglio sta a cuore raccontare una storia senza tempo, dove sia possibile riconoscere niente meno che
la condizione umana. Fenoglio trascende il dato puramente realistico per attingere piuttosto agli archetipi
stessi del racconto. Non è affatto un indizio trascurabile che in un progetto di sceneggiatura di argomento
langarolo risalente al 1960 Fenoglio si riferisca ai due protagonisti come a Caino e ad Abele, prova che ciò
che lo ha sempre interessato nella vita delle campagne piemontesi è l’inesauribile potenziale mitico dei
conflitti elementari, dove l’amore viene a intrecciarsi con l’odio in una miscela pericolosissima.
Proprio come avviene nei suoi tesi sulla Resistenza, nei suoi racconti contadini, la fame e la povertà
svolgono la funzione di assolutizzare i conflitti e di portare a nudo il carattere degli uomini.
Il Fenoglio de La malora non è un verista attardato ma uno scrittore metafisico, nel quale non c’è dettaglio
significativo che non venga immediatamente trasfigurato in simbolo, a cominciare dalle precipitazioni
atmosferiche, come nell’inizio del romanzo.

Negli ultimi anni si è diffusa la tendenza a leggere La malora in chiave strettamente cristiana, nella quale
Agostino rappresenterebbe la mansuetudine degli ultimi davanti alla prove cui il signore non manca mai di
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sottoporre i suoi cari. Ma è davvero così? Sin dall’adolescenza Fenoglio si era allontanato dalla fede nella
quale lo avevano cresciuto i genitori al punto di optare per un matrimonio civile, ma era rimasto
personalmente legato a diversi uomini di chiesa e la grande poesia e la grande prosa inglese dei 600, dal
Paradise Lost di John Milton al Piligrim’s Progress di John Bunyan, avevano precocemente stimolato in lui
l’interesse letterario per la Bibbia. È possibile quindi che all’origine de La malora Fenoglio ponesse quella
stessa cacciata dal Giardino dell’Eden che pochi anni dopo gli avrebbe offerto lo spunto per Una questione
privata, dove il paradiso perduto del partigiano Milton è l’amata Fulvia.
La Bibbia è presentata da Fenoglio, assieme all’epica greca e romana, come un grande classico, ma non più
di questo. Nel corso degli anni si è sempre più cercato un significato altro ne La malora, in questo senso
anche il nome di Fede, non sarebbe solo un diminutivo di Federica, ma indicherebbe la virtù teologale cara
ad Agostino.
Ne La malora sono presenti una serie di corrispondenze tra certe scene del romanzo e alcuni episodi del
Vecchio e del Nuovo testamento: dal pagamento dei sette marenghi all’anno come compenso per il lavoro
di Tobia al Pavaglione (equivalenti ai 30 denari ricevuti da Giuda per tradire Gesu?) alle pagnotte che Emilio
addenta al primo manifestarsi della tisi che lo condurrà alla morte (un riferimento al pane servito da Cristo
nel corso dell’ultima cena?). tutti questi esempi non dipendono dal fatto che Fenoglio abbia deciso di
riscrivere degli episodi della Bibbia, ma dalla sua volontà di fare delle Langhe arcaiche (cioè precedenti alla
grande modernizzazione novecentesca) e, in altre opere, delle Langhe partigiane il teatro di una vicenda
senza tempo: dove persino certi gesti banali si caricano all’improvviso di una forza epica che normalmente
non possiederebbero.
Lungo questa strada era quasi inevitabile che Fenoglio incontrasse Omero e la Bibbia e che, nella loro
essenzialità senza tempo, guardasse ad entrambi come modelli. Leggendo i due tesi Fenoglio ha affinato la
propria sensibilità per tutto ciò che, nel mondo non ancora raggiunto dalla modernità, univa tra loro le
generazioni, proiettando sull’esperienza individuale di ognuno quella di tutti colore che lo avevano
preceduto o che lo avrebbero seguito. i ritmi sempre uguali della natura, il legame alla terra degli antenati,
il lavoro e la fatica, il rispetto per i prodotti della terra, i vincoli fondamentali della famiglia.. di questo
parlano i racconti di Fenoglio, ma di questo parlano anche i poemi epici e la Bibbia, perché affondano tutti
le radici in una stessa civiltà contadina.
Cautele simili sono necessarie anche nel Libro grosso dedicato da Fenoglio alle avventure resistenziali del
suo alter ego Johnny, dove le allusioni a un altro grande classico della letteratura occidentale, l’Eneide, sono
assai più esplicite, a cominciare dall’organizzazione del romanzo in due parti distinte, incentrate sui viaggi e
sulla guerra dell’eroe alla maniera dei primi e dei secondi sei libri del poema virgiliano. Nel caso de La
malora, con la storia della cacciata dall’Eden, il Genesi offre l’impalcatura fondamentale del racconto senza
che per questo la vicenda di Agostino possa essere ricondotta a un nucleo forte di credenze religiose più di
Una questione privata, che al medesimo mito della caduta di Adamo si richiama esplicitamente attraverso il
soprannome di Milton e le allusioni al Paradise Lost.

