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La cultura

architettonica nel Seicento:


- il Barocco romano

progetto, tecniche costruttive e cantiere


L’età del Barocco
All'inizio del XVII secolo l'Italia non è indipendente e vive una grave crisi economica con carestie e pestilenze, pur
restando un importante centro culturale artistico. È il secolo della Controriforma e l'arte ne diviene lo strumento
educativo: il suo scopo è di istruire e impressionare i fedeli suscitando stupore e meraviglia.
Per le sue finalità didattiche l'arte deve essere comprensibile a tutti ed ogni illusione apparire “vera”. È l'epoca del
Barocco, un periodo che va dall'inizio del ‘600 alla metà del ‘700 che alla misura, il classicismo, all'ordine e all'equilibrio
propri del Rinascimento sostituisce il senso del fantastico, il dinamismo, l'effetto scenografico e l’illusionismo.

La nuova era incomincia con il pontificato di Urbano VIII Barberini (1623-44). Come papa egli ravvivò l'interesse
umanistico per la cultura e si circondò di poeti e studiosi. Urbano VIII confermò i decreti del Concilio di Trento e non
solo mantenne la pace con i gesuiti, ma li considerò come principali alleati per consolidare i risultati della
Controriforma. Nasce un'epoca in cui era predominante l'apprezzamento estetico della qualità artistica; in pratica, le
istituzioni religiose accettavano tutto quello che gli artisti erano in grado di offrire.
La tendenza verso l'estetismo nei circoli religiosi ufficiali è uno dei segni distintivi della nuova era. Sebbene i precetti
della Controriforma prevedevano nelle arti chiarezza, semplicità, interpretazione realistica, emozione per la pietà, le arti
non ebbero più solo la funzione di istruire ed edificare, ma anche di divertire.
Ciò che distingue il barocco dai periodi precedenti è che lo spettatore è stimolato a partecipare attivamente alle
manifestazioni soprannaturali dell’atto mistico più che guardarle “dall’esterno”. La Santa Teresa del Bernini,
rappresentata in rapimento, sembra essere sospesa a mezz'aria, e ciò può apparire realtà solo in virtù dello stato
visionario della mente dell’osservatore.
Fu attuata una vera e propria politica artistica dai papi, che fungevano da principali committenti: soprattutto Urbano
VIII Barberini, Innocenzo X Pamphili e Alessandro VII Chigi, grazie ai quali a Roma fu dato un volto nuovo, un aspetto di
splendore festoso che cambiò davvero il carattere della città. Dal pontificato di Urbano VIII in avanti, le maggiori
imprese edilizie furono affidate agli architetti più eminenti. I papi del barocco prodigarono grandi somme per le loro
imprese private: il loro obiettivo principale, che rafforzava lo splendore e il prestigio della corte papale, rimaneva quello
di San Pietro, e fu la grandiosità di questo compito ad esaurire le loro risorse.
Durante il pontificato di Urbano, l'opera di decorazione di San Pietro non fu mai sospesa e quasi ogni anno vide l'inizio
di una nuova impresa. Sotto Alessandro VII presero forma i due più straordinari contributi: la Cattedrale di San Pietro e
la piazza.
Lo spazio barocco: l'infinito come suggestione
La raffigurazione prospettica ha importanza anche per l'arte barocca, ma qui essa risulta separata da ogni implicazione
conoscitiva. Le leggi prospettiche sono usate in senso opposto a quello dell'arte rinascimentale, per moltiplicare e non per
unificare i punti di vista. L'infinità dell'estensione spaziale che ne risulta non è il frutto di una ricostruzione razionale, ma
diviene oggetto di una sensazione indotta nell'animo dello spettatore.
Nel colonnato di San Pietro l'osservatore è spinto dalla struttura dell'insieme a cercare un punto di vista unificante, ma non lo
può trovare perché i due bracci hanno due centri distinti, sono le porzioni di due circonferenze che si intersecano. La curva
non si compone nella perfetta semplicità del cerchio, e lo spazio e' affermato come infinita possibilità di tracciare traiettorie.
Per questo l'architettura barocca rivela una decisa vocazione urbanistica: essa non agisce su uno spazio preesistente, ma
"crea" lo spazio.
In Borromini lo spazio geometrico diventa corporeo: mutamento e movimento non sono segni d'imperfezione, perché un
universo vivente deve potersi muovere e mutare. Il tema dell'infinito si ritrova in un altro motivo barocco tipico come la
chiocciola o spirale; altrove, l'induzione emotiva del senso dell'infinito compete a vere e proprie immagini accostate alle
strutture architettoniche, fiamme o angeli che paiono dissolvere la solidità dell'insieme quasi rimandando a una diversa realtà,
puramente immaginata.

