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CAPITOLO II: LA MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA E I SOGGETTI

DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA

LA MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA

La magistratura di sorveglianza esercita la giurisdizione sul trattamento penitenziario.


Il suo compito è quello di garantire che nel corso della fase esecutiva la PENA:
1. sia adeguata all'evoluzione della personalità del condannato
2. rimanga funzionale al raggiungimento del fine rieducativo
Può essere definita nell'insieme come un giudice ordinario "specializzato" --> "i magistrati che
esercitano funzioni di sorveglianza NON devono essere adibiti ad altre funzioni giudiziarie" (art.
68.4 O.P.) --> questa attribuzione comunque nulla toglie al carattere giurisdizionale delle attività
che tale giudice specializzato svolge per assicurare la legalità dell'esecuzione (rispetto della finalità
rieducativa della pena ex art. 27.3 Cost.).

--> ARTICOLAZIONE INTERNA:

UFFICI DI SORVEGLIANZA:
- costituiti nelle sedi individuate dalla tabella A allegata alla legge sull'O.P.
- composti da diversi magistrati di sorveglianza, ognuno dei quali ha giurisdizione su singole
circoscrizioni di tribunale (comprese nella giurisdizione complessiva dell'ufficio)

MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA:
- opera come GIUDICE MONOCRATICO rispetto alla circoscrizione di tribunale a lui attribuita

TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA:
- è istituito presso ciascun distratto di Corte d'Appello e in ogni circoscrizione territoriale della
sezione distaccata di Corte d'Appello
- art. 70.3 O.P: è composto da tutti i magistrati di sorveglianza che sono in servizio nel distretto o
nella circoscrizione territoriale della sezione distaccata di Corte d'Appello + esperti scelti tra
professionisti qualificati (in psicologia, servizio sociale, criminologia clinica etc..)
- è un GIUDICE COLLEGIALE (presidente del tribunale + magistrato di Cassazione + magistrato
d'Appello + magistrato di sorveglianza + due esperti) --> uno dei due giudici togati deve essere il
magistrato di sorveglianza sotto la cui giurisdizione è posto il condannato/internato in ordine alla
cui posizione si deve provvedere, in modo tale da garantire che il collegio abbia una conoscenza
diretta del soggetto che deve essere giudicato
- il collegio decide con ORDINANZA deliberata a maggioranza; in caso di parità di voti prevale
quello del presidente.

LA COMPETENZA PER MATERIA

Il Tribunale di sorveglianza e il Magistrato di sorveglianza hanno competenza per materie diverse


--> competenze definite per entrambi dall'art. 678 comma 1 cpp. Per quanto riguarda
l'incompetenza per materia nulla è espressamente previsto, quindi si applicano per analogia le
disposizioni codicistiche.

LA COMPETENZA PER TERRITORIO

La competenza territoriale appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza che ha


giurisdizione sull'istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l'interessato al momento
dell'instaurazione del procedimento di sorveglianza (art. 677 comma 1 cpp) --> CRITERIO del
LOCUS CUSTODIAE: per garantire la maggior vicinanza possibile fra magistrato di sorveglianza e
soggetto detenuto o internato --> eventuali mutamenti successivi del luogo di detenzione
all'avvio de procedimento non si riflettono sull'ormai definita competenza.
In questo caso prevale infatti:
1. l'immutabilità del giudice (perpetuatio jurisdictionis)
1
2. la durata ragionevole del processo

E' necessario però che il detenuto si trovi STABILMENTE nell'istituto di prevenzione o pena -->
non è sufficiente il transito occasionale ad esempio durante un trasferimento.
Nel caso di esecuzione di misure alternative che si svolge in un luogo diverso, rientrante nella
competenza territoriale di un altro giudice, parte della GIURISPRUDENZA ritiene che sia
competente quest'ultimo anche per decidere sull'eventuale revoca della misura stessa -->
permane comunque sul punto un CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE.

• L'interessato non è detenuto o internato: è competente il tribunale/magistrato di sorveglianza


che ha giurisdizione nel luogo di residenza/domicilio del soggetto --> residenza/domicilio
ignoti: è competente il tribunale/magistrato di sorveglianza del luogo in cui fu pronunciata la
sentenza di condanna/proscioglimento/non luogo a procedere. Nel caso di più sentenze -->
tribunale/magistrato del luogo in cui fu pronunciata la sentenza divenuta irrevocabile per ultima.

• All'interessato viene notificato un ordine di esecuzione sospeso ex art. 656 comma 5 cpp
("se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a 3 o 6
anni in base a 2 casi ex DPR 309/1990, il PM, salvo i casi previsti ai commi 7 e 9, ne sospende
l'esecuzione ...") e lo stesso fa richiesta di misure alternative alla detenzione: è competente
il tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sul luogo in cui ha sede l'ufficio del PM che ha
emesso l'ordine di esecuzione della pena detentiva.

• In caso di esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata: competente il


magistrato di sorveglianza del luogo di residenza del condannato.

• persona sottoposta a speciali misure di protezione: è competente il tribunale/magistrato di


sorveglianza del luogo in cui ha sede la Commissione centrale per la definizione e applicazione
delle speciali misure di protezione.

Anche in questo caso manca una specifica disciplina in caso di incompetenza territoriale -->
applicazione analogica delle regole generali.

L'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA (CENTRALE E PERIFERICA)

Dal 1922 l'amministrazione penitenziaria è passata dal Ministero dell'Interno al Ministero della
Giustizia, il quale si articola in dipartimenti e la materia penitenziaria è attribuita al DIPARTIMENTO
DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA (DAP) che ha le seguenti funzioni:
1. provvedere all'ordine e alla sicurezza degli istituti
2. provvedere al coordinamento e alla direzione e amministrazione del personale
Organi decentrati del DAP sono i PROVVEDITORATI GENERALI con competenze in materia di
modalità di organizzazione del lavoro penitenziario: a ciascun provveditorato regionale è preposto
un un dirigente superiore degli istituti di prevenzione e pena con funzioni di PROVVEDITORE
REGIONALE, dipendente gerarchicamente dal direttore generale dell'amministrazione
penitenziaria.

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO

E' funzionario dell'amministrazione penitenziaria e riveste la qualità di pubblico ufficiale.


L'accesso a tale carriera avviene mediante concorso pubblico e superamento di un corso di
formazione professionale. Dipende dal Provveditore regionale e dal DAP.
I suoi COMPITI derivano dai vari rapporti che lo stesso necessariamente intraprende con:
• l'autorità giudiziaria
• i detenuti
• l'amministrazione penitenziaria
--> è figura centrale nella fase di esecuzione della pena e per l'applicazione di misure restrittive
della libertà personale.
2
La posizione del direttore appare un osservatorio privilegiato per valutare o semplicemente
conoscere le vicende giudiziarie del detenuto/internato, i progressi e i risultati del trattamento e per
consentire un intervento senza ritardo della magistratura di sorveglianza nella tutela della comunità
esterna come del soggetto privato della libertà.

LA POLIZIA PENITENZIARIA

Figura istituita dal 1990 e sostitutiva del Corpo degli agenti di custodia e delle Vigilatrici
penitenziarie.
Funzioni principali:
- assicura l'esecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertà
- garantisce l'ordine e la sicurezza all'interno degli istituti penitenziari (servizio di sicurezza e
custodia --> "personale di custodia")
- partecipa alle attività di osservazione e trattamento rieducativo dei detenuti/internati

E' braccio operativo del Direttore dell'istituto, non necessariamente armato: gli agenti in servizio
all'interno degli istituti non possono portare armi se non nei casi eccezionali in cui ciò venga
ordinato dal direttore --> per evitare che i detenuti possano impossessarsi delle stesse.
Laddove sia indispensabile per prevenire o impedire atti di violenza, tentativi di evasione o vincere
la resistenza anche passiva all'esecuzione degli ordini, ha la possibilità di usare la forza fisica.

L'EDUCATORE

art. 80 comma 1 O.P.


E' stato una delle novità essenziali dell'O.P del 1975 --> oltre alle componenti tradizionali da
sempre previste all'interno degli istituti penitenziari, sono stati introdotti nel trattamento di
rieducazione altri operatori socio-pedagogici e assistenziali, rispondendo all'esigenza di
raggiungere l'obiettivo della RIEDUCAZIONE non solamente dal punto di vista formale ma anche
sostanziale.
L'introduzione di queste figure risponde ad un sistema in cui l'obiettivo è quello di far leva sulla
volontà di collaborazione del detenuto e sulla sua costruttiva partecipazione ai programmi di
reinserimento sociale --> abbandonando la vecchia idea di considerare i soggetti privati della
libertà autori di reato come soggetti "malati" da curare e privilegiando invece la concezione degli
stessi soggetti come persone da comprendere e da responsabilizzare in attività che per
risultare efficaci devono essere effettivamente accettate.
L'educatore può essere quindi considerato come un elemento di raccordo fra l'istituto e la
problematica personale del detenuto. In quest'ottica l'educatore viene svincolato da responsabilità
derivanti dall'amministrazione o dall'esercizio del potere --> non è chiamato in prima persona ad
esercitare autorità sui detenuti --> questo gli consente di sviluppare con gli stessi un rapporto
ispirato unicamente:
- alla comprensione delle loro difficoltà
- alla gratuita offerta di aiuto che non chiede in cambio alcun atto di obbedienza e di
sottomissione.

COMPETENZE
ART. 82 O.P: le competenze dell'educatore riguardano
1. il trattamento rieducativo di condannati ed internati in senso stretto
2. gli interventi di sostegno diretti agli imputati

ATTIVITA' DI OSSERVAZIONE
Il compito più importante attribuito all'educatore riguarda la sua partecipazione all'attività del
gruppo di osservazione scientifica della personalità dei detenuti e degli internati --> consiste
nell'osservazione comportamentale del soggetto ai fini della comprensione dei suoi
comportamenti umani fondamentali che orientano la sua vita.
L'osservazione avviene tramite colloqui e programmazione/svolgimento di una serie di attività
rieducative individuali e di gruppo, dalle quali l'educatore discenderà una serie di informazioni sulle
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attitudini e sulla personalità del detenuto. Tutte queste informazioni serviranno per costituire il
rapporto di sintesi, un documento conclusivo dell'osservazione scientifica della personalità del
detenuto:
• conclude l'osservazione
• traccia le linee essenziali del trattamento rieducativo: sulla base del rapporto infatti si delinea un
programma individualizzato di trattamento, compilato entro 9mesi.
--> è costituito da una parte in cui sono ricomprese tutte le esperienze di vita del soggetto prima
del suo ingresso in istituto e gli atteggiamenti assunti dallo stesso di fronte alle proposte
trattamentali + una parte in cui sono illustrati i programmi rieducativi elaborati sulla base delle
informazioni contenute nella prima parte.

TRATTAMENTO RIEDUCATIVO, ART. 1 REG. ESEC.


punti fondamentali del trattamento:
1. offerta di interventi diretti a sostenere gli interessi umani, culturali e professionali del detenuto/
imputato in stato di custodia
2. rielaborazione critica delle esperienze compiute
3. realizzazione di esperienze nuove

(N.B: l'art. 82 comma 2 O.P. riguardo alle attività dell'educatore a favore degli IMPUTATI, parla
sempre di trattamento "educativo", non "rieducativo" --> ciò a motivo della presunzione di non
colpevolezza, preclusiva di un'azione di rieducazione che presuppone l'accertata esistenza di
aspetti di devianza della personalità)

ORGANIZZAZIONE DEL SERVIZIO DI BIBLIOTECA


L'educatore è anche responsabile dell'organizzazione del servizio di biblioteca, importante per il
sostegno culturale e per l'impiego costruttivo del tempo libero, curandosi di tener conto nella scelta
dei libri anche dei desideri espressi dalla popolazione dell'istituto.
In questa organizzazione l'educatore si avvale della collaborazione dei rappresentanti dei detenuti,
i quali vengono scelti attraverso un sorteggio.

ALTRE COMPETENZE
• partecipa alla Commissione per le attività culturali, ricreative e sportive
• ricopre il ruolo di "animatore": cerca di coinvolgere i rappresentanti dei detenuti e degli internati in
un discorso partecipativo di scelte
• fa parte del Consiglio di disciplina: da un contributo diretto per una miglior conoscenza del
detenuto o dell'internato e cerca di orientare le decisioni in senso pedagogico
• è membro della Commissione per il regolamento interno --> art. 678 comma 1 cpp: la
magistratura di sorveglianza, nell'adottare i provvedimenti di propria competenza, può avvalersi
della consulenza dei tecnici del trattamento.
• è alle dipendenze del Direttore dell'istituto, il quale gli può delegare alcune funzioni (es. colloqui
di primo ingresso, interventi nel lavoro all'esterno e nella semilibertà, la tenuta delle cartelle
personali) --> lo spazio di intervento delegabile all'educatore è molto ampio.

I PROFESSIONISTI ESPERTI

art. 80 comma 4 O.P: per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento,


l'amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale,
pedagogia, psichiatria e criminologia clinica.
I professionisti esperti svolgono il proprio ruolo all'interno dell'istituto nella veste di liberi
professionisti, iscritti in un apposito elenco compilato dal provveditorato regionale per ogni Distretto
di Corte d'Appello: nell'elenco vengono iscritti professionisti di condotta incensurata, di età non
inferiore a 25 anni, in possesso di un titolo professionale richiesto e idonei a svolgere la loro attività
nel settore penitenziario.
Con la previsione all'art. 80 O.P. il legislatore italiano ha adempiuto a quanto stabilito dalla
risoluzione ONU del 1955: ha previsto una serie di regole minime per il trattamento dei detenuti,
in cui si fa espresso riferimento alla figura degli esperti al fine di migliorare il trattamento
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rieducativo --> La risoluzione dispone espressamente che è necessario integrare il personale degli
istituti penitenziari con un numero sufficiente di specialisti come psichiatri, psicologi, assistenti
sociali, educatori, istruttori tecnici.
Nel nostro Ordinamento il problema dell'utilizzazione di esperti nel trattamento del detenuto era già
stato affrontato nel 1934 con l'istituzione del Tribunale dei minorenni e disponendo che ne facesse
parte un cittadino scelto tra i cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale e pedagogia -->
ma solo con un DPR del 1955 si è stabilita l'obbligatoria presenza di un assistente sociale, uno
psicologo o psichiatra ed altri esperti di riadattamento sociale all'interno dei centri di rieducazione.

ATTIVITA' DEI PROFESSIONISTI ESPERTI


In base a quanto previsto dall'art. 80 comma 4 O.P. il contributo degli esperti sarebbe richiesto
"quando occorre": la norma sembra rimettere alla discrezionalità del direttore l'intervento di
questi professionisti --> ma la ratio della previsione induce ad escluderlo.
La loro attività, come quella dell'educatore, mira al reinserimento sociale del condannato
attraverso un trattamento rieducativo --> a tal fine essi:
• contribuiscono a preparare il programma di trattamento e verificare che lo stesso sia idoneo
• gestiscono le eventuali cure psicologiche e psichiatriche
• svolgono attività di ricerca scientifica
• hanno un ruolo fondamentale quando il soggetto è ammesso a regime di semilibertà o libertà
anticipata e le altre misure alternative.

L'ASSISTENZA PENITENZIARIA e POST-PENITENZIARIA

Questa materia è stata profondamente innovata con la L.354/1975 (O.P.), innanzi tutto spostando
le competenze degli antichi Consigli di patronato:
- ai Consigli di aiuto sociale
- e ai Centri di servizio sociale (oggi definiti "Uffici locali di esecuzione penale esterna")
--> che insieme costituiscono il servizio sociale per adulti, già presente in ambito minorile dal
1948 e introdotto per gli adulti solo nel 1955.
Disciplina del servizio sociale: artt. 72 e ss O.P. - artt. 118 e 119 reg. esec.
Disciplinando il servizio sociale, il legislatore ha mostrato di rendersi conto del fatto che nessun
programma dalle finalità rieducative era destinato al successo senza il sotegno di un intervento
volto ad accertare eventuali carenze fisio-psichiche, affettive, educative e sociali che erano state di
pregiudizio all'instaurazione di una normale vita di relazione.

I CONSIGLI DI AIUTO SOCIALE


Sono istituiti nel capoluogo di ciascun circondario e prestano la loro opera gratuitamente; sono
presieduti dal Presidente del Tribunale o da un magistrato da lui delegato.
Compiti:
I. curano che siano fatte frequenti visite ai liberandi al fine di favorire il loro reinserimento sociale
e che siano raccolte tutte le notizie occorrenti per accertare i reali bisogni dei liberandi stessi e
delle loro famiglie
II. svolgono opera diretta ad assicurare ai liberandi un'occupazione e a tal fine organizzano corsi
di addestramento e formazione professionale
III. fanno in modo che i detenuti mantengano relazioni con le proprie famiglie
IV. prestano soccorso alle vittime del delitto

--> nel disciplinare le attività dei Consigli però il Legislatore non ha tenuto conto degli indirizzi di
riforma nel settore della beneficienza pubblica che si erano profilati contemporaneamente all'iter
della riforma penitenziaria:
La Riforma della beneficienza pubblica ha previsto il trasferimento delle funzioni amministrative
dallo Stato alle Regioni --> tra le varie competenze, sono state trasferite anche quelle relative
all'assistenza penitenziaria e post-penitenziaria.
Allo stato attuale:
• competenza dei comuni e delle provincie: competenze ex art. 75 O.P, riguardanti l'assistenza
post-penitenziaria e l'assistenza economica alle famiglie dei detenuti
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• competenza dei Consigli di aiuto sociale: assistenza psicologica e morale nei confronti dei
liberandi, dei detenuti e delle loro famiglie.

GLI UFFICI DI ESECUZIONE PENALE ESTERNA


Raccolgono tutti gli assistenti sociali del territorio di competenza. Sono unità amministrative
autonome rispetto agli istituti penitenziari e alle strutture giudiziarie, ma dipendenti direttamente
dall'amministrazione penitenziaria.
Duplice finalità:
1. comprendere e aiutare il detenuto e la sua famiglia nelle loro esperienze affettive e sociale che
risultano colpite in modo peculiare dalla vicenda della carcerazione
2. continuare a considerare il detenuto e la sua famiglia nelle loro esperienze affettive e sociali
comuni, che non cessano durante la carcerazione.
--> COMPITI: si distinguono a seconda che siano attinenti all'attività della magistratura di
sorveglianza o all'attività degli istituti di pena:

• in relazione all'attività della magistratura di sorveglianza:


- su richiesta del magistrato o del tribunale di sorveglianza eseguono inchieste sociali utili a
fornire i dati occorrenti per l'applicazione/modificazione/proroga delle misure di sicurezza e
per il trattamento --> consistono in raccolte di dati concernenti la vita del detenuto nelle
relazioni con la sua famiglia e con l'ambiente sociale di appartenenza. (PRASSI: il trib o
mag di sorveglianza possono richiedere inchieste sociali per soggetti condannati che
richiedano la concessione di una misura alternativa dallo stato di libertà, oppure dallo stato
di detenzione).
- prestano la loro opera di assistenza e sostegno per assicurare il reinserimento nella vita
libera dei soggetti sottoposti a misure di sicurezza non detentive.
- prestano consulenza --> art. 678 comma 2 cpp: i provvedimenti del tribunale e del
magistrato di sorveglianza devono essere emessi sulla base dell'acquisizione in udienza
dei documenti relativi all'osservazione e al trattamento, nonchè, se occorre, avvalendosi
della consulenza dei tecnici del trattamento.

