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MAX WEBER

1. Cenni biografici
Max Weber nasce a Erfurt, in Turingia, nell’aprile del 1864, in una famiglia protestante che conta industriali
del tessile, alti funzionari del Reich ed universitari. Max fu il primo di sette figli, fra cui si ricorda anche il
fratello Alfred, di quattro anni più giovane, anch'egli sociologo ma soprattutto economista. La famiglia stimolò
intellettualmente i giovani Weber fin dalla più tenera età.
Suo padre è nella carriera politica, e Weber frequenta, fin da dalla più giovane età, politici ed intellettuali. Nel
1893 sposò Marianne Schnitger, più tardi femminista e sociologa, oltre che curatrice postuma delle opere del
marito.
Lettore di Marx, Hegel, Nietzsche, ma anche di Kant, si appassiona alla
storia, alla filosofia, all’estetica, alla teologia, pur seguendo studi brillanti di
diritto e di economia. Insegna diritto ed economia politica a Friburgo
(1895) quindi ad Heidelberg (1896), ma una salute cagionevole (soffriva di
depressione) gli fa abbandonare l’insegnamento nel 1898. Dopo avere
fondato nel 1904 la rivista Archivi di scienze sociali e di scienze politiche
con Sombart e Jaffé, partecipa, nel 1910, alla fondazione della Società
tedesca di sociologia. Impegnato nell' attività politica, in opposizione a
quella condotta dal Kaiser Guglielmo II (pur convinto della necessità dello
Stato-Nazione), combatte l’antisemitismo, l’antieuropeismo e la demagogia,
ed aderisce al partito socialdemocratico nel 1918. Membro della
delegazione tedesca al trattato di Versailles, è incaricato di lavorare
all’elaborazione della Costituzione della Repubblica di Weimar. Chiamato
infine nel 1918 alla cattedra di sociologia dell’università di Monaco, muore
prematuramente nel giugno del 1920.
Riconosciuto come uno dei fondatori della sociologia, Max Weber fu un acuto analista della modernità,
scorgendo nella crescente tendenza alla razionalizzazione una caratteristica specifica dello sviluppo della
civilizzazione culturale occidentale. Per lui, la sociologia doveva essere una scienza “comprensiva” ed
“empirica” dell’attività sociale. Parallelamente a lavori teorici e metodologici, Max Weber redasse studi di
storia economica e di sociologia economica, religiosa, politica, giuridica; aprendo così la via alle ricerche di
sociologia urbana e di sociologia dell’arte, come pure alla visione sociologica della scienza.

