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1. Cenni biografici
Max Weber nasce a Erfurt, in Turingia, nell’aprile del 1864, in una famiglia protestante che conta industriali
del tessile, alti funzionari del Reich ed universitari. Max fu il primo di sette figli, fra cui si ricorda anche il
fratello Alfred, di quattro anni più giovane, anch'egli sociologo ma soprattutto economista. La famiglia stimolò
intellettualmente i giovani Weber fin dalla più tenera età.
Suo padre è nella carriera politica, e Weber frequenta, fin da dalla più giovane età, politici ed intellettuali. Nel
1893 sposò Marianne Schnitger, più tardi femminista e sociologa, oltre che curatrice postuma delle opere del
marito.
Lettore di Marx, Hegel, Nietzsche, ma anche di Kant, si appassiona alla
storia, alla filosofia, all’estetica, alla teologia, pur seguendo studi brillanti di
diritto e di economia. Insegna diritto ed economia politica a Friburgo
(1895) quindi ad Heidelberg (1896), ma una salute cagionevole (soffriva di
depressione) gli fa abbandonare l’insegnamento nel 1898. Dopo avere
fondato nel 1904 la rivista Archivi di scienze sociali e di scienze politiche
con Sombart e Jaffé, partecipa, nel 1910, alla fondazione della Società
tedesca di sociologia. Impegnato nell' attività politica, in opposizione a
quella condotta dal Kaiser Guglielmo II (pur convinto della necessità dello
Stato-Nazione), combatte l’antisemitismo, l’antieuropeismo e la demagogia,
ed aderisce al partito socialdemocratico nel 1918. Membro della
delegazione tedesca al trattato di Versailles, è incaricato di lavorare
all’elaborazione della Costituzione della Repubblica di Weimar. Chiamato
infine nel 1918 alla cattedra di sociologia dell’università di Monaco, muore
prematuramente nel giugno del 1920.
Riconosciuto come uno dei fondatori della sociologia, Max Weber fu un acuto analista della modernità,
scorgendo nella crescente tendenza alla razionalizzazione una caratteristica specifica dello sviluppo della
civilizzazione culturale occidentale. Per lui, la sociologia doveva essere una scienza “comprensiva” ed
“empirica” dell’attività sociale. Parallelamente a lavori teorici e metodologici, Max Weber redasse studi di
storia economica e di sociologia economica, religiosa, politica, giuridica; aprendo così la via alle ricerche di
sociologia urbana e di sociologia dell’arte, come pure alla visione sociologica della scienza.
4. Gli idealtipi
La necessità di interpretare i fenomeni sociali come il risultato dell’agire umano e del senso che gli individui
danno alle azioni proprie e altrui non implica tuttavia per Weber, la rinuncia al compito di ogni conoscenza
scientifica, ossia la costruzione di modelli generali per spiegare un certo fenomeno. Le scienze naturali
adempiono a questo compito riconducendo i singoli fenomeni alle leggi universali che li governano; le scienze
umane, invece, procedono attraverso la costruzione di tipi ideali, cioè di modelli interpretativi generali, che il
ricercatore elabora a partire dalla realtà empirica selezionando o accentuando determinati aspetti di questa
realtà, al fine di creare una configurazione più unitaria e coerente.
Il sociologo, ad esempio, può parlare di "borghesia” o di ”economia cittadina” ben sapendo che nella realtà
concreta la fisionomia dei singoli individui appartenenti alla borghesia o alle diverse economie urbane non è
uniforme, e che ognuno di loro può presentare tratti propri ed eterogenei. Il tipo ideale funziona quindi come un
modello di riferimento rispetto al quale inquadrare i singoli casi, che si offrono all’osservazione e alla
comprensione dello studioso; è utile per stabilire confronti e correlazioni, analogie e differenze tra i fenomeni
oggetto di ricerca.
La nozione di "tipo ideale” può essere efficacemente utilizzata anche in rapporto alla classificazione delle
azioni sociali che poco sopra abbiamo schematizzato. Solo astrattamente, infatti, esistono azioni ”soltanto"
morali, azioni "soltanto” strumentali, e cosi via; le concrete scelte degli individui sono spesso una mescolanza
di queste diverse categorie, che comunque restano valide, come criteri di riferimento, per comprenderle e
interpretarle. Esempi di idealtipi sono: potere carismatico, capitalismo, etica protestante, burocrazia.
5.1 La burocrazia
Si deve soprattutto a Max Weber lo studio della burocrazia (dal francese bureau "ufficio" connesso al greco
krátos "potere") come fenomeno tipico dell'epoca moderna. Weber individua nel processo di
razionalizzazione della società l'aspetto che qualifica più di ogni altro la modernità. Tale processo consiste in
una trasformazione radicale, attraverso la quale i metodi di produzione, i rapporti sociali e le strutture culturali
tradizionali, caratterizzati da modi spontanei e basati sulla pratica personale,
vengono sostituiti da procedure sistematiche, precise e calcolate razionalmente.
Ciò permette innanzitutto di applicare le regole in modo imparziale: mentre, per
esempio, nel mondo premoderno la giustizia veniva direttamente amministrata dal
capo o dagli anziani del villaggio, e in gran parte dipendeva dalle relazioni
personali, nelle società moderne le leggi sono applicate secondo regole definite e
in modo tendenzialmente impersonale. Del resto, questo processo di
razionalizzazione si manifesta in quasi ogni aspetto della vita sociale: dal
passaggio dalla bottega artigianale all'industria, dal piccolo negozio
all'ipermercato e così via. Tutto ciò provoca secondo Weber un notevole aumento
di produttività, insieme con una sorta di "disincanto" del mondo, che perde
in creatività e bellezza quanto guadagna in efficienza.
