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DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
LA MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA
UFFICI DI SORVEGLIANZA:
- costituiti nelle sedi individuate dalla tabella A allegata alla legge sull'O.P.
- composti da diversi magistrati di sorveglianza, ognuno dei quali ha giurisdizione su singole
circoscrizioni di tribunale (comprese nella giurisdizione complessiva dell'ufficio)
MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA:
- opera come GIUDICE MONOCRATICO rispetto alla circoscrizione di tribunale a lui attribuita
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA:
- è istituito presso ciascun distratto di Corte d'Appello e in ogni circoscrizione territoriale della
sezione distaccata di Corte d'Appello
- art. 70.3 O.P: è composto da tutti i magistrati di sorveglianza che sono in servizio nel distretto o
nella circoscrizione territoriale della sezione distaccata di Corte d'Appello + esperti scelti tra
professionisti qualificati (in psicologia, servizio sociale, criminologia clinica etc..)
- è un GIUDICE COLLEGIALE (presidente del tribunale + magistrato di Cassazione + magistrato
d'Appello + magistrato di sorveglianza + due esperti) --> uno dei due giudici togati deve essere il
magistrato di sorveglianza sotto la cui giurisdizione è posto il condannato/internato in ordine alla
cui posizione si deve provvedere, in modo tale da garantire che il collegio abbia una conoscenza
diretta del soggetto che deve essere giudicato
- il collegio decide con ORDINANZA deliberata a maggioranza; in caso di parità di voti prevale
quello del presidente.
E' necessario però che il detenuto si trovi STABILMENTE nell'istituto di prevenzione o pena -->
non è sufficiente il transito occasionale ad esempio durante un trasferimento.
Nel caso di esecuzione di misure alternative che si svolge in un luogo diverso, rientrante nella
competenza territoriale di un altro giudice, parte della GIURISPRUDENZA ritiene che sia
competente quest'ultimo anche per decidere sull'eventuale revoca della misura stessa -->
permane comunque sul punto un CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE.
• All'interessato viene notificato un ordine di esecuzione sospeso ex art. 656 comma 5 cpp
("se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a 3 o 6
anni in base a 2 casi ex DPR 309/1990, il PM, salvo i casi previsti ai commi 7 e 9, ne sospende
l'esecuzione ...") e lo stesso fa richiesta di misure alternative alla detenzione: è competente
il tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sul luogo in cui ha sede l'ufficio del PM che ha
emesso l'ordine di esecuzione della pena detentiva.
Anche in questo caso manca una specifica disciplina in caso di incompetenza territoriale -->
applicazione analogica delle regole generali.
Dal 1922 l'amministrazione penitenziaria è passata dal Ministero dell'Interno al Ministero della
Giustizia, il quale si articola in dipartimenti e la materia penitenziaria è attribuita al DIPARTIMENTO
DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA (DAP) che ha le seguenti funzioni:
1. provvedere all'ordine e alla sicurezza degli istituti
2. provvedere al coordinamento e alla direzione e amministrazione del personale
Organi decentrati del DAP sono i PROVVEDITORATI GENERALI con competenze in materia di
modalità di organizzazione del lavoro penitenziario: a ciascun provveditorato regionale è preposto
un un dirigente superiore degli istituti di prevenzione e pena con funzioni di PROVVEDITORE
REGIONALE, dipendente gerarchicamente dal direttore generale dell'amministrazione
penitenziaria.
IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO
LA POLIZIA PENITENZIARIA
Figura istituita dal 1990 e sostitutiva del Corpo degli agenti di custodia e delle Vigilatrici
penitenziarie.
Funzioni principali:
- assicura l'esecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertà
- garantisce l'ordine e la sicurezza all'interno degli istituti penitenziari (servizio di sicurezza e
custodia --> "personale di custodia")
- partecipa alle attività di osservazione e trattamento rieducativo dei detenuti/internati
E' braccio operativo del Direttore dell'istituto, non necessariamente armato: gli agenti in servizio
all'interno degli istituti non possono portare armi se non nei casi eccezionali in cui ciò venga
ordinato dal direttore --> per evitare che i detenuti possano impossessarsi delle stesse.
Laddove sia indispensabile per prevenire o impedire atti di violenza, tentativi di evasione o vincere
la resistenza anche passiva all'esecuzione degli ordini, ha la possibilità di usare la forza fisica.
L'EDUCATORE
COMPETENZE
ART. 82 O.P: le competenze dell'educatore riguardano
1. il trattamento rieducativo di condannati ed internati in senso stretto
2. gli interventi di sostegno diretti agli imputati
ATTIVITA' DI OSSERVAZIONE
Il compito più importante attribuito all'educatore riguarda la sua partecipazione all'attività del
gruppo di osservazione scientifica della personalità dei detenuti e degli internati --> consiste
nell'osservazione comportamentale del soggetto ai fini della comprensione dei suoi
comportamenti umani fondamentali che orientano la sua vita.
L'osservazione avviene tramite colloqui e programmazione/svolgimento di una serie di attività
rieducative individuali e di gruppo, dalle quali l'educatore discenderà una serie di informazioni sulle
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attitudini e sulla personalità del detenuto. Tutte queste informazioni serviranno per costituire il
rapporto di sintesi, un documento conclusivo dell'osservazione scientifica della personalità del
detenuto:
• conclude l'osservazione
• traccia le linee essenziali del trattamento rieducativo: sulla base del rapporto infatti si delinea un
programma individualizzato di trattamento, compilato entro 9mesi.
--> è costituito da una parte in cui sono ricomprese tutte le esperienze di vita del soggetto prima
del suo ingresso in istituto e gli atteggiamenti assunti dallo stesso di fronte alle proposte
trattamentali + una parte in cui sono illustrati i programmi rieducativi elaborati sulla base delle
informazioni contenute nella prima parte.
(N.B: l'art. 82 comma 2 O.P. riguardo alle attività dell'educatore a favore degli IMPUTATI, parla
sempre di trattamento "educativo", non "rieducativo" --> ciò a motivo della presunzione di non
colpevolezza, preclusiva di un'azione di rieducazione che presuppone l'accertata esistenza di
aspetti di devianza della personalità)
ALTRE COMPETENZE
• partecipa alla Commissione per le attività culturali, ricreative e sportive
• ricopre il ruolo di "animatore": cerca di coinvolgere i rappresentanti dei detenuti e degli internati in
un discorso partecipativo di scelte
• fa parte del Consiglio di disciplina: da un contributo diretto per una miglior conoscenza del
detenuto o dell'internato e cerca di orientare le decisioni in senso pedagogico
• è membro della Commissione per il regolamento interno --> art. 678 comma 1 cpp: la
magistratura di sorveglianza, nell'adottare i provvedimenti di propria competenza, può avvalersi
della consulenza dei tecnici del trattamento.
• è alle dipendenze del Direttore dell'istituto, il quale gli può delegare alcune funzioni (es. colloqui
di primo ingresso, interventi nel lavoro all'esterno e nella semilibertà, la tenuta delle cartelle
personali) --> lo spazio di intervento delegabile all'educatore è molto ampio.
I PROFESSIONISTI ESPERTI
Questa materia è stata profondamente innovata con la L.354/1975 (O.P.), innanzi tutto spostando
le competenze degli antichi Consigli di patronato:
- ai Consigli di aiuto sociale
- e ai Centri di servizio sociale (oggi definiti "Uffici locali di esecuzione penale esterna")
--> che insieme costituiscono il servizio sociale per adulti, già presente in ambito minorile dal
1948 e introdotto per gli adulti solo nel 1955.
Disciplina del servizio sociale: artt. 72 e ss O.P. - artt. 118 e 119 reg. esec.
Disciplinando il servizio sociale, il legislatore ha mostrato di rendersi conto del fatto che nessun
programma dalle finalità rieducative era destinato al successo senza il sotegno di un intervento
volto ad accertare eventuali carenze fisio-psichiche, affettive, educative e sociali che erano state di
pregiudizio all'instaurazione di una normale vita di relazione.
--> nel disciplinare le attività dei Consigli però il Legislatore non ha tenuto conto degli indirizzi di
riforma nel settore della beneficienza pubblica che si erano profilati contemporaneamente all'iter
della riforma penitenziaria:
La Riforma della beneficienza pubblica ha previsto il trasferimento delle funzioni amministrative
dallo Stato alle Regioni --> tra le varie competenze, sono state trasferite anche quelle relative
all'assistenza penitenziaria e post-penitenziaria.
Allo stato attuale:
• competenza dei comuni e delle provincie: competenze ex art. 75 O.P, riguardanti l'assistenza
post-penitenziaria e l'assistenza economica alle famiglie dei detenuti
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• competenza dei Consigli di aiuto sociale: assistenza psicologica e morale nei confronti dei
liberandi, dei detenuti e delle loro famiglie.
L' art. 78 O.P. prevede queste figure qualificabili come persone idonee all'assistenza e
all'educazione, che vengono autorizzate dall'amministrazione penitenziaria a frequentare gli istituti
penitenziari allo scopo di partecipare alle attività rivolte al sostegno morale dei detenuti e al loro
futuro reinserimento nella vita sociale.
Art. 120 reg. esec: l' AUTORIZZAZIONE viene data a coloro che dimostrano interesse e
sensibilità per la condizione umana dei sottoposti a misure privative e limitative della libertà e che
abbiano dato prova di concrete capacità nell'assistenza a persone in stato di bisogno.
Nel caso il volontario si dimostrasse inidoneo, il Direttore o gli Uffici di esecuzione penale esterna,
sospendono l'autorizzazione e ne chiedono la revoca al Ministero.
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L'ATTIVITÀ di questi volontari viene svolta in stretto raccordo con gli operatori professionali
--> vanno quindi a costituire parte integrante dello staff dei collaboratori della direzione dell'istituto.
PARAMETRI DI SELEZIONE:
1. attitudine alla funzione risocializzante dell'assistenza
2. indagini circa le qualità morali e l'impostazione politica del volontario
3. acquisizione di opportune informazioni presso gli organi di pubblica sicurezza ed un colloquio
orientativo con il Magistrato di sorveglianza
4. valutazione del certificato penale e del certificato dei carichi pendenti
La previsione degli assistenti volontari nell'ambito del sistema penitenziario costituisce una delle
espressioni più significative dell'orientamento che vede nella presenza della comunità esterna
un importante elemento del trattamento risocializzante dei detenuti.
L'ORDINE DI CARCERAZIONE
Una volta emesso l'ordine di esecuzione, il PM ne cura la consegna al condannato (che deve
essere notificato entro 30 gg dalla sua emanazione, a pena di nullità, al difensore del condannato)
e nel caso quest'ultimo sia già ristretto in carcere, l'ordine viene altresì comunicato al Ministro della
Giustizia.
Numerose MODIFICHE in materia sono state introdotte nel '98, nel 2001 e nel 2010, soprattutto in
materia di sospensione della carcerazione d'ufficio da parte del PM, prima ancora che
l'esecuzione abbia inizio --> attraverso queste innovazioni si è data possibilità al condannato a
pena detentiva non superiore a determinati limiti edittali di accedere alle misure alternative, su
decisione del Tribunale di sorveglianza --> sempre che il condannato non riversi in situazioni
ostative di cui all'art. 656 comma 9 cpp.
