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ROMA

GUIDA D’ITALIA DEL TOURING CLUB ITALIANO

L’Istituto Centrale per il Restauro del Ministero dei Beni Culturali e


Ambientali ha attribuito alla collana Guida d’Italia del Touring Club
Italiano la valenza di repertorio dei beni culturali esposti in Italia, per
la conoscenza unica sulla consistenza, qualità e localizzazione del
patrimonio storico-artistico del nostro paese.

Nuove edizioni 2008


Valle d’Aosta
306 pagine 53 carte,
piante e disegni.
Lombardia (esclusa Milano)
1152 pagine,
80 carte, piante e disegni.
Toscana (esclusa Firenze)
1032 pagine,
136 carte, piante e disegni.
Umbria
720 pagine, 31 carte, 21
piante, 20 disegni.
Roma
1040 pagine,
119 carte e disegni.
Napoli e dintorni
751 pagine, 68 carte,
piante e disegni.
Puglia
520 pagine,
13 carte, 14 piante.
Sardegna
720 pagine, 26 carte, 10 piante.
Nuove edizioni
previste nel biennio 2009-2010
Piemonte (esclusa Torino)
792 pagine, 15 carte, 16 piante.
Milano
680 pagine, 67 carte, piante e disegni.
Veneto (esclusa Venezia)
960 pagine,
41 carte, 33 piante e disegni.
Venezia
832 pagine,
108 disegni, carte e piante.
Trentino-Alto Adige
600 pagine, 15 carte, 8 piante.
Friuli-Venezia Giulia
600 pagine,
13 carte, 12 piante.
Liguria
800 pagine, 42 carte, 12 piante.
Emilia-Romagna
1112 pagine,
35 carte, 53 piante.
Firenze e provincia
872 pagine, 77 carte,
piante e disegni.
Marche
752 pagine, 9 carte, 14 piante.
Lazio (esclusa Roma)
880 pagine,
21 carte, 17 piante.
Abruzzo e Molise
560 pagine, 9 carte, 13 piante.
Campania (esclusa Napoli)
760 pagine,
15 carte, 10 piante.
Basilicata e Calabria
760 pagine,
13 carte, 10 piante.
Sicilia
1040 pagine,
16 carte, 44 piante.
Torino
Nuovo titolo.
GUIDA D’ITALIA

ROMA
GUIDA D’ITALIA

ROMA

Touring Club Italiano


Presidente: Roberto Ruozi
Touring Editore
Direttore editoriale: Michele D’Innella
Direttore contenuti turistico-cartografici: Fiorenza Frigoni
Coordinamento editoriale: Cristiana Baietta
Coordinamento cartografico: Davide Mandelli, Maurizio Passoni
Segreteria: Pinuccia Cattaneo
Coordinamento tecnico: Francesco Galati
Fotografia di copertina:
Piazza San Pietro, Blaine Harrington/Marka
Le edizioni della Guida Roma per il catalogo Touring:
1925 1a edizione (Italia centrale - Roma e dintorni)
1931 2a edizione (Roma e dintorni)
1933 3a edizione
1938 4a edizione
1950 5a edizione
1962 6a edizione
1977 7a edizione
1993 8a edizione (Roma)
1999 9a edizione
2008 10a edizione
Touring Club Italiano
Corso Italia 10
20122 Milano
www.touringclub.it
© 2008 Touring Editore s.r.l. - Milano
www.touringclub.com
Edizione elettronica realizzata da: Simplicissimus Book Farm s.r.l.
PREFAZIONE

«Carattere distintivo di Roma – ha scritto lo storico dell’arte Giulio


Carlo Argan – è il fatto di essere stata la città cardine del mondo
europeo, e più in generale del mondo occidentale, per almeno due
millenni con una successione e stratificazione di culture molto diverse.
Indubbiamente, questo costituisce il motivo del grande prestigio
culturale di Roma, ma è anche la causa, non ultima, delle difficoltà e
delle contraddizioni che Roma è costretta a vivere oggi.» L’eccezionale
vicenda di questa metropoli che, in 34 secoli d’ininterrotta storia
urbana, è assurta da capitale del mondo antico a quella della
cristianità e delle arti, trova forse il suo carattere speciale nel
contrasto fra il tono ‘aulico’ e il tono ‘popolare’ della sua percezione,
come notò Leonardo Benevolo, e nella tenace persistenza del mito
celebrato da Ovidio: «lo spazio della città coincide con lo spazio del
mondo».
A Roma è stata dedicata fin dai tempi remoti dei «Mirabilia urbis»
una sterminata letteratura turistica, in uno sforzo forse impossibile di
ricomporne l’immagine a dispetto delle contraddizioni che ne hanno
segnato la storia fin dalle origini. Questa guida si propone piuttosto di
porre attenzione continua ai processi di formazione e di
trasformazione della città, in passato dettati da ritmi impetuosi e oggi
più riflessivi sui destini della metropoli. Un’attenzione non sempre
facile da mantenere perché Roma è una città dalla struttura
fortemente eterogenea, il cui volto più conosciuto ed esaltato, quello
artistico-monumentale, può paradossalmente renderne meno agevole
la comprensione. Tanto più se la città che si vuole rappresentare è la
Roma reale e autentica dei nostri tempi, un composito crogiolo di
integre memorie storiche e di spregiudicate scorrerie urbanistiche, di
concentrazioni d’arte senza uguali e di improvvide aggressioni edilizie,
di scorci urbani proverbiali per l’intenso fascino e di caotiche addizioni
prive di decoro: il volto di una città, insomma, che ha affrontato
tumultuosi cambiamenti cercando di non smarrire in essi la propria
identità.
La Roma del XXI secolo è alla ricerca di un modello di sviluppo che
ne ridefinisca il ruolo in ambito metropolitano, nazionale e
internazionale. Nel rifiuto degli stereotipi, non facile in un ambiente
tanto ricco di cose famose e belle, questa guida vuole dunque cogliere
passato e presente di un organismo urbano in continua evoluzione,
che non cessa di promuovere e di accrescere il suo già immenso
patrimonio museale, di esplorare il suo stupefacente giacimento
archeologico, di sperimentare nelle architetture e nei restauri, di
ripensare spazi e funzioni, di riprogettare il proprio futuro all’insegna
della ‘modernizzazione’ attraverso il nuovo Piano Regolatore Generale
approvato nel 2008.
L’impegno di qualificare la descrizione di Roma con chiavi di
lettura idonee a favorire una ragionata comprensione della realtà
cittadina e dei suoi processi formativi è stato affrontato con un
proficuo rapporto di collaborazione con quanti hanno fatto della città
un terreno di studio, di ricerca e di riflessione, e con quanti si sono
impegnati perché, tra i problemi posti sia dal cambiamento sia dalla
crescita, emergesse come tema centrale quello della tutela e della
valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale.
A darne conferma sono tanto i saggi introduttivi quanto gli
itinerari di visita. Nei primi la ricostruzione del passato della città è
intimamente legata all’interpretazione dei variegati aspetti che
compongono oggi il suo volto, mentre negli itinerari questi stessi
aspetti rivelano la loro straordinaria densità storica dovuta alle
innumerevoli stratificazioni. La visita di Roma, oggettivamente del
massimo interesse, assume in queste pagine ulteriore pregnanza
grazie anche al metodo di approccio scelto. Un metodo che punta alla
conoscenza della città – con le irripetibili testimonianze culturali e
ambientali che i secoli vi hanno radunato – mediante una
ristrutturazione dei percorsi per aree urbanisticamente omogenee e
attraverso tracciati significativi e chiarificatori delle diverse fasi che
hanno condotto alla realtà odierna. Con un’attenzione nuova sia
all’architettura ‘minore’ e a quella moderna e contemporanea,
compresa l’archeologia industriale e il suo riuso, sia alle periferie che
nascondono frequenti sorprese di preesistenze di ogni epoca accanto
a episodi di pregio della stessa urbanizzazione novecentesca. L’intento
è che tutti questi elementi possano dare un contributo alla formazione
di una coscienza attrezzata per agire positivamente sulla città e sul
territorio.

Roberto Ruozi
Presidente del Touring Club Italiano
INDICE GENERALE

Le ragioni di una visita


La città nel tempo
Gli imperatori romani
I pontefici
Gli stemmi papali
I caratteri dell’insediamento nella vicenda storica
Roma antica
Roma medievale e moderna
Roma contemporanea
La vicenda artistica e culturale
Il Medioevo
L’età moderna e contemporanea
Le feste di Roma
I modi della visita
Il Giubileo
1 La città entro le mura: gli assi di attraversamento
1.1 Da Termini al Tevere: l’asse della Roma umbertina
Da piazza dei Cinquecento a piazza Venezia
Piazza Venezia
Via del Plebiscito e corso Vittorio Emanuele II
1.2 Da piazza del Popolo a S. Giovanni in Laterano: via del
Corso e via dei Fori Imperiali
Da piazza del Popolo a piazza Venezia: il Corso
Da piazza Venezia a S. Giovanni in Laterano. I Fori
Imperiali
2 La città entro le mura: i rioni centrali
2.1 Il rione Monti
A nord di via Cavour
A sud di via Cavour. Il colle Oppio
2.2 Il rione Trevi
2.3 Il rione Colonna
2.4 Il rione Campo Marzio
2.5 Il «quartiere del Rinascimento»
Via Giulia e via dei Coronari
Le vie del Banco di S. Spirito e dei Banchi Nuovi. Piazza
Navona
Via dei Banchi Vecchi, piazza Farnese e Campo de’ Fiori
2.6 Il rione Sant’Eustachio
2.7 Il rione Pigna
2.8 Campitelli, il Foro Romano e il Palatino
Il Campidoglio
L’area archeologica del Foro Romano e del Palatino
2.9 Il rione Sant’Angelo
3 La città entro le mura: i rioni ‘esterni’
3.1 L’Aventino e il Testaccio
3.2 Il rione Celio
3.3 Il rione Esquilino
3.4 I rioni Castro Pretorio, Sallustiano e Ludovisi
4 La città entro le mura: i rioni a ovest del Tevere
4.1 Il rione Trastevere
Da piazza Castellani a S. Cecilia in Trastevere
Via della Lungara e il Gianicolo
Il viale di Trastevere
4.2 Il rione Borgo
5 La Città del Vaticano
Lo Stato
5.1 La Basilica di S. Pietro in Vaticano
Le Sacre Grotte Vaticane
5.2 I Palazzi e i Musei Vaticani
Dalle Stanze di Raffaello alla Cappella Sistina
Visita extramuseale della Città del Vaticano
6 Le Mura Aureliane
7 Il corso urbano del Tevere
8 La città oltre le mura
8.1 Prati, il quartiere della Vittoria e il Foro Italico
8.2 La Via Flaminia, Villa Borghese e i Parioli
Villa Borghese
8.3 La Via Cassia: Isola Farnese e Veio
8.4 La Via Salaria
8.5 La Via Nomentana
8.6 La Via Tiburtina e la Città Universitaria
8.7 La Via Prenestina e la Via Collatina
8.8 La Via Casilina
8.9 La Via Tuscolana
8.10 La Via Appia Nuova
8.11 La Via Appia Antica
8.12 La Via Ardeatina
8.13 La via Cristoforo Colombo: la Garbatella e l’EUR
L’EUR
8.14 La Via Ostiense: Ostia Antica e Lido di Ostia
Ostia Antica
8.15 La Via Laurentina
8.16 La Via Portuense, la via della Magliana e Fiumicino
8.17 La Via Aurelia, la Villa Doria Pamphilj e Fregene
8.18 La Via Trionfale
Nota bibliografica
Indice dei nomi
Indice degli autori
Indice dei luoghi e delle cose
LA CARTOGRAFIA

L’evoluzione della città nel tempo


Le antiche mura e le regioni augustee
Roma augustea e imperiale
Dislocazione delle principali catacombe a Roma
Roma paleocristiana
Roma nel Quattrocento
Roma nel Cinquecento
Roma contemporanea
Gli itinerari
1.1 Da Termini al Tevere: l’asse della Roma umbertina
1.2 Da piazza del Popolo a S. Giovanni in Laterano: via del
Corso e via dei Fori Imperiali
2.1 Il rione Monti
2.2 Il rione Trevi
2.3 Il rione Colonna
2.4 Il rione Campo Marzio
2.5 Il «quartiere del Rinascimento»
2.6 Il rione Sant’Eustachio e 2.7 Il rione Pigna
2.8 Campitelli, il Foro Romano e il Palatino e 2.9 Il rione
Sant’Angelo
3.1 L’Aventino e il Testaccio
3.2 Il rione Celio
3.3 Il rione Esquilino
3.4 I rioni Castro Pretorio, Sallustiano e Ludovisi
4.1 Il rione Trastevere
4.2 Il rione Borgo
5 La Città del Vaticano
6 Le Mura Aureliane
7 Il corso urbano del Tevere
8.1 Prati, il quartiere della Vittoria e il Foro Italico
8.2 La Via Flaminia, Villa Borghese e i Parioli
8.3 La Via Cassia: Isola Farnese e Veio
8.4 La Via Salaria
8.5 La Via Nomentana
8.6 La Via Tiburtina
8.7 La Via Prenestina e la Via Collatina
8.8 La Via Casilina
8.9 La Via Tuscolana
8.10 La Via Appia Nuova
8.11 La Via Appia Antica
8.12 La Via Ardeatina
8.13 La Via Cristoforo Colombo: la Garbatella e l’EUR
8.14 La Via Ostiense: Ostia Antica e Lido di Ostia
8.15 La Via Laurentina
8.16 La Via Portuense, la Magliana e Fiumicino
8.17 La Via Aurelia, la Villa Doria Pamphilj e Fregene
8.18 La Via Trionfale
I luoghi storicamente rilevanti
Corso Vittorio Emanuele II
Piazza del Popolo
L’area attorno a piazza Colonna, via del Tritone e fontana di
Trevi
Piazza di S. Giovanni in Laterano
Piazza Augusto Imperatore e via di Ripetta
Gli sventramenti sulle pendici del Campidoglio
L’area dell’ex Ghetto
L’apertura di via della Conciliazione
Isola Tiberina
Foro Italico
Gli edifici, i musei, le aree archeologiche
Arco di Costantino (2 figure)
Area sacra dell’Argentina
Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo
Basilica di S. Cecilia in Trastevere
Basilica di S. Clemente
Basilica di S. Croce in Gerusalemme
Basilica di S. Giovanni in Laterano
Basilica di S. Lorenzo fuori le Mura
Basilica di S. Maria Maggiore
Basilica di S. Maria in Trastevere
Basilica di S. Paolo fuori le Mura
Basilica di S. Pietro
Basilica di S. Pietro in Vincoli
Basilica di S. Prassede
Basilica di S. Sabina
Basilica e catacombe di S. Sebastiano
Castel S. Angelo (6 figure)
Chiesa del Gesù
Chiesa di S. Andrea al Quirinale
Chiesa di S. Carlo alle Quattro Fontane
Chiesa di S. Maria Antiqua
Chiesa di S. Maria della Pace
Chiesa di S. Maria del Popolo
Chiesa di S. Maria in Aracoeli
Chiesa di S. Maria in Cosmedin
Chiesa di S. Maria sopra Minerva
Chiesa di S. Pietro in Montorio
Mausoleo di S. Costanza
Monumento a Vittorio Emanuele II
Musei Vaticani
Museo Nazionale Romano e basilica di S. Maria degli Angeli
Mspedale di S. Spirito in Sassia
Palazzo della Sapienza e S. Ivo
Pantheon
Parco delle Tombe della Via Latina
Porti di Claudio e di Traiano
Sacre Grotte Vaticane
Sepolcro degli Scipioni
Terme di Caracalla
Terme di Diocleziano
GUIDA D’ITALIA

ROMA
Per la realizzazione della guida:
Coordinamento editoriale e redazione:
Mirabilianetwork / Paola Colombini, Eduardo Grottanelli de’ Santi
Consulenza generale: Gianni Bagioli, Anna Ferrari-Bravo
Revisione grafica e impaginazione:
Mirabilianetwork / Tatiana Missaglia, Fabio Palumbo
Hanno contribuito alla realizzazione della guida:
Uomini e Terre srl - Carlo Unnia (stesura dei testi della Galleria
Doria Pamphilj, del Museo Nazionale Romano - Palazzo Altemps,
dell’Antiquarium del Palatino, del Museo del Folklore e dei Poeti
romaneschi, del Museo e Galleria Borghese, dei Musei Capitolini - ex
centrale elettrica Montemartini), con la collaborazione di Monica
Nastrucci (compilazione dell’Indice dei nomi).

Antonio Federico Caiola: partecipazione alla definizione


progettuale; stesura dei brani I modi della visita e Il Giubileo; degli
itinerari 1.1, 1.2, 3.3, 3.4 e 8.6; delle introduzioni ai cap. 1, 2, 3, 4 e
8; dell’inquadramento storico del cap. 5; compilazione, con Mauro
Petrecca, della Nota bibliografica.
Mario Sanfilippo: Le ragioni di una visita.
Romolo Augusto Staccioli: Roma antica; introduzione storica
all’area archeologica del Foro Romano e Palatino.
Enrico Guidoni: Roma medievale e moderna.
Giorgio Piccinato: Roma contemporanea.
Francesco Gandolfo: Il Medioevo.
Claudio Strinati: L’età moderna e contemporanea.
Mario Verdone: Le feste di Roma.
Mauro Petrecca: itinerari 2.1, 2.9, 4.2, 8.1, 8.16, 8.17 e 8.18;
revisione di parte delle carte e piante del testo; compilazione, con
Antonio Federico Caiola, della Nota bibliografica.
Marina Magnani Cianetti: itinerari 2.2, 2.3 e 2.4.
Francesco Scoppola: itinerari 2.5 e 8.3, e parte dell’8.2.
Giuseppe Morganti: itinerari 2.6, 2.7, 2.8, 3.1, 3.2 e capitolo 6.
Sabina Di Pasquale: itinerari 4.1, 8.12 e 8.15.
Carlo Pietrangeli: capitolo 5.
Luigi Vergantini: capitolo 7, parte dell’itinerario 8.2 e itinerari 8.10
e 8.14.
Maurizio Petrangeli: itinerari 8.4, 8.5, 8.8 e 8.9.
Antonello Vodret: itinerari 8.7 e 8.11.
Pier Luigi Porzio: itinerario 8.13.
Carlo Pavolini: stesura del testo sulle aree archeologiche di Ostia
Antica e di «Portus».

Alia Englen, Anna Maria Pedrocchi e Claudia Tempesta:


aggiornamento delle notizie relative ai beni artistici.
Danilo Mazzoleni: aggiornamento delle notizie su catacombe e
antichi cimiteri cristiani.
Emanuele Gatti, Adriano La Regina e Gaetano Messineo:
aggiornamento delle notizie archeologiche di Roma e suburbio.
Marialuisa Rizzini: compilazione dell’Indice degli Autori.

Hanno inoltre collaborato: Giusy Alessandra Mauriello, Loredana


Morli, Lucia Emilia Stipari, Mariolina Vatta.

Un ringraziamento particolare è dovuto a: Sivigliano Alloisi (Galleria


Corsini); Alessandra Antinori e Maria Grazia Bulgarelli (Museo
nazionale preistorico-etnografico Luigi Pigorini); Maria Stella Arena
(Museo dell’Alto Medioevo); Silvana Balbi De Caro (Sezione
Numismatica Museo Nazionale Romano - Collegio Massimo); Marina
Bertinetti (Sezione Epigrafica Museo Nazionale Romano - Collegio
Massimo); Francesca Boitani e Marco Sala (Museo Etrusco di Villa
Giulia); Giovanna Bonasegale (Galleria comunale d’Arte moderna);
Marinella Calisi (Museo Astronomico e Copernicano); Roberto Cannatà
(Galleria Spada); Marcello Cartacci (Museo storico delle Poste e
Telecomunicazioni); Maria Letizia Casanova (Museo del Palazzo di
Venezia); Maddalena Cima (Musei Capitolini); Angela Cipriani (Galleria
dell’Accademia di S. Luca); Luigi Colangeli (Orto Botanico); Alba
Costamagna (Museo e Galleria Borghese); Valeria Cottini Petrucci
(Museo nazionale delle Arti e Tradizioni popolari); Maria Antonietta De
Angelis e Cristina Gennaccari (Museo Storico Vaticano e Musei
Vaticani); Matilde De Angelis (Museo Nazionale Romano - Palazzo
Altemps); Carlo Gasparri (villa Albani); Giulia Gorgone (Museo
Napoleonico); Paolo Grassi (Museo del Folklore e dei Poeti
romaneschi); Antonio Latanza (Museo nazionale degli Strumenti
Musicali); Stefania Massari (Museo nazionale delle Arti e Tradizioni
Popolari); Donatella Mazzeo (Museo nazionale d’Arte Orientale);
Roberto Meneghini (Fori Imperiali); Marika Mercalli (Museo nazionale
di Castel S. Angelo); Lorenza Mochi Onori (Galleria nazionale d’Arte
antica); Maria Teresa Nota (Museo Barracco); Maria Nicoletta Pagliardi
(Museo Nazionale Romano - Terme di Diocleziano e sala della
Minerva); Rita Parma (Calcografia e Gabinetto nazionale delle
Stampe); Patrizia Piergiovanni (Galleria Colonna); Sandra Pinto
(Galleria nazionale d’Arte moderna); Ester Piras (Museo delle Vetrate
liberty); Giuseppina Pisani Sartorio (Museo delle Mura di Roma e
Museo della Civiltà Romana); Umberto Rocca (Museo storico dell’Arma
dei Carabinieri); Patrizia Rosazza (Museo Praz); Marina Sapelli (Museo
Nazionale Romano - Collegio Massimo); Giuseppe Talamo (Museo
centrale del Risorgimento); Claudia Tempesta (Gallerie Colonna e
Pallavicini); Maria Elisa Tittoni (Museo Napoleonico, Museo di Roma e
Gipsoteca Tenerani); Maria Lucrezia Vicini (Galleria Spada); ai
responsabili di enti e di istituzioni culturali della città e del territorio.
AVVERTENZE

Popolazione. I dati relativi agli abitanti di Roma, Ciampino e


Fiumicino sono stati desunti da fonti ufficiali ISTAT e si riferiscono alla
popolazione residente nell’intero territorio comunale al 31 dicembre
2003.

Accenti. Recano in genere l’accento grafico i nomi geografici


sdruccioli e quelli terminanti in consonante. La stessa cosa avviene per
alcuni nomi terminanti in gruppo vocalico, quando la loro pronuncia
potrebbe risultare incerta.

Asterisco. L’asterisco è posto accanto alle *cose nel loro genere


rilevanti o comunque di speciale interesse.

Abbreviazioni

ab. abitanti
a.C. avanti Cristo
c. circa
d. destro, destra
d.C. dopo Cristo
E est
ecc. eccetera
F. fiume
km chilometri
L. lago
m metri
m. morto
M. monte
N nord
N. numero
O ovest
pag. pagina
S sud
S. santo, santa
SS. santissimo,-a
Ss. santi, sante
sec. secolo
sin. sinistro, sinistra
t. telefono
T. torrente
v. vedi
V. valle

Musei. I musei, i monumenti, le aree archeologiche osservano


generalmente i seguenti giorni di chiusura totale: 1° gennaio, 6
gennaio, Pasqua, 25 aprile, 1° maggio, la 1a domenica di giugno, 15
agosto, 25 dicembre. È altresì norma diffusa che l’ingresso nei musei
cessi mezz’ora prima dell’orario di chiusura. Per avere informazioni
dettagliate sugli orari di visita si consiglia di telefonare al numero
indicato o di consultare il sito internet.
LE RAGIONI DI UNA VISITA

«Roma non basta una vita.» Questo celebre titolo di Silvio Negro
ha fatto epoca, perché esprime un concetto profondo e una realtà
diffusa. Non per nulla tanti romani, anche di famiglia romana, non
conoscono bene la loro città. Anche chi ha studiato professionalmente
Roma per decenni talvolta si orizzonta soprattutto per aver ascoltato
gli insegnamenti della nonna, che a fine Ottocento aveva vissuto il
trapasso dalla Roma papalina a quella piemontese e che a sua volta
aveva ascoltato i racconti della sua nonna, arrivata a Roma dalla
provincia sotto il sovrano-pontefice Pio IX.

All’inizio di una visita, breve o lunga che sia (purché non si tratti
di quella dei turisti giapponesi, che in 24-48 ore debbono vedere tutto
quello che hanno già visto in cdrom), è necessaria qualche riflessione
preliminare. Nel panorama della storia mondiale della città Roma
costituisce un unicum, un caso a sé stante, con i suoi 34 secoli
d’ininterrotta storia urbana. Durante questo periodo non è esistita una
sola città, bensì si sono susseguite tre distinte città (quella antica,
quella cristiana e dei papi, la terza Roma capitale italiana). Queste
sono state del tutto diverse tra loro, anche se il preesistente ha
sempre condizionato il nuovo, ovvero la città morta ha sempre
abbracciato quella viva. In questo senso il turista motivato può
progettare più visite differenziate, per vedere le singole opere d’arte
nel contesto spazio-temporale delle tre diverse Roma. Già nel 1786 un
turista geniale, Johann Wolfgang Goethe, aveva compreso che
bisognava «discernere come Roma sia succeduta a Roma, e non
soltanto la nuova sopra l’antica, ma le varie epoche della nuova e
dell’antica l’una sull’altra» («Viaggio in Italia»). E sempre ricordando
che, dai tempi di Costantino fino al primo Novecento, è stata la città
del riuso, del restauro, del rifacimento in stile o della vera e propria
falsificazione «more antiquorum».

ROMA ANTICA. Intorno al XIV secolo a.C. sorge un primo


insediamento di villaggi su piccoli colli («Septimontium») che
circondano un guado fluviale, presso il quale si incrociano i principali
sentieri commerciali (dal sud italiota e magnogreco al nord etrusco,
dal mare greco e fenicio all’interno italico). Alla metà dell’VIII a.C.
nasce una città ‘fondata’ e di recente gli scavi archeologici hanno
convalidato il testo di Tito Livio a scapito della storiografia critica otto-
novecentesca: ironicamente si potrebbe dire che sull’antichità gli
antichi ne sapevano più di noi moderni. Questa città ‘fondata’, in una
progressione sempre più accelerata, diventa egemone nel Lazio,
nell’Italia centrale, nel Mezzogiorno e nelle isole maggiori, in tutta la
penisola, nel bacino occidentale del Mediterraneo, poi anche in quello
orientale, fino a diventare il più grande centro urbano dell’antichità.
Nella metropoli l’arte è sempre un’esternazione o
rappresentazione dei ceti dominanti, dei grandi politici e condottieri,
infine degli imperatori. Arte di rappresentanza che è sempre anche
funzionale, non per nulla la grande architettura romana si afferma
senza confronti con manufatti utili (strade, ponti, acquedotti, arene e
teatri ecc.), che sono anche monumentali. Questa città antica è curata
e rafforzata nello splendore urbano anche nei secoli tardoimperiali.
Infatti noi conosciamo i monumenti antichi attraverso una facies
tardoantica a causa dei continui interventi di restauro-rifacimento
dall’età dei Severi ai tempi di Diocleziano e Costantino. Un’abitudine
che permane anche nelle epoche successive riferita alle chiese,
ripetutamente restaurate, rifatte, ristrutturate durante i secoli.
Per tanti motivi, anche in una visita di pochi giorni, almeno uno
intero deve essere dedicato al cosiddetto ‘cuore dell’Urbe’: dal Foro
Romano e dai Fori Imperiali al Palatino e al Campidoglio, dal Colosseo
al Circo Massimo. Un lungo itinerario che può essere variato a piacere.
Senza dimenticare che altri monumenti (dal teatro di Marcello e dal
Pantheon alle terme di Caracalla e alla piramide di Caio Cestio, dalle
Mura Aureliane all’Appia Antica ecc.) costituiscono testimonianze
eccezionali della città antica. Questa visita, se circostanziata e
accurata, può occupare vari giorni, tanto più se il turista desidera
vedere anche i capolavori dell’arte antica (dal Museo Nazionale
Romano nel palazzo dell’ex collegio Massimo, nelle terme di
Diocleziano e a palazzo Altemps, al Museo etrusco di Villa Giulia, ai
Musei Vaticani ecc.).

LA PRESENZA CRISTIANA, fino a Costantino, è un’ipotesi


sottotraccia, che emerge alla luce del sole solo con le grandi basiliche
del IV-V secolo e che progressivamente conquista lo spazio e il tempo
urbano attraverso l’uso delle croci e delle processioni; poi, dall’VIII,
delle campane di bronzo e delle diverse liturgie che scandiscono i
mesi, i giorni, le ore.
Il traumatico VI secolo rappresenta uno spluviale e coincide col
crollo verticale della popolazione, ridotta a meno di un decimo di
quella dell’età imperiale dagli sconvolgimenti bellici e naturali, dai
terremoti e dalle alluvioni, dalle infinite carestie e dalla grande peste.
Non esistono più le immense disponibilità economiche, che potevano
essere concentrate sulla capitale dell’impero; ma la Chiesa romana,
con i suoi vasti patrimoni fondiari, riavvia la produzione edilizia e
artistica in un semplice capoluogo regionale, che cerca di proiettarsi
sul Mediterraneo occidentale come il grande centro della cristianità
latina. Mentre all’interno della cerchia aureliana la riduzione della
popolazione comporta la progressiva frammentazione dell’abitato, con
più isole abitate semisommerse nel mare dell’abbandonato e del verde
spontaneo. Interi settori urbani sono presidiati soltanto dalle croci dei
monasteri, chiese, cappelle, xenodochia od ospizi per stranieri
eccetera. Così, i pontefici fin dal VII secolo impostano la lenta
stratificazione della città cristiana, usando spazi, edifici, materiali di
quella antica. È da questo momento che nasce un intreccio
inestricabile tra la Roma imperiale e la Roma cristiana, con la prima
che è un’inesauribile cava di marmi e metalli per la seconda, con i
templi trasformati in chiese e vari edifici civili usati per le necessità
ecclesiastiche.
Ancora oggi pochi riescono a cogliere le tracce di Roma in età
bizantina (metà VI-metà VIII secolo), perché le influenze della cultura
orientale sono state cancellate dalla precisa volontà papale di creare
un potere autonomo e di indirizzare la produzione edilizia e artistica
verso la rappresentazione del primato della Chiesa romana. Alcuni
luoghi di culto tra il Palatino e il Tevere sono testimonianze parziali di
questa Roma cancellata (S. Anastasia, S. Teodoro, S. Giorgio in
Velabro, S. Maria in Cosmedin o «in schola graeca», S. Nicola in
Carcere). E l’intitolazione a santi ‘orientali’ è l’unica a conservare il
ricordo dell’influsso bizantino.
Comunque la grande stagione artistica della città cristiana è
rappresentata dal romanico. Conviene, pertanto, soffermarsi su alcune
chiese che ne hanno conservato molte caratteristiche: S. Bartolomeo
all’Isola, S. Cecilia in Trastevere, S. Crisogono, S. Maria in Trastevere,
S. Clemente, Ss. Quattro Coronati, S. Maria in Domnica, Ss. Giovanni
e Paolo, S. Giovanni a Porta Latina, S. Sabina sull’Aventino, S. Maria in
Cosmedin e S. Maria Nova (o S. Francesca Romana) nei pressi del
Foro Romano, S. Lorenzo fuori le Mura e S. Paolo fuori le Mura
eccetera. Dovunque, nonostante frequenti rielaborazioni
rinascimentali, barocche o più tarde, si possono ammirare protiri,
campanili, chiostri e gli infiniti prodotti dei grandi marmorari romani,
fino ai grandi mosaici absidali, autentici manifesti del primato romano.
LA ROMA DEI PONTEFICI. Dal XV secolo la Chiesa interpreta il ruolo
della città cristiana in tal senso e questo programma è portato avanti
da una lunga teoria di papi, da Niccolò V a Pio IX. La continuità della
tradizione è intesa come una lenta stratificazione, che ingloba e
omologa le innovazioni. Così il classicismo rinascimentale è collegato
con la ripresa di modelli paleocristiani (dall’impianto basilicale all’uso
delle arti figurative come mezzo di comunicazione con i non
acculturati). Inoltre, la città rafforza il ruolo plurisecolare di grande
mercato europeo per la produzione artistica moderna e per i reperti
archeologici.
La grande stagione artistica della Roma dei papi è rappresentata
dal barocco. A partire da Paolo V trionfa l’estetica barocca, che
accentua la tipologia propagandistica delle grandi costruzioni
ecclesiastiche ed esalta il carattere spettacolare dei principali luoghi
urbani, mentre tutta la città è concepita come un’immensa
scenografia. Sono apparati scenografici le grandi piazze e le
prospettive stradali, come il ‘Tridente maggiore’ (costituito dalle tre
strade che partono da piazza del Popolo) o il ‘Tridente minore’
(formato dalle tre strade che partono da piazza di Ponte S. Angelo).
Sono apparati scenografici le mostre terminali dei tre acquedotti
papali: la fontana del Mosè presso la chiesa di S. Bernardo alle Terme
per l’Acqua Felice, il fontanone dell’Acqua Paola sul Gianicolo e la
fontana di Trevi per l’Acqua Vergine. Ma, accanto a esse, sono
altrettanto scenografiche le molte fontane, più o meno monumentali,
che le autorità pubbliche e le grandi famiglie innalzano nelle piazze.
Nell’età barocca Roma torna a essere «regina aquarum» come nell’età
imperiale, e l’acqua diventa un connotato preciso della città dei papi.
Le piazze sono intese come teatri ed esplicitamente piazza S.
Pietro è «il grande teatro dell’universo». Gian Lorenzo Bernini scrive il
duplice manifesto teatrale del barocco romano, inteso come momento
trainante di questo stile in Italia e in Europa. All’interno della Basilica
vaticana il baldacchino della confessione e la cattedra di S. Pietro
costituiscono un grande scenario a conclusione dell’immensa navata
centrale, mentre la colomba dello Spirito Santo vola nella vetrata
absidale in un trionfo di luce. Fuori della chiesa i due bracci del
colonnato si allargano ad abbracciare il mondo esterno, sempre «ad
maiorem S.R.E. gloriam».
Bernini, grandissimo scultore, non sarà stato un grande
architetto, ma sicuramente è stato il più grande scenografo urbano di
tutti i tempi. E, tutto sommato, per comprendere la città barocca, una
sintesi piuttosto significativa è offerta dalla sua Roma: dal palazzo di
Propaganda Fide alla ‘reggia’ Barberini, dalla cappella Cornaro in S.
Maria della Vittoria a S. Andrea al Quirinale, dagli angeli di ponte S.
Angelo alla Scala regia in Vaticano, dalla facciata di palazzo Odescalchi
in piazza Ss. Apostoli alla fontana dei Fiumi a piazza Navona, dalle
statue della Galleria Borghese alla fontana del Tritone eccetera. È
indispensabile ‘affogare’ in una città pensata per meravigliare, anche a
rischio d’una sbornia barocca.
Quasi tutti gli interventi sette-ottocenteschi sulla città dei papi
(compresi i casi eccelsi della scalinata della Trinità dei Monti, della
fontana di Trevi, delle progressive modifiche di piazza del Popolo)
possono essere considerati come perfezionamenti del trionfo barocco
della città dei papi e dentro questa Roma bisogna leggere i grandi
capolavori delle arti figurative nei musei, nei palazzi, nelle chiese.
L’INGRESSO IN ROMA DEI BERSAGLIERI DI LA MARMORA (definiti
«piemontesi» dai pervicaci papalini, che intendevano sottolineare il
carattere usurpativo di un’invasione militare del dominio temporale dei
papi) rappresenta soltanto una cesura politica, ma si trasforma
rapidamente in uno spluviale netto tra due diverse città: l’antica e
policentrica dei papi e la nuova Terza Roma, che subito cerca un
baricentro urbano, tra piazza Colonna e piazza Venezia.
Programmaticamente il ceto liberale, laico e massonico, vuole che
la nuova capitale nasca sopra le antiche città dei papi e degli
imperatori. Quintino Sella vuole che la Roma italiana sia altrettanto
monumentale di quella papale e che non sia una città industriale. Nel
1911 il sindaco Ernesto Nathan consuma più paia di forbici per tagliare
i nastri di tante grandi opere pubbliche (edifici monumentali, ponti,
strade, perfino un giardino zoologico e un faro sul Gianicolo!), con le
quali è stato rimodellato il volto d’una nuova Roma. Dopo la «breccia»
di porta Pia, in un solo quarantennio è raddoppiata la popolazione, è
stata fagocitata la società papalina e non esiste più la città papale,
anche se rimangono in piedi tante grandi fabbriche papali.
Da Sella a Nathan Roma raggiunge un momento privilegiato e
riesce ad avvicinarsi agli standard delle grandi capitali europee sul
piano dei servizi e su quello della grande edilizia; ma per ovvi motivi di
tutela archeologica non le raggiunge sul piano decisivo del trasporto
sotterraneo. Per capire questa Roma piemontese, poi di Nathan, basta
percorrere il primo tratto di via XX Settembre (con i ministeri delle
Finanze, dell’Agricoltura e Industria, della Guerra o Difesa) e poi via
Nazionale (dall’emiciclo di piazza Esedra – ora della Repubblica – al
palazzo delle Esposizioni, al traforo Umberto I e al palazzo della Banca
d’Italia) per accorgersi che questi due grandi assi paralleli dovevano
servire come cerniera tra la città antica e la città nuova, cerniera
sottolineata dalla larga sezione delle strade e dagli edifici fuori scala.
Particolarmente significativo sull’ideologia della terza Roma è
l’edificio maggiormente fuori scala e ‘inutile’: il Vittoriano, che doveva
rappresentare il sigillo laico sull’antica città papale. È infatti inteso
come luogo della memoria per esaltare l’unità nazionale e la «nuova
Italia», nata contro il volere della Chiesa. Per questo deve essere
costruito addosso al Campidoglio e deve essere visibile tanto da piazza
del Popolo e dal Corso (l’antico ingresso principale in città da nord)
quanto da piazza dell’Esedra e da via Nazionale (vicino a Termini, il
nuovo ingresso ferroviario). Il Vittoriano è costruito addosso all’area
sacra dell’antico tempio di Giunone Moneta poi di S. Maria in Aracoeli,
stabilendo una trimillenaria continuità sacrale: pagana, cristiana,
risorgimentale o massonica!
LA ROMA DEL VENTENNIO FASCISTA è frutto della Roma dell’Italietta
liberale, perché in tutto e per tutto Benito Mussolini è l’erede
dell’incoltura archeologica del periodo liberale. Sotto il regime fascista
e durante il breve governatorato Roma diventa la capitale effettiva
d’uno stato centralizzato. Sotto il fascismo è realizzato l’ultimo
progetto coerente, anche se errato, d’una città gerarchica nella quale
il centro monumentale è trasformato e stravolto non in base
all’urbanistica moderna, ma sulla scorta d’una (pseudo) cultura
archeologica dominata dal culto del monumentale e imperiale. Per
capire il disegno politico di Roma sotto il fascismo bisogna percorrere
il periplo del Campidoglio, reso possibile dallo sbancamentodi interi
settori urbani, dal quartiere dei Pantani alla scomparsa piazza
Montanara. Qui l’archeologia ‘imperiale’ ha spazzato via i residui di
molti periodi storici, creando un deserto urbano che da una parte si
prolunga fino al Colosseo e dall’altra fino al palazzo dell’Anagrafe
(costruito sui resti del porto tiberino) e a piazza della Bocca della
Verità. Poi però bisogna visitare i tre grandi interventi urbani che
qualificano, nel bene come nel male, l’architettura e l’urbanistica
romana sotto il fascismo: il Foro Italico, la Città Universitaria, l’EUR.
Quanto detto precedentemente ha un solo scopo. Visitare Roma
in pochi giorni è sempre un azzardo, perché si corre il rischio di ri-
vedere soltanto gli stereotipi, anche subliminali, di tante immagini
captate precedentemente nei libri o nei nuovi media. Mentre, per
capire qualcosa di Roma, bisogna ‘vedere’ l’intera città, collocando
costruzioni e prodotti artistici nella loro epoca.
LE CHIESE DI CAMPAGNA. A conclusione di questi suggerimenti per
varie visite trasversali di una città complessa, dove tutto si tiene e
tutto è il risultato di molteplici stratificazioni, è indispensabile ricordare
che la cultura del rispetto dei beni architettonici, artistici e ambientali
è una conquista degli ultimi decenni. Per averne conferma basta
riservare mezza giornata alla visita delle chiese di campagna, come le
chiamavano nell’Ottocento-primo Novecento i nostri nonni e bisnonni.
Da S. Clemente a S. Maria in Domnica e a S. Stefano Rotondo, da S.
Teodoro e S. Anastasia ai Ss. Nereo e Achìlleo, dai Ss. Giovanni e
Paolo a S. Giovanni a Porta Latina. Ancora a fine Ottocento erano
immerse nel verde e per questo erano le chiese di campagna. Ognuna
racconta una storia contemporaneamente simile e differente: restauri,
rifacimenti, ristrutturazioni, ricostruzioni, vere e proprie falsificazioni.
In particolare, la basilica di S. Clemente è un palinsesto di differenti
realtà urbane sovrapposte: dagli edifici del II secolo – forse una zecca
– al mitreo, dalla chiesa primitiva alla basilica altomedievale, da quella
tardomedievale alla ristrutturazione di età moderna, che non ha
disdegnato d’abbracciare, conservare, riusare le tracce edilizie e
artistiche dell’antico.
LA CITTÀ NEL TEMPO

753 Fondazione leggendaria di Roma, la cui definitiva formazione


a.C. urbana si compirà nella prima metà del sec. VI.
578- La città, suddivisa in quattro «regiones» su circa 285 ettari, è
534 racchiusa dalle mura cosiddette Serviane.
Inaugurazione sul Campidoglio, dopo l’instaurazione della
509
Repubblica, del tempio di Giove Capitolino.
456 La «lex Icilia» assegna l’Aventino alla plebe.
Sec. Sull’antica linea di costa allo sbocco del Tevere nasce il
V-IV «castrum» di Ostia.
Incendio e saccheggio della città da parte dei Galli di Brenno;
390 nel 378 sarà intrapresa la costruzione di una nuova cinta
muraria (11 km) includente un’area di circa 426 ettari.
Apertura da Roma a Capua della Via Appia (poi prolungata fino
312 a Brindisi) e costruzione dell’«Aqua Appia», il primo acquedotto
cittadino.
268 Il «denarius» è la prima coniazione romana in argento.
219-
Seconda guerra punica.
202
È completata la struttura del «pons Aemilius» (ponte Rotto), il
142
primo in pietra della città.
133 Uccisione di Tiberio Sempronio Gracco, tribuno della plebe.
80 Stimati in 400 mila gli abitanti di Roma.
78 Sorge, sulle pendici del Campidoglio prospicienti il Foro, il
Tabularium, l’archivio di Stato della città.
Ha inizio, col ‘passaggio del Rubicone’ da parte delle truppe di
49 Cesare, la guerra civile; alle Idi di marzo del 44 lo stesso
Cesare cadrà vittima di una congiura.
Mecenate patrocina e favorisce lo sviluppo della letteratura
Sec. I latina; nel suo circolo si ritrovano fra gli altri Virgilio, Orazio e
Properzio.
Con la vittoria di Azio su Antonio, Ottaviano (che nel 27 sarà
31 insignito del titolo di Augusto) pone le basi per l’avvento
dell’età imperiale.
Inizia, per volere del nuovo signore di Roma, l’edificazione
13
dell’Ara Pacis Augustae.
La riforma amministrativa di Augusto suddivide Roma in 14
15-7 regioni e l’Italia in 11, mentre le province sono distinte in
senatorie e imperiali.
Per ovviare all’insabbiamento del porto di Ostia, l’imperatore
Claudio promuove la realizzazione di un porto a nord della foce
42-46
del Tevere; vi si svilupperà intorno la città di «Portus», presso
d.C.
la quale verrà scavato (106-113) il bacino portuale noto come
lago di Traiano.
80 Tito inaugura l’Anfiteatro Flavio, il Colosseo.
Nella città, che ha superato forse il milione di abitanti, Adriano
intraprende la ricostruzione del Pantheon; nel 123, in riva
118
destra del Tevere, darà inizio all’edificazione del proprio
mausoleo, poi Castel S. Angelo.
Fine Su ipogei cristiani privati si sviluppano le catacombe di S.
sec. Callisto, le prime di Roma.
II
La «Constitutio Antoniniana» riconosce ai popoli delle province
212
la cittadinanza romana.
Apertura al pubblico delle terme di Caracalla. Nel 305-306 sarà
217
la volta di quelle, ancor più grandiose, di Diocleziano.

271 Si avvia la costruzione della cinta muraria di Aureliano.


293 Diocleziano istituisce la «Tetrarchia».
Con l’«editto di Milano» Costantino concede ai Cristiani libertà
313 di culto; nel 326 papa Silvestro I inaugurerà la prima basilica di
S. Pietro; nel 390 saranno vietati in Roma i culti pagani.
Con Onorio viene sancita la divisione tra Impero romano
395 d’Occidente e d’Oriente; lo stesso Onorio, nel 402, trasferirà la
sede imperiale occidentale a Ravenna.
I Visigoti di Alarico saccheggiano Roma; nel 455 li imiteranno i
410
Vandali di Genserico.
Finisce, con la deposizione di Romolo Augustolo da parte
476
dell’erulo Odoacre, l’Impero d’Occidente.
Roma, occupata da Narsete generale di Giustiniano dopo le
552 devastazioni della guerra greco-gotica, passa sotto il dominio
bizantino; l’imperatore Costante II la visiterà nel 663.
609 Trasformazione del Pantheon in chiesa cristiana.
Fondazione dell’ospedale di S. Spirito in Sassia, il primo nella
727
città ridotta a poco più di 35 mila abitanti.
Si costituisce – con la «donazione» di Pipino III il Breve, re dei
Franchi; poi confermata (781) da Carlo Magno, che Leone III
756
nell’800 incoronerà imperatore in S. Pietro – il primo nucleo
dello Stato Pontificio.
Completamento della cinta muraria che delimita la Città
852 Leonina, alla destra del Tevere, voluta da Leone IV dopo la
scorreria dei Saraceni (846) contro la basilica di S. Pietro.
La città, coinvolta nella lotta per le investiture, è assediata
1081- dall’imperatore Enrico IV ed espugnata dal normanno Roberto il
84 Guiscardo.

Decorazione musiva delle absidi di S. Clemente e di S. Maria in


Sec. Trastevere. Fanno la loro apparizione i «Mirabilia Urbis», le
XII
prime ‘guide turistiche’ di Roma.
1144- La predicazione di Arnaldo da Brescia favorisce la
54 partecipazione popolare al governo della città.
Accordo tra Clemente III e il Comune per la divisione dei poteri
1188
sulla città.
Sec. Inizia il trasferimento degli Ebrei nel rione S. Angelo attraverso
XIII il ponte Fabricio, detto per questo «pons Judaeorum».
1220 Federico II incoronato imperatore in Roma da Onorio III.
Dai ciborî di Arnolfo di Cambio in S. Paolo fuori le Mura e in S.
1285- Cecilia al Giudizio Universale di Pietro Cavallini nella stessa S.
93 Cecilia.

Giotto a Roma, chiamatovi per l’Anno Santo; testimonianza del


1300 suo lavoro nella città è il polittico Stefaneschi, eseguito (1320)
per la basilica di S. Pietro e oggi nella Pinacoteca Vaticana.
Bonifacio VIII fonda l’Università romana, che avrà sede nel
1303 palazzo della Sapienza dal tempo di Eugenio IV (sec. XV) al
1935.
Ha inizio, con Clemente V, il periodo avignonese del papato;
1309
terminerà con Gregorio XI nel 1377.
Cola di Rienzo instaura la sua effimera signoria romana; sarà
1347
ucciso nel 1354.
1373 Prima redazione degli Statuti comunali.
1378-
Si trascina, da Urbano VI a Martino V, lo «Scisma d’Occidente».
1418
Nella città, che conta circa 20 mila abitanti, affreschi di
1425- Masolino in S. Clemente e del Beato Angelico nella cappella di
50 Niccolò V in Vaticano.
Proclamazione da parte di Niccolò V della Lega Italica. Si avvia
1455
la costruzione del palazzo di Venezia.
Con il lascito (Sisto IV) dei bronzi conservati in Laterano hanno
1471 origine i Musei Capitolini. Nel 1475 lo stesso Sisto IV istituirà la
Biblioteca Apostolica Vaticana.
1473- Il ponte Sisto (Baccio Pontelli?) è l’unico gettato sul Tevere
75 dopo l’antichità e prima del sec. XIX.
1481- Prima decorazione pittorica (Perugino, Pinturicchio, Botticelli e
83 altri toscani) della Cappella Sistina.
1500 La Pietà vaticana, prima opera di Michelangelo a Roma.
Il chiostro di S. Maria della Pace e il tempietto di S. Pietro in
Montorio, prime opere di Bramante a Roma. Nel 1506 Giulio II
1500- lo autorizzerà a iniziare i lavori per il rifacimento della basilica di
1504 S. Pietro. Il 1506 è l’anno del ritrovamento nella Domus Aurea
del «Laocoonte», che eserciterà grande influenza sulla scultura
cinquecentesca.
Costruzione (Baldassarre Peruzzi) della Farnesina. Seconda
1508- decorazione pittorica (Michelangelo) della Cappella Sistina; lo
1512 stesso Michelangelo vi dipingerà, nel 1536-41, il Giudizio
Universale.
Decorazione pittorica di Raffaello, in più riprese, delle «Stanze»
vaticane. Tra il 1514 e il ’15, con la collaborazione di
1509-
Baldassarre Castiglione, egli scrive a Leone X la celebre lettera
1517
in cui lo esorta ad adoperarsi per arrestare il degrado delle
antichità romane.
L’apertura della via Leonina (oggi di Ripetta) dà avvio alla
realizzazione del «Tridente», con vertice su piazza del Popolo,
1517-
che sarà completato nel 1543 dalla via Clementina (poi Paolina
19
Trifaria e quindi del Babuino).

Presa e «sacco di Roma» (in cui, l’anno precedente, il primo


1527 censimento storicamente attendibile aveva conteggiato 55 mila
abitanti) da parte delle truppe imperiali di Carlo V.
Paolo III trasferisce la statua di Marco Aurelio dal Laterano in
piazza del Campidoglio, dove rimarrà fino al 1981. Lo stesso
1538 pontefice, per contrastare il diffondersi del Protestantesimo,
fonderà nel 1542 la congregazione del Santo Uffizio, incaricata
di vigilare sull’ortodossia della fede cattolica.
Paolo III incarica Michelangelo della direzione dei lavori per la
1546
nuova basilica di S. Pietro e per il palazzo Farnese.
Una bolla di Paolo IV istituisce, sull’area del Circo Flaminio, il
1555 Ghetto; gli Ebrei romani vi avranno residenza coatta fino al
1870.
Una dirompente piena del Tevere causa il definitivo abbandono
1557 di Gregoriopoli, borgo fondato da Gregorio IV (sec. IX) presso il
porto romano di Ostia.
È avviata, su progetto del Vignola, la costruzione della chiesa
1568
del Gesù.
1584 Fondazione, col nome di «Vertuosa compagnia de’ musici»,
dell’Accademia di S. Cecilia.
Diretta da Domenico Fontana, si compie da aprile a settembre
1586 la «memorabile impresa» dello spostamento e della
collocazione dell’Obelisco Vaticano al centro di piazza S. Pietro.
1599- Caravaggio dipinge le tre tele dedicate a S. Matteo per S. Luigi
1602 dei Francesi.
1600 Giordano Bruno arso come eretico in Campo de’ Fiori.
1603 Il principe Federico Cesi fonda l’Accademia dei Lincei.
La Biblioteca Angelica, fondata da Angelo Rocca, è la prima
1614
biblioteca pubblica a Roma.
1626 Consacrazione della nuova basilica di S. Pietro.
Prende forma la prima grande stagione del barocco romano:
1638- dall’avvio alla costruzione di S. Carlo alle Quattro Fontane
67 (Francesco Borromini) alla modellazione conclusiva di piazza S.
Pietro (Gian Lorenzo Bernini).
Per volontà di monsignor Tommaso Odescalchi sorge il
conservatorio per ragazzi, primo nucleo dell’ospizio di S.
1686
Michele a Ripa Grande che diverrà la principale istituzione
cittadina a carattere rieducativo e assistenziale.
Giovanni Maria Crescimbeni – coadiuvato da poeti, letterati e
1690 scienziati già frequentatori del salotto di Cristina di Svezia –
fonda l’Accademia dell’Arcadia.
1703-
Ricostruzione del porto di Ripetta.
1704
Piazza di Spagna viene collegata al Pincio dalla grandiosa
1726
scalinata della Trinità dei Monti.
Dopo il teatro Valle (1727), nasce con destinazione al
1732
melodramma il glorioso teatro Argentina.
Riforma circoscrizionale e toponomastica: compaiono le targhe
1743
coi nomi dei rioni.
1762 Clemente XIII inaugura la fontana di Trevi.
Johann Joachim Winckelmann è nominato direttore generale
1763 delle antichità romane.
Con l’istituzione (Clemente XIV) del Museo Pio-Clementino, ha
1771 inizio la trasformazione dei Palazzi Vaticani in organismi
museali.
Il monumento funebre a Clemente XIV nella basilica dei Ss.
1789
Apostoli, prima opera romana di Antonio Canova.
Occupazione francese della città e proclamazione della
1798
Repubblica romana ‘giacobina’.
La popolazione di Roma viene calcolata in circa 150 mila
1800
residenti.
1802- Carlo Fea compie i primi scavi sistematici nell’area dell’antica
1804 Ostia.
Giuseppe Valadier progetta, secondo le nuove disposizioni
sull’igiene urbana volute dall’amministrazione francese, il primo
nucleo del cimitero del Verano. Allo stesso Valadier si deve
1807
anche la sistemazione neoclassica di piazza del Popolo, che
sarà attuata nel 1816-24, nonché, su incarico dei Torlonia, la
nascita (1825) di Fiumicino.
Il ritorno di Pio VII dopo la caduta di Napoleone apre il periodo
1815
della Restaurazione.
Le truppe francesi del generale Oudinot abbattono la
1849
Repubblica romana di Mazzini e Garibaldi.
Inaugurazione del tronco ferroviario Roma-Frascati; seguirà,
1856
nel 1859, la linea per Civitavecchia.
1863 Muore Giuseppe Gioachino Belli.
Le forze del generale Raffaele Cadorna occupano Roma; nel
1870 1871, proclamata la città capitale d’Italia, vi si insedieranno il re
Vittorio Emanuele II e il governo italiano.
Primo piano regolatore di Roma capitale, che prevede tra l’altro
1873 una direttrice di espansione fra via del Corso e piazza del
Risorgimento, con l’edificazione dell’area dei Prati di Castello.
Inaugurazione, nella zona di Termini, della nuova stazione
1874
ferroviaria.
Dopo la disastrosa piena del Tevere del 1870, si dà avvio al
progetto generale (Raffaele Canevari) di sistemazione del
1876
fiume, che prevede l’innalzamento degli argini (i muraglioni) e
l’apertura dei lungotevere; i lavori si protrarranno fino al 1900.
Il censimento ufficiale indica che Roma ha 273952 abitanti. Alla
1881
stessa data Napoli ne conta 535206 e Milano 354041.
È istituita, nel palazzo delle Esposizioni in via Nazionale, la
1883
Galleria nazionale d’Arte moderna.
Prima pietra (posta da Umberto I) del monumento a Vittorio
1885
Emanuale II, il Vittoriano.
Inaugurazione, nel complesso delle terme di Diocleziano, del
1889 Museo Nazionale Romano. Avvio dei lavori, che termineranno
nel 1910, per la costruzione del palazzo di Giustizia.
1901 Censimento: la città conta 422411 abitanti.
1907- Ernesto Nathan – sostenuto da radicali, socialisti e repubblicani
1913 – sindaco di Roma.
Edmondo Sanjust di Teulada disegna il nuovo piano regolatore,
1909 che prevede tra l’altro l’urbanizzazione dell’area Flaminia e dei
Monti Parioli.
Roma (518917 abitanti) ospita l’Esposizione internazionale; per
l’occasione viene aperto il viale delle Belle Arti, cui seguirà il
1911
proliferare di istituti e accademie straniere nella vicina Valle
Giulia.
Il censimento conteggia 660235 abitanti. Sono istituiti gli ultimi
1921 rioni: Testaccio, S. Saba, Celio, Castro Pretorio, Sallustiano,
Ludovisi.
Dopo la «marcia su Roma», Vittorio Emanuele III affida a
Benito Mussolini l’incarico di formare il governo. Nel 1924
l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti
1922
provocherà la «secessione dell’Aventino», ultima iniziativa
dell’opposizione parlamentare per contrastare la dittatura
fascista.
L’istituzione del governatorato di Roma pone il municipio
1925
cittadino alle dirette dipendenze del Ministro degli Interni.
Nell’ambito degli sventramenti della città storica, viene ‘liberato’
1926-
il teatro di Marcello e rimessa in luce l’area sacra dell’Argentina,
32
il più esteso complesso di età repubblicana attualmente visibile.
Suddivisione della regione-provincia Lazio nelle province di
1927 Roma, Frosinone, Rieti e Viterbo; nel 1934 si aggiungerà quella
di Latina.
1928- Enrico Del Debbio elabora il progetto del Foro Italico, al quale
32 Luigi Moretti darà l’ultima stesura nel 1936.
Firma dei Patti Lateranensi tra Santa Sede e Regno d’Italia per
1929
la soluzione (Conciliazione) della «Questione romana».
Roma conta 930926 abitanti e ha un nuovo piano regolatore,
redatto da Marcello Piacentini; esso, tra l’altro, definisce il
1931 quartiere altoborghese dei Parioli, sviluppatosi tra il 1918 e il
’24, decreta l’edificabilità dell’Aventino e ‘ipotizza’ un parco
archeologico tra le Vie Appia Antica e Ardeatina.
Viene aperta la via dell’Impero (oggi dei Fori Imperiali). Hanno
1933
inizio i lavori per la costruzione della Città Universitaria.
Già collegata a Roma (1927) da una delle prime autostrade
italiane (l’attuale via del Mare), la cittadina di Ostia viene
integrata – con destinazione balneare – alla capitale; un
1936 ulteriore collegamento sarà costituito nel 1939 dalla via
Imperiale, oggi Cristoforo Colombo. Prime demolizioni per
l’apertura di via della Conciliazione: dovuta a un progetto di
Marcello Piacentini e Attilio Spaccarelli, sarà ultimata nel 1950.
1937- Sorge Cinecittà, all’inaugurazione il più moderno e attrezzato
39 centro cinematografico d’Europa.
La prevista Esposizione universale, per la quale era stato
1942 pensato nel 1938-39 il quartiere E42 (poi EUR), non viene
inaugurata a causa della guerra.
Il 19 luglio, bombardamenti aerei americani sul quartiere di S.
Lorenzo; il 10 settembre, scontri fra soldati italiani e tedeschi a
1943
porta S. Paolo; il 16 ottobre, deportazione in Germania della
Comunità ebraica romana.
Il 24 marzo, eccidio tedesco (di 335 civili) alle Fosse Ardeatine
1944 per rappresaglia contro l’attentato di via Rasella; il 4 giugno le
truppe alleate entrano in Roma abbandonata dalle divisioni
germaniche di Kesselring.
Inaugurazione, per l’Anno Santo, della nuova stazione centrale
1950 di Termini (in ricostruzione dal 1938) e di via della
Conciliazione.
1954 Apertura al traffico della via Cristoforo Colombo.
Entra in esercizio il primo tratto (Termini-EUR) della
1955 metropolitana, iniziato nel 1938, interrotto nel 1941 e ripreso
nel 1948.
Firmato a Roma (25 marzo) il trattato che istituisce la Comunità
1957 Economica Europea (CEE).

Per la XVII Olimpiade si realizzano impianti di rilievo quali il


palazzo dello Sport all’EUR e lo stadio Flaminio nell’area lungo
1960 la Via Flaminia, nonché importanti opere stradali come la via
Olimpica. Entra in funzione, a Fiumicino, l’aeroporto
intercontinentale Leonardo da Vinci.
Apertura del Grande Raccordo Anulare. Rispetto al 1951 Roma
1961
passa da 1651754 a 2188160 abitanti.
Con il nuovo piano regolatore (sarà approvato definitivamente
nel 1965), che delinea il cosiddetto Asse Attrezzato o Sistema
1962 Direzionale Orientale, la maggior parte dei 2517 ettari
dell’Appia Antica è destinata a parco pubblico. Entra in esercizio
il tratto Roma-Napoli dell’Autostrada del Sole.
1962- Si tiene nella basilica di S. Pietro il Concilio ecumenico Vaticano
65 II.
Approvazione del piano per l’edilizia economica e popolare
1964
previsto dalla legge 167 del 1962.
1968 Istituzione delle 20 circoscrizioni comunali.
Secondo rilievi e perimetrazioni operati dall’amministrazione
1976-
comunale, negli insediamenti abusivi urbani risultano abitare
85
circa 900000 persone.
1980 Entra in funzione la linea A della metropolitana (Ottaviano-
Anagnina).
Viene cancellata l’ottocentesca via della Consolazione, che
interrompeva la continuità tra il Foro Romano e il Campidoglio.
1981
La popolazione della città, nei confronti del 1971, aumenta da
2781993 a 2840259 abitanti.
La Regione Lazio approva la legge che istituisce il Parco
1988 regionale suburbano dell’Appia Antica.

Il governo approva la legge 396 riguardante «interventi per


Roma capitale della Repubblica». Entra in esercizio il tratto
Termini-Rebibbia della linea B della metropolitana ed è
1990
inaugurato il collegamento ferroviario con l’aeroporto di
Fiumicino. Ricostruzione, per il Campionato mondiale di calcio,
dello stadio Olimpico.
Il censimento registra che gli abitanti della città sono scesi a
1991 2775250; nei rioni del centro storico i residenti passano dai
424400 del 1951 a meno di 150000.
Si avvia il prolungamento della linea A della metropolitana fino
1992
a via Battistini.
Tra le opere pubbliche messe in cantiere per il Giubileo del
2000 spiccano: l’Auditorium progettato da Renzo Piano; la
ripresa dello scavo archeologico dei Fori Imperiali in adiacenza
alla via omonima; il restauro dei principali complessi
archeologici e palazzi monumentali (della Cancelleria, di
Venezia, dei Conservatori, Nuovo, Braschi, Barberini,
1995-
Brancaccio ecc.); la riqualificazione di numerose piazze; il
99
riallestimento di importanti musei (Nazionale Romano,
Capitolini, Barracco, Museo e Galleria Borghese e nazionali
d’Arte antica e d’Arte moderna) e la creazione di nuovi (palazzo
dell’ex collegio Massimo, Altemps, Galleria comunale d’Arte
moderna, ex centrale elettrica Montemartini, casina delle
Civette a villa Torlonia, Museo Praz).
Il 19-20 marzo viene adottato il Nuovo Piano regolatore
Generale, a 40 anni dal precedente e dopo sette anni di studio
2003 e di confronto con Municipi, associazioni, enti, ordini
professionali e università. I dati ISTAT confermano la tendenza
alla diminuzione dei residenti: al 31 dicembre sono, nel
territorio comunale, 2 542 003.
2004 Firmata a Roma (29 ottobre) la nuova Costituzione Europea.
In febbraio il Consiglio comunale ratifica il Nuovo Piano
2008
Regolatore Generale.

GLI IMPERATORI ROMANI

Gli imperatori contrassegnati con asterisco* non appartengono


alla famiglia sotto cui sono elencati. La divisione definitiva in Impero
d’Occidente e Impero d’Oriente inizia con Onorio. I nominativi a lui
successivi appartengono agli imperatori d’Occidente.
Giulio-Claudi (27 a.C.-68 d.C.):
Augusto 27 a.C.-14 d.C.
Tiberio 14-37
Caligola 37-41
Claudio 41-54
Nerone 54-68
Galba 68-69
Otone 69
Vitellio 69
Flavi (69-96):
Vespasiano 69-79
Tito 79-81
Domiziano 81-96
Nerva 96-98
Traiano 98-117
Adriano 117-138
Antonini (138-192):
Antonino Pio 138-161
Marco Aurelio 161-180
Commodo 180-192
Elvio Pertinace 193
Didio Giuliano 193
Severi (193-235):
Settimio Severo 193-211
Caracalla 211-217
Macrino* 217-218
Elagabalo 218-222
Severo Alessandro 222-235
Massimino il Trace 235-238
Gordiano I 238
Gordiano II 238
Pupieno 238
Balbino 238
Gordiano III 238-244
Filippo l’Arabo 244-249
Decio 249-251
Treboniano Gallo 251-253
Emiliano 251-253
Volusiano 251-253
Valeriano 253-260
Gallieno 260-268
Claudio II 268-270
Aureliano 270-275
Tacito 275-276
Probo 276-282
Caro 282-283
Numeriano 283-284
Carino 283-285
Diocleziano 284-305
Massimiano 286-305
Costanzo Cloro 305-306
Secondi Flavi (306-363):
Costantino 306-337
fino al 324 con:
Galerio* 305-311
Massimiano* 307-308
Massenzio* 307-312
Licinio 308-324
Massimino Daia* 310-313
Costanzo II 337-361
fino al 350 con:
Costantino II 337-340
Costante 337-350
Giuliano 361-363
Gioviano 363-364
Valentiniano I 64-375
con:
Valente 364-378
Graziano 365-383
Valentiniano II 375-392
Teodosio 379-395
Onorio 395-423
Costanzo III 421
Valentiniano III 423-455
Avito 455-457
Maggioriano 457-461
Libio Severo 461-465
Antemio Procopio 467-472
Olibrio 472
Glicerio 473-474
Giulio Nepote 474-475
Romolo Augustolo 475-476

I PONTEFICI

La cronologia, redatta sulla base dell’Annuario pontificio edito


dalla Città del Vaticano, indica di ogni papa i dati anagrafici, l’origine o
il luogo di nascita, l’anno iniziale (consacrazione) e terminale del
pontificato, che non sempre corrisponde a quello della morte. Per i
tempi più antichi, i dati hanno valore tradizionale piuttosto che
storicamente accertato (fino a Eleuterio gli anni di inizio e fine dei
pontificati non sono certi). Fra [ ] sono i papi cosiddetti illegittimi, o
antipapi.
La distinzione fra papi legittimi e illegittimi non è però sempre
ovvia. Le questioni più controverse sono: la legittimità di Dioscoro, che
è forse maggiore di quella di Bonifacio II; Leone VIII è antipapa se la
deposizione di Giovanni XII non fu legittima; se Leone VIII è legittimo,
Benedetto V è antipapa; Silvestro III, Gregorio VI e Clemente II
debbono considerarsi antipapi se la triplice sostituzione di Benedetto
IX non fu legittima.
Nella serie dei papi di nome Giovanni manca Giovanni XX, mai
esistito, avendo gli antichi cronisti sbagliata la numerazione. Mancano
pure Martino II e Martino III, essendosi contati erroneamente come
tali Marino I e Marino II. Alessandro VI dovrebbe essere V, dal
momento che non si può considerare legittimo papa Alessandro V
eletto dal concilio di Pisa.
Sino alla salita al soglio pontificio di Adriano VI, i papi sono stati
spesso ‘stranieri’. Da questo pontefice in avanti è iniziata una sorta di
predominio italiano, protrattosi dal 1523 (elezione di Clemente VII) al
1978, quando è diventato papa con il nome di Giovanni Paolo II il
polacco Karol Wojtyl´a, cui è succeduto nel 2005 il tedesco Joseph
Ratzinger (Benedetto XVI).