• in relazione all'attività degli istituti di pena:


- svolgono opera di consulenza: l'O.P. prevede che gli assistenti sociali operino presso gli
istituti di prevenzione e pena al fine di valutare i problemi tecnico-organizzativi dell'istituto e
per partecipare all'osservazione del condannato al fine della formulazione del programma
di trattamento.
- svolgono un lavoro di assistenza alle famiglie: il Reg. Esec. obbliga il Direttore dell'istituto
a richiedere che gli operatori degli uffici di esecuzione penale esterna intervengano presso i
famigliari che non mantengono rapporti con il detenuto.
- si occupano del trattamento del dimittendo, agevolando il definitivo reinserimento dei
detenuti
- possono essere chiamati a coadiuvare il Direttore dell'istituto prestando opera di vigilanza
e assistenza nei confronti dei soggetti ammessi al regime di semilibertà.
- sono presenti in determinate commissioni operanti all'interno degli istituti --> es:
commissione per la definizione del regolamento interno.

GLI ASSISTENTI VOLONTARI

L' art. 78 O.P. prevede queste figure qualificabili come persone idonee all'assistenza e
all'educazione, che vengono autorizzate dall'amministrazione penitenziaria a frequentare gli istituti
penitenziari allo scopo di partecipare alle attività rivolte al sostegno morale dei detenuti e al loro
futuro reinserimento nella vita sociale.
Art. 120 reg. esec: l' AUTORIZZAZIONE viene data a coloro che dimostrano interesse e
sensibilità per la condizione umana dei sottoposti a misure privative e limitative della libertà e che
abbiano dato prova di concrete capacità nell'assistenza a persone in stato di bisogno.
Nel caso il volontario si dimostrasse inidoneo, il Direttore o gli Uffici di esecuzione penale esterna,
sospendono l'autorizzazione e ne chiedono la revoca al Ministero.
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L'ATTIVITÀ di questi volontari viene svolta in stretto raccordo con gli operatori professionali
--> vanno quindi a costituire parte integrante dello staff dei collaboratori della direzione dell'istituto.

Devono avere un'ADEGUATA PROFESSIONALITÀ:


• dottrina: è necessaria una preparazione tecnica intesa a favorire l'instaurazione di valide
relazioni umane in un'ottica di complementarietà rispetto all'azione degli operatori professionali
• circolare 7 aprile 1988: è necessaria un'adeguata formazione e aggiornamento.

PARAMETRI DI SELEZIONE:
1. attitudine alla funzione risocializzante dell'assistenza
2. indagini circa le qualità morali e l'impostazione politica del volontario
3. acquisizione di opportune informazioni presso gli organi di pubblica sicurezza ed un colloquio
orientativo con il Magistrato di sorveglianza
4. valutazione del certificato penale e del certificato dei carichi pendenti

La previsione degli assistenti volontari nell'ambito del sistema penitenziario costituisce una delle
espressioni più significative dell'orientamento che vede nella presenza della comunità esterna
un importante elemento del trattamento risocializzante dei detenuti.

CAPITOLO III: IL TRATTAMENTO DEI CONDANNATI

L'ORDINE DI CARCERAZIONE

Presupposto dell'esecuzione penale = una sentenza definitiva di condanna a pena detentiva


--> deve trattarsi quindi di una pronuncia giurisdizionale che sia passata in GIUDICATO (= non è
ammessa impugnazione diversa dalla revisione; se è prevista impugnazione, sono scaduti i termini
per proporla o sono stati esperiti tutti i possibili mezzi di gravame).
A fronte di questa sentenza l'art. 655 cpp impone al PM di attivarsi (anche d'ufficio) per dare
esecuzione alla pronuncia stessa --> emette quindi un ordine di esecuzione: se l'interessato non
si trova già in stato di detenzione per qualsiasi causa, il PM ne dispone la carcerazione, eseguita
secondo le MODALITÀ previste dall'art. 277 cpp --> modalità che devono salvaguardare:
- i diritti della persona, il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari del caso
concreto
- fermo restando che se la persona viene sottoposta all'uso di manette ai polsi o di altro mezzo di
coercizione fisica, salvo il suo consenso, ne è categoricamente vietata la pubblicazione
dell'immagine (art. 114 comma 6 bis cpp)

Una volta emesso l'ordine di esecuzione, il PM ne cura la consegna al condannato (che deve
essere notificato entro 30 gg dalla sua emanazione, a pena di nullità, al difensore del condannato)
e nel caso quest'ultimo sia già ristretto in carcere, l'ordine viene altresì comunicato al Ministro della
Giustizia.
Numerose MODIFICHE in materia sono state introdotte nel '98, nel 2001 e nel 2010, soprattutto in
materia di sospensione della carcerazione d'ufficio da parte del PM, prima ancora che
l'esecuzione abbia inizio --> attraverso queste innovazioni si è data possibilità al condannato a
pena detentiva non superiore a determinati limiti edittali di accedere alle misure alternative, su
decisione del Tribunale di sorveglianza --> sempre che il condannato non riversi in situazioni
ostative di cui all'art. 656 comma 9 cpp.
--> La sospensione dell'esecuzione non può comunque essere disposta più di una volta.
L'esecuzione dell'ordine di esecuzione di pene detentive può altresì essere ritardata quando si
versi in materia di operazioni investigative sotto copertura.

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ORGANIZZAZIONE PENITENZIARIA E TIPOLOGIA DEGLI ISTITUTI

TITOLO II O.P.
Evoluzione storica: nella precedente legislazione penitenziaria era del tutto assente qualsiasi
differenziazione delle strutture carcerarie basata sulla diversità dei soggetti destinati ad utilizzarle.
Nel XVIII sec. si iniziò a discutere dell'opportunità di separare le varie categorie di detenuti --> le
prime distinzioni avvenute in Italia si sono basate sul sesso o l'età dei condannati oppure in base al
tipo di pena da espiare.
Ad oggi l'art. 59 O.P. e l'art. 8 comma 1 lett. b) d.lgs. 272/89 propongono la prima generale
distinzione:
• l'art. 59 O.P. fa riferimento a istituti penitenziari per adulti che a loro volta si distinguono in 4
categorie:
1. istituti di custodia cautelare
2. istituti per l'esecuzione delle pene
3. istituti per l'esecuzione delle misure di sicurezza
4. centri di osservazione
• l'art. 8.1 lett.b) d.lgs. 272/89 fa riferimento a istituti penali per minorenni

CENTRI DI OSSERVAZIONE: hanno una funzione diversa dagli altri istituti --> svolgono attività di
osservazione scientifica della personalità dei condannati ed eseguono perizie medico-legali sulle
persone sottoposte a procedimento penale. Infine si occupano della ricerca scientifica volta a
definire i criteri e i metodi di osservazione e di trattamento.

GLI ALTRI ISTITUTI (n. 1,2,3): si differenziano in relazione alle diverse finalità del trattamento
penitenziario --> occorre infatti trattare diversamente chi è stato condannato con sentenza
definitiva irrevocabile (la cui colpevolezza è stata dunque accertata), rispetto a chi invece è ancora
soltanto indagato o imputato (in virtù della presunzione di innocenza).

La recente legislazione inoltre da apprezzabile riferimento agli "istituti a custodia attenuata per
detenute madri" e alle "case famiglia protette" che trovano fondamento normativo nell'art. 115
comma 3 reg. esec: sono strutture concepite e modulate per poter sopperire a peculiari esigenze
ritenute, da normative interne ma in primis da normative sovranazionali, meritevoli di essere
obbligatoriamente tutelate anche in fase di privazione della libertà personale --> attraverso un
opportuno adeguamento della disciplina.
ES: art. 285 bis cpp --> se la persona da sottoporre a "custodia cautelare" sia donna incinta o
madre di prole di età non superiore a 6anni, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o
assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, il giudice può disporre la custodia
presso uno dei predetti istituti, ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano.

1. ICAM (istituti a custodia attenuata per detenute madri): unità in genere di piccole
dimensioni, chiuse o semichiuse, dotate di sistemi di sicurezza non riconoscibili dai bambini,
con spazi dedicati alle attività ludiche dei bambini e con personale di polizia penitenziaria
operante senza divisa --> Tramite questi istituti si intende consentire ai bambini figli di detenute
(ma anche di padri detenuti) di trascorrere i loro primissimi anni in un ambiente che non ricordi
il carcere e appaia al minore il più familiare possibile, riducendo così il rischio di insorgenza di
problemi legati allo sviluppo della sfera emotiva e relazionale. Il primo istituto di questo tipo è
stato inaugurato a Milano nel 2006.
2. case famiglia protette: un decreto del 2012 ne definisce le caratteristiche.

GLI ISTITUTI PER L'ESECUZIONE DELLE PENE

Notevoli sono le differenze e le innovazioni apportate all'ordinamento penitenziario nel 1975


rispetto alla precedente disciplina del 1931 (erano previsti numerosi istituti che ora non esistono
più --> es. case di punizione, sanatori giudiziari).

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Attualmente gli istituti per l'esecuzione delle pene si distinguono in 2 sole categorie:
1. case di arresto
2. case di reclusione
--> anche se il C.P. prevede 3 tipi di pene detentive (arresto, reclusione ed ergastolo), l'art. 61 O.P.
evita accuratamente ogni riferimento alla pena dell'ergastolo: il vigente sistema penitenziario si è
infatti adeguato a quanto emerso dalla passata esperienza carceraria, la quale ha dimostrato la
negatività di un raggruppamento di individui tutti sottoposti a pena perpetua.
Inoltre, per quanto riguarda le case di arresto, l'esiguo numero di condannati assegnati a tale
istituto (dovuto ai numerosi provvedimenti legislativi di depenalizzazione e alle misure alternative
applicabili) ne ha comportato la mancata istituzione --> nei rari casi in cui vi sia da scontare la
pena dell'arresto, ci si serve di istituti di custodia cautelare = ovviamente costituisce un'eccezione
alla regola della separazione tra condannati e imputati, imposta da esigenze operative oltre che
dall'assenza di strutture in numero adeguato rispetto alla popolazione carceraria.

PRINCIPI E FINALITÀ DEL TRATTAMENTO PENITENZIARIO

L'espressione "trattamento" non costituisce innovazione della Legge del 1975 --> già nel
regolamento penitenziario del 1931 il termine veniva utilizzato per riferirsi all'insieme delle regole di
condotta da rispettare negli istituti penitenziari.
Nell'ordinamento odierno però, si distinguono due tipi di trattamento:
• trattamento penitenziario inteso in senso ampio e generico
• trattamento rieducativo rivolto solo ai condannati e internati --> species del più ampio genus
"trattamento penitenziario".

L'Art. 1 O.P. ne da una definizione generale: il trattamento penitenziario deve essere conforme a
umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona; inoltre, quando si tratti di
IMPUTATI, deve essere rigorosamente informato alla presunzione di innocenza ex art. 27 Cost.

Art. 1 comma 6 O.P: il trattamento RIEDUCATIVO dei condannati e internati mira a realizzare il
reinserimento sociale degli stessi.

Art. 1 comma 2 reg. esec: il trattamento RIEDUCATIVO dei condannati ed internati:


- consiste nell'offerta di interventi diretti a sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali
- è diretto a promuovere un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti
personali, nonchè delle relazioni familiari e sociali che sono di ostacolo ad una costruttiva
partecipazione sociale.
--> sembra quindi trovare accoglimento la teoria criminologica che intente il "trattamento" =
insieme di regole volte a modificare il quadro etico del reo, a individuare le cause del suo
comportamento anti-sociale e ad eliminarle al fine di adeguare il soggetto al minimo etico, giuridico
e sociale.
Il costante RIAVVICINAMENTO ALLA COLLETTIVITÀ avviene gradualmente attraverso gli
strumenti dell'istruzione, del lavoro, della religione, i contatti con il mondo esterno e le attività
culturali/sportive/ricreative etc.
L'individuazione dei mezzi migliori e più adeguati per garantire la rieducazione e il reinserimento
sociale avviene volta per volta ad personam, attraverso un'attenta considerazione della persona e
dei suoi bisogni --> si parla infatti di "trattamento individualizzato".

SCELTA DELL'ISTITUTO E TRASFERIMENTI

L'INDIVIDUALIZZAZIONE DEL TRATTAMENTO prende le mosse con l'assegnazione di una


specifica struttura carceraria, che prevede una complessa procedura di cui si occupa il
Dipartimento dell'amministrazione penitenziari.
Inizialmente vi è una prima ASSEGNAZIONE PROVVISORIA: a seguito dell'ordine di esecuzione
del PM, il condannato viene provvisoriamente assegnato ad una struttura penitenziaria sita nel
luogo di residenza (vige infatti il criterio della "vicinitas"). Durante il periodo di permanenza nella
struttura provvisoria, il condannato è sottoposto ad osservazione scientifica della personalità
9
per accertare quali sono i suoi bisogni --> l'organo deputato all'osservazione, come abbiamo visto,
è formato dal Direttore dell'istituto, da un educatore, un medico, un rappresentante del personale
della polizia penitenziaria, uno psicologo o psichiatra se necessario e ogni altro soggetto che può
contribuire all'osservazione (es. cappellano).
Entro 9 mesi il gruppo di osservazione valuta il comportamento del detenuto, le sue esperienze
passate, il modo in cui si relazione con il suo vissuto e con la società, nonchè la sua disponibilità a
sottoporsi al trattamento --> giungendo infine a stilare il programma di trattamento
individualizzato, che dovrà essere costantemente aggiornato e dovrà essere approvato con
decreto del Magistrato di sorveglianza --> si tratta di un controllo di mera legittimità.

Questo programma di trattamento individualizzato, una volta approvato, consente


l'ASSEGNAZIONE DEFINITIVA ad un istituto --> non è comunque irrevocabile, possono infatti
essere disposti dei TRASFERIMENTI per i motivi tassativamente indicati all'art. 42 comma 1 O.P:
- studio
- salute
- motivi familiari
--> può anche avvenire un trasferimento d'ufficio, anche contro la volontà del soggetto per "gravi
e comprovati motivi di sicurezza", per "esigenze dell'istituto" o "motivi di giustizia" (da intendersi
come esigenze processuali) --> in questo ultimo caso si tratterebbe comunque di un trasferimento
provvisorio, che prevede il ritorno nell'istituto di provenienza.

L'unico CRITERIO dettato dall'art. 42 comma 2 O.P. per la scelta dell'istituto è che sia favorita il
più possibile l'assegnazione di soggetti in istituti "prossimi alla residenza delle famiglie" -->
in quanto il mantenimento dei contatti con i famigliari è uno degli strumenti che meglio risponde
alla finalità del reinserimento e della risocializzazione.

CONDANNATI e INTERNATI STRANIERI


Il Reg. Esec. prevede che nell'esecuzione delle misure privative della libertà nei confronti di
cittadini stranieri, si deve tener conto delle loro difficoltà linguistiche e delle differenze culturali.
Devono essere favorite le possibilità di contatto con le autorità consolari del loro paese e favorito
l'intervento di operatori di mediazione culturale.
Inoltre, la Convenzione di Strasburgo 1983 consente ai detenuti stranieri in Italia di espiare la pena
nel loro paese di origine.

Disciplina particolare è poi disposta per l'assegnazione dell'istituto, le traduzioni e i trasferimenti


dei COLLABORATORI DI GIUSTIZIA.

L'INGRESSO IN ISTITUTO

Art. 22 re. esec. e art. 94 norme att. cpp: le Direzioni degli istituti hanno l'OBBLIGO di RICEVERE:
• la persona nei cui confronti vi sia un provvedimento dell'autorità giudiziaria o un avviso di
consegna da parte di un ufficiale di polizia giudiziaria
• la persona che spontaneamente si presenti nell'istituto dichiarando di aver commesso un reato
per il quale sia obbligatorio l'arresto in flagranza
• il latitante che si sia sottratto all'esecuzione della custodia cautelare, l'evaso o il condannato in
via definitiva che non sia in grado di produrre copia dell'ordine di esecuzione
• le persone che si costituiscono dichiarando che ciò fanno per dare esecuzione ad un
provvedimento da cui consegue la privazione della libertà.

1. All'atto di ingresso, la Direzione si occupa della perquisizione personale del soggetto, anche
allo scopo di impedire che vengano portati, all'interno dell'istituto, oggetti non consentiti.Gli
oggetti rinvenuti sulla persona che non possono essere lasciati in suo possesso sono
depositati presso la stessa Direzione --> ove non possano essere conservati, sono venduti a
beneficio del soggetto o inviati alla persona da lui designata. Il denaro che appartiene al
soggetto viene versato nella Cassa dell'istituto e accreditato a nome del detenuto stesso.

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2. Dopodiché si procede al rilievo delle impronte digitali.

3. La Direzione deve anche curarsi del fatto che il soggetto sia messo in grado di esercitare la
facoltà di informare immediatamente il coniuge e le altre persone da lui indicate del suo
ingresso.

4. Il soggetto dovrà essere poi sottoposto a visita medica non oltre il giorno successivo.

5. Un esperto dell'osservazione e trattamento effettua un colloquio col detenuto per verificare se


possa affrontare adeguatamente lo stato di restrizione.

6. Tutte le informazioni che vengono raccolte sul detenuto devono essere annotate nell'apposito
registro (nome, luogo e data di nascita, cittadinanza, lingua, stato, domicilio dichiarato o eletto,
il giorno dell'entrata nell'istituto, il provvedimento in forza del quale è stato arrestato, l'autorità a
disposizione della quale si trova il detenuto etc..) --> se l'internato si rifiuta di fornire le sue
generalità, o quando vi siano fondati motivi per ritenere che le generalità fornite siano false, si
identifica provvisoriamente il soggetto come "sconosciuto".

7. Il soggetto deve essere edotto sui motivi della sua restrizione nonchè sulle regole vigenti
all'interno dell'istituto --> gli viene consegnata la "Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e
degli internati", che verrà inoltre portata a conoscenza dei familiari e fornita nella lingua del
detenuto e dispone su:
- vestiario
- igiene personale
- alimentazione
- disciplina sui provvedimenti sanzionatori adottabili e relativi reclami
- principi caratterizzanti il trattamento penitenziario

L'art. 26 reg. esec. istituisce la cartella personale del detenuto, la cui compilazione inizia al suo
ingresso in istituto dallo stato di libertà e che lo accompagnerà nei suoi eventuali spostamenti, fino
a restare custodita nell'archivio dell'istituto dal quale il detenuto viene dimesso. Nella cartella sono
annotate tutte le informazioni sul detenuto, tra cui:
• indicazioni sul trattamento individualizzato
• sullo sviluppo del trattamento e dei suoi risultati
• i provvedimenti del Tribunale e del Magistrato di sorveglianza
• allo scadere di ogni semestre di pena detentiva, viene annotato il GIUDIZIO espresso dalla
Direzione sull'impegno dimostrato dal detenuto, sul mantenimento di rapporti costruttivi con gli
operatori, i compagni, la famiglia e con la comunità esterna.
Infine, il detenuto ha sempre diritto a consultare la propria cartella personale ed ottenere copia dei
provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria in essa contenuti.