--> La sospensione dell'esecuzione non può comunque essere disposta più di una volta.
L'esecuzione dell'ordine di esecuzione di pene detentive può altresì essere ritardata quando si
versi in materia di operazioni investigative sotto copertura.
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ORGANIZZAZIONE PENITENZIARIA E TIPOLOGIA DEGLI ISTITUTI
TITOLO II O.P.
Evoluzione storica: nella precedente legislazione penitenziaria era del tutto assente qualsiasi
differenziazione delle strutture carcerarie basata sulla diversità dei soggetti destinati ad utilizzarle.
Nel XVIII sec. si iniziò a discutere dell'opportunità di separare le varie categorie di detenuti --> le
prime distinzioni avvenute in Italia si sono basate sul sesso o l'età dei condannati oppure in base al
tipo di pena da espiare.
Ad oggi l'art. 59 O.P. e l'art. 8 comma 1 lett. b) d.lgs. 272/89 propongono la prima generale
distinzione:
• l'art. 59 O.P. fa riferimento a istituti penitenziari per adulti che a loro volta si distinguono in 4
categorie:
1. istituti di custodia cautelare
2. istituti per l'esecuzione delle pene
3. istituti per l'esecuzione delle misure di sicurezza
4. centri di osservazione
• l'art. 8.1 lett.b) d.lgs. 272/89 fa riferimento a istituti penali per minorenni
CENTRI DI OSSERVAZIONE: hanno una funzione diversa dagli altri istituti --> svolgono attività di
osservazione scientifica della personalità dei condannati ed eseguono perizie medico-legali sulle
persone sottoposte a procedimento penale. Infine si occupano della ricerca scientifica volta a
definire i criteri e i metodi di osservazione e di trattamento.
GLI ALTRI ISTITUTI (n. 1,2,3): si differenziano in relazione alle diverse finalità del trattamento
penitenziario --> occorre infatti trattare diversamente chi è stato condannato con sentenza
definitiva irrevocabile (la cui colpevolezza è stata dunque accertata), rispetto a chi invece è ancora
soltanto indagato o imputato (in virtù della presunzione di innocenza).
La recente legislazione inoltre da apprezzabile riferimento agli "istituti a custodia attenuata per
detenute madri" e alle "case famiglia protette" che trovano fondamento normativo nell'art. 115
comma 3 reg. esec: sono strutture concepite e modulate per poter sopperire a peculiari esigenze
ritenute, da normative interne ma in primis da normative sovranazionali, meritevoli di essere
obbligatoriamente tutelate anche in fase di privazione della libertà personale --> attraverso un
opportuno adeguamento della disciplina.
ES: art. 285 bis cpp --> se la persona da sottoporre a "custodia cautelare" sia donna incinta o
madre di prole di età non superiore a 6anni, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o
assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, il giudice può disporre la custodia
presso uno dei predetti istituti, ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano.
1. ICAM (istituti a custodia attenuata per detenute madri): unità in genere di piccole
dimensioni, chiuse o semichiuse, dotate di sistemi di sicurezza non riconoscibili dai bambini,
con spazi dedicati alle attività ludiche dei bambini e con personale di polizia penitenziaria
operante senza divisa --> Tramite questi istituti si intende consentire ai bambini figli di detenute
(ma anche di padri detenuti) di trascorrere i loro primissimi anni in un ambiente che non ricordi
il carcere e appaia al minore il più familiare possibile, riducendo così il rischio di insorgenza di
problemi legati allo sviluppo della sfera emotiva e relazionale. Il primo istituto di questo tipo è
stato inaugurato a Milano nel 2006.
2. case famiglia protette: un decreto del 2012 ne definisce le caratteristiche.
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Attualmente gli istituti per l'esecuzione delle pene si distinguono in 2 sole categorie:
1. case di arresto
2. case di reclusione
--> anche se il C.P. prevede 3 tipi di pene detentive (arresto, reclusione ed ergastolo), l'art. 61 O.P.
evita accuratamente ogni riferimento alla pena dell'ergastolo: il vigente sistema penitenziario si è
infatti adeguato a quanto emerso dalla passata esperienza carceraria, la quale ha dimostrato la
negatività di un raggruppamento di individui tutti sottoposti a pena perpetua.
Inoltre, per quanto riguarda le case di arresto, l'esiguo numero di condannati assegnati a tale
istituto (dovuto ai numerosi provvedimenti legislativi di depenalizzazione e alle misure alternative
applicabili) ne ha comportato la mancata istituzione --> nei rari casi in cui vi sia da scontare la
pena dell'arresto, ci si serve di istituti di custodia cautelare = ovviamente costituisce un'eccezione
alla regola della separazione tra condannati e imputati, imposta da esigenze operative oltre che
dall'assenza di strutture in numero adeguato rispetto alla popolazione carceraria.
L'espressione "trattamento" non costituisce innovazione della Legge del 1975 --> già nel
regolamento penitenziario del 1931 il termine veniva utilizzato per riferirsi all'insieme delle regole di
condotta da rispettare negli istituti penitenziari.
Nell'ordinamento odierno però, si distinguono due tipi di trattamento:
• trattamento penitenziario inteso in senso ampio e generico
• trattamento rieducativo rivolto solo ai condannati e internati --> species del più ampio genus
"trattamento penitenziario".
L'Art. 1 O.P. ne da una definizione generale: il trattamento penitenziario deve essere conforme a
umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona; inoltre, quando si tratti di
IMPUTATI, deve essere rigorosamente informato alla presunzione di innocenza ex art. 27 Cost.
Art. 1 comma 6 O.P: il trattamento RIEDUCATIVO dei condannati e internati mira a realizzare il
reinserimento sociale degli stessi.
L'unico CRITERIO dettato dall'art. 42 comma 2 O.P. per la scelta dell'istituto è che sia favorita il
più possibile l'assegnazione di soggetti in istituti "prossimi alla residenza delle famiglie" -->
in quanto il mantenimento dei contatti con i famigliari è uno degli strumenti che meglio risponde
alla finalità del reinserimento e della risocializzazione.
L'INGRESSO IN ISTITUTO
Art. 22 re. esec. e art. 94 norme att. cpp: le Direzioni degli istituti hanno l'OBBLIGO di RICEVERE:
• la persona nei cui confronti vi sia un provvedimento dell'autorità giudiziaria o un avviso di
consegna da parte di un ufficiale di polizia giudiziaria
• la persona che spontaneamente si presenti nell'istituto dichiarando di aver commesso un reato
per il quale sia obbligatorio l'arresto in flagranza
• il latitante che si sia sottratto all'esecuzione della custodia cautelare, l'evaso o il condannato in
via definitiva che non sia in grado di produrre copia dell'ordine di esecuzione
• le persone che si costituiscono dichiarando che ciò fanno per dare esecuzione ad un
provvedimento da cui consegue la privazione della libertà.
1. All'atto di ingresso, la Direzione si occupa della perquisizione personale del soggetto, anche
allo scopo di impedire che vengano portati, all'interno dell'istituto, oggetti non consentiti.Gli
oggetti rinvenuti sulla persona che non possono essere lasciati in suo possesso sono
depositati presso la stessa Direzione --> ove non possano essere conservati, sono venduti a
beneficio del soggetto o inviati alla persona da lui designata. Il denaro che appartiene al
soggetto viene versato nella Cassa dell'istituto e accreditato a nome del detenuto stesso.
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2. Dopodiché si procede al rilievo delle impronte digitali.
3. La Direzione deve anche curarsi del fatto che il soggetto sia messo in grado di esercitare la
facoltà di informare immediatamente il coniuge e le altre persone da lui indicate del suo
ingresso.
4. Il soggetto dovrà essere poi sottoposto a visita medica non oltre il giorno successivo.
6. Tutte le informazioni che vengono raccolte sul detenuto devono essere annotate nell'apposito
registro (nome, luogo e data di nascita, cittadinanza, lingua, stato, domicilio dichiarato o eletto,
il giorno dell'entrata nell'istituto, il provvedimento in forza del quale è stato arrestato, l'autorità a
disposizione della quale si trova il detenuto etc..) --> se l'internato si rifiuta di fornire le sue
generalità, o quando vi siano fondati motivi per ritenere che le generalità fornite siano false, si
identifica provvisoriamente il soggetto come "sconosciuto".
7. Il soggetto deve essere edotto sui motivi della sua restrizione nonchè sulle regole vigenti
all'interno dell'istituto --> gli viene consegnata la "Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e
degli internati", che verrà inoltre portata a conoscenza dei familiari e fornita nella lingua del
detenuto e dispone su:
- vestiario
- igiene personale
- alimentazione
- disciplina sui provvedimenti sanzionatori adottabili e relativi reclami
- principi caratterizzanti il trattamento penitenziario
L'art. 26 reg. esec. istituisce la cartella personale del detenuto, la cui compilazione inizia al suo
ingresso in istituto dallo stato di libertà e che lo accompagnerà nei suoi eventuali spostamenti, fino
a restare custodita nell'archivio dell'istituto dal quale il detenuto viene dimesso. Nella cartella sono
annotate tutte le informazioni sul detenuto, tra cui:
• indicazioni sul trattamento individualizzato
• sullo sviluppo del trattamento e dei suoi risultati
• i provvedimenti del Tribunale e del Magistrato di sorveglianza
• allo scadere di ogni semestre di pena detentiva, viene annotato il GIUDIZIO espresso dalla
Direzione sull'impegno dimostrato dal detenuto, sul mantenimento di rapporti costruttivi con gli
operatori, i compagni, la famiglia e con la comunità esterna.
Infine, il detenuto ha sempre diritto a consultare la propria cartella personale ed ottenere copia dei
provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria in essa contenuti.
Per poter intraprendere un recupero sociale del detenuto, in primis sono necessari degli adeguati
edifici carcerari --> Art. 5 comma 1 O.P: gli istituti devono essere realizzati in modo da accogliere
un numero non elevato di detenuti o internati --> previsione che, vista la situazione attuale di
sovraffollamento nelle carceri italiane, è rimasta solo sulla carta.
Inoltre, la CorteEDU, pronunciandosi sul caso Sulejmanovic v. Italia del 2009, ha condannato
l'Italia affermando che se lo Stato non provvede ad assicurare al detenuto la reclusione in uno
spazio sufficiente commette violazione dell'art. 3 CEDU che stabilisce il divieto di pene o
trattamenti inumani e degradanti --> la CorteEDU è poi tornata sul problema condannando
pesantemente l'Italia nel caso Torregiani e altri v. Italia del 2013.
Per SPAZIO SUFFICIENTE si deve intendere "spazio con ampiezza sufficiente, illuminato con luce
naturale o artificiale per consentire le attività lavorative e culturali, areati, riscaldati ove le
condizioni climatiche lo richiedano, dotati di servizi igienici, riservati, decenti e di tipo
razionale" (art. 6 comma 1 O.P.).
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--> in particolare, secondo gli standard utilizzati dalla CorteEdu, ogni detenuto ha diritto a 7mq di
spazio in cella singola e 4,5 mq in quella multipla, con spazio minimo mai comunque inferiore a
3 mq a persona.