Retorica e persuasione
Nel Seicento si perde il legame tra contenuti da trasmettere e mezzi di trasmissione. Le figure retoriche diventano uno
strumento neutro, e vengono impiegate nella poetica del concettismo in chiave di puro virtuosismo. Il fine del linguaggio
poetico non è designare univocamente gli oggetti, ma produrre effetti attraverso il suono delle parole e le immagini evocate.
La metafora è la grande protagonista della poetica concettistica. Nell'opera di architetti come Bernini e Borromini
l'architettura si fa interamente linguaggio figurato, teso alla persuasione dell'osservatore tramite la proposta di una
fascinazione sensibile ed emotiva.
Il linguaggio dell'architettura in Bernini è legato all'espressione del messaggio universale della Chiesa. Il colonnato di San
Pietro, come dice lo stesso artista, doveva dimostrare di "ricever a braccia aperte maternamente i Cattolici per confermarli
nella credenza, gli Heretici per riunirli alla Chiesa, e gl'Infedeli per illuminarli alla vera fede". Ma questo rapporto tra figura
retorica e finalità espressiva non si risolve in quella linearità e compostezza che sono proprie invece dell'arte controriformistica
settentrionale.
GIAN LORENZO BERNINI (1598 - 1680)

Architetto, scultore, pittore e scenografo Bernini è stato uno dei più grandi artisti
dell'età barocca. Massimo interprete della controriforma, godette dell'apprezzamento di
tutti i pontefici che si sono succeduti durante la sua lunga carriera artistica. Nelle sue
opere scultoree, Bernini ricerca sempre dinamismo ed espressività.
Per il Bernini, il “concetto” era realmente sinonimo dell'afferrare il significato essenziale
del soggetto; il concetto che egli sceglie come rappresentazione è sempre il
momento culminante della drammaticità. Così il Davide è mostrato nel preciso
momento del tiro fatale e Dafne nell'istante della trasformazione. Ecco che in tutti casi il
Bernini diede un'interpretazione visiva dei momenti drammatici più ricchi.
Ma il concetto non era necessariamente legato a eventi storici reali. Ad esempio credere
che Luigi XIV a cavallo fosse concepito come un monumento puramente dinastico è un
errore fatale. Egli doveva essere collocato in cima a una alta roccia, un secondo Ercole
che ha raggiunto la sommità dell'erta montante della virtù.
Così anche quest'opera è un documento storico dinamico;
l'allegoria è implicita non resta esplicita. La roccia naturalistica,
il cavallo focoso e l'eroico cavaliere tutti insieme esprimono in
termini visivi drammatici il contenuto poetico allegorico.
In un modo simile un concetto complesso è contenuto nel
progetto della Fontana dei Quattro Fiumi. Le personificazioni
dei Quattro Fiumi, che simbolizzano le quattro parti del
mondo, e la colomba, l'emblema di Innocenzo X, che corona
l'obelisco, il simbolo tradizionale della luce divina e
dell'eternità, proclama la potenza universale della Chiesa sotto
la guida del regnante papa.
Dinamismo e la spettacolarità contraddistinguono anche IL BALDACCHINO DI SAN PIETRO, opera colossale
commissionata a Bernini nel 1624 da papa Urbano VIII.
Lo scultore a solo 26 anni ma già dato prova di altissime doti artistiche. La struttura che realizza, collocata sopra l'altare
maggiore della Basilica di San Pietro a segnalare il fulcro della costruzione e la tomba dell'apostolo, è un colossale ciborio
alto 28,5 m dalle forme mosse ed esuberanti. Dell'antica tipologia di origine paleocristiana conserva solo la pianta
quadrata e la copertura superiore. Ma Bernini la trasforma in un oggetto scultoreo di grande dinamismo.
Le colonne tortili, poggiate su dati marmorei e divise in tre porzioni, appaiono elastica come molle grazie al fusto
spiraliforme. La copertura, costituita solo da quattro volute angolari unita al centro, presenta un andamento
alternativamente concavo e convesso. I drappi che pendono dagli architravi suggeriscono l'immagine delle decorazioni
tessili che ornano i fercoli processionali. Nonostante le imponenti dimensioni necessarie per apparire ben proporzionato