CONDIZIONI GENERALI DEL TRATTAMENTO

Per poter intraprendere un recupero sociale del detenuto, in primis sono necessari degli adeguati
edifici carcerari --> Art. 5 comma 1 O.P: gli istituti devono essere realizzati in modo da accogliere
un numero non elevato di detenuti o internati --> previsione che, vista la situazione attuale di
sovraffollamento nelle carceri italiane, è rimasta solo sulla carta.
Inoltre, la CorteEDU, pronunciandosi sul caso Sulejmanovic v. Italia del 2009, ha condannato
l'Italia affermando che se lo Stato non provvede ad assicurare al detenuto la reclusione in uno
spazio sufficiente commette violazione dell'art. 3 CEDU che stabilisce il divieto di pene o
trattamenti inumani e degradanti --> la CorteEDU è poi tornata sul problema condannando
pesantemente l'Italia nel caso Torregiani e altri v. Italia del 2013.
Per SPAZIO SUFFICIENTE si deve intendere "spazio con ampiezza sufficiente, illuminato con luce
naturale o artificiale per consentire le attività lavorative e culturali, areati, riscaldati ove le
condizioni climatiche lo richiedano, dotati di servizi igienici, riservati, decenti e di tipo
razionale" (art. 6 comma 1 O.P.).
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--> in particolare, secondo gli standard utilizzati dalla CorteEdu, ogni detenuto ha diritto a 7mq di
spazio in cella singola e 4,5 mq in quella multipla, con spazio minimo mai comunque inferiore a
3 mq a persona.

--> REAZIONI POLITICHE al sovraffollamento:


• realizzazione di nuove infrastrutture
• ripristino di istituti in disuso
• adozione di misure deflattive come l'amnistia e l'indulto oppure il ricorso a misure alternative alla
detenzione.
--> INTERVENTI EFFETTIVI:
1. L.126/2010 "piano carceri" destinato ad aumentare l''attuale capienza regolamentare degli
istituti.
2. L.199/2010: ha introdotto l'esecuzione della pena presso il domicilio per le pene detentive non
superiori a 12 mesi (limite poi innalzato a 18 mesi)
ALTRE SOLUZIONI PROVVISORIE:
- espulsione dello straniero in alternativa al carcere
- ICAM, case famiglia protette, ICATT (tossicodipendenti).

Il PROBLEMA DEL SOVRAFFOLLAMENTO carcerario italiano continua oggi ad assumere


dimensioni critiche --> è definito lesivo della dignità dei detenuti, se non "doppia pena" da
scontare (Benedetto XVI). Il forte degrado umano che ne consegue trova tragico riscontro anche
nella frequenza delle morti per suicidio che non coinvolgono solo i soggetti ristretti, ma anche il
personale di polizia penitenziaria.

Inoltre l'istituto deve mettere a disposizione del detenuto biancheria, vestiario ed effetti personali in
misura adeguata al variare delle stagioni e delle condizioni climatiche, differenziati per uomini e
donne --> tali da soddisfare le normali esigenze di vita --> si configura così un vero e proprio
DIRITTO del condannato al corredo personale e al vestiario.
I detenuti potranno anche possedere oggetti di particolare valore morale o affettivo, purchè non
abbiano un consistente valore economico e non siano incompatibili con il normale svolgimento
della vita nell'istituto.

Ciò che costituisce una vera e propria EMERGENZA delle carceri italiane è l'igiene personale,
problema non opportunamente affrontato dall'O.P.
L'igiene personale rappresenta un presupposto essenziale della tutela della saluto, ma fa anche
parte di quelle condizioni basilari di vita il cui rispetto realizza il precetto dell'umanizzazione della
pena --> il lasciare l'argomento a discrezione delle singole amministrazioni, non sembra la miglior
soluzione legislativa.
Il Reg. Esec. prevede comunque la possibilità di imporre l'obbligo della doccia, nonchè il taglio dei
capelli e della barba --> per necessità di tutela preventiva della salute di coloro che vivono
all'interno del carcere.

Per quanto riguarda l'alimentazione, l'O.P. dispone che il vitto giornaliero debba essere sano,
sufficiente e adeguato all'età, al sesso, allo stato di salute, al lavoro, alla stagione e al clima. E'
istituita un'apposita "commissione cucina" formata da rappresentanti dei detenuti, che ha il compito
di controllare l'applicazione delle tabelle ministeriali e la preparazione del vitto. Nella formulazione
delle tabelle vittuarie si deve anche tener conto delle diverse fedi religiose.
E' previsto che giornalmente in genere vengano distribuiti 3 pasti agli adulti e 4 pasti ai minorenni.
L'O.P consente anche l'acquisto a proprie spese di generi alimentari e di conforto (c.d. "sopravitto")
presso gli spacci gestiti direttamente dall'amministrazione carceraria.

Per la salvaguardia dell'integrità fisica e morale del detenuto, è poi consentito a chi non presta
lavoro all'aperto, di permanere all'aria aperta per almeno 2 ore al giorno e, salvo eccezioni, in
gruppo.

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MODALITÀ ED ELEMENTI DEL TRATTAMENTO

L'O.P consente ai singoli istituti di ORGANIZZARSI in modo tale da adeguare il trattamento alle
peculiari esigenze dei gruppi di detenuti ed internati ivi specificamente ristretti --> consente quindi
ad ogni singolo istituti di avere un REGOLAMENTO INTERNO, che viene disposto da un'apposita
Commissione ed è redatto nell'osservanza delle direttive impartite dagli Uffici centrali
dell'amministrazione penitenziaria --> acquisisce efficacia una volta approvato con Decreto del
Ministro della Giustizia.
--> per motivi di celerità viene però seguita una diversa procedura: il Provveditore regionale svolge
un primo esame del testo del regolamento e se ravvisa delle previsioni inammissibili o illegittime,
rinvia il testo alla Commissione, altrimenti lo trasmette al Dipartimento dell'amministrazione
penitenziaria che provvederà ad approvarlo.
Nel caso di direttive sopravvenute: le norme del regolamento che non vi sono conformi cessano
di avere applicazione e devono essere modificate entro 20 gg; mentre il regolamento che già ab
initio non osservi le direttive vigenti è da ritenersi inapplicabile.
Una volta approvato il Regolamento diviene il corpus normativo dell'istituto che da specifica
attuazione a quanto stabilito in via generale dall'O.P.e dal Reg. di esecuzione.

L'ISTRUZIONE

Rappresenta tutt'oggi un'importante strumento di risocializzazione.


Regolamento carcerario 1931: l'istruzione era un vero e proprio obbligo e al rendimento del
detenuto si ricollegavano aspetti premiali o punitivi.
--> da allora la materia ha subito un'evoluzione, partita già a livello internazionale, che ha portato
ad oggi a considerare l'istruzione in carcere come facoltativa.
Oggi la Raccomandazione R (2006) 2 prevede che:
• un'attenzione particolare dev'essere posta all'istruzione dei giovani detenuti e a coloro che hanno
bisogni particolari
• deve essere data la priorità ai detenuti che necessitano di alfabetizzazione primaria e a coloro
che mancano di una formazione elementare o professionale
Art. 33 e 34 Cost: fondano l'obbligo per la Repubblica di creare ed organizzare un sistema di
istruzione che si moduli in scuole di ogni ordine e grado.

--> conclusione: la recente normativa individua nell'istruzione uno degli interventi da


obbligatoriamente offrire ai detenuti che, in ogni caso, restano liberi di scegliere se
avvantaggiarsene o meno --> questo in ragione della tutela della LIBERTÀ e RESPONSABILITÀ
del detenuto.
Tuttavia sono previsti una serie di incentivi per incoraggiare i detenuti a scegliere l'istruzione:
- previsto l'esonero dal lavoro per la frequentazione a determinati corsi
- il particolare impegno e profitto dimostrato nei corsi scolastici e di addestramento professionale
è considerato tra i comportamenti meritevoli di ricompensa (es. notevoli agevolazioni di carattere
economico)
- può essere concessa al condannato la semilibertà proprio per poter partecipare ad attività
istruttive
- se il condannato a pena detentiva dimostra impegno nel trarre profitto dalle attività istruttive
offerte nel corso del trattamento, è prevista una detrazione di 45 gg per ogni singolo semestre di
pena scontata.

INNOVAZIONI SOSTANZIALI apportate all'art. 20 O.P:


1. è consentito affidare ad aziende private convenzionate con la Regione la gestione dei corsi
professionali esistenti all'interno dell'istituto
2. è stata estesa la tutela assicurativa e previdenziale prevista per i lavoratori, ai detenuti che
frequentano tali corsi
3. è prevista l'esclusione dai corsi del detenuto che tenga un comportamento inadempiente in
relazione a quelli che sono i suoi compiti --> esclusione che non è comunque irrevocabile.

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Per coloro che vogliono intraprendere gli studi universitari, l'O.P prevede possano essere esonerati
dal lavoro, in considerazione dell'impegno e del profitto dimostrati; inoltre attraverso i permessi-
premio hanno la possibilità di dirigersi verso le Università per conseguire gli esami, laddove non
fosse possibile svolgerli all'interno dell'istituto.

IL LAVORO

Costituisce lo strumento rieducativo su cui il legislatore ha maggiormente puntato per la


realizzazione della risocializzazione del condannato.
E' uno dei principi fondamentali su cui si basa la nostra società (art. 1 e 4 Cost.) e fornisce al
detenuto uno strumento di reinserimento sociale al termine dell'esperienza carceraria, oltre a
permettergli di ricavare un guadagno con cui soddisfare i proprio bisogni in maniera autonoma.

A differenza del passato, non è più considerato uno strumento punitivo --> oggi l'art. 20 comma 2
O.P dichiara che il lavoro penitenziario "non ha carattere afflittivo ed è remunerato" --> anzi, la
gratificazione ottenuta dal lavoro, fa avvertire al detenuto l'utilità del suo impegno e lo proietta
consapevolmente verso il reinserimento sociale.
--> a tal fine è previsto (art. 20 comma 1 O.P.) che negli istituti penitenziari siano favorite la
destinazione dei detenuti al lavoro e la loro partecipazione ai corsi di formazione professionale -->
per incentivare la frequenza dei corsi, è istituita la corresponsione di un sussidio orario e di un
premio finale in caso di esito positivo.

--> il lavoro è obbligatorio solo per condannati, per i sottoposti alla misura di sicurezza della
colonia agricola e della casa di lavoro (e non anche per gli imputati): ciò ribadisce il valore
rieducativo del lavoro proprio verso quei soggetti da "reinserire" nella società, a seguito
dell'espiazione della pena.
Anche in questo caso è prevista l'esclusione dalle attività lavorative per il detenuto che tenga un
comportamento che si risolve nel sostanziale rifiuto dell'adempimento dei suoi compiti.
All'obbligo del detenuto di lavorare, corrisponde un DOVERE dell'amministrazione di assicurare i
necessari posti di lavoro, a parte i casi di oggettiva impossibilità e difficoltà insormontabili.
L'amministrazione deve altresì curare il fatto che l'organizzazione e i metodi del lavoro
penitenziario riflettano quelli del lavoro nella società libera.

Distinguiamo diversi tipi di lavoro:


A. LAVORO INTRAMURARIO: può essere prestato alle dirette dipendenze dell'amministrazione
penitenziaria, oppure è possibile istituire all' interno dell'istituto lavorazioni organizzate e gestite
direttamente da imprese pubbliche o private.
B. LAVORO AUTONOMO: i detenuti possono richiedere di svolgere per proprio conto attività
artigianali, intellettuali o artistiche ove dimostrino di possedere particolari attitudini artigianali,
culturali o artistiche e si dedichino ad esse con impegno professionale.
C. LAVORO A DOMICILIO: è un nuovo tipo di lavoro intramuriario al quale si applicano, in quanto
compatibili, le disposizioni relative allo svolgimento di lavoro autonomo.
D. LAVORO ESTERNO: attraverso questo tipo di lavoro si consente al detenuto di uscire dal
carcere per svolgere attività lavorativa nella società libera --> LIMITAZIONI:
• persone condannate per uno dei delitti ex commi 1, 1ter e 1quater dell'art. 4bis O.P:
l'assegnazione al lavoro esterno può essere disposta solo dopo l'espiazione di almeno
1/3 della pena e di comunque non oltre 5 anni
• condannati all'ergastolo: l'assegnazione può avvenire dopo l'espiazione di almeno 10
anni
• i condannati per evasione o che abbiano subito la revoca di una misura alternativa: non
potranno essere ammessi al lavoro esterno per un periodo di 3 anni dal momento in cui è
ripresa l'esecuzione della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca.
• infine il lavoro esterno non può essere concesso ai condannati per delitti ex comma 1,
1ter e 1 quater dell'art. 4bis O.P, nei cui confronti si procede per un delitto doloso
- punito con la reclusione non inferiore a 3 anni
- oppure commesso da chi è evaso
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- oppure commesso durante il lavoro esterno o la fruizione di un permesso premio
o di una misura alternativa
--> questo divieto opera per 5 anni dal momento in cui è ripresa l'esecuzione della pena o è
stato emesso il provvedimento di revoca della misura.

L'ammissione al lavoro esterno è disposta dal Direttore dell'istituto, previa approvazione del
Magistrato di sorveglianza --> il magistrato svolge un CONTROLLO penetrante: deve tener
conto del tipo di reato, della durata della misura privativa della libertà e dell'esigenza di prevenire il
pericolo che, una volta ammesso al lavoro esterno, il condannato commetta altri reati.
• DOTTRINA: il provvedimento di autorizzazione del magistrato è un provvedimento
giurisdizionale incidente sulla modalità di esecuzione della pena detentiva --> può essere
impugnato per ricorso in Cassazione ex art. 111 Cost.
• GIURISPRUDENZA: il provvedimento di autorizzazione ha solo natura amministrativa --> non è
impugnabile con i mezzi previsti dal cpp.

Una volta rilasciato il provvedimento di assegnazione al lavoro esterno senza scorta,


quest'ultimo dovrà contenere tutte le prescrizioni che il detenuto deve osservare (es. orari di uscita
e rientro).
--> sono previste poi delle forme di controllo: volti a verificare l'osservanza delle prescrizioni
imposte e che il lavoro si svolga nel pieno rispetto dei diritti e della dignità della persona.
Il rapporto di lavoro si configura con un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato ex art.
2094 cc: l'impresa assume quindi veste di datore di lavoro ed è tenuta a versare la retribuzione e a
dimostrare l'adempimento degli obblighi assicurativi e previdenziali.

Nell'assegnazione dei soggetti al lavoro penitenziario si deve prestare attenzione all'equa e


proficua ripartizione delle possibilità occupazionali --> le modalità di ripartizione del lavoro si
devono basare esclusivamente su:
- anzianità di disoccupazione durante lo stato di detenzione
- carichi famigliari
- professionalità
- precedente attività svolte
- attività che potranno svolgere in futuro, una volta dimessi
--> nell'assegnazione del lavoro è garantita l'imparzialità e la trasparenza.

I posti di lavoro a disposizione della popolazione detenuta sono fissati in un'apposita TABELLA -->
se le commesse non sono sufficienti ad assorbire la capacità di manodopera dell'istituto,
l'amministrazione può organizzare e gestire lavorazioni diretta alla produzione e vendita di beni.

I DIRITTI DEL DETENUTO LAVORATORE

Lavoro esterno: il lavoratore detenuto in questo caso esercita i diritti riconosciuti ai lavoratori liberi
(art. 36 Cost, diritto alla retribuzione, art. 40 Cost. diritto di sciopero, ferie etc..) --> con le sole
limitazioni necessarie per l'adempimento degli obblighi inerenti all'esecuzione della misura
privativa della libertà: non può svolgere lavoro notturno, non può essere trasferito etc.

Lavoro intramurario:
- ha diritto ad un orario normale di lavoro, al riposto festivo e alla tutela assicurativa e
previdenziale
- la legge non fa espresso riferimento alle ferie --> la Corte Cost con sent. del 2001 ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale dell'art. 20 comma 17 O.P. nella partein cui non riconosce il diritto al
riposo annuale retribuito al detenuto che presti lavoro alle dipendenze dell'amministrazione
carceraria (violazione art. 36 Cost.)
- anche il diritto di sciopero non è menzionato, ma opinione prevalente è che sia un diritto
riconosciuto anche all'interno del carcere.

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Lavoro autonomo: il detenuto che svolge un lavoro autonomo è titolare di tutti i diritti previsti per i
lavoratori autonomi, tra cui l'iscrizione all'Assicurazione degli artigiani ai fini previdenziali.

--> Aspetto retributivo: mentre in passato una parte della retribuzione doveva essere
necessariamente versata alla Cassa per il soccorso delle vittime del reato, ad oggi l'art. 22 O.P.
prevede che la retribuzione dei detenuti lavoratori "debba essere correlata alla quantità e qualità
del lavoro svolto, all'organizzazione e al tipo di attività svolta e comunque non inferiore ai 2/3 del
trattamento economico previsto dai CCNL"
Dalla remunerazione cosi composta bisogna detrarre gli eventuali assegni famigliari, le somme
dovute a titolo di risarcimento del danno e il rimborso delle spese processuali --> ciò che resta
costituisce il "peculio" che si distingue in:
- peculio vincolato: costituito dal quinto della remunerazione, non può essere utilizzato durante la
detenzione, viene restituito alla dimissione
- peculio disponibile: costituito dalla quota eccedente il quinto della remunerazione; se supera i
1032 euro, la parte eccedente verrà invitata ai familiari o conviventi indicati dal detenuto stesso
o depositata presso un istituto bancario/ufficio postale.

LA RELIGIONE

L'art. 26 O.P. lascia liberi i detenuti di professare la propria fede, di istruirsi in essa, nonchè di
praticarne il culto --> in perfetta aderenza con il dettato costituzionale (art. 19 Cost) che riconosce
la libertà di religione tra i diritti fondamentali.
Al fine di consentire quanto previsto dall'O.P, l'amministrazione ha il DOVERE di predisporre gli
strumenti necessari:
• religione cattolica: ogni istituto è dotato di una o più cappelle e di uno o più cappellani
• culti non cattolici: l'amministrazione deve provvedere a mettere a disposizione locali idonei e si
avvale dell'opera di ministri del culto in questione i cui rapporti con lo Stato italiano sono regolati
con legge, e di quelli indicati dal Ministero dell'Interno.