S. Pietro, di Bethsaida in Galilea, venuto in anno incerto a Roma,


ove incontrò il martirio nell’anno 64 o 67.
S. Lino, della Tuscia, 67-76.
S. Anacleto o Cleto, romano, 76-88.
S. Clemente, romano, 88-97.
S. Evaristo, greco, 97-105.
S. Alessandro I, romano, 105-115.
S. Sisto I, romano, 115-125.
S. Telesforo, greco, 125-136.
S. Igino, greco, 136-140.
S. Pio I, di Aquileia, 140-155.
S. Aniceto, siro, 155-166.
S. Sotero, della Campania, 166-175.
S. Eleuterio, di Nicòpoli nell’Epiro, 175-189.
S. Vittore I, africano, 189-199.
S. Zefirino, romano, 199-217.
S. Callisto I, romano, 217-222.
[S. Ippolito, romano, 217-235].
S. Urbano I, romano, 222-230.
S. Ponziano, romano, 230-235.
S. Antero, greco, 235-236.
S. Fabiano, romano, 236-250.
S. Cornelio, romano, 251-253.
[Novaziano, romano, 251].
S. Lucio I, romano, 253-254.
S. Stefano I, romano, 254-257.
S. Sisto II, greco, 257-258.
S. Dionisio, 259-268.
S. Felice I, romano, 269-274.
S. Eutichiano, di Luni, 275-283.
S. Gaio, dalmata, 283-296.
S. Marcellino, romano, 296-304.
S. Marcello I, romano, 308-309.
S. Eusebio, greco, aprile-agosto 309 (o 310).
S. Milziade o Melchiade, africano, 311-314.
S. Silvestro I, romano, 314-335.
S. Marco, romano, gennaio-ottobre 336.
S. Giulio I, romano, 337-352.
Liberio, romano, 352-366.
[Felice II, romano, 355-365].
S. Damaso I, spagnolo, 366-384.
[Ursino, 366-367].
S. Siricio, romano, 384-399.
S. Anastasio I, romano, 399-401.
S. Innocenzo I, di Albano, 401-417.
S. Zosimo, greco, 417-418.
S. Bonifacio I, romano, 418-422.
[Eulalio, 418-419].
S. Celestino I, della Campania, 422-432.
S. Sisto III, romano, 432-440.
S. Leone I Magno, della Tuscia, 440-461.
S. Ilaro, sardo, 461-468.
S. Simplicio, di Tìvoli, 468-483.
S. Felice III (II), romano, 483-492.
S. Gelasio I, africano, 492-496.
Anastasio II, romano, 496-498.
S. Simmaco, sardo, 498-514.
[Lorenzo, 498-505].
S. Ormisda, di Frosinone, 514-523.
S. Giovanni I, della Tuscia, 523-526.
S. Felice IV (III), del Sannio, 526-530.
Bonifacio II, romano, 530-532.
[Dioscoro, di Alessandria, settembre-ottobre 530].
Giovanni II, romano, il primo che cambia nome salendo al soglio
pontificio, 533-535.
S. Agapito I, romano, 535-536.
S. Silverio, della Campania, 536-537.
Vigilio, romano, 537-555.
Pelagio I, romano, 556-561.
Giovanni III, romano, 561-574.
Benedetto I, romano, 575-579.
Pelagio II, romano, 579-590.
S. Gregorio I Magno, romano, 590-604.
Sabiniano, di Blera, 604-606.
Bonifacio III, romano, febbraio-novembre 607.
S. Bonifacio IV, marsicano, 608-615.
S. Deusdedit o Adeodato I, romano, 615-618.
Bonifacio V, di Napoli, 619-625.
Onorio I, campano, 625-638.
Severino, romano, maggio-agosto 640.
Giovanni IV, dalmata, 640-642.
Teodoro I, greco, 642-649.
S. Martino I, di Todi, 649-655.
S. Eugenio I, romano, 654-657.
S. Vitaliano, di Segni, 657-672.
Adeodato II, romano, 672-676.
Dono, romano, 676-678.
S. Agatone, siciliano, 678-681.
S. Leone II, siciliano, 682-683.
S. Benedetto II, romano, 684-685.
Giovanni V, siro, 685-686.
Conone, 686-687.
[Teodoro, 687].
[Pasquale, 687].
S. Sergio I, siro, 687-701.
Giovanni VI, greco, 701-705.
Giovanni VII, greco, 705-707.
Sisinnio, siro, gennaio-febbraio 708.
Costantino, siro, 708-715.
S. Gregorio II, romano, 715-731.
S. Gregorio III, siro, 731-741.
S. Zaccaria, greco, 741-752.
Stefano II (III), romano, 752-757.
S. Paolo I, romano, 757-767.
[Costantino, di Nepi, 767-769].
[Filippo, 768].
Stefano III (IV), siciliano, 768-772.
Adriano I, romano, 772-795.
S. Leone III, romano, 795-816.
Stefano IV (V), romano, 816-817.
S. Pasquale I, romano, 817-824.
Eugenio II, romano, 824-827.
Valentino, romano, agosto-settembre 827.
Gregorio IV, romano, 827-844.
[Giovanni, 844].
Sergio II, romano, 844-847.
S. Leone IV, romano, 847-855.
Benedetto III, romano, 855-858.
[Anastasio, 855].
S. Niccolò I, romano, 858-867.
Adriano II, romano, 867-872.
Giovanni VIII, romano, 872-882.
Marino I, di Gallese, 882-884.
S. Adriano III, romano, 884-885.
Stefano V (VI), romano, 885-891.
Formoso, vescovo di Porto, 891-896.
Bonifacio VI, romano, aprile 896.
Stefano VI (VII), romano, 896-897.
Romano, di Gallese, agosto-novembre 897.
Teodoro II, romano, dicembre 897.
Giovanni IX, di Tìvoli, 898-900.
Benedetto IV, romano, 900-903.
Leone V, di Àrdea, luglio-settembre 903.
[Cristoforo, romano, 903-904].
Sergio III, romano, 904-911.
Anastasio III, romano, 911-913.
Landone, sabino, 913-914.
Giovanni X, di Tossignano, 914-923.
Leone VI, romano, maggio-dicembre 928.
Stefano VII (VIII), romano, 928-931.
Giovanni XI, romano, 931-935.
Leone VII, romano, 936-939.
Stefano VIII (IX), romano, 939-942.
Marino II, romano, 942-946.
Agapito II, romano, 946-955.
Giovanni XII, Ottaviano dei conti di Tùscolo, romano, 955-964.
Leone VIII, romano, 963-965.
Benedetto V, romano, 964-966.
Giovanni XIII, romano, 965-972.
Benedetto VI, romano, 973-974.
[Bonifacio VII, romano, per la prima volta, 974].
Benedetto VII, romano, 974-983.
Giovanni XIV, Pietro, di Pavia, 983-984.
[Bonifacio VII, per la seconda volta, 984-985].
Giovanni XV, romano, 985-996.
Gregorio V, Brunone dei duchi di Carinzia, sassone, 996-999.
[Giovanni XVI, Giovanni Filagato, di Rossano, 997-998].
Silvestro II, Gerberto, dell’Alvernia, 999-1003.
Giovanni XVII, Siccone, romano, giugno-novembre 1003.
Giovanni XVIII, Fasano, romano, 1004-1009.
Sergio IV, Pietro, romano, 1009-1012.
Benedetto VIII, Teofilatto dei conti di Tùscolo, 1012-24.
[Gregorio, 1012].
Giovanni XIX, Romano dei conti di Tùscolo, 1024-32.
Benedetto IX, Teofilatto dei conti di Tùscolo, 1032-44.
Silvestro III, Giovanni, romano, gennaio-febbraio 1045.
Benedetto IX, per la seconda volta, aprile-maggio 1045.
Gregorio VI, Giovanni Graziano, romano, 1045-46.
Clemente II, Suitgero dei signori di Morsleben e Hornburg,
sassone, 1046-47.
Benedetto IX, per la terza volta, 1047-48.
Damaso II, Poppone, bavarese, luglio-agosto 1048.
S. Leone IX, Brunone dei conti di Egisheim-Dagsburg, alsaziano,
1049-54.
Vittore II, Gebeardo dei conti di Dollnstein-Hirschberg, tedesco,
1055-57.
Stefano IX (X), Federico dei duchi di Lorena, 1057-58.
[Benedetto X, Giovanni, romano, 1058-59].
Niccolò II, Gerardo, della Borgogna, 1059-61.
Alessandro II, Anselmo da Baggio, presso Milano, 1061-73.
[Onorio II, Cadalo, del Veronese, 1061-72].
S. Gregorio VII, Ildebrando, della Tuscia, 1073-85.
[Clemente III, Wiberto, di Parma, 1084-1100].
B. Vittore III, Dauferio (Desiderio), di Benevento, 1086-87.
B. Urbano II, Ottone di Lagery, francese, 1088-99.
Pasquale II, Raniero, di Bieda, 1099-1118.
[Teoderico, 1100].
[Alberto, 1102].
[Silvestro IV, Maginulfo, romano, 1105-1111].
Gelasio II, Giovanni Caetani, di Gaeta, 1118-19.
[Gregorio VIII, Maurizio Burdino, francese, 1118-21].
Callisto II, Guido di Borgogna, 1119-24.
Onorio II, Lamberto, di Fiagnano, 1124-30.
[Celestino II, Tebaldo Buccapecus, romano, 1124].
Innocenzo II, Gregorio Papareschi, romano, 1130-43.
[Anacleto II, Pietro Petri Leonis, romano, 1130-38].
[Vittore IV, Gregorio, marzo-maggio 1138].
Celestino II, Guido, di Città di Castello, 1143-44.
Lucio II, Gerardo Caccianemici, di Bologna, 1144-45.
B. Eugenio III, Bernardo forse dei Paganelli di Montemagno, di
Pisa, 1145-53.
Anastasio IV, Corrado, romano, 1153-54.
Adriano IV, Niccolò Breakspear, inglese, 1154-59.
Alessandro III, Rolando Bandinelli, di Siena, 1159-81.
[Vittore IV, Ottaviano de Monticello, 1159-64].
[Pasquale III, Guido da Crema, 1164-68].
[Callisto III, Giovanni, 1168-78].
[Innocenzo III, Lando, di Sezze, 1178-80].
Lucio III, Ubaldo Allucingoli, lucchese, 1181-85.
Urbano III, Uberto Crivelli, milanese, 1185-87.
Gregorio VIII, Alberto de Morra, di Benevento, ottobre-dicembre
1187.
Clemente III, Paolo Scolari, romano, 1187-91.
Celestino III, Giacinto Bobone, romano, 1191-98.
Innocenzo III, Lotario dei conti di Segni, Gavignano, 1198-1216.
Onorio III, Cencio Savelli, romano, 1216-27.
Gregorio IX, Ugolino dei conti di Segni, di Anagni, 1227-41.
Celestino IV, Goffredo Castiglioni, milanese, ottobre-nov. 1241.
Innocenzo IV, Sinibaldo Fieschi, genovese, 1243-54.
Alessandro IV, Rinaldo dei signori di Ienne, di Ienne, 1254-61.
Urbano IV, Giacomo Pantaléon, di Troyes, 1261-64.
Clemente IV, Guido Fulcodi, francese, 1265-68.
B. Gregorio X, Tebaldo Visconti, di Piacenza, 1271-76.
B. Innocenzo V, Pietro di Tarantasia, della Savoia, febbraio-
giugno 1276.
Adriano V, Ottobono Fieschi, genovese, luglio-agosto 1276.
Giovanni XXI, Pietro Iuliani (P. Ispano), portoghese, 1276-77.
Niccolò III, Giovanni Gaetano Orsini, romano, 1277-80.
Martino IV, Simone de Brion, francese, 1281-85.
Onorio IV, Giacomo Savelli, romano, 1285-87.
Niccolò IV, Girolamo Masci, di Ascoli, 1288-92.
S. Celestino V, Pietro del Murrone, di Isernia, agosto-dic. 1294.
Bonifacio VIII, Benedetto Caetani, di Anagni, 1294-1303.
B. Benedetto XI, Niccolò Boccasini, di Treviso, 1303-1304.
Clemente V, Bertrando de Got, francese, 1305-1314.
Giovanni XXII, Giacomo Duèse, di Cahors, 1316-34.
[Niccolò V, Pietro Rainallucci, di Corvaro, 1328-30].
Benedetto XII, Giacomo Fournier, francese, 1335-42.
Clemente VI, Pietro Roger, francese, 1342-52.
Innocenzo VI, Stefano Aubert, francese, 1352-62.
B. Urbano V, Guglielmo de Grimoard, francese, 1362-70.
Gregorio XI, Pietro Roger de Beaufort, francese, 1371-78.
Urbano VI, Bartolomeo Prignano, di Napoli, ultimo papa non
cardinale, 1378-89.
Bonifacio IX, Pietro Tomacelli, di Napoli, 1389-1404.
Innocenzo VII, Cosma Migliorati, di Sulmona, 1404-1406.
Gregorio XII, Angelo Correr, veneziano, 1406-1415.
PAPI AVIGNONESI, scisma d’Occidente del 1378:
[Clemente VII, Roberto dei conti del Genevois, 1378-94].
[Benedetto XIII, Pietro de Luna, aragonese, 1394-1423].
[Clemente VIII, Gil Sánchez Muñoz, 1423-29].
[Benedetto XIV, Bernardo Garnier, 1425-30].
PAPI PISANI:
[Alessandro V, Pietro Filargo, dell’isola di Creta, 1409-1410].
[Giovanni XXIII, Baldassarre Cossa, di Napoli, 1410-1415].
Martino V, Oddone Colonna, romano, 1417-31.
Eugenio IV, Gabriele Condulmer, veneziano, 1431-47.
[Felice V, Amedeo duca di Savoia, 1440-49].
Niccolò V, Tommaso Parentucelli, di Sarzana, 1447-55.
Callisto III, Alonso de Borja (Borgia), di Játiva, 1455-58.
Pio II, Enea Silvio Piccolomini, di Corsignano, 1458-64.
Paolo II, Pietro Barbo, veneziano, 1464-71.
Sisto IV, Francesco Della Rovere, di Savona, 1471-84.
Innocenzo VIII, G.B. Cybo, genovese, 1484-92.
Alessandro VI, Rodrigo de Borja (Borgia), di Játiva, 1492-1503.
Pio III, Francesco Todeschini Piccolomini, di Siena, ottobre 1503.
Giulio II, Giuliano Della Rovere, di Savona, 1503-1513.
Leone X, Giovanni de’ Medici, fiorentino, 1513-21.
Adriano VI, Adriano Florensz, di Utrecht, 1522-23.
Clemente VII, Giulio de’ Medici, fiorentino, 1523-34.
Paolo III, Alessandro Farnese, romano, 1534-49.
Giulio III, Giovanni Maria Ciocchi del Monte, romano, 1550-55.
Marcello II, Marcello Cervini, di Montepulciano, aprile-mag. 1555.
Paolo IV, Gian Pietro Carafa, di Napoli, 1555-59.
Pio IV, Giovan Angelo de’ Medici, milanese, 1560-65.
S. Pio V, Antonio Ghislieri, di Bosco Marengo, 1566-72.
Gregorio XIII, Ugo Boncompagni, bolognese, 1572-85.
Sisto V, Felice Peretti, di Grottammare, 1585-90.
Urbano VII, G.B. Castagna, romano, settembre 1590.
Gregorio XIV, Niccolò Sfondrati, di Cremona, 1590-91.
Innocenzo IX, Giovan Antonio Facchinetti, bolognese, novembre-
dicembre 1591.
Clemente VIII, Ippolito Aldobrandini, di Fano, 1592-1605.
Leone XI, Alessandro de’ Medici, fiorentino, aprile 1605.
Paolo V, Camillo Borghese, romano, 1605-1621.
Gregorio XV, Alessandro Ludovisi, bolognese, 1621-23.
Urbano VIII, Maffeo Barberini, fiorentino, 1623-44.
Innocenzo X, G.B. Pamphilj, romano, 1644-55.
Alessandro VII, Fabio Chigi, di Siena, 1655-67.
Clemente IX, Giulio Rospigliosi, di Pistoia, 1667-69.
Clemente X, Emilio Altieri, romano, 1670-76.
B. Innocenzo XI, Benedetto Odescalchi, di Como, 1676-89.
Alessandro VIII, Pietro Ottoboni, veneziano, 1689-91.
Innocenzo XII, Antonio Pignatelli, di Spinazzola, 1691-1700.
Clemente XI, Giovanni Francesco Albani, di Urbino, 1700-1721.
Innocenzo XIII, Michelangelo dei Conti, romano, 1721-24.
Benedetto XIII, Pietro Francesco Orsini, di Gravina in Puglia,
1724-30.
Clemente XII, Lorenzo Corsini, fiorentino, 1730-40.
Benedetto XIV, Prospero Lambertini, bolognese, 1740-58.
Clemente XIII, Carlo Rezzonico, veneziano, 1758-69.
Clemente XIV, Giovanni Vincenzo Antonio Ganganelli, di
Santarcàngelo di Romagna, 1769-74.
Pio VI, Giannangelo Braschi, di Cesena, 1775-99.
Pio VII, Barnaba Chiaramonti, di Cesena, 1800-1823.
Leone XII, Annibale Della Genga, di Genga, 1823-29.
Pio VIII, Francesco Saverio Castiglioni, di Cìngoli, 1829-30.
Gregorio XVI, Bartolomeo Alberto Cappellari, di Belluno, 1831-46.
Pio IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti, di Senigallia, 1846-78.
Leone XIII, Vincenzo Gioacchino Pecci, di Carpineto, 1878-1903.
S. Pio X, Giuseppe Sarto, di Riese, 1903-1914.
Benedetto XV, Giacomo Della Chiesa, genovese, 1914-22.
Pio XI, Achille Ratti, di Desio, 1922-39.
Pio XII, Eugenio Pacelli, romano, 1939-58.
Giovanni XXIII, Angelo Giuseppe Roncalli, di Sotto il Monte, 1958-
63.
Paolo VI, G.B. Montini, di Concesio, 1963-78.
Giovanni Paolo I, Albino Luciani, di Forno di Canale, settembre
1978.
Giovanni Paolo II, Karol Wojtyl´a, di Wadowice, 1978-2005.
Benedetto XVI, Joseph Ratzinger, di Marktl am Inn, 2005.

GLI STEMMI PAPALI

La presenza dei papi a Roma si esplicò, oltre che nel campo


religioso e politico, anche nell’edificazione o ristrutturazione di chiese,
palazzi, conventi, fontane, sui quali essi molto spesso lasciarono, a
ricordo del loro intervento, lo stemma della propria famiglia. L’uso di
adottare uno stemma da parte di un papa è attestato per la prima
volta sotto il pontificato di Innocenzo III (1198-1216), ma soltanto
con Clemente V (1305-1314) divenne una consuetudine, tanto
radicata che anche gli antipapi ebbero i propri stemmi.
La serie qui di seguito riportata, che vuole essere un aiuto a
riconoscere gli interventi dei singoli pontefici (camminando per la città
non è infatti cosa rara imbattersi nei gigli Farnese, nelle api Barberini,
nella colomba Pamphilj, nei monti Chigi, solo per citare i più famosi),
parte da Martino V, sotto il cui pontificato la sede papale torna
definitivamente a Roma, e si conclude con Benedetto XVI. Essa
permette anche di notare l’evoluzione degli stemmi nel tempo: da
quelli delle più nobili famiglie d’Italia, nei quali traspare la volontà di
affermare il potere temporale del papato e la gloria del casato, a quelli
‘borghesi’ post-unitari, che richiamano le terre d’origine dei pontefici e
il carattere pastorale del loro apostolato.
I CARATTERI DELL’INSEDIAMENTO NELLA VICENDA STORICA

ROMA ANTICA

Il luogo in cui sorse Roma, nel punto in cui s’incrociavano, al


guado del Tevere presso l’Isola Tiberina, la via che dall’interno andava
al mare lungo la valle fluviale e quella che lungo la fascia costiera
metteva in comunicazione l’Etruria con il Lazio e la Campania, era per
sua natura «a vocazione urbana». Ciò spiega il sorgere nella zona, già
durante l’età del Bronzo (XIV-XI secolo a.C.), di piccoli insediamenti e la
loro progressiva aggregazione dalla metà del IX a.C., e finalmente,
verso metà VIII, il sopravvento del Palatino favorito dalle
caratteristiche particolarmente felici del colle che offriva insieme
sufficiente estensione, facile collegamento con i colli vicini e ottime
possibilità di controllo del nodo viario e del luogo d’incontro e di
mercato (Foro Boario) nato presso di esso con un rudimentale
approdo portuale.
Momento cruciale, quello che gli antichi ritennero d’identificare
con la «fondazione» romulea, atto rituale di definizione giuridico-
sacrale (ma anche topografica e organizzativa) del Palatino stesso
come «urbs» (e dell’altura contigua della Velia come «arx»), rispetto
al resto dell’unico ‘sistema’ comunitario esteso pure nello spazio
«suburbano» («Esquiliae»): le alture dell’Esquilino («Fagutal»,
«Oppius» e poi anche «Cispius»), il Celio e le valli interposte. Integrati
successivamente anche Viminale, Quirinale e Campidoglio – mentre la
tradizione colloca nella seconda metà del VII secolo a.C., col regno di
Anco Marcio, la costruzione del primo ponte in legno («pons
Sublicius»), e, sulla riva destra, l’occupazione del Gianicolo per
difenderlo – la definitiva formazione urbana di Roma giunge a
compimento nella prima metà del VI secolo a. Cristo.
LA «GRANDE ROMA DEI TARQUINI», governata da re di origine
etrusca (senza tuttavia perdere il suo fondamentale carattere latino),
si riorganizza e adegua le sue strutture e la connotazione giu-ridica e
sacrale riunendo in un unico organismo e nella forma politica della
città-stato ogni elemento della sua vecchia e nuova realtà territoriale.
In particolare, durante il regno di Servio Tullio, essa viene delimitata
da un nuovo confine sacro («pomerium»), si cinge di nuove mura e al
loro interno, su una superficie di 285 ettari, viene articolata e
suddivisa in quattro distretti o regioni («regiones»). Inoltre, previo
prosciugamento delle paludi vallive con la canalizzazione delle acque
stagnanti («Cloaca Maxima»), viene dotata di un centro politico
(«Comitium») e di una piazza (Foro) con funzioni di mercato, attorno
alla quale o nei suoi immediati paraggi, lungo la «via Sacra» che sale
al Campidoglio e presso la sede del re (Regia) e il santuario di Vesta,
si dispongono le dimore degli aristocratici. Sorgono infine alcuni
importanti santuari: di Vesta e di Vulcano («Volcanal») nel Comizio,
quelli di Diana sull’Aventino, di Fortuna e Mater Matuta nel Foro Boario
(attribuiti a Servio Tullio) e di Giove, con Giunone e Minerva, sul
Campidoglio (il più grande dei templi etrusco-italici conosciuti, da
collocare accanto alle gigantesche costruzioni templari del mondo
greco ionico coevo), attribuito ai due Tarquini, al secondo dei quali (il
Superbo) spetterebbe anche il primo impianto del Circo Massimo nella
valle Murcia anch’essa bonificata. In questo stesso periodo Roma è
pure, per la prima volta, un importante e attivo centro artistico che
partecipa pienamente delle principali correnti figurative
contemporanee, le quali trovano la loro massima espressione nella
splendida produzione delle terrecotte templari.
L’ATTIVITÀ EDILIZIA CONTINUA AL PRINCIPIO DELLA REPUBBLICA:
durante i decenni iniziali del V secolo a.C. vengono infatti costruiti o
portati a termine i templi di Saturno e dei Castori nel Foro, di Cerere
sull’Aventino (con l’intervento di artisti greci che denota influenze
culturali verosimilmente provenienti dalla Magna Grecia) e ristrutturati
gli edifici della Regia e di Vesta (tempio e casa delle Vestali). A metà
del secolo (456 a.C.), di rilevante importanza urbanistica è la legge
che assegna l’Aventino alle famiglie della Plebe (la ‘borghesia’
imprenditoriale) e dà quindi al colle, rimasto ai margini della città, una
precisa fisionomia e un ruolo anche politico.
Nella seconda metà del V secolo a.C. le lotte interne, le guerre
con i popoli confinanti e la crisi che investe gran parte dell’Italia
provocano un lungo periodo di stasi, durante il quale gli unici
interventi edilizi di un qualche rilievo sono l’apprestamento, nell’area
suburbana ancora tutta libera del Campo Marzio, di installazioni per i
comizi elettorali («Saepta») e per le operazioni del censimento («Villa
publica») e di un santuario di Apollo (431 a.C.). Il periodo critico
culmina con la repentina occupazione e l’incendio di Roma da parte
dei Galli (390 a.C.).

LE ANTICHE MURA E LE REGIONI AUGUSTEE

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sinistra, destra, sinistra e destra.

Dopo la sofferta decisione di ricostruire sul posto la città, secondo


gli intendimenti degli aristocratici capeggiati da Camillo (il secondo
fondatore) e contro la proposta di trasferimento nel sito dell’etrusca
Veio appena conquistata e distrutta, sostenuta dalla Plebe, la rinascita
avvenne in maniera affrettata e disordinata. Essa fu sottolineata dalla
costruzione, a partire dal 378 a.C., di una nuova e più robusta cinta
muraria, lungo un perimetro di circa 11 km racchiudente una
superficie di 426 ettari (maggiore di quella di qualsiasi altra città
contemporanea) e includente per la prima volta anche l’Aventino.
Seguì una generale ripresa della grande attività edilizia, favorita anche
dalla raggiunta pacificazione sociale, a celebrazione della quale venne
edificato ai piedi del Campidoglio, verso il Foro, il tempio della
Concordia (367 a.C.). Tra gli altri interventi di rilievo (oltre
all’applicazione degli speroni di bronzo delle navi catturate ai Volsci di
Anzio, nel 338 a.C., alla tribuna del Comizio, che da allora prese il
nome di «Rostra», e all’erezione, nello stesso Comizio, delle prime
statue bronzee, in onore di Alcibiade e di Pitagora), figurano la
costruzione di balconate («maeniana») sulle tabernae del Foro e
l’allontanamento da questo del mercato, trasferito in un’area contigua
(«Macellum»), la realizzazione delle prime installazioni fisse
(«carceres») del Circo Massimo e, sullo scorcio del secolo (312-311
a.C.), la costruzione del primo acquedotto («Aqua Appia») a opera del
censore Appio Claudio, che contemporaneamente faceva aprire il
tratto iniziale della Via Appia.
DA INIZI III SECOLO A.C., in concomitanza con la progressiva
espansione nella penisola, si susseguono a ritmo sostenuto le
costruzioni di templi, spesso votati alla vigilia di grandi battaglie e
finanziati coi proventi dei bottini di guerra (Bellona in Campo Marzio;
Giove Vincitore, Vittoria e Giove Statore sul Palatino; Esculapio
all’Isola Tiberina; Tellus alle «Carinae»; Giano e Speranza nel Foro
Olitorio; Giuturna ancora nel Campo Marzio). Assume poi grande
voga, grazie anche al continuo afflusso di prede belliche,
l’ornamentazione degli spazi e degli edifici pubblici con statue di
bronzo come quelle, colossali, di Ercole e di Giove, portate da Taranto
e collocate, insieme ai ritratti degli antichi re, davanti al tempio di
Giove Capitolino (sul cui fastigio una quadriga bronzea sostituì, nel
296 a.C., quella fittile dell’etrusco Vulca, della fine del VI secolo a.C.).
Nello stesso tempo, la pratica dei trionfi, decretati ai generali
vittoriosi, favorisce lo sviluppo delle pitture celebrative e
commemorative delle imprese belliche, che tanta parte avranno nella
formazione delle tendenze artistiche più genuinamente e tipicamente
romane. Sempre nel III secolo a.C. viene costruito il secondo
acquedotto («Anio Vetus», 272 a.C.), erette le prime colonne onorarie
(a Duilio, rostrata, nel 260 a.C.; a Emilio Paolo nel 255 a.C.) ed
edificato, all’estremità meridionale del Campo Marzio, il Circo Flaminio
(221 a.C.). Poi sopraggiunge il difficile momento della guerra
annibalica ma la vittoria, conseguita giusto alla fine del secolo, apre
per Roma una nuova fase della sua storia urbanistica ed edilizia.

UNA PROFONDA TRASFORMAZIONE DELLA CITTÀ e il suo adeguamento


al nuovo ruolo di metropoli del mondo mediterraneo, con
conseguenze determinanti per l’assetto urbano anche dei secoli
successivi, prendono avvio mentre si estendono le conquiste
d’oltremare. Facendo proprie le esperienze elaborate nel mondo
ellenistico e applicando schemi e canoni mutuati (insieme a tecnici e
architetti) dalle grandi capitali dei regni greco-orientali, Roma
s’arricchisce di quartieri, vengono ristrutturati quelli esistenti, in
funzione di specifiche destinazioni rispondenti a sempre nuove
esigenze. Si creano, o si perfezionano, tipi architettonici (portici,
basiliche, archi trionfali ecc.), s’introduce la tecnica costruttiva
rivoluzionaria dell’opus caementicium (il calcestruzzo), si procede alla
sistematica applicazione del principio struttivo dell’arco con la sua
naturale estensione della volta, si comincia a usare, sia pure
saltuariamente, il marmo al posto del tufo e del travertino, come nei
templi di Giunone Regina nel Campo Marzio e di Ercole Vincitore (oggi
detto di Vesta) nel Foro Boario.
Accanto agli interventi destinati ai servizi (magazzini, mercati,
opere portuali ecc.) si sviluppano quelli di prestigio o di
rappresentanza, sia di carattere pubblico (basiliche e portici, edifici per
spettacoli, templi monumentali), specie sul Campidoglio, nel Foro e nel
Campo Marzio, sia di carattere privato (domus ad atrio e peristilio
nelle quali compaiono le prime colonne di marmo), specialmente sul
Palatino, alle «Carinae» e sul «Fagutal», nelle zone alte del Cispio, del
Viminale e del Quirinale, mentre in quelle immediatamente periferiche
(alle pendici nord-occidentali del Quirinale, sul Pincio e in Trastevere)
sorgono giardini e ville. Infine, per far fronte alla crescente pressione
demografica, alimentata soprattutto dall’immigrazione, nasce l’edilizia
abitativa ‘di massa’, con i caseggiati ad appartamenti su più piani
(insulae).

IL II SECOLO A.C. inizia con la costruzione dell’enorme magazzino


annonario della «porticus Aemilia» (193 a.C.) che, nella pianura a sud-
ovest dell’Aventino, segna la nascita del nuovo porto fluviale e del
relativo quartiere («Emporium») che alla fine dello stesso secolo
s’arricchirà dell’altro grande complesso dei magazzini di Galba
(«horrea Galbana»). Sempre nel settore dei servizi, viene ricostruito
(179 a.C.) in forme più ampie il mercato coperto («Macellum»),
potenziata la rete delle cloache (184 a.C.), pavimentata una serie di
strade (174 a.C.), gettato, subito a valle dell’Isola Tiberina (179 a.C. e
142 a.C.), il primo ponte in pietra («pons Aemilius»), costruiti due
nuovi acquedotti («Aqua Marcia» nel 144 a.C.; «Aqua Tepula» nel 125
a.C.).

LE NOVITÀ EDILIZIE, oltre agli archi trionfali (di Stertinio nel 196 e
di Scipione Africano nel 190, sul Campidoglio), sono rappresentate dai
quadriportici, o vere e proprie piazze porticate (di Ottavio, 168; di
Metello, 146), costruiti nella zona del Circo Flaminio attorno a templi
monumentali, e dalle basiliche («Porcia», «Fulvia» poi «Aemilia»,
«Sempronia» e «Opimia») erette una dopo l’altra tra il 184 e il 121
a.C., fra il Comizio e il Foro, nello schema dell’aula rettangolare
allungata, colonnata all’interno e porticata all’esterno sul lato lungo di
facciata.
Sullo scorcio del secolo nasce infine, al posto delle tradizionali
tombe gentilizie e ancora una volta ispirato a modelli ellenistici, il tipo
di sepolcro individuale (come quello di Galba nella zona
dell’«Emporium»), a blocco parallelepipedo con eventuale
coronamento superiore. A determinarne la nascita sono le forti
tendenze individualistiche della lotta politica che favoriranno anche il
diffondersi del ritratto «realistico», dalla marcata accentuazione dei
tratti fisionomici (magari con la testa posta su un corpo ispirato a tipi
della statuaria classica), caratteristico dell’ultima fase della Repubblica
quando, d’altro canto, s’affermeranno anche correnti artistiche di
gusto classicistico che s’andranno a sovrapporre al fondo culturale
ancora dominato dalle espressioni dell’arte etrusco-italica.

NEL I SECOLO A.C., mentre s’accentua l’espansione dell’abitato in


relazione al continuo incremento della popolazione (che in età sillana
dovette raggiungere le 400000 unità), l’attività edilizia diventa preciso
programma politico dei capi dello stato. Le opere pubbliche acquistano
così connotati sempre più vistosi di grandiosità e fasto, come
esemplifica il possente edificio del Tabularium (l’archivio dello Stato)
eretto durante la dittatura sillana (78 a.C.) sul Campidoglio, con la
novità dell’arco associato all’ordine architettonico (e inquadrato da
semicolonne) che crea un modello destinato ad avere universale
fortuna, mentre lo stesso edificio forma una quinta architettonica di
sfondo al Foro al quale fornisce orientamento e prospettive nuove e
definitive. Sempre nell’età di Silla (cui si deve anche l’ampliamento del
pomerio, rimasto ai limiti del IV secolo a.C.), vengono ricostruiti la
Curia del Senato e, per la prima volta, il tempio di Giove Capitolino
distrutto da un incendio. Ma l’espressione più rappresentativa dei
nuovi indirizzi è, verso la metà del secolo (61-55 a.C.), il complesso
degli edifici di Pompeo nel Campo Marzio: il teatro (primo in pietra e
con scena fissa che inaugura il tipo di edificio a gradinate poggiate su
sostruzioni artificiali ad arcate), col tempio di Venere Vincitrice alla
sommità della cavea e i portici coi giardini al centro estesi su una
vasta area dietro la scena del teatro.

LE FABBRICHE POMPEIANE, capaci di esercitare per la loro


imponenza un’autentica forza d’attrazione, segneranno un importante
passo verso la caratterizzazione policentrica di Roma proprio qualche
anno prima che Cesare provveda all’ampliamento del vecchio centro
urbano con la costruzione di un nuovo foro («forum Iulium»), a
ridosso dell’antico e a spese del quartiere popolare dell’Argileto.
Prendeva così inizio la realizzazione di quello che nel giro di un
secolo e mezzo diventerà il grandioso complesso dei Fori Imperiali,
ognuno dei quali seguirà il modello organico della piazza porticata col
tempio sul lato di fondo, e la visione prospettica accentuata dalla fuga
assiale delle architetture, fornito dal foro di Cesare (che nel tempio di
Venere Genitrice propose per la prima volta il motivo della cella
absidata destinato ad avere enorme fortuna). Lo stesso Cesare,
facendo ricostruire la Curia e i «Rostra» dopo averli spostati per
allinearli, in posizione subalterna, al nuovo foro, e facendo edificare la
«basilica Iulia» al posto della «Sempronia», mentre distruggeva di
fatto l’antico «Comitium», rendeva definitivo l’orientamento del Foro
Romano, peraltro ridotto quasi solo alla funzione di ‘spazio teatrale’
con la costruzione di una rete di gallerie al di sotto della
pavimentazione della piazza, al servizio degli spettacoli dei gladiatori.

L’AVVENIRISTICO ‘PIANO REGOLATORE’ DI CESARE che, predisposto


con un’apposita legge «per lo sviluppo della città», prevedeva la
deviazione del Tevere da ponte Milvio ai piedi dei Monti Vaticani fino a
valle dell’Isola Tiberina, con la completa urbanizzazione del Campo
Marzio e il trasferimento delle funzioni di quello nel Campo Vaticano,
rimase soltanto a livello di progetto. Ma l’idea di un programma
urbanistico basato soprattutto sull’integrale occupazione del Campo
Marzio fu ripresa e attuata, all’inizio dell’Impero, da Augusto la cui
opera, meno radicale e rivoluzionaria di quella di Cesare, fu tuttavia
tale da completare il rinnovamento della città e dare a essa assetto
definitivo. A ciò condusse anche la riforma amministrativa (7 a.C.) con
la quale, oltre a risolvere il problema del governo cittadino e dei
fondamentali servizi pubblici, venne annullata la distinzione tra la città
storica e i nuovi quartieri cresciuti oltre le mura riunendo tutto in un
unico organismo urbano aperto verso il suburbio e suddiviso al suo
interno in 14 regioni.

ROMA AUGUSTEA E IMPERIALE


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sinistra, destra, sinistra e destra.

GLI INTERVENTI NEL CAMPO MARZIO vengono rivolti direttamente


da Augusto al completamento del teatro di Marcello e della
sistemazione dei «Saepta» (coi portici di Meleagro e degli Argonauti)
già avviati da Cesare, al rinnovamento del portico di Metello, dedicato
alla sorella dell’imperatore (portico di Ottavia), e alla costruzione,
all’estremità settentrionale della pianura, del gigantesco mausoleo
dinastico. Agrippa invece, al di là dei «Saepta», provvede a far
edificare il primo Pantheon, la basilica di Nettuno e le terme
(alimentate dal nuovo acquedotto dell’Acqua Vergine), e a bonificare
la depressione della «palus Caprae» trasformata in un lago («stagnum
Agrippae») con un canale di sfogo («Euripus») diretto al Tevere.
Intanto, nella zona del Circo Flaminio (forse smantellato in questo
periodo), dopo che Caio Sosio aveva già riedificato il tempio di Apollo
(36 a.C.), vengono costruiti il teatro di Balbo, con l’annesso
criptoportico («crypta Balbi»), e l’anfiteatro di Statilio Tauro. Ancora
nel settore settentrionale del Campo Marzio, Mecenate cura l’impianto
di una grande meridiana pavimentale («horologium Augusti») avente
per gnomone un obelisco trasportato a Roma dall’Egitto (10 a.C.),
insieme a un altro che viene innalzato sulla spina del Circo Massimo a
sua volta dotato del palco imperiale («pulvinar»); lungo la «via Lata»
viene eretta l’Ara Pacis Augustae che col suo ricco apparato di
rivestimento scultoreo a rilievo inaugurò il caratteristico bipolarismo
dell’arte imperiale romana con l’alternanza e la giustapposizione di
raffigurazioni classicheggianti di tipo allegorico, simbolico o allusivo e
di rappresentazioni di eventi reali ‘raccontati’ con sapore popolaresco.
L’incessante attività edilizia del periodo augusteo interessò molte
altre zone della città. Nel Foro Romano, oltre al completamento dei
lavori di Cesare (Curia, «Rostra», «basilica Iulia») e al restauro dei
templi dei Castori e della Concordia, venne costruito il tempio del Divo
Giulio che, fiancheggiato da due archi onorari, definì e ‘chiuse’ lo
stesso foro anche sul lato orientale. Quindi, attiguo al foro di Cesare e
con esso coordinato e collegato, fu realizzato un nuovo foro («forum
Augusti»), con il monumentale tempio di Marte Ultore e i portici ai lati
‘dilatati’ da due grandi esedre semicircolari. Sull’Esquilino fu costruito il
portico di Livia e trasformata in villa, a opera di Mecenate, una vasta
zona a cavallo delle mura dove erano, completamente degradati, i
resti di quello che per secoli era stato il cimitero della città; in
Trastevere fu realizzato un enorme bacino per gli spettacoli di
battaglie navali («naumachia Augusti») alimentato dal nuovo
acquedotto dell’«Aqua Alsietina», mentre Agrippa faceva costruire un
altro ponte sul Tevere, a monte dell’Isola Tiberina già dotata nel
secolo precedente dei due ponti Fabricio e Cestio (62 e 46 a.C.).
Finalmente, lo stesso Augusto pose le basi per la trasformazione
del Palatino in reggia andando ad abitare di proposito nell’angolo sud-
occidentale del colle, sacro alla memoria del fondatore, in un piccolo
complesso di domus private ristrutturate (e decorate con pitture
parietali derivate dalle scenografie teatrali, con quadri mitologici,
scene di genere ed elementi fantastici) e integrate dal sontuoso
tempio di Apollo Aziaco con due biblioteche, un portico (delle Danaidi)
e un sacello di Vesta.
L’ATTIVITÀ EDILIZIA DEI 50 ANNI CHE SEGUIRONO LA MORTE DI
AUGUSTO fu piuttosto contenuta. Determinante fu però, a opera di
Tiberio, la conferma del Palatino per la residenza imperiale, mentre
allo stesso Tiberio, oltre alla costruzione del tempio del Divo Augusto
nel Velabro e agli incentivi per la ricostruzione del Celio devastato da
un incendio (27 d.C.), si deve la grande caserma dei Pretoriani
(«Castra Praetoria») edificata all’estremo margine nord-orientale
dell’abitato con la nuova tecnica dell’opus latericium destinata subito a
notevole fortuna.
Un ampliamento verso il Foro della residenza palatina, la prima
edificazione del tempio di Serapide sulle pendici occidentali del
Quirinale e il parziale allestimento di un circo privato (poi completato
da Nerone) nei giardini di Agrippina nell’«ager Vaticanus» furono le
opere di Caligola. Quelle di Claudio: due nuovi acquedotti («Aqua
Claudia» e «Anio Novus») e un ulteriore ampliamento del pomerio che
finalmente incluse l’Aventino devastato da un incendio (36) e
ricostruito come quartiere aristocratico; subito dopo la morte
dell’imperatore fu avviata la costruzione di un grandioso tempio a lui
dedicato, all’estremità nord-occidentale del Celio, al centro di una
vasta area libera circondata e sostenuta da un poderoso muro, con
prospetto a due ordini d’arcate, in travertino.
Alcune importanti opere furono realizzate nel decennio iniziale del
principato di Nerone; un edificio termale nel Campo Marzio, che
introdusse nella tipologia balneare il criterio della distribuzione
regolare e simmetrica degli ambienti; un nuovo mercato coperto
(«Macellum Magnum») sul Celio, e la prima vera e propria reggia
(«Domus Transitoria») risultante dall’unificazione dei nuclei palatino
ed esquilino delle proprietà imperiali. Ma al nome di Nerone è legato
l’inizio di una nuova fase della storia urbanistica ed edilizia di Roma in
conseguenza dell’incendio che nel luglio del 64 devastò 10 delle 14
regioni urbane.

LA CATASTROFE segnò la fine di una città incessantemente


cresciuta in modo irregolare e disordinato, anche se la ricostruzione
non fu scrupolosamente attuata con quei criteri di razionalità ed
efficienza (ampiezza delle aree aperte e altezza limitata degli edifici e
loro isolamento, abbandono del legno e di altri materiali facilmente
infiammabili e uso generalizzato della pietra e dei mattoni, diffusione
dei portici al pianterreno dei caseggiati ecc.) che pure furono dettati
per la «nova urbs». Furono soprattutto d’impedimento, nei quattro
anni residui del principato di Nerone, gli ingenti e onerosi lavori per la
realizzazione della nuova sontuosa dimora imperiale (Domus Aurea)
che, estesa per una superficie di oltre 100 ettari su buona parte del
vecchio nucleo urbano – dal Palatino all’Esquilino e al Celio –
comprese costruzioni di vario genere (residenziali, di rappresentanza e
di svago, con sequenze e prospettive offerte dalla natura e
dall’artifizio) in mezzo ad ampi spazi aperti, con boschi e giardini e un
lago artificiale contornato di padiglioni.

LA VERA RICOSTRUZIONE DELLA CITTÀ fu pertanto opera dei tre


successivi imperatori Flavi, che dovettero anche far fronte alle
conseguenze di altri due gravi incendi (del Campidoglio nel 69 e del
Campo Marzio e ancora del Campidoglio nell’80). Così Vespasiano e
Tito (ai quali si deve anche un allargamento del pomerio) provvidero
in primo luogo a restituire al pubblico godimento gli spazi urbani
sottratti da Nerone facendo rientrare la reggia nei limiti del Palatino e
smantellando la Domus Aurea tranne l’edificio, nemmeno terminato,
del colle Oppio. Poi, a sottolineare il loro programma in termini di
‘servizi pubblici’, fecero costruire, al posto del lago neroniano e col
massimo sfruttamento della tecnica costruttiva basata sull’arco e sulla
volta per ottenere insieme praticità e sicurezza, il grandioso Anfiteatro
Flavio (o Colosseo) – inaugurato da Tito l’anno 80 – quindi restaurare
il tempio di Giove Capitolino e ripristinare quello del Divo Claudio che
Nerone aveva trasformato in ninfeo; realizzare, sulle pendici del
«Fagutal», l’edificio termale (terme di Tito) forse già previsto per la
Domus Aurea; infine costruire, al posto dell’antico «Macellum»
bruciato nell’incendio del 64, il tempio (o foro) della Pace che con la
sua ampia corte simile a una piazza forense, dotata su un lato di una
cella templare affiancata da grandi aule, venne a costituire, con i vicini
fori di Augusto e di Cesare e con l’adiacente Foro Romano, un
complesso sostanzialmente unitario.
Il completamento della ricostruzione e il nuovo assetto della città
sono opera di Domiziano. Questi, ultimato il Colosseo con un sistema
di gallerie per i servizi, aggiunse tra l’Oppio e il Celio un ‘quartiere
attrezzato’ formato da quattro caserme-scuola («Ludi») e un ospedale
(«Saniarium») con obitorio («Spoliarium») per i gladiatori, un
magazzino per le armi («Armamentarium») e uno per i macchinari
scenici («Summum Choragium») e una caserma per i marinai addetti
al «velario» («castra Misenatium»). Sempre nella zona centrale della
città, tra il Colosseo e il Palatino, fece rifare la fontana monumentale
della «Meta Sudans» ed erigere l’arco in onore di Tito, mentre per
sistemare lo spazio rimasto tra il foro di Augusto e il tempio della
Pace, percorso dall’antichissima via dell’«Argiletum», dette inizio alla
costruzione di un nuovo foro («Forum Transitorium», poi inaugurato
da Nerva che gli dette il suo nome), lungo e stretto, senza portici ma
con colonnato sporgente dalle pareti e con il tempio di Minerva sul
fondo. Si procedeva intanto alla ricostruzione del Campidoglio (con un
nuovo rifacimento del tempio di Giove) e del Campo Marzio dove, oltre
alla riparazione dei danni degli incendi e al rifacimento dell’Iseo
Campense, furono edificati ex novo lo stadio, l’odeon, il portico dei
Due Divi col tempio di Minerva, e il tempio della Fortuna Reduce. Ma
l’intervento più significativo di Domiziano fu la costruzione del vero e
proprio Palazzo imperiale che con la residenza ufficiale («Domus
Flavia») e quella privata («Domus Augustana») occupò tutta la parte
centrale del Palatino e, con terrazzamenti e piani diversi e una facciata
a esedra, anche le pendici verso il Circo Massimo: una situazione che
favorì prospettive ed effetti di scorcio che andarono ad aggiungersi a
una generale concezione simmetrica degli spazi e alla ricerca di
formule planimetriche mistilinee.
NEL II SECOLO Roma raggiunse i vertici della sua espansione
urbana e monumentale (nonché demografica, avendo certamente
superato il milione di abitanti). Al principio del secolo, con Traiano,
oltre al restauro dei fori di Cesare e di Augusto, della casa delle Vestali
e del Circo Massimo, si ebbe la creazione del più grandioso dei fori
imperiali (foro di Traiano) per il quale il poco spazio disponibile in una
zona ormai tutta edificata fu ampliato con lo sbancamento della sella
tra il Quirinale e il Campidoglio, che portò pure all’eliminazione del
diaframma che separava la città vecchia da quella nuova del Campo
Marzio.

LA COSTRUZIONE DEL ‘CENTRO COMMERCIALE’ DEI MERCATI DI TRAIANO


– il maggiore e più razionale dei complessi di pubblica utilità, dalle
geniali e ardite soluzioni struttive e dalla spazialità di grande respiro –
fatto di edifici a più piani, di esedre e di aule voltate e includente un
paio di strade, sulle pendici tagliate a terrazze del Quirinale, si
accompagnò a quella del foro che, oltre alla solita piazza, porticata e
dotata di due grandi esedre, comprendeva la monumentale «basilica
Ulpia» a due absidi contrapposte, con le annesse biblioteche e la
colonna coclide istoriata.
Altri notevoli interventi traianei furono la ristrutturazione delle
installazioni del porto fluviale, la costruzione di un nuovo acquedotto
(«Aqua Traiana») e, sul colle Oppio, sopra il palazzo della Domus
Aurea definitivamente smantellato e interrato, quella di un altro
edificio termale che, ampliato l’organismo balneare con un sistema di
spazi aperti circondati da un recinto, fissava la tipologia della grande
terma imperiale.

CON L’IMPERO DI ADRIANO E DEGLI ANTONINI, mentre nell’edilizia


privata si diffondono, anche a formare nuovi ‘quartieri razionali’ (come
quello tra la «via Lata» e il Quirinale), i caseggiati a più piani, dotati di
portici e di botteghe e separati tra loro da brevi strade ortogonali,
l’edilizia monumentale raggiunge il vertice con il Pantheon rifatto da
Adriano (118-125), capolavoro assoluto, di idea architettonica e
d’ingegneria, con la sua dimensione spaziale interna perfettamente
sferica e avvolgente (e il ‘compromesso’ classicistico del pronao
colonnato di tipo tradizionale). Si aggiungano i nuovi templi di Matidia,
di Adriano (con la novità della cella voltata) e di Marco Aurelio nel
Campo Marzio, di Antonino e Faustina nel Foro Romano, di Traiano a
conclusione del foro omonimo e quello colossale, a due celle
addossate per le absidi, di Venere e Roma sulla Velia (privo del podio
della tradizione romana e con chiara propensione per le forme
elleniche, secondo l’atteggiamento classicistico e intellettualistico di
Adriano); e ancora i restauri dei palazzi del Palatino, la seconda
colonna coclide in onore di Marco Aurelio nel Campo Marzio (dai rilievi
che, con la novità del disfacimento delle forme organiche del
precedente stile classicistico, denunciano precisi intenti pittorici di tipo
‘espressionistico’) e il nuovo grandioso mausoleo dinastico fatto
costruire da Adriano nei giardini di Domizia, sulla riva destra del
Tevere, con un ponte («pons Aelius») per collegarlo alla città.
DURANTE IL REGNO DI COMMODO (191) un ennesimo incendio dà
luogo a un’altra serie di restauri e ricostruzioni nella zona fra il tempio
della Pace e il portico di Ottavia, insieme ai quali Settimio Severo
provvede a far costruire una nuova ala del Palazzo imperiale su
gigantesche sostruzioni ad arcate, il colossale ninfeo del
«Septizodium» tra il Palatino e il Celio, la caserma «nuova» degli
«equites singulares» (la guardia imperiale) nella zona del Laterano, la
villa del «Sessorium», col piccolo Anfiteatro Castrense, all’estremità
orientale del Celio, mentre un arco trionfale a tre fornici, interamente
rivestito di rilievi affollati e pieni di movimento per il continuo e
accentuato alternarsi delle luci e delle ombre, viene eretto in suo
onore nel Foro Romano.
IL III SECOLO inizia con la costruzione delle grandiose Terme
Antoniniane (inaugurate da Caracalla nel 217 con l’antistante «via
Nova») e il rifacimento del colossale tempio di Serapide sul fianco del
Quirinale. Ma subito dopo – a causa della crisi economica e sociale che
investe l’Impero e con gli imperatori quasi sempre occupati a salvare il
trono dai concorrenti e a difendere i confini dalla pressione dei Barbari
– l’attività edilizia subisce un generale rallentamento, interrotto da
singoli episodi: il tempio di Elagabalo, costruito sul Palatino
dall’imperatore omonimo; l’undicesimo e ultimo acquedotto («Aqua
Alexandrina») voluto da Alessandro Severo che provvide pure al
rifacimento delle Terme Neroniane; le terme dell’imperatore Decio
sull’Aventino e il tempio del Sole inaugurato in Campo Marzio, nel 274,
da Aureliano. Ma l’unica vera novità che emblematicamente
caratterizza il periodo è quella della cinta muraria con la quale, tra il
271 e il 275, lo stesso Aureliano cinge Roma lungo un percorso di
quasi 19 km: 650 anni dopo quelle repubblicane, le mura Aureliane
racchiudono, su una superficie di circa 1400 ettari, una città quale non
s’era mai vista sulla faccia della terra, segnandone in maniera tangibile
la misura dei vasti confini ma decretandone al tempo stesso l’arresto e
il ripiegamento su se stessa.

DISLOCAZIONE DELLE PRINCIPALI CATACOMBE A ROMA

L’ULTIMA SOSTANZIOSA RIPRESA D’INIZIATIVE EDILIZIE si ha tra la fine


del III e gli inizi del IV secolo, con l’avvento della tetrarchia
dioclezianea e poi con l’impero di Costantino. Dopo la ricostruzione
degli edifici colpiti dall’incendio del 283 (tempio di Saturno e Curia del
Senato, foro di Cesare, teatro di Pompeo ecc.), si susseguono:
l’edificazione delle terme di Diocleziano (il più grande di tutti i
complessi termali romani) nella zona ‘periferica’ nord-orientale della
città; il rifacimento, a opera di Massenzio, del tempio di Venere e
Roma e la costruzione, per iniziativa dello stesso imperatore, della
grandiosa «basilica Nova» (detta poi anche di Costantino) sulla Velia,
nuova splendida espressione di straordinaria genialità spaziale e
vistoso esempio di quelle caratteristiche di compattezza e unitarietà
che contraddistinguono tutti gli edifici della tarda età imperiale; le
terme sul Quirinale e la via porticata ai piedi dello stesso colle, a opera
di Costantino, e, infine, l’arco onorario dedicato a quell’imperatore dal
Senato nel 315, accanto al Colosseo, col quale inizia l’uso di riutilizzare
vecchi monumenti per crearne di nuovi.
LA FINE DELLA STORIA URBANISTICA ED EDILIZIA DELL’URBE PER L’EVO
ANTICO si ha quando, nel maggio del 330, proprio Costantino inaugura
la nuova capitale sulle rive del Bosforo. Nei due secoli (IV e V) che
segnano il passaggio all’evo medio, pur restando sostanzialmente
intatto l’antico impianto urbano, la città cambia volto per adeguarsi
alle sopraggiunte esigenze del Cristianesimo trionfante; anche se i
nuovi interventi, a cominciare da quelli costantiniani (come la
costruzione della cattedrale di S. Giovanni nel sito delle case dei
Laterani e della caserma degli «equites singulares») sono realizzati in
zone marginali per evitare ogni competizione coi monumenti del
passato. Così, mentre comincia a delinearsi quella che sarà la Roma
dei papi, alla Roma dei cesari le autorità civili si limitano a dedicare
ancora per qualche tempo solo saltuari lavori di manutenzione e di
restauro, il più importante e impegnativo dei quali sarà, all’inizio del V
secolo, il radicale rinforzo delle mura promosso da Onorio. Cosa che
tuttavia non basterà a impedire alla città il sacco dei Goti nel 410 e
quelli, anche più pesanti, dei Vandali nel 455 e nel 472. Gli ultimi
restauri, eseguiti per lo più con materiali tratti da monumenti
abbandonati, furono promossi dal re ostrogoto Teodorico quando
ormai da un quarto di secolo era tramontato, anche ufficialmente
(476), l’Impero d’Occidente e iniziato il Medioevo.

ROMA MEDIEVALE E MODERNA

DALL’ANTICHITÀ AL XIII SECOLO


Il passaggio dalla Roma imperiale alla Roma medievale non
costituisce un evento in qualche modo analizzabile secondo parametri
temporali e categorie critiche definite: si tratta di un processo
grandioso di distruzione-ricostruzione che, in diversa proporzione,
interessa tutte le città antiche che hanno registrato una più o meno
consistente continuità di vita.
La forte riduzione della popolazione e la crisi politica, economica e
amministrativa dello Stato si accompagna, tra il IV e il V secolo, a uno
sviluppo decisivo delle nuove strutture ecclesiastiche: il papa diviene
di fatto l’arbitro e il difensore della città, il depositario e il proprietario
effettivo del patrimonio pubblico. Le nuove fabbriche basilicali, che
sorgono precocemente nelle aree sepolcrali periferiche, confermano
l’antico organismo urbano disponendosi secondo un impianto
cruciforme avente come centro il Colosseo: l’asse principale della
croce congiunge in linea retta le basiliche principali del SS. Salvatore
(S. Giovanni in Laterano) e di S. Pietro, passando per il colle capitolino
e riprendendo in parte l’allineamento della «via Sacra»; l’asse a questa
ortogonale congiunge invece le basiliche di S. Paolo fuori le Mura e di
S. Maria Maggiore. Dopo le distruzioni legate al lungo periodo delle
guerre gotiche (VI secolo) il sistema difensivo, pur sempre coincidente
con la cinta di Aureliano, subisce un profondo mutamento per la
trasformazione in fortezza del mausoleo di Adriano (in età medievale e
moderna Castel S. Angelo), luogo di concentrazione della difesa
dell’area vaticana e di controllo dell’accesso alla città.
Le trasformazioni materiali del tessuto edilizio avvengono con
estrema gradualità e lentezza; solo nel VII secolo cade in realtà il
divieto di trasformare i templi pagani in chiese, che aveva fino ad
allora impedito una vera riappropriazione cristiana della zona centrale
della città.

LA PERDITA DEI CARATTERI ARCHITETTONICI ANTICHI. Da questo


momento in poi, a Roma crollano e sono abbandonati oppure sono
riutilizzati per finalità residenziali o difensive i grandi complessi
pubblici destinati al tempo libero (terme, edifici per lo spettacolo),
mentre gli elementi architettonici pregiati (rivestimenti marmorei,
colonne) sono reimpiegati nelle nuove fabbriche religiose. Si fa
sempre più ampia l’utilizzazione puramente economicistica del
patrimonio artistico antico: i marmi sono trasformati in calce, i bronzi
vengono fusi. Concorre a queste indiscriminate distruzioni anche la
lotta contro il paganesimo e l’idolatria che nei secoli dell’alto Medioevo
la Chiesa si trova a combattere non tanto a Roma, quanto nelle
regioni europee oggetto di intense campagne missionarie (Britannia,
Paesi slavi ecc.). La sopravvivenza di pochi, eccezionali monumenti
scultorei, come le Colonne Antonina e Traiana e la statua bronzea di
Marco Aurelio (ritenuta di Costantino), va quindi attribuita a una
precisa e secolare quanto eccezionale opera di tutela da parte dei
pontefici.

UN PRIMO MOMENTO DI RINASCITA ECONOMICA E URBANA, dopo la


completa riorganizzazione funzionale e amministrativa attuata da
Gregorio Magno (590-604), si verifica nell’VIII secolo con l’istituzione
nella campagna delle «domuscultae» a opera di Zaccaria e Adriano I.
Con quest’ultimo pontefice (772-795) si realizza l’alleanza tra il papato
e l’impero carolingio. Il dualismo papato-impero caratterizza, anche
per Roma, le vicende secolari che si concluderanno solo nel XIV-XV
secolo con l’instaurarsi di una stabile signoria del pontefice e con il
consolidarsi dello Stato ecclesiastico. Ad Adriano I si deve anche
un’estesa e sistematica opera di restauro della Roma antica
(acquedotti) e soprattutto della cinta muraria. L’itinerario di
Einsiedeln, sempre di epoca carolingia, è la prima guida descrittiva di
una realtà urbana che, insieme alle testimonianze cristiane, segnala i
principali monumenti antichi ancora dominanti.
Il più importante intervento urbanistico pontificio altomedievale
coincide con un periodo – la metà del IX secolo – di profonda tensione
politico-militare. Anche a seguito dell’incursione islamica dell’846 e del
saccheggio delle basiliche di S. Pietro e di S. Paolo fuori le Mura,
Leone IV (847-855) decide di dar seguito a un progetto di Leone III
fortificando una nuova parte di città, sulla riva destra del Tevere,
comprendente S. Pietro, Borgo e il caposaldo militare di Castel S.
Angelo.
Per la costruzione delle mura della «Civitas Leonina», alzate a
imitazione di quelle aureliane, è impiegata manodopera proveniente
dalle «domuscultae» della Campagna romana; una solenne
processione propiziatoria consacra la nuova città del pontefice,
soffermandosi, con un cerimoniale ripreso dagli antichi riti di
fondazione, davanti alle tre principali porte di accesso.

LA CITTÀ LEONINA, che più tardi diventerà un rione cittadino,


sancisce lo stabilirsi di un potere ormai non più soltanto religioso, ma
anche politico e militare, del pontefice; le vicende dei secoli successivi
porteranno a un sempre più accentuato radicamento di questo potere
nella nobiltà locale, che diviene arbitra del governo cittadino. Si
moltiplicano le residenze fortificate delle famiglie romane nei luoghi
strategici, mentre si estendono, tra il X e l’XI secolo, il riassetto e
l’assoggettamento del territorio circostante, che è attuato anche
mediante la costruzione di piccoli insediamenti fortificati a opera delle
autorità ecclesiastiche e delle famiglie baronali (incastellamento).
La ripresa dell’iniziativa militare e commerciale dell’Occidente
europeo vede in prima fila il popolo: tra XI e XII secolo si sviluppano le
relazioni con l’area dei Comuni del Centro-Italia, mentre si stabilizza il
confine con l’Italia peninsulare. Il sacco dei Normanni (1084), che
pure ha una notevole conseguenza urbanistica perché contribuisce
all’abbandono delle aree urbane più lontane dal fiume, favorendo
l’ulteriore intensa urbanizzazione dell’ansa del Tevere, resta un
episodio isolato. Il Comune consolare, che viene instaurato alla metà
del XII secolo, svolge un ruolo determinante nella definizione di una
nuova realtà urbana. Fattori principali sono il controllo municipale
della città, in competizione con l’autorità papale e con la crescente
autonomia dei casati nobiliari, la formazione di un territorio o contado
romano e il consolidamento, nello spirito di ripresa della tradizione
antica, di un nuovo corpus giuridico. Difficili rapporti tra Comune e
Chiesa non impediscono una forte rinascita politica, urbanistica e
militare. Numerosissime le torri costruite tra XII e XIII secolo, a difesa
dei complessi residenziali baronali, tendenza questa contrastata con
successo, come in altri Comuni, nella seconda metà del Duecento, in
nome di uno sviluppo più attento alle esigenze delle classi artigiane e
mercantili.

ROMA PALEOCRISTIANA

Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:


sinistra, destra, sinistra e destra.

Grande rilievo acquistano del resto, già all’inizio del Duecento, gli
interventi strategici di Innocenzo III, il primo costruttore dello Stato
ecclesiastico moderno. Le torri dei Conti e delle Milizie, strutture
militari imponenti e complesse a dominio dell’area strategica tra il Foro
e il Quirinale, si rapportano alla città nel suo insieme più che a
esigenze difensive locali, divenendone una fondamentale componente
simbolica.
L’INSEDIAMENTO DEL COMUNE SUL CAMPIDOGLIO attesta, con
l’affaccio verso il Tevere, l’abbandono di quella che diventerà in
seguito l’area archeologica e l’integrazione con i nuovi insediamenti
dell’ansa del fiume. Qui si insediano gli ordini mendicanti, lungo una
linea, tra Campidoglio e Tor di Nona, neutrale rispetto alle due aree di
influenza dominate dalle due principali famiglie romane, gli Orsini e i
Colonna, e da quelle minori che le fiancheggiano. I primi, a lungo
filopapali, occupano i capisaldi lungo il Tevere, a valle di Castel S.
Angelo, mentre i secondi, filoimperiali, controllano l’area settentrionale
e orientale, tra il mausoleo di Augusto e il Laterano. Questa
bipartizione, che si prolunga nel contado, avrà un notevole peso nelle
vicende urbanistiche romane fino all’inizio del XVI secolo, ostacolando
lo sviluppo dell’area centrale al confine tra le due fazioni.

LA CITTÀ TRECENTESCA

Con la promulgazione del primo anno giubilare a opera di


Bonifacio VIII, Roma si propone come meta di grandi pellegrinaggi a
tutto il mondo cristiano. L’esilio avignonese non costituisce per la città
l’evento catastrofico rappresentato dalla storiografia di maniera;
l’assenza del papa e della curia è compensata da una crescente
vivacità culturale: basta ricordare Giovanni Cavallini che ci descrive
Roma «in forma di leone», o l’Anonimo Romano che racconta con la
precisione del testimone oculare gli avvenimenti del tempo. Il fallito
tentativo di Cola di Rienzo di stabilire una signoria anche territoriale
capace di favorire il progresso economico e mercantile tenendo a
freno le prepotenze dei baroni lascia comunque il segno: la scalinata
dell’Aracoeli (1348), principale intervento di questi anni, rafforza il
ribaltamento verso il Vaticano del colle capitolino creando un fondale
prospettico agli itinerari dei pellegrini.
Di pari importanza per la storia urbanistica risulta la prima
redazione scritta degli Statuti comunali (1373), realizzata in un
momento di instabilità politica ma di intensa partecipazione dei rioni
alla vita cittadina.
I tentativi pontifici di ripristinare il dominio ecclesiastico
culminano, alla fine del secolo, nell’opera di Bonifacio IX, che consiste
nel completamento di Castel S. Angelo e nella riorganizzazione delle
corporazioni artigiane.

ROMA NEL QUATTROCENTO: DA MARTINO V A NICCOLÒ V

Le condizioni della città nei primi decenni del XV secolo – mentre a


Firenze si sviluppa prepotentemente la nuova cultura architettonica
del primo Rinascimento – riflettono una ormai secolare situazione di
frammentazione policentrica dei poteri e la mancanza di una
prospettiva urbanistica unitaria. La divisione tra parte orsina e parte
colonnese, l’assenza del papa da Roma, il prevalere di necessità
militari non consentono di intraprendere opere di ampio respiro
almeno fino al pontificato di Martino V. La riorganizzazione della
magistratura dei «magistri viarum» (1425) è l’atto più incisivo del
pontefice che, ricostruendo il palazzo di famiglia dei Ss. Apostoli, offre
un esempio che sarà ampiamente imitato dai titolari delle diverse sedi
cardinalizie nel corso di tutto il secolo.

D’altra parte, è la semplice presenza continuativa del pontefice e


della sua corte a favorire la rinascita della città. Sia pure certamente
esagerate, sono significative le parole del Platina a commento
dell’ingresso in Roma di Martino V nel 1421: « ... ritrovò la città così
rovinata, che non havea più aspetto di città: ma d’un deserto più
tosto. Si vedeano le case andare in rovina, già ruinate le Chiese,
abbandonate le contrade, le strade fangose, e herme, e una penuria
estrema di tutte le cose. In effetto non si vedea aspetto alcuno di
città, né segno alcuno di civiltà. Mosso il buon Pontefice di questa
tanta calamità, si volse tutto adornare, e abbellire la città, e riformarvi
i corrotti costumi: il che in breve fa veder migliorato d’assai».

Con Eugenio IV, l’impronta umanistica di matrice fiorentina


giunge a esercitare una diretta influenza sull’attività architettonica e
urbanistica. Elementi fondamentali per i futuri programmi pontifici
sono la valorizzazione dei monumenti antichi e la loro tutela
(liberazione del Pantheon dalle botteghe e sistemazione della piazza),
lo studio dell’assetto della città antica in funzione del ripristino della
sua passata grandezza (Biondo Flavio, «Roma Instaurata») e la
misurazione della città realizzata da Leon Battista Alberti mediante un
sistema di coordinate radiali avente per centro la torre del
Campidoglio. La nuova estetica urbana di importazione fiorentina fa
ormai parte dei programmi pontifici, tesi a valorizzare la capitale dello
Stato ecclesiastico e a modernizzarne l’immagine. A Niccolò V (1447-
55) si deve il primo sforzo di risistemazione complessiva della città, in
ogni settore.

Nella riedizione degli Statuti del 1452 sono individuati e valorizzati


tre percorsi viari principali che, da ponte S. Angelo, si diramano verso
la città: la via dei Pellegrini, la via Papale, la «via Recta». La prima
conduce al Ghetto, la seconda al Campidoglio, la terza (via dei
Coronari) alla zona colonnese («via Lata»). Di grande rilievo è la
sistemazione di Campo de’ Fiori che, insieme alla piazza di S.
Eustachio, diviene, intorno alla metà del secolo, il luogo centrale delle
attività mercantili. Niccolò V interviene sulle mura con diffusi restauri,
ricostruisce le difese della Città Leonina, incentrate sulla grande torre
cilindrica del Palazzo Vaticano, e circonda Castel S. Angelo con una
cinta quadrata con torrette rotonde angolari; nel Palazzo Vaticano
realizza nuove strutture e uno splendido giardino.

ALLA COMPLETA RIEDIFICAZIONE DELLA CITTÀ LEONINA è legata la


fama del pontefice. Il progetto è certamente dovuto all’architetto
ufficiale, il fiorentino Bernardo Rossellino impegnato nella
progettazione della nuova basilica di S. Pietro. L’idea del papa è di
dare una sistemazione affatto nuova a tutta la città curiale sulla destra
del Tevere, tra Castel S. Angelo e la basilica, demolendo interamente
le antiche costruzioni del Borgo e realizzando una nuova piccola città
composta di tre strade rettilinee porticate convergenti verso il ponte e
aperte sul fondale della sede pontificia.

La strada centrale, la principale, doveva avere come fondale la


porta centrale di S. Pietro, quella di destra il portone d’accesso al
palazzo e quella di sinistra la costruenda residenza dei canonici.
Questa nuova struttura urbana, un grandioso tridente, avrebbe dovuto
prendere il posto della povera edilizia stratificata fin dall’alto Medioevo
sui resti della «portica» di S. Pietro e destinata al totale sventramento;
vi avrebbero trovato posto tutte le attività artigiane legate alla curia
(le più nobili nella via centrale, le meno nobili nelle laterali).
Di rilievo anche il programma di sistemazione della grande piazza
antistante alla nuova basilica. Nel centro avrebbe dovuto essere
collocato l’Obelisco Vaticano, l’unico di Roma a essere sopravvissuto in
loco fin dall’antichità e situato lungo il fianco sinistro (sud) della
basilica: operazione tecnicamente difficoltosa ma di notevole effetto
propagandistico, che sarà realizzata da Sisto V. Nel complesso il
progetto niccolino di quella che può ben definirsi una ‘città ideale’ avrà
duratura influenza: basta ricordare l’idea, realizzata solo nel 1936, di
demolire l’antico Borgo per collegare S. Pietro e Castello con una
strada rettilinea.

GLI ANNI DI SISTO IV

I pontificati successivi a quello di Niccolò V sono caratterizzati


ciascuno da singole iniziative: Pio II, promotore della rifondazione di
Pienza, si interessa da colto umanista della protezione dei monumenti
antichi (bolla «Cum almam nostram urbem», 1462), mentre a Paolo II
dobbiamo la costruzione del primo e più importante polo
monumentale ai piedi del Campidoglio: il palazzo di Venezia. Solo con
Sisto IV i diversi aspetti del problema urbanistico, monumentale,
edilizio sono sistematicamente coordinati in un piano che coinvolge
tutta la città; ogni singolo aspetto rientra allora in un disegno
complessivo, comprendente il settore normativo, quello igienico,
quello della viabilità sia dal punto di vista funzionale sia dal punto di
vista estetico, quello della celebrazione letteraria e umanistica. Il
pontefice si avvale dell’opera del cardinale camerlengo Guglielmo
d’Estouteville e di una schiera di architetti e di artisti capaci di inserirsi
in una programmazione a breve e lunga scadenza.
L’OPERA URBANISTICA PIÙ INCISIVA è ponte Sisto, costruito in vista
del giubileo del 1475 allo scopo di alleggerire ponte S. Angelo del
troppo intenso transito dei pellegrini e per convogliare il traffico
commerciale da Trastevere verso il nuovo centro cittadino tra Campo
de’ Fiori, S. Eustachio e i Coronari. È questo il primo ponte costruito
ex novo dai pontefici e sancisce la rinascita della città capace ormai di
eguagliare lo splendore monumentale dell’antica. Il mercato di Campo
de’ Fiori è trasferito in piazza Navona, che diviene gradualmente il
luogo centrale di Roma. Nel 1480 viene rinnovata la legislazione dei
Maestri delle Strade; dello stesso anno è la bolla urbanistica «Et si de
cunctarum civitatum», che tra l’altro stabilisce facilitazioni per chi
costruisce ex novo o intende ampliare la propria dimora, per il decoro
della città. Questo provvedimento, favorendo lo sviluppo dell’edilizia
nobiliare privata e il rinnovo residenziale, sancisce un diritto
all’esproprio per privata utilità (ma sempre in vista del miglioramento
dell’estetica cittadina) che avrà una notevole incidenza sullo sviluppo
dell’architettura rinascimentale.
I provvedimenti relativi al miglioramento della viabilità,
all’ampliamento e al raddrizzamento delle vie urbane e alla
pavimentazione di strade e piazze in laterizi sono altrettanto
significativi. Da un lato il pontefice fa rettificare in più punti le vie
medievali a impianto curvilineo («inflesse e sinuose», secondo la
terminologia dell’epoca), dall’altro fa sgomberare la sede stradale per
rendere più agevole e sicuro il transito. Si abbattono scale esterne,
sporti e balconi ma soprattutto si demoliscono o più spesso si
tamponano i portici privati, che da allora scompaiono dal paesaggio
urbano. L’estetica della nuova città rinascimentale, enfatizzata perfino
dalle poesie degli umanisti (Lippo Brandolini ha dedicato un sonetto
alle vie create o migliorate dal pontefice), trova anche un esito
propagandistico nelle grandi lapidi celebrative poste dal pontefice nei
luoghi più frequentati, a imitazione degli antichi.

ROMA NEL QUATTROCENTO


Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:
sinistra, destra, sinistra e destra.

UNA STAGIONE DI GRANDI IMPRESE URBANISTICHE – tese tutte a


unificare l’organismo policentrico della città medievale e a creare,
accanto alle grandiose rovine del passato, i segni e i luoghi della
capitale del mondo moderno – è preparata dall’aumento della
popolazione urbana, dal consolidamento dello Stato e dall’affluenza di
tecnici e artisti da ogni regione. La progressiva monumentalizzazione
delle residenze nobiliari (palazzo della Cancelleria), l’unificazione delle
funzioni pubbliche (basta ricordare l’ospedale di S. Spirito in Sassia,
fatto ricostruire anch’esso da Sisto IV) e l’aggiornamento delle opere
difensive nella città e nei centri suburbani strategicamente più rilevanti
(Tìvoli, Ostia, Nettuno, Grottaferrata ecc.) accompagnano negli ultimi
decenni del secolo un’intensa ricostruzione di edifici ecclesiastici. Un
particolare significato riveste la via Alessandrina, creata da Alessandro
VI in vista del giubileo del 1500: un asse viario che realizza per la
prima volta il modello di strada rettilinea con fondale, riprendendo il
disegno di Niccolò V di congiungere Castel S. Angelo con il Palazzo
Vaticano.

DA GIULIO II A LEONE X

Il programma urbanistico di Giulio II (1503-1513) può svilupparsi,


con maggiore chiarezza di intenti, in un quadro di stabilità politica e di
definitivo rafforzamento della signoria pontificia. Prendendo a modello,
più che la diffusa e generalizzata operatività sistina, gli interventi e i
programmi più concentrati e prestigiosi di Niccolò V, il pontefice,
avvalendosi principalmente dell’opera di Bramante, sceglie una serie
limitata di opere monumentali cui affidare la propria fama: emulo, in
questo, degli imperatori antichi. Si tratta essenzialmente della nuova
basilica di S. Pietro, tempio di una grandiosità mai vista che avrebbe
dovuto segnare la nuova età dell’Oro di una Roma nuovamente
imperiale, e di via Giulia, un nuovo grande e regolarissimo rettifilo
urbano destinato a concentrare su di sé le più rilevanti istituzioni e le
principali residenze della città.

Come la sepoltura ordinata a Michelangelo, così anche le due


imprese cui si è accennato sono destinate a restare incompiute: S.
Pietro richiederà ancora un secolo di intensa attività progettuale e
costruttiva, mentre via Giulia resterà priva del suo centro
monumentale, il palazzo dei Tribunali con la relativa piazza. La strada
– insieme alla trasteverina via della Lungara parte di un disegno più
ampio di modernizzazione della grande viabilità urbana cui non sono
estranee motivazioni militari – trovava proprio nel grandioso palazzo
(di cui resta il basamento) la sua giustificazione più profonda.
Congiungendo ponte Sisto con l’accesso all’area vaticana essa taglia
fuori la tortuosa viabilità medievale dell’ansa del Tevere e resterà per
secoli luogo privilegiato ma appartato per la residenza della nobiltà;
nelle intenzioni del pontefice a queste funzioni doveva aggiungersi
quella, politicamente assai più rappresentativa, del palazzo-simbolo
del governo pontificio, quasi un nuovo Campidoglio contrapposto
all’antico.

Le crescenti richieste di abitazioni in una città che supera ormai i


centomila abitanti e le difficoltà connesse con gli interventi in aree già
urbanizzate (costo degli espropri, resistenza dei proprietari ecc.)
suggeriscono al successore Leone X un mutamento nell’indirizzo
urbanistico. Aprendo la via Leonina (l’attuale via di Ripetta) sotto la
supervisione di due «Maestri di Strade» eccezionali come Antonio da
Sangallo il Giovane e Raffaello, Leone X dà concreto avvio a un
progetto unitario destinato a concludersi sotto il pontificato di
Clemente VII. Non casualmente i due pontefici di casa Medici
trasferiscono a Roma un modello urbanistico già sperimentato nella
Firenze del tardo Medioevo. Il Tridente romano (la centrale via del
Corso e le laterali e minori via di Ripetta e via del Babuino) resta
comunque il primo più grandioso e imitato esempio rinascimentale e
consente la rapida urbanizzazione dell’area pressoché disabitata
compresa tra porta del Popolo, Ripetta e Trinità dei Monti.

LA ROMA DI PAOLO III

Il disegno di una nuova Roma riprende vigore con il pontificato di


Paolo III (1534-49), il cardinale Alessandro Farnese già impegnato da
molti anni nella costruzione della propria principesca dimora nel rione
Arenula e nella modernizzazione dello spazio urbano circostante (la
piazza e la via de’ Baullari in asse con il portone del palazzo). Un
primo momento decisivo è costituito dall’ingresso trionfale di Carlo V:
occasione questa per operare un intervento urbanistico di vasto
respiro al fine di allestire l’itinerario per il corteo imperiale, da porta S.
Sebastiano a S. Pietro. Di grande importanza, anche per la sua
persistenza secolare, la sistemazione della zona archeologica fra le
terme di Caracalla e il Campidoglio: si realizza un sistema di strade
rettilinee, aventi come fondali gli archi trionfali antichi (di Costantino,
di Tito, di Settimio Severo) recuperati in tal modo ai fasti politici e alla
scenografia celebrativa della città moderna. Nella stessa ottica il
pontefice costruisce la torre sul Campidoglio, allargando e
raddrizzando il tratto terminale della via del Corso, e trasforma il
Palatino nella delizia privata degli orti Farnesiani.
La serie di interventi urbanistici sul tessuto della città antica si
presenta come un’uniforme applicazione del principio della strada
rettilinea, quasi sempre nobilitata da un fondale monumentale: basta
qui ricordare la via dei Condotti, orientata sulla facciata della chiesa
della Trinità dei Monti, e le tre brevi strade che compongono il
cosiddetto «piccolo Tridente» confluenti su ponte S. Angelo.
La tensione verso una modernizzazione delle funzioni urbane e un
superamento del dualismo dei poteri caratterizzanti gli ultimi secoli del
Medioevo si condensa nella trasformazione michelangiolesca della
piazza del Campidoglio. Nel segno della continuità con l’impero antico
(collocazione nel centro della statua di Marco Aurelio, conservata fino
ad allora al Laterano), la piazza esprime nella sua configurazione
spaziale drammaticamente compressa la definitiva
monumentalizzazione del luogo simbolicamente più importante.

L’insieme di quelle operazioni tecnicamente definibili come


sventramenti (apertura di nuovi percorsi in zone già costruite, con
riallineamento dell’edilizia sui nuovi fili stradali) è affidato a due
«Maestri di Strade»: Rutilio Manetti e Antonio da Sangallo il Giovane.
La profonda unità della Roma di Paolo III, una città in cui Antico e
Moderno tornano a convivere, è documentata dalla prima
ricostruzione planimetrica, con intenti filologici, di Roma antica
(Bartolomeo Marliano, 1544) e soprattutto dalla prima
rappresentazione planimetrica, opera di Leonardo Bufalini, pubblicata
dopo la morte del pontefice nel 1551. Infine occorre ricordare i disegni
panoramici di Maarten Van Heemskerck che, insieme alle sempre più
numerose opere di viaggiatori e artisti italiani e stranieri, ci
tramandano l’immagine pittoresca e insieme analiticamente precisa di
una città complessa e stratificata; e la prima rappresentazione
cartografica della Campagna romana (Eufrosino della Volpaia, 1547).
DA PIO IV A GREGORIO XIII

Nella seconda metà del Cinquecento, nel clima della


Controriforma voluta da Paolo III, Roma tende per la prima volta a
espandersi (borgo Pio); ma nel frattempo si è riproposto, dopo secoli,
il problema dell’adeguamento delle difese alle nuove tecniche di
assedio. Se Paolo III aveva semplicemente rafforzato alcuni tratti del
circuito (bastione del Sangallo tra porta S. Paolo e porta S.
Sebastiano), adesso si realizzano le grandiose cinte bastionate di
Castel S. Angelo, a pianta pentagonale, e dell’intera Città Leonina. La
capitale cattolica si adegua anche in questo a quanto, sotto l’egida
spagnola, si va compiendo nelle grandi città italiane mediterranee a
difesa dalla minaccia turca (mura e fortezze di Milano, Genova,
Palermo ecc.), anche se a essere modernamente protetta sarà
soltanto la parte di città abitata dal pontefice e dalla sua corte. Se
Pirro Ligorio si dedica alla prima ricostruzione ipotetica delle
architetture di Roma antica (1553-61) inaugurando un fortunato filone
antiquario, una vera e propria fioritura di piante e vedute rappresenta
con pari attenzione la città moderna (Pinard, Dosio, Cartaro).
Dopo Lèpanto (1571) anche a Roma e nello Stato pontificio si
attenuano le necessità militari: un forte sviluppo urbanistico, edilizio,
monumentale si registra sotto il pontificato di Gregorio XIII (1572-85),
cui si deve un importante regolamento edilizio (bolla «Que publicae
utilia», 1576) che aggiorna e amplia i provvedimenti di Sisto IV
favorendo le grandi fabbriche nobiliari. Tra le opere di nuova
urbanizzazione sono da ricordare principalmente il quartiere
residenziale realizzato sull’area dei Pantani (tra il foro di Traiano, la
Suburra e il Foro) a vie rettilinee e i fondamentali rettifili di via
Gregoriana (per facilitare la salita a Trinità dei Monti) e di via
Merulana (da S. Giovanni in Laterano a S. Maria Maggiore): una via,
quest’ultima, che sembra già ispirata dal cardinale Felice Peretti, il
futuro papa Sisto V.

Nell’età della Controriforma la capitale del Cattolicesimo rinnova


la propria struttura monumentale: sono innanzi tutto le grandi
fabbriche degli ordini religiosi a caratterizzare il nuovo assetto urbano
almeno dell’area centrale. Il centro del nuovo sistema può essere
individuato nell’edificio dell’Università (la Sapienza), adiacente al polo
doganale di S. Eustachio; quattro grandi conventi si dispongono ai
vertici di una struttura a croce: a nord S. Agostino (Agostiniani), a sud
S. Andrea della Valle (Teatini), a ovest la Chiesa Nuova (Filippini), a
est S. Ignazio (Gesuiti), insediato in contiguità con i Domenicani di S.
Maria sopra Minerva. Ma sono i Gesuiti, presenti nei luoghi più
prestigiosi (chiesa del Gesù ai piedi del Campidoglio) a dominare con
numerose fabbriche secondarie il paesaggio urbano della Roma tardo-
cinquecentesca, vera e propria città ignaziana.

ROMA NEL CINQUECENTO

Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:


sinistra, destra, sinistra e destra.
Lo sviluppo dell’edilizia privata e la creazione delle grandi ville
nelle aree destinate a uso agricolo ancora presenti all’interno delle
mura consolidano l’immagine della città rinascimentale e manieristica.
La villa di Giulio III sulla Via Flaminia, villa Aldobrandini, villa Peretti
Montalto sull’Esquilino, villa Mattei al Celio, villa Medici al Pincio, non
sono che alcune tra le più prestigiose realizzazioni cinquecentesche
paragonabili ai contemporanei giardini di Tìvoli (villa d’Este), dei
Castelli (villa di Frascati), dell’alto Lazio (villa Farnese di Caprarola,
villa Lante di Bagnaia).

L’OPERA DI SISTO V

L’urbanistica dell’età moderna deve molto della sua maturazione


come scienza applicata alla prosperità e alla bellezza della città a
Felice Peretti, che in poco più di cinque anni (1585-90) ha saputo
rinnovare profondamente la capitale del mondo cattolico. Ancor prima
che all’estetica urbana – che resta pur sempre il fine ultimo della sua
instancabile operosità – il vecchio pontefice si applica a risanare e
modernizzare la struttura economica e territoriale dello Stato
pontificio, facendo tesoro delle esperienze internazionali in atto e delle
riflessioni teoriche di Giovanni Botero, e avvalendosi di una qualificata
schiera di scienziati, tecnici, artisti.

