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LE MISURE DI SICUREZZA

Le misure di sicurezza sono provvedimenti previsti dai vari sistemi penali, adottate per
“risocializzare” il condannato ritenuto socialmente pericoloso.

Si distinguono dalla pena che ha una funzione retributiva quando il soggetto è condannato ed
è proporzionata al reato commesso.

Gli altri elementi di distinzione tra misure di sicurezza e pene sono:

• l’applicabilità delle misure di sicurezza sia ai soggetti imputabili che ai soggetti non
imputabili mentre le pene possono essere applicate soltanto ai primi;
• il fatto che le pene sono sempre afflittive mentre le misure di sicurezza potrebbero
anche non esserlo;
• il fatto che le pene hanno una durata prestabilita sia pure entro i margini della cornice
edittale mentre le misure di sicurezza sono determinate esclusivamente nella loro
durata minima.
Secondo la più recente dottrina, le misure di sicurezza presenterebbero numerose affinità con
la pena sotto il profilo della funzione, nel senso che, a seguito dell’entrata in vigore della
Carta Costituzionale, anche alla seconda è stata assegnata la funzione specialpreventiva di
risocializzazione del reo.

In questa prospettiva, si osserva che, a norma dell’articolo 204 del codice penale i parametri
di valutazione per l’applicazione delle misure di sicurezza sono gli stessi previsti per la pena
e, cioè, quelli indicati all’articolo 133 del codice penale.

La distinzione tra pene e misure di sicurezza, entrambe dirette alla difesa sociale ed alla lotta
contro il delitto, sarebbe da ravvisare nelle particolarità strutturali e applicative delle due
misure e nel fatto che le misure di sicurezza sarebbero maggiormente connotate dalla
funzione specialpreventiva.

Le misure di sicurezza sono previste e disciplinate dagli articoli 199 e seguenti del codice
penale, nonché dall’articolo 25 della Costituzione, che estende espressamente alle misure di
sicurezza il principio della riserva di legge.

Le misure di sicurezza sono un’innovazione del codice Rocco e rappresentano la forma con la
quale il codice penale ha concretizzato la teoria del doppio binario secondo la quale mentre la
pena doveva assolvere alla funzione di retribuire il reo per il reato commesso e di reintegrare
l’ordinamento giuridico, la misura di sicurezza aveva la funzione di prevenire il pericolo di
un’altra condotta criminale da parte dell’autore di un fatto di reato o di un quasi reato (ex artt.
49 cp e 115 c.p.), attraverso la sua emenda o risocializzazione.

In questa prospettiva, si sosteneva che la natura delle misure di sicurezza fosse


amministrativa argomentando dalla loro revocabilità, in senso contrario la prevalente dottrina
osserva che esse sono applicate dall’autorità giudiziaria e che sulla loro esecuzione vigila il
magistrato di sorveglianza e replica all’argomento della revocabilità quale indice della natura
amministrativa del provvedimento sostenendo che la revocabilità non costituisce un requisito
indefettibilie e strutturale del provvedimento amministrativo.

Le misure di sicurezza non possono essere applicate se non in forza di una disposizione di
legge. Sotto il profilo temporale, si deve sottolineare come, al contrario delle pene, esse sono
regolate dalla legge vigente al momento della loro applicazione e non da quella vigente al
momento della commissione del fatto di reato.

Ne
AD
consegue che, se non è legittimo applicare una determinata misura di sicurezza in
relazione a un fatto che non costituisce reato all’epoca della sua commissione, è possibile
applicare una misura di sicurezza non prevista dalla legge al momento della commissione di
un fatto di reato e prevista dalla legge al momento della sua applicazione.

Le misure di sicurezza si applicano se si verificano due condizioni, che sono l’esistenza di un


reato commesso e la pericolosità del reo.

La prima condizione può subire una deroga eccezionale nel caso del delitto impossibile e
dell’accordo o istigazione senza commissione (semi-reati).

Si può applicare la misura di sicurezza a qualsiasi soggetto che, non punibile o non
imputabile, abbia commesso un delitto o un quasi delitto (ex artt. 49 e 115 codice penale).

Il soggetto è socialmente pericoloso perché si ritiene possibile che commetta altri reati.

È il giudice, dove previsto, a valutare se sussiste la pericolosità sociale del reo, e sarà lui a
valutare la pericolosità sociale attenendosi all’articolo 133 del codice penale, valutando la
gravità del reato commesso e la capacità a delinquere del reo.