LE ATTIVITÀ CULTURALI, RICREATIVE E SPORTIVE

Art. 27 O.P: "negli istituti devono essere favorite ed organizzate attività culturali, sportive e
ricreative ed ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti" --> sono
attività utili non solo alla formazione della personalità, ma anche per dare sfogo alla carica di
aggressività che spesso è conseguenza dell'essere sottoposti a restrizione della libertà personale.

Le attività che si possono svolgere non fanno parte di un elenco chiuso, è una lista aperta a
sperimentazione e iniziative varie, la cui direzione può essere affidata a detenuti che abbiano
particolari attitudini a collaborare al buon esito del programma (es. gli vengono affidate mansioni di
animazione nelle attività di gruppo o di assistenza nelle attività di lavoro comune), senza mai
sforare in mansioni che importino una posizione di preminenza sugli altri detenuti.
Il senso di responsabilità che viene dimostrato in queste attività organizzate, viene considerato
elemento di valutazione all'atto della concessione di ricompense --> per contro l'esclusione dalle
stesse costituisce sanzione disciplinare. Il detenuto sospeso da queste attività viene
costantemente sottoposto a controllo sanitario per valutare il suo grado di sopportazione alla
punizione.

I CONTATTI CON IL MONDO ESTERNO

La partecipazione della comunità esterna all'azione rieducativa


L'O.P è incentrato sul "modello partecipativo", il quale mira a superare l'idea tradizionale del
carcere come istituzione volta a segregare ed emarginare i detenuti dalla società per tutto il tempo
della detenzione --> d'altra parte il fine ultimo del trattamento rieducativo è il reinserimento sociale
e il modo migliore per farlo è proprio quello di non troncare nettamente i rapporti con l'esterno.

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Una delle modalità per non interrompere i rapporti con la società libera, è far partecipare privati e
istituzioni o associazioni pubbliche o privati all'azione rieducativa (così come previsto dall'art. 32
delle Regole minime per il trattamento dei detenuti e dall'art. 7 delle Regole penitenziarie europee).
Chi si occupa della partecipazione della comunità al reinserimento del condannato è la Direzione
dell'istituto e la Direzione del centro servizio sociale.
Le aree in cui l'intervento della comunità esterna può esplicarsi sono indicate genericamente -->
potranno quindi investire ad es. l'animazione culturale, ricreativa e sportiva.
In ogni caso, occorre considerare l'opera prestata dalla comunità esterna come integrativa di
quella svolta dagli operatori penitenziari --> quindi le attività svolte dai privati e dalle associazioni
dovranno essere armonizzate con il programma di trattamento individualizzato di ogni singolo
detenuto.

La stampa e gli altri mezzi di informazione


L'O.P riconosce ai detenuti la possibilità di tenere presso di sè quotidiani, periodici e libri in libera
vendita all'esento, senza alcuna censura preventiva. Il Direttore può anche autorizzare l'uso di PC
e simili per motivi di lavoro o di studio.

I rapporti e i colloqui col difensore


Art. 24 comma 4 Cost: "la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento".
Se l'art. 104 cpp assicura all'IMPUTATO detenuto il diritto a conferire col difensore, manca invece
una norma che in maniera analoga, riconosca il diritto al colloquio con il difensore al
CONDANNATO --> il caso rimane quindi disciplinato dall'art. 18 O.P. in base al quale il colloquio
col difensore dovrebbe essere ricondotto ai colloqui con le altre persone e, di conseguenza,
sarebbe necessario un provvedimento di autorizzazione del Direttore --> ma non si può
lasciare alla discrezionalità dell'amministrazione la possibilità di limitare un diritto
costituzionalmente garantito come quello della difesa.
La Corte Cost con sentenza del 1997 ha infatti dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18
O.P. proprio nella parte in cui non prevede che il detenuto condannato in via definitiva abbia diritto
di conferire col difensore fin dall'inizio dell'esecuzione della pena e senza alcuna valutazione
discrezionale dell'amministrazione --> il colloquio col difensore diviene quindi un vero e proprio
DIRITTO e non più una mera concessione.

Per i soggetti sottoposti al trattamento differenziato di cui all'art. 41bis O.P, sono previsti dei LIMITI
anche per i colloqui con i difensori: max 3 volte a settimana.

I colloqui e i rapporti con la famiglia


Art. 28 O.P: "particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei
detenuti e degli internati con le famiglie" --> là dove esistano, occorre mantenerli per evitare che
l'esperienza carceraria li distrugga; se invece questi rapporti sono già precari, l'amministrazione
dovrà indirizzare i suoi sforzi verso un loro miglioramento. Quando infine, detti rapporti siano
completamente assenti, compito dell'amministrazione sarà quello di ristabilirli.
La cura richiesta all'amministrazione riguardo ai rapporti famigliari è indirizzata a rendere meno
traumatica possibile la fase del distacco dal proprio nucleo famigliare, ma anche la fase del rientro
dopo un lungo periodo di detenzione.
STRUMENTI posti dal legislatore per il mantenimento delle relazioni parentali:
- assegnazione di un istituto il più possibile vicino alla famiglia
- colloqui
- corrispondenza epistolare e telefonica
- permessi
Per quanto concerne i colloqui, l'art. 18 O.P dispone: "i detenuti e internati sono ammessi ad
avere colloqui e corrispondenza con i congiunti e con altre persone, non chè con il garante dei
diritti dei detenuti, anche al fine di compiere atti giuridici" --> particolare favore viene accordato ai
colloqui con i familiari, in quanto il colloquio = è mezzo principale di contatto tra il detenuto e i
propri familiari.
--> sono ammesse al colloquio anche persone terze alla famiglia, ma in questo caso devono
ricorrere ragionevoli motivi.
17
Il favor accordato ai colloqui trova ragione nel fatto che sono strumenti di partecipazione della
comunità esterna all'azione rieducativa.

L'O.P parla indistintamente di "coniugi e familiari", mentre il Reg. Esec. menziona "coniugi e
conviventi": questo potrebbe far pensare che la nozione di "FAMIGLIA" tenuta presente
dall'attuale O.P. comprende oltre quella legittima, anche quella "allargata" (comprensiva anche
degli affini) e "di fatto" (basata sulla convivenza more uxorio) --> a riguardo bisogna comunque
tener conto di quanto espresso da una Circolare del Dipartimento dell'amministrazione
penitenziaria, la quale adotta una nozione ampia di famiglia = "tutti coloro che sono legati da
vincoli di coniugio, parentela o affinità entro il 4 grado".

La possibilità di avere un colloqui è subordinata all'emissione di permessi che lo autorizzino --> le


Autorità competenti a rilasciare l'autorizzazione sono:
• imputato --> Autorità giudiziaria
• condannato --> Direttore dell'istituto: la scelta di affidare questo compito alla discrezionalità
dell'amministrazione è dettata dall'esigenza di provvedere celermente e di non appesantire i
compiti della magistratura di sorveglianza --> ma non è esente da dubbi circa la compatibilità col
dettato costituzionale all'art. 15 (libertà e segretezza della corrispondenza).
--> riguardo all'impugnabilità del provvedimento che neghi il permesso al colloquio, dato che ha
natura amministrativa, non è riconosciuta alcuna tutela in tal senso --> la Cassazione a riguardo ha
stabilito che un'interpretazione costituzionalmente orientata impone di ritenere che i provvedimenti
in tema di colloqui siano impugnabili dinanzi al magistrato di sorveglianza.

Il colloquio si svolge in locali appositi comuni e interni, senza mezzi divisori, o in spazi all'aperto
appositamente destinati --> per ragioni sanitarie o di sicurezza può essere disposto che si svolga
in locali interni e muniti di mezzi divisori.
In ogni caso, si svolgono sotto il controllo a vista e NON auditivo della polizia penitenziaria.
Le persone ammesse al colloqui sono identificate e sottoposte a controllo, al fine di garantire che
non siano introdotti nell'istituto strumenti pericolosi o atti ad offendere.
Numero dei colloqui: in genere sono concessi 6 colloqui al mese --> eccezioni:
- detenuti per uno dei delitti ex 1 comma art. 4bis O.P (accertata pericolosità sociale): non più di 4
al mese
- detenuti sottoposti al regime ex art. 41bis O.P (situazioni di emergenza): 1 colloquio al mese, da
svolgere ad intervalli regolari ed in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti;
obbligatorio il controllo auditivo, la registrazione e la videoregistrazione; ha durata massima di 1
ora, ma in circostanze particolari può essere concessa una durata maggiore con i congiunti e i
conviventi --> in questo caso il provvedimento di autorizzazione al colloqui deve essere
"adeguatamente motivato".
In via generale comunque l'art. 61 comma 2 O.P prevede ulteriori possibilità di incrementare il
numero dei colloqui per tutti i detenuti, senza porre limiti numerici --> sempre al duplice scopo di
mantenere o ristabilire i rapporti con i familiari e favorire il reinserimento sociale.
L'art. 18 comma 1 O.P, innovato dalla L. 14/2009, oggi prevede poi la possibilità per i detenuti e gli
internati di avere colloqui con il garante dei diritti dei detenuti --> il quale può effettuare visite
senza autorizzazione al pari del Presidente del Consiglio, Presidente e giudici della Corte Cost,
ministri, Sottosegretari di Stato, membri del Parlamento, componenti del CSM e altre autorità civili
ed ecclesiastiche indicate nell'art. 67 O.P.

La corrispondenza
L'amministrazione deve mettere a disposizione di coloro che ne siano sprovvisti, gli oggetti di
cancelleria necessari per la corrispondenza.
Corrispondenza in busta chiusa: è sottoposta ad ispezione, ma sono vietati i controlli sul contenuto
scritto (si violerebbe l'art. 15 Cost.) --> l'attuale art 18 ter O.P, è stato introdotto nel 2004 a seguito
di un adeguamento alla giurisprudenza della CorteEDU che in materia aveva condannato l'Italia
diverse volte. Ora, i controlli e le limitazioni ammesse sono 3:
1. limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa
2. sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo
18
3. controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della
medesima
--> finalità legittimanti le limitazioni:
• esigenze attinenti le indagini investigative o di prevenzione dei reati
• ragioni di sicurezza o di ordine dell'istituto
--> ci sono però corrispondenze immuni da tali limitazioni e controlli: come quelle che sono
destinate o provengono da difensori, investigatori privati e consulenti tecnici, autorità giudiziaria e
altri tipi di autorità.
Procedimento di controllo: prende avvio dalla richiesta del PM o dalla proposta del Direttore
dell'istituto e richiede l'emissione di un decreto motivato il quale dovrà essere adottato dal
Magistrato di sorveglianza.

Se a seguito del visto di controllo l'autorità ritenga che la corrispondenza non debba essere
consegnata o inoltrata al destinatario, dispone che la stessa sia trattenuta (pre-sequestro) e il
detenuto ne viene subito informato.
Garanzie:
- possibilità di proporre reclamo al Tribunale di sorveglianza ex art. 14ter O.P., se il provvedimento
è stato emesso dal Magistrato di sorveglianza
- avverso l'ordinanza pronunciata all'esito del reclamo è ammesso il ricorso per cassazione
- l'apertura delle buste deve avvenire in presenza del detenuto
--> Cassazione: è illegittimo il controllo occulto della corrispondenza --> non è infatti applicabile
alla stessa la disciplina delle intercettazioni ex artt. 266 e ss cpp --> quindi per la sottoposizione a
controllo e l'utilizzazione probatoria del contenuto epistolare si devono seguire le forme del
sequestro di corrispondenza ex artt. 254 e 353 cpp, nonché le formalità ex art. 18ter O.P.

Il carattere tassativo dell'elencazione legislativa e regolamentare induce ad escludere la possibilità


di usare mezzi di comunicazione diversi (es. mail).

Sono invece ammesse espressamente le corrispondenze telefoniche:


• escluse le telefonate dall'esterno per il detenuto --> l'interessato avrà solo notizia del nominativo
della persona che ha chiamato (sono invece ammesse le telefonate tra congiunti o conviventi
entrambi detenuti)
• ammesse le telefonate del detenuto verso l'esterno --> una volta a settimana, con i congiunti, i
conviventi e altre persone se sussistono ragionevoli motivi. Detenuti per uno dei delitti ex art.
4bis 1 comma O.P: massimo 2 telefonate al mese --> deroghe:
- motivi di urgenza o di particolare rilevanza
- rapporti con figlio minore di 10 anni
- trasferimento del detenuto
--> durata: 10 min.
Anche le telefonate possono essere sottoposte a controlli: laddove è disposto il visto di controllo
sulla corrispondenza epistolare, sarà prevista anche la registrazione delle telefonate -->
registrazione sempre prevista per i detenuti che hanno commesso uno dei reati ex art. 4bis O.P.

Le visite e l'accesso agli istituti. I colloqui investigativi


Art. 18bis O.P: prevede colloqui ai fini investigativi e attribuisce ai soggetti ivi indicati la facoltà di
"visitare" gli istituti senza autorizzazione --> la norma sembra non distinguere adeguatamente i due
istituti del colloquio e della visita --> nella normativa non ci sono definizioni chiare di "visite",
"accessi" e "colloqui" tali da individuare una distinzione netta tra i vari istituti, comportando
un'inevitabile confusione e distorsione nelle applicazioni della prassi.
Queste facoltà di visita consentono a determinate categorie di soggetti indicati nell'art. 67 comma 1
O.P. (soggetti che ricoprono alte cariche istituzionali, i garanti dei diritti dei detenuti, i ministri del
culto etc..) di verificare il rispetto della legalità e ce lo stato detentivo attuato dai singoli istituti
sia conforme al fine rieducativo della pena, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali ed inviolabili
dell'uomo --> le visite, inoltre, si devono svolgere nel pieno rispetto della personalità dei detenuti
ed internati --> DIVIETO:
• di fare osservazioni sulla vita dell'istituto in presenza dei detenuti
19
• di trattare con imputati argomenti relativi al processo penale in corso

COLLOQUI INVESTIGATIVI:
rappresentano un valido strumento di lotta alla criminalità --> grazie ad essi i soggetti titolari di
funzioni di indagine ed investigazione, possono avere rapporti diretti con i detenuti che, avendo
fatto parte di associazioni criminali malavitose, possono fornire informazioni sull'organizzazione dei
clan --> incentivano la collaborazione con la giustizia.
Scopo = acquisire informazioni utili per la prevenzione e repressione dei delitti di criminalità
organizzata.
I soggetti che ricoprono funzioni di indagine e investigazione (personale della Direzione
Investigativa Antimafia, dei servizi centrali e provinciali, ufficiali di polizia giudiziaria):
- hanno facoltà di visitare gli istituti senza necessità di alcuna autorizzazione
- possono avere colloqui personali con i detenuti e internati, previa autorizzazione del Ministro
della Giustizia e, nel caso di persone sottoposte ad indagini, dal PM.
--> in casi di particolare urgenza non è richiesta autorizzazione e del colloquio deve essere
data immediata comunicazione al Ministro della Giustizia.
--> l'autorizzazione non è invece mai richiesta per il Procuratore Nazionale Antimafia
--> i colloqui investigativi si devono DISTINGUERE dai colloqui in genere, in quanto non sono da
ricomprendere nelle forme di contatto col mondo esterno --> non hanno valenza in ordine
all'opera di rieducazione, in quanto adempiono prettamente ad uno scopo di indagine sui crimini
associativi di particolare allarme sociale.

I PERMESSI DI NECESSITA'

Permesso = strumento attraverso il quale si consente al detenuto di trascorrere un breve periodo


di tempo nell'ambiente libero, con l'obbligo di rientro in istituto alla scadenza del termine.
Il permesso di necessità è stato introdotto con la riforma penitenziaria del 1975, ma gli fu attribuito
un ambito di applicazione molto ristretto, in virtù del momento storico di particolare allarme
sociale, nonché successivamente in virtù dell'esperienza dei primi anni di applicazione dell'istituto,
durante i quali si sono verificate molte evasioni.
Oggi, l'O.P. prevede che i permessi di necessità sono concessi sia ai condannati che agli imputati
in soli 2 casi:
1. imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente
2. eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravità
L'autorità competente alla concessione del permesso di necessità è il Magistrato di sorveglianza
per il condannato/internato, oppure l'autorità giudiziaria che dispone del processo nel casi di
imputati --> il suo compito è quello di:
- accertare la pericolosità della persona destinata a fruire del permesso --> qualora emergano
elementi che possano far dubitare sullo spontaneo rientro o sulla commissione di reati, è
possibile la concessione del permesso con la SCORTA
- assumere informazioni sulla sussistenza dei motivi addotti.
--> PROBLEMI di COMPETENZA nel caso in cui l'interessato sia detenuto nella duplice veste di
condannato e imputato --> Cassazione: 2 orientamenti contrastanti:
A. da un lato ha ritenuto sufficiente la pronuncia del solo giudice di cognizione --> perchè
prevalgono le esigenze di cautela connesse al procedimento di cognizione pendente
B. dall'altro lato ha ritenuto la necessità di una doppia pronuncia: il magistrato di
sorveglianza dovrà basarsi sulla condotta tenuta in carcere; il giudice di cognizione
dovrà invece basare la propria decisione sulle esigenze connesse al processo in corso.
Durata massima = 5 giorni (oltre al tempo necessario per raggiungere il luogo e per fare ritorno in
istituto).
DETENUTO:
• ritarda il rientro senza giustificato motivo per più di 3 ore ma meno di 12 --> punizione
disciplinare
• ritarda il rientro per oltre 12 ore --> denuncia di evasione
INTERNATO:
• ritarda il rientro di oltre 3 ore --> punizione disciplinare
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• ritarda di più di 12 ore --> la misura di sicurezza ricomincia a decorrere per intero
Il provvedimento di concessione o revoca del permesso può essere soggetto a reclamo entro 24
ora dalla comunicazione dello stesso, al Tribunale di sorveglianza nel caso di condannati, alla
Corte d'Appello in caso di imputati.
--> Orientamento giurisprudenziale attuale: il permesso è una misura che incide sulla libertà
personale --> di conseguenza tutelabile ex art. 111 comma 7 Cost. mediante ricorso in
Cassazione.

I PERMESSI PREMIO

Art. 30ter O.P. introdotto a seguito della Riforma Gozzini 1986.


I permessi premio sono parte integrante del programma di trattamento --> consentono un
iniziale reinserimento del condannato nella società --> per questo motivo la loro concessione
dipende esclusivamente dalla valutazione del comportamento del detenuto nel corso
dell'espiazione della pena.
Può essere concesso solo ai CONDANNATI e in particolare (art. 30ter comma4):
• lett. A: in caso di condanna alla pena dell'arresto o della reclusione non superiore a 4 anni: può
essere concesso in qualsiasi momento dell'esecuzione
• lett. B: in caso di condanna alla pena della reclusione per più di 4 anni: può essere concesso
dopo l'espiazione di almeno 1/4 della pena
• lett. C: condannati per i delitti ex art. 4bis comma 1, 1ter e 1 quater O.P: può essere concesso
dopo l'espiazione di almeno metà della pena e comunque non oltre i 10 anni.
• lett. D: condannati all'ergastolo: espiazione di almeno 10 anni di detenzione
--> art. 30 quater O.P si occupa dei permessi per i recidivi:
- espiazione di almeno 1/3 della pena per l'ipotesi di cui alla lett. A
- espiazione di almeno metà della pena nell'ipotesi di cui alla lett. B
- espiazione di almeno 2/3 e comunque non oltre i 15 anni nelle ipotesi di cui alle lett.C e D.