La burocrazia è appunto, per Weber, una forma particolarmente pervasiva, e per certi aspetti pericolosa, di tale
processo di razionalizzazione, giacché essa implica direttamente la gestione non tanto di oggetti, macchine o
procedure, quanto piuttosto di esseri umani, i quali devono essere organizzati per conseguire finalità specifiche.
Per analizzare i tratti tipici della burocrazia, Weber utilizzò il concetto di "idealtipo", che è una
rappresentazione delle caratteristiche essenziali di un fenomeno sociale costruita a partire dall'osservazione dei
casi reali. L’idealtipo di burocrazia è quindi un modello di burocrazia, che nella sua interezza non corrisponde
precisamente ad alcuna situazione storica specifica, sempre suscettibile di variazioni accidentali, ma permette di
confrontare forme di burocrazie diverse sulla base dei loro caratteri comuni. Il tipo ideale di burocrazia consta
secondo Weber di alcuni elementi fondamentali.
Il termine ”carisma" (che deriva dal greco chàris, ”grazia") nella tradizione ebraico-cristiana indica una dote
spiegabile solo attraverso un rapporto privilegiato dell’individuo che ne è depositario con la divinità; il dono in
questione si traduce in una sorta di vocazione, o chiamata interiore, a cui non ci si può sottrarre. Tale significato
viene sostanzialmente ripreso da Weber, che ne analizza le conseguenze sul piano del rapporto politico:
il capo di tipo carismatico (il profeta, il condottiero, il demagogo) non ha bisogno di legittimare la propria
autorità, in quanto punta sull’adesione spontanea e personale dei seguaci, “determinata dall’entusiasmo, dalla
necessita e dalla speranza». Come è facile notare, si tratta di un rapporto di tipo irrazionale ed emozionale,
tipico del potere allo Stato nascente, ossia di un momento in cui, per effetto di qualche processo di rottura
rivoluzionaria, tutta l’organizzazione politica viene radicalmente alterata.
La forza del potere di tipo carismatico risiede evidentemente nella natura emotiva dell’adesione che suscita, ma
questa stessa caratteristica sta alla base della sua precarietà: il carisma è labile, destinato a tramontare
innescando inevitabilmente un processo di ”routinizzazione", ovvero una sostituzione dell'entusiasmo
spontaneo iniziale, che presto scompare, con un entusiasmo ”indotto”, ovvero suscitato per via artificiale
mediante pratiche di carattere ritualistico. Il potere carismatico e dunque destinato a "normalizzarsi", cioè a
evolvere nelle forme di potere ordinarie (tradizionale o legale-razionale),
7. Etica e politica
Weber è interessato allo studio della politica intesa come studio dell’agire umano, gli interessa sapere che
cosa spinge l’individuo a interessarsi della politica. La politica è scontro, non è morale: chi si vuole occupare di
politica deve mettere in preventivo che essa è competizione, è sconfiggere l’avversario. La potenza in politica è
responsabilità di compiere le scelte più opportune.
Weber auspica che la politica non sia il punto di arrivo per individui opportunisti ma che sia data in mano a
persone consapevoli e preparate, a persone che hanno una certa professionalità. Weber distingue tra politici
d’occasione e politici di professione: i primi siamo noi quando mettiamo la scheda nell’urna; i secondi
possono vivere per la politica (non hanno necessità di trarre rendite da essa, la praticano con passione e
impegno), o vivere di politica (sfruttano la politica per costituire a proprio favore delle rendite, tale sfruttamento
non va visto comunque in chiave esclusivamente negativa). I funzionari, che vivono di politica, spesso
svolgono egregiamente il proprio lavoro.
La politica include anche un orientamento etico, ci sono due etiche che muovono l’agire politico: l’etica
dell’intenzione (o della convinzione) e l’etica della responsabilità.
Il politico che segue l’etica dell’intenzione agisce seguendo delle norme di valore in maniera pedissequa; ad
esempio il politico cristiano indirizzato a quest’etica seguirà norme cristiane anche quando si dimostreranno
inadatte al contesto del tempo: se il mondo va diversamente da come lui crede se ne lava le mani, continua a
seguire i suoi valori, non è questo un modo adatto di ragionare. Il vero politico deve al contrario seguire
(almeno in maniera preponderante) l’etica della responsabilità: ogni fatto che avviene nella società produce
delle conseguenze, alle quali il politico si deve adattare; se ciò che sta accadendo si discosta dai suoi dogmi
esso deve, in qualche modo, mediare. Chi agisce in questo modo fa politica in maniera realista; sa che la
politica è anche fatta di azioni non morali (la politica non è moralità), sa che “bisogna sporcarsi le mani” e che
la politica “non è nata ad Assisi”. Machiavelli ci ha insegnato non che “il fine giustifica i mezzi”, bensì che di
fine in politica ne esiste solo uno, e dunque chi vuole perseguirlo non può avere remore nello sporcarsi l’anima.
Le due etiche possono stare in commistione, ma di fronte a un problema il politico deve propendere
preferibilmente per l’etica della responsabilità, al fine di trovare comunque una soluzione.