Ogni aspetto della politica sistina può essere visto come la tessera
di un mosaico complessivamente unitario e teso a un unico fine: il
rafforzamento e il risanamento dello Stato ecclesiastico e delle sue
istituzioni (tra le quali primeggia la capitale) non attraverso la forza
delle armi ma attraverso la diplomazia, la dura repressione degli
interessi privati, lo sviluppo del commercio e delle arti, in vista,
beninteso, del trionfo della fede cristiana. La modernità dell’azione di
Sisto V consiste in una integrazione tra componenti diverse e in una
superiore capacità organizzativa, sempre tesa a concludere (più che a
iniziare) memorabili imprese: è rimasta proverbiale la febbrile
conclusione della cupola di S. Pietro grazie a un cantiere aperto giorno
e notte.

LE INIZIATIVE DI SISTO V. La politica finanziaria, il rigido


centralismo, il potenziamento dei porti e delle strade commerciali, lo
sradicamento del brigantaggio, la bonifica delle Paludi Pontine sono
solo alcuni degli interventi che creano le condizioni favorevoli per uno
sviluppo solido e duraturo di Roma, fondato non sul fasto e
sull’ostentazione ma sulla funzionalità e su una nuova immagine
urbana. Il papa promuove il commercio e programma
l’industrializzazione della città (progetto di deviazione dell’Aniene fino
a farlo confluire nella «Cloaca Maxima», progetto di opificio della lana
nel Colosseo, sistemazione della piazza commerciale di Termini ecc.),
proteggendo ogni tipo di produzione artigiana e commerciale.
Avvalendosi dell’opera di Domenico Fontana (urbanista, architetto e
sapiente organizzatore dei cantieri urbani), il pontefice riesce, con una
meticolosa e personale cura per gli aspetti tecnici ed esecutivi, a dare
unità di progetto culturale a un’enorme quantità di interventi che
investono quasi ogni settore della vita e quasi ogni spazio della città.
Intuendo il declino irreversibile delle inerti fortificazioni, sempre più
tagliate fuori dalla guerra moderna, egli investe esclusivamente, a
Roma come nelle altre città dello Stato, nelle fabbriche religiose e
civili, dimostrando così la concreta possibilità di una svolta ideologica
destinata a verificarsi solo gradualmente a partire dal XVII secolo.

L’azione del pontefice si esercita, come si è detto, sull’intera città.


Nell’area centrale, dove come abbiamo visto il tessuto appare ormai
saturato e dove le grandi fabbriche conventuali non hanno fatto che
aggravare il problema della residenza, si promuove un’estesa, capillare
operazione di abbellimento e di adeguamento tecnico, consistente
nella pavimentazione della quasi totalità delle strade. Questo
grandioso intervento si lega strettamente con l’organizzazione del
regolare smaltimento dei rifiuti: le ragioni dell’igiene e quelle
dell’estetica, come negli statuti medievali, appaiono entrambe
irrinunciabili.
La ricerca di nuovi spazi da urbanizzare ispira invece, insieme alla
razionalizzazione dei percorsi dei pellegrini, il piano di espansione
urbanistica sull’Esquilino, attuato seguendo uno schema complesso
ma razionalmente aderente alle condizioni ambientali e alle
preesistenze monumentali. Proseguendo l’opera di Pio IV (strada Pia,
oggi via XX Settembre) e Gregorio XIII (via Merulana), Sisto V fa
tracciare una rete di rettifili nell’area allora disabitata all’interno delle
mura Aureliane, investendo accuratamente la nuova città sulla vecchia
e scegliendo come luogo centrale ideale la piazza dietro l’abside di S.
Maria Maggiore, sulla quale prospetta l’ingresso principale della villa
che il pontefice aveva fatto sistemare e abbellire già negli anni del suo
cardinalato.
Il riequilibrio complessivo della città entro le antiche mura sembra
presiedere alla decisione di rimodellare il polo monumentale di S.
Giovanni (costruzione del Palazzo Lateranense e risistemazione della
piazza), che torna a competere con S. Pietro.

Ma sono gli aspetti scenografici – di una scenografia cristiana


severa e acuta, che proietta sugli spazi pubblici urbani le prospettive
racchiuse nella scena pagana del teatro palladiano di Vicenza,
inaugurato nel 1585 – a prevalere nella progettazione dei lunghissimi
rettifili, nell’angusto ma denso incrocio delle Quattro Fontane, nella
ricollocazione degli obelischi a fondale delle strade e a perno centrale
delle piazze, nell’integrazione tra opere urbanistiche, architettoniche e
artistiche.
Nucleo e simbolo dell’urbanistica sistina è proprio il nuovo uso
degli obelischi, testimonianza del paganesimo da esorcizzare e
riconsacrare di fronte al mondo, ma anche preziosa risorsa per una
città che intende riutilizzare anche il patrimonio classico in funzione di
una nuova prosperità e di un nuovo prestigio. Così il più efficace
veicolo propagandistico dell’opera di Sisto V resta lo spostamento
dell’Obelisco Neroniano al centro della nuova piazza S. Pietro:
un’impresa memorabile che segna il trionfo non della Roma cristiana
sulla Roma pagana, ma della tecnica e della cultura moderna
sull’inerzia e sulla trascuratezza.

LA PIANTA PROSPETTICA DI ANTONIO TEMPESTA. La Roma di Sisto V è


illustrata da questa grandiosa carta (pubblicata nel 1593), la più
minuziosa tra quelle fino ad allora elaborate e la più attendibile per la
concreta descrizione dell’edilizia comune oltre che degli edifici
monumentali Anche dal punto di vista della rappresentazione
oggettiva della città materiale si avvia una nuova epoca, durante la
quale Roma è sempre meno un luogo convenzionale riservato alle
speculazioni degli specialisti e sempre più complesso prodotto della
storia da sviscerare in ogni aspetto: così lo spettacolo idealistico ma
accattivante della città nel suo insieme osservata a volo d’uccello può
moltiplicarsi senza perdere di senso e di unità nella moltitudine di
spettacoli parziali offerti dalle sue strade e dalle sue piazze.

ROMA NELLA PRIMA METÀ DEL SEICENTO

Le conseguenze durature del programma urbanistico sistino


possono essere suddivise in due ordini di realizzazioni urbane: il
diretto completamento di iniziative già intraprese in un’ottica di
complessiva continuità (ed è questa sostanzialmente la posizione di
Paolo V, 1605-1621) e la ripresa di spunti, idee, soluzioni isolate,
praticate dai successori.
La volontà di papa Borghese di completare la Roma di Sisto V è
già evidente nella costruzione della cappella Paolina, che fa da
pendant simmetrico, innestandosi sul transetto di S. Maria Maggiore,
alla Cappella Sistina; in modo analogo il nuovo acquedotto Paolino che
conduce l’acqua a Trastevere e in Arenula bilancia sul piano
urbanistico l’acquedotto Felice. Ma Trastevere riceve anche altri
importanti interventi: il primo è la via di S. Francesco a Ripa,
indirizzata diagonalmente tra la chiesa omonima e quella di S. Callisto
(piazza di S. Maria in Trastevere), strada con fondale che unisce
importanti edifici ecclesiastici, di chiaro carattere sistino. Il secondo è
il piano urbanistico per l’area compresa tra la Lungara e le pendici del
Gianicolo.
Anche l’idea di rappresentare minuziosamente la città moderna, in
rapida trasformazione per lo sviluppo dell’architettura nobiliare ed
ecclesiastica, trova continuità in Paolo V con le nuove vedute
prospettiche di Matteo Greuter (1618) e Girolamo Maggi (1625).

LA ROMA DI ALESSANDRO VII

Con gli interventi architettonici e urbanistici attuati sotto il


pontificato di papa Chigi (1655-67), Roma barocca riceve il suo sigillo
materiale e formale, il suo completamento funzionale e
rappresentativo e la sua definitiva impronta artistica. La teatralità
impronta di sé ogni aspetto: essa non si riferisce indiscriminatamente
a «ogni progetto architettonico di una certa grandiosità», ma piuttosto
all’oggetto della contemplazione scenografica codificata da un
determinato punto di osservazione e da una determinata
raffigurazione iconografica. Il ‘teatro’ di Alessandro VII è quindi
essenzialmente uno spazio pubblico (una piazza, una facciata con un
adeguato spazio antistante, una strada) così come viene fissato, da un
sapiente intervento di tipo architettonico più che urbanistico, entro la
chiusa cornice di un perfetto equilibrio tra realtà e illusione. La città
reale, con il suo dinamismo e le sue irriducibili discontinuità, è esclusa
da un programma che esalta per definizione solo teatri chiusi, e che
quindi ribalta integralmente la visione sistina, costringendo la qualità
urbana entro la misura dell’architettura e dell’arte.
IL PIÙ CELEBRE LUOGO URBANO così trasformato è senza dubbio la
piazza di S. Pietro, sistemata da Gian Lorenzo Bernini (che ha tenuto
conto anche delle ricerche dello spagnolo Giovanni Caramuel
sull’architettura obliqua) dopo un lungo dibattito progettuale in
funzione della veduta della facciata di Carlo Maderno e dell’obelisco
collocato da Domenico Fontana.
L’invenzione formale del colonnato ellittico, raccordato alla
basilica con una piazza-sagrato trapezoidale, riprendendo lo schema
degli antichi porti e un linguaggio sostanzialmente classicistico diviene
il manifesto della Roma moderna, ecumenicamente aperta ad
abbracciare tutto il mondo cattolico. La completa chiusura dell’invaso
(che doveva essere ancora più radicale se fosse stato realizzato il
cosiddetto «terzo braccio», interruzione della prospettiva assiale) isola
la piazza dal contesto paesaggistico, creando un complesso
sorprendentemente monumentale nella sua rigida simmetria.
LE ALTRE DUE PIÙ PREGEVOLI REALIZZAZIONI URBANISTICHE sono
sempre orientate alla visione scenografica bloccata sulla simmetria. La
piazza di S. Maria della Pace, di Pietro da Cortona, maschera
sapientemente le irregolarità sotto complesse membrature
architettoniche e appare quasi come un piccolo teatro ricavato a forza
nell’irregolare tessuto preesistente. La piazza di S. Maria del Popolo
rappresenta invece una sistemazione di più vasto impegno urbanistico.
Il progetto di Carlo Rainaldi riesce a conferire unità a un ambiente che
aveva visto succedersi gli interventi di Giulio II, Clemente VII, Sisto
IV, Gregorio XIII e Sisto V collocando due chiese con cupole
simmetricamente disposte fra le tre strade del Tridente, in modo da
esaltare la più importante tra le vedute teatrali di Roma: quella che si
ha appena entrati dall’accesso più nobile, la porta del Popolo.
L’obelisco, collocato dal Fontana non esattamente nel punto di
confluenza fra le tre strade, già occupato dalla fontana di Gregorio
XIII in seguito rimossa, diviene l’assoluto protagonista di uno spazio
destinato a qualificarsi, con il completamento progettato durante il
quinquennio francese, come uno dei massimi raggiungimenti dell’arte
di costruire le città.

INNUMEREVOLI SONO GLI INTERVENTI su altri luoghi e i progetti


rimasti inattuati; mentre ciascuna veduta notevole di Roma moderna
viene descritta con minuziosità veristica nei disegni di Lewin Cruyl, la
spettacolarità ufficiale delle principali scenografie viene fissata nelle
numerose incisioni di G.B. Falda. Sempre il Falda rappresenta la Roma
moderna di Alessandro VII nelle piante del 1667 (piccola) e del 1676
(grande).
Una valutazione complessiva dell’opera di Alessandro VII deve
tenere conto anche di altre componenti, come le piantagioni di gelsi e
olmi lungo alcune strade suburbane e il viale a quattro filari attraverso
il Foro, che riprende la strada realizzata per l’ingresso di Carlo V tra gli
archi di Tito e di Settimio Severo. Altri provvedimenti, relativi
all’igiene, ai mercati, alle porte urbane compongono, insieme al
cosiddetto Catasto Alessandrino, esteso a tutta la Campagna romana,
un quadro di interessi notevolmente coerente e, per quanto si riferisce
alla cultura della città, pressoché completo. Anche la Roma antica
trova il suo nuovo cultore nel Nardini, mentre i problemi
dell’arginatura del Tevere sono discussi con competenza tecnica
nell’opera di Filippo Maria Bonini «Il Tevere incatenato».

LA CITTÀ ROCOCÒ E NEOCLASSICA

Tra la seconda metà del Seicento e la prima metà del secolo


successivo la città vive un suo apogeo di definizione scenografica e
formale, sia nel campo delle nuove realizzazioni monumentali sia in
quello dell’edilizia civile e delle abitazioni comuni. Quando, nel 1748,
viene stampata la grande pianta di G.B. Nolli (iniziata sotto Clemente
XII e terminata sotto Benedetto XIV), l’immagine urbana appare
complessivamente completata e definita in ogni dettaglio. A questo
perfezionamento concorrono in modo determinante la scalinata di
piazza di Spagna, studiata già nel Seicento ma terminata nel 1726; il
porto di Ripetta di Alessandro Specchi, la piazza di S. Ignazio di Filippo
Raguzzini, la fontana di Trevi di Nicola Salvi. Si tratta sempre di
creazioni architettoniche e urbanistiche ricche di originalità e di
movimento, attuate, sulla scia dell’esempio di Alessandro VII, da
pontefici che concentrano sulle piazze e sugli spazi aperti la
potenzialità scenografica dell’architettura del barocco maturo.
A questo moltiplicarsi di prototipi urbani la reazione neoclassica,
che trova una solida base nel sodalizio dell’Accademia di S. Luca,
tenderà a opporre modelli di intervento e di definizione architettonica
nuovamente fondati sul rigore e sulla regolarità, in continuità ideale
con gli esempi antichi. La figura dominante del Settecento romano
resta comunque G.B. Piranesi, instancabile indagatore e propagatore
dell’ideale grandezza di Roma antica, vista attraverso una puntigliosa
descrizione analitica delle rovine ma anche attraverso una fantasiosa
ricostruzione ‘progettuale’ della «Forma Urbis» («Il Campo Marzio»).
L’OCCUPAZIONE FRANCESE (1809-1814)

Nell’estate 1809, al momento della presa di possesso dello Stato


pontificio da parte di Napoleone, la struttura burocratico-
amministrativa viene totalmente rinnovata: il territorio umbro-laziale è
suddiviso nei dipartimenti del Tevere e del Trasimeno (con sedi a
Roma e a Spoleto), a loro volta articolati in circondari, contorni e
comuni.
Anche Roma viene investita da una completa riprogettazione delle
sue strutture di governo e da un’attenzione conoscitiva e statistica che
avrà una decisiva influenza sull’avvio di una procedura più moderna e
sistematica in ogni settore dell’attività pubblica.
La grande cura per gli aspetti funzionali ed economici e il
sostegno all’industrializzazione anche nel campo dell’agricoltura
caratterizzano la politica francese, che si avvale della confisca dei
patrimoni ecclesiastici: molti edifici conventuali sono trasformati in
fabbriche e le case di proprietà di chiese e confraternite divengono
patrimonio dello Stato.
IL PREFETTO CAMILLO DE TOURNON, posto a capo del dipartimento
di Roma dalla Consulta straordinaria degli Stati romani, è una
personalità di grandissima capacità politica e realizzativa, destinata a
lasciare un’impronta duratura in cinque anni di intenso lavoro
progettuale di cui pubblica, molti anni più tardi, un esauriente e
approfondito rendiconto («Études statistiques sur Rome et la partie
occidentale des Etats Romains», Paris 1831).
Recuperando ogni possibile antecedente storico (in primo luogo
l’opera di Sisto V) i Francesi pongono in primo piano l’efficienza
amministrativa, i trasporti, il risanamento sociale e igienico,
l’occupazione; viene sviluppata l’industria, rinnovata l’agricoltura
(coltivazione del cotone), proseguiti i lavori pontifici alla bonifica delle
Paludi Pontine. Nella città vengono ritenute prioritarie le attività nel
settore edilizio e manifatturiero, più adatte a risolvere il problema
della disoccupazione e della povertà; anche gli scavi archeologici
intrapresi in gran numero hanno come fine non ultimo l’impiego dei
senza lavoro nei grandi sterri. I progetti e gli interventi urbanistici,
numerosi e significativi, vanno visti pertanto nel più vasto ambito
dell’azione totalizzante di uno Stato moderno: la riorganizzazione di
mercati e mattatoi, l’istituzione dei cimiteri, la sistemazione degli argini
del Tevere non sono meno importanti, per la città, dei monumentali
progetti.

UNA SERIE DI GRANDIOSE SISTEMAZIONI avrebbe dovuto adeguare


Roma al nuovo ruolo di seconda capitale imperiale: la villa Napoleone
tra ponte Milvio e porta del Popolo progettata da Giuseppe Valadier, il
giardino del Grande Cesare sul Pincio, il grande parco archeologico
comprendente il Foro e il Palatino rappresentano momenti di una
progettazione per grandi spazi del verde cittadino di chiara ispirazione
francese, attenta alle esigenze della rappresentatività e della bellezza
ma anche a quelle dell’igiene. L’attività architettonica e archeologica è
coordinata da una «Commissione per i monumenti pubblici e le
fabbriche civili», presieduta dal barone de Tournon e di cui fanno
parte artisti e studiosi come Antonio Canova, Carlo Fea, Ennio Quirino
Visconti, Vincenzo Camuccini, Raffaele Stern, mentre i principali
progetti urbanistici e monumentali fanno capo a Giuseppe Camporesi
e a Valadier. Con il 1811 ogni intervento viene coordinato dalla
«Commission des Embellissements»: si concretizzano così i progetti
per la creazione della passeggiata al Campidoglio e della piazza della
Colonna Traiana, per la risistemazione della piazza del Pantheon e
della piazza di Fontana di Trevi, per le arginature del Tevere. L’intero
colle capitolino è oggetto di una visionaria progettazione del Palazzo
Imperiale; si riprende l’antica idea di demolire la spina di Borgo e si
interviene con demolizioni e rifacimenti in numerosi luoghi ed edifici
monumentali (palazzo della Cancelleria, Quirinale).

MA L’INIZIATIVA PIÙ INCISIVA è quella destinata a mutare la


fisionomia di piazza del Popolo. Completando il sistema simmetrico
lungo l’asse longitudinale della Flaminia da porta del Popolo a via del
Corso con la sistemazione a esedra dei fornici laterali, il progetto
definitivo, dovuto a Louis Martin Berthault e al Valadier, sfrutta la
preziosa centralità dell’obelisco innalzato da Sisto V, collega
scenograficamente la piazza al giardino del Grande Cesare (il Pincio)
mediante una via carrozzabile a «tourniquets» e introduce un forte
elemento di dinamismo prospettico.
La piazza del Popolo, insieme alla minore ma altrettanto
innovativa piazza della Colonna Traiana, costituisce la realizzazione
urbanistica qualitativamente più notevole di un periodo brevissimo ma
di decisiva importanza per le vicende di Roma. I cinque anni
dell’amministrazione francese sono anche per questo paragonabili agli
anni del pontificato di Sisto V: una risposta della nascente urbanistica
moderna alla tradizione urbanistica pontificia.

DALLA RESTAURAZIONE ALL’UNIONE ALL’ITALIA

Con il ritorno di Pio VII (1815), Roma si richiude su se stessa, in


una prospettiva di recupero del proprio ruolo tradizionale e di
perfezionamento della propria immagine di capitale dell’arte e
dell’archeologia. Il governo pontificio, attento a cancellare ogni traccia
dell’occupazione francese e a contrastare le idee rivoluzionarie e
patriottiche, tende però progressivamente a far proprie alcune
tendenze dell’epoca, promuovendo anche un moderato rinnovamento
industriale ed edilizio.

Fondamentale la realizzazione della principale impresa burocratica


di quegli anni: il Catasto Piano-Gregoriano (1819-22), esteso a tutto il
territorio dello Stato, fissa per la prima volta su base cartografica e in
scala uniforme il disegno della proprietà e la struttura dei centri
abitati, fornendo anche per Roma un insostituibile strumento di
conoscenza della consistenza edilizia. I riflessi di una progressiva
industrializzazione si fanno sentire sui miglioramenti della viabilità
(selciatura degli spazi pubblici urbani), dei ponti, dei porti sul Tevere
(nuovo porto Leonino di Leone XII) e sulla costruzione dell’officina del
Gas, della fabbrica dei Tabacchi e della ferrovia. Nel campo edilizio
sono da ricordare i non molti tentativi pontifici di risolvere il problema
delle abitazioni popolari, sia promuovendo nuove costruzioni
(indicativo il primo progetto per l’espansione nella zona di Prati, di
Domenico Cacchiatelli), sia facilitando la trasformazione e la
sopraelevazione delle unità residenziali più fatiscenti e malsane, in
gran parte di impianto medievale e rinascimentale.

DI UN PROGETTO DI MODERNIZZAZIONE URBANISTICA non si può


parlare prima del 1864, quando Francesco Saverio Malatesta, sulla
base delle esperienze che vanno maturando nelle altre capitali
europee, propone in una scritta a carattere tecnico-letterario un vero
e proprio piano regolatore per la città. Riprendendo alcune iniziative e
proposte francesi, Malatesta illustra un sistema di sventramenti
capace di risolvere il problema della viabilità nel centro, la creazione di
un vero e proprio parco archeologico e un nuovo quartiere di
espansione sull’Esquilino, organizzato intorno a una grande piazza
stellare di ispirazione parigina. Questo studio, il più completo e
approfondito dopo i volumi pubblicati da Camillo de Tournon a
consuntivo del quinquennio francese, avrà una notevole influenza sulle
ricerche impostate, all’indomani di porta Pia, in vista del piano
regolatore di Roma capitale d’Italia.
NEL SETTORE DELL’ARCHEOLOGIA Roma vanta un indiscutibile
primato; gli scavi iniziati già nel Settecento e proseguiti dai Francesi
avanzano con alacrità, sotto la spinta crescente dell’interesse
internazionale per la riscoperta dei luoghi di Roma antica. La
sistemazione della piazza della Colonna Traiana (conclusione di un
progetto francese, come del resto la stessa piazza del Popolo) lascia in
evidenza l’area di uno dei primi scavi urbani. Ma è con l’attività di Luigi
Canina che l’archeologia romana si pone al centro della cultura
cittadina, proponendo da un lato le prime ricostruzioni ideali dell’antica
Roma (il Foro Romano dopo gli scavi del 1839-48), dall’altro la prima
sovrapposizione scientifica della forma di Roma moderna ai resti di
Roma antica (piante pubblicate nel 1842 e 1850). La ricerca iniziata da
Biondo Flavio e proseguita da Pirro Ligorio, dal Nardini e da G.B.
Piranesi trova la sua logica conclusione in una rappresentazione
grafica più sistematica e analitica, disegnata su basi catastali e
suscettibile di continui aggiornamenti.
ROMA CAPITALE ITALIANA

Con il nuovo ruolo di capitale del Regno d’Italia, Roma si trova ad


affrontare, all’indomani del 1870, un rapido processo di adeguamento
delle strutture urbanistiche e, in una prospettiva di più lungo periodo,
la crescente domanda di abitazioni dovuta a un consistente
incremento demografico. Proposte e progetti degli anni
immediatamente precedenti (come il piano delineato nel 1864 da
Francesco Saverio Malatesta o il tracciamento di via Nazionale dovuto
al cardinale Francesco Saverio De Merode) vengono, al pari delle più
antiche eredità pontificie (Sisto V) e napoleoniche, reinseriti nel vasto
programma previsto dal primo piano regolatore (1873-83).

I PROBLEMI PRIORITARI sono quelli della grande viabilità interna


alla città (piano di sventramenti, tra i quali quello fondamentale,
realizzato con notevole incisività, di corso Vittorio Emanuele II), della
localizzazione degli edifici rappresentativi e amministrativi a carattere
nazionale (monumento a Vittorio Emanuele II, palazzo di Giustizia,
ministeri localizzati prevalentemente su via XX Settembre ecc.) e delle
moderne residenze per i nuovi ceti imprenditoriali e burocratici. Gli
interventi sull’antico tessuto urbano sono attuati in larga misura sulla
base di puri parametri igienici e funzionali e sostanzialmente distruttivi
(cosiddetto ‘risanamento’ del Ghetto); uniche testimonianze della
‘Roma spenta’ nel giro di pochi anni sono le fotografie delle
demolizioni in attuazione del piano regolatore, le foto del conte
Giuseppe Primoli e gli acquerelli di Ettore Roesler Franz.

IL RECUPERO DELLA ROMA ANTICA E L’ESPANSIONE FUORI LE MURA. Se


la Roma medievale e della prima età moderna scompare in parte sotto
il piccone di grandi e piccoli sventramenti, la città antica è oggetto di
sistematiche campagne di scavo: si forma così una vasta area verde
consacrata all’archeologia, tra piazza Venezia e le terme di Caracalla
(Passeggiata Archeologica), mentre Rodolfo Lanciani conclude, con la
sua «Forma Urbis», le secolari ricerche nel campo della topografia
antica.
Tra i nuovi quartieri, in gran parte disegnati senza particolare
cura per le qualità spaziali e prospettiche, si colloca al primo posto per
estensione la vasta scacchiera dei Prati di Castello, compresa tra il
palazzo di Giustizia e il Vaticano e delimitata in un primo tempo dalla
serie delle caserme tra viale Giulio Cesare e viale delle Milizie. Più
significativi gli edifici di servizi, come il Mattatoio di Testaccio, il
policlinico Umberto I, l’ospedale militare del Celio, il manicomio di S.
Maria della Pietà; ma nel complesso il tentativo di rinnovamento
dell’antico volto di Roma si arresta di fronte a una scarsa qualità
urbanistica e a una sostanziale insensibilità per i valori della città
storica. Neppure il piano Sanjust (1909) può opporsi alle tendenze
speculative, anzi si accentua sempre più la prassi, già consolidata da
decenni, dell’intervento settoriale, sia per quanto riguarda il centro
(galleria Colonna, Tritone, via Veneto, lottizzazione di antiche aree
verdi come villa Massimo e villa Ludovisi), sia per quanto si riferisce
alle nuove aree da destinare alla residenza. L’unica impresa
coerentemente portata a termine è quella della costruzione dei
lungotevere (e di numerosi nuovi ponti); un progetto certamente
pesante nei confronti delle preesistenze ma rigoroso e gradevole nella
sua linearità ingegneresca.
L’Esposizione del 1911 costituisce invece il principale avvenimento
culturale della Roma del Novecento; le sue conseguenze urbanistiche
sono importanti sia per l’urbanizzazione del quartiere della Vittoria, sia
per la sistemazione di Valle Giulia, con le accademie straniere e la
Galleria nazionale d’Arte moderna.
Gli anni della guerra sono decisivi per la maturazione di una prima
coscienza dei valori storico-ambientali della città; Gustavo Giovannoni
scrive «Vecchie città ed edilizia Nuova» e progetta la Città Giardino
Aniene (1920). Mentre il monumento per eccellenza, il Vittoriano,
conclude una stagione ricca di meno pretenziosi e spesso
pregevolissimi monumenti scultorei disseminati nelle piazze e nei
giardini a celebrare gli eroi dell’unità d’Italia (occorre ricordare almeno
quelli a Giordano Bruno e Mazzini di Ettore Ferrari, e a Garibaldi di
Emilio Gallori), si avverte la crisi dei valori urbani e della tradizione
classicistica rappresentata dagli orpelli decorativi del
neocinquecentismo e del neobarocco.
CON L’AVVENTO DEL FASCISMO tornano in primo piano, con modalità
efficaci ma pesantemente condizionate dalla propaganda di regime, le
ragioni di un riassetto globale della situazione urbanistica di Roma, di
un ammodernamento ulteriore della viabilità e della creazione di nuovi
fulcri culturali e rappresentativi. La ripresa, sempre più anacronistica,
degli sventramenti su larga scala (isolamento del Campidoglio e del
mausoleo di Augusto, via dei Fori Imperiali, corso del Rinascimento
ecc.) conduce a ingiustificate distruzioni, a soluzioni
architettonicamente discutibili (piazza Augusto Imperatore) e
all’allontanamento degli abitanti nelle borgate, anche se in qualche
caso (via della Conciliazione) si tratta dell’esecuzione di progetti
antichi di secoli.

L’ambizione di Mussolini è quella di creare una nuova capitale che


rechi impressi, a fianco dei monumenti gloriosi degli imperatori e dei
papi, le opere e i segni della nuova era fascista. Il riassetto territoriale,
incentrato sulla bonifica delle Paludi Pontine e sulla fondazione delle
città nuove di Littoria (Latina), Sabaudia, Aprilia, Pontinia, Pomezia, si
rivolge anche al collegamento autostradale col nuovo insediamento
balneare del Lido di Roma; in direzione di Tìvoli nasce la zona
industriale e la «città dell’aria» di Guidonia.

Le migliori opere del regime sono indubbiamente quelle connesse


con le istituzioni culturali e amministrative. Mentre il nuovo piano
regolatore di Marcello Piacentini (1931) non ha reale efficacia
operativa, in pochi anni sorgono la Città Universitaria, il Foro Mussolini
(Foro Italico), Cinecittà: tra gli architetti spicca Adalberto Libera,
autore della Mostra della Rivoluzione Fascista nel palazzo delle
Esposizioni in via Nazionale (1932) e dell’Ufficio postale di via
Marmorata.
Gli sforzi del regime per la rifondazione di una nuova Roma si
concludono nella progettazione del quartiere satellite per l’Esposizione
universale del 1941-42 (E42), rimasto interrotto a seguito degli eventi
bellici. Con la regia dell’onnipresente Piacentini, ma con il concorso dei
migliori urbanisti e architetti romani, come Luigi Piccinato e Libera, si
avvia un grandioso progetto di reciproca integrazione tra urbanistica,
architettura, arte, destinato a svolgere un nuovo ruolo nella Roma del
secondo dopoguerra.

ROMA CONTEMPORANEA
Nel 1945 il comune di Roma contava un milione e mezzo di
abitanti. Oggi, al principio del XXI secolo, la popolazione presente è
aumentata di circa un milione di individui, anche se, a partire dalla
seconda metà degli anni settanta, ha smesso ormai di aumentare.
Se due milioni e mezzo è la quantità che, ormai da più di un
ventennio, caratterizza il territorio comunale, che con 150000 ettari
circa (la dimensione dell’intera provincia di Milano) è il più grande
d’Italia, ben più vasta e popolata è però l’area romana. Qui una
popolazione complessiva di quasi 4 milioni si è organizzata su un
territorio che, pur difficile da delimitare con precisione, comprende un
numero rilevante di altri comuni e di nuovi insediamenti, spesso assai
diversi fra loro ma tutti fortemente tributari dell’area centrale. Tale
processo, di cui l’andamento demografico costituisce solo un
indicatore, ha caratteristiche strutturali, politiche e spaziali proprie,
che derivano da cause sia locali sia esterne, regionali e nazionali.
L’egemonia che la città esercita sul territorio non si è trasformata,
come hanno sempre sperato e previsto politici e pianificatori, in una
ristrutturazione dell’area regionale ove i diversi centri assumessero
una propria autonoma capacità di sviluppo; al contrario, la crescita dei
centri minori non è che il risultato della domanda di alloggi, servizi e
aree produttive che viene dalla capitale.
L’AREA DI ROMA si è ormai consolidata secondo alcune direttrici
chiaramente individuabili: verso sud, nella fascia litoranea e nei
Castelli, con insediamenti di tipo industriale e residenziale; nella valle
del Tevere, caratterizzata da nuove e rilevanti addizioni industriali e
residenziali; verso nord, lungo la litoranea per Civitavecchia e intorno
al lago di Bracciano, dove l’insediamento è stato soprattutto
residenziale. Si tratta di percorsi che hanno peraltro origine all’interno
dello stesso territorio comunale: la direttrice mare, tra la foce del
Tevere e la città, quella dei Castelli, la Salaria e quella di Bracciano. È
dunque la città o, se si preferisce, la metropoli romana che si è distesa
ben al di là dei confini amministrativi del comune.
Qui si sono rovesciate le tensioni e i problemi che la città ha
dovuto affrontare nel corso della sua trasformazione. Mentre Roma si
ampliava verso l’esterno, in forma compatta intorno all’area centrale
prima e lungo le vie consolari poi, i comuni contermini si espandevano
in direzione della città, fino alla saldatura. Il risultato, in assenza di
qualsiasi politica di organizzazione territoriale, è stato una specie di
processo di periferizzazione dell’intera area, che confermava, a scala
regionale, la medesima struttura squilibrata che caratterizzava il
comune.
Ma se la città sembra essersi stabilizzata, in termini di
popolazione, da più di 20 anni, è aumentata invece in modo
considerevole la superficie urbanizzata (che è triplicata, secondo
alcune stime, rispetto al 1950), così come è enormemente cresciuto il
volume delle costruzioni. Le cause sono quelle ben note, comuni alle
maggiori aree urbane europee, mentre altre sono legate alla
particolare condizione di Roma: l’aumento delle famiglie dovuto alla
diminuzione del numero dei componenti, la domanda di nuovi spazi
per attività commerciali e amministrative (che spesso si traduce nella
trasformazione d’uso di edifici residenziali), la drastica riduzione
dell’offerta di alloggi in affitto, il continuo aumento del valore delle
aree centrali e la conseguente espulsione delle attività produttive,
artigianali e industriali. Si è andato così instaurando un flusso
migratorio dal centro verso la periferia che dalla città si è ripercosso
sul territorio.
A chi la guarda dall’alto, la capitale appare come un’ameba,
protesa lungo le vie consolari, che si allarga in corrispondenza dei
vecchi nuclei della corona e delle loro espansioni. Tale conformazione
è origine ed effetto di molti problemi. Questi non sono dunque più
quelli della città, ancora compatta e chiaramente identificabile nelle
sue dimensioni, uscita dal ventennio fascista, che solo per Roma
aveva sostenuto una politica di forte e controllata urbanizzazione.
L’espansione del dopoguerra è invece il risultato sia del processo di
ristrutturazione economica e geografica che attraversa tutta l’Italia,
sia dell’atteggiamento dell’amministrazione comunale sugli aspetti
urbanistici della trasformazione.

LA GESTIONE DEL PROCESSO DI CRESCITA E TRASFORMAZIONE DELLA


CITTÀ non è mai stata particolarmente incisiva nonostante di
urbanistica a Roma, dal 1945 a oggi, si sia molto parlato; è stata
materia di discussioni interminabili in consiglio comunale, di processi
per diffamazione, di cortei, di manifestazioni elettorali.
L’amministrazione cittadina, pur nelle diverse ispirazioni politiche, è
parsa sempre disarmata di fronte all’urgenza di pressioni troppo forti
per essere governate da un piano. La difficoltà di controllare
mutamenti sociali ed economici che avevano le loro radici nel
cambiamento in atto nel paese, l’urgenza di problemi quali la casa e
l’occupazione, che si ponevano in modo prioritario agli amministratori,
una tradizione burocratica di corruzione spicciola più volte venuta alla
luce, tutto ha contribuito a mantenere il governo della città a un livello
di mera sopravvivenza. Un piano urbanistico elaborato troppo a lungo
e presto rivelatosi poco utilizzabile, una rincorsa affannosa per dare
legittimità a iniziative spesso dannose per l’organizzazione della città,
l’incapacità di scegliere e la conseguente rassegnazione ad accettare
tutte le proposte avanzate: il risultato è una città sempre meno
vivibile, dove molti problemi sono più gravi di quanto non fossero
quarant’anni fa, quando entrò in vigore il piano regolatore (1962), e
ogni anno un numero crescente di Romani cerca in altri comuni
migliori condizioni ambientali.

NEL 1945 la situazione di Roma è affatto particolare: da tempo


luogo di rifugio e immigrazione di profughi o sbandati provenienti dalle
regioni investite e depauperate dal passaggio della guerra, la città
restituisce l’immagine di un paese colpito ma in movimento, dove
nuovi intrecci di attività e culture si sovrappongono a quelli
preesistenti. Roma diviene il luogo dove passano, si incrociano e si
disarticolano i grandi movimenti di popolazione che interessano il
paese, dal sud verso il nord, dalla campagna alla città, dalle città
minori a quelle maggiori. L’impatto è dirompente: l’esplosione edilizia
e la disorganizzazione dei servizi, che caratterizzeranno la vita della
città almeno fino ai primi anni sessanta, hanno le loro radici negli anni
iniziali della ricostruzione, quando ogni controllo sembrava un ostacolo
alla soluzione di problemi sempre urgenti. La popolazione residente
cresce, in questo periodo, di 500000 unità, ma le statistiche non sono
del tutto attendibili, perché un numero imprecisato di abitanti non è
registrato e vive in alloggi precari. La maggior parte degli immigrati
viene dal Lazio e dalle regioni meridionali; l’aumento del fabbisogno di
alloggi sembra inevitabile, insieme all’offerta di forza lavoro, che si
riverserà proprio nell’industria edilizia, approdo tradizionale della
manodopera non qualificata. E Roma, città di scarse tradizioni operaie,
diventa in quegli anni il luogo privilegiato di un’industria edilizia spesso
improvvisata, che produce edifici qualitativamente mediocri ed è
strettamente legata alla speculazione immobiliare. L’amministrazione
comunale, che vede ingigantirsi il deficit del suo bilancio, è incapace di
controllare l’espansione, non essendo in grado di fornire infrastrutture
e servizi là dove sarebbero necessari. Rinuncia così a guidare la
trasformazione di Roma attraverso i piani particolareggiati di
attuazione del piano regolatore vigente, quello del 1931, che pure ne
costituivano la parte più interessante.
IL PIANO DI LOTTIZZAZIONE, che i proprietari dei terreni
proporranno di volta in volta all’amministrazione, normalmente
ottenendo di poter costruire cubature maggiori di quelle indicate dal
piano in cambio della realizzazione di alcune infrastrutture, diventa lo
strumento urbanistico più utilizzato. Alle lottizzazioni si aggiungono
spesso le varianti di piano, con le quali alcuni grandi proprietari terrieri
riescono a modificare pesantemente gli indici di fabbricazione o
addirittura a far dichiarare urbanizzabili aree che il piano indicava
come agricole. La grande proprietà immobiliare diventa in quegli anni
il cardine intorno al quale gira l’economia della città, e non c’è dunque
da stupirsi se i suoi interessi dettano legge e si esprimono fino al
controllo politico del comune. Si afferma un’immagine della pubblica
amministrazione intessuta di corruzione, sospetto, inefficienza e
scandalismo, mentre finanzieri, speculatori e costruttori sembrano
diventati i padroni della città. Roma cresce, negli anni cinquanta, in
modo disordinato e caotico, specchio di una società profondamente
ineguale, dove rapide fortune si confrontano con una povertà che il
flusso degli immigrati provvede a rinnovare.
LA RIDISTRIBUZIONE DELLA POPOLAZIONE E LA NUOVA GEOGRAFIA
SOCIALE. Le aree centrali cominciano a perdere abitanti i quali, espulsi
dall’accresciuta domanda di uffici pubblici e privati, vanno a insediarsi
nelle nuove aree di espansione. Queste assumono ben presto
connotazioni diverse: nel quadrante est la maggioranza, dove si
costruisce un’edilizia speculativa ad alta densità, nei rimanenti settori
invece quella parte di popolazione che può permettersi di pagare il
costo di insediamenti meno brutali e soprattutto può sopportare una
più alta incidenza del costo del terreno su quello finale dell’alloggio.
Eppure, anche in queste aree di privilegio (Monte Mario, Via Cassia,
Vigna Clara) si costruisce una città deforme, dove la rete stradale è
ridicolmente insufficiente, il verde pubblico inesistente e quello privato
ridotto a una parodia nei pochi metri regolamentari che separano un
edificio dai limiti del lotto.
La palazzina è il tipo edilizio che meglio identifica la nuova Roma
repubblicana, almeno nei settori culturalmente dominanti della piccola
borghesia. Si tratta di edifici di tre o quattro piani (ma anche sei o
sette se la pendenza del terreno lo consente) e un attico (un ultimo
piano arretrato di minore superficie) che possono contenere un
massimo di 16 appartamenti. È una dimensione ridotta, facilmente
raggiungibile dalle piccole cooperative di abitazione sorte per usufruire
degli incentivi che leggi regolarmente rinnovate stabiliscono per
sostenere la diffusione della casa in proprietà, ed è anche un tipo
edilizio che non richiede grandi investimenti nelle strutture produttive.
L’espansione residenziale degli anni cinquanta e sessanta è opera
di una miriade di piccole imprese di modesto livello tecnologico e
spesso di modeste prospettive: la qualità degli edifici realizzati in
quegli anni si rivelerà inferiore a quella dell’edilizia degli anni trenta. Di
palazzine (e di villini, che ne costituiscono la versione ‘signorile’) si
riempiranno soprattutto le aree dei settori occidentale e meridionale:
Aurelio, Monteverde Nuovo, Portuense. A est si affermeranno invece
gli intensivi, edifici condominiali a otto o nove piani, normalmente
allineati in cortina continua lungo il filo stradale, dove si addenseranno
le famiglie a minor reddito e più peserà l’insufficiente fornitura di
servizi da parte della pubblica amministrazione: Tuscolano,
Prenestino, Tiburtino, dove spesso l’edilizia privata è preceduta da
iniziative di edilizia pubblica di buon livello architettonico, come i
quartieri INA-Casa del Tuscolano e del Tiburtino. Ne risulta una città
formicaio, di una densità mai sperimentata prima, dove l’assenza di
una trama regolare di spazi pubblici – piazze, portici, giardini, terreni
di gioco e sport – la presenza di un traffico presto diventato caotico
per la mancanza di un sistema di trasporto pubblico, l’alto livello di
inquinamento acustico e atmosferico contribuiscono a formare lo
scenario soffocante e minaccioso della nuova periferia romana, che
pure per molti, in quegli anni, appare ancora come un miraggio, una
«nuova Gerusalemme» agli occhi dei personaggi di Pier Paolo Pasolini.

UN NUOVO PIANO REGOLATORE E LA SUA ATTUAZIONE. Speculazione


immobiliare e immigrazione dal sud sono le due grandi forze che
trasformano negli anni cinquanta la città: l’assenza di una politica
urbanistica in grado di rispondere ai conflitti che ne derivavano ha
pesato gravemente su tutti i problemi che Roma ha dovuto affrontare
nei decenni che sono seguiti. La vicenda dell’elaborazione di un nuovo
piano regolatore ne fornisce la prova, ancorché non necessaria. Per
redigere un documento che potesse essere adottato dal consiglio
comunale ci sono voluti dieci anni (dal 1953 al 1962) e diverse giunte,
mentre all’approvazione definitiva da parte del ministro non si arrivò
che nel 1965. In questa storia si misurò anche la distanza che
separava la cultura tecnica e accademica dalle pratiche politiche. Gli
urbanisti chiamati a definire le linee direttive del nuovo piano si
impegnavano a dimostrare la necessità di individuare linee
preferenziali di espansione e indicavano il quadrante orientale, allo
scopo di evitare un’espansione a macchia d’olio che avrebbe costretto
l’amministrazione comunale a disperdere i suoi scarsi mezzi in tutte le
direzioni. Dimenticavano, o pretendevano di non dover tener conto
della mole di interessi che si era concentrata nel settore fondiario.
Erano soprattutto le grandi società immobiliari a controllare enormi
estensioni di aree potenzialmente fabbricabili in tutti i settori:
favorirne uno avrebbe significato penalizzare gli altri, e
un’amministrazione comunale finanziariamente fragile non aveva certo
i mezzi per sostenere una simile politica anche se, un po’
incongruamente per una giunta di centro-destra, l’avesse voluto.

Mentre il progetto di piano veniva discusso, attaccato, modificato,


trasformato, adottato, l’amministrazione si muoveva secondo una
strategia affatto opposta a quella indicata, costruendo strade e servizi
nei quadranti che gli urbanisti proponevano di bloccare, portando a
giustificazione l’urgenza di far fronte a necessità ormai evidenti. Sono
di quegli anni l’apertura della prima linea di metropolitana, che
collegando l’EUR con la stazione di Termini dà un colpo definitivo alla
pretesa di concentrare l’espansione a oriente, l’urbanizzazione del
quartiere di Monte Mario secondo una variante che aumentava
drasticamente le densità previste, la realizzazione del Grande
Raccordo Anulare – un anello che circonda e distribuisce gli accessi
dall’arteria in tutta l’area urbana – e, in occasione delle Olimpiadi del
1960, il cosiddetto Villaggio olimpico nella zona nord e la via Olimpica,
una strada di scorrimento veloce destinata a collegare e servire i
quadranti settentrionale e occidentale.

Il piano infine adottato, frutto quasi incomprensibile di


modificazioni, patteggiamenti e adattamenti, ma salutato comunque
come un successo dell’urbanistica italiana, forniva indicazioni di
struttura rimaste poi del tutto disattese, prime fra tutte quelle
riguardanti l’Asse Attrezzato e la rete della metropolitana. Come altre
volte nella storia della capitale, anche questo piano, redatto in un
periodo di grande espansione, operò invece in una fase di
rallentamento e poi di stagnazione. Essendo dimensionato per una
popolazione complessiva di 4.5 milioni intorno al 1980, avrebbe
dovuto essere largamente sufficiente per accomodare una popolazione
attestatasi sui tre milioni; invece, la mancata realizzazione dei progetti
chiave, la rigidità delle indicazioni nell’uso del suolo, l’incertezza dei
comportamenti del comune riguardo ai problemi dell’aggiornamento e
della gestione del piano ne hanno messo rapidamente in evidenza
l’inadeguatezza. S’aggiunga che dopo il 1962 l’edilizia residenziale
comincia a entrare in una fase recessiva (che alcuni prontamente
addebitano proprio all’effetto-piano) che porterà a una profonda
ristrutturazione del settore immobiliare e dell’industria edilizia romana.
È il periodo dell’amministrazione di centro-sinistra, durante il quale la
questione urbanistica sembra trovare nuova attenzione nella città
come nel paese. Così, nei primi anni settanta si arriverà alla
salvaguardia di alcuni parchi storici minacciati – il comprensorio
dell’Appia Antica, villa Doria Pamphilj, villa Chigi, villa Ada, Castel
Fusano, Castel Porziano, Veio – che nella maggior parte rimarranno
vincolati e abbandonati nello stesso tempo; nel 1974 verrà varata una
variante generale di piano che stabilisce i modi e le sequenze per
l’urbanizzazione delle nuove aree di espansione.

IL CASO DELL’EUR merita di essere segnalato, nel quadro delle


pratiche urbanistiche romane. L’area, designata nel 1936 a ospitare
l’Esposizione universale del 1942, era stata espropriata e assegnata a
un apposito ente, retto dal 1944 da un commissario straordinario. La
singolare autonomia dell’ente e la forza derivantegli dall’essere
proprietario dei terreni, e quindi in grado di controllarne lo sviluppo in
una misura ignota all’amministrazione comunale, hanno contribuito
alla creazione di un quartiere che nel panorama romano si distingue
per la correttezza dei parametri urbanistici adottati e l’efficienza della
manutenzione. Un gran numero di uffici pubblici e privati è stato così
indotto a trasferirvisi, tanto da trasformarlo in un centro direzionale
minore che, in mancanza di alternative, ha acquistato un peso molto
maggiore di quello previsto dai piani comunali.
Sulla stessa direttrice di espansione, del tutto opposta è stata la
sorte del Lido di Ostia, un tempo luogo di villeggiatura della borghesia
romana, dove la combinazione di speculazione e abusivismo ha dato
luogo a un insediamento intensivo di oltre 300000 abitanti, che ha
portato sulla costa le caratteristiche peggiori della periferia.

DIVERSE CITTÀ sono ormai riconoscibili: quella storica, quella


compatta della capitale post-unitaria fino alla seconda guerra
mondiale, quella dell’edilizia pubblica e, sempre separata dal resto,
quella abusiva, quella della speculazione selvaggia degli anni
cinquanta e sessanta e quella, più controllata, degli anni settanta e
ottanta.
Nelle aree previste dal piano con le cosiddette lottizzazioni
convenzionate sono nati i nuovi quartieri di iniziativa privata che si
trovano oltre la città compatta: l’Olgiata lungo la Via Cassia o
Mostacciano sulla Cristoforo Colombo, che, come il precedente Casal
Palocco, sono destinati a una popolazione con redditi medio-alti, sono
ben forniti di servizi, ma dipendenti quasi esclusivamente dall’auto
privata per i collegamenti.
Tipologie più intensive, anche se più accettabili di quelle degli
anni cinquanta, caratterizzano i quartieri realizzati per lo più da
consorzi di cooperative di abitazione in via di Casal de’ Pazzi o in viale
Palmiro Togliatti: la dimensione e la densità dei nuovi insediamenti
rendono drammatico il problema della mobilità.
Negli stessi anni sono state compiutamente realizzate anche
alcune notevoli iniziative di edilizia pubblica: Corviale, Tor Bella
Monaca, Laurentino, Vigne Nuove. Architettonicamente più accurati,
ma socialmente più problematici data l’alta concentrazione di abitanti
in condizioni disagiate, i nuovi quartieri si sono rivelati presto come
aree di forte tensione, dove i problemi che segnavano le borgate
povere degli anni cinquanta – isolamento, scarsità di mezzi, assenza di
manutenzione – sono apparsi aggravati dalle nuove – e spesso gravi –
forme di devianza.
Il piano regolatore del 1962 cerca di affrontare un’urbanistica
carica di problemi derivanti da scelte sempre rinviate. Ciò vale per
l’edilizia: mentre le aree per nuovi insediamenti previste dai
programmi comunali sono pressoché esaurite, si manifestano nuove
domande di spazio per abitazioni, per l’accoglienza degli
extracomunitari, per la sistemazione dei nomadi. Lo stesso è per il
traffico, in stato di congestione permanente lungo tutto l’arco della
giornata grazie alla diffusione sul territorio delle più diverse funzioni e
alla mancata politica del trasporto pubblico; il centro storico è invece
più intasato che mai dalle attività terziarie e direzionali, mentre il
degrado delle periferie pone l’esigenza di un loro recupero sociale e
urbanistico.

IL FENOMENO DELL’ABUSIVISMO
La combinazione di recessione edilizia e politiche di piano porta
alla ribalta, negli anni sessanta, la questione, fino allora rimossa,
dell’abusivismo. Di edilizia costruita fuori dei limiti della città prima, e
fuori delle zone previste dai piani regolatori poi, la storia di Roma
capitale ne ha sempre avuta. È stato anzi più volte affermato che gli
stessi piani sono spesso dei documenti che provvedono in primo luogo
a incorporare o a legalizzare insediamenti costruiti senza i permessi di
legge: è stato così per il quartiere Prati, avviato prima che il piano del
1883 lo prendesse in considerazione, ed è stato così per l’EUR, frutto
di una legge speciale che veniva di fatto a ribaltare la logica del piano
del 1931.
Ma l’abusivismo, che dal 1960 in poi costituirà il tema privilegiato
di discussione dell’urbanistica romana (così come prima lo era stata la
speculazione fondiaria), ha origini e caratteristiche del tutto diverse,
benché altrettanto lontane. Abusivi, e cioè illegali, sono naturalmente
quegli alloggi provvisori – baracche, grotte, tuguri – nei quali da
sempre si insediano alcune frange di popolazione con redditi bassi e
discontinui. Vi abitavano dopo il 1870 gli edili impiegati nella
costruzione della capitale; vi abitano dal 1945 masse crescenti di
immigrati, disoccupati, abitanti presenti ma non registrati come
residenti nel comune di Roma. Fino agli anni sessanta abusivismo ed
emarginazione si accompagnano: alcuni di questi insediamenti, i
borghetti, sono dentro la città, sulle pendici dei rilievi, sotto gli archi
degli acquedotti o addossati alle antiche mura, nei terreni vuoti della
prima periferia; altri, le borgate, sono sparsi nella campagna, spesso
cresciuti intorno a nuclei preesistenti di varia origine.
Quando il fascismo diede il via alla demolizione dei tessuti urbani
che insistevano sulle aree monumentali dell’antica Roma, molte
migliaia di abitanti furono espulse. Per loro, e per coloro che venivano
sfrattati dallo sblocco dei fitti, dopo qualche costoso tentativo di
insediarli all’interno della città furono realizzate le borgate, in aree
normalmente lontane (anche visivamente) dalla città, costruite –
soprattutto le prime – con materiali molto scadenti e abitazioni spesso
prive di servizi: Acìlia, S. Basilio, Prenestino, Gordiani e Pietralata, il
Trullo, Primavalle, Tor Marancia, Tufello, Valmelaina, Quarticciolo,
insediamenti sparsi in modo apparentemente casuale nell’Agro
romano, per lo più fuori delle aree di espansione previste dai piani
regolatori vigenti e dunque anch’essi in qualche modo abusivi o
illegali.
Negli anni cinquanta sorgono, in aree esterne e spesso molto
distanti dalla città costruita, i nuovi quartieri popolari – S. Basilio
(ampliamenti), Torre Spaccata, Magliana, Tor de’ Schiavi, Acìlia
(ampliamenti) – accanto alle antiche borgate d’anteguerra o in luoghi
del tutto nuovi. Sono iniziative quantitativamente di scarso rilievo, se
raffrontate al ritmo di crescita della città in quegli anni, ma ottengono
il risultato di portare le strade e i servizi primari in aree non ancora
urbanizzate. Parallelamente alle borgate ‘ufficiali’ sorgono quelle
‘spontanee’ – Tor Sapienza, La Rustica, Rebibbia, Ponte Mammolo,
Alessandrina, Finocchio – e quelle costruite lungo le strade che
attraversano l’agro – Cassia, Trionfale, Aurelia, Magliana
(ampliamenti) – dove si insediano di solito i nuovi immigrati e, in
generale, coloro che non possono affrontare il costo di una residenza
urbana a pieno titolo.

ROMA CONTEMPORANEA
Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:
sinistra, destra, sinistra e destra.

Era una massa di abitanti, dalle dimensioni incerte ma sempre


crescenti, che si veniva costruendo, spesso con le sue proprie mani,
una specie di città parallela, fatta esclusivamente di alloggi precari
all’inizio, poi, a poco a poco, di insediamenti più stabili e attrezzati.
Esiste quindi una diversa tipologia di abitazioni marginali: nella più
degradata – grotte, ruderi, baracche – sono alloggiati, nel 1951, più di
100000 abitanti, mentre nelle borgate, ufficiali o spontanee,
dovrebbero essere almeno il doppio. Nelle cosiddette abitazioni
improprie abita nel 1951 il 6.5% della popolazione, ma nel 1961 la
percentuale è scesa al 3.5% e nel 1971 allo 0.8%: il fenomeno finisce
per esaurirsi negli anni settanta.

L’ANDAMENTO DELL’EDILIZIA ABUSIVA è invece del tutto opposto.


Non soltanto questa cresce con l’andare del tempo, si diversifica,
comincia a organizzarsi su dimensioni ben maggiori di quella di poche
case accostate, ma soprattutto, dagli anni sessanta in poi, arriverà a
competere con l’edilizia legale. Nel 1962, che è l’anno di più elevata
produzione di alloggi legali (162000 vani) l’abusivismo edilizio
interessa una popolazione stimata di circa 200000 abitanti. Dopo
quella data – che segna anche l’inclusione di 44 nuclei edilizi per lo più
abusivi nell’area di piano – parallelamente al declino dell’edilizia legale
si sviluppa, con caratteristiche sempre più simili, quella abusiva, che
dà luogo a un vero e proprio mercato parallelo. Minore si fa la parte
realizzata con i modi dell’autocostruzione, mentre si afferma una vera
e propria struttura produttiva – come dimostrano le nuove tipologie
multipiano e le rifiniture più accurate – insieme a un mercato dei
terreni fortemente segnato da iniziative speculative. Ormai non sono
più singole famiglie che si insediano in abitazioni poco meno che
precarie sul terreno di qualche grande proprietario che cerca di
sfruttare le proprie aree anche là dove il piano regolatore non lo
permetterebbe; sono invece sempre più iniziative ‘condominiali’ che,
acquistato il terreno a prezzi relativamente bassi, danno origine a
edifici che assomigliano molto ormai a quelli delle aree interne al
piano. Il tentativo di entrare a far parte della città legale si esprime
proprio con l’adozione degli stessi tipi edilizi, così che la sola differenza
– socialmente e politicamente insostenibile – consiste nell’assenza dei
servizi urbani.
La prima e più significativa operazione svolta dalla giunta di
sinistra che guida il comune dal 1976 al 1985 è proprio il rilievo e la
perimetrazione degli insediamenti abusivi, al fine di avviare un’opera
di risanamento edilizio e urbanistico; in quell’occasione furono
registrati nuclei abusivi per 15000 ettari, con una popolazione stimata
di 900000 abitanti, un terzo dell’intera città.

Le nuove borgate sono divenute così una realtà non più


trascurabile o marginale dell’urbanizzazione romana: negli anni
settanta e ottanta, alla caduta della produzione edilizia ufficiale fa
riscontro la realizzazione di una rilevante massa di edifici residenziali
illegali, che hanno offerto una risposta apparentemente adeguata alla
domanda di nuove abitazioni originata dalle trasformazioni in corso
nella struttura della città. Così, mentre l’intervento pubblico, centrato
sui grandi quartieri, si dimostrava ancora una volta incapace di
regolare in modo soddisfacente il processo di espansione, altrove si è
realizzata una città che, per quanto caotica, illegale, mal collegata,
sembra rispondere in modo assai più puntuale alle esigenze dei suoi
abitanti: qui si sono sviluppate attività commerciali e artigianali, qui la
dimensione e la tipologia degli edifici tiene conto delle preferenze di
chi andrà a occuparli, qui si è ricostituito quel mercato dell’affitto che
altrove è praticamente scomparso e in alcune borgate abitano ormai
famiglie i cui redditi sono più alti della media cittadina.

L’ABUSIVISMO NON INTERESSA SOLO L’AREA ROMANA. La maggior parte


dei comuni contermini si è trasformata negli anni in una fonte
permanente di offerta di aree residenziali, produttive e terziarie a
disposizione di una domanda che non trovava risposta nell’area
urbana. La stessa politica urbanistica di questi comuni è stata per lo
più orientata a trarre profitto dalla situazione, localizzando le aree di
espansione lungo le direttrici per Roma; a ciò si è aggiunta un’attività
fuori piano del tutto simile a quella che ha sconvolto il territorio
comunale della capitale. La Roma che i turisti difficilmente vedono, o
riconoscono, ma che funziona, faticosamente, in modo strettamente
interrelato, è dunque questa nuova conurbazione ove, grazie anche al
sorgere erratico degli insediamenti abusivi, si è costituita una
continuità tra il centro maggiore e i centri minori, che non permette
più di riconoscere realtà urbane un tempo distinte.

ROMA ‘NAZIONALE’ E ‘INTERNAZIONALE’

Questo processo di trasformazione non è stato solo di tipo


residenziale. I cambiamenti avvenuti nella struttura delle attività
economiche, com’è naturale, si sono riflessi anche nell’organizzazione
urbanistica. L’immagine di Roma non è più riassumibile in quella
antica di città burocratica e sonnolenta. Vi si registra una
ristrutturazione dell’apparato industriale che si era affermato negli
anni cinquanta (fortemente appoggiato all’edilizia e ai suoi derivati,
alla chimica e all’ottica) verso nuovi settori quali l’elettronica,
l’informatica, i prodotti aerospaziali, tanto che vi si ritrova ormai la
maggiore concentrazione di industrie ad alta tecnologia d’Italia. È
aumentato considerevolmente anche il numero delle unità locali, ciò
che, di fronte alla sostanziale stabilità del numero degli addetti,
significa la presenza di una grande quantità di piccole e piccolissime
imprese. Questo si riflette nella localizzazione di tali attività: mentre le
industrie avanzate o più consolidate si sono installate nella valle del
Tevere, alle porte della città o nella piana pontina per usufruire delle
sovvenzioni della Cassa per il Mezzogiorno, molte imprese minori si
sono insediate nell’Agro romano, sulle direttrici di traffico o lungo il
Raccordo Anulare, approfittando anch’esse dell’offerta di terreni fuori
piano e contribuendo così a rafforzare il fenomeno dell’urbanizzazione
illegale. È costantemente in forte crescita il settore terziario, ormai
oltre l’80% della popolazione attiva. Nel 1971-81 gli addetti al credito,
alle assicurazioni, ai servizi alle imprese sono pressoché raddoppiati, e
altrettanto avviene per il decennio successivo. Roma è sempre più, a
scala nazionale e internazionale, un centro di servizi alle finanze,
all’industria, ai trasporti, al turismo, alla cultura; la stessa inefficienza
dell’apparato statale in questo settore ha favorito la formazione di una
gran quantità di iniziative private sostitutive – poste, polizia, trasporti,
sport e ricreazione, istituti d’istruzione specializzata, sanità – che
consentono alla città di far fronte alle esigenze di una società
definitivamente moderna.
IL PROCESSO DI TERZIARIZZAZIONE ha avuto effetti rilevanti sull’area
centrale; per capire però ciò che è successo, e dunque per descriverne
i connotati, bisogna distinguere i molti elementi che lo compongono.
Nei rioni della città storica, cui resta legata l’immagine di Roma, gli
abitanti erano nel 1951424400, 165000 nel 1971 e si sono
ulteriormente ridotti nel corso degli anni novanta. Eppure le superfici
utili sono aumentate nel tempo, grazie a sopraelevazioni, restauri e
ristrutturazioni che hanno interessato gran parte del tessuto urbano.
La popolazione romana sta invecchiando e quella del centro storico è
notevolmente più vecchia della media cittadina. Si riduce anche il
numero di componenti la famiglia media, che è inferiore a 2.7, ma
nelle aree centrali è sotto i 2, mentre in quelle periferiche è maggiore
di 3.

La città storica è dunque cambiata nella composizione sociale e


nell’uso degli edifici. Sta scomparendo, con qualche sporadica
eccezione, l’antico tessuto popolare e artigianale, nel quale
convivevano gruppi di reddito diverso in una trama ricca e articolata di
attività e di servizi. La violenza del mercato, che ha portato i prezzi
degli alloggi del centro a livelli elevatissimi, ha costretto gran parte dei
vecchi abitanti, e soprattutto le famiglie giovani, a spostarsi in
periferia, per essere sostituiti da una popolazione con maggiori mezzi,
attratta dal sapore dell’antico ma anche dal prestigio che
l’accompagna. Si è così confermata una tendenza all’espulsione degli
strati di popolazione a basso reddito che, se durante il fascismo era
stata imposta, nel dopoguerra è divenuta di fatto inevitabile in
assenza di una politica urbanistica antispeculativa.
La stessa nozione di centro storico si è trasformata nell’accezione
utilizzata dal mercato immobiliare romano: riferita dapprima alla città
rinascimentale e barocca, si è allargata ora a tutta l’area compresa
nelle mura Aureliane e oltre, così da includere anche le zone edificate
(e spesso violentemente modificate) subito dopo l’Unità: Monti, Prati,
Pinciano.

UN CENTRO STORICO FORTEMENTE SPECIALIZZATO. Le superfici utili


lasciate libere dall’esodo degli abitanti sono state trasformate in uffici,
studi professionali e, i piani terreni, in negozi d’ogni genere, da quelli
di articoli rari a quelli di souvenir. Si sono rovesciate nel centro due
domande fondamentali: una di servizi per le nuove masse turistiche –
fast food e negozi di articoli a basso costo che richiedono di essere
vicini ai luoghi di massimo richiamo – l’altra di spazio per uffici,
difficilmente reperibile nelle zone di nuova espansione, tutte costruite
per il mercato delle abitazioni.

È stata proprio la mancata realizzazione di nuovi spazi per le


attività commerciali, amministrative e direzionali, che pure il piano del
1962 aveva previsti nel cosiddetto Asse Attrezzato oltre che nei centri
di quartiere, l’elemento che più ha contribuito al soffocamento e al
degrado funzionale del centro storico. Il tessuto urbano antico,
trasformato da luogo di residenza nella zona di maggior
concentrazione delle attività commerciali e terziarie, è ogni mattina la
meta di migliaia di addetti, condottivi da un sistema di trasporti
cronicamente lento e insufficiente, che va a intasare e a inquinare
ambienti preziosi. Subito dopo arrivano gli utenti e i compratori,
indotti a utilizzare al massimo l’auto privata sia per la scarsità dei
controlli sulla circolazione sia per il basso livello del trasporto pubblico.
Nei periodi di maggior affluenza turistica, che a Roma copre almeno
sei mesi l’anno, la folla che si aggira per le strette vie della città antica
si fa più lenta e compatta, affascinata da uno spazio urbano
trasformato in unico grande mercato. Nei pomeriggi di sabato o
domenica, la metropolitana rovescia migliaia di cittadini che dai
quartieri periferici vengono in centro, non per comprare ma per vivere
una città che è loro negata; la congestione del centro è anche dovuta
al rifiuto di una periferia troppo squallida perché vi si possa
appartenere.

LE SEDI DI DIREZIONE O RAPPRESENTANZA, di tutte le imprese e gli


enti di rilievo nazionale, a conferma dell’importanza che Roma ha
assunto come cuore economico e decisionale del paese, si trovano
oggi nel centro. Questo è legato all’accresciuto ruolo del potere
politico e dell’amministrazione dello Stato nel governo dell’economia e
nelle politiche di investimento: la complessità delle relative procedure
di decisione ha posto l’esigenza di una prossimità spaziale degli
operatori potenzialmente interessati. La scelta originaria del centro di
Roma come luogo simbolo delle istituzioni unitarie – il Parlamento e il
governo – si è rivelata nel tempo fortemente condizionante. Non solo
sono enormemente aumentate le esigenze di spazio del Parlamento,
che continua ad ampliare la mappa delle sue proprietà edilizie nel
rione Campo Marzio, determinando anche – per elementare logica di
mercato – la trasformazione di molte residenze in alloggi e uffici per i
parlamentari e il loro seguito, ma lo stesso governo, articolandosi in
una miriade di uffici, agenzie e sedi distaccate, ha confermato la sua
vocazione «centralista», richiamando così un’ulteriore domanda di
spazio da parte dei privati e delle istituzioni non governative. È vero
che molti ministeri, negli anni sessanta e settanta, hanno costruito
nuove sedi nel quartiere dell’EUR, dove hanno potuto organizzarsi in
spazi più abbondanti, ma nessuno ha rinunciato alle sedi centrali,
dove sono stati sistemati uffici distaccati e, spesso, lo stesso ministro.

L’occupazione del centro storico da parte della «città politica» ha


notevoli riflessi anche sul traffico, per la gran quantità di auto d’ufficio,
di rappresentanza o comunque con autorizzazioni speciali a circolare
anche nelle aree vincolate, le piazze trasformate in parcheggi riservati,
le strade spesso bloccate da cortei e manifestazioni all’indirizzo del
governo e del Parlamento. Così il centro è l’area normalmente più
inquinata della città, con gravi danni per le pietre degli edifici e dei
monumenti, per i quali si è arrivati a proporre coperture protettive in
materiale trasparente.

L’ASPETTO ARCHITETTONICO COMPLESSIVO DEL CENTRO DI ROMA si è,


pur trasformato nel suo interno, conservato più di altri. Questo è
stato, nei primi anni dopo la caduta del fascismo, il risultato di una
forte opposizione dell’opinione pubblica ad altri interventi radicali di
ristrutturazione e riedificazione, l’ultimo dei quali resta l’apertura di via
della Conciliazione nel 1950, da Castel S. Angelo a S. Pietro, secondo
un progetto redatto da Marcello Piacentini prima della guerra; dopo
sono stati i vincoli urbanistici e soprattutto il mercato, che ha colto il
valore di una politica di conservazione e restauro indirizzata a
un’utilizzazione speculativa del patrimonio edilizio.
La vicenda di Roma negli ultimi 50 anni del XX secolo è segnata
anche dall’assenza di realizzazioni che possano, in qualche misura,
rendercela riconoscibile e degna di memoria. Se questo è stato nei
primi tempi il frutto di una reazione alle troppe opere di regime che
avevano sconvolto il tessuto urbano durante il fascismo, è diventato
poi un atteggiamento caratteristico di un’amministrazione che tendeva
a intervenire il meno possibile nelle dinamiche di formazione della
città, limitandosi, con maggiore o minore impegno, a rispondere alle
necessità più urgenti. I grandi progetti che negli anni successivi sono
pur stati identificati non sono mai venuti a compimento: sia perché
abbandonati sia perché le procedure di attuazione sono così lunghe
che quasi se ne perde traccia. Altrettanto defatigante la vicenda del
progetto Fori, riguardante la costituzione di un unico parco
archeologico dall’Appia Antica al Campidoglio, con la parziale chiusura
al traffico veicolare della via dei Fori Imperiali, di cui si parla da oltre
20 anni. L’unico modo di realizzare opere pubbliche è stato sempre
quello di trarre partito da eventi eccezionali: come le Olimpiadi del
1960 così i Campionati mondiali di calcio del 1990 e il Giubileo del
2000. I mondiali di calcio hanno permesso, oltre alla realizzazione di
alcune opere viarie (le uniche peraltro a essere sempre portate a
termine, pur se spesso in modo curiosamente erratico), anche quella
del raccordo ferroviario con l’aeroporto di Fiumicino, del nuovo centro
tecnico della RAI a Grottarossa, della ristrutturazione dello stadio
Olimpico (snaturando così definitivamente il Foro Italico dove era già
stata manomessa la bellissima casa della Scherma per farne un’aula
giudiziaria).
Un evento rilevante è la costituzione in comune di Fiumicino, che
sottrae alla città c. 45000 abitanti e, soprattutto, l’aeroporto e
un’importante area industriale. Tuttavia, negli ultimi anni, grazie ad
alcune circostanze favorevoli – l’approvazione di una legge speciale
per Roma capitale, un’amministrazione comunale più solida grazie alla
riforma del sistema elettorale, lo stanziamento di fondi straordinari per
il Giubileo del 2000, il compiersi di alcune operazioni in corso da
tempo – qualche nuova opera è stata realizzata. Fra tutte, le più
interessanti sono probabilmente quelle che riguardano il restauro e il
riuso a fini museali di antichi edifici: il Museo e Galleria Borghese,
riaperti dopo dieci anni di restauri, e l’ottocentesco palazzo dell’ex
collegio Massimo, dove trovano sede alcune splendide opere del
Museo Nazionale Romano, mentre altre sono collocate in palazzo
Altemps, finalmente aperto al pubblico. A questi vanno aggiunti il
recupero e il riuso a fini museali di stabilimenti industriali di inizi
Novecento: l’ex centrale termoelettrica Montemartini sulla Via
Ostiense, e lo stabilimento già della Birra Peroni nei pressi della Via
Nomentana. Infine, è allo studio un progetto per la realizzazione di
una Città della Scienza che si proponga come luogo di eccellenza in
ambito internazionale. Interventi di restauro e arredo urbano sono
stati effettuati in alcune piazze storiche (Montecitorio, Chiesa Nuova,
Vittorio, Campidoglio, dove è stata collocata una discussa copia della
statua di Marco Aurelio) e in qualche quartiere periferico. Fra le nuove
grandi opere, meritano di essere citate, anche per il ruolo che sono
destinate a svolgere nella vita della città, il Centro culturale islamico e
la Moschea, inaugurati nel 1993, e l’Auditorium progettato da Renzo
Piano e completato nel dicembre 2002 con l’inaugurazione della terza
sala.
LA CITTÀ DEL XXI SECOLO. Nel marzo 2003 Roma si è dotata di un
nuovo Piano Regolatore Generale, che apre rinnovate prospettive per
lo sviluppo urbano. La città è pensata come una struttura policentrica,
con una forte maglia di ferrovie e di strade per garantire facili
spostamenti, immersa in una ruota verde i cui raggi – i grandi parchi –
penetrano fin nelle parti più interne e aperta al suo spazio
metropolitano. Il modello policentrico, composto da una rete di
centralità integrate e dotate di servizi, è teso a modificare
profondamente l’odierna conformazione urbana, impostata su un
unico centro pregiato attorniato da periferie via via più degradate, per
le quali sono previsti programmi di riqualificazione e di recupero
urbano e funzionale. Circa il 68% della superficie comunale è stato
vincolato e non sarà edificabile. Il nuovo PRG è stato definitivamente
ratificato dal Consiglio comunale nel febbraio 2008.
Di rilievo, per la città del nuovo millennio, è anche il
potenziamento delle infrastrutture, tra le quali spicca il progetto della
Nuova Fiera, realizzato sulla Roma-Fiumicino con il concorso del
Comune, della Regione Lazio e della Camera di Commercio. Grande
dieci volte l’attuale, alla fine dei lavori (prevista per il 2009) sarà uno
dei maggiori centri fieristici d’Europa.
LA VICENDA ARTISTICA
E CULTURALE

IL MEDIOEVO
Agli inizi del IV secolo la conversione di Costantino mise in moto il
processo di cristianizzazione di Roma. Con quell’avvenimento coincise,
sul piano artistico, l’inizio per la città dell’età medievale.
L’arco che all’imperatore fu dedicato dal Senato nel 315, nei rilievi
appositamente realizzati per l’occasione rispetto a quelli recuperati da
monumenti più antichi, riflette un radicale cambiamento di mentalità
nei confronti del classicismo delle età precedenti. Lo stesso passaggio
coinvolse l’architettura. L’edificio che Costantino decise di costruire,
già nell’inverno tra il 312 e il 313, come sede per il vescovo di Roma
(Basilica Lateranense) era caratterizzato, in quella sua primitiva
versione, da un impianto a cinque navate, ciascuna emergente
rispetto alla laterale e dotata di una possibilità propria di illuminazione.
Con l’ampia abside al termine della navata centrale e con i bassi bracci
del transetto debordanti solo rispetto alle navatelle laterali, esso
proponeva un tipo che in maniera molto vaga si ispirava alla basilica
laica, formulando una cristianizzazione delle forme in termini che
costituiranno la base sostanziale per tutta l’edilizia religiosa medievale.

Esistono tuttavia degli elementi, caratteristici di questa prima


architettura cristiana, che non verranno più ripresi nel corso del
Medioevo, come appunto l’impianto a cinque navate che, nel IV secolo,
sarà ancora caratteristico delle basiliche di S. Pietro e di S. Paolo fuori
le Mura. Lo stesso si può dire della basilica sepolcrale circiforme (ossia
con un deambulatorio che aggirava l’abside e poneva in collegamento
diretto le due navate laterali), un tipo presente, tra l’altro, nelle prime
fondazioni di S. Lorenzo fuori le Mura, di S. Agnese, di S. Sebastiano e
dei Ss. Marcellino e Pietro sulla via Labicana. Il Medioevo svilupperà
soluzioni sue proprie in relazione alla venerazione delle reliquie e delle
tombe dei martiri: a Roma il deambulatorio, svolto secondo una logica
formale del tutto diversa, troverà spazio, al di là di altri episodi
discussi, solo nella ricostruzione tardoduecentesca dell’abside di S.
Giovanni in Laterano. Anche la soluzione dell’ingresso a polifora, una
serie continua di arcate che trafora la facciata e che è caratteristica, in
età paleocristiana, di edifici come S. Vitale o S. Clemente, non verrà
fatta propria dalla Roma medievale.

LA NOVITÀ DECORATIVA DI S. MARIA MAGGIORE. Rispetto al


panorama primitivo, l’edificio, fatto realizzare e decorare da papa Sisto
III (prima grande committenza pubblica di un pontefice e non di un
imperatore, come era stato per le basiliche precedenti), segna uno
stacco nella qualità formale. La ricca decorazione a mosaico, estesa
alle pareti della navata oltre che all’arco absidale e in origine
inquadrata da un complesso sistema di incorniciature in stucco, si
distingue, rispetto ai più antichi limitati tentativi di S. Pudenziana e di
S. Sabina, come il primo abbozzo di un programma decorativo volto,
in termini cristiani, a un intero edificio. L’ampiezza dei risultati
testimonia dell’impegno del papato ad affermarsi come autonoma
forza politica: lo sottolinea l’arcata absidale, impostata nei termini
compositivi di un arco di trionfo imperiale.

Di lì a poco, al tempo di Leone Magno, anche le basiliche di S.


Paolo fuori le Mura e di S. Pietro (per quest’ultima vi dovette essere
un ulteriore intervento sul finire del IX secolo) ricevettero un analogo
apparato decorativo, solo più povero in quanto risolse totalmente
nell’affresco la sintesi di mosaico e stucco. Una consistente novità
organizzativa fu invece la disposizione contrapposta, lungo le pareti
della navata centrale, delle storie del Vecchio e del Nuovo
Testamento, in quanto evidenziava un parallelismo tipologico che era
solo implicito a S. Maria Maggiore. Anche in questo caso non si ha una
continuità immediata nell’uso di tale sistema di raccordare il tessuto
pittorico: la sua riscoperta, come tratto caratteristico di una
dimensione decorativa romana e paleocristiana, avverrà solo nel corso
dell’XI secolo, sulla spinta del ritorno all’antico motivato dalle ragioni
della riforma della Chiesa conseguente alla decadenza del periodo
altomedievale; ma anche in questo caso più attraverso un
adattamento che non una copia pura e semplice.