--> per i soggetti che hanno riportato condanna o sono imputati per delitto doloso commesso
durante l'espiazione della pena o l'esecuzione della misura restrittiva alla libertà personale: la
concessione è ammessa solo decorsi 2 anni dalla commissione del fatto.

--> per i soggetti condannati per i delitti di cui agli artt. 289bis (sequestro di persona a scopo di
terrorismo o di eversione) e 630 cp (sequestro di persona a scopo di estorsione), che abbiano
cagionato la morte del sequestrato: devono espiare almeno 2/3 della pena o, nel caso
dell'ergastolo, almeno 26anni.

Per poter autorizzare la concessione, il Magistrato di sorveglianza deve accertare la sussistenza


di 3 requisiti:
1. che il condannato abbia tenuto "regolare condotta" = ha manifestato costante senso di
responsabilità e correttezza nello svolgimento delle attività --> determinante in tal caso il parere
obbligatorio, ma non vincolante, del Direttore dell'istituto.
2. che il condannato non risulti socialmente pericoloso
3. che il permesso consenta di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro --> finalità cmq non
tassativamente tipizzate

Il provvedimento di concessione è soggetto a reclamo al Tribunale di sorveglianza.


Durata: non può superare i 45 giorni nell'ambito di ogni anno di espiazione della pena; ogni
singolo permesso non può avere durata superiore a 15 giorni.
--> minorenni: non più di 20 giorni a permesso e non più di 60 giorni la durata complessiva
annuale.
--> il tempo occorrente per raggiungere il luogo di fruizione e per il rientro in istituto non è aggiunto
alla durata del beneficio, ma è in essa compreso.
Per i casi in cui il detenuto non rientri in istituto --> si applica la stessa normativa prevista per i
permessi di necessità.

21
Il tempo trascorso in permesso è computato ad ogni effetti nella durata delle misure restrittive della
libertà personale --> tranne nei casi di mancato rientro.

Concessione VIETATA (art. 58quater O.P):


• al condannato che ha commesso reato di evasione
• al condannato nei cui confronti è stati disposta la revoca di una misura alternativa
• ai condannati per taluni dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1quater dell'articolo 4-bis, nei cui
confronti si procede o è pronunciata condanna per un delitto doloso punito con la pena della
reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, commesso da chi ha posto in essere una
condotta punibile a norma dell'articolo 385 del codice penale (evasione) ovvero durante il lavoro
all'esterno o la fruizione di un permesso premio o di una misura alternativa alla detenzione.

Perché i permessi non sono previsti per gli imputati e gli internati:
Imputati: le esigenze alle quali è preordinato il permesso premio possono tranquillamente essere
soddisfatte dalla normativa del cpp in tema di misure cautelari diverse e alternative alla custodia
cautelare in carcere.
Internati: analoghe esigenze possono essere soddisfatte dall'istituto delle LICENZE ex art. 53
O.P. --> anch'esse sono computare nella durata della pena.

CONDIZIONI DI SALUTE, TUTELA DEL RAPPORTO CON I FIGLI e REGIME DETENTIVO

Art. 146 cp "rinvio OBBLIGATORIO dell'esecuzione della pena":


dispone il differimento obbligatorio della pena, che non sia pecuniaria, nei confronti di donna
incinta, di madre di prole con età inferiore ad 1 anno, persona affetta da AIDS conclamata o da
grave deficienza immunitaria accertate, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto
della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione.

Art. 147 cp "rinvio FACOLTATIVO dell'esecuzione della pena":


l'esecuzione della pena può essere differita nel caso di persona che si trovi in condizioni di grave
infermità fisica, o di madre con prole di età inferiore a 3 anni.

Art. 148 cp "infermità psichica sopravvenuta":


dispone che, se prima dell'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale o durante
l'esecuzione, sopravviene al condannato un'infermità psichica, il giudice può ordinare che questa
sia differita o sospesa e che il condannato venga ricoverato di un ospedale psichiatrico giudiziario
oppure in una casa di cura o custodia, qualora ritenga che l'infermità psichica sia tale da impedire
l'esecuzione della pena.
--> caso Cara-Damiani v. Italia del 2012: se necessario bisogna sospendere l'esecuzione della
pena, altrimenti si incorrerebbe in un trattamento inumano e degradante (violazione art. 3 CEDU)

Rapporto genitori detenuti - figli minori:


Art. 21bis O.P "assistenza all'esterno dei figli minori"
le condannate ed internate possono essere ammesse alla cura e all'assistenza all'esterno dei figli
di età non superiore agli anni 10, alle condizioni previste dall'art. 21 O.P. (lavoro esterno) -->
stessa possibilità è concessa al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi
è modo di affidare la prole ad altri che al padre.

Art. 21ter O.P - visite al minore infermo:


comma1: in caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del figlio minore, la
madre o il padre condannati/imputati/internati, sono autorizzati con provvedimento del magistrato
di sorveglianza, o in caso di urgenza, del Direttore dell'istituto, a recarsi a visitare l'infermo.

comma2: la madre o il padre di bambino di età inferiore a 10 anni, condannati/imputati/internati,


sono autorizzati con provvedimento del giudice competente non oltre 24 ore precedenti alla data
della visita e con le modalità dallo stesso stabilite, ad assistere il figlio durante le visite
specialistiche, relative a gravi condizioni di salute.
22
DETENZIONE DOMICILIARE

Art. 47 ter O.P.


Comma 01: "La pena della reclusione per qualunque reato, ad eccezione di quelli previsti dal
libro II, titolo XII, capo III, sezione I, e dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice
penale, dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e dall'articolo 4-bis della
presente legge, puo' essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura,
assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che, al momento dell'inizio dell'esecuzione
della pena, o dopo l'inizio della stessa, abbia compiuto i settanta anni di eta' purche' non sia
stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ne' sia stato mai condannato
con l'aggravante di cui all'articolo 99 del codice penale".

Comma 1: la pena della reclusione non superiore ai 4 anni, nonchè la pena dell'arresto, possono
essere espiate nella proria abitazione o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo pubblico di
cura, assistenza o accoglienza, ovvero in case famiglia protette quando trattasi di:
• donna incinta
• madre di prole di età inferiore a 10 anni con lei convivente
• padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore a 10 anni con lui convivente quando la madre
sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole
• persona in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedano costanti contatti con i presidi
sanitari
• persona di età superiore a 60anni, se inabile anche parzialmente
• persona minore di anni 21 per comprovate esigenze di salute, studio, lavoro e famiglia.

Comma 1ter: il condannato per il quale sia disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo
dell'esecuzione, può subire le limitazioni implicite nell'applicazione della detenzione domiciliare.

Art. 47quater O.P. "misure alternative alla detenzione nei confronti dei soggetti affetti da
Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria"
consente di concedere le misure alternative dell'affidamento in prova e della detenzione
domiciliare anche oltre i limi di pena previsti, quando riguardano soggetti affetti da AIDS
conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate e che abbiano in corso o che intendano
intraprendere un programma di cura e assistenza presso i presidi sanitari indicati dal 1 comma
dello stesso articolo --> in questo caso l'istanza dell'interessato deve essere accompagnata da
certificazione del servizio sanitario pubblico competente o del servizio sanitario penitenziario.

Art. 47quinquies O.P. "DETENZIONE DOMICILIARE SPECIALE"


comma 1: quando non ricorrono le condizioni di cui all'art. 47ter relativo alla detenzione
domiciliare, le condannate madri di prole di età non superiore a 10anni, se non sussiste un
concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la
convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella proprio abitazione o in
altro luogo (...) al fine di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli, dopo l'espiazione di
almeno 1/3 della pena ovvero dopo l'espiazione di almeno 15anni nel caso di condanna
all'ergastolo.

comma 1bis: salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell'art.
4bis O.P., l'espiazione di almeno 1/3 della pena o di almeno 15anni prevista dal precedente
comma, può avvenire presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ovvero, se non
sussiste concreto pericolo di commissione di ulteriori reati o di fuga, nella propria abitazione, o in
altro luogo (...) al fine di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli.

--> Il PM e la polizia giudiziaria possono controllare, anche di propria iniziativa, l'osservanza delle
prescrizioni imposte in materia di arresti domiciliari.

--> la detenzione domiciliare speciale può essere concessa anche aI PADRI DETENUTI, se la
madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che il padre.
23
CAPITOLO IV: LA SICUREZZA E LA DISCIPLINA PENITENZIARIA

L'ART. 90 O.P. E L'ISTITUZIONE DELLE CARCERI DI MASSIMA SICUREZZA

La riforma penitenziaria del 1975 si pone in un'ottica fortemente innovativa, con la quale si
intendeva superare l'impostazione di segno prevalentemente custodialistico e retributivo che aveva
caratterizzato la fase dell'esecuzione nel precedente ordinamento del 1931
--> in questa prospettiva la nuova legge assumeva come PRINCIPIO ISPIRATORE la funzione di
rieducare il condannato attraverso la risocializzazione --> MA la netta prevalenza di norme
diretta a realizzare questa finalità, lasciava nell'ombra l'esigenza, anch'essa fondamentale, di
garantire l'ordine e la sicurezza all'interno degli istituti --> si venne a creare quindi un forte
SQUILIBRIO che doveva poi confrontarsi con l'inevitabile presenza, all'interno delle carceri, di
detenuti refrattari a qualsiasi trattamento di tipo riabilitativo e per i quali era necessario delineare
un regime idoneo a neutralizzarne la pericolosità.

La soluzione normativa adottata per affrontare la questione dei "detenuti difficili" è stata quella di
prevedere l'assegnazione ed il raggruppamento degli stessi presso appositi reparti all'interno degli
istituti penitenziari, al fine di realizzare la necessaria separazione dagli altri detenuti, nella
prospettiva di applicare loro un efficace trattamento differenziato.
--> il sistema così delineato per la salvaguardia delle esigenze di ordine e sicurezza all'interno
delle carceri, risultava però vago e lacunoso, risolvendosi, nei fatti, in una vera e propria DELEGA
IN BIANCO alla discrezionalità dell'amministrazione penitenziaria --> mentre una disciplina
specifica veniva prevista per fronteggiare situazioni di particolare allarme ed emergenza.

Stabiliva l'ABROGATO ART. 90 O.P:


"quando ricorrono gravi ed eccezionali motivi di ordine e di sicurezza, il Ministro per la Grazia e
Giustizia ha la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, l'applicazione in uno o più istituti
penitenziari, per un periodo determinato, strettamente necessario, delle regole di trattamento e
degli istituti previsti dalla legge che possono porsi in contrasto con le esigenze di ordine e
sicurezza"
--> era stato introdotto come norma di chiusura, a seguito del crescente allarme sociale
determinato in quegli anni dall'incontrollata espansione del terrorismo --> lo scarno dibattito
parlamentare dimostra che si è proceduto in assenza di meditate valutazioni sui suoi potenziali
riflessi negativi --> era una norma troppo generica.
Inoltre, il riferimento ad ipotesi eccezionali ha comportato, per un certo periodo, una sostanziale
inutilizzazione della norma.
Nel periodo successivo all'approvazione della riforma, peraltro, lo stato di emergenza determinato
dalla diffusione di fenomeni eversivi ha spinto il Parlamento e il Governo a procedere ad un rapido
adeguamento del sistema penitenziario, in linea con le esigenze di maggior sicurezza, attraverso
l'istituzione delle CARCERI SPECIALI o di massima sicurezza:
• peculiari criteri architettonici ed organizzativi
• maggior severità delle condizioni di vita carceraria, finalizzate alla neutralizzazione dei detenuti
pericolosi.
--> solo dopo l'istituzione di queste carceri speciali, si è assistito ad un massiccio ricorso ai decreti
di applicazione dell'art. 90 O.P, con i quali si forniva legittimazione all'adozione dello speciali
regime differenziano nei confronti dei soggetti ritenuti pericolosi.

Il nuovo meccanismo risultava però in contrasto sia con le prescrizioni della normativa, sia con
importanti principi costituzionali:
1. i presupposti di applicazione dell'art. 90 finivano per dipendere esclusivamente dalla
discrezionalità dell'amministrazione --> quest'ultima era abilitata a trasferire in istituti di
massima sicurezza anche detenuti privi delle caratteristiche di pericolosità richieste
2. la carenza di strutture di massima sicurezza comportava l'estensione della disciplina dell'art. 90
anche ad altre carceri in cui erano ristretti soggetti pericolosi --> determinando una
generalizzazione del regime restrittivo speciale, in palese contrasto con l'individualizzazione
del trattamento
24
--> il regime di massima sicurezza instaurato dall'amministrazione collideva con i principi di
legalità e giurisdizionalità imposti dall'art. 13 comma 2 Cost. per ogni tipo di detenzione (dunque
anche per il regime di privazione della libertà personale a contenuto strutturalmente differenziato).

LA RIFORMA GOZZINI

L. 663/1986 "legge Gozzini" nasce da una nuova stagione riformatrice, dopo il decennio seganto
dall'eversione e dal terrorismo.
L'impianto della nuova normativa cerca di coniugare le contrastanti esigenze di sicurezza interna
ed esterna degli istituti di pena e della progressiva proiezione del trattamento individualizzato oltre
le mura penitenziarie.
• abrogazione art. 90 O.P. e sua sostituzione con art. 41bis O.P: conferisce al Ministro un nuovo
strumento per sospendere le ordinarie regole di trattamento in istituto o in parte di esso, per gravi
esigenze di ordine e sicurezza pubblica
• introduzione dell'art. 14bis O.P: disciplina un regime particolare di sorveglianza, commisurato ai
parametri di "pericolosità penitenziaria" dei detenuti.

IL REGIME DI SORVEGLIANZA PARTICOLARE

art. 14bis O.P.


1. la nuova disposizione prevede forme di restrizione calibrate individualmente sul singolo
detenuto e commisurate al suo grado di pericolosità --> "pericolosità penitenziaria": è la
pericolosità che si riferisce ai comportamenti e alle turbative accertate all'interno della comunità
carceraria, in contrasto con le condizioni minime di sicurezza necessarie per la realizzazione
delle finalità del trattamento dei detenuti e degli internati.
2. all'ampio margine di discrezionalità che caratterizzava i presupposti applicativi dell'art. 90, è
sostituita un'espressa elencazione legislativa dei comportamenti in grado di evidenziare
una specifica pericolosità penitenziaria del detenuto.
3. sono stati tipizzati i contenuti del trattamento restrittivo da applicare ai detenuti pericolosi,
colmando così una lacuna rilevante della Legge del 1975 --> soluzione adottata = passare
dalla differenziazione degli istituti, alla differenziazione del regime personale.

--> Stabilisce infatti l'art. 14quater comma 5 O.P: se tale regime non risulta attuabile nell'istituo in
cui il detenuto o internato si trova, l'amministrazione penitenziaria può disporre, con provvedimento
motivato, il trasferimento in un altro istituto reputato idoneo, con il minimo pregiudizio per la difesa
e i familiari, dando immediato avviso al magistrato di sorveglianza.
--> CRITICA: i trasferimenti rappresentano uno strumento segnato da un alto grado di
discrezionalità dell'amministrazione e da una inadeguata rete di garanzie per il soggetto
sottoposto al provvedimento --> l'amm. penitenziaria infatti opera attraverso provvedimento
motivato MA detto provvedimento non è suscettibile di reclamo, spettando al magistrato di
sorveglianza solo il potere di riferire sull'eventuale infondatezza dei motivi di trasferimento al
ministro.

--> PROBLEMA: una politica mirata di trasferimenti può eludere le complesse procedure previste
per la sorveglianza particolare, oltre le relative forme di controllo giurisdizionale --> comportando
un'applicazione indiscriminata e non selettiva degli interventi di restrizione negli istituti penitenziari.

PRESUPPOSTI:
la sorveglianza particolare può essere applicata solo sulla base di determinati comportamenti
che evidenzino una PERICOLOSITÀ per l'ordine e la sicurezza penitenziaria.
--> il regime di sorveglianza particolare, pur essendo costituito da misure restrittive dei diritti dei
detenuti, non può essere inquadrato tra le misure disciplinari (infatti è posto nel Capo III "modalità
di trattamento" e non nel Capo IV "regime penitenziario" dove compaiono le sanzioni disciplinari).
Il suo carattere non è punitivo ma meramente PREVENTIVO e CAUTELARE, inteso a tutelare il
mantenimento dell'ordine e della sicurezza --> il prevalere dell'intento preventivo fa si che la legge
preveda l'applicazione del regime di sorveglianza particolare anche per gli imputati.
25
--> a differenza dei presupposti di applicazione delle sanzioni disciplinari, questo tipo di regime
richiede comportamenti abituali e reiterati --> il giudizio sulla pericolosità penitenziaria non può
basarsi su singoli episodi.

L'individuazione legislativa dei PRESUPPOSTI del regime di sorveglianza particolare non appare
comunque sorretta da un grado sufficiente di determinatezza --> le indicazioni sono vaghe e
indeterminate. L'art. 14bis infatti si limita a distinguere tra:
1. comma 1: soggetti già ristretti in istituto
• lett.a "coloro che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza, ovvero turbano
l'ordine negli istituti": l'ipotesi qui contemplata è molto ampia e generica --> molte delle
condotte integranti "infrazioni disciplinari" previste all'art. 77 reg. esec. appaiono suscettibili di
essere inquadrate proprio in questa ipotesi. Apporta alla norma una funzione meramente
sussidiaria rispetto alle altre ipotesi previste al comma1.
• lett. b "coloro che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o
internati": probabilmente la fattispecie definita con maggior determinatezza --> delinea
condotte di per sè penalmente rilevanti e, inoltre, il presupposto in esame può identificarsi
sia in un singolo episodio di violenza/minaccia, sia in una reiterazione di episodi violenti/
minacciosi.
• lett.c "soggetti che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri
detenuti nei loro confronti": è complesso l'accertamento di questa ipotesi --> occorre far
riferimento non tanto alle condotte dei singoli detenuti pericolosi, ma piuttosto allo stato di
soggezione degli altri --> dato di difficile accertamento.
--> il RISCHIO che si viene a delineare come conseguenza di questa indeterminatezza è che il
regime di sorveglianza particolare da rimedio eccezionale finisca, di fatto, per sostituire i
provvedimenti disciplinari.
2. comma 5: soggetti provenienti da altro istituto o dallo stato di libertà --> questa
disposizione, quando fa riferimento ai soggetti provenienti da altro istituto, non pone particolare
difficoltà interpretative: basta far riferimento ai precedenti comportamenti carcerari del detenuto per
poter determinare una presunzione di pericolosità futura. Particolari difficoltà invece si pongono nel
caso di soggetti provenienti dallo stato di libertà: si dovrebbe tener conto di comportamenti che
potrebbero essere ritenuti significativi anche se non costituenti reato.