Inoltre l'istituto deve mettere a disposizione del detenuto biancheria, vestiario ed effetti personali in
misura adeguata al variare delle stagioni e delle condizioni climatiche, differenziati per uomini e
donne --> tali da soddisfare le normali esigenze di vita --> si configura così un vero e proprio
DIRITTO del condannato al corredo personale e al vestiario.
I detenuti potranno anche possedere oggetti di particolare valore morale o affettivo, purchè non
abbiano un consistente valore economico e non siano incompatibili con il normale svolgimento
della vita nell'istituto.
Ciò che costituisce una vera e propria EMERGENZA delle carceri italiane è l'igiene personale,
problema non opportunamente affrontato dall'O.P.
L'igiene personale rappresenta un presupposto essenziale della tutela della saluto, ma fa anche
parte di quelle condizioni basilari di vita il cui rispetto realizza il precetto dell'umanizzazione della
pena --> il lasciare l'argomento a discrezione delle singole amministrazioni, non sembra la miglior
soluzione legislativa.
Il Reg. Esec. prevede comunque la possibilità di imporre l'obbligo della doccia, nonchè il taglio dei
capelli e della barba --> per necessità di tutela preventiva della salute di coloro che vivono
all'interno del carcere.
Per quanto riguarda l'alimentazione, l'O.P. dispone che il vitto giornaliero debba essere sano,
sufficiente e adeguato all'età, al sesso, allo stato di salute, al lavoro, alla stagione e al clima. E'
istituita un'apposita "commissione cucina" formata da rappresentanti dei detenuti, che ha il compito
di controllare l'applicazione delle tabelle ministeriali e la preparazione del vitto. Nella formulazione
delle tabelle vittuarie si deve anche tener conto delle diverse fedi religiose.
E' previsto che giornalmente in genere vengano distribuiti 3 pasti agli adulti e 4 pasti ai minorenni.
L'O.P consente anche l'acquisto a proprie spese di generi alimentari e di conforto (c.d. "sopravitto")
presso gli spacci gestiti direttamente dall'amministrazione carceraria.
Per la salvaguardia dell'integrità fisica e morale del detenuto, è poi consentito a chi non presta
lavoro all'aperto, di permanere all'aria aperta per almeno 2 ore al giorno e, salvo eccezioni, in
gruppo.
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MODALITÀ ED ELEMENTI DEL TRATTAMENTO
L'O.P consente ai singoli istituti di ORGANIZZARSI in modo tale da adeguare il trattamento alle
peculiari esigenze dei gruppi di detenuti ed internati ivi specificamente ristretti --> consente quindi
ad ogni singolo istituti di avere un REGOLAMENTO INTERNO, che viene disposto da un'apposita
Commissione ed è redatto nell'osservanza delle direttive impartite dagli Uffici centrali
dell'amministrazione penitenziaria --> acquisisce efficacia una volta approvato con Decreto del
Ministro della Giustizia.
--> per motivi di celerità viene però seguita una diversa procedura: il Provveditore regionale svolge
un primo esame del testo del regolamento e se ravvisa delle previsioni inammissibili o illegittime,
rinvia il testo alla Commissione, altrimenti lo trasmette al Dipartimento dell'amministrazione
penitenziaria che provvederà ad approvarlo.
Nel caso di direttive sopravvenute: le norme del regolamento che non vi sono conformi cessano
di avere applicazione e devono essere modificate entro 20 gg; mentre il regolamento che già ab
initio non osservi le direttive vigenti è da ritenersi inapplicabile.
Una volta approvato il Regolamento diviene il corpus normativo dell'istituto che da specifica
attuazione a quanto stabilito in via generale dall'O.P.e dal Reg. di esecuzione.
L'ISTRUZIONE
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Per coloro che vogliono intraprendere gli studi universitari, l'O.P prevede possano essere esonerati
dal lavoro, in considerazione dell'impegno e del profitto dimostrati; inoltre attraverso i permessi-
premio hanno la possibilità di dirigersi verso le Università per conseguire gli esami, laddove non
fosse possibile svolgerli all'interno dell'istituto.
IL LAVORO
A differenza del passato, non è più considerato uno strumento punitivo --> oggi l'art. 20 comma 2
O.P dichiara che il lavoro penitenziario "non ha carattere afflittivo ed è remunerato" --> anzi, la
gratificazione ottenuta dal lavoro, fa avvertire al detenuto l'utilità del suo impegno e lo proietta
consapevolmente verso il reinserimento sociale.
--> a tal fine è previsto (art. 20 comma 1 O.P.) che negli istituti penitenziari siano favorite la
destinazione dei detenuti al lavoro e la loro partecipazione ai corsi di formazione professionale -->
per incentivare la frequenza dei corsi, è istituita la corresponsione di un sussidio orario e di un
premio finale in caso di esito positivo.
--> il lavoro è obbligatorio solo per condannati, per i sottoposti alla misura di sicurezza della
colonia agricola e della casa di lavoro (e non anche per gli imputati): ciò ribadisce il valore
rieducativo del lavoro proprio verso quei soggetti da "reinserire" nella società, a seguito
dell'espiazione della pena.
Anche in questo caso è prevista l'esclusione dalle attività lavorative per il detenuto che tenga un
comportamento che si risolve nel sostanziale rifiuto dell'adempimento dei suoi compiti.
All'obbligo del detenuto di lavorare, corrisponde un DOVERE dell'amministrazione di assicurare i
necessari posti di lavoro, a parte i casi di oggettiva impossibilità e difficoltà insormontabili.
L'amministrazione deve altresì curare il fatto che l'organizzazione e i metodi del lavoro
penitenziario riflettano quelli del lavoro nella società libera.
L'ammissione al lavoro esterno è disposta dal Direttore dell'istituto, previa approvazione del
Magistrato di sorveglianza --> il magistrato svolge un CONTROLLO penetrante: deve tener
conto del tipo di reato, della durata della misura privativa della libertà e dell'esigenza di prevenire il
pericolo che, una volta ammesso al lavoro esterno, il condannato commetta altri reati.
• DOTTRINA: il provvedimento di autorizzazione del magistrato è un provvedimento
giurisdizionale incidente sulla modalità di esecuzione della pena detentiva --> può essere
impugnato per ricorso in Cassazione ex art. 111 Cost.
• GIURISPRUDENZA: il provvedimento di autorizzazione ha solo natura amministrativa --> non è
impugnabile con i mezzi previsti dal cpp.
I posti di lavoro a disposizione della popolazione detenuta sono fissati in un'apposita TABELLA -->
se le commesse non sono sufficienti ad assorbire la capacità di manodopera dell'istituto,
l'amministrazione può organizzare e gestire lavorazioni diretta alla produzione e vendita di beni.
Lavoro esterno: il lavoratore detenuto in questo caso esercita i diritti riconosciuti ai lavoratori liberi
(art. 36 Cost, diritto alla retribuzione, art. 40 Cost. diritto di sciopero, ferie etc..) --> con le sole
limitazioni necessarie per l'adempimento degli obblighi inerenti all'esecuzione della misura
privativa della libertà: non può svolgere lavoro notturno, non può essere trasferito etc.
Lavoro intramurario:
- ha diritto ad un orario normale di lavoro, al riposto festivo e alla tutela assicurativa e
previdenziale
- la legge non fa espresso riferimento alle ferie --> la Corte Cost con sent. del 2001 ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale dell'art. 20 comma 17 O.P. nella partein cui non riconosce il diritto al
riposo annuale retribuito al detenuto che presti lavoro alle dipendenze dell'amministrazione
carceraria (violazione art. 36 Cost.)
- anche il diritto di sciopero non è menzionato, ma opinione prevalente è che sia un diritto
riconosciuto anche all'interno del carcere.
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Lavoro autonomo: il detenuto che svolge un lavoro autonomo è titolare di tutti i diritti previsti per i
lavoratori autonomi, tra cui l'iscrizione all'Assicurazione degli artigiani ai fini previdenziali.
--> Aspetto retributivo: mentre in passato una parte della retribuzione doveva essere
necessariamente versata alla Cassa per il soccorso delle vittime del reato, ad oggi l'art. 22 O.P.
prevede che la retribuzione dei detenuti lavoratori "debba essere correlata alla quantità e qualità
del lavoro svolto, all'organizzazione e al tipo di attività svolta e comunque non inferiore ai 2/3 del
trattamento economico previsto dai CCNL"
Dalla remunerazione cosi composta bisogna detrarre gli eventuali assegni famigliari, le somme
dovute a titolo di risarcimento del danno e il rimborso delle spese processuali --> ciò che resta
costituisce il "peculio" che si distingue in:
- peculio vincolato: costituito dal quinto della remunerazione, non può essere utilizzato durante la
detenzione, viene restituito alla dimissione
- peculio disponibile: costituito dalla quota eccedente il quinto della remunerazione; se supera i
1032 euro, la parte eccedente verrà invitata ai familiari o conviventi indicati dal detenuto stesso
o depositata presso un istituto bancario/ufficio postale.
LA RELIGIONE
L'art. 26 O.P. lascia liberi i detenuti di professare la propria fede, di istruirsi in essa, nonchè di
praticarne il culto --> in perfetta aderenza con il dettato costituzionale (art. 19 Cost) che riconosce
la libertà di religione tra i diritti fondamentali.
Al fine di consentire quanto previsto dall'O.P, l'amministrazione ha il DOVERE di predisporre gli
strumenti necessari:
• religione cattolica: ogni istituto è dotato di una o più cappelle e di uno o più cappellani
• culti non cattolici: l'amministrazione deve provvedere a mettere a disposizione locali idonei e si
avvale dell'opera di ministri del culto in questione i cui rapporti con lo Stato italiano sono regolati
con legge, e di quelli indicati dal Ministero dell'Interno.
Art. 27 O.P: "negli istituti devono essere favorite ed organizzate attività culturali, sportive e
ricreative ed ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti" --> sono
attività utili non solo alla formazione della personalità, ma anche per dare sfogo alla carica di
aggressività che spesso è conseguenza dell'essere sottoposti a restrizione della libertà personale.
Le attività che si possono svolgere non fanno parte di un elenco chiuso, è una lista aperta a
sperimentazione e iniziative varie, la cui direzione può essere affidata a detenuti che abbiano
particolari attitudini a collaborare al buon esito del programma (es. gli vengono affidate mansioni di
animazione nelle attività di gruppo o di assistenza nelle attività di lavoro comune), senza mai
sforare in mansioni che importino una posizione di preminenza sugli altri detenuti.
Il senso di responsabilità che viene dimostrato in queste attività organizzate, viene considerato
elemento di valutazione all'atto della concessione di ricompense --> per contro l'esclusione dalle
stesse costituisce sanzione disciplinare. Il detenuto sospeso da queste attività viene
costantemente sottoposto a controllo sanitario per valutare il suo grado di sopportazione alla
punizione.
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Una delle modalità per non interrompere i rapporti con la società libera, è far partecipare privati e
istituzioni o associazioni pubbliche o privati all'azione rieducativa (così come previsto dall'art. 32
delle Regole minime per il trattamento dei detenuti e dall'art. 7 delle Regole penitenziarie europee).