Un romanzo storico per risalire a un tempo senza storia. Una tranche de vie naturalista che, invece di
aspirare all’impersonalità, prova a ricercare un mondo perduto dal suo interno, soggettivamente, attraverso
la lingua zoppicante di un semicolto impacciato dal dialetto e dove il racconto prende forma in una
sequenza di analessi vertiginose, in modo da proiettare sull’intera vicenda un destino di rovina impossibile
da contraddire.

Nota cronologica:

1885-89: fidanzamento e matrimonio di Giovanni Braida e Melina Biestro.


1886-1890: Nascita di Stefano
1891-1895: nascita di Agostino
1906-1910: Partenza di Stefano per il servizio militare
1908-1912: Ritorno di Stefano dal servizio militare (dopo 21 mesi di assenza) + partenza di Agostino per il
7
pavaglione.
1909-1913: Morte di Giovanni
1911-1915: Partenza per la leva di Jano Rabino (figlio maggiore di Tobia) + definitivo ritorno di Agostino a
casa (dopo quasi tre anni trascorsi come servente) e 5 mesi più tardi stesura del manoscritto

La strada e i paracarri di Paolo di Paolo ??? hahaha

È soprattutto in Una questione privata che la pioggia detta i tempi della storia, tocca i corpi e li trasforma:
mesi di pioggia possono cambiare il colore dei capelli; Fenoglio descrive tutte le gradazioni del piovere:
pioggia minutissima, furiosa. Non è mai pioggia felice. Nell’incipit de La malora piove sulla tomba del padre.
Incipit che, in due righe, contiene l’intero romanzo: il destino famigliare dei Braida ha la spietatezza di
questa pioggia.
La malora racconta una storia di povertà, di servitù vissuta come una condanna da scontare secoli per
secoli. L’orizzonte non si rischiara nemmeno nel finale. Agostino alla fine del romanzo sente pregare la
madre, ma Dio è lontano, tanto che gli uomini lo bestemmiano con un furore cieco. È un’Italia contadina
senza mito e senza riscatto, con la sfortuna in favore.
Dentro questo tempo che rimane uguale, Agostino racconta la propria storia in prima persona: la voce che
Fenoglio gli presta è il più possibile scabra. Serve a non separare realtà e racconto. La voce di Agostino
funziona come una voce qualunque, raccolta per caso.
Dopo la pubblicazione de La malora, nell’agosto del 1954, Fenoglio rimprovera se stesso perché si sente
uno scrittore di quart’ordine, cos’ nelle pagine di Diario si definisce. Vittorini gli critica il suo aver
abbandonato la materia partigiana delle sue prime prove, investendo invece su una materia non
direttamente autobiografica, ricostruita con artificio. Disturba Vittorini anche la cadenza delle frasi, la
simulazione del parlato regionale, la lingua facile, con la sua sintassi imprecisa e il suo lessico sporcato da
inserti dialettali.

Beppe Fenoglio – Una questione privata

Introduzione e cura di Gabriele Pedullà

1. La prima edizione.

Rivenuto tra le carte di Fenoglio da Lorenzo Mondo, Una questione privata è stato pubblicato per la prima
volta nella primavera del 1963 presso le edizioni Garzanti, pochi mesi dopo la sua morte, in coda a una
raccolta di racconti assemblata a partire da un progetto parzialmente riconducibile allo stesso Fenoglio. La
quarta di copertina, non firmata, venne redatta da Pietro Citati.
Accanto ai racconti viene pubblicato anche questo romanzo inedito. Si tratta di una storia
ambientata nella Resistenza. Fenoglio ne ha realizzate anche altre molto belle, ma in questo romanzo,
quella parte della vita partigiana che cade sotto l’osservazione dello scrittore non è che un acre,
movimentato pretesto per sviluppare una vicenda amorosa, il dramma di due amici, uno dei quali tenta
disperatamente di salvare la vita all’altro, che solo può dirgli la verità sulla donna amata.
Un giorno di fuoco, così il titolo complessivo del volume, partecipa al Premio Strega e qualche mese dopo a
Fenoglio verrà assegnato il Premio Puccini Senigallia e già nell’autunno dello stesso anno il libro avrà una
seconda edizione per il rapido esaurirsi della prima tiratura.