--> CONCLUSIONE: la disposizione è stata oggetto di critiche severe, fino a prospettare una
possibile illegittimità della norma.

CONTENUTO:
art. 14quater O.P. indica:
- le MISURE DI RESTRIZIONE che possono essere applicate: "restrizioni strettamente
necessarie, per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza, all'esercizio dei diritti dei detenuti/
internati e alle regole di trattamento previste dall'O.P." --> formula volutamente indeterminata =
al fine di poter adattare le restrizioni del regime al grado di pericolosità del detenuto.
- le AREE ESCLUSE DALLE RESTRIZIONI sono elencate in modo tassativo, poiché riguardano
esigenze primarie e diritti costituzionalmente garantiti (igiene, salute, vitto, vestiario e corredo,
aria aperta, culto, colloqui con difensore e familiari) --> possono essere limitati i rapporti verso
l'esterno (colloqui con perone diverse dai familiari, corrispondenza, attività culturali sportive e
ricreative, libertà di movimento). L'esclusione dal lavoro è espressamente sancita dall'art. 20.6
O.P. modificato da L. 296/1993 --> misura particolarmente severa che va ad aggravare il regime
di sorveglianza trasformandolo in uno strumento di "custodia controllata passiva".
--> l'art. 14quater inoltre non prevede l'esercizio in comune delle attività permesse --> devono
essere svolte in forma individuale (dato che tale art. assicura al detenuto l'esercizio del diritto e
non anche le sue modalità).
--> l'esclusione delle attività in comune però comporta il RISCHIO che il regime di sorveglianza
particolare diventi un vero e proprio isolamento --> giurisprudenza più recente: sembra
particolarmente sensibile nel predisporre le cautele necessarie ad assicurare un livello minimo di
socializzazione che eviti la trasformazione del regime di sorveglianza particolare in isolamento.

26
IL PROCEDIMENTO:
Durata massima del regime di sorveglianza particolare = 6mesi, prorogabili più volte per non più
di 3 mesi per volta --> tale indeterminatezza affievolisce la finalità garantistica che ha ispirato
l'intero impianto della L. Gozzini.
Modalità del procedimento: competente in materia è l'amministrazione penitenziaria e in
particolare il Dipartimento dell'amm. pen.
--> il provvedimento di adozione/proroga della sorveglianza particolare può essere adottato:
- di iniziativa del ministero
- sollecitato dalla direzione dell'istituto
- dall'autorità giudiziaria
--> in ogni caso, è necessario che prima della decisione intervenga un PARERE del Consiglio di
disciplina dell'istituto (integrato da 2 esperti in discipline sociali, psicologiche e psichiatriche): il
parere è obbligatorio ma non vincolante, deve essere reso entro 10giorni (la mancata risposta non
è equiparabile a silenzio-assenso) --> nel caso di imputato: il parere deve essere espresso anche
dall'Autorità giudiziaria procedente.
L'amministrazione decide con provvedimento motivato --> motivazione:
• sussistenza presupposti
• idoneità ed efficacia delle restrizioni al fine del mantenimento dell'ordine e della sicurezza
Il provvedimento viene poi comunicato al magistrato di sorveglianza, il quale tuttavia non
dispone del potere di sospenderne l'esecuzione, può soltanto comunicare eventuali illegalità al
Ministro.
Infine il provvedimento deve essere comunicato all'interessato da parte della direzione
dell'istituto.

L'art. 14bis comma4 O.P. prevede poi un PROCEDIMENTO SPECIALE a cui ricorrere in caso di
necessità e urgenza:
con un provvedimento provvisorio con durata di 10 giorni, senza acquisire i pareri del consiglio
di disciplina e dell'autorità giudiziaria procedente --> i pareri dovranno essere assunti entri questi
10 giorni, al termine dei quali l'amministrazione dispone di altri 10 giorni per prendere una
decisione definitiva --> allo scadere di questi altri 10 giorni il provvedimento provvisorio decade.
--> questa procedura speciale consente all'amministrazione di sottoporre a regime di sorveglianza
particolare l soggetto per un periodo di 20giorni, senza alcun efficace controllo.
--> procedimento più volte CRITICATO: il detenuto non può neppure proporre reclamo al
provvedimento provvisorio, esperibile solo verso il provvedimento definitivo --> vengono meno le
FINALITÀ GARANTISTICHE che avevano indotto l'introduzione dell'art. 14bis O.P.
Reclamo: viene presentato al Tribunale di sorveglianza entro 10 giorni dalla comunicazione del
provvedimento definitivo --> non produce alcun effetto sospensivo.
Il procedimento si conclude don un'ordinanza di inammissibilità/rigetto/accoglimento --> in
quest'ultimo caso il Tribunale può disporre la revoca del provvedimento impugnato.
L'ordinanza del Tribunale è soggetta a ricorso per Cassazione.

ART. 41bis COMMA 1 O.P.


--> con la L. Gozzini va a sostituire l'art. 90 O.P.
"in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro della Giustizia ha la
facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole
del trattamento penitenziario dei detenuti ed internati. La sospensione deve essere motivata dalla
necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha durata strettamente necessaria al
conseguimento del fine suddetto"
--> non ci sono particolari differenze con l'abrogato art. 90 --> unica differenza = necessità per
l'amministrazione, di riferire l'applicazione dell'art. 41bis ad una specifica situazione di
emergenza riscontrata in un istituto o in parte di esso, senza alcuna possibilità di estendere il
regime a più sedi penitenziarie --> le situazioni di emergenza che giustificano il ricorso a tale art.
devono essere di rilievo tale da richiedere l'intervento della forza pubblica (art. 93 reg. esec.)
--> le REGOLE SUSCETTIBILI DI LIMITAZIONI non sono diverse da quelle indicate nell'art.
14quater O.P. (regime di sorveglianza particolare).

27
LOTTA ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA e sicurezza penitenziaria

Le stragi mafiose avvenute nell'estate del 1992 hanno inevitabilmente sottolineato l'incapacità di
un modello esecutivo eccessivamente permissivo e garantistico a realizzare il controllo di detenuti
ad altissima pericolosità, inseriti in stabili organizzazioni.
Dinnanzi all'inadeguatezza degli apparati istituzionali deputati alla lotta della criminalità
organizzata, il Legislatore degli anni 90-92, ha messo a punto una strategia politico-legislativa volta
a favorire in ogni sede il fenomeno del pentitismo.
Con particolare riguardo al settore dell'esecuzione della pena, si è verificata una spinta
controriformatrice, indirizzata in senso rigorista e finalizzata a creare un doppio binario
trattamentale --> un doppio regime penitenziario guidato da 3 linee direttrici:
1. ridimensionò l'ambito di applicazione delle misure alternative nei confronti dei condannati per i
più gravi delitti di criminalità organizzata
2. cerca di creare un circuito fondato sulla segregazione e neutralizzazione del condannato,
recidendo drasticamente i contatti tra questo e l'esterno --> obiettivo = esercitare una forte
pressione psicologica al fine di agevolare la collaborazione con la giustizia
3. con l'obiettivo dello sfaldamento dall'interno delle organizzazioni criminali, vengono subordinate
condizioni migliori di regime detentivo, al presupposto di un'efficace collaborazione con
l'autorità di polizia o giudiziaria --> la collaborazione diventa non solo un valore premiale, ma
anche una condicio sine qua non per poter beneficiare delle facoltà e degli istituti predisposti
dall'O.P. al fine di consentire la rieducazione del condannato.
--> conseguenza: viene definitivamente tagliato il collegamento tra diagnosi della personalità e
trattamento penitenziario, ribaltando la scelta dell'opzione rieducativa che è stata alla base della
riforma penitenziaria del 1975, ma anche della L.Gozzini del 1986.

Chiamata più volte a valutare la legittimità del circuito differenziato di esecuzione, la Corte
Costituzionale con sent. 306/1993 ha precisato che:
non è possibile stabilire a priori una gerarchia assoluta tra le finalità della pena che valga una volta
per tutte --> Il Legislatore potrebbe infatti, di volta in volta, perseguire l'una o l'altra finalità
(prevenzione generale e difesa sociale - prevenzione speciale e rieducazione), pur nei limiti della
ragionevolezza --> quindi, unico limite rinvenibile = che nessuna delle due finalità resti
"obliterata".
La Corte è poi intervenuto al fine di smussare alcune asperità normative evidentemente carenti di
ragionevolezza: con riguardo al divieto di concessione di benefici ha infatti affermato il diritto alla
progressione del trattamento del condannato in caso di successione delle leggi penali nel tempo
--> altrimenti si avrebbe una "brusca interruzione" che ostacola il raggiungimento della finalità
rieducativa della pena prescritta dalla Costituzione.

IL DIVIETO DI CONCESSIONE DI BENEFICI

Una delle norme cardine della riforma operata con la legislazione dei primi anni 90, è sicuramente
l'art. 4bis O.P:
"l'assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative previste al Capo VI,
esclusa la liberazione anticipata, non possono essere concessi a taluni soggetti che, in quanto
condannati per specifici delitti di particolare allarme sociale, si presumono socialmente pericolosi".

--> attraverso questo articolo è stato introdotto nel sistema di esecuzione un "doppio binario", un
circuito trattamentale speciale, da applicare in base alla natura del reato commesso.

Questo regime di maggior rigore, negli anni ha assunto confini sempre più estesi.
Formulazione originaria del 1991:
il testo originario divideva in 2 fasce i delitti dai quali desumere la pericolosità del condannato -->
attraverso queste due fasce si delineava l'intento di differenziare 2 categorie di condannati:
1. quelli ritenuti con certezza contigui alla criminalità organizzata
2. quelli autori di reati di elevata gravità, ma non direttamente riferibili alla criminalità organizzata

28
--> il magistrato/Tribunale di sorveglianza, per poter adottare il provvedimento limitativo dei
benefici, dovevano richiedere il parere obbligatorio non vincolante del Comitato provinciale per
l'ordine e la sicurezza pubblica.
L.356/1992 ridimensiona il rigore del testo originario dell'articolo:
• delimita l'area di esclusione dei benefici --> escludendo dal trattamento di rigore la libertà
anticipata; scelta poi confermata anche dalla Corte Costituzionale, la quale afferma che la
disciplina della limitazione dei benefici e delle misure alternative sarebbe entrata in contrasto con
l'art. 27.3 Cost. se non avesse garantito anche al detenuto "non collaborante" la possibilità di
beneficiare della liberazione anticipata, in presenza di una adeguata condotta carceraria.
• individua 3 gruppi di condannati (rimpiazzando le 2 fasce previste nella versione del 1991):
- PRIMO GRUPPO: condannati/internati e imputati indicati nella prima fascia del 1991,
ma con l'esclusione dei detenuti per delitti commessi con finalità di terrorismo ed
eversione --> in perfetta sintonia con il "cessato allarme terrorismo".
--> unica possibilità per ottenere benefici e misure alternative: collaborazione con la
giustizia; in particolare, deve emergere un netto antagonismo rispetto all'ambiente
criminale di provenienza, anche dopo la condanna.
- SECONDO GRUPPO: detenuti presunti pericolosi, che possono ottenere benefici e
misure alternative se nella commissione del reato hanno avuto una minima
partecipazione o hanno commesso reato più grave di quello voluto.
--> per ottenere benefici e misure alternative: collaborazione con la giustizia, purchè
sia stata esclusa con certezza l'attualità dei collegamenti con la criminalità
organizzata.
- TERZO GRUPPO: condannati e imputati per i delitti di omicidio, rapina aggravata,
estorsione aggravata, produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti e
psicotrope - detenuti e internati per delitti commessi con finalità di terrorismo ed
eversione dell'ordinamento costituzionale.
--> l'esclusione dai benefici richiede la sussistenza di collegamenti in atto con la
criminalità organizzata.
• introduce il comma 3bis che prevede un ulteriore e più incisivo divieto di concessione di
benefici: "l'assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative previste dal
Capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi, quando il
procuratore nazionale antimafia, o il procuratore distrettuale comunica l'attualità di collegamenti
con la criminalità organizzata".
--> in questo caso la PRESUNZIONE DI PERICOLOSITÀ non è basata sul titolo di reato, ma
sull'attualità di legami con il crimine organizzato.
--> oggetto del divieto = "lavoro esterno, permessi premio e tutte le misure alternative" --> non è
espressamente esclusa la liberazione anticipata, diversamente da quanto previsto dal comma 1.

Nuove modifiche:
1993: in virtù del problema del sovraffollamento, viene ampliato l'ambito di applicazione della
detenzione domiciliare e delle sanzioni sostitutive.
2001: ampliato il novero dei soggetti destinatari dell'art.4bis (detenuti/internati per il reato di
associazione a delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri etc.)
2002: a causa dei gravissimi atti di terrorismo internazionale, i reati commessi con finalità di
terrorismo o di eversione tornato ad essere inseriti tra quelli ostativi alla concessione di benefici e
delle misure alternative.
2006: ulteriore ampliamento del novero dei reati ostativi --> inserite alcune fattispecie di reato
contro la libertà personale.

RIFORME 2009:
D.L. 11/2009 (provvedimento d'urgenza): ha trasferito nel primo periodo del comma 1 dell'art. 4bis i
reati a sfondo sessuale --> fattispecie già contemplate nel terzo periodo dell'art. 4bis, relativo ai
delitti per i quali la concessione di benefici è subordinata all'assenza di collegamenti con la
criminalità organizzata.
Legge di conversione del 2009: ha riorganizzato l'intera struttura dell'art. 4 bis, suddividendo
l'unico comma originario in 4 commi.
29
nuovo comma 1: sono ostativi all'assegnazione al lavoro esterno e alla concessione dei permessi
premio e delle misure alternative alla detenzione previste dal Capo VI, esclusa la liberazione
anticipata, i seguenti reati: reati di stampo terroristico, mafioso e sessuale.
--> per questi reati c'è il DIVIETO ASSOLUTO di concessione di benefici, qualora il condannato
non collabori con la giustizia.
comma 1bis: riconferma i 2 ammortizzatori penitenziari contemplati in favore dei condannati per
uno dei delitti di prima fascia:
• la concessione di benefici è prevista anche in caso di COLLABORAZIONE IRRILEVANTE (=
inidonea ad incidere sulle conseguenze ulteriori dell'attività delittuosa o sull'accertamento dei fatti
e sulla conseguente individuazione dei colpevoli) qualora sia stata applicata almeno una delle
circostanze attenuanti e sempre che risultino elementi certi ad escludere collegamenti con la
criminalità organizzata --> onere di dimostrarlo è in capo al detenuto (si tratta di probatio
diabolica in quanto è praticamente impossibile per il condannato dimostrare la cessazione di
rapporti ormai risalenti nel tempo).
• la concessione di benefici è prevista anche in caso di COLLABORAZIONE IMPOSSIBILE a
causa della limitata partecipazione al fatto criminoso, o INUTILE data la posizione marginale
nell'organizzazione che non consente di conoscere fatti o altri soggetti responsabili.
comma 1ter: i detenuti condannati per i delitti ivi elencati, la concessione di benefici è preclusa nel
caso in cui venga provata la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata --> onere
della prova = PM.
comma 1quater: (è la novità più rilevante) introduce un'autonoma ed innovativa condizione per
poter usufruire dei vantaggi sul piano esecutivo --> i condannati per i reati ivi elencati (violenza
sessuale e violenza sessuale aggravata, atti sessuali con minorenni, violenza sessuale di gruppo)
possono fruire dei benefici penitenziari solo sulla base dei risultati dell'OSSERVAZIONE
SCIENTIFICA DELLA PERSONALITÀ condotta per almeno 1 anno dall'equipe di osservazione.
--> opinione prevalente: esclude la necessaria osservazione scientifica nel caso di detenuto/
internato per il reato di associazione a delinquere finalizzata al compimento di delitti di violenza
sessuale, atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo --> ritiene sufficiente in questi
casi la dimostrazione di assenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o
eversiva.

--> in particolare, per quanto previsto dall'art. 609octies O.P. (violenza sessuale di gruppo):
essendo questa fattispecie compresa sia nel reati ostativi di prima fascia, che di terza fascia, è
ragionevole ritenere che per godere dei benefici penitenziari è necessaria la SUSSISTENZA
CONTESTUALE dei 2 requisiti (collaborazione ed osservazione scientifica della personalità per 1
anno).
L. 94/2009 "pacchetto sicurezza": modifica l'art. 4bis proprio riguardo al delitto di violenza
sessuale di gruppo --> la modifica attuata induce a ritenere che i 2 requisiti possano sussistere in
via alternativa --> MA la natura associativa del reato e la personalità del soggetto evidentemente
affetto da devianze, rendono preferibile l'opinione interpretativa più rigorosa, che subordina la
concessione di benefici alla contestuale sussistenza dei 2 requisiti.
--> PERMESSO PREMIO: a seguito delle modifiche del 2009 si è verificata un'ANTINOMIA
NORMATIVA:
- art. 4bis comma1: i permessi premio possono essere concessi ai detenuti/internati per i delitti di
prima fascia solo nei casi in cui questi abbiano collaborato con la giustizia
- art. 30ter comma4 lett.c): i permessi premio possono essere concessi ai condannati alla
reclusione per uno dei delitti ex comma 1 art. 4bis, solo dopo l'espiazione di almeno metà della
pena, o cmq non oltre 10 anni.
--> Mag. Sorv. Pavia nel 2011: in base al criterio temporale, prevale l'art. 30ter, in quanto più
recente rispetto all'art. 4bis.

ACCERTAMENTO DELLE CONDIZIONI richieste per la concessione dei benefici:


La decisione in ordine alla concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative spetta al
Magistrato/Tribunale di sorveglianza, a seconda del beneficio richiesto.

30
Oggetto dell'accertamento:
• verifica dei presupposto previsti per ciascun beneficio
• sussistenza delle condizioni ex art. 4bis O.P. che escludono il divieto
Art. 4bis comma 2 O.P:
- delitti di prima fascia: il giudice di sorveglianza deve richiedere DETTAGLIATE INFORMAZIONI
al Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al locus
custodiae.
- delitti di seconda fascia: il giudice di sorveglianza deve rivolgersi al Questore per ottenere
informazioni dettagliate.
--> entrambi gli organi interpellati devono inviare le informazioni richieste entro 30 giorni.