2. La lettura weberiana della modernità


Animato dall’intento di comprendere il mondo in cui si trova a vivere, Weber cerca di interpretare il
cambiamento che ha investito la società occidentale a partire dall’età moderna, e che egli sintetizza nel concetto
chiave di razionalizzazione. Con questo termine Weber intende il progressivo affermarsi, nella cultura
occidentale, della consapevolezza che “tutte le cose possono - in linea di principio — essere dominate dalla
ragione», ovvero che "se solo lo si volesse, si potrebbe sempre giungere a conoscenza".
Questo processo si accompagna a ciò che l'autore definisce disincantamento del mondo, cioè al venir meno
degli aspetti magici e religiosi della vita: la riduzione della realtà a un complesso di dati razionalmente
comprensibili e tecnicamente manipolabili, infatti, mette fuori gioco il concetto stesso di forze oscure e
soprannaturali, ritenute superiori all'uomo e al suo potere di comprensione. Se l’uomo primitivo considerava
imperscrutabili certi aspetti della realtà e ricorreva a mezzi alternativi per dominarli (ad esempio, cercando di
ingraziarsi gli spiriti tramite la magia), l’uomo moderno, di fronte a ciò che non è in grado di capire, pensa che i
limiti della sua comprensione saranno prima o poi superati dal progresso della conoscenza.
Secondo Weber, il processo di razionalizzazione ha modificato profondamente l'esistenza umana, conducendo a
un'organizzazione della vita sociale fondata su criteri di razionalità ed efficienza. Ne sono esempi lo sviluppo
della scienza e della tecnologia (che della scienza e l'espressione operativa), la nascita della burocrazia (che ha
creato una fitta rete di organizzazioni entro cui coordinare le azioni degli individui e rispondere ai loro bisogni)
e l’affermarsi dell’economia capitalista, che pianifica in modo sistematico l’attività produttiva, calcolando
razionalmente gli investimenti in vista dei profitti.
Se analizziamo i cambiamenti avvenuti nella storia, la prime cose che ci vengono in mente sono il progresso
tecnologico, le grandi invenzioni ecc., Weber invece pone l’accento su un cambiamento, a suo giudizio, ancora
più grande, che precede ed è condizione necessaria per la trasformazione della società: quello della mentalità,
del modo in cui le persone pensano e vedono la realtà.
Quello che è cambiato dalle società tradizionali a quelle moderne è il modo di pensare. Pensare in modo
tradizionale significa dare tutto come già dato, definito ed indiscutibile. Il mondo si muove con un dato ordine e
quello deve rimanere, non viene messo in discussione. Pensiamo ad esempio alla monarchia vista come diritto
divino: il re è tale perché è volontà di Dio indipendentemente dalle sue effettive capacità, il fatto che il monarca
meriti la sua posizione non viene nemmeno discusso. Al contrario nella modernità tutto viene messo in
discussione, niente è scontato, l’intera società subisce il già menzionato processo di “razionalizzazione”.
Quindi, la società tradizionale è quella del singolo artigiano che lavora in modo autonomo ma come si è sempre
fatto, la società moderna è quella del lavoratore che adotta procedure standardizzate sulle quali si riflette e che
si cerca continuamente di migliorare.
Secondo Weber dunque il cambiamento nel modo di pensare precede ed è causa di tutti i cambiamenti nella
società e non viceversa.

3.1 Le azioni sociali


Per comprendere la società è dunque necessario comprendere come
i singoli agiscono nella stessa e cosa c’è alla base del loro agire. I
mattoni della ricerca in sociologia sono dunque le azioni individuali
e la ricerca comincia sempre da ciò che i singoli pensano e fanno, i
fatti sociali presuppongono le azioni sociali individuali.
Comte e Durkheim, pur nella diversità delle loro posizioni
condividono la convinzione secondo cui la sociologia è scientifica
poiché utilizza i metodi e i modelli consolidati e rigorosi delle
scienze naturali. Abbiamo a tal proposito parlato del concetto di
“monismo metodologico”. L’opera di Max Weber può essere vista
invece come il tentativo di conciliare l’opposizione tra la suddetta
concezione positivista (comtiana e durkheimiana) della sociologia e
i nuovi modelli interpretativi che provenivano dalla cultura tedesca a lui contemporanea. All’epoca infatti
diversi studiosi ritenevano che il compito delle scienze storiche e sociali fosse quello di cogliere la specificità
degli eventi e non ricondurli a leggi generali. Da quest’ultima concezione infatti Weber accoglie l’idea della
specificità delle scienze umane: esse infatti non si occupano di “cose” ma di “azioni umane” che, come tali
rimandano ad un soggetto cosciente, in grado di compierle intenzionalmente e di conferire loro un certo
significato. Weber si sposta dunque su un approccio più microsociologico-interpretativo.
Oggetto della sociologia, secondo Weber, sono in particolare le “azioni sociali”, cioè quei comportamenti
individuali che dal punto di vista soggettivo hanno un significato sociale, nel senso che sono influenzate dalla
presenza di altri individui o da ciò che il soggetto agente si aspetta da loro. La sociologia si propone dunque di
comprendere il significato dell’agire sociale e mettere in luce le regolarità dei comportamenti. Secondo il
pensatore, infatti, tale disciplina deve essere in grado di Verstehen, ovvero di comprendere e spiegare il senso
dell’agire sociale.