I provvedimenti possono essere rinnovati a intervallo di sei mesi, a seguito di una valutazione
nella quale emerge che la pericolosità esiste.

La durata è indeterminata nel massimo, può durare per sempre e non cessa sino a che non
viene a mancare l’elemento essenziale della pericolosità del reo.

Questa indeterminatezza viene definita relativa, e consiste in controlli periodici di un


magistrato di sorveglianza, in passato era presente un riesame del giudice dopo un minimo di
tempo previsto indicativamente dalla legge, ma questo sistema è stato abbandonato dopo la
sentenza n.110/74 della Corte Costituzionale.

Oltre al presupposto oggettivo della commissione di un fatto di reato, ai fini dell’applicazione


della misura di sicurezza, è necessario che sia accertata in concreto la pericolosità sociale del
destinatario della misura (ex art. 31 della L. n. 663 del 1981, non sono più ammesse ipotesi di
pericolosità presunta).

Le misure di sicurezza possono essere applicate dal Giudice della Cognizione o dal
magistrato di sorveglianza e sono eseguite dopo la pena detentiva.

Esse
AD
hanno una durata variabile e che si può modificare nel tempo in relazione alla
pericolosità sociale del destinatario, trascorso il periodo minimo stabilito dalla legge, il
destinatario viene sottoposto a controllo per verificare la persistenza o l’esaurimento della sua
pericolosità, e a seconda dei casi, a seguito del controllo, il giudice può fissare un altro
termine o la revoca della misura di sicurezza.

Le cause di estinzione del reato o della pena estinguono le misure di sicurezza.

In particolare, alcune delle misure di sicurezza


Misure di sicurezza personali detentive sono:

• la colonia agricola o casa di lavoro (ex artt. 216-218 c.p.);


• la casa di cura e di custodia (ex artt. 219 -221 c.p.);
• l’ ospedale psichiatrico giudiziario (OPG) (ex art 222 c.p.).
Le misure di sicurezza personali non detentive sono:

• la libertà vigilata (ex artt. 228-232 c.p.);


• il divieto di soggiorno (ex art. 233 c.p.);
• il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche (ex art. 234
c.p.);
• l’espulsione dello straniero dallo Stato.
Le misure di sicurezza patrimoniali sono:

• la cauzione di buona condotta;


• la confisca.

1. COLONIA AGRICOLA E CASA DI LAVORO

L'assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro è una misura di sicurezza
personale detentiva prevista dall'art. 216 c.p.[1]
Le misure di questo tipo si applicano ai soggetti imputabili e ritenuti socialmente pericolosi. La
scelta dell'una o dell'altra misura è a discrezione del giudice; egli deve solo valutare le attitudini
del reo.
Sono assegnatari della colonia agricola o della casa di lavoro:
• coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o di tendenza;

• coloro che essendo stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o di tendenza, e non
essendo sottoposti a misure di sicurezza, commettono un delitto non colposo che sia
manifestazione di abitualità;

• i condannati o prosciolti nei casi espressamente indicati dalla legge (es. chi si è sottratto
alla libertá vigilata, art. 231 c.p.; coloro che sono ricoverati nei riformatori giudiziari, dopo il
compimento della maggiore età, art. 223 c.p.).

Ai sensi dell'art. 217 c.p. la durata minima è di un anno, che divengono due per i delinquenti
abituali, tre per i delinquenti professionali, e quattro per quelli di tendenza. Il magistrato
disorveglianza provvede al riesame della pericolosità sociale e alla conseguente applicazione,
esecuzione e revoca, della misura di sicurezza.

2. CASA DI CURA-CUSTODIA
L'assegnazione a una casa di cura e di custodia è una misura di sicurezza personale e
detentiva prevista dal sistema penale italiano. Essa è un ibrido di ideologia curativa e di custodia.
È prevista per condannati con infermità psichica, per cronica intossicazione daalcool e per
sordomutismo. Alla casa di cura sono più precisamente assegnati:
• I condannati per delitto non colposo con infermità psichica, per cronica intossicazione da
alcool e per sordità;

• I condannati alla reclusione per delitti commessi in stato di ubriachezza o sotto l'azione
di stupefacenti;

• I sottoposti ad altra misura di sicurezza detentiva, se colpiti da infermità psichica che


non richieda il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario;

Per "infermità psichica" non si devono intendere disturbi occasionali transitori, ma infermità
significative di natura psichica. La durata minima è tra i sei mesi e i tre anni.