1. ACCERTAMENTO DELLA COLLABORAZIONE - Art. 58ter O.P.


comma1: la COLLABORAZIONE deve consistere nella condotta finalizzata ad evitare
conseguenze ulteriori dell'attività criminale, oppure nel concreto contributo all'accertamento dei fatti
di reato e all'individuazione e cattura degli autori dei reati.
--> giurisprudenza: la collaborazione non comporta necessariamente un'ammissione di
responsabilità da parte del condannato --> ma deve avere ad oggetto i fatti e i reati cui si
riferisce la condanna in relazione alla quale si chiede il beneficio, oltre che ricomprendere i
reati finalisticamente collegati a quelli della condanna.
--> Cassazione: i benefici penitenziari non possono essere concessi al soggetto
condannato per uno dei reati ostativi previsti dall'art. 4bis O.P., il quale abbia collaborato
con l'autorità di polizia in via confidenziale, senza prestare alcuna collaborazione all'autorità
giudiziaria in ambito processuale.
comma2: le condotte collaborative sono ACCERTATE dal Tribunale di sorveglianza, assunte le
informazioni necessarie e sentito il PM presso il giudice competente per i reati in ordine ai quali è
stata prestata la collaborazione --> si tratta di ACCERTAMENTO INCIDENTALE, strumentale
all'accertamento principale finalizzato alla concessione dei benefici e per il quale non è prevista
alcuna forma di contraddittorio, né di tutela del diritto di difesa.

2. ACCERTAMENTO DEI LEGAMI CON LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA --> per i reati di


seconda fascia.

3. ACCERTAMENTO DEI RISULTATI POSITIVI DELL'OSSERVAZIONE SCIENTIFICA --> per i


reati sessuali.

--> soggetto condannato per una pluralità di reati e solo alcuni di essi sono delitti ostativi:
- in un primo momento la Cassazione: ha ritenuto l'inscindibilità del cumulo --> "le singole pene
perdono ogni autonomia e rilevanza e si deve avere riguardo alla pena unica da espiare" -->
soluzione ritenuta incostituzionale dalla Corte Cost.
- Corte Costituzionale: in caso di cumulo, può essere ammesso alla misura alternativa il
condannato che abbia già scontato la pena per il delitto ostativo --> soluzione riconfermata
successivamente dalle Sezioni Unite.

ULTERIORI DIVIETI DI CONCESSIONE DI BENEFICI - art. 58 quater O.P.

Comma 1
l'assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio, l'affidamento in prova al servizio sociale, la
detenzione domiciliare e la semilibertà, non possono essere concessi al soggetto, condannato per
qualsiasi titolo di reato, che sia stato riconosciuto colpevole del reato di evasione.
• giurisprudenza: l'accesso ai benefici non è automaticamente impedito dalla condanna per
evasione --> il giudice dovrà svolgere un esame approfondito della personalità dell'evaso.
• Cassazione: tale divieto fa riferimento alla sola condotta tenuta nel tempo successivo all'inizio
dell'espiazione della pena --> non rilevano le condotte di evasione tenute durante lo stato di
custodia cautelare.
--> la giurisprudenza è concorde nel ritenere che ai fini della sussistenza del divieto, è necessario il
passaggio in giudicato della condanna per evasione.
31
Comma 2
estende il divieto di concessione di benefici ai condannati nei confronti dei quali sia stata disposta
la revoca dell'affidamento in prova, della detenzione domiciliare e della semilibertà.
--> il divieto opera per un periodo di 3 anni dal momento in cui è ripresa l'esecuzione della
custodia/pena o è stato emesso il provvedimento di revoca.

Comma 4
i condannati per sequestro di persona a scopo di estorsione o terrorismo, che abbiano cagionato la
morte del sequestrato, possono accedere ai benefici solo dopo che abbiano effettivamente espiato
almeno i 2/3 della pena, o 26anni nel caso di ergastolo.

Commi 5, 6 e 7
inasprimento del trattamento nei confronti di chi, già condannato per uno dei delitti ex comma1,
1ter e 1quater dell'art. 4bis, commetta un delitto doloso punito con reclusione non inferiore a 3anni,
nel corso di evasione o approfittando della maggior libertà concessa.
--> l'accesso ai benefici e alle misure alternative è vietato (e se già concesso, revocato) per 5
anni.

Comma 7bis
l'affidamento in prova ordinario, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere
concessi più di una volta al condannato al quale sia stata contestata la recidiva reiterata (art. 99
comma 4 cp).
--> Corte Costituzionale: l'esclusione dal beneficio opera in modo assoluto SOLO quando il reato
espressivo della recidiva reiterata sia stato commesso dopo la sperimentazione della misura
alternativa, avvenuta in sede di esecuzione della pena a sua volta irrogata con applicazione della
medesima aggravante.

LA SOSPENSIONE DELLE NORMALI REGOLE DI TRATTAMENTO - art. 41bis comma 2 O.P.

Formulazione originaria comma 2:


consentiva al Ministro della Giustizia di sospendere in tutto in parte, per "gravi motivi di ordine e
sicurezza pubblica" le regole di trattamento e gli istituti dell'O.P. nei confronti dei detenuti per uno
dei delitti indicati nel comma 1 dell'art. 4bis (il rinvio qui operato non sembra tenero conto delle
recenti modifiche all'art. 4bis --> sembra corretto ritenere che il richiamo debba intendersi riferito
all'intero nuovo comma 1 dell'art. 4bis, e non solo alla prima parte).

--> questa norma era TEMPORANEA: la sua efficacia è stata prevista solo per 3 anni, poi
prorogati diverse volte, fino ad arrivare nel 2002 con la Legge n. 279 la quale ha stabilizzato
definitivamente il regime carcerario differenziato, riformando quasi del tutto le relativa disciplina.
Ulteriori modifiche sono state poi apportate nel 2009.

Il Legislatore opera una netta DISTINZIONE tra i regimi differenziati:


A. quelli intesi ad assicurare il mantenimento della sicurezza all'interno delle carceri --> regime
sospensivo ex art. 41bis comma 1 O.P. e regime di sorveglianza particolare ex art. 14bis O.P.
B. quelli finalizzati a prevenire situazioni di grave allarme sociale, esterne alle carceri ma indotte
dalla capacità di organizzazioni criminali di gestire le attività delittuose anche dal carcere -->
regime di rigore ex art. 41bis comma 2 O.P.

Il comma 2 individua i destinatari e i presupposti del "carcere duro":


• DESTINATARI: detenuti e internati per uno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'art.
4bis, o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di
agevolare l'associazione di stampo mafioso --> quindi anche "reati comuni" indipendentemente
dalla contestazione della aggravante del metodo o delle finalità mafiose.
--> il generico riferimento ai "detenuti" induce a ritenere che il regime sia applicabile anche
ai soggetti in stato di custodia cautelare --> Corte Costituzionale: l'estensione del carcere
duro a soggetti in attesa di giudizio (imputati) non risulta in contrasto con il principio di
32
presunzione di innocenza (art. 27 Cost.), in quanto le limitazioni che caratterizzano il
regime sospensivo non hanno natura e contenuto di anticipazione della sanzione penale,
ma solo di cautela in relazione ai pericoli attuali per l'ordine e la sicurezza.
• PRESUPPOSTI:
- gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica
- sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva (requisito
introdotto con la riforma del 2002)

--> a differenza di quanto previsto dall'art. 4bis, l'art. 41bis non fa riferimento al CONTRIBUTO
COLLABORATIVO.

PROCEDIMENTO DI APPLICAZIONE del regime sospensivo:


Il regime di sospensione è disposto con provvedimento del Ministro della Giustizia, anche su
iniziativa del Ministro dell'Interno.
Prima dell'adozione di tale provvedimento viene svolta un'attività istruttoria, in cui rivestono un
ruolo fondamentale gli organi inquirenti (comma 2bis):
- ufficio del PM delle indagini preliminari o quello del giudice procedente
- ogni altra informazione viene acquisita tramite la Direzione Nazionale Antimafia, la Direzione
Investigativa Antimafia egli organismi centrali delle forze di polizia specializzati nell'azione di
contrasto al crimine organizzato.

--> incertezze interpretative nell'individuazione dell'ufficio del PM competente per la FASE


ESECUTIVA:
• prassi: occorre consultare il PM che aveva condotto le indagini, essendo l'unico soggetto ad
avere una conoscenza esaustiva della posizione processuale del condannato
• Cassazione: tende a negare la necessità di tale parere una volta intervenuta la sentenza
definitiva --> le conoscenze del PM titolare delle indagini sarebbero fondate su elementi risalenti
nel tempo e dunque inidonei a consentire un accertamento attuale dei rapporti con
l'organizzazione criminale di appartenenza.
--> interpretazione comunque non condivisibile: la lettera del comma 2bis è inequivocabile -->
nega ogni forma di discrezionalità del Ministro, il quale dovrà quindi richiedere l'acquisizione
cumulativa del parere del PM e delle informazioni degli altri organi indicati.

Risulta ESCLUSA dal procedimento applicativo del regime sospensivo OGNI FORMA DI
CONTRADDITTORIO ANTICIPATO = non è previsto nè un obbligo di informativa all'interessato
circa l'instaurazione del procedimento istruttorio, nè il deposito delle informazioni e del parare -->
contrasto con artt. 24 e 111 Cost. (difesa, giusto processo, contraddittorio).

CONTENUTO DELLE RESTRIZIONI:


il provvedimento con cui il Ministro della Giustizia applica il regime detentivo, assume la forma di
decreto motivato --> in passato gli era attribuita ampia discrezionalità nell'individuazione delle
singole misure applicabili --> la legge nulla disponeva riguardo ai confini di questa facoltà
dell'amministrazione, la lacuna fu colmata dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale:
• con un primo intervento nel 1993, la corte precisa che i provvedimenti adottabili dall'amm. pen.
non possono eccedere il sacrificio della libertà, già potenzialmente imposto al detenuto dalla
sentenza di condanna --> tali provvedimenti sono comunque sottoposti a limiti e garanzie
previste dalla Costituzione in ordine a:
- divieto di ogni violenza fisica e morale
- divieto di trattamenti contrari al senso di umanità
- diritto di difesa
--> sono quindi suscettibili di sospensione solo quegli istituti che già appartengono alla
competenza dell'amm. pen.
• il contenuto del provvedimento finisce per coincidere, seppur parzialmente, con le restrizioni
stabilite per il regime di sorveglianza particolare ex art. 14quater O.P.
• successivamente la Corte ha escluso che misure di natura sostanziale che incidono sulla qualità
e quantità della pena andando a modificare il grado di privazione della libertà personale del
33
detenuto, possano essere adottate violando la duplice riserva di legge e di giurisdizione previste
dall'art. 13 comma 2 Cost.
--> viene così posto un vero e proprio limite di competenza funzionale all'amministrazione.

Recependo gli insegnamenti della Corte, il Legislatore nel 2002 è intervenuto modificando l'art.
41bis e introducendo il comma 2 quater, il quale va ad individuare gli ambiti entro i quali può
incidere il provvedimento, attraverso un'elencazione delle singole restrizioni applicabili.
Il comma è stato poi modificato dalla L.94/2009 --> attualmente il seguente comma stabilisce: "il
regime sospensivo prevede:
A. l'adozione di misure di elevata sicurezza interna ed esterna con riguardo alla necessità di
prevenire contatti/contrasti/interazioni con le organizzazioni criminali --> disposizione vaga:
sembra legittimare misure diverse da quelle espressamente tipizzate, alla sola condizione che
siano idonee e strumentali alla tutela dell'ordine e della sicurezza.
B. restrizioni nella disciplina dei colloqui con tersi, familiari e con il difensore:
- soggetti terzi: vietati i colloqui salvo casi eccezionali
- familiari: un colloquio al mese
- difensori: massimo 3 volte a settimana, una telefonata o un colloquio
--> colloqui in locali attrezzati per evitare passaggio di oggetti e sottoposti a controllo auditivo e
registrazione.
C. limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall'esterno

D. l'esclusione delle rappresentanze dei detenuti e degli internati: nel tentativo di evitare rapporti
con altri detenuti idonei a creare contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza.

E. sottoposizione a visto di censura della corrispondenza --> eccezione: corrispondenza con


membri del Parlamento, Autorità europee e nazionali competenti in materia di giustizia.

F. limitazione della permanenza all'aperto: durata massima = 2 ore al giorno e comunque non
meno di 1, in gruppi di massimo 4 persone.

D. allocazione detenuti speciali: questi soggetti sono ristretti all'interno di istituti a loro
esclusivamente riservati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero all'interno di sezioni
speciali e logisticamente separate dal resto degli istituti.
DURATA DEL PROVVEDIMENTO = originariamente non era stabilita --> rimessa alla
discrezionalità del Ministro. E' stata poi introdotta nel 2002 (non meno di 1 anno e non più di 2 anni
--> proroghe di 1 anno ciascuna) e modificata nel 2009: 4 anni, prorogabile per 2 anni a proroga
senza fissazione di un numero massimo di proroghe.
--> inoltre, la possibilità di proroghe non è subordinata ad una nuova verifica dei presupposti
legittimanti l'adozione del regime sospensivo, ma richiede che non risulti venuta meno la capacità
del detenuto di mantenere collegamenti con l'associazione criminale, terroristica o eversiva
--> la proroga quindi non esige la prova dell'attualità dei collegamenti, ma si basa su un giudizio
sulla "potenziale e futura capacità a ristabilire collegamenti con gli ambienti criminali di
appartenenza", anche dal carcere.
--> ONERE: Ministro della Giustizia
Il Legislatore del 2009 ha delineato una serie di SITUAZIONI SINTOMATICHE di tale capacità:
• profilo criminale del soggetto
• posizione rivestita all'interno dell'associazione
• risultati del trattamento penitenziario
• perdurante operatività del sodalizio criminale
• sopravvenienza di nuove incriminazioni
• rapporti dell'organizzazione con la famiglia del detenuto
--> comma 2bis: "il mero decorso del tempo non costituisce di per sè elemento sufficiente per
escludere la capacità di mantenere collegamenti con l'associazione o dimostrare il venir meno
dell'operatività stessa".

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REGIME DEI CONTROLLI:
con la Riforma del 2009 è stato abrogato il comma 2ter, il quale prevedeva un potere di revoca
ministeriale del provvedimento, nell'ipotesi in cui fossero venuti meno i presupposti che ne
avevano legittimato l'adozione.
--> si crea così automaticamente un deficit di tutela.
Recentemente è intervenuta la Cassazione: il rigetto per silenzio-rifiuto della richiesta di revoca del
provvedimento di sospensione, è soggetta a RECLAMO al tribunale di sorveglianza --> unica
forma di controllo disciplinato dal comma 2quinquies, che può essere proposto entro 20 giorni dalla
comunicazione del provvedimento stesso.
Competenza a decidere sul reclamo: Tribunale di Roma, il quale deve decidere entro 10 giorni
dalla proposizione del reclamo.
Al procedimento è necessaria la partecipazione del difensore, non è invece prevista quella
dell'imputato/detenuto, i quali possono richiedere di partecipare tramite il meccanismo della
videoconferenza --> fermo restando il suo diritto ad essere sentito personalmente laddove ne
faccia richiesta.
Avverso la decisione del Tribunale è ammesso il ricorso per Cassazione.
In caso di accoglimento del reclamo: il Ministro della Giustizia può rinnovare il provvedimento
sospensivo, evidenziando però nuovi elementi o elementi non valutati in sede di reclamo.

I CIRCUITI PENITENZIARI

Oltre ai regimi differenziati espressamente previsti nel nostro O.P., è previsto il POTERE
DELL'AMMINISTRAZIONE di adottare provvedimenti per assicurare che l'assegnazione e il
raggruppamento dei detenuti nelle sezioni di ciascun carcere siano disposti:
- con particolare riguardo alla possibilità di garantire l'osservazione scientifica della personalità e il
trattamento individualizzato
- allo scopo di evitare influenze nocive reciproche
--> sono stati quindi creati appositi circuiti penitenziari previsti dall'art 32 Regolamento
penitenziario del 2000:
1. Alta sicurezza (AS): appartenenti ad associazioni criminali, imputati e condannati per sequestro
di persona a scopo di estorsione
2. Sicurezza media (SM): soggetti che non rientrano negli altri 2 livelli
3. Custodia Attenuata (CA): soggetti tossicodipendenti, che non presentano elevato grado di
pericolosità
I circuiti sono stati nel tempo modificati:
Nel 1998 è stato introdotto il Circuito ad elevato indice di vigilanza (EIV): detenuti di particolare
pericolosità, il cui titolo di reato ne impediva l'inserimento nell'AS.
Nel 2007 sono stati inseriti nell'AS anche i detenuti per delitti previsti dal comma1 art. 4bis --> ad
esclusione dei delitti commessi con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione
dell'ordine democratico (destinati nel circuito EIV).
Nel 2009 - 2011:
• abolito EIV
• istituito nuovo circuito AS suddiviso al suo interno in 3 sottocircuiti:
1. AS1: detenuti/internati appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nei cui
confronti sia venuto meno il provvedimento sospensivo ex art. 41bis.
2. AS2: imputati/condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo, anche
internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di
violenza.
3. AS3: detenuti già destinati all'AS in base ai parametri del 2007
• modificato SM: ripartizione detenuti in base a codici (bianco giallo verde rosso), cui sono
riconnessi differenti spazi di libertà, di fruibilità del trattamento, sulla base di una valutazione
della loro pericolosità.

--> DIFFERENZA DEI CIRCUITI non implica differenziazione del regime trattamentale --> anzi, la
differenziazione dei circuiti è finalizzata a garantire un buon esito delle attività trattamentali e a
consentire l'adozione di strutture sicure e apparati/dispositivi elettronici finalizzati alla massima
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vigilanza possibile --> MA spesso queste direttive si sono tradotte in un vero e proprio regime
trattamentale differenziato di fatto e rimesso all'assoluta discrezionalità dell'amministrazione.

--> il condannato può proporre RECLAMO al Magistrato di sorveglianza avverso il provvedimento


di assegnazione ai circuiti, il quale ha il potere di impartire ordini e disposizioni di carattere
vincolante dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e internati --> unica
garanzia per il condannato --> diverse perplessità sorgono sull'efficacia del sistema a tutelare
adeguatamente il detenuto da interventi di differenziazione trattamentale indiscriminati ed arbitrari.

CAPITOLO VIII: IL CARCERE SENZA RIEDUCAZIONE

L'IMPUTATO DETENUTO

Almeno il 50% della popolazione carceraria è costituito da persone sottoposte a procedimento


penale, destinatarie di una misura cautelare personale carceraria ex art. 272 e ss. cpp.

La normativa del 1975 e quella successiva, detta una disciplina base valida sia per i condannati
che per gli imputati, salvo di volta in volta precisare, con disposizioni ad hoc, se una determinata
regola valga per gli uni o per l'altri.

Art. 13 Cost, ultimo comma: l'imputato è assistito dalla presunzione di non colpevolezza fino alla
sentenza definitiva, ma è lo stesso art. 13 Cost, all'ultimo comma, menzionare esplicitamente la
"carcerazione preventiva".
La normativa comunque non permette di estendere all'imputato detenuto ogni norma prevista per il
condannato detenuto, parificando posizioni oggettivamente e giuridicamente diverse:
• il trattamento rieducativo non è previsto per l'imputato, in quanto non ancora giudicato colpevole
e quindi bisognoso di una "rieducazione sociale"
• non sono previste nemmeno le misure alternative alla detenzione, dato che presuppongo
l'espiazione di una pena e non l'applicazione di una misura cautelare.