3.2 Tipi di azioni sociali


Weber classifica le azioni sociali in 4 categorie:
 azioni strumentali, quando si tratta di azioni che il soggetto decide razionalmente di compiere in vista
di un determinato scopo;
 azioni morali, quando il soggetto sceglie una certa azione guidato da un principio etico o da un valore;
 azioni tradizionali, nel caso in cui si tratta di azioni che riflettono abitudini consolidate o regole sociali
seguite in modo automatico
 azioni affettive, quando le azioni nascono da semplici bisogni emotivi del soggetto.
Facciamo un esempio se un uomo apre un ombrello per ripararsi dalla pioggia compie un’azione intenzionale
ma non sociale; se lo apre per riparare una signora, perché ritiene di doversi comportare in modo cortese o
galante, la sua azione acquista un significato sociale e in questo caso va classificata a seconda delle motivazioni
che hanno spinto all’azione. Se, ad esempio, l’atto del riparare la signora è un mezzo per accaparrarsi le sue
grazie, l’azione sarà strumentale; se l’uomo è guidato da un moto di generosità, l’azione sarà di tipo morale; se
l’uomo segue una consuetudine che ha visto praticare da altri, senza interrogarsi a fondo sul suo valore, l’azione
sarà tradizionale; infine, se la signora in questione è la fidanzata, l’azione è probabilmente di tipo affettivo.

4. Gli idealtipi
La necessità di interpretare i fenomeni sociali come il risultato dell’agire umano e del senso che gli individui
danno alle azioni proprie e altrui non implica tuttavia per Weber, la rinuncia al compito di ogni conoscenza
scientifica, ossia la costruzione di modelli generali per spiegare un certo fenomeno. Le scienze naturali
adempiono a questo compito riconducendo i singoli fenomeni alle leggi universali che li governano; le scienze
umane, invece, procedono attraverso la costruzione di tipi ideali, cioè di modelli interpretativi generali, che il
ricercatore elabora a partire dalla realtà empirica selezionando o accentuando determinati aspetti di questa
realtà, al fine di creare una configurazione più unitaria e coerente.
Il sociologo, ad esempio, può parlare di "borghesia” o di ”economia cittadina” ben sapendo che nella realtà
concreta la fisionomia dei singoli individui appartenenti alla borghesia o alle diverse economie urbane non è
uniforme, e che ognuno di loro può presentare tratti propri ed eterogenei. Il tipo ideale funziona quindi come un
modello di riferimento rispetto al quale inquadrare i singoli casi, che si offrono all’osservazione e alla
comprensione dello studioso; è utile per stabilire confronti e correlazioni, analogie e differenze tra i fenomeni
oggetto di ricerca.
La nozione di "tipo ideale” può essere efficacemente utilizzata anche in rapporto alla classificazione delle
azioni sociali che poco sopra abbiamo schematizzato. Solo astrattamente, infatti, esistono azioni ”soltanto"
morali, azioni "soltanto” strumentali, e cosi via; le concrete scelte degli individui sono spesso una mescolanza
di queste diverse categorie, che comunque restano valide, come criteri di riferimento, per comprenderle e
interpretarle. Esempi di idealtipi sono: potere carismatico, capitalismo, etica protestante, burocrazia.
5.1 La burocrazia
Si deve soprattutto a Max Weber lo studio della burocrazia (dal francese bureau "ufficio" connesso al greco
krátos "potere") come fenomeno tipico dell'epoca moderna. Weber individua nel processo di
razionalizzazione della società l'aspetto che qualifica più di ogni altro la modernità. Tale processo consiste in
una trasformazione radicale, attraverso la quale i metodi di produzione, i rapporti sociali e le strutture culturali
tradizionali, caratterizzati da modi spontanei e basati sulla pratica personale,
vengono sostituiti da procedure sistematiche, precise e calcolate razionalmente.
Ciò permette innanzitutto di applicare le regole in modo imparziale: mentre, per
esempio, nel mondo premoderno la giustizia veniva direttamente amministrata dal
capo o dagli anziani del villaggio, e in gran parte dipendeva dalle relazioni
personali, nelle società moderne le leggi sono applicate secondo regole definite e
in modo tendenzialmente impersonale. Del resto, questo processo di
razionalizzazione si manifesta in quasi ogni aspetto della vita sociale: dal
passaggio dalla bottega artigianale all'industria, dal piccolo negozio
all'ipermercato e così via. Tutto ciò provoca secondo Weber un notevole aumento
di produttività, insieme con una sorta di "disincanto" del mondo, che perde
in creatività e bellezza quanto guadagna in efficienza.
La burocrazia è appunto, per Weber, una forma particolarmente pervasiva, e per certi aspetti pericolosa, di tale
processo di razionalizzazione, giacché essa implica direttamente la gestione non tanto di oggetti, macchine o
procedure, quanto piuttosto di esseri umani, i quali devono essere organizzati per conseguire finalità specifiche.
Per analizzare i tratti tipici della burocrazia, Weber utilizzò il concetto di "idealtipo", che è una
rappresentazione delle caratteristiche essenziali di un fenomeno sociale costruita a partire dall'osservazione dei
casi reali. L’idealtipo di burocrazia è quindi un modello di burocrazia, che nella sua interezza non corrisponde
precisamente ad alcuna situazione storica specifica, sempre suscettibile di variazioni accidentali, ma permette di
confrontare forme di burocrazie diverse sulla base dei loro caratteri comuni. Il tipo ideale di burocrazia consta
secondo Weber di alcuni elementi fondamentali.