3.OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIALE


I manicomi criminali dopo la riforma delle norme sull'ordinamento penitenziario, Legge 354
del 1975 cambiano nome denominandosi Ospedali psichiatrici giudiziari. 6 Se il reato
prevede una pena tra i 2 e 10 anni, la misura di sicurezza (MS) è di 2 anni

4. LIBERTA’ VIGILATA

misura di sicurezza non detentiva e consiste nella concessione della


libertà al condannato, che è affidato alla pubblica sicurezza, per la
sorveglianza, ed al Centro di Servizio Sociale, per il sostegno e
l’assistenza.
La libertà vigilata è ordinata nei seguenti casi:
se è inflitta una pena non inferiore a dieci anni;
se è stata disposta la liberazione condizionale (art. 176 c.p.);
se il contravventore abituale o professionale commette un nuovo reato che sia manifestazione
di "abitualità" o "professionalità";
se il Magistrato di Sorveglianza, in sede di accertamento o riesame della pericolosità sociale
(art. 679 c.p.) dispone la trasformazione di una misura di sicurezza detentiva in libertà
vigilata (art. 69 Legge 354/75);
in altri casi determinati da varie disposizioni di legge, in maniera obbligatoria o in maniera
discrezionale (artt. 229 e 230 c.p.);
in caso di ammissione di una licenza agli internati;
in caso di ammissione di una licenza ai semiliberi.
Il giudice competente alla ammissione è in alcuni casi il giudice che
infligge la condanna principale, in altri casi il Magistrato di
Sorveglianza in sede di primo esame o di riesame della pericolosità
sociale del condannato. In caso di libertà vigilata da liberazione
condizionale è competente il Tribunale di Sorveglianza. In ogni caso la
competenza a dettagliare le prescrizioni è del Magistrato di
Sorveglianza (art. 190 norme att. c.p.p.).
Le prescrizioni non sono rigidamente predeterminate; il loro contenuto
minimo è comunque dato da:
l’obbligo di conservare la carta precettiva e di presentarla ad ogni richiesta;
l’obbligo di essere sempre reperibile;
il divieto di trasferire la residenza da Comune a Comune senza autorizzazione del Magistrato
di Sorveglianza e nell’ambito del Comune senza preavvisare l’organo di polizia ed il Centro
di Servizio Sociale;
l’obbligo di presentarsi secondo precise modalità presso gli uffici di pubblica sicurezza.

5. DIVIETO DI SOGGIORNO

L’obbligo o divieto di dimora è disciplinato dall’articolo 283 del Codice di


procedura penale. Quando il giudice impone questa misura cautelare l’imputato
ha l’obbligo o il divieto di dimorare in un luogo determinato o di
accedervi/allontanarsi senza autorizzazione del giudice.
Il giudice può stabilire che egli non possa entrare o uscire:
• dal territorio del comune dove ha la dimora abituale;
• dal territorio di un comune o di una frazione vicino.
Le autorità di polizia che operano nel luogo dove l’imputato ha l’obbligo o il
divieto di dimora devono essere avvisate dall’autorità giudiziaria affinché vigilino
sul rispetto della misura.
Se l’imputato è particolarmente “sospetto” o pericoloso, il giudice può anche
obbligarlo a dichiarare alla polizia i luoghi e gli orari in cui è reperibile per i
controlli.
Sempre dietro valutazione del carattere dell’imputato, il giudice procedente può
anche imporre l’obbligo/divieto di stare a casa o allontanarsi da essa in alcuni orari
o giorni della settimana. Per questa decisione il giudice deve tener conto degli
impegni lavorativi o delle esigenze di salute dell’imputato.
Durata massima dell’obbligo di dimora
Questa misura cautelare, come tutte le altre, ha una durata massima oltre la quale
“scade”. In particolare l’articolo 303 del Codice di procedura penale prevede che
tutte le misure cautelari coercitive (tra cui l’obbligo o divieto di dimora) siano
soggette al doppio dei termini previsti per la custodia cautelare. Quindi, per
sintetizzare, l’obbligo di dimora dura al massimo:
• 6 mesi se si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena
della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni;
• 1 anno quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la
pena della reclusione superiore nel massimo a 6 anni;
• 2 anni quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce
la pena dell’ergastolo o la pena della reclusione non inferiore nel
massimo a venti anni.

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