L'impegno che nasce dai principi costituzionali nei confronti dell'imputato è quello della riduzione
per quanto possibile delle occasioni e del protrarsi della custodia cautelare --> a questo scopo il
magistrato di sorveglianza è chiamato a sovrintendere sulle modalità di esecuzione della
custodia cautelare: esercita la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia
cautelare sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti.

NORMATIVA PENITENZIARIA e SEPARAZIONE DELL'IMPUTATO DETENUTO:


Chi entra in carcere per motivi processuali o esecutivi, deve ricevere un trattamento conforme ad
umanità, che assicuri il rispetto della dignità umana e che consenta altresì il mantenimento
dell'ordine e della disciplina.
Art. 1 O.P: il trattamento dev'essere improntato all'assoluta imparzialità, senza discriminazioni in
ordine a nazionalità, razza, condizione economica e sociale, opinioni politiche e credenze religiose.

La separazione in base al sesso e all'età è sempre assicurata, indipendentemente dalla


situazione dell'edilizia carceraria --> l'art. 14 comma 3 O.P. assicura "la separazione degli imputati
dai condannati e internati" --> MA il mancato rispetto della norma non viene ritenuto una lesione
della presunzione di innocenza.
--> a questo fine, l'organizzazione penitenziaria prevede:
• istituti di custodia cautelare
• istituti per l'esecuzione della pena
--> nell'assegnazione iniziale, non fa differenza il tipo di istituto prescelto --> l'importante è che con
l'assegnazione definitiva, l'imputato venga assegnato ad un istituto di custodia cautelare.
Inoltre, agli imputati, deve essere garantito il pernottamento in camere singole, a meno che la
situazione particolare dell'istituto non lo consenta.
--> unica vera garanzia di separazione = l'imputato per cui è disposto l'isolamento rimane in tale
stato secondo le modalità, i limiti e la durata indicate nel provvedimento.
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Isolamento giudiziario --> FINALITÀ: evitare l'inquinamento delle prove --> è sempre disposto
dall'autorità giudiziaria per gli imputati in uno stesso procedimento o comunque di uno stesso
reato, al fine di impedire ogni comunicazione non istituzionale tra imputati.
In alcuni casi, può essere non disposta la separazione per ottenere un'intercettazione ambientale
processualmente proficua, così come la non disposizione in camera singola, al fine di ottenere una
rinuncia al silenzio a seguito del trauma di carcerazione subito.

--> norma ad hoc sono poi disposte per gli imputati che collaborano con la giustizia (es:
collocazione in luoghi diversi dal carcere).

DIRITTI DELL'IMPUTATO:
Art. 22 Reg. esec: un soggetto può costituirsi in carcere dichiarando di essere sottoposto a
provvedimento da cui consegue privazione della libertà --> ciò vale anche per l'imputato.
La Direzione ha l'obbligo di riceverlo, verificando immediatamente l'esistenza del titolo privativo e
dandone notizia all'Autorità giudiziaria.
L'ordinanza di custodia cautelare è un atto a sorpresa --> le modalità di esecuzione della stessa
sono previste dall'art. 293 comma 1 cpp: l'interessato viene tradotto manu militari in istituto a
disposizione dell'Autorità giudiziaria procedente.
L'ingresso in istituto comporta:
• la consegna all'imputato di una copia del provvedimento
• l'obbligo per la Direzione di accertare, se necessario con l'ausilio di un interprete, che
l'interessato abbia precisa conoscenza del provvedimento che ne dispone la custodia e, ove
occorra, di illustrarne i contenuti.
• consegna all'imputato, che arriva dallo stato di libertà, della Carta dei diritti e dei doveri del
detenuto
Divieti a cui l'amministrazione penitenziaria deve sottostare:
1. divieto di consigli circa la scelta del difensore di fiducia: essendo nota la particolare fragilità
psicologia di chi ha appena subito il trauma della carcerazione e l'oggettiva posizione di
supremazia dell'amministrazione penitenziaria.
2. divieto di trattare con gli imputati argomenti relativi al processo penale in corso

L'imputato non ha diritto a scegliere l'istituto di assegnazione --> deve essere privilegiata però
l'assegnazione provvisoria nell'ambito della regione di residenza nonchè in istituto di custodia
cautelare o, dove ciò non sia possibile, in istituto della stessa categoria situato in località prossima.

Gli imputati non sottoposti a isolamento, sono assegnati in considerazione:


- dell'età
- precedenti esperienze penitenziarie
- natura colposa o dolosa del reato commesso
- indole dello stesso
--> a tal fine, l'amministrazione pen. deve provvedere ad acquisire l'eventuale cartella personale
preesistente ed ottenere in sede di colloquio tutte le notizie necessarie ad una collocazione
adeguata alla sua situazione giuridica e alle sue problematica personali e familiari.

Poiché l'adozione della misura cautelare risponde ad esigenze processuali, il sistema penitenziario
deve essere in grado di svolgere al meglio 2 funzioni:
A. salvaguardare le ragioni di giustizia che hanno determinato la detenzione
B. consentire la pienezza dell'esercizio del diritto di difesa

LA TUTELA PENITENZIARIA DELLE ESIGENZE PROCESSUALI:


Sicuramente, nella prospettiva di una risposta adeguata alle esigenze processuali, il sistema
penitenziario assurge a luogo più idoneo a garantire dal rischio di inquinamento probatorio, dal
pericolo di fuga e dalla pericolosità sociale.
La tutela penitenziaria in questo senso si traduce in:
• possibilità di dilazionare il colloquio iniziale col difensore per non più di 5 giorni --> per
permettere lo sviluppo delle indagini senza interferenze.
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• valutazione della pericolosità sociale del soggetto --> in base alla quale vengono poi disposte
le traduzioni del detenuto ricorrendo o meno alle manette, all'impiego di forza fisica e all'uso di
mezzi di coercizione per prevenire tentativi di evasione.
--> al fine di tutelare le esigenze processuali è necessaria una collaborazione tra autorità
giudiziaria e autorità penitenziaria, la quale, ad esempio, deve dare attuazione immediata del
provvedimento che:
- sostituisce la misura carceraria con gli arresti domiciliari o con altra misura
- estingue la misura cautelare detentiva
- implichi la dimissione dell'imputato dall'istituto di custodia

LA TUTELA PENITENZIARIA DEL DIRITTO DI DIFESA:


Non vi è alcun dubbio sul fatto che lo stato privativo della libertà sia menomante rispetto alla
potenzialità di autodifesa dell'imputato libero --> il detenuto non potrà estrinsecare l'autodifesa che
in margini ristretti, essendogli, ad esempio, interdetto ogni contatto diretto con i testimoni al fine di
provare il suo alibi.
Il diritto di difesa viene in primis tutelato tramite la consegna della copia del provvedimento non
solo all'imputato, ma anche al suo difensore, dal quale decorrono 10 giorni per poter chiedere il
riesame.
La designazione del difensore d'ufficio è obbligatoria --> finché l'interessato non provveda alla
nomina del legale di fiducia, facoltà riconosciuta anche ai suoi prossimi congiunti. A tal fine,
l'imputato detenuto trova presso ogni istituto un albo degli avvocati che potrà liberamente
consultare, senza subire condizionamenti di sorta nella scelta.

Lo stato di detenzione non può impedire all'imputato di partecipare agli atti processuali laddove
sia richiesta la sua presenza --> fermo restando il diritto ad essere sentito personalmente, se
ne faccia richiesta, dal giudice procedente, ovvero dal Magistrato di sorveglianza del luogo se
questo è diverso da quello in cui ha sede il giudice.
--> la mancata traduzione dell'imputato che ne ha fatto tempestiva richiesta, comporta il rinvio
dell'udienza camerale per legittimo impedimento dell'imputato, salva l'applicazione dell'art. 45bis
disp. att. cpp circa la "partecipazione a distanza" all'udienza camerale.
Nel caso l'imputato si rifiutasse di partecipare all'udienza dove è necessaria la sua presenza, è
previsto l'accompagnamento coattivo.

COLLOQUI COL DIFENSORE:


A parte la dilazione del primo colloqui, la regola generale in materia è che l'imputato in stato di
custodia cautelare ha diritto di conferire con il difensore fin dall'inizio dell'esecuzione della misura.
--> di conseguenza il difensore ha diritto di accedere ai luoghi in cui la persona stessa si trova in
custodia.
Si esclude che la possibilità di colloqui col difensore sia sottoposta ad autorizzazione dell'autorità
giudiziaria o penitenziaria --> questa scelta di liberalizzazione è ben conforma al disposto di cui
all'art. 24 comma 2 Cost. ("la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento").
Per i colloqui col difensore sono disposti appositi locali e, come per gli altri colloqui, si svolgono
sotto il controllo a vista e non auditivo, per garantire la libertà di comunicazione.
--> laddove l'imputato partecipi a distanza al dibattimento, può comunicare liberamente col
difensore senza essere sottoposto a controllo auditivo.
Ovviamente il colloquio col difensore non può essere intercettato, anche se l'imputato si trova
ristretto in carcere --> l'eventuale intercettazione non può essere utilizzata.
Non si configurano limiti quantitativi ai colloqui col difensore, purchè vengano rispettati gli orari di
accesso in istituto --> il difensore, come qualsiasi altra persona, viene sottoposto ai dovuti controlli
al fine di garantire che non siano introdotti in istituto strumenti pericolosi o altri oggetti non
ammessi. Nel caso il difensore risulti responsabile di agevolazione all'elusione delle restrizioni
poste dall'art. 41bis O.P. al detenuto, è disposta la reclusione fino a 5 anni (art. 391bis cp)
Non è ostativo al colloquio:
• che l'imputato si trovi in stato di isolamento
• che il difensore assista anche altro detenuto per lo stesso reato (l'art. 106 cpp dispone la
possibilità di un difensore comune)
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• che l'imputato sia sottoposto a regime di sorveglianza particolare ex art. 14bis O.P.
--> il difensore invece non può partecipare:
- ai colloqui investigativi: in quanto non si è in presenza di un interrogatorio in senso stretto --> è
esclusa l'utilizzabilità processuale delle risultanze
- alla perquisizione personale per motivi di sicurezza: dato che non si è in presenza di un mezzo
di ricerca della prova

CORRISPONDENZA TELEFONICA col difensore:


art. 104 comma 1 cpp: dispone il diritto dell'imputato in stato di custodia cautelare a conferire con il
difensore fin dall'inizio dell'esecuzione della misure e il potere dell'Autorità giudiziaria di dilazionare
il colloquio iniziale per non più di 5 giorni --> parla di "colloquio" in generale, senza precisare le
modalità dello stesso (vis a vis, telefonico etc..).
L'art. 35 disp. att. cpp però prevede che il colloquio telefonico sia sottoposto ad autorizzazione
dell'Autorità giudiziaria procedente o, dopo la sentenza di primo grado, dal Magistrato di
sorveglianza.
La corrispondenza telefonica col difensore può essere registrata, ma è posto il:
• divieto di utilizzazione
• divieto di intercettazione
--> la censura di incostituzionalità viene superata con la motivazione che il diritto di difesa è
pienamente esercitato attraverso lo strumento del colloquio riservato.

CORRISPONDENZA EPISTOLARE PER RAGIONI DI GIUSTIZIA:


Art. 103 cpp: vieta il sequestro ed ogni forma di controllo della corrispondenza tra imputato e
proprio difensore --> salvo l'Autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo
del reato.
--> si esclude che tale corrispondenza possa essere sottoposta a visto di controllo, così come si
esclude che si possa procedere a sequestro di carte e documenti relativi all'oggetto della difesa
nell'ufficio del difensore --> il quale non ha nemmeno il dovere di esibire tali documenti laddove
dichiari siano coperti da segreto professionale.
L'unico controllo che si può effettuare sulla corrispondenza epistolare, è l'ispezione al fine di
rilevare l'eventuale presenza di valori o altri oggetti non consentiti:
- no controlli sullo scritto
- apertura della busta in presenza del detenuto

--> il regime di isolamento, sorveglianza particolare o sospensione del trattamento ex art. 41bis,
non giustifica una diversa disciplina della corrispondenza col difensore.

COLLOQUI e CORRISPONDENZA con CONIUGI e ALTRE PERSONE:


Per ottenere un colloquio con i congiunti o altre persone, l'imputato deve ottenere il permesso -->
Art. 18 O.P: i permessi colloquio sono di competenza dell'Autorità giudiziaria fino alla pronuncia
della sentenza di primo grado, mentre dopo detta sentenza sono di competenza del Direttore
dell'istituto.
Per la corrispondenza telefonica (sia coi congiunti che con altre persone), è necessaria
l'autorizzazione dell'Autorità giudiziaria --> rilasciata con provvedimento motivato, con il quale può
anche disporre che le conversazioni telefoniche vengano ascoltate e registrate --> disposizione
sempre prevista per i detenuti che hanno commesso i reati di cui all'art. 4bis O.P.
A questa attività di intercettazione telefonica:
- non si applicano le regole del cpp in materia
- non si configura una violazione dell'art. 15 Cost. (libertà e segretezza della corrispondenza sono
inviolabili): essendovi consapevolezza in chi chiede l'autorizzazione che l'ascolto e la
registrazione sono possibili o addirittura doverosi e dovendosi quindi presumere un consenso
dell'avente diritto alla limitazione della propria riservatezza.
Corrispondenza epistolare e telegrafica: è ammessa senza necessità di autorizzazione --> se la
Direzione dell'istituto sospetta che nella corrispondenza epistolare siano inseriti contenuti che
costituiscono elementi di reato o che possono determinare pericolo per l'ordine e la sicurezza,
deve trattenere la missiva e avvisare l'Autorità procedente in attesa di istruzioni al riguardo.
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--> l'Autorità procedente o il magistrato di sorveglianza possono comunque disporre limitazioni e
controlli su detta corrispondenza.
Sezioni Unite: è illegittimo il controllo occulto della corrispondenza (aperta, fotocopiata, richiusa e
inoltrata).

CONDIZIONI DI SALUTE:
Art. 275 comma 4bis cpp (introdotto nel 1999): vieta l'adozione e il mantenimento della
custodia cautelare in carcere quando l'imputato per una malattia particolarmente grave (AIDS,
grave deficienza immunitaria), si trovi in condizioni di salute incompatibili con lo stato di detenzione
e comunque tali da non consentire adeguate cure --> il divieto è tassativo quando la malattia si
trovi in una fase così avanzata da non rispondere più ai trattamenti disponibili e alle terapie
curative --> il malato terminale deve poter morire non in carcere.
--> il giudice deve scegliere altra misura coercitiva (es. arresti domiciliari) o astenersi
dall'applicarla.
Art. 275 comma 4quater cpp: prevede la possibilità della custodia cautelare in carcere qualora il
soggetto risulti imputato o sottoposto ad altra misura cautelare per delitto rientrante tra i casi di
arresto obbligatorio, relativamente a fatti commessi dopo l'applicazione della misura cautelare non
detentiva per ragioni di salute --> l'AIDS o altra grave malattia non impedisce in questo caso la
custodia carceraria, in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessaria.
--> contraddizione legislativa: se esiste un reparto di questo tipo, manca una delle condizioni
richieste dal comma 4quater (= incompatibilità con lo stato di detenzione) --> quindi non dovrebbe
configurarsi il divieto di disporre o mantenere la custodia carceraria.
In caso di infermità mentale che impedisce all'imputato di partecipare coscientemente al
procedimento, è possibile la sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato (art. 71
cpp), essendo costui nell'impossibilità di esercitare il diritto di autodifesa.
All'ingresso in carcere, l'imputato è sempre sottoposto a visita medica per accertare eventuali
malattie fisiche e psichiche (non risponde ad esigenze sanitarie, invece, il prelievo di campioni
biologici) --> nel momento in cui l'istituto prende in consegna l'imputato, sarà responsabile delle
sue condizioni di salute: l'assistenza sanitaria infatti è continua, ma è possibile chiedere aproprie
spese un sanitario di fiducia.

IL TRATTAMENTO PENITENZIARIO:
Non essendo configurabile alcuno impegno della struttura penitenziaria per rieducare l'imputato
(presunzione di innocenza --> presunto educato), all'imputato detenuto si può solo chiedere un
comportamento conforme a disciplina e alle regole di vita penitenziaria.
Con cadenza semestrale, però, viene annotato nella sua cartella personale il giudizio della
direzione quanto all'impegno dimostrato nel trarre profitto dalle opportunità offertagli nel corso del
trattamento e al mantenimento di corretti e costruttivi rapporti con gli operatori, i compagni e la
comunità esterna --> tale giudizio è irrilevante sulla durata della misura cautelare, non essendovi
materia di applicazione di una misura alternativa --> ma sarà rilevante se, eventualmente, in futuro,
l'imputato sarà condannato a reclusione: la custodia cautelare infatti può convertirsi in pena
espiata e il comportamento dell'imputato detenuto può essere valutato come il comportamento del
condannato.
Gli imputati detenuti, sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare alle attività educative, culturali e
ricreative e, salvo contrarie disposizioni dell'Autorità giudiziaria procedente, anche a svolgere
attività lavorativa o di formazione professionale. Come gli altri detenuti, hanno opportunità di
contatto con gli operatori penitenziari (psicologi, assistenti sociali etc.) e gli assistenti volontari,
proseguire gli studi e dedicarsi ad attività lavorative per il proprio sostentamento anche economico
(un effetto automatico del provvedimento restrittivo della libertà è la perdita del lavoro), per
ottenere sostegno morale e accrescimento morale, culturale e sociale, indipendentemente dal
trattamento rieducativo. Per svolgere lavoro esterno necessitano di autorizzazione dell'Autorità
giudiziaria, la quale nel concederla deve tener conto:
• del tipo di reato
• della durata effettiva o prevista della misura privativa della libertà
• dell'esigenza di prevenire il pericolo che l'imputato commetta altri reati

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REGIME DISCIPLINARE:
L'imputato detenuto non gode di pari accesso alle ricompense come i condannati --> l'unica
ricompensa che può ottenere, al pari del condannato, è l'encomio (elogio): è privo di risvolti
processuali, ma il Legislatore non ha escluso che un "responsabile comportamento in situazioni di
turbamento della vita dell'istituto, diretto a favorire atteggiamenti collettivi di ragionevolezza", possa
indurre a ripensamento sull'esistenza o permanenza della concreta pericolosità sociale del
soggetto.
Nel caso di comportamento non conforme alle regole dell'istituto, l'imputato è soggetto a sanzioni
disciplinari per le quali non è necessaria l'autorizzazione dell'Autorità giudiziaria --> anch'esse
vengono annotate nella cartella personale "a futura memoria" e ne è data notizia all'Autorità
procedente --> l'aver riportato sanzioni disciplinari può costituire motivo di dilazione del momento
di modifica o revoca del provvedimento restrittivo della libertà personale.

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