Chi si occupa della partecipazione della comunità al reinserimento del condannato è la Direzione
dell'istituto e la Direzione del centro servizio sociale.
Le aree in cui l'intervento della comunità esterna può esplicarsi sono indicate genericamente -->
potranno quindi investire ad es. l'animazione culturale, ricreativa e sportiva.
In ogni caso, occorre considerare l'opera prestata dalla comunità esterna come integrativa di
quella svolta dagli operatori penitenziari --> quindi le attività svolte dai privati e dalle associazioni
dovranno essere armonizzate con il programma di trattamento individualizzato di ogni singolo
detenuto.
Per i soggetti sottoposti al trattamento differenziato di cui all'art. 41bis O.P, sono previsti dei LIMITI
anche per i colloqui con i difensori: max 3 volte a settimana.
L'O.P parla indistintamente di "coniugi e familiari", mentre il Reg. Esec. menziona "coniugi e
conviventi": questo potrebbe far pensare che la nozione di "FAMIGLIA" tenuta presente
dall'attuale O.P. comprende oltre quella legittima, anche quella "allargata" (comprensiva anche
degli affini) e "di fatto" (basata sulla convivenza more uxorio) --> a riguardo bisogna comunque
tener conto di quanto espresso da una Circolare del Dipartimento dell'amministrazione
penitenziaria, la quale adotta una nozione ampia di famiglia = "tutti coloro che sono legati da
vincoli di coniugio, parentela o affinità entro il 4 grado".
Il colloquio si svolge in locali appositi comuni e interni, senza mezzi divisori, o in spazi all'aperto
appositamente destinati --> per ragioni sanitarie o di sicurezza può essere disposto che si svolga
in locali interni e muniti di mezzi divisori.
In ogni caso, si svolgono sotto il controllo a vista e NON auditivo della polizia penitenziaria.
Le persone ammesse al colloqui sono identificate e sottoposte a controllo, al fine di garantire che
non siano introdotti nell'istituto strumenti pericolosi o atti ad offendere.
Numero dei colloqui: in genere sono concessi 6 colloqui al mese --> eccezioni:
- detenuti per uno dei delitti ex 1 comma art. 4bis O.P (accertata pericolosità sociale): non più di 4
al mese
- detenuti sottoposti al regime ex art. 41bis O.P (situazioni di emergenza): 1 colloquio al mese, da
svolgere ad intervalli regolari ed in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti;
obbligatorio il controllo auditivo, la registrazione e la videoregistrazione; ha durata massima di 1
ora, ma in circostanze particolari può essere concessa una durata maggiore con i congiunti e i
conviventi --> in questo caso il provvedimento di autorizzazione al colloqui deve essere
"adeguatamente motivato".
In via generale comunque l'art. 61 comma 2 O.P prevede ulteriori possibilità di incrementare il
numero dei colloqui per tutti i detenuti, senza porre limiti numerici --> sempre al duplice scopo di
mantenere o ristabilire i rapporti con i familiari e favorire il reinserimento sociale.
L'art. 18 comma 1 O.P, innovato dalla L. 14/2009, oggi prevede poi la possibilità per i detenuti e gli
internati di avere colloqui con il garante dei diritti dei detenuti --> il quale può effettuare visite
senza autorizzazione al pari del Presidente del Consiglio, Presidente e giudici della Corte Cost,
ministri, Sottosegretari di Stato, membri del Parlamento, componenti del CSM e altre autorità civili
ed ecclesiastiche indicate nell'art. 67 O.P.
La corrispondenza
L'amministrazione deve mettere a disposizione di coloro che ne siano sprovvisti, gli oggetti di
cancelleria necessari per la corrispondenza.
Corrispondenza in busta chiusa: è sottoposta ad ispezione, ma sono vietati i controlli sul contenuto
scritto (si violerebbe l'art. 15 Cost.) --> l'attuale art 18 ter O.P, è stato introdotto nel 2004 a seguito
di un adeguamento alla giurisprudenza della CorteEDU che in materia aveva condannato l'Italia
diverse volte. Ora, i controlli e le limitazioni ammesse sono 3:
1. limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa
2. sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo
18
3. controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della
medesima
--> finalità legittimanti le limitazioni:
• esigenze attinenti le indagini investigative o di prevenzione dei reati
• ragioni di sicurezza o di ordine dell'istituto
--> ci sono però corrispondenze immuni da tali limitazioni e controlli: come quelle che sono
destinate o provengono da difensori, investigatori privati e consulenti tecnici, autorità giudiziaria e
altri tipi di autorità.
Procedimento di controllo: prende avvio dalla richiesta del PM o dalla proposta del Direttore
dell'istituto e richiede l'emissione di un decreto motivato il quale dovrà essere adottato dal
Magistrato di sorveglianza.
Se a seguito del visto di controllo l'autorità ritenga che la corrispondenza non debba essere
consegnata o inoltrata al destinatario, dispone che la stessa sia trattenuta (pre-sequestro) e il
detenuto ne viene subito informato.
Garanzie:
- possibilità di proporre reclamo al Tribunale di sorveglianza ex art. 14ter O.P., se il provvedimento
è stato emesso dal Magistrato di sorveglianza
- avverso l'ordinanza pronunciata all'esito del reclamo è ammesso il ricorso per cassazione
- l'apertura delle buste deve avvenire in presenza del detenuto
--> Cassazione: è illegittimo il controllo occulto della corrispondenza --> non è infatti applicabile
alla stessa la disciplina delle intercettazioni ex artt. 266 e ss cpp --> quindi per la sottoposizione a
controllo e l'utilizzazione probatoria del contenuto epistolare si devono seguire le forme del
sequestro di corrispondenza ex artt. 254 e 353 cpp, nonché le formalità ex art. 18ter O.P.
COLLOQUI INVESTIGATIVI:
rappresentano un valido strumento di lotta alla criminalità --> grazie ad essi i soggetti titolari di
funzioni di indagine ed investigazione, possono avere rapporti diretti con i detenuti che, avendo
fatto parte di associazioni criminali malavitose, possono fornire informazioni sull'organizzazione dei
clan --> incentivano la collaborazione con la giustizia.
Scopo = acquisire informazioni utili per la prevenzione e repressione dei delitti di criminalità
organizzata.
I soggetti che ricoprono funzioni di indagine e investigazione (personale della Direzione
Investigativa Antimafia, dei servizi centrali e provinciali, ufficiali di polizia giudiziaria):
- hanno facoltà di visitare gli istituti senza necessità di alcuna autorizzazione
- possono avere colloqui personali con i detenuti e internati, previa autorizzazione del Ministro
della Giustizia e, nel caso di persone sottoposte ad indagini, dal PM.
--> in casi di particolare urgenza non è richiesta autorizzazione e del colloquio deve essere
data immediata comunicazione al Ministro della Giustizia.
--> l'autorizzazione non è invece mai richiesta per il Procuratore Nazionale Antimafia
--> i colloqui investigativi si devono DISTINGUERE dai colloqui in genere, in quanto non sono da
ricomprendere nelle forme di contatto col mondo esterno --> non hanno valenza in ordine
all'opera di rieducazione, in quanto adempiono prettamente ad uno scopo di indagine sui crimini
associativi di particolare allarme sociale.
I PERMESSI DI NECESSITA'
I PERMESSI PREMIO
--> per i soggetti che hanno riportato condanna o sono imputati per delitto doloso commesso
durante l'espiazione della pena o l'esecuzione della misura restrittiva alla libertà personale: la
concessione è ammessa solo decorsi 2 anni dalla commissione del fatto.
--> per i soggetti condannati per i delitti di cui agli artt. 289bis (sequestro di persona a scopo di
terrorismo o di eversione) e 630 cp (sequestro di persona a scopo di estorsione), che abbiano
cagionato la morte del sequestrato: devono espiare almeno 2/3 della pena o, nel caso
dell'ergastolo, almeno 26anni.
21
Il tempo trascorso in permesso è computato ad ogni effetti nella durata delle misure restrittive della
libertà personale --> tranne nei casi di mancato rientro.
Perché i permessi non sono previsti per gli imputati e gli internati:
Imputati: le esigenze alle quali è preordinato il permesso premio possono tranquillamente essere
soddisfatte dalla normativa del cpp in tema di misure cautelari diverse e alternative alla custodia
cautelare in carcere.
Internati: analoghe esigenze possono essere soddisfatte dall'istituto delle LICENZE ex art. 53
O.P. --> anch'esse sono computare nella durata della pena.
Comma 1: la pena della reclusione non superiore ai 4 anni, nonchè la pena dell'arresto, possono
essere espiate nella proria abitazione o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo pubblico di
cura, assistenza o accoglienza, ovvero in case famiglia protette quando trattasi di:
• donna incinta
• madre di prole di età inferiore a 10 anni con lei convivente
• padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore a 10 anni con lui convivente quando la madre
sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole
• persona in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedano costanti contatti con i presidi
sanitari
• persona di età superiore a 60anni, se inabile anche parzialmente
• persona minore di anni 21 per comprovate esigenze di salute, studio, lavoro e famiglia.
Comma 1ter: il condannato per il quale sia disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo
dell'esecuzione, può subire le limitazioni implicite nell'applicazione della detenzione domiciliare.
Art. 47quater O.P. "misure alternative alla detenzione nei confronti dei soggetti affetti da
Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria"
consente di concedere le misure alternative dell'affidamento in prova e della detenzione
domiciliare anche oltre i limi di pena previsti, quando riguardano soggetti affetti da AIDS
conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate e che abbiano in corso o che intendano
intraprendere un programma di cura e assistenza presso i presidi sanitari indicati dal 1 comma
dello stesso articolo --> in questo caso l'istanza dell'interessato deve essere accompagnata da
certificazione del servizio sanitario pubblico competente o del servizio sanitario penitenziario.
comma 1bis: salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell'art.
4bis O.P., l'espiazione di almeno 1/3 della pena o di almeno 15anni prevista dal precedente
comma, può avvenire presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ovvero, se non
sussiste concreto pericolo di commissione di ulteriori reati o di fuga, nella propria abitazione, o in
altro luogo (...) al fine di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli.
--> Il PM e la polizia giudiziaria possono controllare, anche di propria iniziativa, l'osservanza delle
prescrizioni imposte in materia di arresti domiciliari.
--> la detenzione domiciliare speciale può essere concessa anche aI PADRI DETENUTI, se la
madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che il padre.
23
CAPITOLO IV: LA SICUREZZA E LA DISCIPLINA PENITENZIARIA
La riforma penitenziaria del 1975 si pone in un'ottica fortemente innovativa, con la quale si
intendeva superare l'impostazione di segno prevalentemente custodialistico e retributivo che aveva
caratterizzato la fase dell'esecuzione nel precedente ordinamento del 1931
--> in questa prospettiva la nuova legge assumeva come PRINCIPIO ISPIRATORE la funzione di
rieducare il condannato attraverso la risocializzazione --> MA la netta prevalenza di norme
diretta a realizzare questa finalità, lasciava nell'ombra l'esigenza, anch'essa fondamentale, di
garantire l'ordine e la sicurezza all'interno degli istituti --> si venne a creare quindi un forte
SQUILIBRIO che doveva poi confrontarsi con l'inevitabile presenza, all'interno delle carceri, di
detenuti refrattari a qualsiasi trattamento di tipo riabilitativo e per i quali era necessario delineare
un regime idoneo a neutralizzarne la pericolosità.