5.2 Caratteristiche della burocrazia


La netta divisione del lavoro, cioè la distribuzione delle attività necessarie agli scopi dell'organizzazione in
modo fisso tra i diversi uffici. Ciò permette di impiegare sempre personale specializzato e di renderlo
responsabile dello svolgimento del proprio lavoro.
L'ordine gerarchico all'interno dell'organizzazione. Ogni ufficio è sottoposto alla supervisione di un ufficio
superiore, ogni funzionario deve rendere conto del proprio lavoro a un superiore. L'ambito dell'autorità di
ciascuno deve essere definito precisamente.
Il funzionamento di tutte le operazioni è governato da un sistema di regole scritte, che ha lo scopo di
assicurare l'uniformità dello svolgimento di ogni compito al di là della persona che effettivamente lo svolge.
Il funzionario deve escludere i sentimenti personali (principio di impersonalità). Svolge il suo compito in
modo imparziale e distaccato, considerando in modo impersonale i dipendenti e il pubblico. Non si ha a che
fare con individui, ma con casi di lavoro.
L'impiego nella burocrazia costituisce una carriera, è basato su qualifiche tecniche, su un sistema di
promozioni generalmente prevedibile basato sia sul merito, sia sull'anzianità, ma non su favoritismi personali, è
protetto dal licenziamento arbitrario.
L'ufficio è una "professione"; per eseguirla sono richiesti un corso di studi determinato e prove di
qualificazione prescritte come condizione preliminare per l'assunzione. Nessun membro dell'organizzazione
deve possedere le risorse materiali con le quali opera. I lavoratori della burocrazia sono separati dal controllo
dei loro mezzi di lavoro (separatezza dei beni materiali).
Secondo Weber un'organizzazione di questo tipo è adatta a controllare in modo molto efficace la produttività di
un grande numero di individui, in quanto essa elimina, o quantomeno limita, il capriccio individuale nelle
decisioni, assicura complessivamente una buona competenza media dei lavoratori, riduce le possibilità di
corruzione (sulla quale erano per lo più basati i sistemi più tradizionali di gestione dell'amministrazione) e
riduce anche la prassi di ottenere un incarico per legami di parentela o amicizie personali.