2. La stesura del romanzo.

A quanto possiamo intuire dai materiali preparatori sopravvissuti, Una questione privata è il frutto di tre
stesure consecutive abbastanza ravvicinate nel tempo, anche se nel romanzo rivive un gran numero di
esperienze precedenti – dall’intreccio di opere teatrali di gioventù ad alcuni spunti dei primi anni 50.
Per la datazione del romanzo disponiamo solo delle testimonianze epistolari dello stesso Fenolgio, che
vanno comunque adoperate con prudenza perché risalgono a uno dei periodi più intricati dalla sua vita
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editoriale. Fenoglio oscilla tra Garzanti e l’Einaudi e, nell’incertezza, ha firmato un contratto con tutti e due
gli editori scatenando una contesa legale che avrebbe avuto il risultato di impedire la pubblicazione del
libro durante la sua vita. In queste lettere Fenoglio mente ai suoi interlocutori, e vengono concepite
dall’autore innanzitutto per prendere tempo e tenere buoni Livio Garzanti e Italo Calvino.
Dopo il soggetto inviato a Giulio Questi nel gennaio del 1960, che ricalca la trama del disegno originario di
Una questione privata, il primo riferimento al nuovo libro di trova in una lettera a Gina Lagorio del 7 marzo
1960, in cui Fenoglio dichiara di aver scritto 3 capitoli su 20 previsti. Il giorno successivo, scrivendo a Livio
Garzanti, le proporzioni sono già cambiate: Fenoglio afferma di aver composto un terzo del libro ma si dice
ancora lontano dalla conclusione. La testimonianza successiva si trova in una lettera del 1 luglio 1960 a
Calvino, che sta cercando in ogni modo di ricomporre i rapporti con Fenoglio dopo la disastrosa quarta di
copertina di Vittorini a La malora. Ma Fenoglio è ancora incerto sul da farsi e preferisce presentarsi a
Calvino come inattivo da 6 mesi, cosa che invece noi sappiamo non corrispondente alla verità. Poi un
silenzio epistolare che dura esattamente un anno quando, rispondendo a una lettera di Bertolucci, che gli
propone di riunire (da Garzanti) tutte le sue prose brevi, Fenoglio scrive che ha scritto il libro, l’ha riscritto e
poiché ancora non lo soddisfa lo riscriverà integralmente. L’ultima testimonianza epistolare su Una
questione privata risale al 16 dicembre 1961, quando, scrivendo a Livio Garzanti, Fenoglio si dice ancora
insoddisfatto del volume.
Le uniche certezze sui tempi di lavorazione di Una questione privata sono:
1. Nel marzo del 1960 sta scrivendo il romanzo
2. Nel novembre dello stesso anno ci sta rimettendo le mani
3. Alla fine del 1961 si dichiara insoddisfatto del risultato.
 allo stato attuale non ci sono prove che dopo la fine del 1960 Fenoglio abbia ulteriormente riscritto Una
questione privata, anche se questo non può essere escluso.

3. I testimoni manoscritti.

Di Una questione privata sono sopravvissuti i dattiloscritti della prima e della seconda stesura, pubblicati nel
secondo volume dell’edizione delle Opere diretta da Maria Corti. È andato perduto invece il dattiloscritto
della terza e ultima stesura, servito per comporre il testo dell’edizione garzantiana del 1963.
L’assenza del manoscritto originale appare particolarmente importante soprattutto per la questione del
titolo. Nel carteggio con Garzanti Fenoglio propone come titolo “Lontano dietro le nuvole” o “Far behind
the clouds”, frase tratta da Over the Raimbow, canzone scelta come accompagnamento dell’amore del
protagonista. Il titolo Una questione privata potrebbe o figurare nel dattiloscritto perduto oppure potrebbe
trattarsi di un titolo redazionale, imposto al momento della pubblicazione postuma da qualche
collaboratore della Garzanti.
Studiando le stesure a noi arrivate possiamo comprendere diverse informazioni sulla pratica riscrittoria di
Fenoglio, come il triangolo amoroso Milton-Fulvia-Giorgio che nasce solo con la seconda redazione del
romanzo.