La soluzione normativa adottata per affrontare la questione dei "detenuti difficili" è stata quella di
prevedere l'assegnazione ed il raggruppamento degli stessi presso appositi reparti all'interno degli
istituti penitenziari, al fine di realizzare la necessaria separazione dagli altri detenuti, nella
prospettiva di applicare loro un efficace trattamento differenziato.
--> il sistema così delineato per la salvaguardia delle esigenze di ordine e sicurezza all'interno
delle carceri, risultava però vago e lacunoso, risolvendosi, nei fatti, in una vera e propria DELEGA
IN BIANCO alla discrezionalità dell'amministrazione penitenziaria --> mentre una disciplina
specifica veniva prevista per fronteggiare situazioni di particolare allarme ed emergenza.
Il nuovo meccanismo risultava però in contrasto sia con le prescrizioni della normativa, sia con
importanti principi costituzionali:
1. i presupposti di applicazione dell'art. 90 finivano per dipendere esclusivamente dalla
discrezionalità dell'amministrazione --> quest'ultima era abilitata a trasferire in istituti di
massima sicurezza anche detenuti privi delle caratteristiche di pericolosità richieste
2. la carenza di strutture di massima sicurezza comportava l'estensione della disciplina dell'art. 90
anche ad altre carceri in cui erano ristretti soggetti pericolosi --> determinando una
generalizzazione del regime restrittivo speciale, in palese contrasto con l'individualizzazione
del trattamento
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--> il regime di massima sicurezza instaurato dall'amministrazione collideva con i principi di
legalità e giurisdizionalità imposti dall'art. 13 comma 2 Cost. per ogni tipo di detenzione (dunque
anche per il regime di privazione della libertà personale a contenuto strutturalmente differenziato).
LA RIFORMA GOZZINI
L. 663/1986 "legge Gozzini" nasce da una nuova stagione riformatrice, dopo il decennio seganto
dall'eversione e dal terrorismo.
L'impianto della nuova normativa cerca di coniugare le contrastanti esigenze di sicurezza interna
ed esterna degli istituti di pena e della progressiva proiezione del trattamento individualizzato oltre
le mura penitenziarie.
• abrogazione art. 90 O.P. e sua sostituzione con art. 41bis O.P: conferisce al Ministro un nuovo
strumento per sospendere le ordinarie regole di trattamento in istituto o in parte di esso, per gravi
esigenze di ordine e sicurezza pubblica
• introduzione dell'art. 14bis O.P: disciplina un regime particolare di sorveglianza, commisurato ai
parametri di "pericolosità penitenziaria" dei detenuti.
--> Stabilisce infatti l'art. 14quater comma 5 O.P: se tale regime non risulta attuabile nell'istituo in
cui il detenuto o internato si trova, l'amministrazione penitenziaria può disporre, con provvedimento
motivato, il trasferimento in un altro istituto reputato idoneo, con il minimo pregiudizio per la difesa
e i familiari, dando immediato avviso al magistrato di sorveglianza.
--> CRITICA: i trasferimenti rappresentano uno strumento segnato da un alto grado di
discrezionalità dell'amministrazione e da una inadeguata rete di garanzie per il soggetto
sottoposto al provvedimento --> l'amm. penitenziaria infatti opera attraverso provvedimento
motivato MA detto provvedimento non è suscettibile di reclamo, spettando al magistrato di
sorveglianza solo il potere di riferire sull'eventuale infondatezza dei motivi di trasferimento al
ministro.
--> PROBLEMA: una politica mirata di trasferimenti può eludere le complesse procedure previste
per la sorveglianza particolare, oltre le relative forme di controllo giurisdizionale --> comportando
un'applicazione indiscriminata e non selettiva degli interventi di restrizione negli istituti penitenziari.
PRESUPPOSTI:
la sorveglianza particolare può essere applicata solo sulla base di determinati comportamenti
che evidenzino una PERICOLOSITÀ per l'ordine e la sicurezza penitenziaria.
--> il regime di sorveglianza particolare, pur essendo costituito da misure restrittive dei diritti dei
detenuti, non può essere inquadrato tra le misure disciplinari (infatti è posto nel Capo III "modalità
di trattamento" e non nel Capo IV "regime penitenziario" dove compaiono le sanzioni disciplinari).
Il suo carattere non è punitivo ma meramente PREVENTIVO e CAUTELARE, inteso a tutelare il
mantenimento dell'ordine e della sicurezza --> il prevalere dell'intento preventivo fa si che la legge
preveda l'applicazione del regime di sorveglianza particolare anche per gli imputati.
25
--> a differenza dei presupposti di applicazione delle sanzioni disciplinari, questo tipo di regime
richiede comportamenti abituali e reiterati --> il giudizio sulla pericolosità penitenziaria non può
basarsi su singoli episodi.
L'individuazione legislativa dei PRESUPPOSTI del regime di sorveglianza particolare non appare
comunque sorretta da un grado sufficiente di determinatezza --> le indicazioni sono vaghe e
indeterminate. L'art. 14bis infatti si limita a distinguere tra:
1. comma 1: soggetti già ristretti in istituto
• lett.a "coloro che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza, ovvero turbano
l'ordine negli istituti": l'ipotesi qui contemplata è molto ampia e generica --> molte delle
condotte integranti "infrazioni disciplinari" previste all'art. 77 reg. esec. appaiono suscettibili di
essere inquadrate proprio in questa ipotesi. Apporta alla norma una funzione meramente
sussidiaria rispetto alle altre ipotesi previste al comma1.
• lett. b "coloro che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o
internati": probabilmente la fattispecie definita con maggior determinatezza --> delinea
condotte di per sè penalmente rilevanti e, inoltre, il presupposto in esame può identificarsi
sia in un singolo episodio di violenza/minaccia, sia in una reiterazione di episodi violenti/
minacciosi.
• lett.c "soggetti che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri
detenuti nei loro confronti": è complesso l'accertamento di questa ipotesi --> occorre far
riferimento non tanto alle condotte dei singoli detenuti pericolosi, ma piuttosto allo stato di
soggezione degli altri --> dato di difficile accertamento.
--> il RISCHIO che si viene a delineare come conseguenza di questa indeterminatezza è che il
regime di sorveglianza particolare da rimedio eccezionale finisca, di fatto, per sostituire i
provvedimenti disciplinari.
2. comma 5: soggetti provenienti da altro istituto o dallo stato di libertà --> questa
disposizione, quando fa riferimento ai soggetti provenienti da altro istituto, non pone particolare
difficoltà interpretative: basta far riferimento ai precedenti comportamenti carcerari del detenuto per
poter determinare una presunzione di pericolosità futura. Particolari difficoltà invece si pongono nel
caso di soggetti provenienti dallo stato di libertà: si dovrebbe tener conto di comportamenti che
potrebbero essere ritenuti significativi anche se non costituenti reato.
--> CONCLUSIONE: la disposizione è stata oggetto di critiche severe, fino a prospettare una
possibile illegittimità della norma.
CONTENUTO:
art. 14quater O.P. indica:
- le MISURE DI RESTRIZIONE che possono essere applicate: "restrizioni strettamente
necessarie, per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza, all'esercizio dei diritti dei detenuti/
internati e alle regole di trattamento previste dall'O.P." --> formula volutamente indeterminata =
al fine di poter adattare le restrizioni del regime al grado di pericolosità del detenuto.
- le AREE ESCLUSE DALLE RESTRIZIONI sono elencate in modo tassativo, poiché riguardano
esigenze primarie e diritti costituzionalmente garantiti (igiene, salute, vitto, vestiario e corredo,
aria aperta, culto, colloqui con difensore e familiari) --> possono essere limitati i rapporti verso
l'esterno (colloqui con perone diverse dai familiari, corrispondenza, attività culturali sportive e
ricreative, libertà di movimento). L'esclusione dal lavoro è espressamente sancita dall'art. 20.6
O.P. modificato da L. 296/1993 --> misura particolarmente severa che va ad aggravare il regime
di sorveglianza trasformandolo in uno strumento di "custodia controllata passiva".
--> l'art. 14quater inoltre non prevede l'esercizio in comune delle attività permesse --> devono
essere svolte in forma individuale (dato che tale art. assicura al detenuto l'esercizio del diritto e
non anche le sue modalità).
--> l'esclusione delle attività in comune però comporta il RISCHIO che il regime di sorveglianza
particolare diventi un vero e proprio isolamento --> giurisprudenza più recente: sembra
particolarmente sensibile nel predisporre le cautele necessarie ad assicurare un livello minimo di
socializzazione che eviti la trasformazione del regime di sorveglianza particolare in isolamento.
26
IL PROCEDIMENTO:
Durata massima del regime di sorveglianza particolare = 6mesi, prorogabili più volte per non più
di 3 mesi per volta --> tale indeterminatezza affievolisce la finalità garantistica che ha ispirato
l'intero impianto della L. Gozzini.
Modalità del procedimento: competente in materia è l'amministrazione penitenziaria e in
particolare il Dipartimento dell'amm. pen.
--> il provvedimento di adozione/proroga della sorveglianza particolare può essere adottato:
- di iniziativa del ministero
- sollecitato dalla direzione dell'istituto
- dall'autorità giudiziaria
--> in ogni caso, è necessario che prima della decisione intervenga un PARERE del Consiglio di
disciplina dell'istituto (integrato da 2 esperti in discipline sociali, psicologiche e psichiatriche): il
parere è obbligatorio ma non vincolante, deve essere reso entro 10giorni (la mancata risposta non
è equiparabile a silenzio-assenso) --> nel caso di imputato: il parere deve essere espresso anche
dall'Autorità giudiziaria procedente.
L'amministrazione decide con provvedimento motivato --> motivazione:
• sussistenza presupposti
• idoneità ed efficacia delle restrizioni al fine del mantenimento dell'ordine e della sicurezza
Il provvedimento viene poi comunicato al magistrato di sorveglianza, il quale tuttavia non
dispone del potere di sospenderne l'esecuzione, può soltanto comunicare eventuali illegalità al
Ministro.
Infine il provvedimento deve essere comunicato all'interessato da parte della direzione
dell'istituto.
L'art. 14bis comma4 O.P. prevede poi un PROCEDIMENTO SPECIALE a cui ricorrere in caso di
necessità e urgenza:
con un provvedimento provvisorio con durata di 10 giorni, senza acquisire i pareri del consiglio
di disciplina e dell'autorità giudiziaria procedente --> i pareri dovranno essere assunti entri questi
10 giorni, al termine dei quali l'amministrazione dispone di altri 10 giorni per prendere una
decisione definitiva --> allo scadere di questi altri 10 giorni il provvedimento provvisorio decade.
--> questa procedura speciale consente all'amministrazione di sottoporre a regime di sorveglianza
particolare l soggetto per un periodo di 20giorni, senza alcun efficace controllo.