6.1 Potere e stato nell’analisi di Weber


Nella storia della sociologia la riflessione sul potere condotta da Max Weber occupa un posto di primo piano
per ampiezza e profondità di analisi.
Rispetto alle analisi dei filosofi della politica e dei giuristi - interessati a studiare i rapporti di potere
prevalentemente in chiave ideale e normativa, astraendoli cioè dall’esame delle singole realtà statuali -, la
sociologia politica, di cui Weber è primario esponente, affronta tali questioni in chiave concreta e descrittiva,
verificando la validità delle proprie tesi nei diversi contesti reali.
Secondo Weber, infatti, il punto di vista giuridico, interessato a stabilire le condizioni di legittimità del potere in
astratto, deve essere rigorosamente distinto dal punto di vista sociologico, volto invece ad analizzarne la
validità empirica, cioè a verificare caso per caso il concreto funzionamento delle relazioni politiche. Dal punto
di vista sociologico è dunque essenziale prendere atto del fatto che i modi in cui il potere viene esercitato
mutano nello spazio e nel tempo, e proprio questa varietà di manifestazioni costituisce il punto di partenza
dell'indagine di Weber, esposta nell’opera “Economia e società”, pubblicata postuma nel 1922, e in via
preliminare, Weber distingue il potere legittimo tipico di uno Stato, dalla pura e semplice forza, come
quella esercitata da un malvivente che ottiene l'obbedienza altrui con la minaccia delle armi. Se è legittimo, il
potere di norma non ha bisogno di ricorrere alla forza, perché è capace di condizionare i comportamenti dei
membri di una comunità mediante semplici comandi, che vengono rispettati dai più; se è illegittimo, invece,
richiede l’esercizio costante della forza bruta, in quanto non riesce a ottenere il consenso.
Come si può notare, la distinzione proposta da Weber risulta fondata esclusivamente sul diverso tipo di
obbedienza ottenuta: continuativa e spontanea in un caso, discontinua e coatta nell’altro; per il sociologo,
infatti, la teoria non deve tener conto delle giustificazioni addotte da chi detiene il potere al fine di legittimare
se stesso, ma deve considerare solo il modo in cui di fatto ”funziona" il suo comando, secondo quanto impone il
paradigma descrittivo e avalutativo della sociologia scientifica.

6.2 Gli ideal-tipi del potere legittimo


Il potere legittimo può, secondo Weber, essere distinto in 3 tipi ”puri", o "ideali":
 Il potere tradizionale;
 Il potere legale-razionale;
 Il potere carismatico.
In quanto ideal-tipi, queste forme di potere non descrivono casi particolari, ma sono schemi concettuali che
svolgono una funzione "euristica" (dal greco eurisco, ”scopro', "trovo"), cioè permettono di scoprire nei casi
concreti alcune caratteristiche che normalmente sfuggirebbero all'osservazione: più specificamente, gli ideal-
tipi del potere contribuiscono a mettere in luce i diversi modi di motivare l'obbedienza al comando, ovvero le
diverse ragioni del suo successo.
Nelle forme di potere tradizionale la legittimità del potere risiede nel rispetto della tradizione e nella reverenza
verso la persona del signore; ne sono esempi gli antichi imperi (Egitto, impero romano), i ”regni” dei signori
feudali nel Medioevo, gli imperi asiatici.
Weber descrive due modelli di potere tradizionale, quello
patriarcale e quello patrimoniale, presentando il secondo come uno
sviluppo del primo. Infatti la manifestazione più antica del potere
tradizionale è quella dell'autorità del patriarca entro una comunità
domestica, e rispetto a tale forma di signoria lo Stato patrimoniale
può essere considerato un’estensione, decentrata per mezzo di
imposte fondiarie: il Faraone, ad esempio, considerava l'intero
Egitto come la propria casa.
Nelle forme di potere legale-razionale l’obbedienza è motivata dalla credenza nella razionalità del
comportamento conforme alla legge, considerata un insieme di norme generali e astratte la cui validità è
indipendente dalle caratteristiche personali di colui o di coloro che le hanno promulgate. In tal modo il rapporto
di obbedienza si spersonalizza e l’impersonalità diventa la caratteristica principale nell'organizzazione del
potere.
L’ideal-tipo del potere legale-razionale evidenzia una tendenza tipica dello Stato burocratico, in cui il potere è
affidato agli individui non in quanto tali, ma in quanto soggetti che ricoprono cariche, cioè svolgono funzioni
all'interno della macchina statale.
Nelle forme di potere carismatico, infine, l'obbedienza e motivata dalla credenza nelle doti straordinarie del
capo.