4. Il finale.

La pubblicazione postuma di Una questione privata ha posto agli studiosi una serie di problemi filologici, il
più grave di questi riguarda la conclusione del libro, ovvero la necessità di stabilire se il romanzo vada
considerato finito o se invece attendesse una continuazione. Inizialmente tutti i lettori vi hanno scorto
un’opera conclusa, destinata a terminare con la corsa affannosa di Milton e il suo cadere al margine
estremo del bosco.
A presentare Una questione privata come un romanzo incompiuto è stata per prima Maria Corti, tesi
sostenuta anche da Antonietta Grignani. Oggi quasi nessuno studioso accetta più questa ricostruzione, la

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tesi della corti si basava principalmente sul reperimento di una serie di appunti dove si allude alla
liberazione di Giorgio; successivamente si è scoperto che appartengono tutti al primissimo disegno.

5. Il dibattito critico più recente.

Disponiamo di due monografie espressamente dedicata a Una questione privata: La strada più lunga di
Pedullà e La biblioteca inglese di Beppe Fenoglio di Orsetta Innocenti.
La strada più lunga intende offrire una lettura integrale del romanzo di Fenoglio: dall’analisi della
strategia indiretta di seduzione perseguita da Milton alla ricostruzione del percorso che i libri e le canzoni
che lui traduce e regala a Fulvia vengono a tracciare per lei. La biblioteca inglese di Beppe Fenoglio invece si
sofferma soprattutto sui modelli letterari (principalmente anglosassoni) dello scrittore piemontese e
sull’uso che ne viene fatto all’interno del romanzo.

6. Qualche informazione storica.

Unpa: Unione Nazionale Protezione Antiaerea, nelle cui file tutti i giovani erano obbligati a prestare servizio
a rotazione. Ad essi, assieme ai capi palazzo, spettava il compito di portare il primo soccorso ai civili e di
spegnere gli incendi nel caso di un bombardamento da parte degli alleati.

Altra introduzione a Una questione privata.

È difficile trovare, nella letteratura italiana degli ultimi 100 anni, un romanzo in cui amore e guerra,
giovinezza e morte si intrecciano in modo così magico. È anche interessante la quantità di suggestioni che
saltano agli oggi man mano che ci allontaniamo al periodo storico in cui fu scritto.
Nel flash-back iniziale Milton ricorda le sue giornate con Fulvia; sono pagine mirabili, in cui le tappe di un
certo tipo di innamoramento trovano ognuna la sua ideale collocazione narrativa. La virile timidezza di
Milton e lo splendore di Fulvia, la cupezza romantica di lui e la crudele vitalità di lei, una sonante
incompatibilità.
Con ammirevole onestà, ma al tempo stesso in modo tardivo per una società letteraria che trascurò
Fenoglio, Italo Calvino affermò che Una questione privata era il libro che tutti i romanzieri della sua
generazione avevano sognato di scrivere. Una questione privata esplora diversi temi con una profondità
che di rado raggiunsero libri di argomento analogo usciti in quegli anni. è un romanzo che restituisce alla
Resistenza il suo più alto significato civile anche perché si svincola dalle retoriche resistenziali.
Calvino evoca giustamente Ariosto. L’eroe di Fenoglio prende il suo nome dal John Milton del Paradise
Lost. Alcuni movimenti del romanzo di Fenoglio sono ariosteschi, ma non solo sul piano della scenogradia o
della tensione. Quando una fitta nebbia cala sul drappello di cui fa parte Giorgio, facendo si che venga
catturato senza che nessuno se ne accorga, Fenoglio usa i fenomeni atmosferici come Shakespeare quando
evoca le streghe.
Dove sta il bene e dove il male è chiaro: il male è il nazifascismo, ma chi lotta per il bene (i ragazzi come
Milton e Giorgio) è investito di un ruolo epico ma al tempo stesso soffre l’inconveniente di essere mortale,
dunque è anche incerto, smarrito, spaventato, in cerca di se stesso. Combattere la guerra tocca ai ragazzi,
ed è un privilegio per loro misurare in questo modo il proprio valore, tanto che, quando la guerra sarà
finita, quei ragazzi diventati adulti avranno una nostalgia tremenda: nessuna sindrome da stress post
traumatico per loro, al contrario la difficoltà di adattarsi a un modo che all’improvviso appare scialbo,
frivolo, come dimostra la vicenda di Ettore ne La paga del sabato, il romanzo in cui Fenoglio racconta
l’immediato dopoguerra.

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