--> procedimento più volte CRITICATO: il detenuto non può neppure proporre reclamo al
provvedimento provvisorio, esperibile solo verso il provvedimento definitivo --> vengono meno le
FINALITÀ GARANTISTICHE che avevano indotto l'introduzione dell'art. 14bis O.P.
Reclamo: viene presentato al Tribunale di sorveglianza entro 10 giorni dalla comunicazione del
provvedimento definitivo --> non produce alcun effetto sospensivo.
Il procedimento si conclude don un'ordinanza di inammissibilità/rigetto/accoglimento --> in
quest'ultimo caso il Tribunale può disporre la revoca del provvedimento impugnato.
L'ordinanza del Tribunale è soggetta a ricorso per Cassazione.
27
LOTTA ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA e sicurezza penitenziaria
Le stragi mafiose avvenute nell'estate del 1992 hanno inevitabilmente sottolineato l'incapacità di
un modello esecutivo eccessivamente permissivo e garantistico a realizzare il controllo di detenuti
ad altissima pericolosità, inseriti in stabili organizzazioni.
Dinnanzi all'inadeguatezza degli apparati istituzionali deputati alla lotta della criminalità
organizzata, il Legislatore degli anni 90-92, ha messo a punto una strategia politico-legislativa volta
a favorire in ogni sede il fenomeno del pentitismo.
Con particolare riguardo al settore dell'esecuzione della pena, si è verificata una spinta
controriformatrice, indirizzata in senso rigorista e finalizzata a creare un doppio binario
trattamentale --> un doppio regime penitenziario guidato da 3 linee direttrici:
1. ridimensionò l'ambito di applicazione delle misure alternative nei confronti dei condannati per i
più gravi delitti di criminalità organizzata
2. cerca di creare un circuito fondato sulla segregazione e neutralizzazione del condannato,
recidendo drasticamente i contatti tra questo e l'esterno --> obiettivo = esercitare una forte
pressione psicologica al fine di agevolare la collaborazione con la giustizia
3. con l'obiettivo dello sfaldamento dall'interno delle organizzazioni criminali, vengono subordinate
condizioni migliori di regime detentivo, al presupposto di un'efficace collaborazione con
l'autorità di polizia o giudiziaria --> la collaborazione diventa non solo un valore premiale, ma
anche una condicio sine qua non per poter beneficiare delle facoltà e degli istituti predisposti
dall'O.P. al fine di consentire la rieducazione del condannato.
--> conseguenza: viene definitivamente tagliato il collegamento tra diagnosi della personalità e
trattamento penitenziario, ribaltando la scelta dell'opzione rieducativa che è stata alla base della
riforma penitenziaria del 1975, ma anche della L.Gozzini del 1986.
Chiamata più volte a valutare la legittimità del circuito differenziato di esecuzione, la Corte
Costituzionale con sent. 306/1993 ha precisato che:
non è possibile stabilire a priori una gerarchia assoluta tra le finalità della pena che valga una volta
per tutte --> Il Legislatore potrebbe infatti, di volta in volta, perseguire l'una o l'altra finalità
(prevenzione generale e difesa sociale - prevenzione speciale e rieducazione), pur nei limiti della
ragionevolezza --> quindi, unico limite rinvenibile = che nessuna delle due finalità resti
"obliterata".
La Corte è poi intervenuto al fine di smussare alcune asperità normative evidentemente carenti di
ragionevolezza: con riguardo al divieto di concessione di benefici ha infatti affermato il diritto alla
progressione del trattamento del condannato in caso di successione delle leggi penali nel tempo
--> altrimenti si avrebbe una "brusca interruzione" che ostacola il raggiungimento della finalità
rieducativa della pena prescritta dalla Costituzione.
Una delle norme cardine della riforma operata con la legislazione dei primi anni 90, è sicuramente
l'art. 4bis O.P:
"l'assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative previste al Capo VI,
esclusa la liberazione anticipata, non possono essere concessi a taluni soggetti che, in quanto
condannati per specifici delitti di particolare allarme sociale, si presumono socialmente pericolosi".
--> attraverso questo articolo è stato introdotto nel sistema di esecuzione un "doppio binario", un
circuito trattamentale speciale, da applicare in base alla natura del reato commesso.
Questo regime di maggior rigore, negli anni ha assunto confini sempre più estesi.
Formulazione originaria del 1991:
il testo originario divideva in 2 fasce i delitti dai quali desumere la pericolosità del condannato -->
attraverso queste due fasce si delineava l'intento di differenziare 2 categorie di condannati:
1. quelli ritenuti con certezza contigui alla criminalità organizzata
2. quelli autori di reati di elevata gravità, ma non direttamente riferibili alla criminalità organizzata
28
--> il magistrato/Tribunale di sorveglianza, per poter adottare il provvedimento limitativo dei
benefici, dovevano richiedere il parere obbligatorio non vincolante del Comitato provinciale per
l'ordine e la sicurezza pubblica.
L.356/1992 ridimensiona il rigore del testo originario dell'articolo:
• delimita l'area di esclusione dei benefici --> escludendo dal trattamento di rigore la libertà
anticipata; scelta poi confermata anche dalla Corte Costituzionale, la quale afferma che la
disciplina della limitazione dei benefici e delle misure alternative sarebbe entrata in contrasto con
l'art. 27.3 Cost. se non avesse garantito anche al detenuto "non collaborante" la possibilità di
beneficiare della liberazione anticipata, in presenza di una adeguata condotta carceraria.
• individua 3 gruppi di condannati (rimpiazzando le 2 fasce previste nella versione del 1991):
- PRIMO GRUPPO: condannati/internati e imputati indicati nella prima fascia del 1991,
ma con l'esclusione dei detenuti per delitti commessi con finalità di terrorismo ed
eversione --> in perfetta sintonia con il "cessato allarme terrorismo".
--> unica possibilità per ottenere benefici e misure alternative: collaborazione con la
giustizia; in particolare, deve emergere un netto antagonismo rispetto all'ambiente
criminale di provenienza, anche dopo la condanna.
- SECONDO GRUPPO: detenuti presunti pericolosi, che possono ottenere benefici e
misure alternative se nella commissione del reato hanno avuto una minima
partecipazione o hanno commesso reato più grave di quello voluto.
--> per ottenere benefici e misure alternative: collaborazione con la giustizia, purchè
sia stata esclusa con certezza l'attualità dei collegamenti con la criminalità
organizzata.
- TERZO GRUPPO: condannati e imputati per i delitti di omicidio, rapina aggravata,
estorsione aggravata, produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti e
psicotrope - detenuti e internati per delitti commessi con finalità di terrorismo ed
eversione dell'ordinamento costituzionale.
--> l'esclusione dai benefici richiede la sussistenza di collegamenti in atto con la
criminalità organizzata.
• introduce il comma 3bis che prevede un ulteriore e più incisivo divieto di concessione di
benefici: "l'assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative previste dal
Capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi, quando il
procuratore nazionale antimafia, o il procuratore distrettuale comunica l'attualità di collegamenti
con la criminalità organizzata".
--> in questo caso la PRESUNZIONE DI PERICOLOSITÀ non è basata sul titolo di reato, ma
sull'attualità di legami con il crimine organizzato.
--> oggetto del divieto = "lavoro esterno, permessi premio e tutte le misure alternative" --> non è
espressamente esclusa la liberazione anticipata, diversamente da quanto previsto dal comma 1.
Nuove modifiche:
1993: in virtù del problema del sovraffollamento, viene ampliato l'ambito di applicazione della
detenzione domiciliare e delle sanzioni sostitutive.
2001: ampliato il novero dei soggetti destinatari dell'art.4bis (detenuti/internati per il reato di
associazione a delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri etc.)
2002: a causa dei gravissimi atti di terrorismo internazionale, i reati commessi con finalità di
terrorismo o di eversione tornato ad essere inseriti tra quelli ostativi alla concessione di benefici e
delle misure alternative.
2006: ulteriore ampliamento del novero dei reati ostativi --> inserite alcune fattispecie di reato
contro la libertà personale.
RIFORME 2009:
D.L. 11/2009 (provvedimento d'urgenza): ha trasferito nel primo periodo del comma 1 dell'art. 4bis i
reati a sfondo sessuale --> fattispecie già contemplate nel terzo periodo dell'art. 4bis, relativo ai
delitti per i quali la concessione di benefici è subordinata all'assenza di collegamenti con la
criminalità organizzata.
Legge di conversione del 2009: ha riorganizzato l'intera struttura dell'art. 4 bis, suddividendo
l'unico comma originario in 4 commi.
29
nuovo comma 1: sono ostativi all'assegnazione al lavoro esterno e alla concessione dei permessi
premio e delle misure alternative alla detenzione previste dal Capo VI, esclusa la liberazione
anticipata, i seguenti reati: reati di stampo terroristico, mafioso e sessuale.
--> per questi reati c'è il DIVIETO ASSOLUTO di concessione di benefici, qualora il condannato
non collabori con la giustizia.
comma 1bis: riconferma i 2 ammortizzatori penitenziari contemplati in favore dei condannati per
uno dei delitti di prima fascia:
• la concessione di benefici è prevista anche in caso di COLLABORAZIONE IRRILEVANTE (=
inidonea ad incidere sulle conseguenze ulteriori dell'attività delittuosa o sull'accertamento dei fatti
e sulla conseguente individuazione dei colpevoli) qualora sia stata applicata almeno una delle
circostanze attenuanti e sempre che risultino elementi certi ad escludere collegamenti con la
criminalità organizzata --> onere di dimostrarlo è in capo al detenuto (si tratta di probatio
diabolica in quanto è praticamente impossibile per il condannato dimostrare la cessazione di
rapporti ormai risalenti nel tempo).
• la concessione di benefici è prevista anche in caso di COLLABORAZIONE IMPOSSIBILE a
causa della limitata partecipazione al fatto criminoso, o INUTILE data la posizione marginale
nell'organizzazione che non consente di conoscere fatti o altri soggetti responsabili.
comma 1ter: i detenuti condannati per i delitti ivi elencati, la concessione di benefici è preclusa nel
caso in cui venga provata la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata --> onere
della prova = PM.
comma 1quater: (è la novità più rilevante) introduce un'autonoma ed innovativa condizione per
poter usufruire dei vantaggi sul piano esecutivo --> i condannati per i reati ivi elencati (violenza
sessuale e violenza sessuale aggravata, atti sessuali con minorenni, violenza sessuale di gruppo)
possono fruire dei benefici penitenziari solo sulla base dei risultati dell'OSSERVAZIONE
SCIENTIFICA DELLA PERSONALITÀ condotta per almeno 1 anno dall'equipe di osservazione.
--> opinione prevalente: esclude la necessaria osservazione scientifica nel caso di detenuto/
internato per il reato di associazione a delinquere finalizzata al compimento di delitti di violenza
sessuale, atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo --> ritiene sufficiente in questi
casi la dimostrazione di assenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o
eversiva.
--> in particolare, per quanto previsto dall'art. 609octies O.P. (violenza sessuale di gruppo):
essendo questa fattispecie compresa sia nel reati ostativi di prima fascia, che di terza fascia, è
ragionevole ritenere che per godere dei benefici penitenziari è necessaria la SUSSISTENZA
CONTESTUALE dei 2 requisiti (collaborazione ed osservazione scientifica della personalità per 1
anno).