AL TEMPO DI PAPA SIMPLICIO, un impianto complesso e dalla mal


determinabile origine come quello di S. Stefano Rotondo – in cui da un
nucleo circolare centrale, attorniato da un deambulatorio, si
distaccavano in origine quattro cappelle, separate da cortili porticati
che attribuivano all’insieme le caratteristiche di una tipologia
cruciforme – dimostra come non si possa risolvere nella sola
dimensione basilicale la capacità progettuale del mondo romano, così
come stilisticamente esso non si esaurisce in un’isolata nostalgia della
saldezza tornita delle forme classiche. Piuttosto è sua caratteristica la
complementare coesistenza di stili, dei quali si coglie netta la capacità
di farsi portatori di esigenze diverse. Proprio i mosaici di S. Maria
Maggiore sono esemplari sotto questo punto di vista, in quanto si
appropriano dei valori di classicismo che, nella seconda metà del IV
secolo, erano stati tipici della classe senatoriale, nello spirito di un
ostinato mantenimento in vita della Roma pagana.
Il rapporto anche fisico della Roma cristiana con i monumenti
emblematici del passato fu del resto uno dei temi dominanti del primo
periodo medievale, in quanto in esso confluivano aspetti pratici e
simbolici insieme, che solo nel 609 trovarono una soluzione con la
cristianizzazione del Pantheon, il primo tempio pagano a essere
trasformato in chiesa. In precedenza, la destinazione a chiesa,
dedicata ai Ss. Cosma e Damiano, di un’aula preceduta da un
vestibolo cupolato sito sulla «via Sacra» segnala il primo insediamento
della Roma cristiana nell’area dei Fori, tradizionalmente legati alle
memorie della Roma pagana.

I mosaici con cui Felice IV sottolineò l’operazione, costituendo


l’unica vera aggiunta all’edificio precedente, appaiono ancora oggi
dotati di una magnetica e grandeggiante capacità evocativa della
pienezza spirituale e della realtà corporea delle forme, forse l’ultima
espressione di una genuina dimensione classica. Per questo essi
furono largamente rivisitati durante tutto il corso del Medioevo, come
fonti di ispirazione e stilistica e iconografica, insieme a quelli, perduti,
della chiesa di S. Andrea cata Barbara, la basilica di Giunio Basso
all’Esquilino cristianizzata nella seconda metà del V secolo.

DIVERSO SARÀ IL CARATTERE FORMALE che l’arte romana farà proprio


in conseguenza del più intenso rapporto con il mondo bizantino,
successivamente alla caduta del regno goto e alla conquista della città
da parte dei generali di Giustiniano. Questo tuttavia avverrà più nella
pittura e nella scultura, ossia sotto il profilo decorativo delle arti, che
non in architettura. Edifici come le basiliche a matroneo di S. Lorenzo
fuori le Mura e di S. Agnese, tra VI e VII secolo, non mutuano di certo
la loro tipologia dal mondo bizantino, ma la inventano in una
dimensione tutta locale. Le gallerie superiori vi avevano uno schietto
valore funzionale come vie di accesso dalla sommità delle colline alle
quali i due edifici si addossavano, per far sì che le tombe dei santi
potessero essere inglobate nella nuova zona presbiteriale, posta al
loro stesso livello grazie a poderose opere di sbancamento.
Nello stesso torno di tempo altrettanto significato acquista la
sistemazione, la cui paternità si fa risalire a Gregorio Magno, della
tomba di S. Pietro, con un corridoio semianulare che aggira la camera
sepolcrale, al di sopra della quale si dispone l’altare della basilica.
Tipicamente romana, questa soluzione sarà alla base della più diffusa
tipologia di cripta in uso per tutto il periodo medievale, trovando le
ragioni del suo successo nella praticità legata alla possibilità di
un’agevole circolazione dei fedeli in relazione al culto delle reliquie dei
martiri.

IL SOSTANZIALE APPORTO BIZANTINO a Roma si può definire con


concretezza attraverso le opere: il testo base per questa valutazione è
la cosiddetta parete palinsesto di S. Maria Antiqua, una complessa
stratificazione di affreschi di epoche diverse, comunque racchiusi tra il
VI e l’VIII secolo. Lo strato più antico (figura di Madonna regina) non si
distanzia solo cronologicamente ma anche nella sostanza dei modi
stilistici dal mosaico dei Ss. Cosma e Damiano: questo spiega come il
linearismo che caratterizza i più tardi mosaici di S. Lorenzo fuori le
Mura e di S. Agnese non sia il frutto di un’ingerenza bizantina ma la
probabile continuazione di una maniera romana che tende sempre più
a decantarsi in chiave grafica. Per contrasto, il secondo strato
(Annunciazione), da fissare cronologicamente sul finire del VI secolo,
evidenzia un gusto plasticamente fuso del colore, di un sapore
neoellenistico che sarà il tratto che accomunerà molte delle pitture
realizzate nella stessa chiesa nel corso del secolo successivo, ma
anche alcune delle più note icone altomedievali, come quella del
Pantheon, la cui realizzazione deve risalire al tempo della
cristianizzazione dell’edificio.

L’INFLUSSO ICONOGRAFICO PALESTINESE. Il rapporto con il mondo


orientale nella Roma altomedievale non è tuttavia supinamente
adagiato sulla cifra classicistica: il mosaico absidale di S. Stefano
Rotondo, fatto realizzare da Teodoro I, nel motivo del busto del Cristo
che sormonta la croce, affiancata dai Ss. Primo e Feliciano, denuncia
l’acquisizione di un’iconografia tipicamente palestinese, consona con le
origini gerosolimitane del committente. Sarà questa una linea culturale
che correrà altrettanto prepotente nell’arco dell’alto Medioevo romano,
in quanto a essa si rifaranno, intorno alla metà del VII secolo, gli
affreschi del primitivo oratorio del complesso di S. Saba, un secolo
dopo (741) quelli della cappella dei Ss. Quirico e Giulitta in S. Maria
Antiqua e, sul finire del IX, gli affreschi del cosiddetto tempio della
Fortuna Virile, solo in quel momento cristianizzato. Tale componente
palestinese si differenzia per una più marcata e sbrigativa
caratterizzazione lineare, oltre che per delle specifiche notazioni
iconografiche.
Quando si arriva al grande momento di produzione artistica che
corrisponde, tra VIII e IX secolo, alla conquista franca del regno e alla
rinascita dell’Impero d’Occidente, ma anche alle prime esplicite
affermazioni di una volontà teocratica da parte dei papi, è difficile
definire i termini formali delle scelte stilistiche fatte in tale occasione.
Sul piano architettonico il problema è ancora una volta più semplice,
perché, se lo scomparso Triclinio Lateranense si richiamava, nella
forma della sala poliabsidata, a un tipo esistente nel Palazzo imperiale
di Costantinopoli, le successive fondazioni di Pasquale I pretendevano
di riprodurre degli impianti tipici della Roma paleocristiana, così come
allo stesso ambiente si richiamavano, almeno iconograficamente, le
ricche decorazioni a mosaico che ancora oggi ne ornano gli interni. S.
Prassede, S. Cecilia in Trastevere, S. Maria in Domnica e poco dopo, al
tempo di Gregorio IV, S. Marco sono espressioni, in versione romana,
della mentalità antichizzante, talvolta addirittura archeologica, che
segna oltralpe il mondo carolingio.
VERSO MODELLI PALEOCRISTIANI a Roma la scelta è volutamente
indirizzata, perché è dalla loro rilettura che scaturisce la possibilità di
una rappresentazione simbolica del perpetuarsi della Chiesa come
istituto e del fissarsi delle ragioni della sua origine divina. Questo
ritorno all’antico si condiziona in forme nelle quali di necessità
convivono i più diversi apporti che fino ad allora avevano alimentato la
cultura pittorica romana. Ciò ne rende difficile la definizione, visto che
si tratta, sul piano stilistico, di operazioni sostanzialmente parallele a
quella, caratteristica anch’essa del momento, del riuso di pezzi antichi
e di colmamento delle lacune che la loro condizione di frammenti
comportava. Tale integrazione, come nel caso del portale della
cappella di S. Zenone in S. Prassede o delle mensole della volta in
quella di S. Barbara ai Ss. Quattro Coronati, avveniva sì riprendendo i
motivi classici, ma adattandoli a una mentalità formale che, nello
specifico dell’operazione, risentiva della regolarità acquisita, a partire
dal VI secolo, dall’esempio del decoro bizantino, con risultati
squisitamente ibridi, ma non per questo privi di fascinosa qualità, che
avrebbero dato luogo, nel corso del IX, a una originale produzione
plastica finalizzata all’arredo interno delle chiese (si ricordi la ricca
recinzione corale di S. Sabina).
LA DETERMINAZIONE DEI TEMI ICONOGRAFICI mostra in questo
momento, come del resto è ovvio, una maggiore autonomia. La
decorazione del Triclinio Lateranense, di cui rimane una modesta
copia addossata all’edificio della Scala Santa, è il primo esempio
dell’invenzione, da parte papale, di immagini che nella sostanza
equivalgono a manifesti politici. Questo modo di fare diverrà
particolarmente intenso tra XII e XIII secolo, dando luogo a una serie di
cicli oggi perduti, tutti nel contesto del Palazzo Lateranense, che
troveranno la propria ragione d’essere nel contingente storico e nella
difesa, all’interno di esso, degli interessi papali: una prassi che
giungerà fino a Cola di Rienzo, il quale, alla metà del Trecento,
durante la sua breve avventura, farà un uso politico altrettanto
spregiudicato della pittura. Si delinea in ciò uno dei tratti più
caratteristici della mentalità figurativa romana, la quale, sotto un
apparente conservatorismo formale, mai disdegna i caratteri di una
sperimentazione iconografica d’avanguardia.

Nella decorazione del Triclinio Lateranense questi aspetti si erano


fissati, più che nella «traditio legis» dell’abside, nelle due figurazioni ai
lati dell’arcata, tese a definire una rispondenza tra Cristo e S. Pietro e,
di conseguenza, tra papa Silvestro e Costantino da un lato e Leone
III, committente del mosaico, e Carlo Magno dall’altro, con una lettura
in parallelo degli eventi storici della fondazione dell’impero cristiano e
della sua rinascita la cui conclusione di giudizio altro non poteva
essere che la dimostrazione della superiorità del potere papale su
quello imperiale, un tratto intorno al quale sempre si sarebbero
argomentate le successive figurazioni di analogo tenore.

TRA XI E XII SECOLO contribuisce alla diffusione di questo modo di


fare la lunga vicenda della riforma ecclesiastica e della lotta per le
investiture, nel cui contesto lo scontro tra papato e impero propone la
necessità di ricorrere a tematiche nella sostanza di fondo impostate
sui termini della falsa donazione costantiniana. Anche in questo
momento l’ipotesi di un’interpretazione dell’arte romana come
totalmente adagiata su un’evocazione dell’antico è fuorviante e
irrispettosa delle molte sfumature che i fenomeni acquistano.

Mancano purtroppo gli strumenti per valutare a fondo la portata


formativa in quel senso di una tappa idealmente fondamentale come
la fine del X secolo, quando il tentativo di rinascita culturale dell’antico
impero cristiano da parte di Ottone III e di Silvestro II, che si
sostanzia nella costruzione della chiesa di S. Bartolomeo all’Isola
espressamente voluta dall’imperatore carica di echi e memorie
antiche, si accompagna a una marcata presenza cluniacense a Roma,
di cui non si riescono altrettanto bene a fissare gli apporti in campo
artistico. Soprattutto perché non si può valutare se vi sia stato e quale
sia stato un eventuale contributo della cultura cluniacense a fatti di
committenza laica e privata come, prima del 1000, gli affreschi della
chiesa di S. Maria in Pallara o, intorno al 1011, di quella di S. Urbano.
In essi, sia sul piano stilistico sia su quello della programmazione
decorativa, già si trovano quei termini di gusto ciclicamente disteso,
ripresi dalle grandi basiliche paleocristiane, che saranno il tratto più
significativo della decorazione parietale romana fino alla fine del
Duecento.

LE NOVITÀ ARCHITETTONICHE DEL GRANDE SVILUPPO EDILIZIO DEL XII


SECOLO. Motivate da una lettura filtrata attraverso le vicende
dell’abbazia di Montecassino al tempo dell’abate Desiderio (poi Vittore
III), si è spesso portati a vedere quelle scelte come conseguenti a
un’ennesima ripresa in chiave antichizzante, sulla scorta, ancora una
volta, della volontà simbolica di sottolineare, attraverso l’operazione,
la continuità della Chiesa. In realtà, a fronte di un XI secolo povero di
testimonianze, il grande sviluppo edilizio degli inizi del XII solo a fatica
può essere letto come una supina ripresa di termini paleocristiani,
volutamente presenti forse solo a S. Maria in Trastevere per iniziativa
di Innocenzo II. Finalmente fanno la loro comparsa a Roma, a S.
Clemente e a S. Maria in Cosmedin, i pilastri, sia pure inframmezzati
alle colonne, ma si hanno anche sintomi di una volontà architettonica
più complessa a livello degli alzati, con una diffusione dei finti
matronei che coinvolge edifici come i Ss. Quattro Coronati, S. Croce in
Gerusalemme e i Ss. Bonifacio e Alessio (distrutti nella sistemazione
settecentesca), tanto da rendere meno estraneo all’ambiente il di lì a
poco avviato progetto borgognone della bernardina abbazia
cistercense delle Tre Fontane, con volta a botte spezzata sulla navata
centrale e crociere sulle navatelle.
IL MOTIVO DECORATIVO DEL MOSAICO. Lo stesso vale per le
decorazioni pittoriche, dove la presenza di ricalchi antichizzanti non
consente di qualificare in un’identica direzione l’operazione nel suo
insieme. In questo senso, sul finire dell’XI secolo, gli affreschi della
chiesa inferiore di S. Clemente, con la lirica linearità che ne
caratterizza i tratti stilistici, sono l’espressione più alta di un clima
pittorico, tipicamente romano, che avrà piena vitalità almeno fino alla
metà del XII, quando sarà seguito da un periodo di lacunosa
incertezza. Nello stesso torno di tempo, a S. Clemente, a S. Maria in
Trastevere e a S. Maria Nova, al di là delle ragioni pratiche che
possono aver comportato per l’esecuzione la chiamata di una
maestranza allevata nella Campania cassinese, anche la ripresa della
grande decorazione a mosaico si muove lungo binari squisitamente
romani, che portano all’invenzione di figurazioni dalla raffinata e
inconsueta sottigliezza iconografica, riflesso della vivacità intellettuale
dell’ambiente.
La stessa vivacità di scelta sarà alla base dell’iniziativa di Onorio
III di chiamare dei mosaicisti veneziani per la realizzazione della
decorazione absidale della basilica di S. Paolo fuori le Mura. In questo
caso l’operazione investiva il gusto ed era intesa a soppiantare,
attraverso una diversa ragione stilistica, la moda pittorica improntata
alla maniera bizantina, dinamica e linearistica, che aveva
caratterizzato la fine del periodo comneno e che era largamente
penetrata a Roma grazie al cantiere musivo per il rifacimento della
decorazione absidale di S. Pietro voluto dal predecessore Innocenzo
III. La scelta veneziana rappresentò un’opzione nella direzione di un
fare saldo e plasticamente risentito, con una felicità monumentale
della forma molto efficacemente espressa.
PER I PITTORI ROMANI DELLA PRIMA METÀ DEL XIII SECOLO essa
costituì un’esperienza determinante visto che su modelli e modi di fare
propri della decorazione di S. Paolo si fondò ancora quella dell’oratorio
di S. Silvestro ai Ss. Quattro Coronati, realizzata nel 1246. Nel narrare
in una chiave cerimoniale dal forte sapore antiimperiale le vicende
della storia di papa Silvestro e di Costantino, il suo stile inespressivo
ma severo può essere paragonato, sul piano del gusto, ai valori di
ripresa dall’antico che caratterizzano, in questo stesso momento, la
vasta produzione delle due più significative botteghe di marmorari,
quella dei Vassalletto e quella che, discendente da Jacopo di Lorenzo,
con il figlio di questi Cosma contribuì a dare il nome all’intera
categoria di artigiani del marmo. Più che sull’uso dei commessi
multicolori, la cui tradizione, almeno per i pavimenti, risale già
all’epoca altomedievale, la loro produzione si caratterizza in questo
momento per la frequente rilettura di modelli antichi spesso di origine
egizia, sfingi e leoni le cui forme vengono interpretate alla luce di una
coagulata freddezza di tratti.
IL SUPERAMENTO DI QUESTO MODO DI FARE si avrà nella seconda
metà del XIII secolo, in particolare al tempo del papato di Niccolò III.
L’ipotesi che ciò avvenga ancora nella prospettiva di un richiamo alle
antichità cristiane è limitante nei confronti della complessità di un
fenomeno che ruota intorno ad alcuni primi attori e a una folla di
comprimari di qualità. La presenza a Roma di Arnolfo di Cambio fin dal
tempo del senatorato di Carlo d’Angiò e la sua collaborazione con le
botteghe dei marmorari, documentata al 1285 per il ciborio di S. Paolo
fuori le Mura, contribuisce a introdurre nella cultura locale una
dimensione stilistica che è marcatamente improntata al gotico
parigino.
Tuttavia il fenomeno non si limita a questo. Già in precedenza, al
tempo di Niccolò III, la ricostruzione del «Sancta Sanctorum»
lateranense aveva mostrato, da parte delle stesse botteghe,
un’attenzione ai modi assisiati che bene si riflette nel finto loggiato
interno. Il restauro degli affreschi paleocristiani di S. Paolo fuori le
Mura, addirittura anteriore come avvio a quel pontificato, permette di
riconoscere la rapida diffusione a Roma di uno stile pittorico,
sapientemente fondato sulla fusione dei colori e sulla loro capacità di
costruire la forma in termini languidamente realistici, la cui matrice è
da rintracciare ancora in un loggiato del braccio destro del transetto
della basilica superiore di S. Francesco ad Assisi. A questo stile si
impronteranno le decorazioni pittoriche, volute da Niccolò III, nel
«Sancta Sanctorum» e nell’atrio di S. Pietro, ma il suo valore storico
più spiccato sarà quello di essere alla radice della formazione delle
personalità di Pietro Cavallini e di Jacopo Torriti, i due più significativi
capibottega della Roma del tardo Duecento. Anche la matrice
bizantina, di raffinato plasticismo paleologo, che viene spesso invocata
per spiegare questo momento della pittura romana deve essere vista
semplicemente come una componente di mediazione, attraverso la
complessa cultura dell’anonimo maestro assisiate che è all’origine del
fenomeno.
Altrettanto significativo dovette essere l’esempio di Arnolfo in
vista della ricerca di una spazialità nuova. La notizia della sua
collaborazione col Cavallini, nel restauro della chiesa di S. Cecilia in
Trastevere, spiega come in questo edificio, intorno al 1293,
l’impaginato architettonico delle scene testamentarie, che aveva dato
prove di sé anche nel corso del Medioevo (tra il 1056 e il 1057 negli
affreschi della basilica inferiore di S. Crisogono), trovasse finalmente
una fascinosa interpretazione prospettica. Le immagini dei profeti, al
culmine del decoro, si mostravano come statue disposte in uno spazio
reale, sfolgorante di dipinta decorazione di gusto cosmatesco, nella
quale si sommavano e si sintetizzavano, in una forma nuova, le
esperienze diverse che erano convenute sul cantiere di S. Paolo fuori
le Mura, a proposito del quale la testimonianza di una presenza
cavalliniana risale già al Ghiberti.

LA DIMENSIONE AGGIORNATISSIMA DI UN GOTICO ROMANO, che è


ragione determinante in vista del formarsi della cultura giottesca e del
rinnovamento più generale del linguaggio artistico che caratterizza
l’Italia del primo Trecento, si coglie negli esiti di questo gusto
Altrettanto vitale è l’esperienza di Torriti la cui presenza al tempo di
Niccolò IV, a realizzare le decorazioni absidali di S. Giovanni in
Laterano e di S. Maria Maggiore, si propone come quella di uno
straordinario evocatore di rutilanti scenografie musive in cui
l’originalità iconografica propria della tradizione romana è rivissuta in
una dimensione stilistica di raffinata eleganza espressiva, meno
rivoluzionaria, sul piano compositivo, rispetto ai modi cavalliniani,
inclini a calcare di più il valore plastico della forma, ma proprio per
questo adatta a segnare il senso di una continuità con il passato.

LA FINE TRAUMATICA DI QUESTA FELICE STAGIONE DELLE ARTI a Roma


si ha con il trasferimento della corte papale ad Avignone nel 1309.
Venuti meno con il pontefice e con i cardinali i potenziali committenti,
anche gli artisti si trasferirono altrove, come provano la documentata
presenza di Cavallini a Napoli dal 1308 e il lungo soggiorno in Francia,
almeno fino al 1319, di Filippo Rusuti, autore, entro il 1297, della
parte superiore del mosaico della facciata di S. Maria Maggiore.
L’unica committenza di rilievo del primo Trecento fu, a opera di papa
Giovanni XXII, il mosaico della facciata di S. Paolo fuori le Mura,
incertamente riferito al Cavallini ma più probabilmente di Lello da
Orvieto. Legati alla personalità intellettuale del cardinale Jacopo
Stefaneschi sono poi i vari soggiorni romani di Giotto, dei quali il frutto
più cospicuo ancora oggi esistente è il polittico della Pinacoteca
Vaticana destinato in origine all’altare maggiore di S. Pietro. In ogni
caso il carattere isolato di quegli interventi non contribuì, dopo il
momento delle grandi esperienze di fine Duecento, al fissarsi di un
gusto pittorico nuovo. Le testimonianze figurative distese nell’arco del
Trecento, legate in genere a iniziative private di carattere votivo,
provano lo stanco trascinarsi di una cultura ormai sorpassata, che
chiude il Medioevo romano nella luce incerta e malinconica di un
provinciale abbandono.

L’ETÀ MODERNA E CONTEMPORANEA

Il rientro di Martino V a Roma (30 settembre 1420) non provocò


immediatamente sviluppi importanti in campo artistico. Già nel 1425
però la commissione a Masolino da Panicale e Masaccio del trittico
della Neve per la cappella Colonna in S. Maria Maggiore da parte del
cardinale Branda Castiglioni segnò l’inizio di una consapevole fase
umanistica. L’opera dovette avere grande rilievo nella cultura artistica
del tempo: fu vista da personalità insigni e, ancora nel Cinquecento,
Michelangelo, come testimonia il Vasari, la indicava quale indiscusso
capolavoro. Contestualmente fu presente a Roma Gentile da Fabriano
che affrescò la navata centrale di S. Giovanni in Laterano, lavoro
terminato dopo la sua morte (1427) da Pisanello. Nel quarto decennio
si ricorda la decorazione della cappella del cardinale Branda Castiglioni
nella basilica di S. Clemente; gli affreschi furono eseguiti da Masolino
con alcuni aiuti mai identificati con certezza (del tutto inattendibile è il
tentativo di alcuni esegeti di vedere la mano di Masaccio o di
Domenico Veneziano tra i collaboratori). Notevole impulso ebbe in
quel periodo la scultura. Nel quarto decennio fu presente a Roma
Donatello (lastra marmorea del cardinale Crivelli in S. Maria in
Aracoeli; lastra bronzea di Martino V in S. Giovanni in Laterano,
eseguita da Simone Ghini), mentre alla fine di quello stesso decennio
fu attivo Antonio Averulino, il Filarete (scultore, orafo, trattatista),
toscano di origine ma permeato di cultura veneta squarcionesca, che
eseguì con ampio stuolo di collaboratori la porta bronzea della basilica
di S. Pietro.
L’approssimarsi del giubileo del 1450 provocò un’accentuazione di
rapporti con il mondo umanistico fiorentino, la cui fama era stata
consolidata dal concilio, svoltosi in quella città nel 1439, per la
riunificazione delle Chiese greca e latina. Il maggior artista fiorentino
presente a Roma in prossimità di tale data fu Beato Angelico; delle
varie opere che il maestro eseguì nel Palazzo Vaticano resta la
cappella di Niccolò V, vertice della cultura umanistica di carattere
religioso. Accanto all’Angelico, anche se da lui ben distinto per fattori
stilistici più decisamente profani, fu il grande scultore Isaia da Pisa, cui
si deve l’importante tomba di Eugenio IV, oggi nell’antirefettorio di S.
Salvatore in Lauro, capolavoro della scultura umanistica.

L’ATTIVITÀ ARTISTICA si intensificava, anche sotto l’aspetto


urbanistico e architettonico (all’inizio del secolo Roma non superava i
20000 abitanti e appariva gravemente degradata nelle strutture
urbane e nella conservazione del patrimonio classico), mentre
numerosi pittori e scultori lavoravano in città, sollecitati da insigni
committenti. Purtroppo gran parte della produzione artistica tra quarto
e quinto decennio è andata perduta: restano solo alcune memorie
insigni, come le pitture murali frammentarie nella cappella dei Ss.
Michele e Pietro in Vincoli in S. Maria Maggiore, opera probabile di
Jean Fouquet (anche se mal creduta, per molto tempo, di Piero della
Francesca) su commissione del cardinale Guglielmo d’Estouteville, uno
dei più dotti mecenati del tempo, arciprete della basilica dal 1445 al
1483.
Un’altra presenza importante a Roma, in campo pittorico, fu
quella del folignate Bartolomeo di Tommaso, poco dopo il giubileo, nei
Palazzi Vaticani, ma gli affreschi sono andati perduti, così come sono
perse la decorazione eseguita da Benozzo Gozzoli in S. Rosa a Viterbo,
che dovette avere notevole influsso sull’ambiente romano, e le opere
che Piero della Francesca eseguì a Roma sul finire del sesto decennio.

IL GIUBILEO SEGNÒ LA RIPRESA DI UN’AUTENTICA ATTIVITÀ EDILIZIA:


cominciò la costruzione del palazzo di Venezia a opera del cardinale
Pietro Barbo, poi papa col nome di Paolo II, su progetto di Francesco
da Borgo S. Sepolcro, architetto attivo nella cerchia di Leon Battista
Alberti; venne edificato palazzo Capranica, importante prototipo di
architettura civile, e innalzata la casa dei Cavalieri di Rodi sulle rovine
del foro di Traiano.
Nel settimo decennio fu portata a termine anche un’eccezionale
opera di scultura: il ciborio sull’altare di S. Maria Maggiore datato 1461
(oggi rimontato in vari punti della basilica), opera di Mino del Reame,
scultore misterioso la cui identità storica è stata a lungo discussa fino
a farne una sola persona con Mino da Fiesole, altro scultore toscano
attivo a Roma poco dopo. L’inizio del settimo decennio segnò inoltre
l’esordio del più importante pittore romano della fine del secolo:
Antoniazzo Romano. Questi cominciò lavorando per il cardinale
Bessarione, per la cui cappella nella basilica dei Ss. Apostoli eseguì
alcuni affreschi (oggi non ancora chiaramente identificabili) e la tavola
d’altare.

ANTONIAZZO si leva di molto sui pittori dell’ambiente benozzesco e


numerose sue opere conservate, che si scaglionano tra il settimo
decennio e i primissimi anni del Cinquecento, ne attestano l’alto valore
artistico. Custode di varie confraternite, detentore della sorveglianza di
alcune sacre immagini della città, fu artista rigorosamente inquadrato
nella tradizione iconica del mondo laziale e nel contempo tecnico
raffinatissimo che portò ai suoi estremi sviluppi la pittura a tempera su
tavola.
Intorno ad Antoniazzo gravitarono numerosi artisti (della sua
famiglia, della bottega e anche indipendenti), la cui ricostruzione è
estremamente ardua; vanno ricordati almeno gli affreschi nel
monastero di Tor de’ Specchi (1468), opera di artisti di cultura tosco-
romana.

LA SVOLTA UMANISTICA, nella gestione della curia romana e nel


conseguente impulso verso la creazione artistica, fu segnata
dall’ascesa al soglio pontificio di Sisto IV nel 1471. Tra gli incarichi più
importanti affidati dal pontefice spicca il ciborio marmoreo sulla tomba
di S. Pietro, opera di maestranze romane in stretto contatto con
l’ambiente fiorentino che il pontefice predilesse; gli autori dell’opera,
ancora oggi conservata scomposta nel patrimonio della Fabbrica di S.
Pietro, si ispirarono ai rilievi della Colonna Traiana, che da quel
momento diventerà una fonte imprescindibile. Del resto lo stesso
pontefice, donando al popolo romano parte della sua straordinaria
collezione di bronzi e statue antiche, creava la prima istituzione
museale pubblica nella storia della città moderna, incitando
implicitamente alla ricerca sull’antico che è il fondamento stesso di
ogni poetica di tipo umanistico.
Sotto Sisto IV Roma fu visitata da Melozzo da Forlì, eccezionale
esponente della pittura prospettica che in quegli anni vide impegnato
anche Mantegna; delle opere che Melozzo eseguì a Roma è perito
purtroppo l’affresco dell’abside della basilica dei Ss. Apostoli (se ne
conservano il Cristo in gloria nel palazzo del Quirinale e il gruppo
centrale con la famosa serie di angeli musicanti), mentre l’affresco con
l’Istituzione della Biblioteca Vaticana è ai Musei Vaticani.

A Melozzo va affiancato il grande scultore comasco Andrea


Bregno, attivo a Roma dalla fine del settimo decennio, direttore dei
lavori del cantiere di S. Maria del Popolo. Bregno è tipico esponente di
quella cultura umanistica e artigianale che promanava dalla
Lombardia: scultore e architetto, eseguì l’altare maggiore della chiesa
di S. Maria del Popolo (ora in sagrestia) e numerose tombe in varie
chiese di Roma, con cui consacrò un prototipo che riprende modelli
della Roma paleocristiana accanto a strutture tipiche dell’Umanesimo
toscano. Con lui collaborò per qualche tempo il fiorentino Mino da
Fiesole, autore, con l’altro grande scultore Giovanni Dalmata, del
grandioso monumento sepolcrale di Paolo II (oggi proprietà della
Fabbrica di S. Pietro).
Nel 1478 venne redatto lo statuto dei pittori, ancora oggi
conservato presso gli archivi dell’Accademia di S. Luca, da cui si
deduce un forte incremento dell’attività e si constatano numerose
presenze che la storiografia moderna non ha potuto ricostruire.

ANCHE IL CAMPO ARCHITETTONICO è toccato dall’influsso di Melozzo.


Ne è preclaro esempio il palazzo della Cancelleria, il cui cortile denota
una cultura lauranesca che mette in contatto Roma con Urbino e
prepara l’esordio di Bramante.
Nello stesso nono decennio in cui i lavori del palazzo giunsero al
culmine, l’influsso toscano a Roma assunse una forma ancora più
definita con l’affrescatura delle pareti laterali della Cappella Sistina,
terminata entro il 1484. Gli autori furono Sandro Botticelli,
Ghirlandaio, Cosimo Rosselli, Luca Signorelli, Perugino, Bartolomeo
della Gatta, Pinturicchio e altri: non tutti toscani quindi, ma certo
unificati da una prospettiva culturale unitaria che fa costante
riferimento allo stile dell’Umanesimo fiorentino. Poco dopo anche
Mantegna dipinse nei Palazzi Vaticani, ma la sua opera è stata
sciaguratamente distrutta nell’Ottocento per l’apertura del Braccio
Nuovo del Museo Chiaramonti.
Altro sommo pittore attivo a Roma in quel lasso di tempo fu
Pinturicchio, che emerse tra i frescanti della Sistina insieme ai giovani
colleghi Rocco Zoppo e Andrea d’Assisi, restati però a latere delle
grandi imprese romane. Egli affrescò la cappella Bufalini nella chiesa
dell’Aracoeli – massimo capolavoro della cultura figurativa umanistica
– e, all’aprirsi dell’ultimo decennio del secolo, divenne una sorta di
alter ego, in campo pittorico, del Bregno in quello scultoreo; per il
nuovo pontefice Alessandro VI Borgia decorò l’appartamento vaticano
che da quel papa prese il nome, impresa straordinaria che lo consacrò
primo pittore di Roma.
ALCUNE TRA LE MASSIME OPERE SCULTOREE di tutto il secolo giunsero
in città negli stessi anni: le tombe bronzee dei pontefici Sisto IV e
Innocenzo VIII eseguite dal Pollaiolo, il maestro fiorentino rinnovatore
delle antiche tecniche di fusione. La presenza di questo artista è la
dimostrazione dell’altissimo livello raggiunto dalla cultura umanistica
romana negli ultimi anni del secolo. Ne è clamorosa conferma
l’affrescatura della cappella Carafa in S. Maria sopra Minerva da parte
del fiorentino Filippino Lippi – opera, in larga parte ancora conservata,
che conclude praticamente il secolo – cui fa da contrappunto l’attività
di un altro importante scultore, il lombardo Luigi Capponi (sua la
Crocifissione ora nella sagrestia della chiesa di S. Maria della
Consolazione).
Il nuovo secolo vide all’opera nuovi maestri, in parte dipendenti
dalla lezione del Pinturicchio (arricchitasi con l’importante attività a
Siena per la libreria Piccolomini) in parte connessi con le recentissime
ricerche sul patrimonio della classicità, corroborate dalla scoperta della
Domus Aurea e delle sue «grottesche». Si ricorda l’esordio clamoroso
di Baldassarre Peruzzi, autore, o meglio coordinatore, degli affreschi
notevolissimi nell’abside di S. Onofrio al Gianicolo, e l’attività del
misterioso Jacopo Ripanda, un bolognese cui sembra di poter
attribuire con certezza buona parte degli affreschi della sala delle
Guerre Puniche nel palazzo dei Conservatori in Campidoglio.
IL GRANDE AMORE PER LA CLASSICITÀ sollecitava un’attenzione
particolare da parte di artisti e committenti per la statuaria, in
considerazione del fatto che questa documentava molto meglio della
pittura, in gran parte scomparsa, gli ideali artistici degli antichi. Ciò
spiega l’enorme rilievo dell’attività scultorea nella Roma di inizio
Cinquecento, con la presenza eccezionale di Michelangelo che proprio
nel 1500 portava a termine la Pietà, ma anche il ciclopico progetto di
Michelangelo stesso di innalzare una tomba contesta di statue
gigantesche quale immane camera mortuaria di Giulio II, progetto
osteggiato dal pontefice stesso che preferì affidare a Michelangelo
l’incarico della affrescatura della volta della Cappella Sistina (1508-
1512). Tale evento, però, dava fondamentalmente ragione alla linea
«pittorica» perseguita dal Pinturicchio, che nel 1509 affrescò la volta
del coro in S. Maria del Popolo, e soprattutto da Raffaello, che nel
1508-1509 cominciò ad affrescare il nuovo appartamento papale,
sovrastante quello, abbandonato, di Alessandro VI.
Accanto alle gigantesche opere pittoriche, anche l’attività
architettonica ricevette un impulso memorabile in quei primi anni del
Cinquecento, poi definiti dagli storici «epoca rinascimentale». Si
ricostruì l’antica basilica di S. Pietro, affidando in un primo tempo la
direzione dei lavori (che nel secolo precedente era stata di Bernardo
Rossellino) a Bramante, autore, proprio all’inizio del secolo, del
memorabile chiostro di S. Maria della Pace, capolavoro del nuovo
Umanesimo urbinate, ed entro il 1507 del tempietto di S. Pietro in
Montorio, simbolo della nuova età dell’Oro contraddistinta da un
superiore concetto di armonia ed equilibrio degli elementi.

LA LEZIONE DI RAFFAELLO. L’idea della pianta centrale, che rifulge


nel tempietto di S. Pietro in Montorio sul Gianicolo, fu applicata da
Bramante anche nel progetto del nuovo S. Pietro e influenzò le
architetture dipinte da Raffaello nelle stanze Vaticane.
Quest’ultimo poi, nel concreto della sua attività di pittore, rinnovò
radicalmente il metodo dell’organizzazione del lavoro: contro l’ideale di
Michelangelo, sdegnosamente solitario, egli ripristinò l’antico metodo
della bottega, incaricata di dare espletamento ai progetti del maestro.
Artisti come Giulio Romano, Polidoro da Caravaggio, Perin del Vaga,
Raffaellino del Colle crearono una nuova scuola che portò a
compimento l’impresa raffaellesca delle Stanze, rimasta interrotta, per
la morte di Raffaello nel 1520, alla sala di Costantino.
Malgrado Michelangelo sostenesse la candidatura del veneto
Sebastiano del Piombo (autore della decorazione della cappella
Borgherini in S. Pietro in Montorio, con cui introdusse a Roma la
tecnica veneta dell’olio su muro innovando anche il tema della
Flagellazione di Cristo), gli allievi di Raffaello ottennero la
commissione, fatto decisivo per i futuri sviluppi della pittura romana.
Perin del Vaga emerse, poi, nella decorazione della cappella Pucci
in Trinità dei Monti, opera interrotta per il Sacco del 1527. Poco prima
la sua cultura, raffinata e ipersensibile, aveva determinato le sorti del
nuovo stile che informò tutta l’età di Clemente VII e trovò una matura
espressione nell’attività romana sia del Rosso Fiorentino (affreschi in
S. Maria della Pace) sia del Parmigianino.
Subì l’influsso raffaellesco anche Baldassarre Peruzzi che, in veste
di architetto, formulò due prototipi fondamentali: quello del palazzo
nobiliare di città (palazzo Massimo «alle Colonne») e quello della villa
suburbana (villa di Agostino Chigi, detta, poi, Farnesina). Ma anche
come pittore il tardo Peruzzi entrò nella cerchia raffaellesca,
sviluppando studi e ricerche sulla classicità che si pongono in parallelo
con quelle di Polidoro da Caravaggio e Maturino da Firenze, che
ripristinarono l’uso delle facciate graffite e dipinte con storie dell’antica
Roma.

DUE TENDENZE SI CONTRAPPOSERO nel periodo che precedette e


seguì immediatamente il luttuoso evento del Sacco (che provocò danni
gravissimi al patrimonio artistico): quella dell’estremo raffinamento
formale e quella della ritrovata monumentalità. Di questo secondo
aspetto massimo esponente fu l’architetto e ingegnere (ancorché
all’epoca queste due qualifiche non fossero nettamente distinte)
Antonio da Sangallo il Giovane, fieramente avversato da Michelangelo.
I magistrali lavori dei palazzi Baldassini prima (decorato da Perin del
Vaga e scolari) e Farnese poi (prototipo del palazzo monumentale) gli
assicurarono un posto di primissimo piano nella storia dell’architettura
e dell’urbanistica romana.
Il Sacco, sopravvenuto mentre il Parmigianino dava compimento
alla sua pala per la chiesa di S. Salvatore in Lauro (ora alla National
Gallery a Londra), provocò un periodo di interruzione nell’attività
artistica, i cui primi segni di ripresa (del tutto in chiave toscana) si
notano nella decorazione dell’oratorio di S. Giovanni Decollato, opera
di Jacopino del Conte, Francesco Salviati, Battista Franco e altri.
Un’impresa decorativa altrettanto importante fu l’affrescatura del
salone principale del palazzo Massimo «alle Colonne» del toscano
Daniele da Volterra, grande seguace della scuola michelangiolesca.
Costui si distinse anche nella decorazione di alcune cappelle nella
chiesa della Trinità dei Monti; in particolare va ricordata la cappella
Della Rovere, completata in prossimità del giubileo del 1550, la cui
Assunzione della Vergine, sull’altare centrale, costituisce uno dei
vertici della pittura romana del Cinquecento.
IL GIUDIZIO UNIVERSALE DI MICHELANGELO nella Cappella Sistina,
compiuto nel 1541, fu l’evento artistico che doveva destare la
massima ammirazione e le più roventi polemiche. L’opera venne
giudicata in un primo tempo pericolosamente incline ad avallare idee
protestanti e poi semplicemente licenziosa, tanto che Daniele da
Volterra, per evitarne la demolizione, si indusse a coprire le nudità dei
personaggi, guadagnandosi il soprannome celeberrimo di
«braghettone». Il dominio della cultura michelangiolesca era però
quasi assoluto in Roma, tanto è vero che fu Michelangelo stesso a
ricevere l’incarico di affrescare la cappella Paolina in Vaticano, per
l’Anno Santo, mentre uno dei suoi seguaci più insigni, Giorgio Vasari –
il futuro autore delle «Vite», uscite in prima edizione nel 1550 –
eseguiva l’affrescatura (1546) della Sala grande del palazzo della
Cancelleria, detta poi dei Cento Giorni, secondo una prospettiva
culturale celebrante le vite degli uomini illustri e il ritorno dell’età
dell’Oro.

LA COMMITTENZA DELLA POTENTE CASATA FARNESE (che aveva toccato


il suo culmine appunto con il papato di Paolo III) si espandeva anche
in altri ambienti. Così la sala Paolina in Castel S. Angelo, affrescata da
Perin del Vaga e Domenico Zaga; così la costruzione e decorazione del
palazzo Farnese di Caprarola (prototipo della nuova tipologia della villa
in forma di castello) su progetto del Vignola, autore della villa di Giulio
III – cui collaborarono il Vasari e Bartolomeo Ammannati – modello di
ogni futuro intervento di carattere rinascimentale.
È un momento di enorme interesse, nella cultura romana, verso
la decorazione «all’antica» che si esplica in tutti i campi,
dall’architettura e le arti maggiori (l’intervento di Taddeo Zuccari e
Prospero Fontana a villa Giulia, quello del piacentino Giulio Mazzoni
nel palazzo Capodiferro poi Spada, quello di un gruppo di artisti
emiliani e del Fontana stesso in palazzo di Firenze edificato
dall’Ammannati) alla decorazione a stucco, sempre più fiorente, alla
ricca produzione di oggetti e mobilia di cui purtroppo pochissimo
rimane.
L’esordio dello Zuccari, nella cappella Mattei di S. Maria della
Consolazione, subito dopo il giubileo del 1550, contribuì, tuttavia, a
indirizzare l’arte della pittura verso nuove forme. Il classicismo toccò
però il suo culmine nell’edificazione e decorazione della casina di Pio
IV nei Giardini Vaticani, opera di Pirro Ligorio, negli anni sessanta del
XVI secolo, mentre, subito dopo, subentrò una forma d’arte più
sensibile agli orientamenti del concilio di Trento (e che a buon diritto
può essere definita controriformata), che trova il suo campo di azione
nella decorazione degli oratori, prima quello del Gonfalone e poi quello
del Crocifisso. Emersero maestri come Nicolò Circignani, Giovanni De
Vecchi, Federico Zuccari (il colto fratello di Taddeo che fu tra i
maggiori trattatisti del tempo), Cesare Nebbia. A latere, ma molto
influente, stette il lombardo Girolamo Muziano, autore di opere di
eccezionale impegno in S. Caterina della Rota e in S. Maria degli
Angeli.

TRA NOVITÀ DI TENDENZE E SPIRITO DI CONSERVAZIONE. Le tendenze


di una pittura nel contempo paludata ed estrosa si svilupparono sotto
Sisto V, che impresse una svolta alla storia dell’urbanistica romana
trasformando, grazie alla collaborazione di un architetto intelligente
come Domenico Fontana, il volto della città, innalzando gli obelischi,
aprendo nuovi assi viari, favorendo l’urbanizzazione, imprimendo un
significato simbolico ai fulcri stradali, riportando a Roma, a uso degli
antichi, copiose acque (fontana del Mosè – mostra dell’Acqua Felice –
cui dettero il proprio contributo alcuni dei massimi scultori del tempo).
Con la rifondazione dell’Accademia di S. Luca (1593) a opera di
Federico Zuccari e auspice il cardinale Federico Borromeo, si può
considerare aperta una diversa fase dell’arte che si combatterà
attraverso un fierissimo contrasto tra novità di tendenze e spirito di
conservazione degli antichi valori.
Sotto il pontificato del colto papa fiorentino Clemente VIII si
celebrò il giubileo del 1600, forse il più importante di tutti sotto il
profilo della storia dell’arte. Vennero compiute opere ragguardevoli,
tra cui spiccano la decorazione del Transetto Lateranense (dove
operarono alcuni tra i maggiori pittori e scultori del tempo) e la
decorazione della cappella Contarelli in S. Luigi dei Francesi che segnò
l’esordio pubblico di Caravaggio. L’immensa fortuna della formula
caravaggesca è riscontrabile immediatamente. Pittori che avevano già
una buona carriera in corso – come Orazio Gentileschi, Giovanni
Baglione, Prospero Orsi, Antiveduto Grammatica – abbandonarono le
vecchie idee per farsi caravaggeschi e da quel momento l’arte
caravaggesca dominò per quasi un trentennio la scena romana, sia a
livello pubblico (ma con non pochi ostacoli) sia a livello privato.
A fronte del dominio caravaggesco stava l’influsso, altrettanto
forte, dell’Accademia dei Carracci, impostasi in Roma con la
decorazione della galleria di palazzo Farnese. A differenza di
Caravaggio, i Carracci ebbero molti e competenti allievi diretti, tra cui
spiccano Guido Reni, pittore originalissimo e innovatore, Domenichino
e Giovanni Lanfranco, impetuoso esponente di una prima forma di
barocco che culmina nell’affrescatura della cupola di S. Andrea della
Valle, compiuta entro il 1623.

Importante, poi, fu la presenza, in quegli stessi anni,


dell’Accademia dei Crescenzi, diretta da Cristoforo Roncalli detto il
Pomarancio. Egli impresse un senso particolare all’attività
dell’accademia, il cui intento era fondamentalmente quello di arrivare
a un’armoniosa sintesi di quella pluralità di tendenze che erano state
formulate in Roma, con entusiasmante contemporaneità, a partire
dall’anno giubilare 1600.
Mentre l’architettura esprimeva un’idea di arte castigata e severa
(Flaminio Ponzio nel palazzo Borghese di Montecavallo, poi Pallavicini
Rospigliosi; Giovanni Vasanzio nella basilica di S. Sebastiano) e la
scultura una concezione di intensa «sensibilità» dell’immagine (statue
di Camillo Mariani in S. Bernardo alle Terme; di Stefano Maderno nella
basilica di S. Cecilia in Trastevere; di Pietro Bernini in S. Maria
Maggiore; di Francesco Mochi per la porta del Popolo), la pittura
dispiegava un’infinita gamma di possibilità, dalla scuola toscana del
Cigoli e del Passignano (del quale ultimo si segnalano i quadri nella
cappella absidale di S. Maria della Pace) ai caravaggeschi Orazio
Borgianni, Orazio Gentileschi, Carlo Saraceni, Cecco del Caravaggio,
Spadarino, Bartolomeo Cavarozzi, ai bolognesi Domenichino (cappella
di S. Cecilia in S. Luigi dei Francesi), Reni (Aurora Pallavicini) e
Guercino, all’esordio di Andrea Sacchi e Pietro da Cortona, culminato,
negli anni trenta del XVII secolo, con i due capolavori in palazzo
Barberini, per non parlare della breve ma estremamente incisiva
presenza di Rubens nel primo decennio del Seicento.

LA PRODUZIONE ARTISTICA SOTTO PAOLO V. Il pontefice,


ottemperando alla ‘moderna’ idea di ampliare le competenze dell’arte
al mondo della nobiltà colta, aveva tentato di unificare le molte
tendenze affidando la supervisione di tutte le opere pubbliche (prima
fra tutte la decorazione fastosissima della cappella Paolina in S. Maria
Maggiore) a G.B. Crescenzi, dilettante di pittura e d’architettura,
nobile di cultura eletta, coadiuvato, in alcune imprese maggiori come
l’affrescatura della sala Regia al Quirinale, da Agostino Tassi,
imprenditore ed estroso creatore il cui esatto ruolo nella storia della
pittura del Seicento non è stato mai chiarito fino in fondo. Ma sotto
Urbano VIII il ritorno di esigenze più squisitamente dottrinali e devote
nella conduzione dell’opera d’arte favorì l’emersione di pochi
personaggi capaci di assumere una vera e propria ‘dittatura’ culturale,
come Gian Lorenzo Bernini nel campo della scultura o Pietro da
Cortona (con esiti però molto diversi) nel campo della pittura.
Contestualmente crebbero nuovi collezionisti che sollecitavano
implicitamente gli artisti a dedicarsi all’approfondimento dei «generi»
pittorici: dal paesaggio alla veduta, alla natura morta, alla scena di
genere, al tema mitologico e allegorico. Questo fatto incitò molti
artisti, italiani e stranieri, a venire a lavorare a Roma, al punto che un
vero e proprio movimento artistico come quello dei bamboccianti (dal
soprannome di «bamboccio» dato al loro fondatore, l’olandese Pieter
Van Laer) fu a predominanza straniera, fatto mai avvenuto fino a quel
tempo.

Mentre, quindi, la stessa tradizione architettonica passava dall’alto


artigianato di un Carlo Maderno – autore del criticato «braccio»
longitudinale (prolungamento delle navate) di S. Pietro, del superbo
palazzo Mattei di Giove e della bellissima chiesa di S. Susanna – al
rovello intellettuale di un creatore straordinario come Francesco
Borromini, e la scultura era pressoché monopolizzata dal genio
travolgente di Bernini (il baldacchino per l’altare maggiore di S. Pietro
fu opera talmente straordinaria e innovativa da implicare uno sforzo
congiunto di tecniche e competenze diverse, unificate solo
formalmente sotto il nome dell’artefice principale) e del bolognese
Alessandro Algardi (ritrattista sommo e vicino, nella fase tarda, agli
ideali estetici di Pietro da Cortona), la pittura annoverava figure geniali
e profondamente permeate di spirito filosofico come Andrea Sacchi,
Nicolas Poussin, Salvator Rosa, Angelo Caroselli, Pietro Testa, Pier
Francesco Mola fino a quell’autentico ‘risuscitatore’ di spiriti
caravaggeschi che fu il calabrese Mattia Preti, la cui opera culminante
fu l’affrescatura dell’abside di S. Andrea della Valle per il giubileo del
1650.

Pietro da Cortona, con la sua personalità poliedrica di eccezionale


architetto e pittore, sembra, invece, riassumere in sé il concetto
dell’artista rinascimentale, ormai fuori della logica storica, che prepara
l’avvento di nuove generazioni attraverso un influsso profondo e
ramificato. Durante la maturità estrema del Cortona (corrispondente
all’affrescatura del salone del palazzo Pamphilj in piazza Navona) si
scorgono nuove dimensioni dell’arte pittorica, prima fra tutte quella
reperibile nell’affrescatura della galleria di Alessandro VII al Quirinale,
impresa che, pur coordinata dal Cortona stesso, è del tutto lontana dai
suoi ideali artistici. Spicca in questa lavorazione Carlo Maratta, pittore
destinato a imprimere un influsso duraturo sulle sorti dell’arte italiana
ed europea.
NELLA SECONDA METÀ DEL SEICENTO, poi, salì sempre più l’influsso
francese a Roma e la grande stagione dell’arte italiana sembrò avviarsi
verso un inarrestabile declino. Bernini, apparentemente, domina
ancora il campo e sotto la sua supervisione si svolge il restauro di
alcune antiche chiese romane, «rimodernate» da Alessandro VII (S.
Maria del Popolo e S. Maria della Pace). Ma in realtà è un pittore di
cultura francese, Guillaume Courtois detto il Borgognone, a imprimere
una svolta all’arte pittorica in direzione barocca. Pittore di eccellente
qualità intrinseca, applica al tema pittorico l’idea berniniana dello
spazio continuo, culminante poi in imprese pittoriche memorabili come
l’affrescatura della chiesa del Gesù, commissionata dal generale dei
Gesuiti padre Oliva al suo conterraneo, il genovese Baciccia; con lui il
tema barocco tocca il suo culmine, per trionfare ancora
nell’affrescatura della chiesa di S. Ignazio del gesuita Andrea Pozzo.

Del resto, l’ultimo trentennio del Seicento vide crescere in tutte le


arti, maggiori e minori, una dimensione di esplicito gigantismo: dalla
decorazione della Sala grande di palazzo Colonna, opera dei toscani
Giovanni Coli e Filippo Gherardi, all’affrescatura della volta della chiesa
dei Ss. Domenico e Sisto di Domenico Maria Canuti con il
quadraturista Enrico Haffner.
Altamente sintomatica fu la nomina a presidente dell’Accademia
di S. Luca del francese Charles Le Brun nel 1670. Se ne sentirono
riflessi immediati in opere cruciali eseguite in città prima della fine del
secolo, come nell’altare di S. Ignazio nella chiesa del Gesù, dove
lavorano artisti del calibro di Pierre Legros, Jean-Baptiste Théodon,
Pierre-Étienne Monnot, eredi indubbiamente della tradizione italiana
che da Bernini era passata attraverso François Duquesnoy ed Ercole
Ferrata, ma già largamente autonomi, in un senso diverso di
magniloquenza espressiva.

UN ESTREMO RIGORE FORMALE, specchio fedele di una società


basata sul rispetto di rigide regole nella vita religiosa e politica,
caratterizzò la produzione artistica romana del XVIII secolo.
Emblematiche furono le figure del pittore Carlo Maratta, allievo di
Andrea Sacchi e degno discendente della scuola carraccesca, e
dell’architetto Carlo Fontana, continuatore di una tradizione di
classicità solenne risalente a Carlo Rainaldi (autore della normativa
facciata della chiesa di S. Maria in Campitelli) nei lavori grandiosi della
facciata di S. Marcello al Corso e della cappella Cybo in S. Maria del
Popolo, databili entrambi alla fine del Seicento.

Non per questo la cultura romana si presenta, nel passaggio fra i


due secoli, monolitica. Basti ricordare le due geniali figure di Giuseppe
Ghezzi, pittore fortemente influenzato dal mondo veneto (del resto
ben noto in Roma, con il fortunato soggiorno di Sebastiano Ricci), e di
Antonio Gherardi detto il Reatino, anche egli esponente (nella geniale
decorazione dell’oratorio di S. Maria in Trivio) di un recupero
entusiasmante della tradizione veneta, in questo caso veronesiana.
Tra i cicli pittorici più importanti che caratterizzano il passaggio tra XVII
e XVIII secolo va ricordato almeno quello delle pale d’altare e degli
affreschi in S. Silvestro in Capite, in cui Ghezzi è presente accanto a
Ludovico Gimignani, Giuseppe Chiari e altri, nonché quello della
navata principale della Chiesa Nuova, impresa dell’anno giubilare 1700
in cui, accanto a Ghezzi, spiccano Daniele Seiter e Francesco
Trevisani, un veneto destinato a imprimere un influsso profondo
nell’ambiente romano.
I grandiosi progetti che caratterizzano l’inizio del nuovo secolo, in
qualche modo condizionato dal senso della «grandeur» di marca
tipicamente francese, sono bene esemplificati dalla ristrutturazione
della basilica dei Ss. Apostoli, opera di Francesco Fontana figlio di
Carlo. Qui, sulla volta della navata, il Baciccia lasciava la sua ultima
impresa decorativa, mentre sull’altare maggiore il pittore bolognese
Domenico Maria Muratori, artista molto attivo nelle chiese e nei palazzi
romani, poneva la più grande pala d’altare mai eseguita in città, in cui
la composizione tumultuante di tipo prettamente barocco cede il posto
a un più vigile senso di rigore formale, preannuncio del futuro
neoclassicismo.

L’OPERA PIÙ QUALIFICANTE dell’inizio del nuovo secolo fu, però, la


decorazione della navata centrale di S. Giovanni in Laterano, che si
veniva tutta rinnovando, sino alla facciata del neopalladiano
Alessandro Galilei. Pittura e scultura, in questa impresa gigantesca,
gareggiarono in monumentalità ed espressione. Emerse la figura dello
scultore Camillo Rusconi, legato alla cultura marattesca, da
confrontare con il grande maestro francese Legros, autore di statue
memorabili come quella nella chiesa di S. Apollinare.

Ma i cicli decorativi si susseguirono senza posa. Da ricordare


quello della sala Riaria nel palazzo della Cancelleria; quello della
navata di S. Clemente, dove fu attiva una squadra di maestri di primo
piano (da Pier Leone Ghezzi, figlio di Giuseppe, a Giuseppe Chiari, a
Domenico Piastrini, a Giacomo Triga e altri); quello delle tele per S.
Maria in via Lata, dove spiccano i maestri del marattismo, da Pietro
De’ Pietri ad Agostino Masucci; alla decorazione della cappella Albani
in S. Sebastiano, dove lavorarono Giuseppe Passeri e Pier Leone
Ghezzi. Non meno importante fu l’attività degli scultori, tra cui spicca
Giuseppe Mazzuoli, autore delle bellissime statue nella cappella
Rospigliosi di S. Francesco a Ripa.

LA POSIZIONE DELLA CULTURA ROMANA, malgrado il centro artistico


più importante d’Europa fosse ormai Parigi, continuò a restare
eminente grazie anche al mito del «grand tour» e all’espansione della
produzione dei vedutisti (il cui massimo esponente è l’olandese
Gaspard Van Wittel, detto Vanvitelli). Le scuole pittoriche del Trevisani
e del toscano Benedetto Luti furono comunque le più importanti
dell’Europa intera, mentre un’intensa creatività fu garantita dalla
presenza di personalità eccezionali come il severo Marco Benefial (le
storie di S. Margherita all’Aracoeli sono tra i massimi capolavori della
cultura europea del tempo) o l’estroso Michelangelo Cerruti (il Martirio
di S. Anastasia nel soffitto dell’omonima chiesa è tra le imprese più
spettacolari e interessanti della prima metà del Settecento italiano).

IL PROBLEMA URBANISTICO A ROMA, ormai imprescindibile per la


qualificazione di una moderna capitale, riceve dal terzo decennio in
poi un’attenzione particolare. Lavori come la fontana di Trevi di Nicola
Salvi, la scalinata della Trinità dei Monti di Francesco De Sanctis, il
porto di Ripetta di Alessandro Specchi, l’ospedale di S. Gallicano di
Filippo Raguzzini, il palazzo della Consulta di Ferdinando Fuga,
l’ampliamento del palazzo Doria Pamphilj sul Corso di Gabriele
Valvassori sono altrettante testimonianze (e molte altre se ne
potrebbero citare su cui la storiografia sta tuttora indagando) di un
superiore livello di maturazione e decoro nella concezione della città.
È il medesimo concetto del decoro che si percepisce in opere
pittoriche di maestri come Giacomo Zoboli, Placido Costanzi,
Sebastiano Conca (il fondamentale soffitto affrescato nella basilica di
S. Cecilia in Trastevere), Stefano Pozzi, Pompeo Batoni. Su questo
versante, di decoro formale unito a estro e fantasia, vanno ricordate la
decorazione della chiesa dei Ss. Celso e Giuliano e l’affrescatura,
veramente rimarchevole, del piano nobile di palazzo Doria, opera del
bolognese Aureliano Milani.
A metà secolo tale tendenza a un supremo controllo della forma
culminerà con la produzione di un folto gruppo di artisti, da Jean
François De Troy ed Etienne Parrocel, antesignani del trionfo del gusto
francese in Roma, a Sebastiano Ceccarini, Gaetano Lapis, Odoardo
Vicinelli, Ludovico Stern, fino alla superba personalità di Pierre
Subleyras.

L’INTERESSE PER GLI STUDI DI ANTICHITÀ CLASSICA intorno alla metà


del secolo crebbe come in tutto il resto d’Europa. Nel 1745 il veneto
G.B. Piranesi pubblicò la prima edizione delle «Carceri» (si tratta di
stampe raffiguranti luoghi fantastici dell’antichità), in cui la cultura del
«capriccio» veneto si coniugava con la ricerca archeologica rigorosa,
promanante dalla riscoperta di Ercolano e dal nuovo impulso
conseguente alla ricerca filologica. Mentre artisti di poderosa cultura
barocca (Corrado Giaquinto, Gregorio Guglielmi o lo scultore Filippo
Della Valle) riempivano le chiese di Roma di nuovi solenni capolavori,
la moderna cultura archeologica venne consacrata dall’arrivo a Roma
nel 1755 di Johann Joachim Winckelmann, primo grande storico
dell’arte antica, ospite del cardinale Alessandro Albani in quella villa,
edificata su progetto di Carlo Marchionni sulla Via Salaria, che
diventerà il simbolo del luogo dedicato al culto del passato. Su questo
orientamento, un altro grande architetto, Antonio Asprucci, procedette
alla decorazione in stile neoclassico del casino Borghese, mentre
Anton Raphael Mengs affrescò la volta del salone principale di villa
Albani.
La nomina, nel 1763, del Winckelmann a direttore generale delle
antichità romane consacrò definitivamente tale nuova tendenza.
Piranesi rimase alquanto a latere, anche se a lui è dovuto uno dei
massimi capolavori del tempo: l’edificazione della chiesa di S. Maria
del Priorato e della piazza dei Cavalieri di Malta (titolari di quella
chiesa) all’Aventino.

ROMA DIVENTÒ LA META PREDILETTA DEL «GRAND TOUR», e questo


giustificò sia l’incremento del genere del «ritratto storico», dove spiccò
la personalità del Batoni, sia quello della pittura di veduta e di
paesaggio, dove emerse Jan Frans van Bloemen.
Nell’ultimo trentennio del Settecento Roma era tutta pervasa di
spiriti romantici. Furono in città Goethe, Tischbein, Angelika
Kauffmann, Volpato, Canova, Ceracchi e, soprattutto, quel Jacques-
Louis David che vi eseguì nel 1784 il Giuramento degli Orazi, destinato
a diventare il simbolo stesso del neoclassicismo eroico e prontamente
raccolto da Vincenzo Camuccini, mentre a margine restarono alcune
esperienze, pur di livello altissimo, quali quelle dei romantici umbratili
come Giuseppe Cades, Marcello Leopardi, Domenico Corvi e Felice
Giani (figura, quest’ultimo, di grande spicco, con numerosi interventi
tra cui, notevolissimi, quelli nel palazzo del Quirinale e in palazzo
Altieri).

L’INVASIONE FRANCESE DEL 1797, protrattasi per due anni, segnò un


momento di svolta. L’interesse della vita artistica romana si spostò
sempre più, secondo i dettami napoleonici, verso la ristrutturazione
urbanistica. Ne è chiaro segno la vicenda della costruzione di piazza
del Popolo, avviata già dal Mengs, in veste di direttore dell’Accademia
di S. Luca, nel 1773 e proseguita poi, con alterne vicende, fino al
progetto definitivo di Giuseppe Valadier, compiuto moltissimi anni
dopo. Al Valadier si deve anche la prima ipotesi di un «parco
archeologico» con la sistemazione del foro di Traiano, esempio tuttora
valido di inserimento dei ruderi nel contesto della città moderna. A un
altro illustre architetto, Raffaele Stern, si deve invece il primo progetto
di «museo archeologico moderno», con l’apertura del Braccio Nuovo
del Museo Chiaramonti nei Palazzi Vaticani. Un più moderno concetto
di romanticismo si percepisce nei successivi progetti di G.B. Caretti e
Giuseppe Jappelli per la villa Torlonia, luogo peculiare della cultura
romana.
Ciò implicava un oggettivo decadimento delle arti della pittura e
della scultura, cui cercò di porre rimedio Antonio Canova, autentico
tutore e imprenditore delle belle arti. Accanto a lui si formarono i
nuovi artisti, tra cui lo scultore danese Berthel Thorwaldsen, creatore
di una peculiare forma di neoclassico nitido e austero, e il pittore
Pelagio Palagi, autore di numerosi e importanti affreschi, pieni di
slancio emotivo e di attento controllo sulla tradizione classica. A questi
maestri si affiancò degnamente Bartolomeo Pinelli, artista che
adombrò la prima grande ipotesi di una ricostruzione ideale della vita
popolare romana attraverso il filtro della classicità, con risultati
sorprendenti e memorabili.
UN MOVIMENTO DI TIPO PURISTICO, di cui furono massimo
esponente lo scultore Pietro Tenerani e protagonista il gruppo dei
pittori autodenominatisi Nazareni, sotto la direzione del tedesco
Federico Overbeck, sorse però a Roma poco prima della metà del
secolo. Vivendo in comunità, presso il cenacolo di S. Isidoro, i giovani
tedeschi intendevano procedere a un’opera di recupero di quel
momento mirabile della storia, risalente al primo Umanesimo, quando
la cultura europea poteva apparire concorde e unitaria, sotto l’egida di
un cristianesimo colto e consapevole. Testimonianza di questa ipotesi
utopistica sono restati gli affreschi del casino della villa Massimo
Lancellotti, che interessarono molto un artista competente come
Tommaso Minardi.
Giungeva, intanto, anche a Roma l’eco delle nuove esperienze
tecniche, sia sotto il profilo costruttivo (l’uso del ferro) sia sotto quello
espressivo (la fotografia e le sue implicazioni rappresentative). Uno
dei primi pittori che tentò un inserimento delle nuove tematiche fu
Francesco Podesti, autore degli affreschi della sala dell’Immacolata al
Vaticano (1854); sul piano architettonico gli corrispose Virginio
Vespignani, che portò a compimento il progetto del cimitero del
Verano, l’ultima impresa della cultura cattolica romana.
MA LE NUOVE ESIGENZE LEGATE ALL’UNITÀ D’ITALIA, e quindi, in primo
luogo, alla stesura di un piano regolatore della città, spostarono
sempre più gli interessi artistici verso questioni pratiche e tematiche
sociali. Ne emerse una densa serie di opere improntate al più forte
sincretismo stilistico, già evidente nell’attività dei pittori delle ultime
generazioni come Cesare Mariani (autore di importanti affreschi in S.
Lucia del Gonfalone, S. Maria in Aquiro e S. Maria in Monticelli) o
Francesco Coghetti. Ma di maggiore interesse si presentano le opere
architettoniche di Luca Carimini (il nuovo palazzo Brancaccio), del
progressista Antonio Sarti (la manifattura dei Tabacchi in Trastevere),
dei geniali Luigi Gabet e Salvatore Bianchi (la stazione di Termini), di
Pio Piacentini (il palazzo delle Esposizioni).
Al piano regolatore, steso nel 1873 da Alessandro Viviani, dette in
parte attuazione il solenne architetto Raffaele Canevari, autore
dell’immane ministero delle Finanze. Tale nuova esigenza di
gigantismo (contemperata da imprese di diverso respiro come
l’austero e razionale quartiere Testaccio progettato da Giulio Magni)
culmina con la costruzione dell’Altare della Patria, su progetto di
Giuseppe Sacconi, e con la sistemazione di piazza Esedra (poi della
Repubblica), dove al solenne progetto architettonico di Gaetano Koch,
improntato al più rigoroso neorinascimentalismo, fa degno
complemento la fontana delle Naiadi del palermitano Mario Rutelli.
Sono tutte opere che fecero discutere in modo acceso e appassionato,
chiaro segno di un rinnovato interesse, all’alba del XX secolo, per
problematiche di ordine artistico in cui si vedevano riflessi concetti
morali, giuridici, economici e politici.

Nell’Altare della Patria, soprattutto, l’oscillazione stilistica tra il


liberty più esplicito (in numerose sculture e nel fregio di Angelo Zanelli
sulla fronte del Sacrario) e il classicismo più opprimente dava l’esatta
misura delle incertezze del gusto nella Roma del primo Novecento,
dove la presenza del palermitano Ernesto Basile, autore del nuovo
palazzo del Parlamento, o di pittori come Giulio Aristide Sartorio
(autore del fregio della sala del Parlamento stesso), Giuseppe Cellini
(decorazione della galleria Sciarra) denotano una volontà
«modernista» corroborata dai magnifici mosaici su disegno di Edward
Burne-Jones nella chiesa di S. Paolo entro le Mura, ma destinata a non
trovare, almeno nell’immediato, pronto riscontro.

APERTURA ALL’ARTE EUROPEA. Nel 1911 si tenne l’Esposizione


universale e gli apporti, anche sul piano artistico, furono notevoli.
L’orientamento romano era quello di un allargamento dell’ottica verso
la grande arte europea. Antesignano in questo senso era stato Nino
Costa, il raffinato artista toscano promotore del movimento «In Arte
Libertas». Costa aveva realizzato mostre di artisti cruciali come Arnold
Böcklin, Alma-Tadema, Dante Gabriel Rossetti, Burne-Jones. Da questi
esempi prese le mosse il movimento dei «XXV della Campagna
Romana», dove spiccano le figure degli insigni paesaggisti Henry
Coleman e Onorato Carlandi. Illustre, in questa fase, fu anche la
figura di Ettore Ferrari, autore del monumento a Giordano Bruno in
Campo de’ Fiori.
Fiorivano, intanto, le più disparate esperienze artistiche, sia sotto
il profilo stilistico (divisionismo, realismo sociale, futurismo) sia sotto
quello tecnico (arti del mobile, della ceramica, del ferro, del bronzo,
con una miriade di espressioni nuove). Su tutti spicca la figura
poliedrica di Duilio Cambellotti, interprete straordinario della maestà
della Campagna romana, profondamente calato nella rievocazione di
un mondo colto e primordiale nel contempo. In contrasto con lui fu
Giacomo Balla, pittore di altissimi ideali stilistici (condivisi, per qualche
tempo, con il sapiente Armando Spadini, figura molto influente negli
anni dieci e venti), passato con rigorosa coerenza dal divisionismo
delle sue opere a cavallo dei due secoli al meditato futurismo del
secondo decennio, denso di esperienze in direzione di un astrattismo
radicale, gravido di arduo contenuto estetico e speculativo; futurismo
che si svilupperà profondamente in ambiente romano fino a culminare
con le opere di Bragaglia, Fortunato Depero, Gerardo Dottori ed
Enrico Prampolini.
ACCANTO ALLE ESPERIENZE AVANGUARDISTICHE cominciavano però a
sorgere le esposizioni sistematiche, destinate a orientare il gusto e la
vita artistica romana, come le Quadriennali, dove si configurava con
chiarezza la fisionomia del movimento denominato «Novecento»,
sorto da una meditazione sulle esperienze della pittura metafisica e
tradotto in un senso di nuova oggettività.

Assimilando idee scaturite da tendenze diverse, fu Mario Broglio


ad affermare l’idea promuovendo il movimento di «Valori Plastici»,
che, a cavallo tra le due guerre, coagulò intorno a sé artisti e storici
dell’arte, in un vivace scambio di esperienze. Francesco Trombadori,
Francalancia, Donghi, Gisberto Ceracchini, Di Cocco, Emanuele Cavalli
e, al margine, Fausto Pirandello e i molti maestri gravitanti intorno al
centro di Antìcoli Corrado furono artisti che da questo patrimonio
culturale trassero nutrimento per esprimere una nuova e diversa
classicità.
La ricerca figurativa si fece, però, sempre più profonda. Artisti
come Mario Mafai e Antonietta Raphael, Scipione, Alberto Ziveri
segnarono l’inizio di una tendenza espressionista e drammatica che
scoprì un volto della città dolorante e tragico.