rispetto alla soprastante cupola michelangiolesca, il baldacchino e alleggerito dalla particolare scelta cromatica operata da
Bernini. Il bronzo brunito, infatti, tende a snellire la struttura nel momento in cui si staglia su uno sfondo più chiaro.
Se la struttura fosse stata chiara su fondo scuro sarebbe apparsa senz'altro più pesante.
Sant'Andrea al Quirinale, costruita tra il 1658 e il 1670, fu commissionata al Bernini da Camillo Pamphili nel 1658.
Non si trattava di una costruzione ex-novo, ma della trasformazione di un antico edificio precedente, collegato al Palazzo
del Noviziato dei Gesuiti.
L'edificio doveva occupare un'area di piccole dimensioni, ma Bernini presenta una forma aperta basata sulla curva, che
trasmette un chiaro effetto di dinamismo e dilatazione dello spazio.
La pianta è composta da un ovale, disposto trasversalmente, secondo il suo asse maggiore, a cui si aggancia la curva
aperta verso l'esterno delle due ali che si sviluppano dalla facciata rettilinea. Il risultato è l'alternarsi, perfettamente
coerente di un corpo convesso che racchiude la chiesa e di un avancorpo concavo, che aprendosi all'esterno forma un
piccolo piazzale e si collega armonicamente con gli edifici vicini.
In Sant’Andrea il Bernini risolse il difficile problema delle direzioni inerenti agli edifici a pianta centrale. Mediante l'edicola,
che è un ingegnoso adattamento dell'espediente palladiano, egli creò una barriera contro, come pure un vincolo vitale,
con la cappella dell’altare. Egli così conservò, e perfino sottolineò, l'omogeneità della forma ovale e, nello stesso tempo,
riuscì a dare un posto di predominio all'altare.
L'interno, nonostante le reali dimensioni, suscita in chi entra un effetto di dilatazione, dovuto alla scelta di disporre l'ovale
della pianta nel senso della larghezza. Lo spazio centrale, coperto dalla cupola, risulta quindi ampio e luminoso, per via
delle numerose finestre praticate all'imposta della cupola.
Nell'aula ovale tutt'intorno si aprono, con disposizione radiale, otto cappelle di forme alternate, rettangolari e ovali,
mentre sull'asse minore si fronteggiano la grande nicchia dell'ingresso e quella semicircolare del presbiterio.
La cupola riprende la forma ellittica, come anche la lanterna, è inondata di luce e percorsa da costoloni che si allargano
verso il basso, suggerendo l'immagine di un sole. Ogni spicchio è decorato con cassettoni esagonali che degradano le
loro dimensioni andando verso la sommità e trasmettono un senso di grande leggerezza e ascesa in cui le strutture
architettoniche sembrano gonfiarsi e dissolversi in una dimensione immateriale.
L'inserimento urbanistico è risolto anche dalla facciata, molto più stretta rispetto al corpo della chiesa, sviluppata su una
superficie piana, contenuta da due paraste corinzie di ordine gigante, sostenenti trabeazione e timpano piuttosto
aggettante. Le forme classiche dell'insieme sono ribadite anche dal portale architravato e timpanato.
Da questa base più lineare della facciata spicca in avanti il pronao semicircolare, il motivo della curva è ripreso
coerentemente anche dal finestrone a lunetta e dall'arco che sorregge lo stemma della famiglia Pamphili. Allo sporgersi
dell'ingresso si contrappone la concavità delle ali laterali che simbolicamente alludono all'accoglienza verso i fedeli.
Per l'esterno di Sant'Andrea, la cupola è racchiusa in un involucro cilindrico e la spinta è sostenuta da grandi volute che
adempiono la funzione dei contrafforti gotici. Le volute poggiano sopra il robusto anello ovale che racchiude le cappelle. Il
cornicione sembra proseguire sotto i giganteschi pilastri corinzi della facciata e si estende in avanti nel portico
semicircolare dove è sostenuto da due colonne ioniche. Il portico, sormontato dallo stemma dei Pamphili dall'esuberante
disegno decorativo, che si erge isolato fra due volute, è l'unica nota di rilievo in una facciata altrimenti estremamente
austera.