Il termine ”carisma" (che deriva dal greco chàris, ”grazia") nella tradizione ebraico-cristiana indica una dote
spiegabile solo attraverso un rapporto privilegiato dell’individuo che ne è depositario con la divinità; il dono in
questione si traduce in una sorta di vocazione, o chiamata interiore, a cui non ci si può sottrarre. Tale significato
viene sostanzialmente ripreso da Weber, che ne analizza le conseguenze sul piano del rapporto politico:
il capo di tipo carismatico (il profeta, il condottiero, il demagogo) non ha bisogno di legittimare la propria
autorità, in quanto punta sull’adesione spontanea e personale dei seguaci, “determinata dall’entusiasmo, dalla
necessita e dalla speranza». Come è facile notare, si tratta di un rapporto di tipo irrazionale ed emozionale,
tipico del potere allo Stato nascente, ossia di un momento in cui, per effetto di qualche processo di rottura
rivoluzionaria, tutta l’organizzazione politica viene radicalmente alterata.
La forza del potere di tipo carismatico risiede evidentemente nella natura emotiva dell’adesione che suscita, ma
questa stessa caratteristica sta alla base della sua precarietà: il carisma è labile, destinato a tramontare
innescando inevitabilmente un processo di ”routinizzazione", ovvero una sostituzione dell'entusiasmo
spontaneo iniziale, che presto scompare, con un entusiasmo ”indotto”, ovvero suscitato per via artificiale
mediante pratiche di carattere ritualistico. Il potere carismatico e dunque destinato a "normalizzarsi", cioè a
evolvere nelle forme di potere ordinarie (tradizionale o legale-razionale),

7. Etica e politica
Weber è interessato allo studio della politica intesa come studio dell’agire umano, gli interessa sapere che
cosa spinge l’individuo a interessarsi della politica. La politica è scontro, non è morale: chi si vuole occupare di
politica deve mettere in preventivo che essa è competizione, è sconfiggere l’avversario. La potenza in politica è
responsabilità di compiere le scelte più opportune.
Weber auspica che la politica non sia il punto di arrivo per individui opportunisti ma che sia data in mano a
persone consapevoli e preparate, a persone che hanno una certa professionalità. Weber distingue tra politici
d’occasione e politici di professione: i primi siamo noi quando mettiamo la scheda nell’urna; i secondi
possono vivere per la politica (non hanno necessità di trarre rendite da essa, la praticano con passione e
impegno), o vivere di politica (sfruttano la politica per costituire a proprio favore delle rendite, tale sfruttamento
non va visto comunque in chiave esclusivamente negativa). I funzionari, che vivono di politica, spesso
svolgono egregiamente il proprio lavoro.

La politica include anche un orientamento etico, ci sono due etiche che muovono l’agire politico: l’etica
dell’intenzione (o della convinzione) e l’etica della responsabilità.
Il politico che segue l’etica dell’intenzione agisce seguendo delle norme di valore in maniera pedissequa; ad
esempio il politico cristiano indirizzato a quest’etica seguirà norme cristiane anche quando si dimostreranno
inadatte al contesto del tempo: se il mondo va diversamente da come lui crede se ne lava le mani, continua a
seguire i suoi valori, non è questo un modo adatto di ragionare. Il vero politico deve al contrario seguire
(almeno in maniera preponderante) l’etica della responsabilità: ogni fatto che avviene nella società produce
delle conseguenze, alle quali il politico si deve adattare; se ciò che sta accadendo si discosta dai suoi dogmi
esso deve, in qualche modo, mediare. Chi agisce in questo modo fa politica in maniera realista; sa che la
politica è anche fatta di azioni non morali (la politica non è moralità), sa che “bisogna sporcarsi le mani” e che
la politica “non è nata ad Assisi”. Machiavelli ci ha insegnato non che “il fine giustifica i mezzi”, bensì che di
fine in politica ne esiste solo uno, e dunque chi vuole perseguirlo non può avere remore nello sporcarsi l’anima.
Le due etiche possono stare in commistione, ma di fronte a un problema il politico deve propendere
preferibilmente per l’etica della responsabilità, al fine di trovare comunque una soluzione.