IL REGIME FASCISTA, all’inizio degli anni trenta, avviò una politica


delle arti implicante un senso della classicità più severo e
irreggimentato. Emerse l’opera dell’architetto Marcello Piacentini, un
criptorazionalista, coordinatore della Città Universitaria e della chiesa
del Cristo Re, capolavori di un concetto modernissimo di classicità.
Accanto a lui spiccano Mario Sironi, artista doloroso ed epico, e Arturo
Martini, autore della Minerva nel piazzale della Città Universitaria,
scultore tragicamente contraddittorio, esponente supremo della
grande crisi dell’artista sotto il regime. L’interessante esperimento
della costruzione di una sorta di «città nuova» di carattere utopistico,
come il quartiere destinato a ospitare l’Esposizione universale del
1942, rimase incompiuto, e oggi l’EUR testimonia di questo estremo
tentativo di impostare un discorso urbanistico, dove spiccano la mole
del Colosseo Quadrato di Giovanni Guerrini, Ernesto Bruno La Padula e
Mario Romano, e la stele dedicata a Guglielmo Marconi del robusto
scultore Arturo Dazzi.
IL MANIFESTO DEL NUOVO ASTRATTISMO, denominato «Forma 1» (i
componenti, che si proclamarono astrattisti e marxisti, furono Carla
Accardi, Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Lorenzo Guerrini,
Antonio Sanfilippo, Giulio Turcato), venne firmato a Roma
nell’immediato dopoguerra. Ma il passaggio tra gli anni quaranta e
cinquanta vide sorgere a Roma straordinarie esperienze modellate
sull’incredibile novità di cognizioni accumulate nel tempo di guerra.
Mirko Basaldella eseguì il grandioso cancello delle Fosse Ardeatine,
Giacomo Manzù la memorabile porta della Morte in S. Pietro;
esordirono tre spiriti grandi e tormentati come Leoncillo, Alberto Burri
e Lucio Fontana; a latere si posero le complesse vicende di Renato
Guttuso, pittore a forte valenza sociale, e di Giuseppe Capogrossi,
radicale ricercatore di una linea di astrazione assoluta, dopo essere
stato tra i maggiori esponenti della scuola romana degli anni trenta e
quaranta.
Già alla fine degli anni cinquanta e nel corso degli anni sessanta
esordì la generazione dei nati durante la guerra, ansiosa di cambiare
le basi stesse della comunicazione artistica. In un crescendo di energie
creative Roma assistette alla maturazione di esperienze molteplici, dal
geniale scultore Mario Ceroli, al vulcanico pittore Mario Schifano,
all’ipersensibile Pino Pascali, all’intellettuale Jannis Kounellis. Senza
essere inquadrati in una scuola vera e propria, questi artisti (e altri
come Franco Angeli o Tano Festa) dettero vita a un’entusiasmante
stagione creativa, i cui risultati sono visibili ancora oggi.
UNA NUOVA SVOLTA NELLA PRODUZIONE ARTISTICA romana
caratterizza gli anni settanta e ottanta. Mentre si sviluppa, come in
tutta l’Italia, interesse verso la dimensione «concettuale», con il
singolare risvolto della cosiddetta «arte povera», anche Roma è
illuminata dal fenomeno della transavanguardia, che trova in città un
fertile terreno di elaborazione con l’opera di artisti geniali come Enrico
Cucchi o Chia. Vi si contrappone un’ansia di «nuova figurazione»,
evidente nella Quadriennale del 1986, con una tale molteplicità di
proposte da rendere prematura una precisa scelta o anche soltanto la
formulazione di opinioni troppo nette e circostanziate. Intanto prende
piede una sorta di nuova scuola che non ha i caratteri degli antichi
raggruppamenti orientati secondo una ben precisa ideologia, ma che
mira soltanto a ripristinare una situazione di lavoro concorde, più sui
presupposti che sulle conclusioni. Tale scuola agisce materialmente in
un grande edificio, già adibito a uso industriale, del quartiere di S.
Lorenzo, fulcro di vivaci fermenti intellettuali nella Roma dell’ultimo
decennio del secolo, ricca di idee e contraddizioni. Emergono pittori e
scultori di grande sensibilità come Tirelli, Ceccobelli, Nunzio, Pizzi
Cannella, quasi erede, quest’ultimo, della tradizione di Mafai.
Un’epoca intera, tuttavia, è al tramonto alla fine degli anni
novanta (emblematica, in tal senso, la morte di Mario Schifano nel
1998), che vede anche una crisi della scuola cinematografica romana,
molto rilevante nel corso del nono decennio. Esponente di maggiore
spicco ne rimane Nanni Moretti, autore di riferimento per una intera
generazione e vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes nel
2001 con la Stanza del figlio; dal 2007 Moretti è direttore di Torino
Film Festival, tra i principali festival cinematografici italiani.
LE FESTE DI ROMA

Roma, al pari di tutte le metropoli più famose, non manca di


grandi contraddizioni. E se resta intatto il fascino del centro storico o
l’eleganza e la nobiltà di alcuni quartieri, alternata alla vivacità e al
pittoresco di quelli più popolari, non può fare ignorare il disordine
edilizio di alcune aree periferiche e l’assalto delle non sempre
minuscole comunità nomadi – con i loro campi – e degli immigrati, che
è difficile mantenere in un ordine cui tutte le megacittà moderne
aspirano. La tentazione di abitare in permanenza a Roma resta
tuttavia viva in molti visitatori e stranieri, che giungono in gran
numero ogni anno, talvolta per rapidi soggiorni, nell’antica urbs. Né
valgono a diminuire il loro entusiasmo le difficoltà che il traffico, i
numerosi cantieri aperti con permanenze oltremodo prolungate, la
crescente urbanizzazione frappongono alla loro volontà di avvicinarsi a
luoghi i quali hanno celebrità universale, e che rievocano fasti
appartenenti alla storia, all’arte, alla religione.
L’area del Circo Massimo, il Colosseo, il teatro di Marcello, l’Ara
Pacis Augustae, la Via Appia Antica sono alcuni dei più vistosi punti di
riferimento e «monumenta» di un glorioso passato imperiale. Il
Vaticano, Castel S. Angelo, le basiliche di S. Maria Maggiore e di S.
Giovanni in Laterano, le chiese barocche, sono perle della Roma
pontificia trionfante, mentre le catacombe ne celano tante suggestive
vicende del passato, e i ponti del Tevere che l’attraversano
ingentiliscono il paesaggio reso verdeggiante dalle chiome dei platani.
Le ville – prima fra tutte la Borghese – e il piazzale del Gianicolo, le
fontane, le piazze S. Pietro, del Popolo, di Spagna, dell’Agonale
(Navona) sono di affascinante richiamo, mentre i quartieri di
Trastevere e di Testaccio riportano al mondo di Giuseppe Gioachino
Belli e Bartolomeo Pinelli. La Cappella Sistina e i musei sono
immancabili per coloro che vogliono contemplare splendenti collezioni
d’arte.
In luoghi simbolici spesso così grandiosi, che ogni grande
viaggiatore e scrittore ricorda nei suoi diari di viaggio, la sapienza
popolare e le tradizioni secolari hanno fatto nascere nel tempo feste e
spettacoli che spesso si perpetuano, in alcuni casi con vivacità, in altri
– sia riconosciuto – fiaccamente. E se non ci sono più i 12 circhi e gli
anfiteatri di cui andava fiera la Roma imperiale, c’è sempre il teatro di
Ostia Antica a conservarne un’immagine viva, anche con le
rappresentazioni che, in un luogo privilegiato dai pini costeggiante
ruderi di templi, ogni estate attirano grande pubblico.
LE FESTE NATALIZIE invogliano i cittadini alla classica visita a piazza
Navona, dominata dalle baracche e dai casotti provvisori dei venditori
ambulanti, dove si acquistano giocattoli e i ‘pezzi’ del presepio che
gran parte delle famiglie allestiscono nelle case private. Perseverano le
presenze degli zampognari venuti per l’occasione dalla Ciociaria e
dall’Abruzzo. Presepi monumentali sono esibiti sia in piazza S. Pietro
sia in molte chiese, e classica è la visita al Bambino di S. Maria degli
Angeli. Le solenni funzioni a S. Pietro e la benedizione papale «urbi et
orbi» contrassegnano i momenti di devozione delle particolari giornate
che caratterizzano Natale e Capodanno. Ma c’è per centinaia di
migliaia di romani un tradizionale appuntamento a piazza del Popolo,
preceduto da concerto, che una volta venne costituito da un
repertorio di conosciute colonne sonore cinematografiche, un’altra da
una sequenza di rinomati cantautori romani, ai quali segue
spontaneamente un ballo di massa, a conclusione della
manifestazione, con i tradizionali fuochi artificiali di mezzanotte
lanciati dalla terrazza del Pincio.
L’idea di far ritrovare a Roma alcune tra le più importanti feste
tradizionali ha spinto l’amministrazione comunale, appoggiando quelle
esistenti, anche a farne rivivere alcune. Così, la serie seducente di una
Roma festeggiante ha in questi anni perfino offerto giornate di gioia
collettiva con le affollate e pittoresche maratone tra schiere di
plaudenti, rallegrati da sì grande partecipazione a un rito che è più
significativo della gara in sé e che ha un percorso che è allo stesso
tempo un omaggio ai luoghi più significativi di Roma.
Alla festa del Capodanno segue quella dell’Epifania, che
raggiunge il culmine la notte del 5 gennaio. Qui lo scenario classico è
piazza Navona: ancora i venditori di giocattoli, gli artigiani, i
marionettai, i dolciai che offrono zucchero filato e croccanti sono
protagonisti insieme ai bambini attorniati dai familiari, e non mancano
le false befane che, tra una sigaretta e l’altra per mitigare il freddo, si
fanno fotografare né più né meno che i Babbi Natale in barba bianca e
vestito rosso, già comparsi al 25 dicembre.
VERSO IL CARNEVALE. Il 17 gennaio si celebra la benedizione degli
animali alla chiesa di S. Eusebio. Ma gli spazi insufficienti e la ridotta
presenza di cavalli e carrozze permettono ai partecipanti possessori di
cani, gatti e uccelli variopinti di essere i privilegiati protagonisti. Nei
secoli passati la cerimonia si svolgeva con grande sfarzo. La
benedizione aveva luogo in origine nella chiesa di S. Antonio Abate – il
santo protettore degli animali – e solo nel Novecento è stata spostata,
per motivi di traffico, qui. La cerimonia, di grande attrazione per
forestieri e residenti, si ripeteva spesso per diversi giorni, e cominciava
fin dalle prime ore del mattino del 17, con la sfilata di tutti i
quadrupedi, fra due ali di popolo, fino alla chiesa; qui un sacerdote,
munito di un grande aspersorio, spruzzava le bestie impartendo la
benedizione. Goethe e Andersen testimoniano dell’avvenimento, oltre
alla litografia del 1823 di Antoine-Jean-Baptiste Thomas. Negli ultimi
anni, per gli spazi insufficienti e la ridotta presenza di cavalli e
carrozze, erano i possessori di animali domestici a restare fedeli
partecipanti; ma per rinnovare la festa sono intervenuti anche
corazzieri, vigili, e persino finanzieri a cavallo.
Una festa equivalente si celebra il 9 marzo, per S. Francesca
Romana, ai limiti del Foro Romano, ed è dedicata alle automobili, che
ora sostituiscono le carrozze padronali. La tradizione della festa risale
agli anni ’30 del Novecento e non mancano ancora gli entusiasti per
celebrarla; ma è chiaro che, con la generale utilizzazione dei mezzi
mobili a motore, gli intasamenti diventano ora inevitabili e possono
sconsigliare a molti la rinnovata partecipazione.
La festa della Candelora, istituita da papa Gelasio I, è rito di
purificazione e si celebra il 2 febbraio (mese il cui nome deriva dal
latino «februa»). Le candele benedette, portate in processione, una
volta spente vengono conservate in casa, a salvaguardia contro la
febbre e qualsiasi male. «Se c’è il sole per la Candelora» dice un
vecchio adagio «dell’inverno siamo fora, se piove o tira vento,
nell’inverno siamo dentro».
Una festa che ha avuto un particolare rilancio nel 150°
anniversario della ricorrenza (1999), è quella della proclamazione della
Repubblica romana, che risale al 9 febbraio 1849.
IN TEMPO DI CARNEVALE circoli, locali notturni, teatri, ambasciate
che prendono l’iniziativa di ricevimenti, sono in grande attività. V’è chi
rimpiange il Carnevale del Sette-Ottocento, che era avvenimento
europeo di grande richiamo. Accorrevano i Goethe, i Gogol’, i Dickens,
e anche Ernst Theodor Amadeus Hoffmann lo celebrava nella
«Principessa Brambilla», forse ricamando sui racconti o le immagini di
coloro che vi avevano partecipato, e sugli album dei pittori: i Pinelli,
Thomas, Karel Gustaf Hyalmar Mörner. «Niente è più piacevole che
soggiornare a Roma in epoca di Carnevale» opinava Goethe. Oggi non
sarebbe possibile effettuarlo ancora nel Corso, col passaggio dei carri,
ma v’è chi si propone di riattivarlo sul lungomare di Ostia, quasi alla
maniera di quello di Viareggio. E forse l’idea ha una sua logica, tanto
più che una festa dell’Aria, hanno riferito i giornali, ha attratto a
Pràtica di Mare (ma era visibile in tutto il litorale) centinaia di migliaia
di cittadini per ammirare le acrobazie aeree delle Frecce tricolori,
celebri nel mondo intero e vincitrici di numerosi trofei internazionali.
Il Carnevale dell’Ottocento è irripetibile. C’erano sfilate di carri
allegorici, parate di maschere, «corse dei Bàrberi» (o cavalli di
Barberia) lanciati sciolti da piazza del Popolo ma pungolati da palle
metalliche puntute legate ai fianchi (la ripresa dei destrieri avveniva a
piazza Venezia). L’ultimo giorno di Carnevale, all’Ave Maria le
campane annunciavano la fine della festa. Il popolo romano non si
arrendeva: ovunque si accendevano «moccoletti», nei portoni, alle
finestre, per strada. Preoccupazione di ognuno era di mantenere
acceso il proprio e spegnere quelli degli altri. Era una specie di allegro
urlo di guerra che echeggiava nel ‘Corso in fiamme’: «Mora
ammazzato chi non spegne il mòccolo!». Ma non era che un grido
giocoso, pronunciato anche dagli spasimanti alle loro innamorate
(«Mora ammazzata la bella Laura!») e i bambini all’indirizzo dei
genitori («Mora ammazzato, signor padre!», «Mora ammazzata
signora madre!»). Furono certi aspetti trucidi, provocati dai facinorosi,
o anche dallo stesso, incontrollato, passaggio dei cavalli durante la
corsa, che consigliarono la soppressione della festa, proibita nel 1876,
anche perché nella baraonda non ci furono soltanto feriti, ma anche
un morto.
ATTORNO A PASQUA. Festa degli artigiani – in primis dei falegnami
in onore del proprio santo patrono – è il 19 marzo, giorno di S.
Giuseppe, e nelle piazze di mercato appaiono i friggitori, con
bancarelle ornate di ghirlande di carta e rami di alloro, che preparano
in grandi padelloni frittelle e bignè alla crema. Arriva la Settimana
santa, e classica è la Via Crucis del venerdì che termina al Colosseo e
cui partecipa lo stesso pontefice. Nel 1997 gli era a fianco il
«Catholicòs», o papa degli Armeni, che aveva scritto la meditazione
letta dal santo padre. Il rito è sempre di grande suggestione e la
televisione lo trasmette in tutto il mondo.
È fuor di dubbio che il 21 aprile, Natale di Roma in memoria della
leggendaria data in cui Romolo tracciò il famoso solco con l’aratro,
rimane per la Città eterna un giorno speciale. Le manifestazioni si
moltiplicano e vi sono cerimonie e discorsi in Campidoglio, sono
ufficialmente presentate nuove pubblicazioni dedicate a Roma ed è
accolta con particolare compiacimento la rituale «Strenna dei
Romanisti», un almanacco fondato nel 1940 da un gruppo di studiosi
e artisti, interessati alle discipline aventi Roma come denominatore
comune, che si riunivano inizialmente nello studio di Augusto Jandolo
in via Margutta (oggi il ritrovo è in una sala riservata del caffè Greco);
v’erano, tra i primi frequentatori, Cesare Pascarella, Antonio Baldini,
Giorgio Vigolo, Pietro Paolo Trompeo, Ceccarius, Silvio d’Amico, e,
ancor prima che nascesse la strenna, Ettore Petrolini, Ugo Fleres,
Enrico Tadolini, per citare alcuni dei nomi di maggior rilievo.
Il culto del grande poeta romanesco Giuseppe Gioachino Belli è
stato giustamente riportato in primo piano, anche per iniziativa di
associazioni culturali che a lui sono intitolate e una dizione fatta da
attori e cantanti – prima davanti alla fontana di Trevi poi nei teatri
dell’Urbe – con grande pubblico. La fontana, come è noto, poggia su
palazzo Poli, dove abitò il poeta e scrisse gran parte dei sonetti del
suo «Commedione».
Tutte queste feste romane non sono mai state abbandonate dal
popolo, ma da alcuni anni le autorità capitoline sono venute loro in
sostegno, non solo ufficialmente ma anche con qualche contributo
economico. In tale quadro ha conosciuto una nuova primavera la festa
di Pasquino, che cade il 25 aprile. Grandi pannelli apposti accanto alla
statua accolgono, secondo un’usanza nata nel ’500, epigrammi spesso
salaci. Nel 1998 ne sono arrivati centinaia e i migliori sono stati letti su
un palco eretto a piazza Navona dallo stesso sindaco, incurante che gli
epigrammi spesso trafiggessero proprio la sua amministrazione (ne
hanno fatto le spese soprattutto i servizi e i mezzi di trasporto pubblici
e la circolazione tramviaria). La festa del Pasquino, che risale al 1506,
in origine era stata ideata per esaltare il potere, e gli antichi scritti
ufficiali pervenivano in latino; ma fatalmente originò un pasquinismo
anonimo, quasi sempre in dialetto romanesco, che, affisso notte
tempo, lancia regolarmente sarcasmi e invettive, talvolta anche feroci.
LE ‘VOCI DEL POPOLO’. La statua di Pasquino non è la sola ‘parlante’
di Roma. Ci sono anche il Babuino – tra le preferite – in via del
Babuino, e Marforio, il Facchino, l’abate Luigi e madama Lucrezia. La
festa di Pasquino è diventata pressoché quotidiana, quando il cittadino
sente il bisogno di esternare il proprio malumore e di rendere pubblica
qualche denuncia. A dire il vero, i motivi di protesta, per i parcheggi, i
semafori, le macchine in doppia fila, i cortei indetti da un numero non
indifferente di sindacati e associazioni varie, spesso facenti capo a una
miriade di partiti, sono sempre più frequenti. In queste occasioni la
città in parte si ferma. Lo ‘sciopero’ è diventato una realtà di tutti i
giorni, anche con aspetti folcloristici, perché non mancano
travestimenti, mascherature, scampanellature e tamburi, e striscioni
con slogan in versi cantilenati a squarciagola. Queste manifestazioni
effettuate in misura eccezionalmente frequente – e spesso in
contemporanea per diversi settori – suscitano sgomento e amare
considerazioni nella popolazione che ne è vittima. Cortei sfilano
sempre nelle stesse strade centrali rendendo impossibili gli
spostamenti e il rientro a casa di chi esce dal lavoro, obbliga le linee
tramviarie a cambiare tragitto.
LA VISITA DELLE SETTE CHIESE. Il giorno che precede l’Ascensione,
a maggio, è per il romano tradizionalista dedicato alle più belle e
famose basiliche dell’Urbe (S. Lorenzo fuori le Mura, S. Croce in
Gerusalemme, S. Maria Maggiore, S. Giovanni in Laterano, S.
Sebastiano, S. Paolo fuori le Mura e S. Pietro). La visita fu istituita nel
’500 da S. Filippo Neri, che all’omaggio religioso volle unire una
‘scampagnata’, sempre cara ai romani anche se oggi amano praticarla
più spesso in auto, come provano anche gli ingorghi domenicali e
degli altri giorni festivi lungo le vie consolari e ai caselli autostradali.
C’è da chiedersi, ma con qualche perplessità, se la visita delle Sette
Chiese possa essere, in epoca giubilare, un invito per i forestieri-
pellegrini a riprendere il rito. Ma si è già visto, a primavera, quali
assembramenti e intoppi hanno creato i torpedoni e gli autobus dei
turisti e di molte scolaresche, provenienti da città italiane ed europee.
L’ESTATE porta la festa di S. Giovanni (24 giugno), che ha per
rituale anche un pasto a base di lumache in umido ma che soprattutto
raccoglie nella vastissima piazza la popolazione ad ascoltare lo
sterminato repertorio delle canzoni romane, affiancate ora dai
complessi moderni. S. Pietro e S. Paolo sono celebrati il 29 dello
stesso mese, e nel nome dei santi di Roma e in memoria del loro
martirio brillano a Castel S. Angelo e sul Tevere i fuochi d’artificio.
La festa de’ Noantri ha sede nel popoloso quartiere di Trastevere,
a luglio, in onore della Madonna del Carmine, che viene portata in
processione, rivestita di preziosi abiti e con i gioielli offertile nei secoli;
ma è tutto il lungo viale che brilla di luci, e una miriade di venditori
ambulanti è pronta a offrire ogni genere di merce (spesso paccottiglia
importata da paesi asiatici) e di ghiottonerie, mentre i ristoranti
traboccano di clienti. Eventi musicali e teatrali, con allegra
partecipazione anche di bande militari, si svolgono nelle piazze e
piazzette del vasto rione, ormai prediletto anche da artisti e
intellettuali di ogni parte del mondo, frequentatori di classiche taverne
dove si possono incontrare anche inservienti in costume ottocentesco.
Il 5 agosto, presso la basilica di S. Maria Maggiore, è celebrata
con sacre funzioni e una nevicata di petali la festa della Madonna della
Neve, per la leggenda, che risale al IV secolo, dell’episodio portentoso
di una nevicata fuori stagione.
ALLE PORTE DELL’INVERNO, il 2 novembre è invalso l’uso di
celebrare i defunti nei «luoghi della memoria», cioè nei camposanti,
con dizioni di liriche, presenza di attori e concerti di musica sacra. L’8
dicembre, infine, è rituale l’omaggio, alla presenza dello stesso
pontefice, alla statua della Madonna di piazza Mignanelli; spetta ai
Vigili del Fuoco l’onore di salire con le scale allungabili per incoronarne
la testa.
LE FESTE RELIGIOSE DELLA COMUNITÀ EBRAICA vanno dallo «Shavuot»
(6 e 7 di Siran), una delle principali, al «Purim» (metà del mese di
Adar), che ricorda gli eventi narrati nel libro di Ester. La prima è la
festa delle settimane e delle primizie, e fa parte dei pellegrinaggi che
si compivano quando era in piedi il tempio di Gerusalemme: cade 49
giorni dopo l’inizio della Pasqua. Nella Sinagoga ornata di fiori è
rievocato il ricevimento del decalogo, cioè dei dieci comandamenti dati
da Dio a Mosè sul monte Sinai.
ANTICO E MODERNO. Le tradizioni si perpetuano, altre se ne
aggiungono (come il rituale, affollatissimo concerto all’aperto del 1°
maggio in piazza di S. Giovanni in Laterano) e alcune denunciano
stanchezza o si perdono nel tempo. La città, col suo centro storico
ancora compatto, si trasforma nelle periferie, ma la metropolitana
porta quotidianamente a piazza di Spagna frotte dei giovani dei
quartieri più lontani a godersi la scalinata di Trinità dei Monti che a
primavera è inondata di azalee. I negozi si trasformano: le jeanserie
prendono purtroppo il posto delle vecchie botteghe, gli uffici di
governo e le banche fanno a gara per sloggiare gran parte degli
abitanti e dei laboratori artigiani, nonostante le vibrate proteste di
cronisti e cittadini. I cinematografi si spezzettano in multisale e il
teatro Adriano subisce – ahimè – la stessa sorte. C’è una lotta per non
far diventare le vie immensi e disordinati parcheggi. Eppure quel che
Roma ha di eterno non è cancellato né dalla folla sempre crescente
dei turisti – che non mancano di visitare l’antico caffè Greco, famoso
ritrovo di artisti di questo e dei secoli passati, o il sempre suggestivo
mercato di campo de’ Fiori – né dall’aumento della popolazione, né
dall’invasione spesso illegale degli immigrati che nulla è in grado di
arrestare.
Il sapore di Roma rimane da un colle all’altro, dai mercatini di
antiquariato a quello domenicale di Porta Portese, e lungo il tragitto
del Tevere, in piazza del Campidoglio col Marco Aurelio, nello spiazzo
dell’antico Circo Massimo, e anche in un quartiere elegante e
classicheggiante come l’EUR, di cui soltanto oggi si apprezza l’effettiva
armonia e la ampiezza degli spazi. Roma, fra tanti cambiamenti,
conserva inalterato il proprio fascino.
I MODI DELLA VISITA

La Roma di oggi, con i suoi 2708 395 abitanti (residenti al maggio


2007) e il territorio comunale più vasto d’Italia (1308 km2 dopo la
creazione nel 1992 del comune di Fiumicino), costituisce una realtà
enormemente diversa da quella che impressionò i viaggiatori, illustri o
meno, avvicendatisi nei secoli scorsi. La sua conoscenza non può più
essere ristretta al centro storico, che, pur esteso, rappresenta un
settore limitatissimo dell’attuale conurbazione, né ai monumenti del
passato, né ai capolavori e alle emergenze architettoniche principali, il
cui significato e la cui importanza risaltano dall’analisi del contesto e
dal confronto con la produzione ‘media’. Pertanto, tra i luoghi
segnalati nella guida sono stati inclusi l’architettura minore e quella
rurale, e soprattutto la produzione dell’ultimo secolo, compresa
l’archeologia industriale; gli itinerari sono stati organizzati in modo da
far comprendere la città nella complessità delle sue vicende (di origini,
persistenze, trasformazioni, cancellazioni, espansioni) e distribuiti in
capitoli che corrispondono ad altrettanti settori omogenei.
Si rammenti che gli orari delle chiese aperte al culto vanno
generalmente dalle 7 alle 12 e dalle 17 alle 19; le chiese minori sono
di solito aperte la domenica, per le funzioni che si tengono intorno alle
10, o in occasione di matrimoni.
Qui di seguito sono forniti i numeri utili per informazioni turistiche
e orari di visita di monumenti e musei.
CHIAMA ROMA, t. 060606. Numero unico per semplificare l’accesso
ai servizi offerti dal Comune di Roma. Il servizio è disponibile 365
giorni all’anno, 24 ore su 24, e prevede una risposta articolata su due
livelli: un livello di prima accoglienza e orientamento all'interno degli
uffici dell'Amministrazione; un secondo livello di approfondimento che
garantisce risposte a richieste di informazioni specialistiche. Il costo di
ChiamaRoma060606 corrisponde a una normale chiamata alla rete
telefonica di Roma. Per ulteriori informazioni è possibile consultare il
sito www.comune.roma.it.
AZIENDA DI PROMOZIONE TURISTICA, via Parigi 11, t. 06488991;
aeroporto di Fiumicino (arrivi internazionali - terminal B), t.
0665956074, www.romaturismo.it.
EXTRA DIPARTIMENTO PROMOZIONE INTERNAZIONALE DEL TURISMO,
lungo Tevere dei Pierleoni 1, t. 0636004399.
CALL CENTER AUTOMATICO DELLA SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA DI
ROMA, t. 0639967700. Fornisce informazioni su musei e aree
archeologiche: in particolare Domus Aurea, Museo Nazionale Romano,
mostre e iniziative speciali come il programma «archeologia
nascosta». Informa sul calendario di visite a luoghi normalmente
chiusi quali il mitreo delle terme di Caracalla, il tempio rotondo, la
Piramide Cestia, la casa dei Grifi e la casa di Livia al Palatino, le tombe
di via Latina e Polletrara. Permette di effettuare le prenotazioni
laddove sono richieste.
CALL CENTER UFFICIALE per la prenotazione delle visite, t.
0632810: Galleria e Museo Borghese, Galleria Doria Pamphilj, Parco
Villa Borghese, Palazzo Barberini, Galleria Spada, Galleria Corsini,
Palazzo Venezia, Museo strumenti musicali, Museo nazionale Etrusco
di Villa Giulia.
COMUNE DI ROMA - X RIPARTIZIONE ANTICHITÀ E BELLE ARTI, via
Ostiense 106, t. 0667103955.
SOVRAINTENDENZA AI BENI CULTURALI DEL COMUNE DI ROMA, piazza
Lovatelli 35, t. 0667103887.
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARTISTICI E STORICI DI ROMA, via del
Plebiscito 118, t. 06699941.
SAR SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA DI ROMA, p.zza S. Maria
Nova 53, t. 06699841 (competente per il Palatino, il Foro Romano e
per i monumenti archeologici statali entro le mura); p.zza delle
Finanze 1, t. 06477881 (competente per i monumenti archeologici
statali fuori le mura), www.archeorm.arti.beniculturali.it.
SAOA SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA PER OSTIA ANTICA, via dei
Romagnoli 117, t. 0656358099, www.itnw.roma.it/ostia/scavi.
SAEM SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA PER L'ETRURIA
MERIDIONALE, piazzale di Villa Giulia 9, t. 063226571.
SBAAR SOPRINTENDENZA PER I BENI AMBIENTALI E ARCHITETTONICI
DI ROMA, via di San Michele 17, t. 06588951,
www.ambienterm.arti.beniculturali.it.
SACS SOPRINTENDENZA SPECIALE ARTE CONTEMPORANEA, viale delle
Belle Arti 131, t. 06322981, www.gnam.arti.beniculturali.it.
PONTIFICIA COMMISSIONE DI ARCHEOLOGIA SACRA, via Napoleone
III 1, t. 064465610 - 064467601, www.vatican.va.
UCBAAAS UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHEOLOGICI,
ARCHITETTONICI, ARTISTICI E STORICI - Direzione generale per il
patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico, via di San
Michele 22, t. 0658431, www.arti.beniculturali.it.

ROMA NEL TEMPO

Gli itinerari a tema che la città offre sono innumerevoli: come, per
esempio, quelli cronologici attraverso le varie fasi storico-urbanistiche
e artistiche. Essi si possono facilmente desumere, nelle tappe
fondamentali, dai saggi introduttivi e organizzare con l’aiuto di quelli
predisposti che, per i criteri sopra enunciati, seguono aree il più
possibile omogenee.
PER LA FASE CLASSICA, l’itinerario base sarà il 2.8 (dove si
concentrano il Campidoglio, il Foro Romano, il Palatino, il Circo
Massimo, i Fori Boario e Olitorio), da integrare con i Fori Imperiali e la
valle del Colosseo (1.2), con le mura Aureliane (capitolo 6) e, per
l’area extra-urbana, con la Via Prenestina (8.7), la Via Appia Antica
(8.11), gli scavi di Ostia Antica (8.14) e la necropoli di «Portus»
(8.16).
LE SPARSE TRACCE DELLA FASE MEDIEVALE, costituite quasi
esclusivamente da chiese e da brani di città che ne conservano più
l’atmosfera che l’aspetto, sono soprattutto localizzate nel rione Monti
(2.1), all’Aventino (3.1), sul Celio (3.2), nell’ansa di Trastevere (primo
percorso del 4.1).
LA FASE RINASCIMENTALE si coglie appieno nei tre percorsi
attraverso i rioni Regola, Ponte e Parione (2.5), che si completano con
i monumenti lungo corso Vittorio Emanuele II (1.1), i rioni
Sant’Eustachio (2.6), Sant’Angelo (2.9) e, sulla sponda opposta, via
della Lungara e il Gianicolo (secondo percorso del 4.1), il rione Borgo
(4.2), S. Pietro (5.1) e il Vaticano (5.2).
LA FASE BAROCCA trionfa soprattutto nel settore formato dai rioni
Trevi (2.2), Colonna (2.3) e Campo Marzio (2.4) e attraversato da via
del Corso (1.2), nonché, naturalmente, ancora in S. Pietro (5.1) e in
Vaticano (5.2).
LE FASI OTTOCENTESCA E NOVECENTESCA sono evidenziate soprattutto
nell’itinerario 1.1 lungo l’asse della città ‘umbertina’ formato da via
Nazionale e corso Vittorio Emanuele II, in quelli attraverso i rioni
Esquilino (3.3), Castro Pretorio, Sallustiano e Ludovisi (3.4), lungo il
viale di Trastevere e sul versante meridionale del Gianicolo (terzo
percorso del 4.1), nonché nel cap. 7, dedicato ai lungotevere e ai
ponti. La Roma contemporanea è poi l’oggetto principale di tutti gli
itinerari del capitolo 8 (a parte la Via Appia Antica), e segnatamente
degli itinerari 8.1 (rione Prati, quartiere della Vittoria, Foro Italico), 8.2
(Valle Giulia, i Parioli, il Villaggio olimpico), 8.13 (Garbatella ed EUR) e
8.14 (Lido di Ostia).

ROMA DALL’ALTO

Inevitabile topos turistico, la veduta panoramica si raccomanda


come colpo d’occhio di primo impatto con la città o, se si preferisce,
come immagine conclusiva e riassuntiva della sua conoscenza. I
«sette colli», e gli altri che l’espansione urbana ha inglobato,
assicurano visuali da molteplici angolazioni, ma la più superba resta
quella dalla cupola di S. Pietro, che per altezza e ampiezza del punto
di vista permette di leggere tutte le fasi di crescita e trasformazione
della città.
Il sommoportico di un altro monumento, il Vittoriano, costituisce il
miglior belvedere sul centro storico (ha sostituito quello della torre di
Paolo III che sorgeva sull’area); precluso alla visita da un quarto di
secolo, è stato recentemente riaperto. Dal colonnato si apre,
coordinata dalla simmetrica disposizione di piazza Venezia e dell’asse
via del Corso-Via Flaminia, la vista dei rioni che occupano l’antico
Campo Marzio, fino al Gianicolo e al Vaticano a sinistra e col Pincio, il
Quirinale, il Viminale (con l’asse di via Nazionale) a destra; dietro, il
Foro Romano e il Colosseo, il Palatino, l’Esquilino e il Celio.
Dalla terrazza all’angolo nord del Palatino si gode la più bella
panoramica sul complesso dei Fori, con lo sfondo del rione Monti, poi
del Campidoglio col sottostante Velabro e il nucleo del rione Campitelli
scampato agli ‘isolamenti’ del fascismo. Dal fronte sud-ovest del colle
(«Domus Augustana» e «Domus Severiana») si presentano, addobbati
di verde, l’Aventino con la Valle Murcia e la Passeggiata Archeologica
fino alle terme di Caracalla.
Il Campidoglio offre vedute per lo più complementari a quelle dal
Vittoriano e dal Palatino: sia dai giardini dell’ex villa Caffarelli (su via
del Teatro di Marcello e su piazza della Consolazione) sia dalle
terrazze ai lati del Palazzo Senatorio (su Foro Romano, Colosseo e
Palatino).
L’Aventino presenta, oltre alla spettacolare panoramica dei Palazzi
imperiali – da piazzale Ugo La Malfa – quella sul Tevere, il Trastevere,
il Gianicolo e Monte Mario dal parco Savello (più noto come «giardino
degli aranci»); poco oltre, in piazza dei Cavalieri di Malta, è la celebre
inquadratura dal ‘buco della serratura’ della cupola di S. Pietro.
Sul fronte orientale della passeggiata di Gianicolo (da piazzale
Giuseppe Garibaldi e, più a nord, da piazzale del Faro) è il più classico
panorama della città papale, con l’espansione della prima periferia che
ha divorato buona parte della sua cornice verde; sul fronte opposto è
godibile, con aspetto non troppo lontano da quello decantato fino
all’800, la visuale sul Vaticano e su villa Doria Pamphilj, che maschera
con la sua massa arborea l’urbanizzazione novecentesca di
Monteverde.
Altri celebri punti di vista sono offerti dal Pincio: dal piazzale
sovrastante piazza del Popolo (in asse col quale è l’attraversamento
del quartiere umbertino di Prati) verso S. Pietro, Monte Mario e il
Gianicolo; dalla passeggiata fino a Trinità dei Monti, sopra il mare di
tetti, altane, cupole e campanili del «quartiere barocco».
Infine, i panorami la cui recente fama è strettamente connessa
alla collocazione strategica di frequentatissimi bar: quello su Monte
Mario presso l’Osservatorio, la cui ampiezza fa quasi dimenticare
l’edilizia sottostante; da piazza delle Muse sui Monti Parioli, aperto
verso il limite settentrionale della città attuale, dove la valle del Tevere
tra villa Glori e l’Acqua Acetosa non ha ancora perduto il suo respiro
paesistico.

ROMA SOTTERRANEA

Il titolo dell’opera capitale di Antonio Bosio, apparsa postuma nel


1632, alludeva alle catacombe, che a quell’epoca erano in pratica
l’unica parte del sottosuolo romano accessibile, e limitatamente ai
pochi complessi allora noti. Fino a tutto il XVIII secolo la Roma classica
rimase sepolta sotto quelle successive: se ne conoscevano solo i resti
emergenti dagli interri sempre più consistenti (oggi raggiungono punte
fino a 14 metri; esempi eloquenti sono le strutture degli «horti
Sallustiani» e la chiesa di S. Vitale in via Nazionale), e gli sporadici e
limitati sondaggi erano finalizzati al recupero di pezzi da collezionare,
non alla conoscenza delle strutture e della topografia. Solo con
l’amministrazione francese si cominciò a ritrovare gli antichi livelli, e
da allora vari lembi della città imperiale sono stati riportati
interamente alla luce a spese delle stratificazioni successive: basti
ricordare il Foro Romano e quelli Imperiali (di cui sono ripresi nel 1997
gli scavi; nel 2004-2005 è avviato quello del foro di Augusto), il
Palatino, l’area sacra dell’Argentina, il mausoleo di Augusto e, più di
recente, la «crypta Balbi».
La maggior parte della città antica giace però ancora nascosta
sotto quella attuale: nascosta ma sempre più accessibile in seguito a
oculate campagne di scavo che hanno rispettato le memorie
sovrappostesi nei secoli. Questo itinerario è dedicato alla città celata
alla luce del sole e segnala i luoghi visitabili di maggiore interesse.
Molti di questi nacquero del tutto o in parte ipogei, altri lo sono
diventati per l’innalzamento del terreno in seguito a crolli, demolizioni,
alluvioni, riporti di terra.
MONUMENTI IN ORIGINE IPOGEI. LUOGHI DI CULTO PAGANI. I culti
misterici giunti a Roma durante l’Impero predilessero ambienti
sotterranei: la cosiddetta basilica di Porta Maggiore, della quale è
misteriosa l’appartenenza (forse a una setta neopitagorica), è
monumento di eccezionale interesse per la struttura architettonica –
prefigurante quella delle basiliche cristiane – e il meraviglioso
apparato decorativo di stucchi. Numeroso e di forte suggestione il
gruppo dei mitrei (per i quali si rimanda →).
AMBIENTI IN COMPLESSI RESIDENZIALI. Nelle dimore più grandiose
alcuni ambienti furono realizzati, per ragioni funzionali, parzialmente
interrati, come i criptoportici: il maggiore esempio romano è costituito
da quello neroniano della «Domus Tiberiana» sul Palatino. Il
cosiddetto auditorium di Mecenate, facente parte della villa di
Mecenate sull’Esquilino, ebbe forse funzione di ninfeo-triclinio estivo.
STRUTTURE DI SERVIZIO. La rete fognaria della città antica ha il suo
monumento nella «Cloaca Maxima», tuttora efficiente e percorribile,
come lo speco dell’acquedotto Vergine, quasi tutto costruito in
sotterraneo. Delle cisterne, l’esempio più grandioso è costituito dalle
Sette Sale delle terme di Traiano, mentre un’imponente cisterna si
conserva sotto il palazzo del Pontificio Collegio Germanico Ungarico
(via di S. Nicola da Tolentino N. 13). Possono rientrare in questa
categoria i due ambienti sovrapposti del «Tullianum» o Carcere
Mamertino.
MONUMENTI SEPOLCRALI. I più monumentali tra i sepolcri ipogei
privati sono quelli degli Scipioni e di Vibia sull’Appia Antica, di via Dino
Compagni lungo la Via Latina, di via Livenza presso la Via Salaria e
degli Aureli presso l’antica Via Prenestina-Labicana. Tra i numerosi
colombari (collettivi e per l’incinerazione) si segnalano quelli lungo via
di Porta S. Sebastiano (presso il sepolcro degli Scipioni, di Pomponio
Hylas e i tre nella ex vigna Codini) e quelli di villa Doria Pamphilj.
CATACOMBE. Benché rientrino nel gruppo precedente, le
catacombe romane meritano un cenno a parte. Anche se non
mancano esempi in altre città (Napoli, Siracusa), sono in assoluto le
più importanti non solo per numero – ne sono state individuate oltre
60 – e per estensione, ma soprattutto per memorie storiche e
religiose, decorazioni pittoriche e a stucco, strutture architettoniche e
reperti archeologici. Le visite sono sempre guidate e limitate ai tratti
principali: sono normalmente visibili le catacombe di S. Sebastiano, di
S. Callisto, di Domitilla, di Priscilla, di S. Agnese, di S. Pancrazio e di
Ciriaca. Per le altre bisogna rivolgersi alla Pontificia Commissione di
Archeologia Sacra, mentre per le catacombe ebraiche di Villa Torlonia
e di Vigna Randanini il permesso va richiesto alla Soprintendenza
archeologica di Roma.
CONFESSIONI E CRIPTE. Questi ambienti, caratteristici
dell’architettura sacra cristiana, costituiscono tipologie affini ma
distinte. Le confessioni si sviluppano intorno alla tomba del martire
(«confessor») o al sacello contenente reliquie, su cui si impostarono le
più antiche basiliche: sono infatti presenti nelle cinque patriarcali (S.
Pietro, S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore, S. Paolo fuori le
Mura, S. Lorenzo fuori le Mura) e in molte di quelle titolari (di grande
suggestione quella dei Ss. Giovanni e Paolo, che conserva l’aspetto
della fine del IV secolo). In seguito alla ristrutturazione, operata da S.
Gregorio Magno, della confessione vaticana, ebbe particolare
diffusione, fino al IX-X secolo, il tipo semianulare: i maggiori esempi
sono in S. Marco, S. Prassede, S. Cecilia in Trastevere, Ss. Quattro
Coronati, S. Pancrazio, S. Crisogono. Tra le sistemazioni dei secoli
successivi si segnalano quelle barocche di S. Susanna, S. Martino ai
Monti e le ottocentesche di S. Pietro in Vincoli e S. Maria Maggiore; di
incongrua invenzione moderna è quella di S. Maria in Domnica (1958),
recentemente ricoperta.
Anche le cripte sono sotterranee, come dice il nome («luogo
nascosto»), e si sviluppano in corrispondenza del presbiterio: si tratta
di ambienti ricavati in adiacenza delle confessioni o in sostituzione di
esse, con funzioni di cappelle ed eventualmente di luoghi di sepoltura.
Le Sacre Grotte Vaticane (il nome deriva proprio da «cryptae») sono
senz’altro il più grandioso complesso di questo tipo, sepolcreto di
numerosi pontefici e vero e proprio museo di memorie storiche e
artistiche. Non molte le cripte medievali: S. Maria in Cosmedin, S.
Alessio, S. Prisca, S. Salvatore in Onda; il Rinascimento ha lasciato
quella del Tempietto di Bramante. Notevoli ancora una volta gli
interventi barocchi di rifacimento (Pietro da Cortona: Ss. Luca e
Martina, S. Maria in via Lata) o di creazione ex novo (Francesco
Borromini: S. Carlo alle Quattro Fontane, S. Giovanni dei Fiorentini),
né mancano gli esempi ottocenteschi (S. Francesca Romana, Ss.
Apostoli, S. Cecilia in Trastevere, S. Anselmo), mentre tra quelle del
Novecento, che in genere hanno dimensioni pari alle chiese
sovrastanti, va ricordata almeno quella della cappella della Divina
Sapienza di Marcello Piacentini.
La rassegna non può infine tralasciare il più noto e visitato, forse,
di questi complessi sotterranei: il cimitero dei Cappuccini presso la
chiesa di S. Maria della Concezione, oggetto di morbosa curiosità più
che di riflessione sul «memento mori». Meno conosciute e
‘spettacolari’, ma concepite con spirito analogo, le cappelle cimiteriali
sotto le chiese delle Ss. Stimmate e di S. Maria dell’Orazione e Morte.
AREE ARCHEOLOGICHE OGGI SOTTERRANEE. Al di sotto delle
confessioni e delle cripte, le più antiche chiese conservano pure le
strutture di epoca classica sulle quali furono fondate. Nella maggior
parte dei casi queste sono state scavate e rese accessibili, sia pure
previ speciali permessi: così è per S. Pietro, S. Giovanni in Laterano,
S. Maria Maggiore. Sotto le basiliche titolari i resti di edifici pagani
coesistono con quelli dei primitivi luoghi di culto: oltre all’eccezionale
palinsesto di S. Clemente e ai vasti complessi di S. Martino ai Monti,
Ss. Giovanni e Paolo, S. Anastasia e S. Cecilia in Trastevere, quelli di
S. Crisogono, S. Marco, S. Prisca, S. Pudenziana (terme), S. Lorenzo in
Lucina («horologium Augusti»), S. Marcello (battistero) e la primitiva
S. Lorenzo in Damaso, recentemente ritrovata sotto il cortile del
palazzo della Cancelleria. Presso la chiesa di S. Paolo alla Regola è
stato individuato, sistemato e aperto al pubblico uno straordinario
esempio di continuità storica, con strutture romane su quattro piani
due dei quali interrati. E ancora: S. Maria in via Lata, Ss. Vito e
Modesto (resti della porta Esquilina repubblicana), S. Carlo ai Catinari,
S. Cesareo de Appia, S. Lorenzo in Fonte (casa ritenuta di S. Ippolito e
presunta prigione di S. Lorenzo), S. Nicola in Carcere, S. Agnese in
Agone, Battistero Lateranense (domus ed edificio termale), S. Saba
(oratorio di S. Silvia), S. Croce in Gerusalemme (cappelle di S. Elena e
Gregoriana), Ss. Cosma e Damiano.
Questa lunga «caccia al tesoro» può condurre nelle viscere dei
luoghi più disparati: da una piazzetta trasteverina («excubitorium»
della VII coorte dei «vigiles») all’Aventino (complesso di largo Arrigo
VII), dal colle Oppio (la neroniana Domus Aurea) al Palazzo Senatorio
(tempio di Veiove), dal Museo Barracco (edificio commerciale) al
palazzo della Cancelleria (sepolcro di Aulo Irzio e mitreo), dal
ristorante «Pancrazio» in piazza del Biscione (cunicoli del teatro di
Pompeo) a uno dei tanti locali, già cantine e oggi bar e discoteche,
scavati in quell’enorme deposito di cocci che è il Monte Testaccio.

GLI OBELISCHI

Costituiscono una singolare prerogativa della città, che se ne


adorna in quantità che non ha riscontro altrove. Dei 13 antichi
monoliti di granito superstiti solo sette sono sicuramente di fattura
egizia, trasportati a Roma durante l’Impero, da Augusto (10 a.C.) a
Costanzo II (357 d.C.). Qui ebbero utilizzazioni diverse: molti – i più
piccoli – erano allineati, all’uso egizio, lungo il viale d’accesso all’Iseo
Campense nel Campo Marzio, da cui provengono anche quelli oggi nel
giardino di Boboli a Firenze e a Urbino; altri, i più grandi, decorarono
la spina dei circhi (Massimo, Vaticano, di Massenzio, Variano), mentre
due furono posti all’ingresso del mausoleo di Augusto e uno funse da
gnomone di un’immensa meridiana.
IL PIÙ ANTICO è l’Obelisco Lateranense, che data alla seconda
metà del XV secolo a.C.; del tempo di Ramsses II (fine XIII a.C.) sono il
Flaminio e quelli di piazza della Rotonda e di villa Celimontana; i più
recenti (VI a.C.) quelli di Psammetico II a Montecitorio e di Apries in
piazza della Minerva. Gli altri sono imitazioni romane di età imperiale:
si trovano oggi a Trinità dei Monti (Obelisco Sallustiano), in piazza
Navona (sulla fontana dei Fiumi), al Pincio, sull’Esquilino, sul Quirinale
(fontana di Monte Cavallo) e in piazza S. Pietro (Obelisco Vaticano);
gli ultimi tre non presentano geroglifici. Relativamente alle dimensioni,
il primato spetta ancora al Lateranense (m 31); seguono il Vaticano
(m 25.5), il Flaminio (m 25), quelli di Montecitorio (m 21.8), di piazza
Navona (m 16.5), dell’Esquilino (m 14.8), del Quirinale (m 14.65), il
Sallustiano (m 13.9), del Pincio (m 9.25), di piazza della Rotonda (m
6.35), della Minerva (m 5.47) e, buon ultimo, quello di villa
Celimontana (la sola parte terminale con geroglifici: m 2.7).
IL RECUPERO DEGLI OBELISCHI CROLLATI E SEPOLTI (con l’eccezione di
quello Vaticano) e la loro riconversione in eccezionali elementi di
arredo urbano iniziarono con Sisto V – che tra il 1586 e il 1589 collocò
uno per anno, in stretta relazione coi rettifili realizzati e previsti dal
suo programma urbanistico, quelli Vaticano, Esquilino, Lateranense e
Flaminio – e ripresero in piena età barocca con invenzioni più
complesse e fantasiose a ornamento degli spazi pubblici (Innocenzo X,
1651: piazza Navona; Alessandro VII, 1667: piazza della Minerva;
Clemente XI, 1711: piazza della Rotonda). In età neoclassica Pio VI
riattivò la tradizione richiamandosi sia alla concezione sistina degli
obelischi come fulcri di assi viari, sia alle scenografiche sistemazioni
barocche (Quirinale, 1786; Trinità dei Monti, 1789; Montecitorio,
1792: per quest’ultimo si ripropose l’utilizzazione come orologio
solare). Ancora nell’ambito della cultura neoclassica si collocano
l’ultima impresa papale in questo campo (Pio VII, 1822: obelisco del
Pincio) e le uniche di iniziativa privata (nuova collocazione dell’obelisco
di villa Celimontana, 1817; i due eruditi ‘falsi’, in granito di Baveno, di
villa Torlonia, 1842). All’età umbertina spettarono l’ultimo
ritrovamento di un obelisco antico e il suo modesto reimpiego nel
monumento ai Caduti di Dògali (1887); a quella fascista – emula
anche in questo della classicità – risalgono l’ultima importazione dal
suolo africano (non dall’Egitto ma dall’appena conquistata Etiopia): la
stele di Axum (1937; smontata, sarà restituita al paese di
provenienza); e le due interpretazioni Novecento del tema, in
autarchico marmo di Carrara: il monolito dedicato a Mussolini
all’ingresso dell’omonimo Foro (oggi Foro Italico, 1932) e la stele a
Marconi al centro dell’EUR (1939-59). E gli obelischi-lampione di via
della Conciliazione, che rifanno il verso a quello Vaticano.

LE COLONNE

Assimilabili alla tematica degli obelischi, di cui costituiscono il


corrispettivo nel mondo greco-romano, le colonne onorarie o votive –
elementi astratti dalla struttura architettonica e spesso ingigantiti –
uniscono anch’esse alla funzione celebrativa quella di richiami visivi,
anche perentori, nel panorama urbano. Esempi massimi,
universalmente noti per le dimensioni e la qualità della decorazione
scultorea, le colonne coclidi (cioè con fregio ad andamento
spiraliforme attorno al fusto) dedicate rispettivamente a Traiano (113)
e a Marco Aurelio (180-193): sopravvissute quasi intatte a due
millenni di vicende e cataclismi (ma oggi seriamente minacciate
dall’inquinamento), hanno costituito un modello imitato nei tempi
moderni in tutta Europa. Una terza, di minori dimensioni e con fusto
liscio di granito, fu eretta nel Campo Marzio (161) in onore di
Antonino Pio; di essa, estratta nel 1705 e poi distrutta utilizzandone il
materiale per restaurare obelischi, resta, nel cortile delle Corazze ai
Musei Vaticani, la magnifica base scolpita.
L’USO DELLE COLONNE ONORARIE PROSEGUÌ PER TUTTO L’IMPERO: gli
alti basamenti di sette di esse (con due fusti ricollocati), erette a
personaggi sconosciuti all’inizio del IV secolo, sono tuttora allineati nel
Foro Romano davanti alla «basilica Iulia»; accanto svetta, integra,
quella che chiude la serie dei monumenti del Foro (era ormai il 608),
dedicata all’imperatore bizantino Foca.
Sisto V, oltre a recuperare alla città e a ‘cristianizzare’ quattro
obelischi, intervenne con analogo fervore sulle colonne coclidi, che
riconsacrò, con le nuove statue alla sommità, a S. Pietro e S. Paolo
(1587-88). Paolo V (1614) ne seguì l’esempio trasportando davanti a
S. Maria Maggiore – e dedicandola alla Vergine – la maestosa colonna
corinzia unica superstite di quelle della basilica di Massenzio: è questa
la più vistosa testimonianza di una devota consuetudine, diffusa
ovunque fino al XX secolo, che ha posto colonne crocifere davanti alle
chiese, soprattutto quelle dell’ordine francescano (S. Francesco a
Ripa, S. Pietro in Montorio, S. Sebastiano, Ss. Nereo e Achìlleo, S.
Cesareo de Appia, S. Pancrazio, S. Francesco di Paola). Singolare,
perché commemora l’abiura di Enrico IV di Francia non meno che per
il fusto a forma di cannone, la colonna eretta davanti a S. Antonio
Abate sull’Esquilino nel 1595 e oggi in un cortile di S. Maria Maggiore.
Pio IX, l’ultimo papa-re, non volle essere da meno dei predecessori e,
rimasto a corto di obelischi, innalzò colonne a memoria di momenti
significativi del suo lungo pontificato: la proclamazione – 1854 – del
dogma dell’Immacolata (in piazza di Spagna; il grande fusto di
cipollino è antico); il restauro della basilica di S. Lorenzo fuori le Mura,
dove volle poi essere sepolto (nel piazzale antistante). Ancor più
modeste sono state le realizzazioni di Roma capitale, naturalmente
laiche e dedicate all’unità nazionale: davanti alla «breccia» di porta
Pia; sul Vittoriano; a villa Glori in ricordo del sacrificio dei fratelli Cairoli
(quest’ultima ha inaugurato la serie banale di consimili monumenti ai
caduti sparsi nei vari quartieri). Il più recente contributo alla tradizione
si avvale ancora di un fusto antico, non rifinito, montato in via Parigi,
dove celebra il gemellaggio tra le capitali italiana e francese (1959).

LE ‘STATUE PARLANTI’

La tradizione tutta latina della satira e dei fescennini rivisse nella


Roma papale per bocca delle ‘statue parlanti’. Le anonime denunce
politiche e di costume che a esse si affiggevano, rivolte contro il papa,
il governo e i personaggi più in vista, generalmente scritte in versi e in
lingua oppure in latino – e quindi piuttosto colte – presero il nome di
pasquinate dal più illustre di questi personaggi di pietra. Pasquino
nacque e si impose subito agli inizi del Cinquecento, quando un torso
mutilo quasi bimillenario fu collocato lungo la via Papale in un punto
vitale della città, che era nel momento di maggior splendore e libertà
di costume e di pensiero dall’età classica. Gli si creò ben presto un
interlocutore, una ‘spalla’, con Marforio, divinità fluviale più tardi
reclusa nel Museo Capitolino; col tempo si diede voce ad altre figure
dislocate nella città che colpivano l’immaginazione popolare per il loro
aspetto: una giunonica Iside (Madama Lucrezia), un personaggio
togato (l’abate Luigi), un sileno grottesco (il Babuino), un servizievole
acquaiolo (il Facchino, l’unico ‘moderno’). Ma il più loquace restò
sempre Pasquino, del quale numerose sillogi hanno tramandato gli
acuti epigrammi.
Della moltitudine di statue che popolano le vie, le piazze, i giardini
di Roma sono queste le più popolari, rese vive dallo spirito critico,
altrettanto antico, del popolo di cui erano portavoce. L’inquinamento
di quello spirito, la perdita di identità di questa città, la crescente
sopraffazione dei nuovi ‘media’ le hanno ormai ridotte al silenzio: solo
Pasquino trova ancora, sempre più di rado, la forza di dire la sua.

IL MONDO A ROMA

Il patrimonio di storia e d’arte che Roma offre al turista


rappresenta la sintesi di oltre due millenni e mezzo di apporti culturali
estremamente variegati, provenienti dapprima dall’intero bacino del
Mediterraneo, poi da tutta Europa e oggi da ogni parte del mondo; è
la testimonianza tangibile del carattere di universalità che la capitale di
un immenso impero ha trasmesso al centro spirituale del
Cristianesimo.
All’iniziale, profonda influenza della cultura greca si aggiunse
quella dei popoli dell’Oriente mediterraneo, che ha lasciato tracce
considerevoli. Già alla fine del III secolo a.C. fu introdotto dalla Frigia
(l’attuale Turchia settentrionale) il culto della Magna Mater (Cibele), di
cui restano il tempio sul Palatino e il vasto santuario negli scavi di
Ostia Antica.
DAL II A.C. SONO PRESENTI A ROMA GLI EBREI, che costituirono una
comunità la cui importanza è documentata dalla sinagoga di Ostia
(l’unica di età classica conservata in tutto il Mediterraneo occidentale)
e dalle catacombe ebraiche (villa Torlonia; vigna Randanini). In
Trastevere, dove soprattutto gli Ebrei si concentrarono nel Medioevo,
sussiste in vicolo dell’Atleta una sinagoga di quel periodo; nel rione
Sant’Angelo, dove fu il Ghetto, è tuttora il loro nucleo storico, attorno
al nuovo tempio (qui è la Mostra permanente della Comunità ebraica
di Roma; al N. 14 di lungotevere Sanzio è l’Istituto superiore di Studi
ebraici).
LA CULTURA DELL’EGITTO, giunta a Roma ancor prima della
conquista, ha lasciato i segni più vistosi: oltre all’Aula isiaca sul
Palatino, i due giganteschi santuari nel Campo Marzio (Iseo
Campense) e sul Quirinale (tempio di Serapide), e il caseggiato di
Serapide a Ostia; innumerevoli opere di scultura, egizie o egittizzanti,
che arricchiscono i musei cittadini (Capitolini, Vaticani, Nazionale
Romano) o caratterizzano strade e piazze (gli obelischi; Madama
Lucrezia; la Gatta – forse un babbuino – e il «pie’ di marmo» nelle vie
omonime); la moda dei sepolcri a piramide, di cui è sopravvissuto
l’esempio più grandioso, quello di Caio Cestio.
ALLE FALDE DEL GIANICOLO È IL SANTUARIO SIRIACO, dov’era
venerata la triade eliopolitana; ma soprattutto trovò larghissima
diffusione, dal I a tutto il IV secolo, il culto persiano di Mitra, i cui
santuari ipogei costituiscono uno dei più affascinanti capitoli della
Roma sotterranea. È stata accertata la presenza di un centinaio di
mitrei nella città: i più importanti tra i superstiti si trovano sotto le
chiese di S. Clemente, S. Prisca e S. Stefano Rotondo, nel giardino di
palazzo Barberini, nelle terme di Caracalla e presso il Circo Massimo
(via dei Cerchi). Numerosi e spesso riccamente decorati quelli di Ostia,
centro marittimo aperto a ogni influenza esotica (basti ricordare il
mitreo delle Sette Sfere).
DALL’ORIENTE GIUNSE ANCHE IL CRISTIANESIMO, che diffuso
tempestivamente a Roma ne fece il suo centro spirituale e ne
confermò, con nuovo e più ampio significato, la prerogativa di
«communis patria». La presenza di membri delle comunità di tutto il
mondo cristiano si organizzò, subito dopo la fine dell’Impero, nelle
«scholae», centri religiosi e di assistenza riservati agli appartenenti a
una stessa «nazione». Durante la dominazione bizantina (VI-VIII
secolo) una folta colonia di Greci si insediò nella zona del Velabro – ai
piedi del Palatino, dove risiedevano gli esarchi – con la «schola
graeca» di S. Maria in Cosmedin; a santi bizantini furono dedicate le
altre chiese nei pressi (S. Anastasia, S. Giorgio in Velabro, S. Teodoro,
Ss. Cosma e Damiano e le scomparse S. Adriano e Ss. Sergio e
Bacco). Nello stesso periodo, sulla sponda opposta del Tevere accanto
alla Basilica Vaticana, si andava costituendo il «burg» (l’attuale rione
Borgo) con le «scholae» dei popoli nuovi del Nord: le maggiori furono
quelle dei Sassoni, dei Longobardi, dei Frisoni – gli attuali Olandesi – e
dei Franchi (sarà il protettorato di questi ultimi a sottrarre
definitivamente la Chiesa alla soggezione a Bisanzio); ne conservano
tuttora il ricordo le chiese di S. Spirito in Sassia, dei Ss. Michele e
Magno e di S. Salvatore in Terrione (oggi oratorio di S. Pietro).
Con le «scholae», che evolveranno poi nelle confraternite e
arciconfraternite, affiancate dalle istituzioni pontificie volte a
intensificare i legami spirituali e politici con tutti i paesi cattolici, inizia
l’articolato e tuttora vitalissimo capitolo delle fondazioni nazionali
(chiese, ospizi, collegi, seminari) che rappresentano l’espressione più
appariscente della vocazione internazionale di Roma cristiana, crocevia
della storia e della cultura occidentali. La loro capillare diffusione è
stata determinante nella formazione e nell’immagine della città
moderna e contemporanea, e fondamentale il ruolo da esse esercitato
sulla produzione artistica, per le numerose presenze di ‘forestieri’
chiamati dai connazionali a lasciarvi testimonianze della loro attività.
Tali istituzioni, che si incontrano continuamente nel corso degli
itinerari, sono qui radunate secondo la nazionalità: la rassegna è
quanto mai illuminante riguardo alla vastità e complessità del
programma politico e ideologico della Chiesa.

CHIESE NAZIONALI (OGGI REGIONALI) DEGLI STATI DELL’ITALIA PRE-


UNITARIA. Piemontesi, Sardi, Nizzardi e Savoiardi: SS. Sudario. Liguri:
S. Giovanni Battista dei Genovesi. Lombardi: Ss. Ambrogio e Carlo al
Corso; Ss. Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi; Pontificio
Seminario Lombardo. Veneti: S. Marco; i profughi giuliano-dalmati
hanno S. Marco Evangelista in Agro laurentino. Emiliani: Ss. Giovanni
Evangelista e Petronio dei Bolognesi. Marchigiani: S. Salvatore in
Lauro; Pio Sodalizio dei Piceni. Umbri: Ss. Benedetto e Scolastica dei
Norcini; S. Rita da Cascia (sconsacrata). Toscani: S. Giovanni dei
Fiorentini; S. Giovanni Decollato; S. Croce e S. Bonaventura dei
Lucchesi; S. Caterina da Siena in via Giulia. Campani: Spirito Santo dei
Napoletani. Pugliesi: S. Nicola in Carcere. Calabresi: S. Francesco di
Paola. Siciliani: S. Maria d’Itria. Sardi e Còrsi ebbero in uso S.
Crisogono.
CHIESE E ISTITUTI RELIGIOSI DEI PAESI EUROPEI. Belgio: S. Giuliano
Ospitaliere. Ex Cecoslovacchia: Istituto slovacco dei Ss. Cirillo e
Metodio sulla Via Cassia; Pontificio Collegio Nepomuceno, via
Concordia N. 1. Croazia, Dalmazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Istria:
S. Girolamo degli Schiavoni o degli Illirici (oggi dei Croati) e annesso
Pontificio Collegio Croato di S. Girolamo; Collegio Sloveno, Via Appia
Nuova N. 884. Francia: S. Luigi dei Francesi; Trinità dei Monti; S. Ivo
dei Brettoni; Ss. Andrea e Claudio dei Borgognoni; S. Nicola dei
Lorenesi; S. Chiara e annesso Pontificio Seminario Francese.
Germania, Austria, Olanda: S. Maria dell’Anima e annesso Pontificio
Istituto Teutonico; S. Maria della Pietà in Camposanto dei Teutoni e
Fiamminghi e annesso Collegio Teutonico (Città del Vaticano);
Pontificio Collegio Germanico Ungarico, via di S. Nicola da Tolentino N.
13. Gran Bretagna: S. Silvestro in Capite; S. Tommaso di Canterbury e
annesso Collegio Inglese; S. Giorgio e Martiri Inglesi, via di S.
Sebastianello N. 16; Pontificio Collegio Beda, viale di S. Paolo N. 18;
English Clinic and Calvary Hospital, via di S. Stefano Rotondo N. 6; S.
Andrea degli Scozzesi (sconsacrata); Pontificio Collegio Scozzese, Via
Cassia N. 481. Grecia: S. Atanasio dei Greci (rito greco bizantino) e
annesso Pontificio Collegio Greco; S. Basilio (rito greco bizantino); S.
Maria in Cosmedin (rito greco melchita). Irlanda: S. Patrizio
(Agostiniani); S. Isidoro (Francescani); S. Clemente (Domenicani);
Pontificio Collegio Irlandese, via dei Ss. Quattro N. 1. Lituania:
Pontificio Collegio Lituano di S. Casimiro, via Casalmonferrato N. 33.
Olanda: (v. Germania); Pontificio Collegio Olandese, via Ercole Rosa
N. 1. Polonia: S. Stanislao dei Polacchi; Resurrezione di Nostro Signore
Gesù Cristo, via di S. Sebastianello; Pontificio Collegio Polacco, piazza
Remuria; Pontificio Istituto Ecclesiastico Polacco, via Cavallini N. 38;
Istituto polacco di Cultura cristiana, Via Cassia N. 1200 e via del
Casale di S. Pio V N. 20. Portogallo: S. Antonio dei Portoghesi;
Pontificio Collegio Portoghese, via Niccolò V N. 3. Rodi e Malta: S.
Giovanni Battista nella casa dei Cavalieri di Rodi; S. Maria del Priorato.
Romania: S. Salvatore alle Coppelle (rito bizantino romeno); Pontificio
Collegio Romeno, passeggiata di Gianicolo N. 5. Russia: S. Antonio
Abate e annesso Pontificio Collegio Russicum. Spagna: S. Maria in
Monserrato; S. Giacomo degli Spagnoli (oggi Nostra Signora del Sacro
Cuore); SS. Trinità degli Spagnoli (Domenicani); S. Carlo alle Quattro
Fontane (Trinitari Scalzi); Pontificio Collegio Seminario Spagnolo, via
di Torre Rossa N. 2. Svezia: S. Brigida. Svizzera: Ss. Martino e
Sebastiano e S. Pellegrino (entrambe nella Città del Vaticano e
riservate alle Guardie svizzere). Ucraina: Ss. Sergio e Bacco (Madonna
del Pascolo); S. Sofia (rito ucraino) e annesso Pontificio Seminario
Minore Ucraino, via di Boccea N. 478; Pontificio Collegio Ucraino di S.
Giosafat, passeggiata di Gianicolo N. 7. Ungheria: S. Stefano Rotondo;
S. Paolo I Eremita (sconsacrata); Pontificio Collegio Germanico
Ungarico, via di S. Nicola da Tolentino N. 13; Pontificio Istituto
Ecclesiastico Ungherese, via Giulia N. 1.
CHIESE E ISTITUTI RELIGIOSI DI PAESI EXTRAEUROPEI. America
meridionale: Pontificio Collegio Pio Latino Americano, Via Aurelia
Antica N. 408. America settentrionale: S. Maria dell’Umiltà; Pontificio
Collegio Americano del Nord, via del Gianicolo N. 14. Argentina: SS.
Addolorata. Armenia: S. Biagio della Pagnotta; S. Nicola da Tolentino
(rito armeno) e annesso Pontificio Collegio Armeno; S. Maria Egiziaca
(sconsacrata: era nel tempio della Fortuna Virile). Brasile: Pontificio
Collegio Pio Brasiliano, Via Aurelia N. 527. Canada: Ss. Martiri
Canadesi; Pontificio Collegio Canadese, via Crescenzio N. 75. Etiopia:
S. Stefano degli Abissini e Pontificio Collegio Etiopico (nella Città del
Vaticano). Isole Filippine: Pontificio Collegio Seminario Filippino, Via
Aurelia N. 490. Libano: S. Marone; S. Giovanni dei Maroniti
(sconsacrata); Collegio Aleppino Maronita, piazza di S. Pietro in
Vincoli. Messico: Collegio Seminario Messicano, via del Casaletto N.
314. Stati Uniti: S. Susanna.
LE CONFESSIONI CRISTIANE ACATTOLICHE, il cui storico cimitero
(comunemente detto «protestante» o «degli Inglesi») è presso la
piramide di Caio Cestio, non ebbero chiese in città prima del 1870. Le
principali sono: Tempio Battista, piazza in Lucina; chiesa Evangelica
Battista, via Urbana e via della Lungaretta; chiesa Evangelica
Luterana, via Sicilia; chiesa Metodista, piazza di Ponte S. Angelo; St.
Andrew’s (S. Andrea; presbiteriana scozzese), via XX Settembre; St.
Paul’s within-the-Walls (S. Paolo entro le Mura; anglicana episcopale
americana), via Nazionale; All Saints’ (Ognissanti; anglicana
episcopale inglese), via del Babuino; chiesa Valdese, via IV Novembre,
via Firenze e piazza Cavour (con annessa Facoltà valdese di Teologia);
chiesa Ortodossa Russa, via Palestro; S. Andrea (ortodossa greca), via
Sardegna.
INDIPENDENTEMENTE DALLE MOTIVAZIONI RELIGIOSE, Roma è stata, a
partire dal Rinascimento, la meta obbligata nella formazione culturale
di artisti, letterati e uomini di cultura di tutta Europa; oggi, di tutto il
mondo. Gli istituti ‘laici’ di cultura stranieri, costituiti in massima parte
dopo il 1870, completano il quadro di questi rapporti internazionali (e
vale la pena ricordare che Roma è l’unica capitale ad avere una
duplice rappresentanza diplomatica, accreditata rispettivamente
presso lo Stato italiano e presso la Santa Sede). Molti di questi istituti
occupano edifici storici, che sono perciò oggetto di cure particolari e
aperti al pubblico; altri si sono dotati di sedi appositamente costruite
(per lo più da progettisti dei rispettivi paesi): Valle Giulia, dov’è la loro
maggiore concentrazione, offre così un’interessante panoramica di
tendenze architettoniche del Novecento. In ogni caso essi
testimoniano l’inestinguibile attrazione esercitata dalla città nella
quale, come diceva Montaigne, «ognuno sta come a casa propria».

ACCADEMIE E ISTITUTI DI CULTURA INTERNAZIONALI. America latina:


Istituto italo-latinoamericano, piazza Marconi N. 1. Austria: Istituto
austriaco di Cultura e Istituto Storico Austriaco, viale Buozzi N. 113.
Belgio: Accademia del Belgio, via Omero N. 8. Brasile: Centro di
Cultura italo-brasiliano, piazza Navona N. 18 (palazzo Pamphilj).
Canada: Centro Accademico Canadese, piazza Cardelli N. 4.
Danimarca: Accademia di Danimarca, via Omero N. 40. Egitto:
Accademia di Belle Arti della Repubblica araba d’Egitto, via Omero N.
4. Finlandia: Istituto Romano di Finlandia, passeggiata di Gianicolo N.
10 (villa Lante). Francia: Accademia di Francia (villa Medici); École
française de Rome, piazza Farnese N. 67 (palazzo Farnese) e piazza
Navona N. 62; Centre Culturel Français, piazza di Campitelli N. 3;
Lycée Chateaubriand, via di Villa Ruffo N. 31 (villa Strohl-Fern).
Germania: Istituto Archeologico Germanico, via Sardegna N. 79;
Istituto Storico Germanico, Via Aurelia Antica N. 391; Accademia
tedesca di Belle Arti, largo di Villa Massimo N. 1 (villa Massimo);
Centro Culturale Tedesco (Goethe Institut), via Savoia N. 15;
Biblioteca Hertziana, via Gregoriana N. 28 (palazzetto Zuccari);
Deutsche Schule, Via Aurelia Antica N. 397; Deutsch-Institut, via
Vespasiano N. 48. Giappone: Istituto giapponese di Cultura, via
Gramsci N. 74. Gran Bretagna: Scuola Britannica (Accademia
britannica di Archeologia, Storia e Belle Arti), via Gramsci N. 61;
British Council, via delle Quattro Fontane N. 20; Keats and Shelley
Memorial House, piazza di Spagna N. 26. Iran: Istituto culturale della
Repubblica islamica dell’Iran, via Pezzé Pascolato N. 9. Norvegia:
Istituto norvegese di Archeologia, viale XXX Aprile N. 33. Olanda:
Istituto olandese, via Omero N. 10. Paesi Arabi: Centro Culturale
Arabo, via Cadorna N. 29; Centro islamico culturale d’Italia, via
Bertoloni N. 22; Centro islamico e Moschea a Monte Antenne. Paesi
Scandinavi: Circolo scandinavo per Artisti e Scienziati, via dei Condotti
N. 11 e via Garibaldi N. 83. Polonia: Accademia polacca di Scienze,
Lettere e Arti, vicolo Doria N. 2 (palazzo Doria Pamphilj); Istituto
Storico Polacco, via Orsini N. 19. Portogallo: Istituto portoghese, via
dei Portoghesi N. 2. Romania: Accademia di Romania, piazza José de
San Martin N. 1. Spagna: Accademia spagnola di Storia, Archeologia e
Belle Arti, piazza S. Pietro in Montorio N. 3; Instituto español de
Cultura, via di villa Albani N. 16. Stati Uniti: Accademia Americana, via
Masina N. 5; Biblioteca americana USIS, via Veneto N. 119A. Svezia:
Istituto svedese, via Omero N. 14. Svizzera: Istituto svizzero, via
Ludovisi N. 48 (villa Maraini). Ungheria: Accademia d’Ungheria, via
Giulia N. 1 (palazzo Falconieri); Centro culturale Italia-Ungheria, via
de’ Lucchesi N. 26.

IL GIUBILEO

Giubileo è un termine derivato da «Jobhel», il corno il cui suono


annunciava gli Anni Santi degli ebrei: quelli sabbatici (ogni sette anni)
e quelli giubilari (ogni 50 anni), nei quali il lavoro della terra veniva
sospeso e che erano consacrati al Signore. Per 13 secoli questa
pratica non fu ripresa dai cristiani, ma alla vigilia dell’anno 1300 si
diffuse tra il popolo l’attesa del «grande perdono», cioè
dell’assoluzione di tutte le colpe. Tale aspettativa fu accolta da
Bonifacio VIII che il 22 febbraio – festa della cattedra di S. Pietro –
promulgò solennemente la bolla di indizione del primo dei giubilei o
Anni Santi cristiani, che si sarebbero succeduti ogni cento anni:
condizione per ottenere l’indulgenza plenaria erano le visite che,
pentiti e confessati, i Romani (per almeno 30 giorni) e i forestieri (per
15) dovevano compiere alle basiliche degli apostoli Pietro e Paolo.
LA CADENZA SECOLARE fu ridotta a 50 anni da Clemente VI (che da
Avignone proclamò il secondo Anno Santo del 1350) e a 33 da Urbano
VI; a partire da quello del 1450 si stabilì a 25. Ma sin dal Trecento si
sono avuti anche numerosi Giubilei straordinari, collegati a ricorrenze
o necessità speciali (come quello del 1983, per i 1950 anni dalla morte
di Cristo).
Col tempo si sono precisate anche le condizioni per ottenere
l’indulgenza giubilare. Quelle stabilite nel 1975 sono: confessione e
comunione, preghiere secondo le intenzioni del papa, partecipazione
alla celebrazione liturgica o a esercizi di pietà in una delle quattro
basiliche patriarcali: S. Pietro, S. Giovanni in Laterano, S. Maria
Maggiore e S. Paolo fuori le Mura. Queste sono contraddistinte
ognuna dalla Porta Santa che si apre all’inizio e si chiude alla fine di
ogni Giubileo (nella prima basilica la cerimonia è officiata dal papa e
nelle altre da cardinali; nei Giubilei straordinari questa cerimonia non
viene effettuata).
OLTRE AL SIGNIFICATO RELIGIOSO, gli Anni Santi ordinari susseguitisi
fino a oggi hanno costituito, per quanto riguarda l’immagine della
città, l’occasione di molte delle principali realizzazioni architettoniche,
urbanistiche e artistiche. Già il primo aveva visto attivi a Roma Giotto
e Arnolfo di Cambio; per il successivo fu realizzata la scalinata di S.
Maria in Aracoeli. Ma è a partire da quello di Niccolò V (1450) che gli
interventi si sono intensificati: restauri, ricostruzioni o fondazioni di
chiese, istituti religiosi, ospedali; apertura o sistemazione di strade e
piazze, creazione di arredo urbano e di strutture di servizio. Basti qui
ricordare, limitatamente ai più importanti interventi urbanistici,
l’ospedale di S. Spirito in Sassia e ponte Sisto (1475); via Alessandrina
in Borgo (1500); l’ospedale di S. Giacomo e via del Babuino (1525); la
sistemazione di piazza del Campidoglio e il nuovo progetto per S.
Pietro, entrambi a opera di Michelangelo (1550); porta S. Giovanni e
via Merulana (1575); il piano urbanistico di Sisto V e il completamento
della cupola di S. Pietro (giubileo straordinario del 1590); l’avvio del
vastissimo ospizio di S. Michele a Ripa Grande, la Dogana di Terra e
quella di Mare (1700); l’ospedale di S. Gallicano e la scalinata della
Trinità dei Monti (1725); l’ampliamento dell’ospedale di S. Spirito in
Sassia (1750); la nuova piazza del Popolo col parco del Pincio e l’inizio
della ricostruzione della basilica di S. Paolo fuori le Mura (1825); la
prima stazione ferroviaria di Termini (1875); via della Conciliazione e
la nuova stazione centrale di Termini (1950). Per gli interventi
realizzati per il Giubileo del 2000 si veda «La città nel tempo».
1 LA CITTÀ ENTRO LE MURA: GLI ASSI DI ATTRAVERSAMENTO

Come avvio alla conoscenza di Roma si propongono due itinerari


che in momenti storici diversi hanno costituito l’approccio alla città per
gli ‘stranieri’ in visita. Il primo è quello cronologicamente più vicino,
essendo stato tracciato negli ultimi decenni del XIX secolo dopo
l’apertura della nuova stazione di Termini, e dal capolinea dei treni –
al tempo il modo più moderno per raggiungere la capitale – si dirige
verso S. Pietro interrotto quasi a metà da piazza Venezia. Il secondo,
invece, ha origini ben più antiche, in quanto il primo tratto,
corrispondente a via del Corso, ha costituito per lungo tempo la
‘scoperta’ delle meraviglie della città dei papi da parte di chi vi
arrivava via terra lungo le consolari; a nord esse erano introdotte da
piazza del Popolo, a sud – a ridosso della cerchia aureliana – dallo
spiazzo antistante alla cattedrale di Roma, quella S. Giovanni in
Laterano presso la quale fu per molti secoli la sede papale. Ambedue i
percorsi, di aspetto assai differente, sono una sorta di ‘cardo’ e
‘decumanus’ della città, ma anche i tracciati che sono venuti
strutturando il sistema viario portante della Roma entro le mura.

1.1 DA TERMINI AL TEVERE: L’ASSE DELLA ROMA UMBERTINA

La nuova capitale del Regno d’Italia predispose, per il turista


«moderno» e per gli ospiti di riguardo che scendevano alla nuova
stazione centrale di Termini, un apposito percorso. I presupposti
erano stati creati sotto Pio IX dapprima con la decisione (1860) di
unificare a Termini le linee ferroviarie esistenti, poi con la riconduzione
a Roma (1865-70) dell’antica Acqua Marcia ribattezzata Pia e infine
con il progetto di urbanizzazione di monsignor Francesco Saverio De
Merode, ministro delle Armi di Pio IX, che negli ultimi anni del governo
pontificio ideò e tracciò il primo tratto di un asse di collegamento con
il centro storico e le vie a esso trasversali.
Il percorso della «via Nazionale» – come in un primo momento fu
denominato anche il tratto poi intitolato a Vittorio Emanuele II – fu
concepito e attuato con criteri di rappresentanza e di
rappresentatività: celebrava la «Terza Roma» e la monarchia ‘liberale’
con gli imponenti edifici pubblici, col monumento al Padre della Patria
e con due delle chiese acattoliche finalmente ammesse entro la città;
ma rappresentava anche la nuova borghesia ‘nazionale’ (quella del
futuro terziario) con i palazzi, i negozi, i ritrovi e i luoghi di spettacolo,
e, nel secondo tratto, pure l’antica nobiltà papalina, che vi esibiva le
proprie residenze. L’itinerario (pianta alle pagine 162-163), muovendo
da est a ovest, scende dalla zona alta sui colli – dove si espandeva
allora la città moderna – verso il Campo Marzio innestando il Corso,
l’asse classico della città barocca, a piazza Venezia, che diveniva
anche simbolicamente il centro della nuova Roma; attraversa poi il
«quartiere del Rinascimento» per terminare sui nuovi boulevard dei
lungotevere in vista di Castel S. Angelo e del Vaticano. Un tracciato
che offre anche uno spaccato rappresentativo dell’immagine storica e
artistica della città attraverso un’antologia di monumenti: dalle mura
Serviane e dal complesso delle terme di Diocleziano (dove avrà poi
sede il Museo Nazionale Romano) comprendente la michelangiolesca
S. Maria degli Angeli, alle chiese e ai palazzi della Roma papale, era
un excursus completo dall’archeologia al neoclassico.
L’asse via Nazionale-corso Vittorio Emanuele II, sul quale
affacciano edifici progettati dai maggiori professionisti dell’epoca,
costituì il modello urbanistico e architettonico della Roma umbertina
sia per la zona di nuova urbanizzazione sia per gli interventi nel centro
storico che il suo impatto richiese: il prolungamento del primo tratto
fino a piazza Venezia, l’ampliamento di quest’ultima, lo sventramento
di corso Vittorio e l’apertura di via Arenula verso Trastevere. Il
fascismo, facendo di piazza Venezia il ‘Foro d’Italia’ in cui coincidevano
il centro della città e della nazione, esaltò la doppia funzione di
rappresentanza del percorso evidenziando soprattutto l’eredità della
Roma antica con la rimessa in luce dell’area sacra dell’Argentina e dei
mercati di Traiano, oltre ai ben più radicali interventi dei Fori Imperiali
e delle pendici del Campidoglio; ma anche il tratto che attraversa il
«quartiere del Rinascimento» fu interessato da due mal riusciti
interventi di chirurgia urbana: lo sventramento di corso del
Rinascimento e l’altro, di minori proporzioni, per il collegamento con il
nuovo ponte Principe Amedeo Savoia Aosta e con l’omonima galleria.