Questo portico è anche un elemento


dinamico di importanza vitale nella
complessa organizzazione dell'edificio:
il motivo dell'edicola che incornicia il
portico è ripreso all'interno, sullo
stesso asse, dall'edicola che incornicia
la nicchia dell’altare. Ma c'è
un'inversione nella direzione del
movimento: mentre all'esterno il
cornicione sembra andare verso il
visitatore che si avvicina, all'interno il
movimento è nella direzione opposta
e si arresta nel punto più lontano
dall’entrata. Così interno ed esterno
appaiono come realizzazioni “positiva”
e “negativa” dello stesso tema.
Attraverso il disegno di Bernini per Palazzo Chigi-Odescalchi del 1664 nasce la formula per il palazzo barocco
aristocratico.
• La relazione del pianterreno con i due ordini superiori
• La bella gradazione da semplici intelaiature di finestra a complicate e pesanti edicole nel piano nobile, alle leggere
e allegri cornici delle finestre del secondo piano
• Il ricco ordine composito dei pilastri
• Il robusto cornicione con mensole disposte secondo un ritmo sovrastate da una balaustra aperta, che avrebbe
dovuto sostenere delle statue
• La giustapposizione della parte centrale altamente organizzata con leali non rifinite
• Il forte rilievo dato all'ingresso con le colonne toscane isolate, balcone e finestra sopra.
IL COLONNATO DI SAN PIETRO (1629-1657)

L'opera più maestosa e intensa di Bernini giungerà nel 1656 con l'incarico per realizzare Piazza San Pietro a Roma, da parte
di Papa Alessandro VII.
L'intervento si presentò subito complesso e delicato in quanto i preesistenti palazzi sul lato destro, tra i quali anche la
residenza del pontefice dalla quale impartiva le benedizioni, vincolavano fortemente lo spazio antistante la Basilica.
Bernini, tuttavia, riuscì a risolvere la questione delimitando uno spazio regolare con un colonnato continuo che funge da
filtro tra interno ed esterno.
Il colonnato ellittico, costituito
da 284 colonne disposte in
quattro file radiali, è collegato
alla facciata della chiesa
attraverso due bracci divergenti.
La conformazione trapezoidale
del sagrato crea quell'effetto
ottico, denominato "prospettiva
rallentata", che fa apparire il
prospetto sullo sfondo molto
più vicino di quanto non sia
nella realtà.
Questo stratagemma si era reso
necessario poiché
l'allungamento della navata
operato da Carlo Maderno non
consentiva più la visione della
cupola di Michelangelo in
prossimità della chiesa.
Grazie all’illusorio avvicinamento della facciata verso la piazza ellittica, l'osservatore è portato a rimanere in questo spazio
(dal quale la cupola è, invece, ben visibile) dato che percepisce di essere già quasi arrivato davanti alla basilica.
Dal punto di vista prospettico, infatti, non si scorge la differenza tra uno spazio trapezoidale e uno rettangolare profondo la
metà. Tuttavia, più la facciata è lontana, maggiore sarà la porzione di cupola visibile.

Nella sistemazione conclusiva di San Pietro, lo schema architettonico, secondo i dettami di Vitruvio, assume la proporzioni
del corpo umano, per cui la testa corrisponde alla cupola della Basilica e le braccia aperte alle due esedre del portico.
Concetti così espressi ad Alessandro VII: “Le ali del Colonnato renderanno più impressionante l'altezza della facciata per il
fatto che esse si comporteranno in suo confronto come due braccia in confronto del tronco”.
La visione, inoltre, sarebbe dovuta venire fuori asse grazie ad un terzo braccia di chiusura. Tale braccio non fu
edificato e nel 1937 con lo sventramento fascista dell'isolato della cosiddetta "Spina di Borgo" per la realizzazione di
via della Conciliazione da parte di Mussolini si creò una visione assiale lontano dalla concezione dinamica del Bernini.
FRANCESCO BORROMINI (1599 - 1667)

Fra le grandi figure del barocco romano, il nome di Francesco Borromini sta in una categoria a parte. Infatti la sua
architettura inaugura una nuova tendenza: nonostante le innovazioni di Bernini, egli non intaccò mai l'essenza della
tradizione del Rinascimento. Di Borromini ebbero la sensazione netta che egli introdusse un modo nuovo e tumultuoso
di affrontare vecchi problemi.