L. 94/2009 "pacchetto sicurezza": modifica l'art. 4bis proprio riguardo al delitto di violenza
sessuale di gruppo --> la modifica attuata induce a ritenere che i 2 requisiti possano sussistere in
via alternativa --> MA la natura associativa del reato e la personalità del soggetto evidentemente
affetto da devianze, rendono preferibile l'opinione interpretativa più rigorosa, che subordina la
concessione di benefici alla contestuale sussistenza dei 2 requisiti.
--> PERMESSO PREMIO: a seguito delle modifiche del 2009 si è verificata un'ANTINOMIA
NORMATIVA:
- art. 4bis comma1: i permessi premio possono essere concessi ai detenuti/internati per i delitti di
prima fascia solo nei casi in cui questi abbiano collaborato con la giustizia
- art. 30ter comma4 lett.c): i permessi premio possono essere concessi ai condannati alla
reclusione per uno dei delitti ex comma 1 art. 4bis, solo dopo l'espiazione di almeno metà della
pena, o cmq non oltre 10 anni.
--> Mag. Sorv. Pavia nel 2011: in base al criterio temporale, prevale l'art. 30ter, in quanto più
recente rispetto all'art. 4bis.
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Oggetto dell'accertamento:
• verifica dei presupposto previsti per ciascun beneficio
• sussistenza delle condizioni ex art. 4bis O.P. che escludono il divieto
Art. 4bis comma 2 O.P:
- delitti di prima fascia: il giudice di sorveglianza deve richiedere DETTAGLIATE INFORMAZIONI
al Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al locus
custodiae.
- delitti di seconda fascia: il giudice di sorveglianza deve rivolgersi al Questore per ottenere
informazioni dettagliate.
--> entrambi gli organi interpellati devono inviare le informazioni richieste entro 30 giorni.
--> soggetto condannato per una pluralità di reati e solo alcuni di essi sono delitti ostativi:
- in un primo momento la Cassazione: ha ritenuto l'inscindibilità del cumulo --> "le singole pene
perdono ogni autonomia e rilevanza e si deve avere riguardo alla pena unica da espiare" -->
soluzione ritenuta incostituzionale dalla Corte Cost.
- Corte Costituzionale: in caso di cumulo, può essere ammesso alla misura alternativa il
condannato che abbia già scontato la pena per il delitto ostativo --> soluzione riconfermata
successivamente dalle Sezioni Unite.
Comma 1
l'assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio, l'affidamento in prova al servizio sociale, la
detenzione domiciliare e la semilibertà, non possono essere concessi al soggetto, condannato per
qualsiasi titolo di reato, che sia stato riconosciuto colpevole del reato di evasione.
• giurisprudenza: l'accesso ai benefici non è automaticamente impedito dalla condanna per
evasione --> il giudice dovrà svolgere un esame approfondito della personalità dell'evaso.
• Cassazione: tale divieto fa riferimento alla sola condotta tenuta nel tempo successivo all'inizio
dell'espiazione della pena --> non rilevano le condotte di evasione tenute durante lo stato di
custodia cautelare.
--> la giurisprudenza è concorde nel ritenere che ai fini della sussistenza del divieto, è necessario il
passaggio in giudicato della condanna per evasione.
31
Comma 2
estende il divieto di concessione di benefici ai condannati nei confronti dei quali sia stata disposta
la revoca dell'affidamento in prova, della detenzione domiciliare e della semilibertà.
--> il divieto opera per un periodo di 3 anni dal momento in cui è ripresa l'esecuzione della
custodia/pena o è stato emesso il provvedimento di revoca.
Comma 4
i condannati per sequestro di persona a scopo di estorsione o terrorismo, che abbiano cagionato la
morte del sequestrato, possono accedere ai benefici solo dopo che abbiano effettivamente espiato
almeno i 2/3 della pena, o 26anni nel caso di ergastolo.
Commi 5, 6 e 7
inasprimento del trattamento nei confronti di chi, già condannato per uno dei delitti ex comma1,
1ter e 1quater dell'art. 4bis, commetta un delitto doloso punito con reclusione non inferiore a 3anni,
nel corso di evasione o approfittando della maggior libertà concessa.
--> l'accesso ai benefici e alle misure alternative è vietato (e se già concesso, revocato) per 5
anni.
Comma 7bis
l'affidamento in prova ordinario, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere
concessi più di una volta al condannato al quale sia stata contestata la recidiva reiterata (art. 99
comma 4 cp).
--> Corte Costituzionale: l'esclusione dal beneficio opera in modo assoluto SOLO quando il reato
espressivo della recidiva reiterata sia stato commesso dopo la sperimentazione della misura
alternativa, avvenuta in sede di esecuzione della pena a sua volta irrogata con applicazione della
medesima aggravante.
--> questa norma era TEMPORANEA: la sua efficacia è stata prevista solo per 3 anni, poi
prorogati diverse volte, fino ad arrivare nel 2002 con la Legge n. 279 la quale ha stabilizzato
definitivamente il regime carcerario differenziato, riformando quasi del tutto le relativa disciplina.
Ulteriori modifiche sono state poi apportate nel 2009.
--> a differenza di quanto previsto dall'art. 4bis, l'art. 41bis non fa riferimento al CONTRIBUTO
COLLABORATIVO.
Risulta ESCLUSA dal procedimento applicativo del regime sospensivo OGNI FORMA DI
CONTRADDITTORIO ANTICIPATO = non è previsto nè un obbligo di informativa all'interessato
circa l'instaurazione del procedimento istruttorio, nè il deposito delle informazioni e del parare -->
contrasto con artt. 24 e 111 Cost. (difesa, giusto processo, contraddittorio).
Recependo gli insegnamenti della Corte, il Legislatore nel 2002 è intervenuto modificando l'art.
41bis e introducendo il comma 2 quater, il quale va ad individuare gli ambiti entro i quali può
incidere il provvedimento, attraverso un'elencazione delle singole restrizioni applicabili.
Il comma è stato poi modificato dalla L.94/2009 --> attualmente il seguente comma stabilisce: "il
regime sospensivo prevede:
A. l'adozione di misure di elevata sicurezza interna ed esterna con riguardo alla necessità di
prevenire contatti/contrasti/interazioni con le organizzazioni criminali --> disposizione vaga:
sembra legittimare misure diverse da quelle espressamente tipizzate, alla sola condizione che
siano idonee e strumentali alla tutela dell'ordine e della sicurezza.
B. restrizioni nella disciplina dei colloqui con tersi, familiari e con il difensore:
- soggetti terzi: vietati i colloqui salvo casi eccezionali
- familiari: un colloquio al mese
- difensori: massimo 3 volte a settimana, una telefonata o un colloquio
--> colloqui in locali attrezzati per evitare passaggio di oggetti e sottoposti a controllo auditivo e
registrazione.
C. limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall'esterno
D. l'esclusione delle rappresentanze dei detenuti e degli internati: nel tentativo di evitare rapporti
con altri detenuti idonei a creare contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza.
F. limitazione della permanenza all'aperto: durata massima = 2 ore al giorno e comunque non
meno di 1, in gruppi di massimo 4 persone.
D. allocazione detenuti speciali: questi soggetti sono ristretti all'interno di istituti a loro
esclusivamente riservati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero all'interno di sezioni
speciali e logisticamente separate dal resto degli istituti.
DURATA DEL PROVVEDIMENTO = originariamente non era stabilita --> rimessa alla
discrezionalità del Ministro. E' stata poi introdotta nel 2002 (non meno di 1 anno e non più di 2 anni
--> proroghe di 1 anno ciascuna) e modificata nel 2009: 4 anni, prorogabile per 2 anni a proroga
senza fissazione di un numero massimo di proroghe.
--> inoltre, la possibilità di proroghe non è subordinata ad una nuova verifica dei presupposti
legittimanti l'adozione del regime sospensivo, ma richiede che non risulti venuta meno la capacità
del detenuto di mantenere collegamenti con l'associazione criminale, terroristica o eversiva
--> la proroga quindi non esige la prova dell'attualità dei collegamenti, ma si basa su un giudizio
sulla "potenziale e futura capacità a ristabilire collegamenti con gli ambienti criminali di
appartenenza", anche dal carcere.
--> ONERE: Ministro della Giustizia
Il Legislatore del 2009 ha delineato una serie di SITUAZIONI SINTOMATICHE di tale capacità:
• profilo criminale del soggetto
• posizione rivestita all'interno dell'associazione
• risultati del trattamento penitenziario
• perdurante operatività del sodalizio criminale
• sopravvenienza di nuove incriminazioni
• rapporti dell'organizzazione con la famiglia del detenuto
--> comma 2bis: "il mero decorso del tempo non costituisce di per sè elemento sufficiente per
escludere la capacità di mantenere collegamenti con l'associazione o dimostrare il venir meno
dell'operatività stessa".
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REGIME DEI CONTROLLI:
con la Riforma del 2009 è stato abrogato il comma 2ter, il quale prevedeva un potere di revoca
ministeriale del provvedimento, nell'ipotesi in cui fossero venuti meno i presupposti che ne
avevano legittimato l'adozione.
--> si crea così automaticamente un deficit di tutela.
Recentemente è intervenuta la Cassazione: il rigetto per silenzio-rifiuto della richiesta di revoca del
provvedimento di sospensione, è soggetta a RECLAMO al tribunale di sorveglianza --> unica
forma di controllo disciplinato dal comma 2quinquies, che può essere proposto entro 20 giorni dalla
comunicazione del provvedimento stesso.
Competenza a decidere sul reclamo: Tribunale di Roma, il quale deve decidere entro 10 giorni
dalla proposizione del reclamo.
Al procedimento è necessaria la partecipazione del difensore, non è invece prevista quella
dell'imputato/detenuto, i quali possono richiedere di partecipare tramite il meccanismo della
videoconferenza --> fermo restando il suo diritto ad essere sentito personalmente laddove ne
faccia richiesta.
Avverso la decisione del Tribunale è ammesso il ricorso per Cassazione.
In caso di accoglimento del reclamo: il Ministro della Giustizia può rinnovare il provvedimento
sospensivo, evidenziando però nuovi elementi o elementi non valutati in sede di reclamo.
I CIRCUITI PENITENZIARI
Oltre ai regimi differenziati espressamente previsti nel nostro O.P., è previsto il POTERE
DELL'AMMINISTRAZIONE di adottare provvedimenti per assicurare che l'assegnazione e il
raggruppamento dei detenuti nelle sezioni di ciascun carcere siano disposti:
- con particolare riguardo alla possibilità di garantire l'osservazione scientifica della personalità e il
trattamento individualizzato
- allo scopo di evitare influenze nocive reciproche
--> sono stati quindi creati appositi circuiti penitenziari previsti dall'art 32 Regolamento
penitenziario del 2000:
1. Alta sicurezza (AS): appartenenti ad associazioni criminali, imputati e condannati per sequestro
di persona a scopo di estorsione
2. Sicurezza media (SM): soggetti che non rientrano negli altri 2 livelli
3. Custodia Attenuata (CA): soggetti tossicodipendenti, che non presentano elevato grado di
pericolosità
I circuiti sono stati nel tempo modificati:
Nel 1998 è stato introdotto il Circuito ad elevato indice di vigilanza (EIV): detenuti di particolare
pericolosità, il cui titolo di reato ne impediva l'inserimento nell'AS.