DA PIAZZA DEI CINQUECENTO A PIAZZA VENEZIA

PIAZZA DEI CINQUECENTO è così chiamata dal numero dei caduti di


Dògali in onore dei quali fu eretto il monumento ora nei giardini di
viale Einaudi. La configurazione del vasto spazio alberato fu
conseguenza dell’arretramento del fronte della nuova stazione (la
vecchia fu demolita nel 1948) ed è stata in seguito più volte ritoccata
in rapporto alle esigenze della circolazione; si trova qui infatti il
principale nodo di collegamenti pubblici della città, dove transitano o
fanno capo sia numerose linee di superficie sia i due tracciati della
metropolitana (la linea A, Battistini-Anagnina, è stata inaugurata nel
1980; il tratto Termini-EUR della linea B è stato aperto nel 1955, il
tronco Termini-Rebibbia nel 1990).

Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:


sinistra, destra, sinistra e destra.
Il lato sud-est della piazza è definito dall’*edificio di testata,
inaugurato nell’Anno Santo 1950, della stazione centrale di
Termini, architettura (ristrutturata nel 1997-2000) emblematica del
desiderio di rinnovamento del secondo dopoguerra dovuta alla
collaborazione dei due gruppi vincitori del concorso del 1947 (Leo
Calini ed Eugenio Montuori; Massimo Castellazzi, Vasco Fadigati,
Achille Pintonello e Annibale Vitellozzi).

LA STORIA DELLO SCALO FERROVIARIO. Risale al 1860 la decisione di


creare una stazione centrale nella zona di Termini (il toponimo deriva
dalle terme di Diocleziano), allora quasi completamente inedificata, in
posizione elevata e ricca di acque necessarie per la trazione a vapore.
Il nuovo scalo riunì, dal 1864, le linee ferroviarie Roma-Frascati,
Roma-Civitavecchia e Roma-Ceprano create sotto Pio IX. Scelto nel
1867 il progetto di Salvatore Bianchi, i lavori, avviati nel 1869 e
conclusi nel 1874, originarono un edificio che costituiva un
significativo compromesso tra tradizione e impiego di nuove
tecnologie. Nel 1937, in vista dell’Esposizione universale del 1942, se
ne decise la ricostruzione (il prospetto, in origine allineato con via
D’Azeglio, venne arretrato di m 200), contrariamente alle più
lungimiranti proposte che, dal 1886 e fino al piano regolatore del
1931, avevano consigliato lo spostamento dello scalo fuori delle mura
Aureliane; sotto il piazzale fu prevista la stazione della metropolitana
di collegamento con l’Esposizione. Del progetto definitivo di Angiolo
Mazzoni del Grande (1938), che troppo sacrificava la funzionalità al
monumentalismo, furono realizzate solo le fiancate, che si sviluppano
complessivamente per più di 2 km, mentre il previsto gigantesco
portico frontale a colonne binate fu sostituito dall’edificio per uffici e
altri servizi oggetto del summenzionato concorso. Nel 2006 la stazione
è stata dedicata a papa Giovanni Paolo II.

L’ARCHITETTURA ATTUALE. L’andamento orizzontale del lunghissimo


PROSPETTO FRONTALE (m 232), rivestito di travertino, è sottolineato dalle
finestre continue (due per piano, tranne l’ultimo). A esso si
contrappone l’impennata neoespressionista della PENSILINA in cemento
armato (il cosiddetto Dinosauro; nella «veletta», fregio astratto in
alluminio di Imre Tot, 1954); l’andamento sinuoso riecheggia il profilo
delle adiacenti mura Serviane, oltre le quali si articola autonomamente
il corpo adibito a caffè-ristorante. L’ATRIO-BIGLIETTERIA è aperto su tre
lati da vetrate a tutta altezza (la panoramica verso l’Esedra è stata nel
1989 occlusa da box di servizi complementari). La luminosa GALLERIA DI
TESTA retrostante dà accesso ai binari e collega le vie Marsala e Giolitti:
lungo queste ultime si stendono le FIANCATE del Mazzoni del Grande
(1938-42), improntate al classicismo di regime con geometrie
elementari e volumi nitidi rivestiti di marmi.

LE MURA SERVIANE. Sulla destra, uscendo dalla stazione, si levano i


resti più imponenti e meglio conservati dell’«agger» (terrapieno) e
della cerchia difensiva che la tradizione attribuisce al regno di Servio
Tullio; ricostruita dopo l’invasione gallica e restaurata durante la
seconda guerra punica, poi nel corso delle lotte tra Mario e Silla e
infine da Augusto che rifece le porte, venne demolita o inglobata in
costruzioni in età imperiale, avendo perso la propria funzione. La cinta
della Roma repubblicana, che aveva uno sviluppo di quasi 11 km, uno
spessore medio di 4 m e un’altezza di 10, era costruita in opus
quadratum di tufo; nel tratto più debole perché in piano, tra la porta
Esquilina → e la porta Collina posta presso l’angolo di via XX
Settembre con via Goito, era rinforzata da un terrapieno addossato al
lato interno e sostenuto da un muro di controscarpa, posto a c. 40 m
di distanza, al cui esterno correva un fossato.
Il tratto di mura in corrispondenza di piazza dei Cinquecento,
lungo 94 m e composto da 17 filari di blocchi per un’altezza fino a 10
m, era sepolto sotto il cosiddetto Monte della Giustizia di villa Peretti
(v. sotto), che venne sbancato nel 1869-70 per la costruzione della
prima stazione; il lato esterno verso via Marsala conserva avanzi
laterizi di costruzioni che vi erano state addossate in età imperiale.
Verso nord l’«agger» s’interrompe per 13 m in corrispondenza
della porta Viminalis – individuata dai due muretti di sperone
perpendicolari alle mura – oltre la quale è un altro tratto lungo c. 30
m, con quattro contrafforti esterni riferibili al restauro dell’87 a. Cristo.

IL PALAZZO DELL’EX COLLEGIO MASSIMILIANO MASSIMO. Al centro del


lato SO della piazza, sull’allineamento della porta Viminalis, inizia via
Cavour →: il carattere di ‘ingresso’ alla città, in alternativa a via
Nazionale, è evidenziato, all’imboccatura, dai due edifici gemelli, di
moderato monumentalismo, che proponevano nella nuova capitale la
tipologia a portico di diretta importazione settentrionale.
Al numero 68 della piazza è il palazzo dell’ex Collegio Massimo,
costruito da Camillo Pistrucci nel 1883-87 sul modello di quelli nobiliari
del primo barocco romano; è stato acquistato dallo Stato nel 1983 ed
è dal 1992 sede del Museo Nazionale Romano (t. 06480201;
www.archeorm.arti.beniculturali.it).

LA STORIA. L’edificio sostituì il Palazzo Sistino o di Termini


(Domenico Fontana, 1588-89) della villa Peretti Montalto poi Negroni
e, dal 1789, Massimo, il cui nucleo originario, formato nel 1576-80 dal
cardinale Felice Peretti, fu da questi, divenuto papa, ampliato nel
1585-88. Del complesso, che costituì il modello per le ville romane del
periodo barocco e la cui sorte fu segnata dalla scelta di Termini quale
zona per la stazione, si sono conservati solo la fontana del Prigione,
ricostruita a Trastevere →, e alcuni affreschi ed elementi decorativi
oggi nella nuova sede del collegio all’EUR.

IL *MUSEO NAZIONALE ROMANO, raccolta archeologica tra le più


importanti del mondo, venne inaugurato nel 1889 con reperti rinvenuti
dopo il 1870, e da allora è stato accresciuto con le antichità del Museo
Kircheriano e della collezione Ludovisi, acquistate nel 1901, nonché
dai materiali rinvenuti nei successivi scavi. Il Museo Nazionale Romano
è stato riordinato per dare la massima efficacia espositiva e coerenza
tematica e temporale alle sue collezioni, che illustrano la storia della
città e i suoi aspetti culturali nell’antichità. Il Museo è oggi articolato in
tre sedi espositive, di cui quella di palazzo Massimo costituisce il fulcro
dell’intero progetto museale. La sede delle Terme di Diocleziano → è
stata pensata come introduzione alla protostoria di Roma e ospita la
vasta sezione epigrafica, che spiega la nascita della lingua latina. La
sede di palazzo Altemps → accoglie le collezioni di statuaria antica
delle grandi famiglie nobiliari romane. Ogni luogo espositivo fa parte
di un programma che comprende anche l’Antiquarium del Palatino →,
che espone testimonianze della cultura artistica del palazzo imperiale,
la Crypta Balbi → che racconta le trasformazioni di un’area dall’età
romana a quella medievale e la Domus Aurea →, grandioso esempio
di palazzo imperiale. Le sezioni tematiche di cui si compone
l’allestimento illustrano gli aspetti più salienti della cultura artistica a
Roma tra l’epoca sillana e la fine dell’età imperiale.

I CAPOLAVORI DEL MUSEO. Attraverso lo scalone ai cui lati sono due


mosaici policromi (sec. II), si raggiunge il PIANO TERRENO, che si articola
in una serie di sale disposte lungo le ali del portico intorno al cortile
centrale. Il percorso espositivo prende avvio con una significativa
selezione di opere che attestano le scelte iconografiche delle principali
componenti della società romana nell’ultimo secolo della Repubblica;
accanto a ritratti di personaggi eminenti di ambito urbano o
municipale (ritratti di Palestrina, di Calvi, di Mentana) sono proposte le
più raffinate immagini di ottimati, che scelgono di essere raffigurati
alla maniera greca assimilandosi ai sovrani ellenistici (Ritratto virile da
palazzo Barberini, Ritratto proveniente dal Ministero delle Finanze,
statua-ritratto del cosiddetto Generale di Tìvoli), e le prime
rappresentazioni di personaggi femminili, che attestano il ruolo più
incisivo della donna nella società sullo scorcio della Repubblica
(Ritratto con acconciatura a melone da Formia). L’emergere delle
nuove classi borghesi è documentato da stele con ritratti di liberti,
come quella della collezione Mattei e l’altra di Prothesilayus e
Megisthe. Seguono ritratti del periodo del primo triumvirato (si notino
quelli di Priverno) e documenti epigrafici di notevole interesse storico,
come i Fasti Antiates – dipinti su intonaco (84-55 a.C.) e precedenti la
riforma cesariana del calendario – e i Fasti Praenestini – incisi da
Verro Flacco nel foro di «Praenestae» (Preneste) e attestanti le
correzioni operate da Augusto al calendario cesariano. Una scelta di
monete repubblicane, raffiguranti personaggi storici collegabili al
primo e al secondo triumvirato (con particolare riguardo al periodo di
Cesare), evidenzia temi propagandistici poi ripresi in età augustea e
giulio-claudia, epoche esemplificate da numerosi pezzi di particolare
valenza iconografica e storica.
STATUARIA. Nel salone centrale sono esposte opere
rappresentative del programma ideologico-politico di Augusto. Il
fondatore dell’Impero è raffigurato come pontefice massimo nella
*statua, proveniente da via Labicana, che associa l’iconografia del
togato di tradizione italica a un ritratto idealizzato di gusto classicistico
ed è emblematica delle scelte culturali attuate dal princeps al fine di
conciliare l’ideologia italica con formule espressive diffuse nel mondo
greco ellenistico. I temi principali della propaganda sono richiamati
attraverso opere che ne documentano sia la derivazione da modelli
iconografici di epoca cesariana sia le riprese di età imperiale: a d.
dell’imperatore è il *fregio pittorico dal sepolcro gentilizio dell’Esquilino
(età cesariana), che richiama, in una successione paratattica di scene,
la leggenda troiana, assurta già all’epoca di Cesare a mezzo di
propaganda politica della gens Iulia, e la leggenda romulea, che
celebra il mito dell’origine di Roma.
Nel quadro dell’esame dei rapporti tra Roma e il mondo greco,
colti nel momento di trapasso dalla Repubblica all’Impero, sono
proposti alcuni originali greci ospitati negli «horti Sallustiani». Spicca
la Niobide (V a.C.), che gli studi considerano appartenente al
frontone del tempio di Apollo a Eretria; a un più recente gruppo di
niobidi è riferibile il Pedagogo inginocchiato. L’afflusso di opere d’arte
produsse una profonda trasformazione del gusto nella società romana
suscitando interesse per le produzioni artistiche; all’incremento della
richiesta da parte di una committenza sempre più alta corrispose, in
particolare dopo la caduta di Atene, un fenomeno di emigrazione di
maestranze greche, cui si deve una produzione artistica rielaborante,
a fini prevalentemente decorativi, temi iconografici propri sia della
grande scultura classica sia del periodo dell’arcaismo attico sia dell’età
ellenistica. Esemplificano questa eclettica corrente la raffinata
statuaria attribuibile al sec. I a.C. (Afrodite firmata da Menophantos),
l’Atena del Celio (riecheggiante la composizione dell’Athena Parthenos
di Fidia), la musa ispirata a un originale ellenistico, la ricca serie di
sculture decorative (tazza da fontana con corteo marino dal
lungotevere in Sassia, c. 100 a.C.), l’altare arcaicistico con le Grazie,
dove il simbolo apollineo del tripode documenta come il linguaggio
figurativo neoattico ben si presti a rappresentare le esigenze
ideologiche del periodo augusteo; tutte queste opere significano come
in età augustea i motivi ideali fatti propri dalla propaganda imperiale
trovino compiuta espressione in moduli figurativi della cultura artistica
greca. Il tema della fruizione di tali forme è sviluppato anche tramite
la serie di personaggi greci eseguiti in età romana (si noti il ritratto di
Filippo di Macedonia) e i ritratti di filosofi.
RITRATTISTICA. Al PRIMO PIANO vengono analizzati sia le proposte
iconografiche dall’età dei Flavi al tardo Impero sia i programmi
decorativi delle ville imperiali e delle residenze aristocratiche, che
attestano una ricca produzione di repliche di tipi statuari ideali.
All’iconografia, dai forti accenti coloristici, della dinastia ‘borghese’ dei
Flavi segue quella del periodo traianeo e adrianeo, nel quale
l’immagine imperiale assume una definizione canonica influenzando
quella privata, che tende sempre più ad assimilarsi a essa; in questa
sezione si segnalano la statuetta di Traiano di ambiente spagnolo, il
ritratto di Plotina, il rilievo funerario dei Deci, i due ritratti ‘ufficiali’ di
Adriano e di Sabina – costituiti, nel caso dell’imperatore, da un busto
di misurato classicismo, nel caso della moglie, da due redazioni
iconografiche: una diademata e con aspetto giovanile (dalla Via Appia
Antica), l’altra «velato capite», più matura ed evidentemente
idealizzata (dall’area del monumento a Vittorio Emanuele II) – e i
ritratti di Antinoo (in quello di Ostia è diademato, in quello dalla villa
Adriana è identificato con Iakkos).
La ritrattistica antonina ha due poli nella statua di Antonino Pio
proveniente da Formia, ancora influenzata dal classicismo adrianeo, e
nel ritratto dell’imperatore dalla villa Adriana, in cui è accentuata la
ricerca di un pittoricismo di maniera; il periodo di Marco Aurelio è
documentato attraverso due ritratti ‘ufficiali’ dell’imperatore (uno dalla
villa Adriana, l’altro dalla casa delle Vestali), nei quali la ricerca
coloristica è ottenuta attraverso il contrasto tra la salda tettonica del
volto e la massa chiaroscurata dei capelli, mentre lo sguardo rivela
l’inquietudine interiore del personaggio.
L’altro aspetto significativo dell’arte del periodo, quello delle
grandi narrazioni storiche, è rappresentato dal sarcofago di
Portonaccio, raffigurante scene di battaglia tra Romani e Barbari
(probabilmente i Marcomanni sconfitti da Marco Aurelio), il cui
linguaggio narrativo è molto vicino a quello della Colonna Antonina e
testimonia, assieme agli altri esemplari esposti, l’influsso dei maestri
delle colonne su monumenti onorari minori.
VILLE IMPERIALI. Un’ampia galleria, in cui sono esposti ritratti di
personaggi privati provenienti dalla villa Adriana, introduce alla
sezione dedicata ai programmi decorativi scultorei delle ville imperiali
e delle abitazioni private da quelle influenzate; il possesso di opere
d’arte, in originale o più comunemente in copia da originali greci, era
considerato nella ‘buona’ società un segno di potere economico e di
élite culturale. Tra le opere provenienti dalle ville neroniane di Anzio e
di Subiaco si annoverano la cosiddetta fanciulla di Anzio (originale
greco ellenistico), la statua di Apollo (replica romana da originale del
sec. IV a.C.) e il cosiddetto Efebo di Subiaco, nel quale è da
riconoscere un’eccellente copia di età neroniana di uno dei niobidi di
un gruppo del V a.C. (allo stesso apparterrebbe anche la testa di
fanciulla dormiente).
Ancor più rappresentativo dei programmi decorativi scultorei delle
residenze imperiali è il nucleo di sculture dalla villa Adriana, l’immenso
complesso che divenne per la sua epoca, e per quelle successive,
modello di riferimento ideale per la cultura; essa costituisce infatti un
vero museo di sculture prodotte da officine specializzate
nell’elaborazione di opere classicistiche ed eclettiche, che venivano
riusate in funzione puramente decorativa. Sono qui esposti il Dioniso
dall’elaborata acconciatura (copia da originale del sec. IV a.C.),
l’Afrodite accovacciata (raffinata replica da Doidalsas), una danzatrice
(rielaborazione di opera ellenistica), ma anche un cratere con gru di
raffinato naturalismo e un gruppo con lotta tra un Barbaro e
un’amazzone, dove si coglie il gusto coloristico e la ricerca di
drammaticità tipici dell’epoca antonina.
Nella sezione dedicata alla decorazione scultorea delle residenze
private, che in parte occupa il salone del teatro dell’ex collegio, le
varie tipologie statuarie vengono proposte non come copie utili a
ricostruire originali greci perduti – secondo l’interpretazione
classicistica – ma come espressione del gusto e della cultura artistica
che caratterizzò l’età imperiale; il fenomeno delle copie, che fu anche
sociale, viene pertanto analizzato in rapporto al significato che esse
assumevano nel contesto abitativo e alle specifiche funzioni
nell’ambito delle parti costituenti la domus. Il settore dedicato alla
cultura fisica dei ginnasi e delle terme è esemplificato dai celebri
*discobolo Lancellotti (età antonina, ma restaurato nel ’700) e
*discobolo di Castel Porziano (ascrivibile a epoca claudia), copie
della famosa opera di Mirone, cui si accompagnano l’*Apollo del
Tevere (rappresentato in una redazione di età classica, secondo un
prototipo attribuibile a Fidia), l’Apollo Chigi (rielaborazione
classicistica improntata a un gusto eclettico) e l’Apollo citaredo,
presentato attraverso l’esemplare della villa dei Quintili; Atena è
rappresentata dalla severa figura in peplo dell’Atena Celimontana,
opera di età imperiale. Il settore dei giardini annovera una ricca serie
scultorea raffigurante Dioniso secondo modelli figurativi classicistici
(statua in bronzo di Dioniso dal Tevere) e, più spesso, di derivazione
prassitelica (statua di Dioniso dal Viminale) o di creazione ellenistica;
al dio sono collegati la figura dell’ermafrodito (qui rappresentato
dall’esemplare di metà sec. II proveniente dal teatro dell’Opera) e il
satiro. La divinità che per eccellenza è collegata alla natura è però
Afrodite, qui testimoniata nelle versioni Cnidia, Anadiomene, del tipo
Capitolino e accovacciata. Di grande interesse sono anche il gruppo di
Teseo e il minotauro (da originale mironiano rinvenuto presso la
chiesa di S. Tommaso in Parione) e il drammatico gruppo di Achille e
Pentesilea, che richiamano il gusto per le complesse scenografie di
soggetto mitologico.
Dopo i rilievi dionisiaci e le maschere teatrali, si può osservare la
decorazione ènea delle cosiddette *navi di Nemi, in realtà
piattaforme galleggianti sul lago e prospicienti la villa di Caligola, che
esemplificano il gusto per le similari lussuose strutture da parata
derivante dall’ambiente egizio. I bronzi esposti sono costituiti da otto
*protomi: una con testa di Medusa (del tipo Rondanini), realizzata a
fusione piena, le altre con ferini (quattro lupi, tre leoni e una pantera)
che stringono tra i denti un anello mobile, probabilmente da
ormeggio. Tali protomi costituivano il rivestimento delle cassette
terminali di travi, mentre al timone appartenevano le coperture della
calotta dell’asse, che erano decorate con protomi leonine, e i dischi
con avambraccio e mani aperte, che avevano forse funzione
apotropaica. È pure presente la ricostruzione della balaustra delle
navi, formata da pilastrini, sostenenti un doppio ordine di barre
trasversali, con ermette bifronti di soggetto dionisiaco (sileni e
menadi).
Un’ampia sezione è dedicata a opere illustranti gli aspetti
iconografici e l’interesse per le celebrazioni storiche del periodo dai
Severi alla Tetrarchia. La trasformazione del linguaggio figurativo nel
sec. II è rilevabile attraverso una selezione di ritratti ufficiali, tra cui il
busto loricato di Settimio Severo (in esso è evidente la ricerca di
idealizzazione del personaggio) e la testa di Giulia Domna (dalla
caratteristica acconciatura gonfia e ondulata); al pannello dell’arco
degli Argentari riporta l’immagine di Caracalla fanciullo della casa delle
Vestali, mentre Geta sembra riconoscibile nella statua di giovane
nudo, rinvenuta presso «Bovillae», che presenta gli attributi di Apollo.
Un vero cambiamento stilistico nella ritrattistica imperiale è
documentato nella *testa colossale di Severo Alessandro, la cui
frontalità e fissità dello sguardo evidenziano la rinuncia alla
caratterizzazione espressiva tipica dell’età di Caracalla per scelte più
rigorose volte gradualmente all’astrazione antinaturalistica del tardo
antico; in questo filone sono inquadrabili un busto di Balbino coronato
di lauro (la cui raffinata esecuzione è ascrivibile a maestranze greche)
e la testa colossale di Gordiano III.
SARCOFAGI. Particolarmente rilevante, nel sec. III, è la produzione
di sarcofagi, nei quali si esprime, in un linguaggio figurativo ancora
influenzato dal classicismo, l’ideale filosofico dell’uomo del tempo,
permeato d’intensa spiritualità. Di tale classe di monumenti è
eccellente testimonianza il sarcofago di Acìlia, di forma ovale, con
processione di figure maschili e femminili ai lati della coppia centrale,
solo in parte conservata e rappresentata nell’atto della «dextrarum
iunctio»; tra le figure maschili (iconograficamente assimilate ai filosofi)
e quelle femminili (interpretabili come muse) spiccano il «genius
senatus» (personificazione del Senato romano e riconoscibile nel
togato con diadema che tiene il braccio d. alzato) e una figura di
guerriero nella curva sin., caratterizzato dalla capigliatura a calotta e
dagli occhi spalancati. Nel corteo si tende oggi a vedere un
«processus consularis», cioè la processione che si svolgeva in
occasione della nomina del nuovo console; stilisticamente l’opera è
riferita a botteghe asiatiche forse attive a Roma nella seconda metà
del sec. III. Alla stessa corrente artistica si deve il sarcofago con muse
da villa Celimontana, con la tipica scansione architettonica a nicchie su
tre lati e il fronte posteriore decorato da leoni affrontati ai lati di un
kantharos, mentre in epoca post-gallienica va collocato il sarcofago
dell’Annona, con rappresentazione di due coniugi nell’atto della
«dextrarum iunctio» e, sui lati, figure allegoriche. Significativo sia
sotto l’aspetto delle trasformazioni stilistiche sia per il possibile
riferimento iconografico all’imperatore Claudio II il Gotico, nel quale è
stato identificato il personaggio sacrificante, è il rilievo con scena
sacrificale forse pertinente a un monumento onorario del terzo
venticinquennio del sec. III; un’accentuata tendenza alla rigida
frontalità nella disposizione delle figure e dei cavalieri è riconoscibile
nel rilievo con auriga vincitore nel circo.
Tra fine sec. III e inizi IV cominciano a comparire nell’arte
funeraria temi cristiani. Significative della recezione in ampi strati della
società della nuova dottrina sono le due lastre policrome e il sarcofago
di Claudianus, sul cui coperchio si svolgono scene del Vecchio e Nuovo
Testamento (al centro della cassa, figura di orante, ai cui lati vengono
sviluppati la trilogia di Pietro e alcuni miracoli di Cristo): i riferimenti
stilistici con i rilievi dell’arco di Costantino suggeriscono una datazione
attorno al 330. Di particolare interesse è la statuetta di Cristo docente
(raffigurato in aspetto giovanile, con un rotolo nella sinistra e la destra
tesa secondo l’iconografia dei filosofi); eccezionale per la materia di
cui è costituito e per la tipologia è il grande *cratere, già del Museo
Kircheriano, nel cui fregio è la prima rappresentazione nota della
Vergine che allatta il Bambino: l’opera sembra essere stata prodotta in
Oriente e, per la frontalità delle scene e per l’impostazione gerarchica
delle figure, è databile nell’età di Valente.
PITTURE. Il SECONDO PIANO accoglie un’ampia documentazione sulla
decorazione pittorica e musiva nel mondo romano dal sec. I a.C. alla
tarda età imperiale, riunendo alcuni complessi abitativi ben
rappresentanti il gusto per una pittura parietale che dilata
illusionisticamente gli spazi con la magia dei paesaggi architettonici e
delle calligrafiche decorazioni miniaturistiche dei sistemi lineari.
Apre la rassegna un ambiente ipogeo, probabilmente un triclinium
estivo (ciò spiegherebbe la lussureggiante decorazione vegetale),
pertinente alla villa «ad Gallinas Albas» di proprietà di Livia moglie di
Augusto sulla Via Flaminia. Gli *affreschi, rinvenuti nel 1863 e
databili all’ultimo venticinquennio del sec. I a.C., rappresentano, al di
là di una leggera incannucciata e di una transenna marmorea, un
rigoglioso giardino, nel quale alle piante ornamentali si affiancano
alberi da frutto da cui pendono melagrane; la sala è coperta da una
volta a botte decorata a lacunari in stucco a rilievo, nei quali, su fondo
bianco e azzurro alternato, sono incorniciate Vittorie su candelabri.
Nella rappresentazione del giardino è evidente l’intento illusionistico di
sfondamento della parete e di approfondimento prospettico,
accentuato dalla presenza dell’incannucciata in primo piano; rilevante
è l’interesse naturalistico nell’attenta caratterizzazione delle singole
specie vegetali e dei volatili. Questo genere di pittura si richiama ai
«paradisi» orientali, ossia all’artificio del paesaggio ideale, in voga
nell’Oriente ellenizzato e ripreso con prevalente finalità decorativa
nella cultura romana.
AFFRESCHI. Su una galleria artificiale sono stati rimontati gli
*affreschi che decoravano il criptoportico della villa della
Farnesina, eccezionale complesso pittorico distaccato nel 1879 in un
complesso a terrazze sul Tevere che è stato fantasiosamente collegato
al soggiorno di Cleopatra a Roma ma la cui costruzione è più
verosimilmente da attribuire ad Agrippa, in occasione delle sue nozze
con la figlia di Augusto. Nelle pitture e negli stucchi non mancano
elementi che riconducono a un preciso messaggio politico: le Vittorie
nelle volte in stucco, le scene di lotta tra grifi e Arimaspi, l’esplicita
rappresentazione di Augusto come «novus Mercurius» nel soffitto del
cubicolo D. Il criptoportico, asse trasversale della residenza che ne
collegava le due ali al corpo centrale, presenta uno schema
compositivo paratattico, con esili colonne su sfondo bianco sostenenti
una trabeazione continua e scandenti campi al cui centro sono
quadretti con scene misteriche (alcuni sono successivi alla decorazione
della villa, che risale a metà sec. I). Da questo ambiente si passa nel
salone, dove, oltre agli affreschi molto frammentari delle «fauces»
(vestibolo della villa) e del muro perimetrale del «viridarium» (giardino
interno), sono proposte le ricostruzioni del grande triclinium C, che,
data l’esposizione e il colore nero dello sfondo, doveva costituire una
sala da pranzo invernale, e del corridoio mistilineo F-G, ricalcante
l’andamento dell’esedra che caratterizzava il corpo centrale della villa;
sia la parte rettilinea (F) sia quella curvilinea (G) ripropongono una
decorazione leggera a fondo bianco: essa ripete lo schema delle
colonnine desinenti in cariatidi, su cui poggia una leggera trabeazione
oltre la quale si aprono scorci su paesaggi marini o montani popolati
da figure schizzate con effetto impressionistico. La scansione delle
pareti mediante esili candelabri che sostengono festoni vegetali
permette di inquadrare delicatissimi *paesaggi architettonici
miniaturistici, entro i quali si muovono figurine rese con particolare
immediatezza di tratto. Tutti questi ambienti, come pure i cubicoli
simmetrici B e D e quello E, conservano, sia pure parzialmente, le
volte a botte ornate a stucco. Le ricostruzioni permettono di
comprendere la sostanziale unitarietà del sistema decorativo degli
ambienti, profondamente permeato dal repertorio figurativo neoattico.
Nel cubicolo B la parete di fondo è strutturata su un’edicola centrale
che ospita la scena con Dioniso fanciullo tra le ninfe di Nisa: questa si
presenta assai ricca e curata, e rivela la raffinatezza neoattica nella
figurazione della toletta di Venere sulla parete lunga, dove le figure
sono tracciate in ‘silhouette’; stilisticamente affine, ma con
predominanza di un cromatismo vivace che predilige i colori solari, è
l’ornamentazione del cubicolo D, che mostra sulla parete d. l’iscrizione
graffita «Seleukos epoie», indizio forse della presenza di maestranze
orientali. Del cubicolo E, particolarmente luminoso, restano la parte di
fondo dell’alcova, con edicola centrale entro cui è una scena idillico-
sacrale, e l’anticamera, la cui leggera decorazione (esili figure
femminili stanti o sedute nel mezzo di grandi campiture) testimonia la
transizione al terzo stile pompeiano. Rare sono invece le
testimonianze dei pavimenti musivi della villa, alla quale solo in
maniera incerta è ascritta la ricca cornice perimetrale con meandro
assonometrico policromo.
I successivi affreschi provengono, assieme ai mosaici (uno con
cassettonato lievemente policromo raccordato da stelle a otto punte e
nodi di Salomone; l’altro con motivo di scudo centrale e rosette), da
una raffinata villa scoperta in località Castel di Guido lungo la Via
Aurelia e probabilmente appartenuta a un personaggio assai vicino
alla famiglia giulio-claudia. L’ambiente affrescato, che raggiunge con
la lunetta conservata un’altezza di oltre 5 m, è stato parzialmente
ricostruito riunendo migliaia di frammenti: esso restituisce un
eccezionale esempio, in ambiente romano, di terzo stile avanzato
(questo esemplare è collocato nel secondo-terzo decennio del sec. I),
che non rinuncia però ad accentuare la centralità nella scansione
architettonica della parete dando risalto alle scene mitologiche entro le
edicole (nella parte di fondo, Andromeda liberata da Perseo; per la
parete con apertura, Ares e Afrodite; per quella opposta, sacrificio).
MOSAICI. Integra le conoscenze archeologiche della pittura antica
una ricca serie di mosaici, i cui motivi sono spesso trasposizioni di
composizioni pittoriche. A pavimenti interi si alternano quadretti
appartenenti sia al filone naturalistico (Natura morta con cesto di
frutta da Grotte Celoni, età augustea; emblema con pesci dal
Kircheriano) sia alla corrente egittizzante (mosaico con pigmei dalla
chiesa di S. Giacomo in Settignano; mosaico nilotico da via Aventina);
spicca per la vivacità delle protomi dionisiache, inserite entro intrecci
di nastri e cornici riccamente decorate, la grande *composizione
pavimentale dalla villa di Genazzano appartenuta a Marco Aurelio e
Lucio Vero. Nei mosaici di sec. II prevalgono motivi figurati in bianco e
nero (cortei di tritoni e nereidi nel pavimento da via Sicilia), mentre
dall’epoca tardo-severiana in poi si torna a una pavimentazione con
policromia più o meno ricca (mosaico con cassettonato policromo dal
Monte della Giustizia; mosaico con Stagioni ed emblema dalla Via
Appia).
Dell’interessante complesso edilizio rinvenuto nel 1939 in località
Pietra Papa sono esposti gli affreschi di due ambienti (quello
ricostruito conserva la volta a botte, mentre all’altro, parzialmente
conservato nella decorazione parietale, è pertinente il pavimento a
mosaico policromo con elementi floreali inseriti in una composizione
geometrica), trasformazione a uso commerciale di un precedente
complesso edilizio per una corporazione di «mercatores»; le scene
riproducono sullo sfondo ceruleo una ben caratterizzata fauna marina
che circonda, senza rapporti di prospettiva, navicelle utilizzate lungo i
fiumi e condotte da timonieri e rematori.
Della villa dei Settimi a Baccano presso la Via Cassia sono esposti
i pavimenti a mosaico policromo di tre ambienti. Di particolare
interesse quello della sala, costituito da un cassettonato con 32
riquadri – scompartiti da una treccia – nei quali sono individuabili
scene mitologiche (ratto di Ganimede; Leda col cigno; Ulisse e
Polifemo; Marsia e Olimpo; contesa tra Eros e Pan; ciclo delle muse;
Flora) realizzate in opus vermiculatum. Nella scelta dei temi è possibile
cogliere il simbolismo interno al programma decorativo: la supremazia
delle attività spirituali su quelle fisiche e la giusta punizione di coloro
che rappresentano la ferinità (Marsia e Pan) nei confronti della
spiritualità (Apollo, le muse, Eros). Concludono la rassegna due
pannelli del prezioso rivestimento in opus sectile, collocabile nel sec.
IV, delle pareti della basilica di Giunio Basso: uno raffigura Giunio
Basso su biga circondato dagli aurighi circensi, l’altro il ratto di
Hylas alla fonte per mano delle ninfe.
ESPOSIZIONE NUMISMATICA. AL PIANO INTERRATO è riunita un’accurata
selezione di pezzi dalle raccolte numismatiche conservate presso la
Soprintendenza archeologica di Roma. Nell’esposizione, il documento
moneta viene esaminato non come reperto isolato dal contesto che lo
ha prodotto, ma come il risultato di una convergenza di interessi di
natura politica ed economica che ne hanno tracciato via via la storia,
assicurandone la diffusione presso un numero sempre crescente di
Stati e, conseguentemente, la penetrazione nell’economia di ogni
singolo paese. Grazie alla ricchezza delle collezioni è possibile illustrare
in maniera ampia e capillare l’evoluzione che sul suolo italico ebbero i
vari tipi di moneta metallica, indagati principalmente sotto il profilo
della dinamica delle serie una volta entrate in circolazione in una
determinata area geografica.
Le ragioni per cui uno Stato decide di coniare moneta, i bisogni
che da tale moneta vengono soddisfatti, l’importanza della spesa
pubblica e di quella privata nella più ampia prospettiva storica di una
città perennemente in trasformazione sono i temi fondamentali
attraverso i quali si dipana la storia di un’infinita varietà di tondelli
metallici sui quali lo Stato ha impresso il proprio sigillo. Roma e l’Italia
sono il palcoscenico su cui le monete recitano la parte loro assegnata.
Da qui la pratica dell’usura e le leggi che a essa cercarono di porre
freno; da qui il lusso sfrenato di molti; da qui il giro sempre più
vorticoso di capitali liquidi e la trasformazione degli usi e costumi aviti;
da qui l’innesco di quei processi inflazionistici che travagliarono
l’Impero negli ultimi tre secoli di vita; da qui l’avvio di una politica dei
prezzi, di cui il calmiere di Diocleziano costituisce un esempio superbo,
e di una serie senza fine di riforme monetarie. Non indifferente fu il
peso che la moneta esercitò sugli eventi che la storia andava
dipanando: la monetazione costantiniana verrà infatti utilizzata dai
sovrani di Bisanzio e dai Musulmani, dai Goti e dai Normanni.
La collezione di monete di Vittorio Emanuele III si presta
ottimamente a illustrare la parte più recente della storia monetaria del
nostro paese, mentre alla collezione di esemplari dell’Italia antica
dell’ex Museo Kircheriano e a quella Gnecchi di monete romane è
affidato il compito di illustrare il resto dell’esposizione. Una selezione
di reperti da scavi sistematici o da rinvenimenti fortuiti arricchisce il
panorama delle emissioni di età antica, medievale e moderna. La
maggior parte dei pezzi esposti è estremamente rara; tra gli altri
meritano la segnalazione il medaglione di Teodorico, i quattro ducati
di Paolo II con la navicella di S. Pietro e le piastre in argento dello
Stato pontificio con vedute della città.
Completa l’esposizione un settore dedicato ai prezzi e al lusso
nell’antichità, con una ricca selezione di gemme, gioielli e altre
preziosità. In un ambiente è stata sistemata la mummia che venne
ritrovata nel 1964 sulla Via Cassia entro un sarcofago riccamente
decorato; accanto al corpo è stato esposto il corredo funerario,
costituito da raffinati oggetti da toilette femminile in ambra, da delicati
gioielli e da una piccola bambola.
È nelle intenzioni rendere permanente l’esposizione delle insegne
imperiali, simboli del potere dell’antica Roma, rinvenute alle pendici
nord-orientali del Palatino durante uno scavo condotto dall’Università
La Sapienza e dal 2007 in mostra nel Museo di Palazzo Massimo. Si
tratta delle insegne di un imperatore del IV sec. d.C., probabilmente di
Massenzio, sepolte secondo un’ipotesi alla vigilia dello scontro di Ponte
Milvio con Costantino (312 d.C.), dove lo stesso imperatore trovò la
morte. Il ritrovamento riveste, per la sua unicità, un eccezionale
valore documentario e simbolico.
LARGO DI VILLA PERETTI è delimitato sul lato di fondo da via delle
Terme di Diocleziano e dall’edificio già dei Granai Clementini eretto nel
1705 da Clemente XI: l’originario, modesto prospetto (restano i tre
portali, di cui il centrale, di elegante disegno e con iscrizione e
stemma, è di Carlo Fontana) è stato rifatto a fine ’800 per adeguarlo
al monumentalismo del palazzo di Gaetano Koch che vi si è innestato
sulla destra. In angolo con via del Viminale, a sin., è l’ornata facciatina
della casa del Passeggero (Oriolo Frezzotti, 1920), che costituisce, con
le decorazioni in marmo e in bronzo e la pensilina in ferro battuto, uno
dei più simpatici esempi del déco romano; subito dopo emerge il muro
laterizio di una rotonda angolare delle terme.
LE *TERME DI DIOCLEZIANO (pianta →), che fronteggiano la
monumentale mole della stazione centrale di Termini, furono iniziate
nel 298 e compiute nel 305-306; sono le più grandiose di Roma
(coprivano una superficie di m 376x361) e un eccezionale esempio di
riutilizzo delle strutture.

IL COLOSSALE STABILIMENTO, che poteva ospitare c. 3000 persone,


riprendeva nella pianta lo schema ideato da Apollodoro di Damasco
per le terme di Traiano: corpo di fabbrica centrale circondato da
giardini con ninfei, esedre e gruppi di sale all’intorno.
Oltre ai vani trasformati nella basilica di S. Maria degli Angeli → e
a quelli adattati per ospitare il Museo Nazionale Romano →, restano
due rotonde agli angoli SO e SE della cinta esterna – una riutilizzata
dalla chiesa di S. Bernardo alle Terme → e l’altra visibile in angolo con
via del Viminale → – un ambiente rotondo-ottagono all’angolo O del
corpo centrale delle terme (la sala della Minerva: →), un’esedra della
cinta esterna nei giardini di piazza dei Cinquecento e, all’interno del
complesso, altri vani; l’esedra principale, che serviva da cavea per
assistere alle esercitazioni, è invece ricalcata nelle linee dagli edifici
che Gaetano Koch eresse in piazza della Repubblica.
IL *MUSEO NAZIONALE ROMANO-TERME DI DIOCLEZIANO, che nel
grandioso complesso dioclezianeo e nella certosa di S. Maria degli
Angeli fu inaugurato nel 1889 – e che per la parte ospitata nell’ex
Collegio Massimo è descritto da → e per quella in palazzo Altemps da
→ – è stato oggetto di importanti lavori di ampliamento e
riorganizzazione. Nell’ambito del riordinamento dell’istituzione (t.
0647788323; www.archeorm.arti.beniculturali.it), la zona che ospitava
le sale cosiddette dei Capolavori è diventata sede del Dipartimento
epigrafico (v. sotto), nel quale trova organica sistemazione la
consistente collezione epigrafica, composta da quasi 10000 iscrizioni e
integrata da materiali iscritti tradizionalmente collocati nella classe
dell’«instrumentum».

Il GIARDINO verso piazza dei Cinquecento, corrispondente a una


piccola parte dell’antico giardino delle terme, è tradizionale area di
accesso al nucleo museale delle Terme di Diocleziano. Il disegno
riproposto dopo il restauro è quello degli anni cinquanta del
Novecento, ma la destinazione a verde risale alla sistemazione
ottocentesca, epoca nella quale vi furono collocati alcuni pezzi
archeologici. La disposizione storica è stata riordinata e alleggerita,
comprendendo oggi materiali epigrafici ed elementi architettonici
provenienti dall’area urbana e suburbana, ordinati per contesto di
rinvenimento. Lungo il viale sono sistemati sarcofagi e stele funerarie,
mentre statue ornano il prospetto dell’aula X dell’edificio museale; le
iscrizioni sono in prevalenza di carattere funerario.
Il CHIOSTRO GRANDE o di MICHELANGELO, così chiamato perché la
tradizione ne attribuisce il disegno al maestro, è un vasto ambiente
quadrato con quattro ambulacri che fungono da passaggi coperti. Il
restauro ha consentito di recuperarne l’immagine originaria, facendo
emergere la finitura superficiale antica e le tecniche in uso nel tardo
Cinquecento, nonché gli elementi architettonici e decorativi. Il
riassetto ha interessato anche le opere esposte lungo gli ambulacri e
originariamente collocate nel chiostro (in particolare, è stata trasferita
nella sede di palazzo Altemps la collezione Mattei). Il riordino globale
è stato accompagnato dal restauro del complesso delle sculture,
riallestite su basi studiate per garantire la migliore godibilità delle
opere stesse.
Negli ambienti del piano rialzato del chiostro di Michelangelo è
stato collocato il DIPARTIMENTO DI PREISTORIA E PROTOSTORIA, con l’intento
di illustrare il processo di formazione della società e della cultura dei
Latini all’interno del quale è avvenuto lo sviluppo della città di Roma.
La peculiarità della sezione protostorica è di presentare non materiali
provenienti da collezioni storiche o da scavi archeologici postunitari
(com’è di norma nei musei romani), bensì contesti esplorati
sistematicamente negli ultimi decenni (Osteria dell’Osa, Castiglione,
Fidenae, Crustumerium, Castel di Decima, La Rustica, del Laurentino).

IL DIPARTIMENTO EPIGRAFICO prevede un settore espositivo teso a


illustrare, attraverso un limitato ma incisivo numero di fili conduttori,
le linee essenziali del mondo romano, della sua storia, della sua
struttura sociale, politico-amministrativa e religiosa indagata
essenzialmente, ma non esclusivamente, attraverso questo particolare
tipo di documentazione, cui è di supporto un funzionale apparato
didattico.
Una breve sezione (le EPIGRAFI PER GLI ANTICHI E I MODERNI) introduce
il visitatore alla comprensione del significato della produzione
epigrafica e della sua specificità attraverso l’illustrazione del passaggio
tra oralità e scrittura e il suo ruolo nel mondo antico, del rapporto tra
testo iscritto e supporto, della concezione antica e di quella moderna
in relazione al messaggio scritto. Sono poi illustrati gli aspetti tecnici
della produzione di un’epigrafe e alcune implicazioni culturali di tale
operazione, legate per un verso alla bottega per l’altro alla
committenza.
La successiva sezione, articolata in settori cronologici, illustra
attraverso c. 300 documenti di grande rilievo la NASCITA DELL’EPIGRAFIA E
IL SUO SVILUPPO SINO ALLA FINE DELLA REPUBBLICA. Un primo ambiente è
dedicato ai materiali arcaici (cippo del Foro; «Lapis Satricanum»;
lamina in rame di Castore e Polluce, dal santuario di «Lavinium»
presso Pràtica di Mare; frammento di coppa dalla Regia con la parola
«Rex»; scodella di «Cavaios» dall’Acqua Acetosa; ciotole di «Paqua»
dal Palatino). Nel secondo, una selezione di documenti medio-
repubblicani prende in considerazione, in relazione all’ampliamento
della sfera di dominio di Roma, anche materiali dalle realtà municipali
con essa in contatto; ai frammenti attestanti i più antichi culti urbani
(Esculapio all’Isola Tiberina, Ercole presso l’Ara Massima, Honos
presso porta Collina) si affiancano reperti illustranti la vita religiosa di
«municipia», «coloniae» e «civitates foederates» legati a santuari e
luoghi di culto: statue fittili dal santuario di Ariccia; base con dedica a
Ercole dal lago Albano; urceo bronzeo e «labrum» marmoreo dedicati
da edili del «municipium» di «Lanuvium» (Lanuvio) e rinvenuti presso
il tempio di Ercole; laminetta bronzea dall’area dei 13 altari del
santuario di «Lavinium» (Pràtica di Mare) con il testo di una «lex
sacra»; cippi di Tor Tignosa (tre dei quali consentirebbero
d’identificare il luogo del mitico oracolo di Fauno ricordato da Virgilio,
mentre il quarto è la più antica testimonianza del culto di Enea nel
Lazio); lamine ènee con dedica a Giunone Lucina da Norba; corona
offerta alla Fortuna Primigenia di «Praeneste», l’attuale Palestrina;
cippo con duplice dedica a Ercole da Castelvecchio Subéquo. Il
materiale tardo-repubblicano, raccolto nel terzo ambiente, fornisce un
quadro esaustivo della complessa realtà urbana in un periodo
caratterizzato da rapide trasformazioni sociali, da nuove organizzazioni
amministrative e accresciute esigenze propagandistiche della classe
dirigente; esemplificano il potere e la ricerca del consenso e della
gloria un «titulus Mummianus» e un frammento iscritto attribuibile al
«fornix Fabianus» celebrante la vittoria di Fabio Massimo; il contratto
d’appalto per lavori dell’antica via Cecilia favorisce la comprensione
degli aspetti giuridici, amministrativi, finanziari e sociali relativi al
fenomeno dell’edilizia pubblica (in questo caso della viabilità); la
trasformazione della società è percepibile attraverso iscrizioni, per lo
più funerarie, di schiavi e liberti, di donne e bambini, di artigiani e
commercianti, di «apparitores» e collegi (si noti la lamina plumbea
con iscrizione deprecatoria, documento della superstizione nei
confronti dei defunti e del loro potere persecutorio); una
campionatura d’iscrizioni testimonia il valore politico e religioso,
oltreché urbanistico, della definizione dello spazio per funzioni di
pubblico interesse (due cippi attestanti la demarcazione delle rive del
Tevere effettuata nel 54 a.C. dai censori Marcus Valerius Messalla e
Publius Servilius Isauricus; iscrizione su colonna dei «magistri vici»).
La prima sezione dedicata all’IMPERO mostra il riflesso nelle
epigrafi della struttura sociale: dall’imperatore e la sua casa si passa
alla società e alle sue classi civili e militari, approfondendo alcuni
rapporti sociali (tra «dominus» e «servus» o tra «patronus» e
«libertus»), familiari (la casa, i componenti, l’eredità, la discendenza),
professionali e associativi (corporazioni e collegi). La seconda illustra
le strutture politico-amministrative e religiose dello Stato dal sec. I al
III e nel basso Impero; oltre a iscrizioni connesse a personaggi che in
tali strutture governative operarono, sono esposte copie incise di
documenti emanati da organi legislativi o governativi («leges»,
«senatusconsulta», «edicta», «decreta») o nell’ambito del culto
imperiale («Ludi Saeculares», «Acta Arvalium»).
Concludono il percorso di visita le sezioni illustranti ROMA NELLE SUE
EPIGRAFI e le CITTÀ NELLE LORO EPIGRAFI. La prima, modificando l’ottica
finora seguita di indagare la struttura dello Stato, illustra gli aspetti
municipali della città attraverso iscrizioni testimonianti l’organizzazione
dello spazio urbano, la popolazione, le finanze e gli organi di governo
centrali, la ripartizione urbana in «regiones» e quartieri, la giustizia,
l’ordine pubblico, i militari, la viabilità, il Tevere con le attrezzature
portuali e le attività connesse, l’amministrazione del porto di Ostia, i
lavori pubblici, le strutture culturali e sanitarie, la produzione, il
commercio, la religione. La seconda è volta a evidenziare la diversità
sostanziale delle altre città dell’Impero rispetto a Roma per mezzo di
iscrizioni laziali.

LE AULE DELLE TERME. Le aule delle Terme non fanno attualmente


parte del percorso museale e ne è in corso o in progetto il restauro. I
sarcofagi e altri materiali già qui collocati sono in parte distribuiti nelle
sale del Museo. Le AULE XI e X (pianta →), caratterizzate dalla
presenza della ricostruzione del sepolcro dei Platorini e da due tombe
a camera ricavate nel tufo (una è decorata a stucco, l’altra è
affrescata nella parete e nel soffitto), contengono opere d’arte
funeraria romana, tra cui il sepolcro dei Fontei. L’AULA IX, di particolare
imponenza architettonica, è a doppia esedra ed era forse uno
spogliatoio («apodyterium»); vi sono esposti sarcofagi monumentali e,
nelle nicchie delle pareti, statue funerarie. L’AULA VIII corrisponde al
frigidarium scoperto (piscina natatoria di m2 2500 di superficie). Da
essa si vede la metà di sin. dell’imponente prospetto del corpo
centrale delle terme, che affacciava sul frigidarium ed era composto di
cinque nicchioni, alternativamente rettangolari e absidati, rivestiti di
marmi e adorni di statue entro tre ordini di edicole sovrapposte (ne
restano le mensole sorreggenti le colonnine dei timpani); dei nicchioni
ne sono riconoscibili solo due, in quanto quello centrale divenne il
presbiterio e l’abside di S. Maria degli Angeli mentre gli altri due si
vedono da via Cernaia. Lungo i muri dell’aula sono ricostruiti, da una
serie di elementi architettonici, l’ustrinum degli Antonini e un
monumento a esso contiguo, rinvenuti vicino alla colonna Antonina (si
notino i due acroteri a traforo di grande raffinatezza).
Da quest’ultimo ambiente si accede in altre aule in parte
conservate sino alla copertura: una sequenza di sette vani che
formano una grandiosa fuga di volte e di pareti nude e imponenti.
Nelle AULE I, II e III si trovano alcuni sarcofagi della ricchissima
collezione del Museo Nazionale Romano, in particolare quelli relativi a
iconografie cristiane. Nella IV trova sistemazione la ricostruzione del
tempietto tetrastilo di ordine corinzio (metà sec. II) da Torrenova sulla
Via Casilina, mentre a pavimento sono collocati alcuni mosaici di
provenienza urbana. Nelle AULE V e VI trovano collocazione i materiali
architettonici da grandi edifici pubblici di Roma di carattere sia
religioso sia pubblico: i resti del ponte di Valentiniano e Valente,
elementi decorativi del tempio del Sole presso la chiesa di S. Silvestro
in Capite, capitelli e cornici dalla «porticus Maximae». AULA V. Innanzi
a un’arcata a d. (chiusa), donde in antico si accedeva al portico della
palestra E delle terme, 108522, gruppo di Marte e Venere (Marte
ripete lo schema di quello Borghese al Louvre, Venere quello della
Venere di Milo; nelle teste sembrerebbero effigiati l’imperatore
Commodo e la moglie Crispina). AULA VI. Riproduzione in gesso della
porta del tempio di Roma e di Augusto ad «Ancyra» (l’odierna Ankara;
sui due lati della porta e lungo il fianco sin. esterno della cella erano
incise le «Res Gestae Divi Augusti»); nel vano della porta del tempio,
108361, statua di Giove seduto da originale ellenistico, proveniente
dalla villa dei Quintili sulla Via Appia Antica. L’AULA VII conserva in
parte la pavimentazione marmorea originale.
Dal giardino, un’arcata moderna aperta nel muro di fronte
perimetrale fa da collegamento con l’AULA XII, antica «forica» (latrina)
delle terme, che conserva l’originale pavimento musivo: con pianta a
segmento di cerchio, era decorata da colonne nella parete ricurva, ove
erano disposti i sedili, e di nicchie per statue nel muro opposto alla
curva.
Il chiostro piccolo dell’ex certosa di S. Maria degli Angeli
(tradizionalmente denominato Ludovisi per aver conservato, dall’inizio
del Novecento, la Collezione Boncompagni-Ludovisi, ora a palazzo
Altemps) è situato a nord-est della Basilica, tangente e comunicante
su due lati con il presbiterio della chiesa e con il chiostro
michelangiolesco. L’accesso al piano terreno avviene attraverso una
porta che si apre sull’androne d’ingresso al Museo, un tempo corridoio
di collegamento tra l’esterno e gli ambienti monastici. Iniziato verso il
1565, ha impianto quadrangolare su due livelli, con ambulacri a piano
terra e un piano superiore chiuso; lo spazio interno è sistemato a
verde con pozzo centrale. Il chiostro verrà restaurato
(www.archeoroma.beniculturali.it) per divenire spazio museale,
destinato a ospitare la prosecuzione della sezione epigrafica (in
particolare gli «Acta Fratrum Arvalium», testimonianza di uno dei più
antichi culti della religione romana). Nello stesso chiostro troveranno
posto i due grandi pilastri recanti il resoconto dei «Ludi Saeculares» e
i calendari «Fasti Praenestini» e «Fasti Antiates Maiores», ora a
Palazzo Massimo.

PIAZZA DELLA REPUBBLICA. Da piazza dei Cinquecento si percorre


viale Einaudi lasciando nei giardini a sin. il monumento ai Caduti di
Dògali, eretto nel 1887 davanti alla facciata della stazione da
Francesco Azzurri e qui trasferito nel 1925: su una base di granito e
bronzi è collocato il minuscolo obelisco egizio (c. 1280 a.C.) rinvenuto
nel 1883 nell’area dell’Iseo Campense. Al termine del viale è *piazza
della Repubblica già Esedra, sistemata a fine ’800 per costituire
l’accesso ‘importante’ dalla stazione alla città (molti dei partecipanti al
concorso del 1882 proposero di erigere qui il monumento a Vittorio
Emanuele II): essa segue la curva della grande esedra gradinata delle
vicine terme. Nei due palazzi porticati, con testate a trattamento più
plastico, che vi prospettano (1887-98) Gaetano Koch ha dato
monumentali forme neoclassiche ma d’ascendenza barocca alle
esigenze del profitto. Al centro è la fontana delle Naiadi (o
dell’Esedra), che ha sostituito la semplice mostra dell’Acqua Pia
inaugurata da Pio IX nel 1870 dov’è oggi il monumento ai Caduti di
Dògali: sulla vasca (1888) sono dal 1901 i quattro gruppi bronzei con
ninfe su mostri marini di Mario Rutelli, autore anche del Glauco che ha
sostituito nel 1912 il gruppo scultoreo ora in piazza Vittorio Emanuele
II.
La parte di piazza tra la fontana e il lato NE corrisponde al
calidarium dell’adiacente impianto termale: ne resta solo il nicchione,
in cui è l’accesso alla basilica di *S. Maria degli Angeli, ricavata
negli ambienti più monumentali del corpo centrale.

LA STORIA DEL TEMPIO. Le prime idee di una trasformazione del


complesso in chiesa risalgono a Giuliano da Sangallo e a Baldassarre
Peruzzi (c. 1515), ma solo nel 1561 il sacerdote Antonio Del Duca
ottenne da Pio IV la consacrazione degli ambienti agli angeli e ai
martiri cristiani impiegati, secondo le leggende, nella costruzione delle
terme. Michelangelo fu incaricato dell’attuazione di quest’opera,
condotta da Jacopo Del Duca fino al 1566 e proseguita sotto Gregorio
XIII, mentre in contemporanea i Certosini, ai quali Pio IV aveva
affidato il complesso, costruirono il convento (il Chiostro grande, detto
«di Michelangelo», è datato 1565). L’intervento dell’artista si limitò a
un restauro quasi esclusivamente conservativo, con la rinuncia a
lasciare il proprio ‘segno’ che equivaleva a un «non finito»
architettonico: il tepidarium, i quattro ambienti che si aprivano ai suoi
lati e quelli sull’asse trasversale furono recuperati in un organismo
quasi a croce greca con tre ingressi, mentre il quarto braccio era
concluso dal presbiterio absidato.
La successiva trasformazione del complesso iniziò nel 1700,
quando, per la creazione della cappella di S. Brunone, fu chiuso
l’ingresso verso la strada Pia e, nel 1746, quello opposto (cappella del
beato Albergati); contemporaneamente iniziò la tamponatura degli
arconi dei vani laterali. Il riassetto decorativo di Luigi Vanvitelli per
l’Anno Santo 1750, che diede all’interno l’aspetto attuale, rafforzò
l’importanza del braccio secondario, in asse con l’unico ingresso
rimasto, con l’aggiunta di otto colonne di muratura a imitazione di
quelle del transetto, con la decorazione del vestibolo e del presbiterio
e con l’apertura di quattro cappelle ricavate dai vani soppressi; il
transetto fu invece allestito (modifica delle finestre, creazione delle
paraste che si accoppiano alle colonne e della trabeazione continua
che raccorda l’ordine sui quattro bracci) come una pinacoteca per le
pale d’altare provenienti dalla basilica di S. Pietro, qui trasferite dal
1727.
Dopo il 1870 gran parte della certosa fu indemaniata e nel 1889
adattata a sede del museo archeologico; nel 1901-1911 la chiesa,
divenuta con l’apertura di via Nazionale e la sistemazione di piazza
Esedra luogo delle cerimonie ufficiali del nuovo Stato, ebbe eliminata
la facciata a semplici partiture geometriche per rimettere in luce la
muratura antica, nella quale fu creato un ipotetico doppio ingresso ad
arco.
L’INTERNO. Si entra nel VESTIBOLO (pianta, 1), rotonda a cupola con
due nicchie laterali a fondo piatto, già ambiente di passaggio dal
calidarium al tepidarium (secondo alcuni sarebbe il tepidarium vero e
proprio). Nelle edicole, quattro monumenti funebri: a d. quelli di Carlo
Maratta, eseguito su suo disegno e con busto di Francesco Maratta (c.
1704), e del cardinale Francesco Alciati (m. 1580) di G.B. Della Porta;
a sin. quello di Salvator Rosa (m. 1673), con sculture di Bernardino
Fioriti. Cappella destra (2; 1575): tavola attribuita alla scuola di
Daniele da Volterra; a sin. monumento di Pietro Tenerani (m. 1869)
con busto-autoritratto. Cappella sinistra, corrispondente al battistero
(3; 1579): tavola (Noli me tangere) di Hendrick van der Broek.
PASSAGGIO (4). Nella nicchia di d., *statua di S. Brunone da Colonia
fondatore dei Certosini (Jean-Antoine Houdon, 1766-68). Seguono a
d. la cappella Aldobrandini (5), con S. Brunone del sec. XVII, e a sin. la
cappella Aragonesi (6; 1635), con *Consegna delle chiavi di Girolamo
Muziano. Sopra l’arcata verso la navata trasversale, Cacciata dal
Paradiso, cartone di Francesco Trevisani.
La NAVATA TRASVERSALE (7) include il tepidarium, in origine a forma
pseudo-basilicale (gli ambienti laterali furono murati nel 1746-49) e
coperto da tre volte a crociera impostate su otto colonne monolitiche
di granito, e i due vestiboli alle estremità, trasformati in enormi
cappelle. È decorata con pale d’altare provenienti dalla basilica di S.
Pietro e da quattro cartoni del Trevisani (c. 1638-45). BRACCIO DESTRO
(8). Sul pavimento, diagonalmente, Linea Clementina, meridiana con
costellazioni dello zodiaco e variazioni millenarie della stella polare,
così detta da Clemente XI che la fece disegnare da Francesco
Bianchini e Giacomo Maraldi (1702); alla parete d., Crocifissione di S.
Pietro di Nicolò Ricciolini e Caduta di Simon Mago di Pierre Charles
Tremollière (da Francesco Vanni); a quella sin., S. Pietro risuscita
Tabita di Francesco Mancini e Predica di S. Girolamo del Muziano. Sul
fondo, il beato Niccolò Albergati (c. 1746-50) di Ercole Graziani; nella
volta affreschi di Antonio Bicchierai. Qui sono i monumenti funebri dei
tre maggiori artefici della vittoria nella prima guerra mondiale: di
Vittorio Emanuele Orlando (m. 1953) di Pietro Canonica,
dell’ammiraglio Paolo Thaon di Revel del Canonica (1950) e del
maresciallo Armando Diaz (m. 1928) su disegno di Antonio Muñoz.
BRACCIO SINISTRO (9). Alla parete d., Immacolata e santi di Pietro
Bianchi (1730-35) e Risurrezione di Tabita di Placido Costanzi; su
quella sin., *Caduta di Simon Mago di Pompeo Batoni (1755) e
*Messa di S. Basilio di Pierre Subleyras (1743-47), nei quali l’impianto
barocco si fonde con la nuova sensibilità neoclassica per il colore.
Cappella di S. Brunone (10), su disegno di Carlo Maratta: Vergine e i
Ss. Bruno e Pietro di Giovanni Odazzi (c. 1700); nella volta, affresco
(evangelisti) di Andrea Procaccini (c. 1700).
Nell’ambiente di passaggio al presbiterio si aprono due cappelline
con cancellata vanvitelliana: quella d. (11) fu completamente decorata
da Giovanni Baglione; in quella sin. (12; 1574), sulla volta affreschi del
van der Broek, a d. Visione dell’Inferno di Giulio Mazzoni.

PRESBITERIO (13). Alla parete d., Presentazione di Maria al tempio


di Giovanni Francesco Romanelli (c. 1640) e *Martirio di S.
Sebastiano, dipinto a olio su stucco del Domenichino (1629). A quella
sin., Castigo di Anania e Safira, dipinto su lavagna del Pomarancio (c.
1605), e *Battesimo di Gesù del Maratta (c. 1697). Nell’abside,
monumenti funebri di Pio IV (1565) e del cardinale Giovanni Antonio
Serbelloni di Alessandro Cioli (1583); sulla parete di fondo, S. Maria
degli Angeli, dipinto eseguito a Venezia nel 1543; nella volta, affreschi
di Daniele Seyter. Sulla sinistra del presbiterio si apre la cappella
dell’Epifania (14), già sagrestia della chiesa michelangiolesca,
trasformata in coro nel 1727: sopra gli stalli, storie di S. Brunone
attribuite come l’affresco della volta (Trionfo del santo) a Luigi Garzi;
sull’altare, Epifania, dipinto su lavagna del sec. XVI. Per il Giubileo del
2000 la basilica è stata dotata di un nuovo organo monumentale,
dono della città al pontefice.

AULA OTTAGONA E PARTI RESTANTI DEL COMPLESSO TERMALE. Sulla


sinistra della facciata della chiesa è il portale monumentale degli ex
Magazzini dell’Olio (iscrizione e stemma di Clemente XIII, che adattò i
locali interni nel 1764), mentre le strutture romane proseguono lungo
via Romita, qui trasformate in Granai Camerali da Gregorio XIII nel
1575 (iscrizione con stemma).
Oltre via Cernaia, la cui apertura (1878) ha coperto parte della
palestra delle terme, si costeggia la sala detta della Minerva, posta
all’angolo SO del complesso – di cui era forse un ambiente di
passaggio – e adattata nel 1928 a planetario da Italo Gismondi; il
pressoché intatto ambiente ottagonale, con quattro nicchie
semicircolari agli angoli e cupola a ombrello con occhio centrale
(diametro m 22), ospita le sculture del Museo Nazionale Romano di
provenienza termale. Notevole il nucleo di esemplari dalle terme di
Caracalla (statua di Herakles, da originale policleteo; testa di satiro,
replica del tipo dell’Anapaumenos di Prassitele, rinvenuta presso la
chiesa dei Ss. Nereo e Achìlleo; *replica dell’Hermes del tipo Andros;
copia acefala dell’Afrodite Anadiomene e statua di Artemide-Diana,
copia romana da originale tardo-classico), cui seguono due *teste,
maggiori del vero e di fine esecuzione: una, giovanile, assimilabile al
tipo dell’Eubuleo, l’altra, barbata e diademata, rappresentante
Asclepio. Tra le scarse testimonianze dalle terme di Diocleziano
spiccano: una replica dell’Afrodite Cnidia di Prassitele; un torso di Zeus
(divinità cui l’imperatore amava essere assimilato); una testa di atleta,
copia adrianea da originale di stile severo; erma acefala di Quintus
Ennius. Di notevole rilevanza le due statue collocate nei nicchioni:
l’Apollo Liceo è stato rinvenuto nell’area delle terme di Traiano; la
notissima Afrodite di Cirene è replica di età adrianea, rinvenuta
nelle terme di Cirene, del tipo della Venere Anadiomene di Prassitele.
Ma le statue più ragguardevoli sono i due esemplari in bronzo del
cosiddetto Principe ellenistico (sec. II a.C.), più grande del vero e
probabile ritratto onorario di un generale romano, e il Pugilatore
seduto (I a.C.; restaurato nel 2004), ricco di dettagli anatomici come
la resa delle ferite, evidenziate a intarsio. Una rampa sul fondo
dell’aula scende al livello originario della sala, sotto il quale sono state
rimesse in luce le strutture di edifici pubblici e privati preesistenti alla
costruzione delle terme e tagliate dalle fondazioni di queste.
Si incontra quindi via Parigi, intitolata alla capitale francese in
occasione del gemellaggio (1959); sul lato d. voltano i muri delle
terme, da cui spunta la gradevole facciatina dell’ex chiesa di S. Isidoro
alle Terme, creata da Benedetto XIV nel 1754-55 (targa in facciata),
mentre il tratto successivo degli ambienti antichi fu inglobato nei
granai di Paolo V (1609; iscrizione con stemma) e in quelli di Urbano
VIII, distrutti intorno al 1940.

VIA NAZIONALE, che da piazza della Repubblica si stacca in


direzione SO, è la prima strada di Roma moderna e riprende il
percorso del «vicus Longus» tra le terme di Diocleziano e il foro di
Augusto. Il carattere celebrativo dell’Unità nazionale riecheggia nella
toponomastica: alla via, che punta al monumento a Vittorio Emanuele
II →, convergono o sono parallele strade intitolate alle capitali
dell’Italia pre-unitaria, mentre alcuni tratti furono in seguito
ribattezzati a ricordo di personaggi e momenti salienti della storia del
paese.

LA FORMAZIONE DEL PERCORSO. Il segmento fino all’incrocio con via


delle Quattro Fontane, insieme a tre trasversali (le odierne vie Torino,
Firenze e Napoli) e una parallela (via Modena), fu aperto da
monsignor Francesco Saverio De Merode nel 1864-66; nel 1864-70
furono costruiti i primi edifici tra le vie Torino e Modena e lungo il
tracciato principale (chiamato «Nuova Pia» in onore del papa), e fu
delineato il tratto fino alla chiesa di S. Vitale, mentre all’urbanizzazione
di quest’ultimo e alla prosecuzione della via fino a piazza Venezia
provvide il comune dopo il 1871 sotto la direzione di Alessandro
Viviani, che nel 1875-76 studiò la soluzione adottata nel segmento
finale.
LA QUALITÀ ARCHITETTONICA è mediocre nella prima parte del
percorso, che mostra il carattere speculativo dell’operazione del De
Merode, mentre sale di tono dopo l’incrocio con via delle Quattro
Fontane grazie al palazzo delle Esposizioni e a quello della Banca
d’Italia; per l’edilizia abitativa fu riproposto il tipo di palazzo
‘sangallesco’ con portale centrale (spesso balconato), finestre
incorniciate, fasce e cornici marcapiano, spigoli rinforzati da bugne e
superfici intonacate (di solito a finto bugnato nel piano inferiore).

VIA TORINO, la prima traversa che l’asse tardo-ottocentesco


interseca, fu tracciata a inquadrare, secondo il criterio sistino, la parte
absidale della basilica di S. Maria Maggiore → e la facciata della chiesa
di S. Susanna →.

Il tratto di sinistra, su cui affaccia al N. 122 il palazzo Nathan


(Cesare Janz, 1889) clamoroso esempio di monumentalismo
umbertino, si apre a d. in piazza Gigli, dove è il prospetto attuale del
teatro dell’Opera, costruito nel 1878-80 ma restaurato radicalmente
nel 1926-28 da Marcello Piacentini, cui si deve la ‘facciata’ a portico;
un ulteriore (1957-60) intervento dello stesso conferì il banale aspetto
sia all’esterno sia all’interno, dove la sala conserva ancora la struttura
ottocentesca (la cupola fu vivacemente affrescata da Annibale
Brugnoli), cui si è sovrapposta la decorazione a stucchi déco-
classicista. Tra le anonime facciate della piazza spicca, a sin. del
teatro, il palazzo dell’Istituto Bancario S. Paolo (Ennio Canino, 1982-
84).
Nel tratto successivo di via Torino sono: al N. 6 il palazzo già
dell’ENPAIA (Adalberto Libera, Leo Calini ed Eugenio Montuori, 1956-
59), scandito da fasce orizzontali nei prospetti modulari (i primi a
Roma in «curtain-wall»); al N. 163 il palazzo Giolitti, altra altisonante
opera dello Janz (1888).

S. PAOLO ENTRO LE MURA. Più avanti su via Nazionale, a sin., si fa


notare la chiesa americana episcopale (anglicana) di St. Paul’s within-
the-Walls, il primo tempio non cattolico accolto in città, che costituisce
un documento unico in Italia del movimento inglese «Arts and Crafts»
e la più interessante realizzazione d’arte sacra nella Roma di fine ’800.
La costruzione, voluta dal reverendo Robert J. Nevin, è su progetto di
George Edmund Street (1872-76), che si sforzò di darle caratteri
italianeggianti nelle massicce murature ‘romanico-gotiche’ a corsi di
travertino e mattoni rossi e nel campanile a bifore e trifore. Intorno al
rosone e sul portale gemino, mosaici di William George Breck (1909);
le porte in bronzo (1977) hanno sostituito le originali.

NELL’INTERNO a tre navate – con archi ogivali su pilastri polistili,


soffitto ligneo a carena trilobata di tipo veneto e volte a crociera sulle
navate laterali – torna la dicromia nei corsi di mattoni e pietra rosa di
Arles ed è presente un raffinato apparato decorativo, con maioliche
parietali su disegno di William Morris; nel presbiterio, *mosaici, ispirati
all’iconografia bizantino-medievale, su cartoni del preraffaellita Edward
Coley Burne-Jones (1885-94) e terminati nella parte inferiore da
Thomas Matthews Rooke (1906-1907).

L’ANTICA STRADA FELICE (per l’inquadramento →), che poco oltre si


interseca, è oggi denominata a d. via delle Quattro Fontane → e a sin.
via Depretis (v. sotto; sullo sfondo, l’abside di S. Maria Maggiore: →).

LUNGO VIA DELLE QUATTRO FONTANE si dispongono a sin., oltre via


di S. Vitale, l’ex Pontificio Collegio Canadese (Luca Carimini, c. 1888),
e il palazzo dell’Istituto Mobiliare Italiano e dell’Ufficio
Italiano Cambi (Mario Paniconi, Giulio Pediconi e Vincenzo
Passarelli, 1953-56), una delle più espressive architetture romane
degli anni ’50 del sec. xx e uno dei più intelligenti inserimenti nel
tessuto storico: il prospetto, rivestito di travertino con bugne irregolari
lisce e rustiche, è concepito come ‘quinta urbana’ che si apre, tramite
l’atrio trasparente, sulla retrostante via Piacenza.

VIA DEPRETIS, dov’è la chiesa sconsacrata di S. Paolo primo


eremita, ultima espressione del barocco romano (Clemente Orlandi,
1767-75), conduce in piazza del Viminale, sistemata a esedra nel
1929-30 (la classicheggiante fontana a vasca è di Publio Morbiducci);
la domina il grandioso ma freddamente cinquecentista palazzo del
Viminale (Manfredo Manfredi, 1912-21), sede del Ministero
dell’Interno, fronteggiato (N. 14) da una casa per appartamenti
(Marcello Piacentini, 1914-19) che preannuncia il déco e cui si affianca
a d. il palazzo dell’ex Supercinema ora Teatro Nazionale (Arnaldo
Foschini e Attilio Spaccarelli, 1924-25).
Proseguendo per via Depretis si raggiunge, in angolo con via
Balbo →, il monumentale palazzo dell’Istituto Nazionale di
Statistica (1929-31); la biblioteca specializzata, con oltre 150000
volumi, è tra le più importanti d’Europa.

S. VITALE. Via Nazionale, oltre l’incrocio con via Genova, incontra


a d., sprofondata in seguito alla colmata per l’apertura di questo tratto
della strada, la chiesa, consacrata da Innocenzo I («titulus Vestinae»)
nel 412, in gran parte ricostruita da Leone III (secoli VIII-IX) e
restaurata in età romanica. Originariamente a tre navate precedute da
nartece, fu ridotta alle dimensioni attuali da Sisto IV (1475); nel 1598
Clemente VIII la concesse ai Gesuiti, che la collegarono alla chiesa di
S. Andrea al Quirinale e ne iniziarono un integrale restauro. Gli
interventi del 1937-38 hanno ripristinato il prospetto evidenziando la
rarissima tipologia a facciata aperta (inizi sec. V): alle cinque arcate su
colonne del protiro ne corrispondevano altrettante, poi murate, nella
facciata, che ospita al centro un portale con iscrizione e stemma di
Sisto IV e *battenti lignei magnificamente scolpiti di inizi ’600.

L’INTERNO è oggi ridotto a una sala rettangolare absidata. Alle


pareti, entro riquadri che sono incorniciati da colonne binate dipinte, e
sulla controfacciata, storie di martiri e profeti di Tarquinio Ligustri e
Andrea Commodi. Le Ss. Vergini martiri (1° altare d.) e i Ss.
Confessori (1° sin.) sono di G.B. Fiammeri. Gli affreschi del transetto
(Lapidazione e Martirio di S. Vitale) e ai lati dell’abside sono di
Agostino Ciampelli (1601-1603), quelli dell’abside del Commodi.