Nel 1634 gli fu commissionato la costruzione del monastero di San Carlo alle Quattro Fontane. Borromini costruì
prima il dormitorio, il refettorio e i chiostri e lo schema dimostrò che gli era un maestro nel razionale sfruttamento delle
limitate possibilità offerte da quel terreno piccolo e tagliato il regolarmente. Nel 1638 fu posta la prima pietra della
vera e propria chiesetta che, ad eccezione della facciata, fu finita nel maggio del 1641.
I chiostri, una struttura di grande semplicità, contengono elementi che anticipano l’organizzazione fondamentale della
chiesa, quale l'anello, di grande effetto, costituito da colonne disposte ritmicamente a formare un ottagono allungato,
il cornicione uniforme che lega insieme le colonne, e la sostituzione degli angoli con curvature convesse per impedire
che avvengano interruzioni nella continuità del movimento.
É importante rendersi conto che in San Carlo e nelle costruzioni posteriori, Borromini bassò i suoi disegni su unità
geometriche. Rinnegando il principio classico di progettare in termini di moduli, cioè in termini della moltiplicazione e
divisione di una unità aritmetica di base (di solito il diametro della colonna), Borromini rinunciò, veramente, alla
posizione centrale dell'architettura antropomorfica.
Nel progetto di San Carlo, Borromini dá straordinaria importanza all'elemento
scultoreo delle colonne. Esse sono raggruppate per quattro con più larghi
intervalli sull'asse longitudinale e trasversale. Mentre le triadi di intercolumni
ondeggianti lungo le diagonali sono unificate dal tipo di trattamento del muro.
Così, partendo dall’intercolumnio di entrata, esiste un ritmo del seguente ordine: b A’ b
c c
A/ b c b /A’/ b c b /A / ecc. Nasce così un "ritmo di fondo" creato b b
dall'instancabile ricchezza e fascino della disposizione di tutti gli elementi. A A

Borromini per la cupola scelse una soluzione in cui inserì un'area di transizione
con pennacchi che gli consentivano di disegnare una cupola ovale di forma
curvilinea continua. In altre parole, usò il mezzo di transizione necessario nelle
piante con incroci quadrati o rettangolari. I quattro intercolumni sotto i pennacchi
adempiono quindi la funzione dei pilastri negli incroci delle piante a croce greca.
Le basse nicchie trasversali come pure la più profonda entrata e i recessi degli
altari sono decorati con cassettoni che diminuiscono rapidamente di dimensioni e
danno l’idea in teoria non solo di una profondità maggiore di quella reale, ma
anche contengono un accenno illusionista ai bracci della croce greca. Sopra i
pennacchi c'è il robusto anello sul quale poggia la cupola ovale. La cupola stessa
è decorata con un labirinto di cassettoni profondamente incisi di forma
ottagonale, esagonale e a croce. Essi producono l'impressione movimentata. I
cassettoni diminuiscono notevolmente di dimensione verso la lanterna. La luce
entra non solo dall'alto attraverso la lanterna, ma anche dal basso attraverso
finestre poste nei riquadri dei cassettoni, in parte nascosta alla vista dietro l'anello
del cornicione. Così la cupola sembra librarsi immaterialmente sopra le forme
massicce compatte dello spazio in cui il visitatore si muove.
Borromini conciliò in questa chiesa tre differenti tipi di struttura: la zona più bassa
ondulata; la zona intermedia dei pennacchi che deriva dalla pianta a croce greca;
e la cupola ovale che, secondo la tradizione, dovrebbe ergersi su una pianta della
stessa forma. In questo modo lo spettatore è stimolato a lasciar correre l'occhio
incessantemente.
Tra il 1665 e il 1667 fu costruita la facciata. Il sistema di articolazione, che combina un ordine piccolo e uno gigantesco,
deriva dai palazzi capitolini di Michelangelo e dalla facciata di San Pietro dove il Borromini aveva iniziato a lavorare come
scalpellino quasi cinquant'anni prima. Ma egli uso questo sistema michelangiolesco in un modo completamente nuovo:
ripetendolo in due registri di importanza quasi uguale, egli operò contro lo spirito in cui il sistema era stato inventato, cioè
di unificare una facciata in tutta la sua altezza. In più, questa ripetizione voluta era destinata ad esprimere un concetto
originale: nonostante la coerente articolazione, la fila superiore contiene una quasi completa inversione di quella inferiore.

La facciata consiste di tre settori; sotto, i due settori esterni concavi e il settore
centrale convesso sono legati insieme da una robusta, continua e ondulata
trabeazione; sopra, i tre settori sono concavi e la trabeazione si svolge in tre
segmenti separati. Inoltre il medaglione ovale sorretto da angeli annulla l'effetto
del cornicione come barriera orizzontale.