8 Etica protestante e capitalismo


L’analisi weberiana sulla religione si colloca all’interno di una più generale riflessione sulla società occidentale
e sul suo processo di sviluppo, nel quale, secondo lo studioso, oltre ai fattori economici messi in luce da Marx,
giocano un ruolo decisivo anche variabili di ordine politico, culturale e istituzionale. La religione è, secondo
Weber, una di queste variabili.
Il contributo più noto della riflessione weberiana sulla religione e costituito dal saggio “L'etica calvinista e lo
spirito del capitalismo”, pubblicato per la prima volta nel 1904-1905 e poi raccolto nella postuma “Sociologia
della religione” (1920). In quest'opera, partendo da un dato empiricamente riscontrabile — ovvero il più
avanzato livello di sviluppo economico raggiunto dalle società in cui si è diffusa la riforma protestante —, lo
studioso ipotizza un significativo collegamento tra gli aspetti ideal-tipici della mentalità capitalistica e l'etica del
protestantesimo, o più precisamente del calvinismo.
Il calvinismo, dal nome del fondatore Giovanni Calvino (1509-1564), è una dottrina riformata che dalla
Svizzera (dove Calvino aveva vissuto e predicato) si diffuse in Olanda, in Scozia e in alcuni principati della
Germania. Il suo nucleo essenziale e la dottrina della doppia predestinazione (degli eletti e dei dannati),
secondo la quale il credente non può, con le proprie azioni, né modificare, né condizionare in alcun modo la
scelta che Dio ha da sempre operato riguardo alla salvezza o alla dannazione della sua anima; le cosiddette
”buone opere" che un uomo può compiere e l'osservanza della liturgia sono certamente doveri a cui non ci si
deve sottrarre, ma non sono in alcun modo garanzia di vita eterna.
Questi assunti, secondo Weber, sono destinati ad alimentare una profonda
inquietudine esistenziale, contro la quale l’unico rimedio per l’uomo di fede è
costituito dal ricercare tracce dell’eventuale benevolenza divina nei suoi
confronti nelle pieghe della vita quotidiana, e in modo specifico nell'ambito
lavorativo, dove ogni successo, piccolo o grande, può essere interpretato quale
indizio del favore di Dio.
L’interpretazione del lavoro in chiave moralistico-religiosa conduce
all’adozione di un atteggiamento che Weber chiama di “ascesi intramondana”, e
cioè alla rinuncia a godere della ricchezza prodotta, nella convinzione che essa
non sia finalizzata al soddisfacimento dei propri piaceri, ma al compimento di
un dovere morale. Questa mentalità ascetica, condannando severamente ogni
forma di sperpero o lusso, incoraggia di fatto il risparmio come disciplina
generale di vita, creando le premesse, ideali non meno che materiali, per l’accumulo di ricchezze il cui
godimento e indefinitamente differito: preliminare fondamentale, questo, per il nascere dei primi investimenti
capitalistici.
L’affermazione del capitalismo nella società occidentale comporta l’emancipazione dell'ascesi dal suo
originario fine religioso, non solo perché la conquista della ricchezza, da semplice mezzo che rende certo il
credente della benedizione di Dio, diventa un obiettivo perseguito per se stesso, ma soprattutto perché il
guadagno, trasformatosi da mezzo in fine, è divenuto capitale, dotato di leggi autonome e non più modificabili
dall'uomo. Se per l'asceta calvinista, che aspira a essere eletto da Dio, la preoccupazione per i beni esteriori
deve essere come un “sottile mantello”, di cui non avverte il peso e la costrizione, per l'uomo moderno essa
costituisce una sorta di “gabbia d'acciaio”, da cui gli è impossibile uscire.

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