IL CONTIGUO PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI (ristrutturato e ampliato


nel 2003-2007) fu eretto su progetto di Pio Piacentini – vincitore del
concorso del 1877 – e inaugurato nel 1883 destando critiche per le
caratteristiche distributive: l’enfatizzazione dell’ingresso – un’enorme
serliana su colonne corinzie sotto cui prosegue la scalinata – e
l’assenza di aperture sulle pareti delle ali, ritmate da paraste e
coronate da 12 statue di artisti celebri. Ai lati del fornice, l’Arte
industriale e l’Architettura di Giuseppe Trabacchi, la Pittura e la
Scultura di Giovanni Biggi; i due altorilievi raffigurano i Festeggiamenti
per la Madonna di Cimabue (Giovanni Puntoni) e il Ritrovamento del
Laocoonte (Filippo Ferrari). Il gruppo marmoreo a fastigio (l’Arte tra la
Pace e lo Studio) è di Adalberto Cencetti. Nell’interno, riallestito da
Costantino Dardi, le sale sono illuminate tramite lucernai nei soffitti.
VERSO LARGO MAGNANAPOLI. Subito oltre è via Milano, rettifilo in
prosecuzione di via del Babuino e via Due Macelli previsto assieme al
traforo dal piano regolatore del 1873 e che secondo quello del 1909
avrebbe dovuto proseguire fino a piazza di S. Giovanni in Laterano; il
traforo Umberto I sotto il Quirinale fu aperto da Alessandro Viviani nel
1902-1903 (la testata su via Milano fu realizzata da Pio Piacentini e
Giulio Podesti nel 1905). Seguono ai numeri 191-193 il villino Hüffer
(Jules-Antoine Pellechet, 1880-83), che si distingue per la tipologia e il
linguaggio tra Rinascimento e «Luigi XVI», e, tra le vie Parma e della
Consulta, il palazzo per uffici della Banca d’Italia (Marcello Piacentini,
1954-60).
Via Nazionale, che si innesta qui nel nucleo antico della città
tagliando le pendici del Quirinale, accoglie uno degli episodi più
rilevanti del liberty romano (1914): lo compongono il teatro Eliseo
già Apollo, nato come arena all’aperto nel 1901 e ricostruito in
muratura nel 1906-1910 (l’interno è stato completamente ristrutturato
con criteri razionalisti da Luigi Piccinato nel 1936-38); gli ex magazzini
Rovatti (1901), con strutture in ghisa e cemento armato che
consentono superfici vetrate a tutta altezza; il Piccolo Eliseo. Sul lato
opposto si contrappone il poderoso blocco di travertino del palazzo
della Banca d’Italia (1887-1902), espressione del classicismo di
matrice tardo-cinquecentesca di Gaetano Koch: è a tre ordini, con
parte centrale in leggero aggetto coronata da attico e doppio ingresso
a tre fornici.
SU LARGO MAGNANAPOLI, dove il lungo rettifilo sbocca,
convergono: a d. via XXIV Maggio →, con sullo sfondo il palazzo del
Quirinale →; a sin. via Panisperna → e la salita del Grillo →; da O le
vie IV Novembre e Magnanapoli, che salgono rispettivamente da
piazza dei Ss. Apostoli e dal foro di Traiano. L’attuale largo si è
formato nel 1875-76 in seguito all’abbassamento del livello stradale,
che portò al ritrovamento di esigui resti di mura Serviane (per
l’inquadramento →), ora nell’aiuola, prossime alla porta Sanqualis.
A sinistra si erge isolata – in seguito alla demolizione del convento
per l’isolamento della torre delle Milizie → e la liberazione dei mercati
di Traiano → – e sopraelevata la chiesa di S. Caterina a
Magnanapoli, fondata col convento delle Domenicane da Porzia
Massimi intorno al 1575; la ricostruzione della chiesa, a opera di G.B.
Soria, avvenne nel 1628-41. La facciata di gusto tardo-
cinquecentesco, compiuta nel 1641, è a due ordini della stessa
ampiezza; al portico a tre arcate si accede dalla scala a doppia rampa
(moderna), sotto cui è stata ricavata la CRIPTA DEI CADUTI (1934;
all’altare, Crocifisso bronzeo di Romano Romanelli).

L’INTERNO è a sala, con tre cappelle per lato e luminoso


presbiterio, armoniosamente ricco in seguito agli interventi decorativi
sei-settecenteschi. Nella volta, Gloria di S. Caterina di Luigi Garzi (sue
le Virtù negli sguinci delle finestre). 1ª cappella d.: Comunione della
Maddalena di Benedetto Luti. 2ª: Ognissanti del Garzi. 3ª: S.
Domenico risuscita un fanciullo di Biagio Puccini. PRESBITERIO. Al
monumentale altare maggiore, a due ordini di colonne di marmo nero,
Spirito Santo ed *Estasi di S. Teresa di Melchiorre Caffà (ante 1667), e
prezioso tabernacolo in agata, lapislazzuli e bronzo dorato di Carlo
Marchionni (1787); ai lati, S. Rosa da Lima e S. Agnese da
Montepulciano, altorilievi in stucco di Pietro Bracci; nella cupola,
Eterno in gloria di Francesco Rosa. Sopra le porte del presbiterio,
episodi della vita di S. Caterina di Giuseppe Passeri. 3ª cappella sin.:
Madonna del Rosario del Passeri; alle pareti, monumenti funebri
Bonanni di Giuliano Finelli (1646-50). 2ª: arcangeli del Passeri. 1ª: S.
Nicola di Bari di Pietro Nelli.

LA *TORRE DELLE MILIZIE, che dietro la chiesa leva la possente


mole, è una delle più importanti testimonianze dell’architettura civile
del Medioevo romano. Eretta dai Conti a inizi sec. XIII, fu acquistata da
Bonifacio VIII, che la fortificò contro i Colonna; il terremoto del 1348
provocò il crollo del terzo piano e il cedimento del terreno, causa della
forte inclinazione tuttora visibile. Nel ’500 fu di nuovo dei Conti e dal
1619 delle monache di S. Caterina a Magnanapoli, che l’inglobarono
nel convento; dopo i restauri e i consolidamenti operati da Antonio
Muñoz nel 1914, è stata annessa dal 1927 al complesso dei mercati di
Traiano. Su un basamento a blocchi di tufo si levano due piani a
paramento esterno in laterizio (del terzo resta un moncone) e
coronamento a merli, quest’ultimo di restauro; il rivestimento interno
è a blocchi di tufo irregolarmente alternati a filari di mattoni.

IL PALAZZO ANTONELLI, al N. 158 di largo Magnanapoli, ha origine


cinquecentesca ma venne ristrutturato da Andrea Busiri Vici nel 1854-
69 e nuovamente trasformato per la prosecuzione di via Nazionale;
appartenuto al cardinale Giacomo Antonelli, conserva in fondo
all’androne, decorato da numerosi frammenti antichi, un eccezionale
avanzo (scoperto nel 1875) delle mura Serviane (per l’inquadramento
→), costituito da un *arco a conci di tufo pertinente a una camera
balistica (sec. I a.C.).

LA DISCESA A PIAZZA VENEZIA. Via Nazionale cambia qui direzione e


pendenza, e si riduce in larghezza perché riutilizza i preesistenti vicolo
dei Colonnesi e via S. Romualdo: questa soluzione (1876-77)
scongiurò la prima, ideata da Alessandro Viviani nel 1873, che
prevedeva dopo la curva un rettilineo fino a piazza di Trevi e ulteriori
sventramenti fino al Pantheon; dal 1918 questo tratto ha preso i nomi
di via IV Novembre e via Cesare Battisti. Oltre l’ingresso, a sin., ai
mercati di Traiano → è, al N. 100, la casa Ruboli (Pietro Carnevale,
1884-86), nella quale l’eclettismo adotta il linguaggio minuto del ’400
fiorentino (decorazione in maioliche dipinte) per ‘adeguarsi’
all’adiacente torre dei Colonna, eretta a fine sec. XII da Gilido
Carbone e annessa al sistema difensivo dei Colonna e poi dei Molara:
tutta in laterizio e originariamente a tre piani, conserva in basso tre
frammenti di rilievi classici e lo stemma Colonna. Al secondo gomito
della via, e a scenografico fondale neobarocco di via del Plebiscito →,
s’incurva nel portico d’entrata il prospetto del palazzo dell’INAIL
(Armando Brasini, 1928-34); subito a d. è via della Pilotta, con
l’inconfondibile profilo dei quattro ponticelli che collegano palazzo
Colonna → all’omonima villa sul Quirinale →, mentre a sin. è la chiesa
Valdese, la prima di questa confessione a Roma, inaugurata nel 1883
su progetto di Benedetto Andolfi. Dopo via di S. Eufemia → è rimasto,
staccato, il cinquecentesco palazzo Valentini già Bonelli e ora della
Provincia: il prospetto si richiama, in piccolo, a quello di palazzo
Farnese e si potrebbe dire il prototipo di tutti quelli incontrati finora
lungo il percorso.

LA STORIA. L’edificio, che occupa l’area del tempio di Traiano →,


fu eretto dal cardinale Michele Bonelli nel 1583-85 e ampliato verso la
Colonna Traiana nella seconda metà del ’600, sembra da Francesco
Peparelli. Divenuto dal 1796 proprietà del banchiere Vincenzo
Valentini, che fece erigere da Filippo Navone (c. 1830) il prospettino
neoclassico verso il foro di Traiano, e dal 1873 della provincia di
Roma, che ne iniziò la trasformazione a opera di Luigi Gabet nel 1878
(lato di fondo del cortile e interni), il palazzo, a pianta trapezoidale
con androne e cortile centrale, conserva in quest’ultimo e nello
scalone alcune sculture d’età classica e, al secondo piano, un grande
stemma del cardinale Bonelli in piastrelle di maiolica colorata (fine sec.
XVI).

L’AREA ARCHEOLOGICA. Indagini archeologiche


(www.romabeniculturali.it) nei sotterranei del palazzo, avviate nel
2005 e ancora in corso, hanno dato risultati di eccezionale rilevanza
storico-artistica, portando in luce un quartiere abitativo composto da
domus con ricchi apparati decorativi risalenti al tardo II-III secolo d.C.
Le residenze, appartenenti a eminenti rappresentanti dei ceti sociali
più elevati, presentano pareti ornate di lastre di marmi policromi e
pavimenti coperti di mosaici di complessa tessitura (splendido quello
policromo a decorazione geometrica). La ricchezza di queste dimore è
confermata dalla scoperta (2007) delle Piccole Terme a destinazione
privata (sulle quali è stato realizzato un pavimento flottante vetrato),
dotato di vasche per acqua calda e fredda, percorsi climatici e condotti
per una sorta di sauna. Il sito è stato musealizzato ed è visitabile (t.
199199111) con un suggestivo percorso che si svolge nei vari
ambienti su una superficie di 1800 m2. Tra i numerosi e preziosi
reperti, da notare due sculture di grandi dimensioni raffiguranti togati
(II secolo d.C.).

DEL PALAZZO DELLE ASSICURAZIONI GENERALI DI VENEZIA, un cui


fianco via Battisti costeggia a sin., la costruzione, iniziata nel 1902
sotto la direzione di Alberto Manassei e compiuta nel 1906 con
interventi di Guido Cirilli, fu voluta da Marco Besso in rapporto alla
nuova sistemazione della contermine piazza Venezia, mentre l’idea di
riprendere il volume e la distribuzione del palazzo di Venezia, tradotta
in forme quattrocentesche venete, si deve a Giuseppe Sacconi: il
leone di S. Marco sulla facciata prospettante la piazza risale al sec. XVI
e proviene da Padova; sul fianco d., lapide in ricordo della casa di
Macel de’ Corvi dove visse e morì Michelangelo.

*PIAZZA VENEZIA

Momento centrale dell’itinerario, è così chiamata dal palazzo di


Paolo II che vi prospetta a O; la posizione dello slargo lungo il
percorso della «via Nazionale» ne postulò il ruolo di ‘Foro’ della Roma
nuova in senso sia politico sia urbanistico, a prezzo però della sua
pressoché totale trasformazione.

LA STORIA. Lo spazio originario, formatosi tra metà ’400 e fine


’600, era delimitato a O, come oggi, dal palazzo di Venezia; a S, verso
il Campidoglio, dal palazzetto Venezia, dietro al quale emergeva
l’arioso fondale del colle capitolino col convento dell’Aracoeli e la torre-
belvedere eretta da Paolo III nel 1534-42 e congiunta al palazzo di
Venezia da un ponte; sul lato E, allineato con via del Corso, sorgeva il
palazzo Bigazzini poi Bolognetti, restaurato da Carlo Fontana nella
seconda metà del ’600 e trasformato nell’800 in sontuosa dimora dai
Torlonia. La piazza, sistemata da Paolo II in rapporto al palazzo di
Venezia e come testata monumentale del Corso, rappresentò il primo
grande intervento urbanistico della Roma del Rinascimento e divenne
il punto d’arrivo della celebre «corsa dei Bàrberi», che si svolgeva di
Carnevale lungo il Corso; un fitto tessuto urbano d’origine
altomedievale l’univa al Campidoglio e una zona di formazione
cinquecentesca la saldava, al di sopra dei Fori Imperiali, al rione
Monti.
La decisione (1882) di erigere il monumento a Vittorio Emanuele
II a fondale del Corso e a ridosso del Campidoglio comportò la
creazione di uno spazio dilatato a E e in fondo, e simmetricamente
organizzato rispetto all’asse: la quinta del palazzo di Venezia fu
ripetuta sul lato opposto col palazzo delle Assicurazioni Generali (v.
sopra), mentre il palazzetto Venezia, che ostruiva il fondale, fu
smontato e ricostruito a ridosso del palazzo, in posizione angolare
rispetto alla basilica di S. Marco; la sistemazione fu completata per
l’inaugurazione, nel cinquantenario dell’Unità, del monumento stesso.
La tumulazione (1921) del Milite Ignoto della Grande Guerra rafforzò il
significato di «Altare della Patria»: quando il palazzo di Venezia
divenne nel 1929 sede del capo del governo, la piazza, proclamata
«Foro d’Italia», vide potenziato il proprio ruolo di centro, anche
geografico, della città, con la diramazione della via dei Monti, poi
dell’Impero, verso i Colli Albani (l’attuale via dei Fori Imperiali: →) e
della via del Mare (oggi in parte via del Teatro di Marcello: →) in
direzione del Lido di Roma (il moderno Lido di Ostia).

IL *PALAZZO DI VENEZIA, sul lato O della piazza, è la prima grande


opera rinascimentale di architettura civile in Roma, ancora memore
della fortezza medievale; ospita attualmente, oltre all’omonimo museo
→ e alla Soprintendenza per i Beni artistici e storici di Roma, la
Biblioteca dell’Istituto nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte,
inaugurata nel 1922, che raccoglie oltre 300000 volumi e 15000 tra
manoscritti, disegni e stampe (notevole il fondo Lanciani per
l’archeologia e la topografia di Roma).

LA GENESI DELL’EDIFICIO. Iniziato come propria residenza dal


cardinale Pietro Barbo nel 1455-64 (il «palazzo cardinalizio» adiacente
alla basilica di S. Marco incorporò la medievale torre della Biscia,
assurta a perno del complesso architettonico), nel 1465-68 fu
ampliato dopo la sua elezione a pontefice (Paolo II) con il «palazzo
papale», la nuova facciata di S. Marco e il «viridarium» (il futuro
palazzetto Venezia), mentre all’interno fu costruita la sala del
Mappamondo (1466-67). Tra il 1468 e il 1471 si iniziarono il corpo
lungo l’attuale via del Plebiscito e il cortile interno, rimasto poi
incompiuto; il cardinale Marco Barbo continuò nel 1471-91 il nuovo
fronte e creò il collegamento tra le due torri angolari lungo via degli
Astalli con un cammino di ronda; il cardinale Lorenzo Cybo completò
le Sale regia (inaugurata da Giulio II nel 1504) e del Mappamondo, e
realizzò l’appartamento che da lui prese nome. Dopo gli interventi di
Paolo III (modifica della finestra centrale sulla piazza, sopraelevazione
della torre, cappella dell’appartamento Cybo), numerose alterazioni
interne ed esterne si ebbero nel corso dei secoli XVIII-XIX, periodo
durante il quale il palazzo passò dalla Repubblica di Venezia (alla
quale lo aveva ceduto in parte nel 1564 Pio IV come residenza degli
ambasciatori) alla Francia nel 1797 (nel 1811 si progettò la
demolizione del palazzetto per l’ampliamento della piazza; l’anno
seguente vi venne istituita un’accademia di Belle Arti sotto la direzione
di Antonio Canova) e nel 1814 all’Austria. Il governo italiano,
confiscatolo nel 1916, lo destinò, dopo un lungo restauro stilistico
(1924-30), a sede museale e di istituzioni culturali; tra il 1929 e il
1943 i saloni di rappresentanza ospitarono il capo del governo e il
Gran Consiglio del Fascismo.
Le profonde trasformazioni subite dal complesso paolino –
peraltro rimasto incompiuto – e dall’ambiente circostante ne rendono
difficile, oggi, la valutazione architettonica e urbanistica. Prima
affermazione a Roma del modello del palazzo rinascimentale toscano,
secondo i principi di Leon Battista Alberti, in un sistema di calcolati
rapporti che riguardavano non solo l’edificio (proporzionamento aureo
della pianta e della facciata sulla piazza) ma anche l’ambiente urbano,
il «palazzo papale» fu concepito, nel progetto finale, come un blocco a
pianta rettangolare con torri angolari e cortile centrale porticato e
loggiato; la basilica di S. Marco ne divenne, sull’esempio veneziano, la
cappella palatina, trasformata internamente e dotata di un prospetto
monumentale che affermava, come il cortile, un gusto più ‘moderno’,
cioè più decisamente classico, di quello delle facciate del palazzo,
mentre il «viridarium», concepito inizialmente come uno spazio verde
recintato ma completamente aperto, costituì la cerniera fra le piazze di
Venezia e di S. Marco.
L’autore o gli autori del complesso non sono stati ancora accertati
con sicurezza: contraddette da ragioni cronologiche le attribuzioni a
Giuliano da Maiano e a Bernardo Rossellino, resta comunque evidente
l’influenza dell’Alberti, oltre che nella concezione unitaria del palazzo,
in quella del «viridarium», nella volta dell’androne sulla piazza e nel
magnifico frammento del cortile. Nella costruzione sono inoltre
documentate le attività di Francesco da Borgo S. Sepolcro come
soprintendente, di Giacomo da Pietrasanta (1466-67) come lapicida e
di Meo del Caprino (1467), pure come lapicida, nel «viridarium».

LA FACCIATA SU PIAZZA VENEZIA, con coronamento a merli su


beccatelli, è stata sottoposta nel 1856-59 a un restauro stilistico che
ha uniformato tutte le aperture al piano terra e al secondo piano (a
sin. del portale è riconoscibile, per il ritmo più serrato delle finestre, il
«palazzo cardinalizio»); le finestre del primo piano furono rifatte,
insieme a quelle del «palazzo papale», in marmo e a croce guelfa. La
poderosa torre, cresciuta attorno al nucleo medievale di quella della
Biscia forse già degli Annibaldi, fu rialzata e merlata da Paolo II nel
1465-70 e poi da Paolo III nel 1546: aveva tre colonne di finestre,
oggi ridotte a due (la parte inferiore del lato verso il Campidoglio,
dove aderiva il palazzetto, è stata rifatta nel 1912-13; la finestrella
ogivale appartiene al «palazzo cardinalizio»). L’elegantissimo portale
architravato in marmo finemente scolpito (stemmi del cardinale Marco
Barbo), attribuito a Giovanni Dalmata (1467), è sormontato da una
finestrella con stemma di Paolo II; l’apertura corrispondente del primo
piano fu modificata da Paolo III, mentre il balcone è del 1714.
L’androne presenta una bella volta a botte con lacunari di stampo
classico attribuita a Leon Battista Alberti (a d., sarcofago antico
adattato a fontanella nel 1671).

LA CAPPELLA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE (la Madonnella di S.


Marco), cui dà accesso all’estremità d. della facciata un portale
seicentesco (stemma Grimani), sorse nel ’600 nell’andito pubblico tra il
palazzo e il palazzetto e venne ricostruita nel 1911 in questi locali. Il
soffitto a stucchi dorati riproduce quello voluto dal cardinale Pietro
Ottoboni c. nel 1670; l’altare dall’elegante disegno è di G.B. Contini
(1682), gli angeli oranti di Filippo Carcani, l’affresco (Madonna col
Bambino) di Bernardino Gagliardi. Alla parete d., Fuga in Egitto di
Francesco Cozza.

LA FACCIATA LUNGO VIA DEL PLEBISCITO, corrispondente alle sale del


Concistoro e regia, fu iniziata nel 1468 da Paolo II e proseguita (1471-
91) dal cardinale Marco Barbo con le finestre a sin. e il nobile portale
(N. 118), a semicolonne corinzie e timpano triangolare con due angeli
e lo stemma papale; all’angolo sin. è un rilievo di marmo con il leone
di S. Marco (Urbano Nono, 1920), dono della città di Venezia.

ALL’INTERNO DEL PALAZZO, il GIARDINO (originale fontana con gruppo


dello Sposalizio di Venezia con il Mare, creata da Carlo Monaldi nel
1729-30 e restaurata attorno al 1930 da Giovanni Prini con l’aggiunta
delle statue sul bordo) occupa l’area del cortile centrale e dei corpi O e
S del palazzo, mai ultimati; del CORTILE furono realizzate (c. 1468)
all’angolo NE solo dieci arcate col soprastante loggiato, direttamente
ispirate all’architettura del Colosseo di cui riprendono gli ordini classici
sovrapposti (qui tuscanico e corinzio); al di sopra si leva l’elegante
LOGGIA coperta in laterizio, con bifore trilobate in marmo, eretta da
Marco Barbo nel 1467-68 forse su progetto di Baccio Pontelli. A
sinistra è il fianco della basilica di S. Marco, con le bifore di Paolo II
inserite nella muratura medievale e il campanile.
Il monumentale SCALONE (Luigi Marangoni, 1930), tutto in
travertino, riecheggia le forme quattrocentesche. Le grandi sale del
palazzo paolino, suddivise e alterate nel ’700-’800, furono restaurate
nel 1924-30; la decorazione dipinta originale, di cui si ritrovarono
scarsi resti (quella ad architetture dipinte della sala del Mappamondo
è attribuita ad Andrea Mantegna), fu ampiamente integrata .

IL *MUSEO DEL PALAZZO DI VENEZIA, occupa – nelle ali prospicienti


via del Plebiscito, via degli Astalli, via e piazza di S. Marco – gli
ambienti dell’appartamento Cybo e le sale del palazzetto Venezia.
Quest’ultimo è stato saldato all’edificio maggiore attraverso un
cammino di ronda trasformato nel ’700 in passaggio coperto e
attualmente denominato «Passetto» o «Corridoio dei Cardinali» (t.
066798865; www.galleriaborghese.it). Il museo è interessato da un
vasto piano di restauro e di riordino, che ha l’intento di promuovere
l’istituzione a spazio espositivo di avanguardia e rendere
completamente fruibile al pubblico l’enorme quantità di beni
posseduti. Il progetto prevede il recupero di tutti gli spazi espositivi di
cui il palazzo dispone, adeguandoli ai moderni criteri di allestimento
museale.

GLI AMBIENTI DEL MUSEO. Dimora ininterrotta dei cardinali titolari di


S. Marco dal 1564 al 1797, l’appartamento Cybo non ha subìto nei
secoli mutamenti rilevanti, se si eccettui la piccola cappella attigua alla
sala VI; cambiamenti più radicali intervennero invece nel periodo
successivo alla riacquisizione del complesso all’Italia (1916), allorché,
nel quadro di una generale revisione, si procedette al totale
rifacimento degli impiantiti, in cotto e maioliche policrome, ispirati a
quelli delle cappelle rinascimentali delle chiese di S. Maria del Popolo e
della Trinità dei Monti. I soffitti in stile neocinquecentesco, opera di
Ludovico Seitz, presentano oggi un interesse prevalentemente
documentario; un caso a sé è la sala Altoviti, interamente decorata
con affreschi provenienti dall’omonimo distrutto palazzo su piazza di
Ponte S. Angelo.
IL MATERIALE ARTISTICO OSPITATO IN QUESTI SPAZI presenta caratteri
di estrema varietà, in quanto legato alla peculiare fisionomia di un
museo di arti applicate che si è formato quasi esclusivamente
attraverso lasciti e donazioni, e con l’apporto di nuclei provenienti, per
la parte più antica, dall’ex Museo Kircheriano e dal disciolto Museo
Artistico-Industriale. L’istituzione, il cui primitivo impianto si colloca nel
1919-22, presenterà un assetto quasi completamente rinnovato.
L’appartamento Cybo ospita l’intera sezione dei dipinti, mentre il
«Passetto» è destinato a ospitare una scelta di armi – dal Medioevo al
sec. XVIII – dalla collezione Odescalchi. A loro volta, le ceramiche e le
porcellane troveranno definitiva collocazione nell’ala del palazzetto
prospiciente piazza di S. Marco, in collegamento con le Sale studio, la
sezione dell’Estremo Oriente e quella degli Argenti. Per contro, le
raccolte dei bronzi rinascimentali e delle terrecotte continueranno a
occupare gli ambienti attuali.
La forzata rimozione dei dipinti su tela dell’ala di S. Marco ha
determinato una più organica sistemazione dell’intera sezione – che
comprende le tavole, le tele, i pastelli – nelle sale dell’appartamento
Cybo. Le opere sono distribuite per scuole pittoriche regionali secondo
un ordine cronologico che comprende, dal ’200 al ’500, le produzione
su tavole relativa al Veneto, Emilia-Romagna, Lazio, Umbria, Marche e
Toscana.
PITTURA VENETA. SALA I (Veneto). Il nuovo linguaggio gotico del
territorio padano vede la pittura veneziana del sec. XIV in un ruolo di
primo piano, evidenziato dalla Madonna col Bambino di Paolo
Veneziano, dove l’aristocratico distacco dei modi è permeato di
bizantinismo di marca paleologa. Il più tardo Giovanni di Francia o
Zanino di Pietro, che data la sua Madonna al 1429, rispecchia per
contro quella pittura ‘cortese’ importata in laguna da Gentile da
Fabriano, di cui ripete le eleganti formule disegnative. Fulcro della
sezione sono però la Madonna col Bambino, di indubbio ambito
veronese e con una discussa attribuzione al Pisanello, e, soprattutto,
la *testa di giovane donna, da annoverare tra i capolavori
dell’artista, probabile frammento della decorazione ad affresco del
Palazzo Ducale di Mantova. Illustre esito rinascimentale è il Doppio
ritratto assegnato dubitativamente a Giorgione, che parte della
critica vede comunque ideatore dello schema compositivo, replicato
con molta frequenza nei primi anni del ’500.
SCUOLA EMILIANA E ROMAGNOLA. A fine ’300, Ferrara diviene nodo
fondamentale per il rapporto e gli scambi culturali tra il Veneto e la
terra emiliana. Emblematica a tale proposito è la Crocifissione
riconducibile all’orbita di Stefano da Ferrara (prima metà sec. XV),
dove la narratività del tardo gotico bolognese, ricca di concitazione
drammatica, è arricchita da contatti culturali di ambito europeo. Il
Cristo portacroce di Bernardino Zaganelli e la Preghiera nell’orto del
cosiddetto Secondo Maestro della Sagra di Carpi, ricche di dinamismo
e intensità drammatica, non sono scevri da una componente nordica
evidente nella grafia sottile e puntigliosa; nella Pietà di Lelio Orsi
l’ascendente devozionale del Correggio è corretto da quello forte
michelangiolesco, evidente nella plasticità e nel livido cromatismo
delle figure.
LAZIO, UMBRIA, MARCHE. (secoli XIII-XIV). A fine ’200 si collocano
due importanti opere di cultura romana: la *testa di Redentore, di
ambito cavalliniano, probabile parte superiore di una Maiestas Domini,
e la grande Croce dipinta, eseguita per la chiesa di S. Maria in Aracoeli
ma proveniente da quella di S. Tommaso dei Cenci. Educato nella
bottega assisiate di Giotto è invece il cosiddetto Maestro
espressionista di S. Chiara, autore di una decorazione frammentaria
nella chiesa eponima di Assisi e interprete del linguaggio del maestro
in accezione umbra. Nelle Marche settentrionali, Giovanni Antonio da
Pesaro ripropone componenti della cultura tardo-gotica, come può
rilevarsi nei due pannelli (S. Giovanni Battista e santo vescovo) laterali
del polittico per la Cattedrale di Jesi (metà sec. XV). Il Maestro di
Staffolo, che si forma su modelli divulgati da Gentile da Fabriano, è
autore della Madonna della Misericordia, stendardo processionale che
reca sul verso le immagini dei Ss. Giovanni Battista e Sebastiano,
tema iconografico di carattere devozionale assai diffuso nelle Marche.
SCUOLA TOSCANA (inizi sec. XV). Tra i maestri minori della bottega
dell’Orcagna, attivi a Firenze nella seconda metà del ’300, è presente il
cosiddetto Maestro dell’Incoronazione Christ Church, autore di questo
Sposalizio di S. Caterina. Ad ambito pistoiese rimanda invece la
Madonna col Bambino e sei angeli di Nanni di Jacopo, che, su un
modellato pesantemente scultoreo inserisce elementi di forte vivacità
espressiva di matrice orcagnesca. La piccola tavola (profeta Osea),
probabile frammento di un grande polittico la cui parte centrale è alla
Pinacoteca nazionale di Parma, va invece ascritta a Gherardo di
Jacopo detto Starnina; tra gli anonimi artisti fiorentini della prima
metà del sec. XV spicca il Maestro del 1419, autore delle tavolette con
il Redentore e il profeta Daniele, che procede dal tardo gotico
‘internazionale’ per approdare a una pittura delicata, di ispirazione
masoliniana.
PITTURA TOSCANA (sec. XV-inizi XVI). A prescindere dal ritardatario
Mariotto di Cristofano, autore della grande tavola della Madonna col
Bambino, angeli e santi ancora legata ai modi gotici di Lorenzo
Monaco, è schiettamente rinascimentale – anche se dipendente per
taluni versi dalla pittura del Beato Angelico – la bella testa del
Redentore di Benozzo Gozzoli, forse parte della decorazione di un
tabernacolo devozionale annesso al convento di S. Chiara, da cui
l’opera, collocabile attorno metà ’400, proviene. A Bicci di Lorenzo si
deve il pannello che illustra episodi della vita di S. Caterina
d’Alessandria, inserito nella produzione di una fiorentissima bottega
pittorica fiorentina dalla quale esce anche Neri di Bicci, autore di una
Madonna col Bambino e buon divulgatore del linguaggio figurativo
rinascimentale. Artista raffinato nella pittura ‘a figure piccole’ si rivela
infine il Bachiacca, autore della Visione di S. Bernardo; probabile
scomparto di predella e collocabile nei primi decenni del ’500, l’opera
rivela una vivace vena narrativa e una cura prospettica memore delle
esperienze romane di Bramante.
DIPINTI SU TELA. Il nucleo più antico della raccolta, e anche il più
numeroso, è costituito dai dipinti provenienti dalla collezione Ruffo di
Motta Bagnara (1919); di particolare rilevanza sono Il ballo di ninfe di
Donato Creti, le due tele (David e Abigail e Mosé salvato dalle acque)
di Giuseppe Maria Crespi, i Baccanali di Giulio Carpioni, il S. Pietro
piangente del Guercino. Carlo Maratta con la spettacolare Cleopatra
è testimone della più aulica, solenne stagione romana seicentesca,
mentre Francesco Solimena, con le sue Nozze di Cana, introduce il
gusto, tutto napoletano e settecentesco, delle scenografie sontuose e
affollate delle chiese partenopee del Gesù Nuovo e di S. Domenico
Maggiore. Un posto singolare occupa, nella sezione, la tela con I figli
di Francesco Orsini (donazione Frascara-Orsini) di ignoto della fine del
sec. XVI; già attribuita a Scipione Pulzone, sembra collocabile
nell’ambito dell’Italia centrale, in rapporto con la ritrattistica dell’ultimo
manierismo nordico e particolarmente con Franz Pourbus il Giovane.
SALA ALTOVITI. Gli affreschi (restaurati nel 2004) e gli stucchi
decoravano lo studiolo posto nel palazzo del banchiere fiorentino
Bindo Altoviti in piazza di Ponte S. Angelo; staccati nel 1888, quando i
lavori di arginatura del Tevere imposero la distruzione dell’antica
dimora, vennero qui ricomposti a cura di Federico Hermanin. Eseguiti
nel 1553 da Giorgio Vasari, si ispirano direttamente alle «Inventioni
dei XII Mesi» di Annibal Caro e svolgono una serie di temi a carattere
agreste: la volta reca al centro un ovato raffigurante l’Omaggio a
Cerere, mentre alle estremità sono L’Arno incoronato da Firenze e Il
Tevere incoronato da Roma (i piccoli monocromi illustrano le storie di
Proserpina); nei pennacchi, quattro ovati e otto esagoni ospitano le
raffigurazioni dei Mesi. Alla ricomposizione dell’ambiente originario
collaborò Torello Rupelli, che integrò il complesso vasariano
eseguendo sulle pareti lesene ed elementi monocromi a carattere
quadraturistico. I busti classici nelle nicchie sostituiscono quelli
originali, tra cui sembra vi fosse lo splendido ritratto di Bindo di mano
di Benvenuto Cellini; pure da palazzo Altoviti provengono i tre
medaglioni in stucco, sistemati sulle pareti ed eseguiti forse su
disegno del Vasari, con Plutone, Giunone e Nettuno (seconda metà
sec. XVI). Del gruppo delle oreficerie e degli avori collocati in questo
ambiente vanno segnalati la Croce in cristallo di rocca di epoca
ottoniana (sec. X), il coevo cofanetto nuziale in avorio, con storie di
David, di cultura bizantina, il trecentesco reliquiario per il legno della
Santa Croce, in rame dorato, cristalli di rocca e smalti, opera
trecentesca del domenicano senese Jacopo Tondi. Con lo straordinario
gruppo della Pietà di Jacob Cobaert, databile agli ultimi anni del sec.
XVI, dalla chiusa, sofferta sensibilità nordica che è legata agli ultimi
esiti del manierismo internazionale, e le coppie di arazzi con Giochi di
putti prodotti nella prima metà del ’600 dalla rara manifattura
Barberini, si conclude l’arredo artistico della sala.
PASTELLI. I 22 dipinti, databili tra fine sec. XVIII e metà c. del XIX,
testimoniano della grande popolarità che, soprattutto in Francia,
godette questo particolare genere pittorico, più di ogni altro idoneo
alla diffusione delle immagini di corte dovute per larga parte all’attività
dei copisti. Significativo, fra tutti, il ritratto di Maria Leczczyuska
moglie di Luigi XV, eseguito dopo il 1758 da un originale famoso di
Jean-Marc Nattier, o il ritratto del Conte di Provenza (c. 1763) poi
Luigi XVIII, replica della tela di Maurice Quentine da La Tour a opera
di un eccellente artista contemporaneo. Della maniera di Jean-Étienne
Liotard intorno al 1770 è la deliziosa Donna con bambino
abbigliati alla turca, mentre è da ascrivere addirittura all’800 lo
sconosciuto imitatore di François Boucher della Fanciulla con il libro,
che qui figura. Accanto a queste immagini ‘di parata’, o comunque di
stampo aristocratico, sono due dipinti (La fanciulla con fiori e Giovane
donna con cagnolino, 1770-77), rappresentanti borghesi di un mondo
più intimista, familiare e domestico, che avrà i suoi momenti migliori
negli anni immediatamente precedenti la Rivoluzione. Al di fuori della
Francia, il ritratto di Mr. Kinchant in costume da caccia (c. 1788-95)
testimonia, nell’acuta ricerca psicologica e nella raffinata esecuzione,
del livello di eccellenza proprio alla grande pittura inglese
settecentesca; mentre la Zarina Maria Fiodorowna, attribuita a G.B.
Lampi, rientra nel filone aulico e celebrativo più scontato, praticato da
questo geniale italiano, e con grandioso successo, alla corte di San
Pietroburgo. Completano la sala un’esposizione di ventagli e una di
miniature, prevalentemente dei secoli XVIII e XIX.
CORRIDOIO DEI CARDINALI. Ospita una seconda sezione delle
ceramiche (secoli XV-XVIII), nonché l’intero complesso delle porcellane
del museo. Tra i piatti istoriati di Urbino si notino quelli raffiguranti il
Sacrificio di Attilio Regolo (1535), il Toro di Falaride (c. 1545-55), una
scena biblica (c. 1545-55), Orazio Coclite (bottega dei Fontana, 1540-
45); inoltre, placca murale con Stazione della Via Crucis (c. 1565).
Sono anche presenti alcuni pezzi decorati a lustro, oro e rubino delle
fabbriche di Valenza (secoli XV-XVII); piatti da pompa, di gusto
popolaresco a soggetto militare, delle fabbriche di Montelupo;
ceramiche della fabbrica olandese di Delft; piatti decorati a lustro con
iridescenze dorate appartenenti alle fabbriche di Deruta. Un posto
particolare, per i suoi legami storici con il palazzo, è occupato da un
bacino policromo con stemma dei Barbo, facente parte di una serie
che decorava l’altana della torre situata a ridosso della basilica di S.
Marco.
Il complesso delle porcellane offre un panorama quanto mai
articolato della produzione delle principali fabbriche europee dai primi
del ’700 agli inizi del sec. XX. Ai pochi ma sceltissimi pezzi in «biscuit»
(Niobe, Maria Carolina à l’héroique) che documentano l’attività della
Real fabbrica di Napoli, fondata da Ferdinando IV di Borbone nel
1772, vanno associati, anche se collocati più oltre, i due eccezionali
*S. Pietro e *S. Andrea della manifattura di Capodimonte (metà
sec. XVIII), nonché un servizio di piatti fondo oro decorato con i
costumi delle Province napoletane, tipica espressione del gusto
partenopeo verso la metà dell’800. La produzione di Meissen –
cronologicamente la prima e numericamente la più rilevante – spazia
tra i poli canonici delle statuine policrome e delle suppellettili di
arredo: ne sono testimonianza precocissima un *calamaio marcato
«Augustus rex» (1725-30) e alcuni esemplari della gestione Marcolini
degli anni 1760-70 (notevole il servizio dei Myosotis); a Meissen si
affiancano le manifatture della Turingia, di Vienna, di Frankenthal e di
Hoechst, mentre modesta è la presenza della produzione francese – e
di Sèvres in particolare – anche se straordinari pezzi di bravura sono i
due grandi *vasi compiuti da Jacob Petit per la fabbrica di Belleville
attorno al 1840. Una piccola rassegna di esemplari inglesi – Bow,
Derby e Wedgwood – introduce il gruppo delle porcellane russe
incentrate sulla produzione della manifattura imperiale di San
Pietroburgo, fondata da Elisabetta I di Russia e fiorita sino alla
rivoluzione; a tale produzione, le cui matrici tecnico-stilistiche sono da
ricercarsi in una fusione di elementi desunti da Meissen, Sèvres e
Vienna (notevoli i piatti ornamentali con vedute del periodo di Nicola I,
1825-55), si affianca l’attività della manifattura Popoff (1800-1872),
cui appartengono le statuine raffiguranti mestieri e costumi
tradizionali, nonché la suppellettile domestica dalla vivacissima cromia.
Chiudono la rassegna due fabbriche italiane: quella di Doccia, con gli
splendenti anche se non raffinati esemplari ottocenteschi decorati a
rilievo imitando la più commerciale produzione di Napoli; e quella
veneziana dei Cozzi, che nella prima metà del ’700 si impose con
l’iridescente fragilità delle sue porcellane bianco-oro.
In questa sezione, come anticipo del materiale raccolto in una
delle Sale studio, è una scelta di porcellane orientali, tutte del sec.
XVIII; giapponesi sono il grande piatto policromo e le graziose figure di
dame, eseguiti dalla manifattura di Arita nel periodo Edo, mentre il
servizio detto «dell’ombrellino» è di fattura cinese e data alla dinastia
Qing (prima metà ’700).
Le sale che hanno attualmente soltanto funzioni di collegamento
tra il corridoio e le sale dei bronzetti, sono occupate da alcuni mobili
rinascimentali; nella XIII sono quattro composizioni in cera policroma
raffiguranti la Natività, l’Annuncio ai pastori, la Fuga in Egitto e la
Strage degli Innocenti, espressione dell’artigianato meridionale del
sec. XVIII.
Segue un piccolo ambiente dominato dal busto marmoreo di
Paolo II, ideale omaggio al fondatore del palazzo; la scultura viene
tradizionalmente riferita a Bartolomeo Bellano, scolaro di Donatello,
ma sembra possa più ragionevolmente riferirsi a un seguace di Mino
da Fiesole.
COLLEZIONE BARSANTI. Comprende 1100 pezzi che costituivano la
collezione dell’antiquario Alfredo Barsanti, acquisita allo Stato nel
1934. Essa comprende un gruppo importantissimo di bronzi già
attribuiti in toto ad Andrea Briosco detto il Riccio (suo il superbo
*Ariete qui esposto) e ora assegnati a Severo da Ravenna (satiro con
conchiglia e satiro inginocchiato) e alla sua fiorente bottega; di alta
qualità è pure il compatto gruppo dei bronzetti fiorentini, anche se
non sono riconducibili al Giambologna i sette già assegnatigli.
BRONZI. I 113 bronzi che compongono la raccolta donata al
museo dall’ambasciatore Giacinto Auriti nel 1963 annoverano, accanto
a opere prestigiose (Suonatore di cornamusa e Viandante del
Giambologna; Fede di Tiziano Aspetti, esemplata sulle figure
allegoriche della basilica del Santo a Padova; Nettuno di Tiziano Minio;
Busto femminile di François Duquesnoy; placchette con storie di
Ovidio di Guglielmo Della Porta), un numero considerevole di oggetti
d’uso, non sempre di rilevanza artistica ma di interesse storico e
documentario. Vi sono inoltre esposte le placchette che facevano
parte della collezione dell’avvocato Domenico Ravaioli (alcuni dei
pezzi, desunti dall’antico per calco o per riproduzione, si rifanno alle
gemme e alla glittica che figuravano nella splendida collezione di
Paolo II e sono da ritenersi usciti dalle stesse officine che operavano
per la costruzione dell’edificio paolino), le rare *matrici che furono
ritrovate nel 1876 nelle fondamenta del palazzo (una di esse fu
utilizzata per i Cinque amorini che giocano, opera a lungo ritenuta di
Donatello o della sua bottega), i raffinati rilievi del ritratto di Clemente
X di Gian Lorenzo Bernini e un pregevole Crocifisso assegnato ad
Antonio Susini.
RACCOLTA DI BOZZETTI IN TERRACOTTA. È costituita per la massima
parte da opere della collezione del cantante lirico Evan Gorga e da
esemplari donati da Margaret Nicod Sussmann, che va dai primissimi
anni del sec. XVI alla fine del XVIII. Da notare le due *targhe di Jacopo
Sansovino con storie di S. Marco, studi per i bassorilievi in bronzo
dell’omonima basilica veneziana compiuti prima del 1537, e una testa
di Cristo di Baccio da Montelupo (c. 1506). Oltre a due studi
preparatori per la fontana di Trevi (l’Oceano di Pietro Bracci, 1759;
l’Abbondanza di Filippo Della Valle, 1759-60) spiccano un raro gruppo
di bozzetti di Alessandro Algardi (busto di Giacinta Sanvitale Conti,
modello per il monumento funebre nella chiesa di S. Rocco a Parma,
1652; santi e beati della compagnia di Gesù, modello per il rilievo
dell’urna di S. Ignazio al Gesù, 1635-36; S. Nicola, bozzetto per la
scultura dell’altare maggiore della chiesa di S. Nicola da Tolentino,
1650-54) e, tra le opere di sicura paternità berniniana, la testa di
Moro per la fontana omonima in piazza Navona (1654), l’angelo
reggititolo per una delle sculture di ponte S. Angelo (1667-71), e la
*cartapesta dorata, a grandezza originale, raffigurante Maria Raggi,
tradotta in marmo nella memoria funebre della chiesa di S. Maria
sopra Minerva. L’attività delle successive generazioni barocche –
rappresentata da personalità come Ercole Ferrata, Melchiorre Caffà,
Giuseppe Mazzuoli, Cosimo Fancelli – culmina nella plastica pensosa e
raffinata di Camillo Pacetti (busto di Pio VI e Ritratto firmato del 1772-
73), mentre un ritorno classicistico si evidenzia nel S. Matteo e
l’angelo di Francesco Mochi e nella cosiddetta testa di Seneca
attribuita a Guido Reni. Completa la sezione una folta schiera di artisti
stranieri operanti nell’ambiente romano (Pierre-Étienne Monnot, Jean-
Baptiste Théodon, Jean-Antoine Houdon, Pierre Legros, Michel Maille).
LE SALE STUDIO, costituite da una serie di ambienti che corrono
parallelamente all’ala di S. Marco più alcuni vani minori a essa
collegati, ospitano le collezioni complete degli argenti e delle
porcellane orientali, oltre a quanto, fra il materiale artistico, non ha
trovato posto nel percorso ufficiale del museo. Tra gli argenti – c. 800
pezzi compresi tra i sec. XVI e XIX e provenienti dall’Europa
settentrionale, dalla Russia e dall’Italia – spicca il gruppo dei recipienti
per libagioni tedeschi del ’500, i boccali dei paesi scandinavi, gli
esemplari settecenteschi dall’Inghilterra e dalla Russia. Per quanto
riguarda l’Italia, prestigiose opere di argenteria romana del XVIII sono
un servizio per pontificale e due zuppiere dovute a Vincenzo Belli;
inoltre, due reliquiari foggiati a rami di limone e uno splendido
paliotto, eseguito interamente in argento su fondo di velluto cremisi,
prodotti a Palermo. Da segnalare, infine, il centrotavola di Paul Storr,
famoso esecutore di grandi servizi da banchetto.
La piccola collezione dei vetri (c. 150 pezzi) annovera un gruppo
di esemplari veneziani dei secoli XV e XVI, provenienti dalla chiesa di S.
Francesco di Tìvoli, e di Murano, tra cui i grandi lampadari
settecenteschi in rosa e azzurro ora in opera nella sala delle Porcellane
orientali. Di manifattura veneziana è pure la raffinata raccolta di vetri
dipinti (sec. XVI-XVIII), accanto ai quali si nota un gruppo di esemplari
persiani e di cristalli di rocca di fattura cinese, tutti del XVII.
COLLEZIONE DI PORCELLANE ORIENTALI. È costituita da c. 400 pezzi
di fattura cinese e giapponese dal sec. XVII al XIX, fondata nel secondo
decennio del ’600 e famosa per la sua porcellana bianca con
decorazioni blu cobalto. Si notino inoltre le sei coppie di vasi tipo Imari
(dall’omonimo porto giapponese) con fitta ornamentazione policroma
a fiori e uccelli.
La produzione Arita è infine rappresentata, nel corso dell’800, da
due grandi vasi a tromba illustrati da evanescenti paesaggi. Tra gli
esemplari cinesi spiccano: una fiasca in porcellana bianca di epoca
Kangxi (1661-1722), riccamente decorata con scene di paesaggio; una
coppia di vasi biansati con collo a bottiglia, attribuibili all’epoca Jajing
(1796-1820), in giallo, verde, rosa e celeste.
Tra le porcellane europee, si segnalano soprattutto i due pannelli
in porcellana bianca a rilievo di Massimiliano Soldani-Benzi, scultore di
spicco della corte medicea, raffiguranti la Primavera e l’Inverno (c.
1750); inoltre, il grande vaso della manifattura di Meissen, vero pezzo
di bravura eseguito con decorazione a «boule de neige» intorno alla
metà del secolo. Due esemplari di plastica tipicamente settecentesca:
La carrozza e La slitta, opere rispettivamente delle fabbriche di
Ludwigsburg e di Frankenthal; tre piatti ovali e una fruttiera decorati a
roselline, usciti dalla manifattura di Vienna nella prima metà dell’800.
Da segnalare, tra l’altro, il «servizio dei Gigli» prodotto a Hoechst nella
seconda metà del sec. XVIII; un servizio da caffè di Meissen (c. 1750)
con silhouettes di uomini, animali e piante su fondo d’oro, nonché una
scelta di vasellame russo compreso tra i regni di Caterina II (1762-96)
e di Nicola II (1825-55).
Il complesso delle ceramiche da studio, di notevole consistenza
numerica, annovera un nutrito gruppo di maioliche altomedievali e
medievali provenienti da Roma, Orvieto, Viterbo; 16 salvadanai in
biscotto (sec. XV) rinvenuti nelle mura del palazzo di Venezia; alcune
tegole di copertura del tetto della basilica di S. Marco. Presente
inoltre, nelle diverse manifatture – Deruta, Pesaro, Urbino, Montelupo,
Castelli – la ricca produzione cinquecentesca italiana, con ampie
aperture sull’attività dei ceramisti liguri del ’600-’700. Di grande effetto
decorativo risulta la serie di 160 piastrelle in maiolica di Delft (inizi
sec. XVIII), incorniciate a formare un pannello da rivestimento, in
bianco e blu cobalto. È da notare infine che i consistenti gruppi di
ceramiche ispano-moresche e quelle provenienti dalla Persia, dalla
Spagna e dalla Turchia sono costituiti da esemplari già presenti per
tipologie, forme e colori nel percorso museale.
BOZZETTI IN TERRACOTTA (oltre 100 pezzi). Questo materiale,
ancora in corso di studio, è raggruppato per soggetti anziché per
epoca o per area di produzione. Si segnalano: la Trinità, la Vergine col
Bambino, santi, angeli e putti, oggetti di arredo, sculture dall’antico,
modelli per tombe e per fontane, rilievi. Tra i bozzetti identificati: testa
di S. Paolo di Alessandro Algardi, studio per il monumento dedicato al
santo in S. Paolo a Bologna; Angelo inginocchiato (acefalo) di Antonio
Giorgetti; figure di Pierre Legros, Michel Maille, Camillo Rusconi. Tra i
rilievi si segnala: Cristo al limbo attribuibile ad Antonio Raggi e da
collegarsi alla decorazione della basilica di S. Giovanni in Laterano;
Sacrificio di Romolo a Ercole, tema di concorso all’Accademia di S.
Luca nel 1705. Interessante il gruppo di sculture che riproducono
famosi prototipi classici (Amore e Psiche, la Flora capitolina, Marco
Aurelio, Apollo e Giacinto), tutte databili al 1780-90; tra essi è forse
opera di Francesco Carradori il gruppo di Bacco e Arianna, mentre il S.
Pietro nella vetrina tra le due finestre è di Gasparo Bruschi.
La sezione dei dipinti chiude attualmente la serie delle Sale
studio, non essendo ancora visibile – per lavori di riordino e
sistemazione – la raccolta di tessuti. Tra le opere si segnalano:
Madonna, angeli e santi di Gerolamo di Giovanni da Camerino;
Ritrovamento di Mosè e Visitazione, tavolette di scuola veneta del sec.
XV; Transito della Vergine assegnato a Michael Wohgelmut.
Nell’ambito dei seguaci nordici di Caravaggio è Dirk Van Baburen,
autore di una *Incredulità di S. Tommaso eseguita per una
cappella di S. Pietro in Montorio. Esempio di ritrattistica di corte del
sec. XVIII è, infine, la grande tela (Caterina II di Russia) opera di
Stefano Torelli, pittore ufficiale a San Pietroburgo a partire dal 1762.

LA *BASILICA DI S. MARCO, che prospetta sull’omonima piazza, fu


fondata in onore dell’evangelista («titulus Marci») dal papa omonimo
nel 336 in località «ad Pallacinas», restaurata da Adriano I nel 792 e
ricostruita da Gregorio IV nell’833 (il campanile dalle forme romanico-
laziali, visibile dal cortile del palazzo di Venezia, risale al 1154); Paolo
II la rinnovò completamente, all’interno e all’esterno, nel 1465-70,
mentre nel 1654-57 iniziò la trasformazione barocca, proseguita dal
cardinale Angelo Maria Querini (1735-50).
La serena e solenne *facciata (1466-69), eretta con i travertini
prelevati dal Colosseo e dal teatro di Marcello, è costituita da un
portico a tre arcate su semicolonne con capitelli compositi e dalla
loggia a paraste con capitelli corinzi (murata nel 1770 e riaperta nel
1916). Il rigore classico della struttura richiamava da vicino la perduta
loggia delle Benedizioni della primitiva Basilica Vaticana, in costruzione
negli stessi anni; respinta l’attribuzione vasariana a Giuliano da
Maiano, l’opera rientra in quelle di diretta influenza albertiana.
Nell’ATRIO sono raccolti frammenti architettonici e lapidi sepolcrali
paleocristiani, colonnine dell’antico tabernacolo della chiesa (1154),
un’iscrizione dei lavori di Paolo II (1466) e la lapide funeraria di
Vannozza Catanei (m. 1518). Il *portale con architrave a ghirlande e
stemma di Paolo II ha nella lunetta un bassorilievo (S. Marco
evangelista) attribuito a Isaia da Pisa (1464).

L’INTERNO basilicale ha perduto la purezza rinascimentale sotto il


pesante rivestimento decorativo sei-settecentesco. Ai restauri di Paolo
II si debbono il *soffitto a cassettoni intagliati e dorati su fondo
azzurro (Giovannino e Marco de’ Dolci, 1465-68) – con quello di S.
Maria Maggiore l’unico del ’400 rimasto a Roma – le bifore
goticheggianti, le volte a crociera delle navate laterali, sostenute da
pilastri addossati per motivi statici alle antiche colonne, e le absidiole
con catino a conchiglia in cui si espandono i lati; all’intervento del
1654-57, sotto la direzione di Orazio Torriani, risalgono la decorazione
tra le finestre e gli affreschi della navata centrale. Il radicale restauro
del cardinale Querini, a opera di Filippo Barigioni, si delineò in più fasi:
nel 1735-37 il presbiterio, l’altare maggiore e gli stalli del coro; nel
1741-45 la sostituzione delle colonne di granito con le attuali di
muratura rivestite di diaspro di Sicilia, la foderatura dei pilastri e i
bassorilievi in stucco tra le arcate; nel 1746-50 il prospetto interno.
Il pavimento seicentesco include riquadri di tipo cosmatesco del
sec. XV. Alle pareti della navata centrale, a d. storie dei Ss. Abdon e
Sennen (1654-57), a sin. storie di S. Marco papa, alternate a rilievi in
stucco (apostoli) realizzati su disegno di Clemente Orlandi intorno al
1745 (quelli a d. sono di Carlo Monaldi); all’inizio della stessa, a d.,
vera da pozzo del sec. IX-X. Nelle navate minori, su ogni lato sono
quattro altari alternati alle absidiole quattrocentesche, in gran parte
occupate da monumenti barocchi e più recenti. NAVATA DESTRA. 1ª
cappella: Risurrezione di Palma il Giovane. 2ª: Madonna con Bambino
e santi di Louis Cousin. 3ª: Adorazione dei Magi di Carlo Maratta.
Seguono il monumento del cardinale Cristoforo Vidman (m. 1660) di
Cosimo Fancelli e quello di Francesco Erizzo di Francesco Maratta (c.
1700). A lato dei gradini che salgono al presbiterio, tomba di
Leonardo Pesaro (m. 1796) di Antonio Canova. Cappella del
Sacramento (Pietro da Cortona, 1656), modificata dal Barigioni per il
cardinale Querini nel 1740-41: S. Marco papa di Melozzo da Forlì;
cupola con stucchi di Ercole Ferrata e Luca Fancelli. Nel PRESBITERIO,
sistemato con la confessione dal Barigioni, l’urna di granito contiene i
corpi di S. Marco papa e dei Ss. Abdon e Sennen; il pavimento di tipo
cosmatesco è del 1478. Nell’abside (sec. IX), *mosaici di Gregorio IV
(827-844) raffiguranti Cristo con S. Marco papa e i Ss. Agapito e
Agnese a d., i Ss. Felicissimo, Marco evangelista e Gregorio IV (col
nimbo quadrato dei personaggi viventi) che offre il modello della
chiesa a sin., e, sotto, Cristo e gli apostoli (l’Agnello e le 12 pecore);
sull’arco absidale, Cristo, i Ss. Pietro e Paolo e simboli degli
evangelisti. Sopra il coro, disegnato dal Barigioni, medaglione di
bronzo dorato col ritratto di Paolo II (1735); ai lati, tele del
Borgognone; al centro, affresco (Gloria di S. Marco evangelista) di
Giovanni Francesco Romanelli. NAVATA SINISTRA. Cappella Capranica (in
fondo): tre dipinti di Pier Francesco Mola. 4ª cappella: S. Michele del
Mola. 3ª: Miracolo di S. Domenico riferito a Baccio Ciarpi; ai lati S.
Francesco di Lazzaro Baldi e S. Nicola di Ciro Ferri. 2ª (1764): rilievo
marmoreo di Antonio d’Este; monumento del cardinale Marcantonio
Bragadin (m. 1658) di Alessandro Vitale e Lazzaro Morelli. 1ª
(battistero): affreschi attribuiti a Carlo Maratta. SAGRESTIA: Crocifisso,
frammento di affresco di fine sec. XIII; S. Marco evangelista di Melozzo
da Forlì; S. Martino del Romanelli; Adorazione dei Magi del Baldi;
Sacra famiglia di Trophime Bigot; i rilievi dell’altare, ricomposto con
pezzi del ciborio e dell’altare maggiore eretto da Marco Barbo nel 1474
e rimosso nel 1737, sono di Mino da Fiesole (Padre Eterno, Sacrificio
di Melchisedec) e di Giovanni Dalmata (Progenitura di Giacobbe e due
angeli).
Scavi archeologici hanno rimesso in luce ambienti della chiesa del
sec. IV e del suo rifacimento con diverso orientamento nel V,
unitamente alla rara cripta semianulare (sec. IX).

IL RICOSTRUITO PALAZZETTO VENEZIA, superato l’ingresso S al


palazzo di Venezia, ospita, oltre ad alcune sezioni del Museo del
Palazzo di Venezia, l’Istituto nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte,
fondato da Corrado Ricci nel 1922, e il Lapidario del Museo del Palazzo
di Venezia.

Il «viridarium» fu concepito da Paolo II nel 1464 come un


giardino aperto circondato da un portico secondo l’idea classica
riproposta da Leon Battista Alberti, venendo a costituire nella forma
originaria, compiuta nel 1468, un episodio unico nell’architettura
dell’epoca; al portico, inizialmente con coronamento a merli e
beccatelli come il palazzo, fu aggiunto nel 1466-68 il loggiato
superiore. La chiusura di 21 arcate, voluta da Paolo III (1537), dette
avvio allo snaturamento del complesso, che, dopo la tamponatura
delle rimanenti (1770), prese il nome di Palazzetto. Demolito nel
1909-1910, fu ricostruito nel 1911-13 riutilizzando i materiali lapidei
ma regolarizzando la pianta trapezoidale e riducendo di un’arcata ogni
lato.
Il *CORTILE interno è a due ordini di arcate, rispettivamente a
pilastri ottagoni con capitelli compositi e a colonne con capitelli ionici,
in travertino; al centro, bel pozzo scolpito da Antonio da Brescia.

LAPIDARIO. È allestito nel chiostro del palazzetto Venezia, nel luogo


dell’antico «viridarum», con scelte scientifiche e formali che si
ricollegano all’originale programma museografico ideato da Federico
Hermanin nel 1921, prima del restauro stilistico del Palazzo (1924-30),
quando al piano terra del loggiato furono collocati alcuni pezzi
marmorei di notevole pregio. Il complesso dei reperti lapidei, differenti
per dimensioni e provenienza, comprende opere datate dalla fine del I
secolo d.C. al Cinquecento (per lo più medievali e rinascimentali), in
parte rinvenute in loco in occasione della demolizione del 1909-10. Le
sculture medievali erano probabilmente di pertinenza dell’antica
basilica di S. Marco o del chiostro di S. Maria in Aracoeli. Altre opere
provengono dal disciolto Museo Artistico-Industriale e da scavi in
diverse zone della città. Da rimarcare anche il gruppo di marmi
archeologici proveniente dalla cinquecentesca Collezione Mattei.

UNA DELLE ‘STATUE PARLANTI’ DI ROMA è all’angolo della piazza, là


dove si erge il colossale busto marmoreo, popolarmente noto come
Madama Lucrezia (forse da Lucrezia d’Alagno, amica di Alfonso
d’Aragona e di Paolo II) ma raffigurante in realtà Iside, che fu
rinvenuto nell’Iseo Campense e qui collocato dal cardinale Lorenzo
Cybo intorno al 1500; con il Pasquino →, Marforio →, l’abate Luigi →,
il Facchino → e il Babuino → faceva parte del «congresso degli
arguti» cui erano riferite le invettive in forma di dialogo note come
pasquinate (dalla statua che dette origine all’usanza).
Ai margini dell’aiuola che fronteggia la basilica di S. Marco si trova
la popolare fontanella della Pigna (Pietro Lombardi, 1926), allusiva
all’omonimo rione del centro.

IL MONUMENTO A VITTORIO EMANUELE II, che chiude il lato S di


piazza Venezia, è detto anche Vittoriano o Altare della Patria (t.
066991718; www.ambienterm.arti.beniculturali.it/vittoriano), e la sua
costruzione, decisa pochi mesi dopo la morte del re, fu condotta su
progetto di Giuseppe Sacconi dal 1885 protraendosi per mezzo secolo.
Nel suo insieme, e nel rapporto col contesto urbano in cui venne
violentemente a inserirsi, costituisce la colossale «affermazione
bronzea e marmorea» di un ideale politico e culturale che si espresse
nel linguaggio ‘inossidabile’ del classicismo proponendosi come una
summa delle qualità artistiche nazionali, dall’architettura
all’urbanistica, dalla scultura alla pittura monumentale. Il giudizio
odierno è meno ostile di un tempo riguardo al fatto artistico in sé,
inquadrato e compreso nel suo momento storico e culturale, ma non
può prescindere dalla considerazione che il monumento è stato la
causa diretta e indiretta della cancellazione o dello sconvolgimento di
una parte rilevante della città papale, che culminava qui in episodi
urbani straordinari ma il cui fascino profondo risiedeva proprio nel
tessuto connettivo stratificatosi nei secoli.

LA GENESI DEL VITTORIANO. Il 16 maggio 1878 venne promulgata


la legge che, accogliendo il progetto del ministro Giuseppe Zanardelli,
ordinava l’erezione a Roma di un monumento nazionale alla memoria
di Vittorio Emanuele II. Nel primo concorso, a carattere mondiale,
bandito nel 1880 il sito dell’opera fu ipotizzato da molti nella zona di
nuova espansione, principalmente in piazza Esedra; il secondo
concorso, che stabiliva nell’area sotto il Campidoglio la sede del
monumento, fu bandito a livello nazionale nel 1882 e vinto dal Sacconi
nel 1884. Posta solennemente da Umberto I nel 1885 la prima pietra,
la costruzione si prolungò per cause di natura economica e tecnica (le
pendici del colle si rivelarono tutt’altro che compatte e solide), che
determinarono anche modifiche nelle dimensioni e nelle proporzioni
del progetto originario, concepito come una «arx» munita e compatta:
il portico fu allungato da 90 a 114 m e la trabeazione alzata da 6 a
10.5 m, mentre l’uso del candido botticino anziché del tradizionale
travertino locale, su cui si sono da sempre appuntate le critiche, fu
imposto, sembra, dallo Zanardelli stesso. Alla morte del Sacconi
(1905) la direzione dei lavori fu assunta da Gaetano Koch, Pio
Piacentini e Manfredo Manfredi, e il monumento venne inaugurato da
Vittorio Emanuele III nel cinquantenario dell’Unità, anche se la parte
decorativa fu compiuta solo nel 1927 con la collocazione delle
quadrighe; in seguito alla tumulazione del Milite Ignoto (1921) l’Altare
della Patria venne rimodellato e inaugurato nel 1925, mentre il
completamento interno ed esterno del Museo del Risorgimento,
iniziato nel 1924, fu concluso nel 1935.
Il monumento a Vittorio Emanuele II è stato riaperto alle visite
nel 2000, dopo i restauri condotti a partire dal 1987. Il progetto di
recupero e di valorizzazione del Vittoriano, di cui una parte è adibita a
spazio espositivo, comprende la predisposizione di nuove sezioni e
nuovi percorsi culturali coerenti con la storia e il significato anche
artistico del monumento, che amplieranno i materiali già oggi
contenuti. I temi che qualificano, nel suo insieme, il programma
attengono alla storia della fabbrica e alle tecnologie connesse alla sua
costruzione, alla nascita di Roma Capitale, al periodo risorgimentale e
della nascita della Repubblica con materiali provenienti dalle province
italiane.

L’ESTERNO. L’idea di un fondale scenografico a via del Corso, e


forse anche l’intento di occultare la prepotente presenza ‘clericale’
della chiesa di S. Maria in Aracoeli – unitamente alle necessità di
contenimento e sostruzione del colle capitolino – suggerirono una
strutturazione a terrazze collegate da scalee e coronata da un
altissimo portico a colonne, leggermente concavo, che si attesta alle
estremità con due propilei a tempio sormontati da quadrighe e
dedicati all’Unità della Patria e alla Libertà dei Cittadini. Il modello di
riferimento fu l’architettura dei grandi santuari ellenistici ripresa nelle
città latine (Palestrina, Tìvoli), mentre nell’ambito del linguaggio
europeo ed extraeuropeo del momento, quello dell’eclettismo, si volle
privilegiare la «radice classica» dell’arte nazionale.

UNA DECORAZIONE in marmo e bronzo che ha impegnato i


maggiori nomi della scultura accademica italiana a cavallo tra ’800 e
’900 (del centinaio di opere si segnalano le principali) contraddistingue
il complesso. Ai lati della cancellata a scomparsa in ferro battuto, su
disegno di Manfredo Manfredi (1911; pianta →, 1), il Pensiero (2) di
Giulio Monteverde e l’Azione (3) di Francesco Jerace; a sin. è la
fontana dell’Adriatico (4) di Emilio Quadrelli, sopra la Forza (5) di
Augusto Rivalta e la Concordia (6) di Ludovico Pogliaghi; a d. è la
fontana del Tirreno (7) di Pietro Canonica, sopra il Sacrificio (8) di
Leonardo Bistolfi e il Diritto (9) di Ettore Ximenes. Ai lati della scalea
principale (10), leoni alati di Giuseppe Tonnini; al termine, Vittorie su
rostro di Edoardo Rubino (11) ed Edoardo De Albertis (12). Di fronte è
l’ALTARE DELLA PATRIA con la tomba del Milite Ignoto (13) dominata dalla
dea Roma (14) di Angelo Zanelli: a essa converge il *fregio con il
Trionfo del Lavoro e il Trionfo dell’Amor patrio in altorilievo, dello
stesso (1909-1925). Sovrasta il tutto, su alta base a panoplie con le
14 città d’Italia (Eugenio Maccagnani; 15), la statua equestre di
Vittorio Emanuele II (16), in bronzo già dorato, di Enrico Chiaradia
(1888-1901) ma compiuta dopo la sua morte da Emilio Gallori.
Davanti al PROPILEO SIN., Vittorie su colonne di Nicola Cantalamessa
Papotti (17) e di Adolfo Apolloni (18); il frontone è di Enrico Butti; i
mosaici dei lunettoni interni (Fede, Forza, Lavoro, Sapienza) sono su
cartoni di Giulio Bargellini; la quadriga bronzea dell’Unità (19) è di
Carlo Fontana. Davanti al PROPILEO D., Vittorie su colonne di Cesare
Zocchi (20) e Mario Rutelli (21); il frontone è del Gallori; i mosaici dei
lunettoni interni (Legge, Valore, Pace, Unione) sono di Antonio Rizzi;
la quadriga della Libertà (22) è di Paolo Bartolini. Al di sopra delle 16
colonne del SOMMOPORTICO, altrettante statue delle Regioni d’Italia (23-
38); dal portico, con lacunari in bronzo del Tonnini, magnifico
*panorama del centro storico della città.
ATTORNO AL VITTORIANO. Gli spettacolari ambienti interni del
monumento furono completati e decorati nel 1924-35 da Armando
Brasini, che progettò anche la cripta del Milite Ignoto (mosaici di
Giulio Bargellini, 1935) e il nuovo prospetto in laterizio a contrafforti
su via di S. Pietro in Carcere →. La sistemazione intorno al
monumento fu completata nel 1931-32 da Raffaele De Vico con
l’«esedra arborea» a gradoni di travertino. A sinistra, nell’aiuola, è
l’unico lato superstite del sepolcro di Gaio Poplicio Bibulo, eretto in
tufo e travertino a inizi sec. I a.C. subito fuori delle mura Serviane (per
l’inquadramento →): il fronte rimasto della sepoltura, che constava di
una cella rettangolare su alto podio, è decorato ai lati della porta da
lesene tuscaniche.

IL SACRARIO DELLE BANDIERE DELLE FORZE ARMATE, che si incontra


aggirando da sin. il monumento, è diviso nella SEZIONE DELLA MARINA (vi
spiccano il MAS 15 legato all’impresa di Luigi Rizzo del 10 giugno
1918, il «maiale» impiegato nella seconda guerra mondiale e parte
dello scafo del sommergibile Sciré) e nel SACRARIO vero e proprio,
istituito nel 1935.

IL MUSEO CENTRALE DEL RISORGIMENTO, che si raggiunge


continuando per via di S. Pietro in Carcere, fu istituito nel 1906 come
Museo della Nazione ma aperto solo nel 1970; raccoglie cimeli dei
reclusi dello Spielberg, di Giuseppe Mazzini e Giuditta Sidoli, dei fratelli
Bandiera, di Pio IX e della Repubblica romana, di Giuseppe Garibaldi e
della spedizione dei Mille (notevole la bandiera del Lombardo), per
finire con i ricordi della prima guerra mondiale, con i quali vengono
organizzate mostre a tema.
L’archivio dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, che
occupa l’attico del sommoportico e cui si accede dal lato d. del
Vittoriano, consta di 1130 buste e 1093 volumi manoscritti, e
custodisce, tra gli altri, i ricchi carteggi di Massimo d’Azeglio,
Francesco Crispi, Luigi Carlo Farini e Garibaldi.
SUL LATO NORD-OVEST DI PIAZZA VENEZIA, rimasto inalterato a sin.
dell’imbocco di via del Corso →, prospetta al N. 5 il palazzo Bonaparte
già D’Aste e Rinuccini (Giovanni Antonio De Rossi, 1658-65), con
facciata compatta ed elegante, cantonali ben profilati e altana (a
Letizia Bonaparte, madre di Napoleone, è legato il celebre balcone
coperto d’angolo). Al numero 2 di vicolo Doria, sul fianco sin.
dell’edificio, ha sede il Centro Studi dell’Accademia polacca delle
Scienze (la biblioteca raccoglie oltre 30000 volumi di ambito
umanistico).

VIA DEL PLEBISCITO E CORSO VITTORIO EMANUELE II

VIA DEL PLEBISCITO, che ricalca l’antica via del Gesù, si diparte
dall’angolo nord-ovest di piazza Venezia correndo tra il prospetto
laterale del palazzo omonimo e alcuni edifici barocchi disposti in
successione sul lato d.: ai numeri 107-112 uno degli affacci di palazzo
Doria Pamphilj →; al N. 102 il palazzo Grazioli già Gottifredi,
rifacimento di Camillo Arcucci (1646-50) di quello di Giacomo Della
Porta, al quale Antonio Sarti aggiunse nel 1863-74 il corpo con
facciata su piazza Grazioli (sul cornicione, in angolo con via della
Gatta, è il felino marmoreo, proveniente dall’Iseo Campense, che le ha
dato il nome).
PIAZZA DEL GESÙ, che la via va a formare a sin., è situata a metà
del percorso dalla Minerva all’Aracoeli in corrispondenza dell’antica
piazza degli Altieri: la famiglia, che aveva qui sin dal ’300 le proprie
case, da metà ’500 concentrò la residenza nell’isolato tra la piazza e le
vie del Gesù, di S. Stefano del Cacco, degli Astalli e del Plebiscito,
costituendo il vasto complesso del palazzo Altieri (N. 49).

LA COSTRUZIONE ATTUALE, iniziata con il corpo sulla piazza dal


cardinale G.B. Altieri a opera di Giovanni Antonio De Rossi in
collaborazione con Mattia De Rossi (1650-55), con l’elezione al papato
di Emilio Altieri (Clemente X) vide realizzate, sempre dal De Rossi
(1670-76), le ali sulle vie adiacenti – con lo stesso partito
architettonico ma più alte – il cortile principale, lo scalone e gli edifici
intorno al secondo cortile; il lato N del complesso e le caratteristiche
stalle sulla retrostante via di S. Stefano del Cacco furono costruite nel
1734.
Dal portale (stemma di Clemente X) si accede al CORTILE D’ONORE,
circondato da un portico ad arcate su pilastri e a tre ordini (ionico,
corinzio e a lesene rastremate e scanalate), che è collegato a d. al
CORTILE SECONDARIO, più vasto e sobrio; a d. sale lo SCALONE di raccordo
tra le parti del complesso, ornato di statue e busti antichi e visitabile
previo permesso rilasciato dall’Associazione Bancaria Italiana. Al primo
piano, grandioso SALONE affrescato nella volta da Carlo Maratta
(Trionfo della Clemenza, 1674-77). Gli appartamenti conservano
pregevoli stucchi, affreschi e dipinti del ’600 e ’700 (notevoli le
decorazioni di Felice Giani). Fa parte del complesso anche la
biblioteca, ora archivio Altieri, dov’è il busto di Clemente X di Gian
Lorenzo Bernini e aiuti.

*IL GESÙ. La piazza è dominata da questa chiesa – più


propriamente del SS. Nome di Gesù – legata alla figura di Ignazio di
Loyola che nel 1541 ottenne da Paolo III, in piazza degli Altieri, la
chiesa di S. Maria della Strada («de Astallis», dalla famiglia del non
lontano palazzo). La costruzione, pensata dallo spagnolo sin dal 1550
(furono chiesti progetti a Nanni di Baccio Bigio e a Michelangelo),
iniziò solo nel 1568 col finanziamento del cardinale Alessandro
Farnese e secondo il progetto del Vignola, diretto dai gesuiti Giovanni
Tristano e Giovanni De Rosis; per la facciata il Farnese incaricò
Giacomo Della Porta (il suo disegno fu preferito a quelli di Galeazzo
Alessi e del Vignola, considerati rispettivamente troppo costoso e
troppo semplice), che completò la costruzione e modificò la cupola,
esternamente a spicchi su tamburo ottagono. L’edificio, consacrato nel
1584, costituì il modello che influenzò l’architettura religiosa romana
per quasi un secolo e fu esportato dai Gesuiti in tutta Europa:
l’impianto volumetrico e la facciata traducevano perfettamente le
esigenze di funzionalità liturgica e di solenne austerità canonizzate dal
concilio di Trento.
La facciata del Della Porta (1571-77), tutta in travertino, ha tre
ingressi e due ordini di paraste corinzie accoppiate in corrispondenza
della navata; alle cappelle corrisponde il solo ordine inferiore,
raccordato da volute. Lungo l’asse verticale gli elementi plastici si
intensificano: semicolonne, doppio timpano, finestrone, stemmi (in
alto quello del Farnese, scalpellato; sulla porta il monogramma del
Nome di Gesù, in marmo e bronzo, opera di Bartolomeo Ammannati
del 1574).