Michelangelo aveva usato l'ordine gigante per unificare


la facciata, mentre Borromini usa il sistema per ottenere
l'effetto contrario.
Già nel 1632 Bernini aveva raccomandato Borromini come
architetto per Sant'Ivo alla Sapienza. Nel 1642
iniziarono i lavori e già nel 1650 la maggior parte della
struttura era finita. La Chiesa doveva essere eretta
all'estremità est del lungo cortile con porticato di Giacomo
della Porta.
Per la pianta Borromini ritornò ancora una volta alla
geometria base del triangolo equilatero. Ma stavolta i
triangoli si compenetrano in modo da formare un regolare
esagono a stella. I punti di intersezione sono sul perimetro
di una circonferenza e disegnando linee rette da un punto
all'altro si forma un esagono regolare. Le rientranze
semicircolari che costituiscono gli angoli di un triangolo
sono determinati da circonferenze con raggio pari alla
metà del lato dell’esagono, mentre le estremità convesse
dell'altro triangolo risultano da circonferenze con lo stesso
raggio e i centri nei punti del triangolo. Così rientranze di
forma concava e rientranze con pareti oblique ed estremità
convesse si alternano e si fronteggiano a vicenda
attraverso lo spazio della chiesa.
Borromini racchiuse il perimetro in una sequenza continua di pilastri giganteschi che costringono lo spettatore a prendere
atto dell'unità e omogeneità dell'intera area della chiesa. Questa sensazione fortemente aumentata dal sovrastante
cornicione nettamente delineato che rivela la forma a stella del piano base in tutta la sua chiarezza. Lo stile è fondamentale
e pertanto simile a quello di San Carlo alle Quattro Fontane.
Ogni il recesso è articolata in tre settori, due piccoli identici di fianco a uno grande (ACA e A’B’A’). Ma queste triadi che si
alternano, eguali in valore sebbene completamente diverse nello spazio, non sono trattate come entità separate o
inseparabili, perché i due piccoli spazi attraverso ogni angolo sono così simili che neutralizzano qualsiasi tendenza a fare
sentire vere cesure. Per di più, sono anche compresi due altri ritmi che si sovrappongono. I continui corsi diritti a mezza
Dezza sono interrotti dal vano centrale della rientranza semicircolare dell'altare (C), mentre il continuo corso diritto sotto i
capitelli non prosegue attraverso gli spazi convessi (B). Si può perciò dire che l'articolazione contiene tre temi intrecciati: i
grandi vani ad arco arrotondato tra parentesi “C”, i vani convessi “B”, o gli angoli fra i piccoli vani “AA’”.
A differenza di San Carlo alle Quattro Fontane la cupola
copre il corpo della chiesa senza un elemento strutturale di
transizione. Continua, in pratica, la forma a stella della
pianta poiché ogni elemento si apre alla base in una vasta
finestra. Inoltre le linee verticali dei pilastri proseguono
nelle modanature dorate della cupola che ripetono e
accentuano la sottostante divisione tripartita in vani.
Nonostante la vigorosa barriera orizzontale della
trabeazione, le tendenze verticali hanno un forte slancio.
Continuando la forma della pianta-base nelle volte,
Borromini accettò il principio generalmente applicato alle
chiese circolari e ovali.
L'esterno di Sant’Ivo presentava un insolito compito, giacché l'entrata principale doveva essere messa all'estremità del
cortile. Borromini adoperò all'emiciclo di Della Porta con porticati chiusi su due file per la facciata della chiesa; sopra
troneggia una delle più strane cupole mai inventate.
La sua struttura cupoliforme consiste di quattro parti diverse:
prima un alto tamburo esagonale molto pesante che si
contrappone con la sua sporgenza convessa alla rientranza
concava della facciata della chiesa. Secondo: sopra il tamburo
c'è una piramide a gradini divisa da costoloni simili a
contrafforti che trasferiscono la pressione sui punti d’incontro
rinforzati dei due settori del tamburo; terzo: la piramide è
coronata da una lanterna con doppie colonne e rientranze
concave fra l’una e l’altra. Al di sopra di queste tre zone si erge
un quarto elemento, la spirale, monolitica e scultorea, che non
corrisponde a nessun tratto interno né continua direttamente il
movimento esterno. Tuttavia sembra legare insieme i diversi
campi di energia che, uniti, si innalzano in un movimento
spaziale lungo la spirale e vengono liberati nell'alta cuspide di
ferro.
Gli spazi di Borromini sono sempre dinamici e
illusionisti come la scala elicoidale di palazzo
Barberini o l'ingresso in prospettiva accelerata della
galleria di palazzo spada.

Galleria prospettica di palazzo Spada a Roma,


Francesco Borromini

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