Nel 2007 sono stati inseriti nell'AS anche i detenuti per delitti previsti dal comma1 art. 4bis --> ad
esclusione dei delitti commessi con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione
dell'ordine democratico (destinati nel circuito EIV).
Nel 2009 - 2011:
• abolito EIV
• istituito nuovo circuito AS suddiviso al suo interno in 3 sottocircuiti:
1. AS1: detenuti/internati appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nei cui
confronti sia venuto meno il provvedimento sospensivo ex art. 41bis.
2. AS2: imputati/condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo, anche
internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di
violenza.
3. AS3: detenuti già destinati all'AS in base ai parametri del 2007
• modificato SM: ripartizione detenuti in base a codici (bianco giallo verde rosso), cui sono
riconnessi differenti spazi di libertà, di fruibilità del trattamento, sulla base di una valutazione
della loro pericolosità.
--> DIFFERENZA DEI CIRCUITI non implica differenziazione del regime trattamentale --> anzi, la
differenziazione dei circuiti è finalizzata a garantire un buon esito delle attività trattamentali e a
consentire l'adozione di strutture sicure e apparati/dispositivi elettronici finalizzati alla massima
35
vigilanza possibile --> MA spesso queste direttive si sono tradotte in un vero e proprio regime
trattamentale differenziato di fatto e rimesso all'assoluta discrezionalità dell'amministrazione.
L'IMPUTATO DETENUTO
La normativa del 1975 e quella successiva, detta una disciplina base valida sia per i condannati
che per gli imputati, salvo di volta in volta precisare, con disposizioni ad hoc, se una determinata
regola valga per gli uni o per l'altri.
Art. 13 Cost, ultimo comma: l'imputato è assistito dalla presunzione di non colpevolezza fino alla
sentenza definitiva, ma è lo stesso art. 13 Cost, all'ultimo comma, menzionare esplicitamente la
"carcerazione preventiva".
La normativa comunque non permette di estendere all'imputato detenuto ogni norma prevista per il
condannato detenuto, parificando posizioni oggettivamente e giuridicamente diverse:
• il trattamento rieducativo non è previsto per l'imputato, in quanto non ancora giudicato colpevole
e quindi bisognoso di una "rieducazione sociale"
• non sono previste nemmeno le misure alternative alla detenzione, dato che presuppongo
l'espiazione di una pena e non l'applicazione di una misura cautelare.
L'impegno che nasce dai principi costituzionali nei confronti dell'imputato è quello della riduzione
per quanto possibile delle occasioni e del protrarsi della custodia cautelare --> a questo scopo il
magistrato di sorveglianza è chiamato a sovrintendere sulle modalità di esecuzione della
custodia cautelare: esercita la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia
cautelare sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti.
--> norma ad hoc sono poi disposte per gli imputati che collaborano con la giustizia (es:
collocazione in luoghi diversi dal carcere).
DIRITTI DELL'IMPUTATO:
Art. 22 Reg. esec: un soggetto può costituirsi in carcere dichiarando di essere sottoposto a
provvedimento da cui consegue privazione della libertà --> ciò vale anche per l'imputato.
La Direzione ha l'obbligo di riceverlo, verificando immediatamente l'esistenza del titolo privativo e
dandone notizia all'Autorità giudiziaria.
L'ordinanza di custodia cautelare è un atto a sorpresa --> le modalità di esecuzione della stessa
sono previste dall'art. 293 comma 1 cpp: l'interessato viene tradotto manu militari in istituto a
disposizione dell'Autorità giudiziaria procedente.
L'ingresso in istituto comporta:
• la consegna all'imputato di una copia del provvedimento
• l'obbligo per la Direzione di accertare, se necessario con l'ausilio di un interprete, che
l'interessato abbia precisa conoscenza del provvedimento che ne dispone la custodia e, ove
occorra, di illustrarne i contenuti.
• consegna all'imputato, che arriva dallo stato di libertà, della Carta dei diritti e dei doveri del
detenuto
Divieti a cui l'amministrazione penitenziaria deve sottostare:
1. divieto di consigli circa la scelta del difensore di fiducia: essendo nota la particolare fragilità
psicologia di chi ha appena subito il trauma della carcerazione e l'oggettiva posizione di
supremazia dell'amministrazione penitenziaria.
2. divieto di trattare con gli imputati argomenti relativi al processo penale in corso
L'imputato non ha diritto a scegliere l'istituto di assegnazione --> deve essere privilegiata però
l'assegnazione provvisoria nell'ambito della regione di residenza nonchè in istituto di custodia
cautelare o, dove ciò non sia possibile, in istituto della stessa categoria situato in località prossima.
Poiché l'adozione della misura cautelare risponde ad esigenze processuali, il sistema penitenziario
deve essere in grado di svolgere al meglio 2 funzioni:
A. salvaguardare le ragioni di giustizia che hanno determinato la detenzione
B. consentire la pienezza dell'esercizio del diritto di difesa
Lo stato di detenzione non può impedire all'imputato di partecipare agli atti processuali laddove
sia richiesta la sua presenza --> fermo restando il diritto ad essere sentito personalmente, se
ne faccia richiesta, dal giudice procedente, ovvero dal Magistrato di sorveglianza del luogo se
questo è diverso da quello in cui ha sede il giudice.
--> la mancata traduzione dell'imputato che ne ha fatto tempestiva richiesta, comporta il rinvio
dell'udienza camerale per legittimo impedimento dell'imputato, salva l'applicazione dell'art. 45bis
disp. att. cpp circa la "partecipazione a distanza" all'udienza camerale.
Nel caso l'imputato si rifiutasse di partecipare all'udienza dove è necessaria la sua presenza, è
previsto l'accompagnamento coattivo.
--> il regime di isolamento, sorveglianza particolare o sospensione del trattamento ex art. 41bis,
non giustifica una diversa disciplina della corrispondenza col difensore.
CONDIZIONI DI SALUTE:
Art. 275 comma 4bis cpp (introdotto nel 1999): vieta l'adozione e il mantenimento della
custodia cautelare in carcere quando l'imputato per una malattia particolarmente grave (AIDS,
grave deficienza immunitaria), si trovi in condizioni di salute incompatibili con lo stato di detenzione
e comunque tali da non consentire adeguate cure --> il divieto è tassativo quando la malattia si
trovi in una fase così avanzata da non rispondere più ai trattamenti disponibili e alle terapie
curative --> il malato terminale deve poter morire non in carcere.
--> il giudice deve scegliere altra misura coercitiva (es. arresti domiciliari) o astenersi
dall'applicarla.
Art. 275 comma 4quater cpp: prevede la possibilità della custodia cautelare in carcere qualora il
soggetto risulti imputato o sottoposto ad altra misura cautelare per delitto rientrante tra i casi di
arresto obbligatorio, relativamente a fatti commessi dopo l'applicazione della misura cautelare non
detentiva per ragioni di salute --> l'AIDS o altra grave malattia non impedisce in questo caso la
custodia carceraria, in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessaria.
--> contraddizione legislativa: se esiste un reparto di questo tipo, manca una delle condizioni
richieste dal comma 4quater (= incompatibilità con lo stato di detenzione) --> quindi non dovrebbe
configurarsi il divieto di disporre o mantenere la custodia carceraria.
In caso di infermità mentale che impedisce all'imputato di partecipare coscientemente al
procedimento, è possibile la sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato (art. 71
cpp), essendo costui nell'impossibilità di esercitare il diritto di autodifesa.
All'ingresso in carcere, l'imputato è sempre sottoposto a visita medica per accertare eventuali
malattie fisiche e psichiche (non risponde ad esigenze sanitarie, invece, il prelievo di campioni
biologici) --> nel momento in cui l'istituto prende in consegna l'imputato, sarà responsabile delle
sue condizioni di salute: l'assistenza sanitaria infatti è continua, ma è possibile chiedere aproprie
spese un sanitario di fiducia.
IL TRATTAMENTO PENITENZIARIO:
Non essendo configurabile alcuno impegno della struttura penitenziaria per rieducare l'imputato
(presunzione di innocenza --> presunto educato), all'imputato detenuto si può solo chiedere un
comportamento conforme a disciplina e alle regole di vita penitenziaria.
Con cadenza semestrale, però, viene annotato nella sua cartella personale il giudizio della
direzione quanto all'impegno dimostrato nel trarre profitto dalle opportunità offertagli nel corso del
trattamento e al mantenimento di corretti e costruttivi rapporti con gli operatori, i compagni e la
comunità esterna --> tale giudizio è irrilevante sulla durata della misura cautelare, non essendovi
materia di applicazione di una misura alternativa --> ma sarà rilevante se, eventualmente, in futuro,
l'imputato sarà condannato a reclusione: la custodia cautelare infatti può convertirsi in pena
espiata e il comportamento dell'imputato detenuto può essere valutato come il comportamento del
condannato.
Gli imputati detenuti, sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare alle attività educative, culturali e
ricreative e, salvo contrarie disposizioni dell'Autorità giudiziaria procedente, anche a svolgere
attività lavorativa o di formazione professionale. Come gli altri detenuti, hanno opportunità di
contatto con gli operatori penitenziari (psicologi, assistenti sociali etc.) e gli assistenti volontari,
proseguire gli studi e dedicarsi ad attività lavorative per il proprio sostentamento anche economico
(un effetto automatico del provvedimento restrittivo della libertà è la perdita del lavoro), per
ottenere sostegno morale e accrescimento morale, culturale e sociale, indipendentemente dal
trattamento rieducativo. Per svolgere lavoro esterno necessitano di autorizzazione dell'Autorità
giudiziaria, la quale nel concederla deve tener conto:
• del tipo di reato
• della durata effettiva o prevista della misura privativa della libertà
• dell'esigenza di prevenire il pericolo che l'imputato commetta altri reati
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REGIME DISCIPLINARE:
L'imputato detenuto non gode di pari accesso alle ricompense come i condannati --> l'unica
ricompensa che può ottenere, al pari del condannato, è l'encomio (elogio): è privo di risvolti
processuali, ma il Legislatore non ha escluso che un "responsabile comportamento in situazioni di
turbamento della vita dell'istituto, diretto a favorire atteggiamenti collettivi di ragionevolezza", possa
indurre a ripensamento sull'esistenza o permanenza della concreta pericolosità sociale del
soggetto.
Nel caso di comportamento non conforme alle regole dell'istituto, l'imputato è soggetto a sanzioni
disciplinari per le quali non è necessaria l'autorizzazione dell'Autorità giudiziaria --> anch'esse
vengono annotate nella cartella personale "a futura memoria" e ne è data notizia all'Autorità
procedente --> l'aver riportato sanzioni disciplinari può costituire motivo di dilazione del momento
di modifica o revoca del provvedimento restrittivo della libertà personale.
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