NELLA DISTRIBUZIONE DELL’INTERNO il Vignola contemperò le nuove


esigenze liturgiche – che prescrivevano un ampio ambiente in cui
l’attenzione fosse concentrata sull’altare maggiore e sul pulpito – con
la pianta centrale ‘allungata’: la navata, con volta a botte e
fiancheggiata da sei cappelle, si prolunga nel presbiterio absidato ed è
intersecata dal transetto di pari ampiezza, con cupola emisferica su
tamburo cilindrico, mentre negli angoli sono ricavate quattro cappelle
circolari; il tutto è organizzato entro un perimetro rettangolare (la
sporgenza del transetto è impercettibile). L’apparato decorativo (volte,
catino absidale, cupola e altari del transetto), creato nel 1672-85 nel
linguaggio trionfale del tardo barocco, in cui tutte le arti, e la
preziosità dei materiali, convergono a un effetto di coinvolgimento
emotivo, si è sovrapposto, contraddicendolo, a quello ‘rigorista’
originario. L’ultimo intervento si deve ad Alessandro Torlonia, che
rifece l’altare maggiore in forme tardo-neoclassiche (Antonio Sarti,
1840-43) e rivestì le paraste di marmo giallo (1858-61).
Nella volta (pianta, A), *Trionfo del Nome di Gesù, grandioso
affresco del Baciccia (1679) con nuovo e straordinario effetto di
prospettiva aerea, che sfonda la volta oltre la cornice dorata sorretta
da angeli in stucco (Ercole Antonio Raggi, su disegno del Baciccia) e
dalla quale si librano gruppi di figure; ai lati delle finestre, figure
allegoriche in stucco di Leonardo Retti. Gli affreschi della cupola (nei
pennacchi, profeti, evangelisti e dottori della Chiesa; nella calotta, il
Paradiso inneggia a Gesù) e del presbiterio (nel catino, Gloria
dell’Agnello mistico) furono eseguiti dal Baciccia nel 1672-85. 1ª
cappella d. (1): decorazioni di Agostino Ciampelli (c. 1599-1601). 2ª
(2), su disegno del De Rosis: alle pareti, dipinti di Gaspare Celio su
disegni di Giuseppe Valeriano (ante 1638). 3ª (3), interamente
decorata da Federico Zuccari: alle pareti, quattro festoni di marmo
antico provenienti dalle terme di Tito. Dal vestibolo (4) si passa alla
SAGRESTIA, su progetto di Girolamo Rainaldi: S. Ignazio attribuito ad
Annibale Carracci; sulla volta, Adorazione del SS. Sacramento del
Ciampelli. TRANSETTO DESTRO. Cappella di S. Francesco Saverio, su
disegno di Pietro da Cortona (5; 1674-78): Morte del santo di Carlo
Maratta (1679); nella volta, affreschi di Giovanni Andrea Carlone. A
destra del presbiterio, cappella del Sacro Cuore (6), su disegno del
Valeriano: Sacro Cuore di Gesù, notissimo dipinto su rame di Pompeo
Batoni (c. 1760); alle pareti, storie di S. Francesco (quattro tavole
sono attribuite a Giuseppe Penitz e Paul Brill); nella volta, dipinti di
Baldassarre Croce (1599). PRESBITERIO (7). Ai lati dell’altare maggiore
(Antonio Sarti, 1840-43), a d. busto di S. Giuseppe Maria Pignatelli e,
ai lati, Speranza e Carità di Antonio Solà; a sin. memoria di S. Roberto
Bellarmino, resto della tomba distrutta nel 1841, con busto di Gian
Lorenzo Bernini (1621-24) e rilievi (Religione e Fede) di Adamo
Tadolini. A sinistra del presbiterio, cappella di S. Maria della Strada, su
progetto del Valeriano (8; 1584-88): Madonna della Strada, affresco
(sec. XV) ridipinto proveniente dalla chiesa omonima; alle pareti, storie
della Vergine del Valeriano e di Scipione Pulzone. TRANSETTO SINISTRO.
*Cappella di S. Ignazio di Loyola (9), qui sepolto, pregevolissima
opera di Andrea Pozzo (1696-1700): nella nicchia ricoperta di
lapislazzuli (rilievi in bronzo dorato con scene della vita di S. Ignazio),
la statua del santo e gli angeli in stucco argentato sostituiscono gli
originali in argento di Pierre Legros (fusi nel 1798); sopra la nicchia,
angeli reggiscudo di Pierre-Étienne Monnot con monogramma di Cristo
in cristallo di rocca; sul fastigio, Trinità, gruppo di Bernardino Ludovisi
e Lorenzo Ottoni su modello del Retti; sull’urna, rilievi di Alessandro
Algardi; a sin. dell’altare la Fede trionfa sull’Idolatria di Jean-Baptiste
Théodon, a d. la Religione abbatte l’Eresia del Legros; sopra,
Approvazione della compagnia di Gesù di Angelo De Rossi e
Canonizzazione di S. Ignazio di Bernardino Cametti; sui timpani delle
porte laterali, angeli di Camillo Rusconi (d.) e di Lorenzo Ottoni e
Francesco Moratti (sin.); davanti all’altare, prezioso recinto in bronzo
su disegno del Pozzo. 3ª cappella sin. (10): Adorazione della Trinità di
Francesco Bassano (1592) e dipinti di Durante Alberti. 2ª (11): nella
volta affreschi del Pomarancio, alle pareti di Giovanni Francesco
Romanelli. 1ª (12): S. Francesco Borgia del Pozzo; alle pareti dipinti di
Pier Francesco Mola (c. 1660), nella volta del Pomarancio.

LA CASA PROFESSA, accanto alla chiesa (N. 45), fu eretta per il


cardinale Odoardo Farnese in linee severe e funzionali da Girolamo
Rainaldi (1599-1623); i prospetti in laterizio, con finestre incorniciate
di travertino, si stendono sulle vie d’Aracoeli, di S. Marco e degli
Astalli; il lato S è stato ricostruito, arretrato, per l’allargamento di via
delle Botteghe Oscure. All’interno, le CAMERE DI S. IGNAZIO sono il resto
della casa iniziata dal santo – che qui morì – nel 1543 come sede della
compagnia di Gesù, che furono trasformate in duplice cappella: oltre il
piccolo museo (Circoncisione di Girolamo Muziano e bozzetto
dell’Adorazione dell’Agnello del Baciccia) si percorre il cortile e per una
porta sulla d. si sale alle camere, precedute da un corridoio con
decorazione prospettica di Andrea Pozzo e affreschi del Borgognone,
dove sono conservati cimeli, suppellettili e una statua del santo.
IL PALAZZO CENCI BOLOGNETTI, che chiude il fianco S della piazza,
è un ampliamento del cinquecentesco palazzo di Alessandro Petroni
(via d’Aracoeli numeri 35-45) attuato intorno al 1737; la facciata
(Ferdinando Fuga, c. 1745) riprende, variandola nel ritmo, la partitura
del berniniano palazzo Odescalchi, a paraste giganti su alto
basamento.

CORSO VITTORIO EMANUELE II. Con inizio da piazza del Gesù, fu


previsto dal piano regolatore del 1873 come prolungamento di via
Nazionale (il tracciato prese il nome attuale nel 1886) e con esso si
completava il collegamento tra il centro e i nuovi quartieri in
costruzione a E e a O; i lavori iniziarono nel 1883 e a fine secolo erano
già conclusi, salvo la piazza terminale che fu sistemata agli inizi degli
anni ’30 del ’900.

LA FORMAZIONE DELLA STRADA. L’asse ottocentesco (largo m 20)


attraversa il cosiddetto «quartiere del Rinascimento» (per
l’inquadramento →) e ha sostituito i percorsi della «via Papalis» e
della «via Peregrinorum» (per l’inquadramento di entrambe →) che
convergevano all’ansa NO del Tevere. Della prima il corso ricalcò il
tratto dal Gesù a S. Pantaleo, con la perdita, prima a d. e poi a sin., di
uno dei fronti originali (gli edifici furono tagliati e ricostruiti con nuove
facciate, spesso d’imitazione); il segmento successivo verso Borgo, nel
quale si innesta col ponte Vittorio Emanuele II →, comportò uno
sventramento che ha falsato in maniera ancora più grave il rapporto
delle preesistenze monumentali (palazzo Vidoni, Farnesina ai Baullari,
palazzo della Cancelleria, Chiesa Nuova, palazzo Sforza Cesarini) con
la città. Il bilancio complessivo dell’operazione urbanistica è comunque
positivo: i nuovi prospetti parlano lo stesso linguaggio di quelli di via
Nazionale (molti sono degli stessi architetti), ma dato il contesto
assumono un tono più ‘importante’; solo nel tratto finale c’è un calo di
livello, dovuto alla cancellazione totale dell’antica compagine anche a
causa dell’arginatura del Tevere e del raccordo col ponte Principe
Amedeo Savoia Aosta →. La carta qui sotto visualizza gli sventramenti
operati per l’apertura della strada.
VERSO LARGO DI TORRE ARGENTINA. Il tratto del corso dal Gesù alla
chiesa di S. Andrea della Valle, iniziato nel 1883, corrisponde fino a
largo delle Stimmate all’antica via de’ Cesarini, di cui resta il lato sin.:
al N. 24 è il palazzo Ruggeri, costruito da Giacomo Della Porta
(1588-91) con la consueta austerità ma allungato verso d. attorno al
1885 e sopraelevato; ai numeri 1-7 il tardo-ottocentesco palazzo
Berardi.
Si sbocca in largo di Torre Argentina, creato con le demolizioni
del 1885 e ampliato nel 1926-29.

LARGO DELLE STIMMATE, che subito a d. si apre, si è delineato in


seguito alla demolizione di un’ala di palazzo Besso → ed è
attraversato dall’antica strada dei Calcarari (la zona nel Medioevo era
chiamata «Calcararia» dalle fornaci che trasformavano i marmi antichi
in calce), che da piazza Mattei arrivava alla Minerva. Vi prospetta la
chiesa delle Ss. Stimmate di S. Francesco, sorta sul luogo di quella
dei Ss. Quaranta Martiri de Calcarario consacrata nel 1297 e concessa
nel 1597 da Clemente VIII alla confraternita delle Ss. Stimmate; fu
ricostruita nelle forme e col nome attuali nel 1714-21 su progetto di
G.B. Contini. La facciata-portico a due ordini di paraste, disegnata da
Antonio Canevari al pari del campanile, deriva da quella cortonesca di
S. Maria in via Lata, di cui ripete il timpano ad arco siriaco, con
l’inserimento della teatrale rappresentazione di S. Francesco
stigmatizzato (statua attribuita ad Antonio Raggi), inquadrato dal
nicchione-finestra; nel portico, scandito dalle paraste collegate da
archi trasversali e dal ritmo spezzato del cornicione continuo,
monumento Petrachia di Adamo Tadolini (1844). Di derivazione
borrominiana è l’interno – sala rettangolare con spigoli arrotondati e
voltata a botte con sei finestre, tre cappelle intercomunicanti per lato
e presbiterio a fondo piatto – che riprende quello della chiesa dei Ss.
Maria della Visitazione e Francesco di Sales, opera dello stesso
Contini; la decorazione a paraste scanalate e dorate con capitelli
‘corinzi’ della navata fu aggiunta da Giuseppe Valadier nel 1828-29.
Nella volta, Gloria di S. Francesco di Luigi Garzi. 1ª cappella d.,
decorata nel 1725: Crocifisso d’avorio attribuito ad Alessandro Algardi;
sotto, Addolorata di Francesco Mancini; ai lati Flagellazione di Marco
Benefial e Coronazione di spine di Domenico Maria Muratori; cupola
affrescata da Giovanni Odazzi. 3ª: S. Giuseppe Calasanzio di Marco
Capriozzi. Altare maggiore: *S. Francesco stigmatizzato di Francesco
Trevisani (1719); gli angeli in stucco sul timpano sono di Pietro Bracci.
A sinistra del presbiterio, monumento di Ladislao Costantino Wasa (m.
1698) attribuito a Lorenzo Ottoni; accanto, stendardo di Ignazio
Hugford (1750). 3ª cappella sin., restaurata da Andrea Busiri Vici nel
1870: S. Antonio del Trevisani. 1ª: i Ss. Quaranta Martiri di Giacinto
Brandi. Nella SAGRESTIA (volta affrescata da Girolamo Pesci), entro
custodia sopra l’altare, pregevole reliquiario in argento di Francesco II
Spagna (1633). Al primo piano si trova l’oratorio dell’Arciconfraternita,
ora AULA DELLE STIMMATE, con pareti dipinte a monocromi architettonici
(sec. XVIII): nel soffitto S. Francesco in estasi attribuito a Filippo Lauri,
sull’altare S. Francesco stigmatizzato del Brandi.
Fronteggia la chiesa il cinquecentesco palazzo Besso, già Olgiati
e Strozzi, tagliato e modificato in facciata per l’apertura di corso
Vittorio (al N. 26 del largo è il portale di Carlo Maderno, c. 1620); fu
acquistato nel 1905 dal mecenate, letterato e filantropo Marco Besso e
ospita le Fondazioni Ernesta e Marco Besso, con biblioteca di oltre
75000 volumi riguardanti la dantistica, la romanistica e la
paremiologia.

IN VIA S. NICOLA DE’ CESARINI, che a sin. si svolge in asse con


largo delle Stimmate, sopravvive, molto restaurata e isolata in angolo
con via Florida, la cosiddetta torre del Papitto («del papetto»,
dall’antipapa Anacleto II; sec. XII) poi dei Boccamazzi: il portichetto,
con materiali antichi, è d’invenzione (1932).
La via delimita l’*area sacra dell’Argentina, il più esteso
complesso di età repubblicana attualmente visibile (le strutture datano
fra gli inizi del sec. III e la fine del II a.C.); posta nella parte centrale
del Campo Marzio, è stata rimessa in luce nel 1926-29 durante le
demolizioni dell’intero isolato già dei Cesarini e sistemata da Antonio
Muñoz nel 1933.

I QUATTRO TEMPLI che vi si allineano – tre rettangolari e uno


rotondo – tutti rivolti a E, sono di incerta attribuzione: risalgono a
epoche diverse e mostrano varie fasi al pari dell’area circostante,
come è testimoniato dalla presenza di ben cinque lastricati
sovrapposti.
Il più antico è il TEMPIO C (pianta), periptero «sine postico» (privo
cioè del colonnato sul lato di fondo), attribuito alla divinità italica
Feronia e databile al principio del sec. III a.C.: a tale fase risale il bel
podio in tufo, mentre le murature laterizie della cella e il pavimento a
mosaico sono riferibili al restauro domizianeo. Durante scavi eseguiti
nel 1935 è stata rinvenuta, opposta alla scalinata, l’ARA eretta da
Postumio Albino in onore del nonno, forse il console del 180 a. Cristo.
Secondo in ordine di tempo è il TEMPIO A, esastilo e periptero, databile
a metà sec. III a.C. ma in seguito assai rimaneggiato: rimangono, oltre
al podio, varie colonne di tufo con capitelli di travertino e quelle
risalenti al restauro domizianeo. Sugli avanzi della cella e del peristilio
fu adattata nel sec. VIII la chiesetta di S. Nicola de Calcarariis o de’
Cesarini, di cui restano le due absidi con tracce di affreschi, il cippo-
altare del sec. XII e la cripta semianulare; a d. del tempio sono invece i
resti di un colonnato pertinente a un porticato addossato
all’«HECATOSTILON» (1). Per terzo fu costruito il TEMPIO D, risalente
probabilmente a inizi sec. II a.C.: le strutture in travertino ora visibili (il
complesso è stato liberato fino a oggi solo in parte) appartengono a
un rifacimento tardo-repubblicano. Ultimo per datazione è il TEMPIO B,
a pianta circolare, forse da identificarsi con l’«Aedes Fortunae Huisce
Diei» fondata da Quinto Lutazio Catulo console nel 101 a.C. e
vincitore, insieme a Mario, dei Cimbri presso Vercelli; a un momento
successivo risalgono l’ampliamento del podio (il muro della cella venne
demolito e gli intercolumni del peristilio murati), la decorazione a
mosaico del pavimento e la base per una statua colossale in marmo
bianco (resti nel museo del Palazzo dei Conservatori).
La zona a lato e retrostante ai templi fu in seguito occupata da
alcuni EDIFICI in opus reticulatum (2) e da BAGNI PUBBLICI (3), mentre
l’ambiente a blocchi di tufo alle spalle del tempio B è forse da
identificarsi con la Curia Pompeia (4), dove nel 44 a.C. venne
assassinato Giulio Cesare. Fronteggiano i templi, sotto la cancellata
moderna, resti notevoli del portico frontale della «Porticus Minucia»
(5), grande piazza del principio dell’età imperiale.

IL TEATRO ARGENTINA. Al di là del lato O dell’area sacra si svolge il


tratto meridionale di via di Torre Argentina (per quello N, →), antico
collegamento tra il Pantheon e la chiesa di S. Carlo ai Catinari che
prende nome dalla torre del vescovo Burckhardt → e che segue il lato
corto del vastissimo quadriportico annesso al teatro di Pompeo →. Vi
prospetta uno dei più gloriosi teatri della Roma pontificia (nel 1816
ospitò la prima del «Barbiere di Siviglia» di Gioacchino Rossini) e, con
il Valle →, l’unico di quell’epoca che si sia conservato.

LA STORIA. Voluto dal duca Giuseppe Sforza Cesarini e costruito su


progetto del marchese Gerolamo Theodoli, fu inaugurato nel 1732 e
consacrato ai fasti del melodramma; nel 1826 venne aggiunto da
Pietro Holl l’avancorpo con l’atrio e il soprastante foyer, e l’attuale
facciata di modesto disegno neoclassico, sormontata dal fastigio con
due Fame soprastante alla dedica. Divenuto proprietà comunale nel
1869, il teatro, destinato dai primi del ’900 alla prosa e dal 1971 a
sede del Teatro di Roma, deve l’aspetto attuale al totale rifacimento
operato da Gioacchino Ersoch nel 1887-88.

L’ASPETTO ATTUALE. Della costruzione settecentesca resta la forma


della sala – a ferro di cavallo con sei ordini di palchetti – che venne
ricostruita in muratura nelle strutture orizzontali da Pietro Camporese
il Giovane (1837) e da Nicola Carnevale (1859-61; sua la cura della
decorazione). All’Ersoch risalgono l’inserimento dei palchi nella
struttura in muratura, cui fu sovrapposta una nuova decorazione in
cartapesta gessata e dorata (di stucco al secondo ordine), e l’apertura
del palco reale; l’atrio dell’Holl venne ampliato spostando le quattro
colonne di granito e inserendone otto in muratura. Incisivo fu anche il
restauro operato nel 1926 da Marcello Piacentini, che si avvalse di
Alfredo Biagini per la nuova decorazione a stucchi del foyer, del palco
reale e dei soprapporta. I restauri per il centenario del passaggio al
comune (1967-71) hanno rispettato l’aspetto «fin de siècle» della sala,
ripristinando però l’originale partitura settecentesca degli ordini.

IL MUSEO DEL TEATRO ARGENTINA (al N. 21 di via dei Barbieri),


sistemato nel 1973 in due locali del sottotetto, raccoglie
documentazione della storia, della topografia e dell’attività
dell’istituzione, nonché strutture (capriata lignea) e macchinari (rotoni
per il sollevamento del sipario e delle scene) settecenteschi,
frammenti della decorazione ottocentesca e rilievi in stucco del Biagini
dall’allestimento del 1926.

IL TRATTO SUCCESSIVO DI CORSO VITTORIO riprende il tracciato


dell’antica via Della Valle: il toponimo risalirebbe alla famiglia che qui
ebbe, dalla prima metà del ’400, le proprie case, anche se è probabile
che sia di origine anteriore e che si riferisca all’avvallamento dello
«stagnum Agrippae», lago artificiale posto a O delle terme di Agrippa
→. Sul lato sin., che è stato arretrato e ricostruito, sono al N. 110 il
palazzo Lavaggi Pacelli ora hotel Tiziano (Gaetano Koch, 1886-88),
armoniosa riproposizione dei modelli di Antonio da Sangallo il Giovane,
e al N. 116 il palazzo Vidoni, già Caffarelli. Il prospetto sul corso
venne creato da Francesco Settimj nel 1886-87 ripetendo con alcune
varianti (lesene al posto delle semicolonne; aggiunta di un secondo
ordine che include una sopraelevazione) la partitura del fronte
principale, di stampo raffaellesco (1515), ampliato a metà ’500 e nel
1770 da Nicola Giansimoni; questo, visibile dalla parallela via del
Sudario, presenta un basamento bugnato con porte ad archi ribassati
e a tutto sesto alternati, semicolonne doriche al primo piano
inquadranti finestre con balaustre e un’elegante trabeazione.
Nell’interno, sale affrescate da Anton Raphael Mengs e dalla scuola di
Perin del Vaga.
PALAZZO DELLA VALLE. A destra, opposto a piazza Vidoni aperta
nel 1882 per l’isolamento del vicino complesso religioso (l’abate Luigi
– una delle ‘statue parlanti’: per l’inquadramento → – dal 1924
addossato al transetto era nell’omonimo vicolo cancellato dalle
demolizioni; raffigura un togato della tarda età imperiale), è (N. 101)
questo edificio, eretto nel 1517-23 per il cardinale Andrea – che vi
sistemò la sua raccolta di antichità, ora in gran parte a Firenze – ma
rimasto incompiuto all’esterno in seguito alle devastazioni dei
Lanzichenecchi e passato nel 1633 ai Del Bufalo. La tradizionale
attribuzione al Lorenzetto, risalente a Giorgio Vasari, non viene oggi
concordemente accettata: si fanno piuttosto i nomi di Antonio da
Sangallo il Giovane (distribuzione planimetrica e semplificazione del
prospetto) e di Andrea Sansovino.
La facciata sul corso, originariamente a otto finestre al piano
nobile e soprastante mezzanino, venne allungata ai primi del ’600
verso sin. (in tale occasione il portale fu spostato in asse con il lato
sin. del cortile) e, un secolo dopo, sopraelevata; al 1886-87 risalgono
l’apertura di negozi al piano terra al posto delle cinquecentesche
finestre architravate (a d. se ne conservano due), l’ampliamento-
regolarizzazione delle finestre degli ultimi due piani e l’aggiunta del
cornicione con elementi araldici Della Valle e Del Bufalo (si veda
posteriormente, al N. 11 di largo del Teatro Valle, il portale
architravato a bugne sormontato da un rilievo funerario antico con tre
busti femminili). L’arco di laterizio su due pezzi di colonne,
appartenente a un portico medievale, fu recuperato nel corso dei
restauri del 1941-42.
Un breve androne immette nel CORTILE rettangolare, ad archi su
colonne di spoglio in marmo e granito; al di sopra le finestre
architravate si alternano a nicchie, mentre l’ultimo piano è ad arcate
su pilastri. I begli ambienti del piano nobile conservano soffitti a
cassettoni, fregi e pareti affrescate (notevole il SALONE, c. 1531).
PIAZZA DI S. ANDREA DELLA VALLE si apre sul fianco sin. del
palazzo, assorbita in parte dal corso e ampliata verso N con le
demolizioni per l’apertura di corso del Rinascimento →. Al centro è
stata collocata nel 1957 la fontana (Carlo Maderno, 1614), già nella
scomparsa piazza Scossacavalli, con vasca mistilinea (il catino è un
rifacimento) e fusto con elementi araldici di Paolo V; completa lo
scenario della piazza, a N, il prospetto, rivestito di travertino, del
palazzo dell’INA (Arnaldo Foschini, 1937), che risponde con il
linguaggio del «Novecento» purista all’esuberanza barocca
dell’opposta facciata della chiesa.
LA COSTRUZIONE DI *S. ANDREA DELLA VALLE, la più importante tra
le derivazioni romane del tempio del Gesù, fu iniziata nel 1591 su
progetto di Pietro Paolo Olivieri dal cardinale Alfonso Gesualdo e
ripresa nel 1608 dal cardinale Alessandro Peretti Montalto con la
direzione di Carlo Maderno, che impresse un maggiore sviluppo
verticale sia all’interno sia all’esterno; la consacrazione avvenne ormai
nel 1650.
La facciata fu eseguita nel 1656-65 da Carlo Rainaldi, assistito da
Carlo Fontana, che si attenne al progetto del Maderno accentuandone
però l’aspetto plastico-decorativo nelle colonne corinzie alveolate,
nelle spezzature delle trabeazioni e dei timpani e nella geniale
soluzione in alternativa alle volute di raccordo (l’unico angelo eseguito,
a sin., è di Ercole Ferrata): sul portale, stemma Peretti tra la Speranza
e la Prudenza di Giacomo Antonio Fancelli; statue di santi del Ferrata
e di Domenico Guidi (a loro vengono ascritti anche i putti con
medaglioni sopra le nicchie). La slanciata cupola del Maderno (1622),
la più alta di Roma dopo quella di S. Pietro, è su tamburo ottagonale
con colonne binate agli spigoli; nella calotta a sesto rialzato con
costoloni si aprono due file di finestre e oculi (ai capitelli del lanternino
lavorò nel 1621 Francesco Borromini).
LA DISTRIBUZIONE DELL’INTERNO, impostato dall’Olivieri, è analoga
a quella del Gesù: maggiori sono lo sviluppo verticale e la sporgenza
del transetto. La volta (stucchi e pitture) è stata decorata ai primi del
’900. 1ª cappella d. (Ginnetti poi Lancellotti), realizzata da Carlo
Fontana (c. 1670) e sontuosamente rivestita sin nella calotta della
cupola di marmi policromi: L’Angelo annuncia alla Sacra famiglia la
fuga in Egitto, altorilievo di Ercole Antonio Raggi (1675; sue le
sculture sul timpano); a d. statua del cardinale Giovanni Francesco
Ginnetti di Francesco Rondone, a sin. statua del cardinale Marzio
Ginnetti del Raggi. 2ª (Strozzi), d’ispirazione michelangiolesca: Pietà,
Lia e Rachele, copie in bronzo da Michelangelo di Gregorio De’ Rossi
(1616); ai lati, quattro arche di marmo nero della famiglia Strozzi.
Sopra l’ingresso alla cappella circolare d., tomba di Pio III (m. 1503)
ascritta a Sebastiano Ferrucci. TRANSETTO DESTRO. Cappella di S. Andrea
Avellino: Morte del santo di Giovanni Lanfranco (c. 1625). Nella cupola
del Maderno, *Gloria del Paradiso, affresco del Lanfranco (1625-28)
condotto a gara col Domenichino, autore degli *evangelisti (1621-28)
nei pennacchi. Il PRESBITERIO e l’ABSIDE costituiscono uno dei più alti
esempi di decorazione barocca a Roma: le spartizioni a stucchi dorati,
opera giovanile di Alessandro Algardi, incorniciano nel sottarco e nel
catino gli *affreschi del Domenichino (1623-28) con storie di S.
Andrea, Virtù e due nudi; nella curva dell’abside, *Crocifissione,
Martirio e Sepoltura di S. Andrea di Mattia Preti (1650-51); alle pareti,
affreschi di Emilio Taruffi (d.) e di Carlo Cignani (sin.); l’altare
maggiore è su disegno del Fontana. TRANSETTO SINISTRO. Cappella di S.
Gaetano Thiene: sull’altare neobarocco (Cesare Bazzani, 1912),
Apparizione della Madonna al santo (1770); le statue dell’Abbondanza
e della Sapienza sono di Giulio Tadolini; monumento del conte
Gaspare Thiene di Domenico Guidi (1676). Sopra l’ingresso alla
cappella circolare sin., *tomba di Pio II, forse iniziata da Paolo
Taccone e finita da seguace di Andrea Bregno (c. 1470-75). 3ª
cappella sin., rinnovata nel 1869: S. Sebastiano di Giovanni De’ Vecchi
(1614). 2ª (Rucellai poi Ruspoli), costruita da Matteo Castelli a inizi
’600: sulla parete sin., tomba di monsignor Giovanni Della Casa (m.
1556), autore del «Galateo»; dei dipinti del Pomarancio resta il
deperito affresco della cupola. 1ª (Barberini), pure su disegno del
Castelli (1604-1616): decorazione pittorica del Passignano, autore
anche della pala (Assunta) e di Lucina che raccoglie il corpo di S.
Sebastiano nell’attiguo ambiente a sin.; nelle nicchie, a d. *S. Marta di
Francesco Mochi (1629) e S. Giovanni evangelista di Ambrogio
Buonvicino, a sin. S. Giovanni Battista di Pietro Bernini e Maddalena di
Cristoforo Stati; sui timpani delle porte laterali, coppie di putti di Pietro
(1618; d.) e di Gian Lorenzo Bernini (sin.); nelle nicchie, statue dello
Stati.
Alla costruzione dell’annesso convento dei Teatini, iniziato nel
1602, parteciparono Girolamo Rainaldi e Paolo Marucelli.

I PALAZZI DEI MASSIMO. Il tronco di corso Vittorio da S. Andrea


della Valle a via Larga, iniziato nel 1884, ricalca fino a S. Pantaleo il
segmento curvilineo di via delle Colonne de’ Massimi; dell’antico
tracciato si conserva quasi intatto tutto il lato d., sul quale si leva il
grande complesso di una delle più antiche famiglie di Roma
(escludendo la leggendaria origine da Quinto Fabio Massimo il
Temporeggiatore, è storicamente documentata dal 999).

LA FORMAZIONE DELL’ISOLATO. Le case dei Massimo lungo la «via


Papalis» (per l’inquadramento →), ricordate già nel 1159, costituivano
un nucleo attraversato dalla via detta dei Massimi: il palazzo più antico
(«palazzo istoriato») affacciava, come oggi, sulla piazzetta interna,
mentre sulla via dava il «palazzo del portico», gravemente
danneggiato nel 1527. Nel 1532 le proprietà vennero divise: il
«palazzo del portico» («domus antiqua») andò a Pietro Massimo, che
lo fece ricostruire nel 1532-36 da Baldassarre Peruzzi (da allora è
chiamato «alle Colonne»); quello adiacente («domus nova» e ora noto
come «palazzo di Pirro») passò ad Angelo e Luca Massimo, che pure
lo rifecero in quegli stessi anni. A inizi ’800 i due edifici vennero tra
loro collegati.

PER IL *PALAZZO MASSIMO «ALLE COLONNE» (N. 141) il Peruzzi ideò


inizialmente una facciata rettificata preferendo poi conservare la
convessità delle precedenti strutture fondate sulla cavea dell’odeon di
Domiziano, teatro della capienza di oltre 10000 spettatori posto a S
dello stadio dello stesso imperatore → e con esso in stretto rapporto
funzionale. L’edificio, che conclude l’attività architettonica del Peruzzi,
rappresenta una delle prime manifestazioni delle ‘inquietudini’ del
manierismo negli anni immediatamente successivi al sacco di Roma e
si propone come tipo assolutamente inedito rispetto ai modelli di
Bramante, Raffaello e Antonio da Sangallo il Giovane. L’artista,
traendo genialmente partito dai vincoli delle preesistenze, spinse al
limite dello sperimentalismo la concezione di un classicismo
appassionato ma non scolastico e la ricerca spaziale di
compenetrazione tra esterno e interno; tema che, affermato nel
portico, prosegue nella successione dell’androne, del primo cortile con
portici e loggia, e del secondo fino alla piazza retrostante.
La facciata a bugnato piano, che in origine si scopriva
gradualmente seguendo la curva della stretta via delle Colonne de’
Massimi oppure avanzando da via del Paradiso (tuttora il punto di
vista migliore); in asse con questa è disposta la parte centrale del
portico, che è resa monumentale dalla sua convessità e dal profondo
effetto di chiaroscuro del portico a sei colonne tuscaniche disposte con
ritmo variato, ripreso ‘graficamente’ dalle paraste sui lati pieni; la
parte superiore, dove aprono nobili finestre balconate con trabeazione
su mensole e finestrelle rettangolari ‘coricate’ dalle raffinate cornici, è
coronata da un elegante cornicione.

L’INTERNO. Nel PORTICO, *soffitto a lacunari con decorazioni di


gusto classico in stucco (al centro, stemma Massimo); nella nicchia di
d., decorata a stucchi nel catino, copia del Doriforo di Policleto. Lo
stupendo *portale con ricca trabeazione su mensole immette
nell’ANDRONE (nella volta a botte, *stucchi di finissima fattura forse del
Peruzzi), da cui si passa nel *PRIMO CORTILE, piccolo ma impreziosito da
sculture e reperti archeologici e caratterizzato dal diverso trattamento
dei quattro lati: quelli attraversati dal percorso sono a portico, con
volte a botte aperte da bocche di lupo; quello verso l’ingresso è a tre
piani, a colonne tuscaniche trabeate come in facciata, soprastante
loggia a colonne ioniche pure trabeate e mezzanino con semplicissime
finestre rettangolari; sul lato d., ninfeo decorato da G.B. Solari attorno
al 1620, con copia romana della Venere Anadiomene. Il SECONDO
CORTILE, appartenente al palazzo «Istoriato» →, è ornato di bassorilievi
e medaglioni del Solari (c. 1627), e da due colonne di granito forse
provenienti dall’Iseo Campense. La LOGGIA ha il *soffitto ligneo a
lacunari dorati e policromi (gli stucchi sono attribuiti al Peruzzi o a
Perin del Vaga). SALONE D’INGRESSO, anch’esso con soffitto a lacunari:
*storie di Fabio Massimo, fregio di Daniele da Volterra. SALA DEGLI
ARAZZI: arazzi di manifattura fiamminga (Fatiche di Ercole),
decorazione a grottesche attribuita al del Vaga e fregio del Peruzzi.
SALOTTO CELESTE: fregio con storie dell’Eneide e stucchi ascritti al del
Vaga. SALONE ROSSO: Fondazione di Roma, fregio di scuola di Giulio
Romano; ricco soffitto intagliato (1537). Al secondo piano, la SALA DI
RICEVIMENTO ha una preziosa raccolta di avori (Crocifisso attribuito ad
Alessandro Algardi), la CAPPELLA DI S. FILIPPO NERI, creata in seguito a un
miracolo che il santo avrebbe qui operato il 16 marzo 1583, accoglie
un Miracolo di S. Filippo del Pomarancio e una tavola (Madonna e
santi) di Nicola di Antonio.

IL CONTIGUO (N. 145) PALAZZO MASSIMO DETTO «DI PIRRO»,


costruito da Giovanni Mangone, ebbe l’austera facciata sopraelevata di
un piano nel 1874; il CORTILE, che su tre lati è a tre ordini e su quello di
fondo a due, ospitava la statua di Marte, popolarmente chiamata Pirro
(da qui il nome dell’edificio), dal 1738 al Museo Capitolino. Completa
l’isolato, al termine della curva (numeri 147-153), il terzo palazzo
Massimo, risultato dalla trasformazione di due abitazioni.

IL PALAZZO DI GIROLAMO PICHI poi dei Lovatti, che s’incontra lungo


il lato sin. di corso Vittorio (N. 154) tra largo dei Chiavari (aperto nel
1885) e via de’ Baullari, fu eretto a fine ’400 forse da Pietro Rosselli
(in passato fu attribuito a Leon Battista Alberti). L’architettura
originaria del complesso, gravemente mutilato dal taglio del corso
(venne allora sopraelevato, trasformato all’interno e dotato dell’attuale
facciata che riprende elementi della precedente), è ancora
parzialmente apprezzabile da piazza del Paradiso, dove convergono i
prospetti che affacciano sull’omonima via e su vicolo de’ Bovari: sulle
pareti intonacate spiccano gli elementi in travertino dello spigolo
bugnato, dei contorni delle botteghe (ad arcate su lesene accoppiate)
e delle cornici marcapiano; le finestre sono al mezzanino rettangolari e
al piano nobile ad arco riquadrato. Il raccordo tra la nuova facciata e
la parte antica venne risolto con il bel vestibolo ovale adorno di statue
entro nicchie; il portale quattrocentesco sottostante allo scalone
conserva lo stemma della famiglia.

LA CHIESA DI S. PANTALEO. Il complesso dei palazzi Massimo è


delimitato a O da piazza di S. Pantaleo, ampliata con la quasi totale
demolizione di un isolato di cui resta soltanto, a sin. del corso, la
cosiddetta Farnesina ai Baullari →; i piani regolatori del 1873 e del
1883 avevano previsto qui una diramazione, poi non realizzata, dal
corso fino a piazza Navona mediante l’allargamento di via della
Cuccagna. Al centro si trova il monumento a Marco Minghetti (Lio
Gangeri, 1895).
Incorporata nell’isolato dei Massimo è la chiesa di S. Pantaleo, in
antico detta «de Parione» dal rione; menzionata già a fine sec. XII,
venne concessa nel 1614 da Paolo V a Giuseppe Calasanzio, ricostruita
dal 1681, invertendone l’orientamento, secondo i progetti di Giovanni
Antonio De Rossi e terminata nel 1689. La facciata fu eretta nel 1806
da Giuseppe Valadier, che scelse tra varie sue soluzioni quella più
semplice e moderna, di lontana ascendenza palladiana ma assai vicina
all’architettura francese ‘rivoluzionaria’ per l’estrema semplificazione
della struttura: sulla superficie a bugnato piatto spicca il motivo
dell’arcone appena accennato in profondità e attraversato dal fregio
continuo a bassorilievo in stucco che individua il finestrone di tipo
termale; il portale con due colonne ioniche è sormontato da un
timpano triangolare simile a quello che corona l’insieme.

L’INTERNO, che costituisce l’ultima opera interamente realizzata


dal De Rossi e la sua più compiuta architettura religiosa, è
interessante per l’intento di razionalizzare con un linguaggio classicista
la spazialità tardo-barocca. L’idea iniziale di una pianta centrale fu
mutata in quella di un unico ambiente quasi quadrato, con volta a
botte, due cappelle intercomunicanti per lato e profondo presbiterio
absidato; la maggiore novità è rappresentata dall’immediata
percezione dello spazio ottenuta con l’eliminazione degli archi
d’ingresso alle cappelle, che sono inquadrate da pilastri corinzi e dalla
trabeazione da questi sorretta. La volta è affrescata con il Trionfo del
nome di Maria (Filippo Gherardi, 1687-92) dai notevoli effetti di
dilatazione spaziale. 2ª cappella d.: Morte di S. Giuseppe attribuita a
Sebastiano Ricci (c. 1690). L’altare maggiore, sontuoso nella forma
concava con quattro colonne e ricco di marmi policromi, fu realizzato
nel 1763-67 su disegno di Carlo Murena e ultimato dal Valadier
(1802): nel rilievo a stucco (S. Giuseppe Calasanzio e discepoli) di
Luigi Acquisti è inserita la Madonna delle Scuole Pie; l’urna in porfido
contenente il corpo del santo fu disegnata dal Murena. Nel passaggio
alla sagrestia, i Ss. Giusto e Pastore attribuito al Pomarancio e pietra
tombale di Laudomia Brancaleone (m. 1577), figlia di uno dei 13
partecipanti italiani alla Disfida di Barletta. 2ª cappella sin.: S.
Pantaleo guarisce gli infermi, già riferito a Mattia Preti e ora a
Tommaso Amedeo Caisotti (1689).

PIAZZA DE’ MASSIMI, dove si sbocca proseguendo per via della


Cuccagna e poi a d. per il vicolo omonimo, ha il centro occupato da
una colonna in cipollino, forse da riferire all’odeon di Domiziano →,
rinvenuta frammentaria nelle demolizioni del 1938 e qui posta nel
1950. Il palazzo Torres già Muti (N. 4) fu acquistato da Giuseppe
Calasanzio nel 1612 (vi hanno tuttora sede l’archivio generale
dell’ordine degli Scolopi, fondato nel 1621, e il Museo della Famiglia
calasanziana) e ingrandito nel 1640 e nel 1668 (la semplice facciata
cinquecentesca fu sopraelevata nel 1687). All’interno (restauro 1923-
29) sono visitabili la CAPPELLA DELLE RELIQUIE, con prezioso *reliquiario di
Angelo Spinazzi (1752) restaurato dal Valadier; la CAMERA DEL SANTO,
con affreschi cinquecenteschi; la PINACOTECA, con quadri di Giovanni
Maria Morandi, Andrea Sacchi e Luca Giordano.
Ai numeri 1-3 si erge il *palazzo Massimo detto «Istoriato»,
uno dei più importanti e meglio conservati esempi di edificio romano
con facciata dipinta, secondo una moda assai diffusa nel
Rinascimento: ospitò dal 1467 la prima stamperia aperta a Roma. La
semplice facciata a tre piani fu predisposta per la decorazione pittorica
a monocromo (scene dell’Antico e Nuovo Testamento), eseguita nel
1523 per le nozze di Angelo Massimo e attribuita alla scuola di Daniele
da Volterra; una lapide ricorda i restauri di Luigi Fontana del 1877 e il
presunto autore degli affreschi (Nicolò Furlano).

PALAZZO BRASCHI, che chiude a N piazza di S. Pantaleo, è l’ultimo


commissionato da un pontefice (Pio VI) per la propria famiglia e fu
eretto nel 1791-96 secondo il progetto di Cosimo Morelli;
l’occupazione francese del 1798 causò l’interruzione dei lavori, ripresi
nel 1802 (l’intervento di Giuseppe Valadier si riconosce nella cappella
e, forse, nello scalone) e conclusi nel 1811. Divenuto nel 1871
proprietà dello Stato italiano, fu destinato a sede del Ministero
dell’Interno, poi della Federazione fascista dell’Urbe e infine del Museo
di Roma (v. sotto).
Il palazzo forma un isolato a pianta trapezoidale, con gli spigoli
smussati a fare testata verso piazza di Pasquino e piazza Navona;
anche quelli del cortile interno sono smussati. Nell’architettura
nobilmente conservatrice il Morelli guardò non gli esempi classici,
come voleva la cultura del momento, ma il classicismo
cinquecentesco: da qui l’alto basamento a bugne piatte che include il
piano terra e il mezzanino, i due piani nobili (il primo con timpani
curvilinei, il secondo triangolari), il terzo piano e il sottotetto, i cui
oculi si aprono nel cornicione alternandosi alle stelle e ai gigli dello
stemma Braschi (le teste di leone con pigna in bocca che sormontano
le finestre del pianterreno appartengono allo stemma Onesti). Motivo
insolito per l’architettura romana dell’epoca è la balconata che si
stende sopra l’ingresso per tutta la lunghezza del fronte principale e
risvolta sui fianchi; il balcone ritorna sopra l’ingresso su via di S.
Pantaleo (portoni ad arco si aprono su ciascuno dei fianchi dell’isolato)
e alle testate bugnate con stemmi della famiglia.

ALL’INTERNO, lo stupendo *SCALONE, ideato dal Morelli ma al quale


mise mano probabilmente anche il Valadier e compiuto nel 1804, è
ornato da 18 colonne di granito rosso orientale provenienti dal portico
di Caligola e da stucchi eseguiti da Luigi Acquisti. Alcuni ambienti
conservano decorazioni in parte di Liborio Coccetti e affreschi:
Annunciazione della Vergine di scuola di Federico e Taddeo Zuccari;
storie di Amore e Psiche del Cigoli (c. 1610).

IL *MUSEO DI ROMA, qui sistemato nel 1952, ospita una raccolta di


pitture, sculture e arti applicate che è destinata a documentare i
diversi aspetti della storia e della cultura della città. (t. 0667108316;
www.museodiroma.comune.roma.it).

Nel 2002 il museo è stato riaperto al pubblico dopo un importante


intervento di restauro conservativo e di adeguamento tecnologico
dell’edificio, avviato nel 1988 e non ancora concluso. Anche l’apparato
decorativo è stato sottoposto a restauri, che hanno fatto emergere le
decorazioni ottocentesche celate sotto l’intonaco. Il programma di
ristrutturazione si è esteso al riordino delle collezioni, al fine di
ridefinire l’immagine stessa del museo e le sue funzioni di ricerca e di
servizio.
LA FISIONOMIA DEL MUSEO. Le linee di riorganizzazione e di sviluppo si
agganciano alla storia stessa dell’istituzione, inaugurata nel 1930 per
testimoniare il passato di Roma e conservarne le memorie in una fase
in cui la città assisteva a trasformazioni urbanistiche epocali: dettate
prima dalle demolizioni effettuate in attuazione dei piani regolatori di
Roma Capitale e poi con gli interventi di età fascista, che portarono
alla distruzione di intere aree urbane per far posto all’utopia di
modernizzazione mussoliniana.
Il Museo di Roma raccoglie dunque una grande varietà di
manufatti legati da molteplici rapporti alla storia della città dal
Medioevo alla prima metà del Novecento, testimonianza delle
trasformazioni topografiche e dei vari aspetti della vita culturale,
sociale e artistica della capitale. Si spazia dalla produzione di mobili,
carrozze e portantine a elementi di arredo architettonico e urbano, dai
dipinti e apparati decorativi alle ceramiche medievali e rinascimentali,
dagli stampi lignei per le stoffe delle manifatture del ’700 e dell’800
agli abiti e arazzi della stessa epoca.

IL PATRIMONIO DELL’ISTITUZIONE. *Sculture di Francesco Mochi per


la chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini (Battesimo di Cristo, 1633-44) e
per la basilica di S. Giovanni in Laterano (S. Pietro e S. Paolo,
1635/38-62). Busto di Carlo Barberini del Mochi (c. 1630). Martirio di
S. Margherita di Pier Leone Ghezzi. S. Camillo de Lellis salva i malati
durante l’inondazione del Tevere del 1598 di Pierre Subleyras (1746).
Paola Odescalchi Orsini in veste di Latona e i suoi figli di Marco
Benefial (1746). Ritratto dell’artista con la famiglia, Giuditta con la
testa di Oloferne (1712) e Allegoria del pontificato di Clemente XI di
Giuseppe Chiari. Carosello in onore della regina Cristina di Svezia di
Filippo Gagliardi e Filippo Lauri (1656). Ritratto del cardinale
Gianfranco Ginnetti attribuito al Baciccia (1681-91). Ritratto del
cardinale Giacomo Rospigliosi (c. 1670). S. Giacomo minore di Carlo
Maratta. Stendardo della confraternita delle Stimmate con S.
Francesco che riceve le stimmate e S. Francesco e i confratelli di
Guido Reni (1612). Paesaggio con S. Bernardo che adora gli strumenti
della Passione di Gaspard Dughet e Pier Francesco Mola. Busto di
Paolo Giordano Orsini duca di Bracciano di scuola di Gian Lorenzo
Bernini, da un perduto originale del maestro datato 1635. Teste di
apostoli del Sermoneta. Storie di Perseo e Andromeda, monocromi di
Polidoro da Caravaggio e Maturino da Firenze (c. 1524-25).
Tabernacolo in legno dipinto eseguito su disegno di Girolamo da Carpi
(1552). Apollo e le muse, affreschi attribuiti a Gerino di Pietro Gerini
(c. 1510). Festa del Saracino a piazza Navona di Andrea Sacchi
(1634). Urbano VIII in visita al Gesù del Sacchi e di Jan Miel (1639-
41). Investitura del principe Taddeo Barberini a prefetto di Roma di
Agostino Tassi (1631). Modello per il ritratto del cardinale Maurizio di
Savoia, terracotta di François Duquesnoy (1635). Modello per il ritratto
di Taddeo Barberini, terracotta di Bernardino Cametti. Modello per il
ritratto di Innocenzo XII, terracotta attribuita a Domenico Guidi. Busto
del cardinale Francesco Maria Mancini di Francesco Brunetti (1682).
Busto di Clemente XII di Filippo Della Valle. Fanciulli giardinieri, arazzi
della manifattura di Gobelins tessuti da Monmerque su soggetti di
Charles Le Brun (c. 1739-49). Cielo per il baldacchino Barberini, arazzo
della manifattura romana del S. Michele; ritratto di Urbano VIII di
Pietro da Cortona (1625-26). Madonna col Bambino, arazzo della
manifattura romana del S. Michele di derivazione marattesca (c.
1780). Ritratti di Paolo V e di Innocenzo X (sec. XVII). Busto di
Clemente XIV attribuito a Christopher Hewetson (1776). Artisti romani
e fiamminghi in un’osteria romana di Pieter van Laer; Arco di Tito di
Viviano Codazzi. Busto del cardinale Paolo Cesi (1577). Maschere con
delfini, gruppi in marmo su modelli di Giacomo Della Porta (1577)
dalla fontana di piazza della Rotonda. Ovali marmorei con i ritratti di
Innocenzo XIII e Ludovico Sergardi attribuiti a Pietro Bracci (primo
quarto sec. XVIII). Maddalena penitente, Disputa tra un gesuita e un
domenicano, S. Onofrio e S. Maria Egiziaca di Francesco Trevisani.
Autoritratto, Donna alla toletta, ritratti di John Staples (1773) e di Pio
VI di Pompeo Batoni. Pio VI in visita alle Paludi Pontine di Abraham-
Louis-Rodolphe Ducros (1786). Campo Vaccino di Paolo Monaldi.
Mortaio in bronzo del Valadier (1781). Ritratto del cardinale Domenico
Ginnasi del Sacchi; busti dei cardinali Francesco e Antonio Barberini di
Lorenzo Ottoni (c. 1680). Partenza di Attilio Regolo di Vincenzo
Camuccini. Canova e i principi Torlonia, bozzetto di Filippo Agricola.
Festa della federazione a S. Pietro (1798) e Arco trionfale eretto a
ponte S. Angelo (1797) di Felice Giani. La famiglia Vitali, Autoritratto,
Apollo, monumento a Giorgio Washington (1817; bozzetto in
terracotta), statua della principessa Esterhasy Liechtestein (1806-
1807; bozzetto in terracotta) e un altro Autoritratto (1811-12) di
Antonio Canova. Bassorilievi marmorei con l’immagine del Salvatore
dell’Ottoni e di Michel Maille (1695). Ritratto di Clemente XI del
Ghezzi.
Di pertinenza del museo sono anche: il treno di Pio IX (sec. XIX);
la berlina Chigi (sec. XVII); portantine del XVIII; una raccolta di pesi e
misure in uso presso l’Istituto Metrico Pontificio dal sec. XVI al XIX; una
raccolta di opere ispirate alle feste, ai costumi, alla vita di Roma nei
secoli passati (celebre la serie di acquerelli di Ettore Roesler Franz);
un gruppo di dipinti (si notino Festa a Maccarese, La merca dei bufali
a Maccarese e Serie di cavalli della scuderia Rospigliosi) di Adrien
Manglard, Giuseppe Bottani, del Monaldi e di Giovanni Reder; Vedute
di Roma del Ducros, di Giovanni Volpato, Francesco Kaisermann;
terrecotte di Alessandro Algardi, Filippo Della Valle e Bartolomeo
Pinelli; «biscuit» prodotti a Roma dal Volpato; una raccolta di
maioliche di fabbrica romana; costumi maschili e femminili dei secoli
XVIII-XIX.
LE ALTRE ISTITUZIONI IN PALAZZO BRASCHI. La Gipsoteca
Tenerani annovera la serie completa dei gessi (molti sono l’unica
documentazione di opere perse) del noto scultore. L’Archivio
Fotografico Comunale conta 9000 positivi c. e 80000 lastre e pellicole
dalle origini della fotografia a oggi. Il Gabinetto comunale delle
Stampe (c. 30000 stampe e disegni dal sec. XVI al XX, tra cui opere di
G.B. Piranesi, Bartolomeo e Achille Pinelli, Luigi Rossini, Antoine Jean-
Baptiste Thomas) è la maggiore raccolta iconografica che documenti
le trasformazioni subite dalla città e dal suo territorio.

LA *FARNESINA AI BAULLARI. Al numero 166 di corso Vittorio


Emanuele, è rimasto completamente avulso dal contesto originario
questo edificio, più propriamente palazzetto Leroy (De Regis) ma
detto anche la Piccola Farnesina, che è una delle più preziose
architetture del primo ’500 romano. Lo iniziò nel 1522-23 il prelato
bretone Thomas Le Roy (latinamente De Regis), che era giunto a
Roma al seguito di Carlo VIII: i gigli di Francia che costui ottenne da
Francesco I di poter aggiungere all’ermellino di Bretagna nel proprio
stemma furono successivamente confusi con quelli dei Farnese,
originando la denominazione con cui il palazzo è popolarmente noto e
la credenza, diffusasi nell’800, che l’edificio fosse opera di
Michelangelo, attivo nel non lontano palazzo di quella famiglia. Dal
1671 ai primi del sec. XIX fu dei Silvestri e nel 1885 venne acquistato
dal comune.
L’apertura del corso, isolando l’edificio, comportò l’invenzione di
una quarta facciata, divenuta la principale, con conseguente
ribaltamento dell’ingresso e della sequenza di fruizione dell’interno;
nel 1898-1904 Enrico Guj aggiunse il nuovo prospetto accostando la
partitura di quello originario e l’alzato a logge del cortile, restaurò
radicalmente l’interno e creò la terrazzetta verso via de’ Baullari che
raccorda il vecchio livello con il nuovo.

OGGETTO ANCORA OGGI DI DISCUSSIONE È LA PATERNITÀ di tale


architettura, che la critica ottocentesca ritenne opera di Raffaello – m.
però nel 1520 – di Giulio Romano, ma soprattutto di Baldassarre
Peruzzi, mentre quella novecentesca l’ha inclusa nel corpus di Antonio
da Sangallo il Giovane, al quale sono riconducibili sia lo schema
planimetrico sia il trattamento dei prospetti secondo quella tipologia
residenziale da lui stesso fissata (il palazzo Farnese ne rappresenta
l’esempio massimo) e adottata a Roma fino a tutto l’800 (ma qui
appaiono al piano terra finestre arcuate che non appartengono al suo
repertorio). Tuttavia certe ‘licenze’ – il bugnato che travalica il
marcapiano a rivestire i balconcini pieni; la sovrapposizione di due
ordini tuscanici, più il corinzio, nel cortile; la partitura asimmetrica del
fronte posteriore; l’accentuazione verticale delle aperture, di ritmo più
serrato – la sequenza androne-cortile-giardino che sembra prefigurare
quella del palazzo Massimo «alle Colonne», l’apertura del ‘blocco
chiuso’ rinascimentale verso il giardino (scomparso nel 1549 per
l’apertura di via de’ Baullari) e il contorno urbano, che riprende in
miniatura quello della villa Farnesina e che giustifica l’appellativo
popolare, rivelano l’intervento di una personalità più inquieta e
innovatrice: probabilmente il Peruzzi, che tra l’altro fu all’inizio
collaboratore del Sangallo.

L’ESTERNO. La facciata originaria su vicolo dell’Aquila presenta le


fasce marcapiano e il cornicione decorati con i gigli e gli ermellini
araldici del Le Roy; la partitura è ripetuta nel fianco che prospetta
sull’altro ramo del vicolo. L’originalissimo *fronte posteriore (ora su via
de’ Baullari), delimitato dal muro alto quanto il basamento bugnato,
esibisce all’esterno lo ‘spaccato’ del cortile, con i tre ordini aperti a
portico e logge, inquadrato dalle testate composte senza
preoccupazione della simmetria. L’intervento di Enrico Guj si
concretizzò qui nell’aggiunta della finestra del piano nobile e nelle
bugne in verticale ai lati.
IL *MUSEO BARRACCO di scultura antica (t. 0668806848;
www.museobarracco.it), che nell’interno trova sistemazione dal 1948,
fu donato alla città nel 1902 dal barone Giovanni; è una collezione non
di ampia dimensione ma interessantissima (vi sono rappresentate
l’arte egizia, assira, cipriota, greca con parecchi originali, etrusca e
romana) perché venne creata con l’intento di illustrare la storia
dell’arte antica, con particolare riguardo alla scultura. Dopo importanti
interventi di ristrutturazione, il Museo è stato riaperto al pubblico
(2006).

I CAPOLAVORI DEL MUSEO. Al PIANO TERRENO, Donna seduta, statua


funeraria attica (inizi sec. IV a.C.) e sarcofago cristiano (sec. IV). Nel
CORTILE, torso di Apollo seduto di arte ellenistica.
PRIMO PIANO. ARTE EGIZIA: *testa di principe (XVIII dinastia); *testa
di sacerdote con diadema decorato al centro con un sole a otto raggi,
erroneamente ritenuto ritratto di Cesare ma in realtà arte egizia di età
tolemaica; statuetta di uomo seduto (XII dinastia); *sfinge femminile
raffigurante secondo alcuni la regina Hatshepsut, con cartello di
Thutmosis III (1479-1425 a.C.); leone con cartello di Ramsses II (XIX
dinastia); busto di guerriero da Chieti (epoca saitica); rilievo dalla
tomba di Ti (V dinastia) con scena di mungitura; statuetta seduta di
alto dignitario (XII dinastia); rilievo con *Nefer, dignitario di corte
seduto davanti a una tavola di offerte (III dinastia); *Impastatrice di
arte popolare dell’Antico Regno; Testina policroma (Antico Regno);
rilievo con il cortigiano Akhti-Hotep (IV dinastia); Testa in stucco
policromo dal Fajum (epoca greco-romana); Statuetta lignea virile di
arte popolare dell’Antico Regno; frammento di clessidra
rappresentante Tolomeo II Filadelfo sacrificante; sarcofago antropoide
(epoca saitica); *testa ritenuta di Ramsses II. ARTE ASSIRA: Arcieri,
Prigioniere in un palmeto, Prigionieri babilonesi in un canneto e
Ritorno dalla caccia, rilievi del sec. VII a.C.; Genio alato del IX a.C.;
Fromboliere e ufficiale assiro (VII a.C.). ARTE CIPRIOTA: Suonatrice di
tamburello (seconda metà sec. VI a.C.); statuetta di Heracles-Melqart
(fine VI-inizi V a.C.); Quadriga con due personaggi (fine VI-inizi V a.C.).
ARTE ETRUSCA: frammento di cippo chiusino con scene guerresche (sec.
V a.C.); *cippi chiusini (in quello al centro, scene funebri) del V a.C.;
*Testa femminile in calcare da Bolsena, vicina all’arte di Scopas (III
a.C.). ARTE FENICIA: parte del coperchio di un sarcofago antropoide da
Sidone (arte greco-fenicia del sec. V a.C.); protome di leone dalla
Sardegna (IV-III a.C.).
SECONDO PIANO. ARTE GRECA (SALA V): frammento originale di stele
attica con raffigurazione di guerriero (c. 520 a.C.); *testa di efebo,
originale datato tra fine VI e inizi V a.C.; Statuetta femminile vestita di
peplo, originale di arte peloponnesiaca; *Hermes crioforo, probabile
replica di una statua di Calamide a Tanagra; Statuetta femminile
vestita di peplo, da originale della cerchia delle sculture di Olimpia;
erma di Omero cieco da originale di metà V a.C.; *testa di Marsia,
replica del celebre gruppo bronzeo di Mirone raffigurante Atene e
Marsia (prima metà V a.C.); testa di Atena (arte attica); testa del
Diadumenos di Policleto su erma ottocentesca da originale della
seconda metà del V a.C.; testa del Doriforo di Policleto su erma
ottocentesca, da originale di metà V a.C.; *testa dell’Apollo di Kassel,
replica dell’originale attribuito a Fidia (metà V a.C.); statuetta di
Herakles da originale di Policleto; erma di Pericle da originale di
Cresila (c. 435 a.C.); scena di banchetto, rilievo originale (artista
tarentino?) da Roma; testa di Afrodite di tipo fidiaco; testa di Ares di
arte fidiaca; *Atleta che s’incorona, probabile replica della statua del
giovane Kiniskos di Policleto; doppia Erma giovanile attribuita a Licio
figlio di Mirone; *testa del Diadumenos, replica (da Terracina)
dell’originale bronzeo di Policleto. ARTE GRECA (SALA VI): rilievo attico
con probabile raffigurazione dei Dioscuri e di Elena (seconda metà
sec. IV a.C.); lekythoi funerarie attiche (IV a.C.); *testa dell’Apollo
Liceo, replica di scultura di Prassitele; *testa di vecchio di arte attica
di fine IV a.C.; busto di Hermes giovane (?), tipo attico del IV a.C.;
*busto di Epicuro (c. 270 a.C.); testa di Euripide (seconda metà IV
a.C.); rilievo originale con banchetto funebre (dall’Attica); *Apollo,
Latona, Diana e consulto dell’oracolo, rilievo votivo da Atene (c. 360
a.C.); Teseo e il toro di Maratona (IV a.C.); parte superiore di stele
funeraria attica (metà IV a.C.); Statua acefala di idrofora, ornamento
di fontana; *Testa femminile, da stele funeraria attica del IV a.C.;
*Cagna ferita, da originale in bronzo di Lisippo. ARTE ROMANA (SALA IX):
Busto maschile di età augustea (da Pozzuoli); testa di Marte con elmo
adorno della lupa e gemelli, da grande altorilievo traianeo; *testina di
bambino e mosaico con pernici dalla villa «ad Gallinas Albas» (età
giulio-claudia). ARTE PROVINCIALE: *Stele funerarie di arte palmirena
(sec. III) e formelle con animali stilizzati dal Duomo di Sorrento (sec.
IX).

Nei sotterranei del museo sono i resti di un edificio romano di


epoca tarda, probabilmente una domus riutilizzata con funzione
commerciale, ritrovati durante i lavori del 1899: consistono nell’angolo
di un cortile porticato, con colonne di marmo brecciato e bianco di
reimpiego che poggiano su capitelli dorici rovesciati.

PIAZZA DELLA CANCELLERIA. Il tratto successivo di corso Vittorio,


abbandonata la «via Papalis» (per l’inquadramento →), attraversa la
serie di collegamenti tra quella e la «via Peregrinorum» (per
l’inquadramento →); sulla sin., subito oltre vicolo dell’Aquila, si allarga
nella piazza che un tempo prendeva nome dalla basilica di S. Lorenzo
in Damaso e che aveva assunto forma definitiva intorno a metà ’600
con la demolizione, voluta dal cardinale Francesco Barberini, degli
edifici tra il portone del palazzo e l’odierno corso; con l’apertura di
quest’ultimo andò perduta la caratteristica forma ‘chiusa’ dello spazio,
istituendo un punto di osservazione del palazzo opposto a quello
originario (da Campo de’ Fiori in angolo con via del Pellegrino), e fu
messo in evidenza il fianco nord.
IL *PALAZZO DELLA CANCELLERIA, che occupa il lato O della piazza,
è il prototipo della seconda generazione degli edifici romani del
Rinascimento che segna, non solo cronologicamente, il passaggio al
nuovo secolo: derivato dal palazzo di Venezia nella tipologia di
residenza cardinalizia inglobante la chiesa titolare e nell’idea del
blocco chiuso, testimonia nel linguaggio dei prospetti e nel cortile
l’innesto delle esperienze urbinati e lombarde su quelle fiorentine.

LA GENESI DELL’EDIFICIO. Il cardinale Raffaele Riario, divenuto nel


1483 titolare della basilica di S. Lorenzo in Damaso e preso possesso
dell’annesso palazzo, ne decise la ricostruzione come propria dimora. I
lavori, iniziati intorno al 1485 (nel 1495 era compiuta la facciata), si
interruppero dal 1499 al 1503 e si conclusero tra il 1511 e il 1513 (gli
stemmi di Sisto IV e di Giulio II, agli angoli della facciata, ricordano i
pontefici sotto i quali iniziò e terminò la riedificazione); poco dopo
l’edificio, confiscato ai Riario, divenne sede della Cancelleria
Apostolica. Nel ’500 si completò la decorazione interna (salone dei
Cento Giorni) e l’appartamento cardinalizio, mentre altri interventi si
ebbero nel ’600 ma soprattutto nel ’700, quando Pietro Ottoboni vi
costruì un piccolo teatro su progetto di Filippo Juvarra (non più
esistente). Da fine sec. XVIII le vicende del palazzo si allacciarono a
quelle politiche: nel 1798-99 fu sede del Tribunale della Repubblica e
nel 1810 della Corte imperiale (scritta sopra il portale), nel 1848 del
Parlamento romano e l’anno successivo della Costituente (il 9 febbraio
vi fu proclamata la Repubblica romana); dopo il 1870 rimase sede del
cardinale cancelliere, col privilegio della extraterritorialità confermato
dai Patti Lateranensi. Dopo i grandi restauri sotto Pio XI e Pio XII,
ospita attualmente il Tribunale della Rota Romana, la Pontificia
Accademia Romana di Archeologia e la Pontificia Commissione per i
Beni Culturali della Chiesa.
Il problema della paternità dell’architettura è tuttora aperto: se
nel palazzo di Venezia era evidente l’influenza di Leon Battista Alberti,
qui lo è, in modo più tangibile e unitario, quella di Bramante, la cui
partecipazione a una fase avanzata dei lavori è testimoniata ma non
precisata da Giorgio Vasari, che ne dice autore Antonio da
Montecavallo (forse fratello di Andrea Bregno e probabile esecutore).
L’attribuzione a Bramante dell’intero progetto, affermata per tutto
l’800, è oggi esclusa per ragioni cronologiche (l’architetto, che pure fu
brevemente a Roma nel 1493, restò a Milano fino al 1499), ma un suo
intervento diretto può ammettersi nell’ultima fase della costruzione, e
in particolare nel cortile; bramantesca è comunque già la concezione
ritmica della facciata, espressa con un linguaggio grafico, più che
plastico, ancora di ascendenza lombarda.

L’ESTERNO. La facciata principale ha in comune con quella del


palazzo di Venezia l’eccezionale sviluppo orizzontale e la posizione
decentrata dell’ingresso, ma se ne differenzia per le calcolate
proporzioni e per la rigorosa euritmia, per il rivestimento integrale di
travertino e per l’eliminazione di ogni residuo medievale (le torri
angolari, appena rievocate dalle quattro testate, sono allineate in
altezza coi prospetti e con un risalto minimo sul fronte). La vasta
superficie trattata a bugnato liscio è suddivisa orizzontalmente in tre
zone di uguale altezza, sottolineate da cornicioni; nella parte
basamentale si aprono finestre ad arco e i portali del palazzo e della
chiesa. I piani sovrastanti sono intelaiati da due ordini di lesene con
capitelli compositi secondo una partizione variata, più stretta in
corrispondenza dei pieni: al piano nobile sono eleganti finestre
centinate e riquadrate (agli angoli, rose), sormontate da clipei con la
rosa araldica del Riario (nella fascia superiore, iscrizione ricordante il
cardinale e la ricostruzione del complesso con la data 1495); il
secondo ordine include finestre architravate sormontate nella parte
centrale da quelle arcuate del mezzanino. Gli altri prospetti sono a
cortina laterizia con membrature architettoniche di travertino.
La facciata risvolta a sin. con la splendida *testata curvilinea
puntata verso Campo de’ Fiori e impreziosita dal *balcone finemente
scolpito (stemma Riario) e attribuito ad Andrea Bregno. Il fronte su via
del Pellegrino →, il secondo per importanza, si apre in basso con le
arcate delle botteghe sormontate da finestrelle rettangolari, sostituite
alle estremità da coppie di grandi finestre ad arco riquadrato
congiunte a quelle del piano nobile; la partitura delle lesene è simile,
nella parte centrale, a quella della facciata principale, ma il primo
ordine include anche un mezzanino. La testata d’angolo col prospetto
posteriore, in laterizio e travertino, è accentuatamente convessa e
ornata da un balcone scolpito. Il fronte sul giardino, rimaneggiato nel
1885-88, presenta una partitura a modulo unico al pari di quella su
corso Vittorio.

INTERNO. Il portale con colonne di granito sorreggenti il balcone e


con gli elementi araldici del cardinale Alessandro Peretti, aggiunte di
Domenico Fontana del 1589, dà accesso al *CORTILE a tre ordini: i
primi due ad archi su colonne di granito con capitelli tuscanici a
rosette e pilastri angolari articolati e con fasce di marmo con rilievi
entro clipei (nei pennacchi tra gli archi è la rosa Riario che ritorna in
chiave delle volte a crociera; nei peducci di queste ultime, gigli del
cardinale Alessandro Farnese), il terzo a parete di laterizio scandita da
lesene con capitelli compositi, tra cui si aprono le finestre rettangolari
e quelle sovrastanti ad arco più piccole. Nell’impostazione generale il
cortile è di derivazione urbinate, per la parete sopra il portico a
colonne e le finestre impostate sullo stesso piano delle lesene, ed è
oggi concordemente attribuito a Bramante quanto meno per
l’ideazione, mentre l’esecuzione potrebbe essere ascritta ad Antonio o
ad Andrea Bregno, che realizzò molti particolari di scultura decorativa
nel palazzo.
Al primo piano, rilevanti sono la SALA RIARIA (o AULA MAGNA),
decorata sotto Clemente XI (1718) e restaurata nel 1939: nella parete
di fondo, quadrante di orologio dipinto dal Baciccia (la fascia inferiore
delle pareti è decorata da temi celebranti il pontificato di Clemente
XI); il SALONE DEI CENTO GIORNI, le cui pareti sono decorate dagli
affreschi (Allegorie e fatti di Paolo III) entro architetture dipinte, ideati
da Giorgio Vasari ed eseguiti con aiuti nel 1546. Nell’APPARTAMENTO
CARDINALIZIO, disposto lungo i lati su corso Vittorio e sul giardino, si
trovano la cappella del Pallio, decorata con stucchi e dipinti da
Francesco Salviati, e il salone di Studio, con volta affrescata da Perin
del Vaga (scene bibliche). In un mezzanino nell’ala NE si trova la
STUFETTA, bagno con pianta a croce greca con pilastri smussati datato
al 1515-20 e attribuito ad Antonio da Sangallo il Giovane: della
decorazione affrescata resta la volta, con pergolato ascritto a
Baldassarre Peruzzi.

LE ESPLORAZIONI ARCHEOLOGICHE effettuate intorno al 1940 hanno


portato al ritrovamento, oltre all’ara dei Vicomagistri e ai cosiddetti
rilievi della Cancelleria ora ai Musei Vaticani, di un mitreo, di un tratto
dell’«Euripus», canale artificiale che collegava lo «stagnum Agrippae»
→ al Tevere costeggiando nel senso della lunghezza il palazzo, e del
sepolcro del console Aulo Irzio, costituito da un recinto quadrato (m 6
di lato) con pareti in laterizio e copertura a doppio spiovente in
lastroni di travertino.

S. LORENZO IN DAMASO. Sulla facciata principale del palazzo della


Cancelleria, a d., il portale rifatto dal Vignola nell’ambito degli
interventi voluti dal cardinale Alessandro Farnese (seconda metà sec.
XVI) dà accesso alla basilica, eretta nel 380 – assieme al palazzo degli
Archivi poi cardinalizio – da papa Damaso (resti sotto il piano del
cortile, ritrovati negli scavi del 1988), demolita tra il 1497 e il 1503
dopo la costruzione della nuova (completata nel 1495) e inclusa nel
palazzo della Cancelleria leggermente spostata a N rispetto alla
primitiva. Per volere del cardinale Francesco Barberini, Gian Lorenzo
Bernini (1638-40) trasformò in sontuose forme barocche la zona
presbiteriale creando l’abside e la confessione. Adibita a scuderie
durante la prima occupazione francese, venne restaurata da Giuseppe
Valadier nel 1807 (il presbiterio fu avanzato di due campate e la
navata centrale ridotta a pianta quadrata, sulla quale venne impostata
una volta a vela) e nel 1816-20, quando fu eliminata la confessione
berniniana. L’intervento voluto da Pio IX ed eseguito da Virginio
Vespignani (1868-82) puntò al ripristino stilistico della chiesa
rinascimentale eliminando quasi del tutto sia gli interventi del Valadier
sia quelli di Bernini e conferendo all’insieme un tono freddamente
‘purista’, mentre quello successivo all’incendio del 1939 comportò il
rifacimento del soffitto e l’eliminazione dell’arcone aggiunto al
presbiterio dal Valadier.

L’INTERNO conserva la struttura tardo-quattrocentesca, con


caratteristiche dimensionali e distributive simili all’antica chiesa, che
aveva un portico esterno e uno interno. Tale struttura è ripresa dalle
NAVATE TRASVERSE, ad arcate su pilastri quadrati con volte a crociera al
pari di quelle laterali, che fungono da vestibolo: nella prima, a d. è la
cappella di S. Nicolò, trasformata per il cardinale Tommaso Ruffo da
Nicola Salvi nel 1743 (la pala raffigurante la Vergine e i Ss. Filippo Neri
e Nicolò è di Sebastiano Conca; la volta con L’Eterno appare a S.
Nicola e i pennacchi con le Virtù sono di Corrado Giaquinto), e a sin. la
cappella del SS. Sacramento, rifatta nel 1736 da Ludovico Rusconi
Sassi e restaurata dal Valadier (la pala con l’Ultima cena è opera di
Vincenzo Berrettini del 1818; al pilastro di d. opposto all’ingresso,
sepolcro di Giovanni Pacini di Giovanni Antonio Dosio); nella seconda,
a sin. portale a paraste decorate di fine ’400; sui pilastri, statue di S.
Francesco Saverio (a sin.; sec. XVII) e di S. Carlo Borromeo (Stefano
Maderno e Ambrogio Buonvicino, 1610). NAVATA DESTRA. 1ª cappella
(del Crocifisso o Massimo), costituita nel 1582 dalla fusione di tre
cappelle: sull’altare (Giovanni Domenico Navone, 1758), Crocifisso
ligneo di scuola romana del sec. XIV; all’esterno, monumento a
Gabriella di Savoia Massimo di Pietro Tenerani. 2ª: Sacro Cuore di
Pietro Gagliardi; all’esterno, monumento a Pellegrino Rossi del
Tenerani (1854).
Il PRESBITERIO, modificato da Bernini creando un’abside a due
ordini di paraste con due cantorie entro arconi in basso e altre due in
alto con gli organi, ha oggi l’aspetto decorativo definito dal Vespignani
(nei tondi, Virtù di Francesco Grandi), che modificò i coretti superiori e
aggiunse il baldacchino su quattro colonne di alabastro; di antico resta
la pala su lavagna (Incoronazione di Maria e santi) di Federico Zuccari.
Anche l’aspetto della NAVATA CENTRALE è opera del Vespignani, che
profuse una decorazione bianca e oro, e creò la fascia intermedia che
gira sulle tre pareti (storie dei Ss. Lorenzo e Damaso di Luigi Fontana)
e le soprastanti arcate.
NAVATA SINISTRA. A lato del presbiterio, cappella della SS.
Concezione, trasformata da Pietro da Cortona nel 1635-38 (suo
l’affresco della volta, ora coperto) e restaurata nel 1859: *Vergine di
Grottapinta, tavola della prima metà del sec. XII dalla demolita chiesa
di S. Salvatore in Arco. Seguono il monumento del cardinale Ludovico
Trevisan detto Scarampo (1505), la Madonna delle Gioie, tavola
attribuita a Nicolò Circignani ma ridipinta dal Pomarancio, e il
monumento di Annibal Caro (m. 1566) del Dosio (sulla sin., lapide
riproducente il carme di S. Damaso relativo alla costruzione della
primitiva chiesa e dell’annesso palazzo).

PIAZZA DELLA CHIESA NUOVA. Si riprende corso Vittorio,


incontrando a d., oltre vicolo Savelli, il palazzo Sora, già Savelli e
Fieschi e oggi sede dell’Istituto tecnico commerciale Vincenzo Gioberti,
attribuito senza fondamento a Bramante e realizzato nel 1503-1510
forse da Giuliano Leno; l’edificio, che deriva il nome dalla famiglia
Boncompagni cui apparteneva il ducato di Sora e che l’acquistò nel
1579, fu radicalmente restaurato nel 1845, e per il passaggio del
corso tagliato e dotato di una nuova facciata (1888) imitante quella
originaria sulla laterale via Sora.
Si sbocca in piazza della Chiesa Nuova, che corrisponde alla
contrada chiamata nel Medioevo «ad puteum album» e che con
l’abbattimento del lato S e il raddoppio dell’area ha perduto il
suggestivo carattere di invaso allungato, con un lato leggermente
concavo su cui si allineavano palazzetti seicenteschi.
Oggi su tale lato si trovano al N. 244 il palazzo Cerri poi Baleani,
che dopo il taglio è stato rifatto a formare un isolato con nuovi
prospetti sul corso e sulle vie Cerri e del Pellegrino (quello originario,
che è attribuito a Francesco Peparelli, è su via Larga, aperta nel 1627-
28), e al N. 252 il palazzo Zandotti Costa, rimaneggiato nel 1886-88
uniformando al nuovo prospetto sul corso quello seicentesco, a
semplice partitura, su via Larga.
Al centro della piazza sono stati collocati il monumento a
Metastasio (Emilio Gallori, 1886), qui trasferito da piazza di S.
Silvestro nel 1910, e la fontana detta popolarmente della Terrina
per la curiosa forma a zuppiera con coperchio, rimossa da Campo de’
Fiori nel 1889 e qui posta nel 1924: la forma originaria risale a
Giacomo Della Porta (c. 1590), mentre al 1622 data il coperchio in
travertino, posto per difenderla dalle sporcizie che vi si accumulavano
a causa del mercato delle verdure.
L’isolato compreso tra le vie della Chiesa Nuova, dei Filippini e del
Governo Vecchio e prospettante sul lato N della piazza è composto
dalla Chiesa Nuova e dal palazzo dei Filippini con l’annesso oratorio: le
due facciate, di analoga struttura (doppio ordine di paraste, con asse
centrale in forte risalto e coronamento a timpano), si confrontano
evidenziando nell’accostamento l’evoluzione del linguaggio
architettonico nell’arco del quarantennio che corre tra il prospetto
controriformistico della chiesa, saldo e solenne, e quello del palazzo,
altissima espressione del barocco giovane e rivoluzionario di Francesco
Borromini.
LA *CHIESA NUOVA (o S. Maria in Vallicella) è legata alla figura di
Filippo Neri, fondatore nel 1551 dell’«Oratorio» eretto nel 1575 da
Gregorio XIII a congregazione dell’Oratorio (Filippini); in tale
circostanza al santo fu assegnata l’antica chiesa di S. Maria in
Vallicella, documentata dal sec. XII e così detta da un avvallamento
forse corrispondente al «Tarentum», santuario sotterraneo posto
all’estremità O del Campo Marzio e sede del culto delle divinità
infernali Dite e Proserpina. La ricostruzione del tempio cristiano (da
qui Chiesa Nuova), iniziata nello stesso 1575, fu opera di Matteo da
Città di Castello, che nella pianta a navata unica con quattro cappelle
per lato riprese a modello il Gesù allora in costruzione. Dal 1586 al
1590 gli subentrò Martino Longhi il Vecchio, che stese un progetto per
la facciata, aggiunse la quinta cappella d. e sin., trasformò in navatelle
quelle già erette ricostruendole in forma semicircolare
sull’allineamento delle due nuove ed eresse l’abside, il transetto e la
cupola: le ragioni di tali trasformazioni, forse di natura statica, furono
probabilmente imposte dai religiosi, che volevano allontanarsi dal
modello gesuita. Consacrata nel 1599, la chiesa ebbe compiuta la
facciata ai primi del ’600 e nel corso dello stesso secolo fu aggiunta la
ricchissima decorazione interna, completata poi nel ’700.
La facciata, ricoperta in travertino, fu eretta nel 1594-1606 su
disegno di Fausto Rughesi e deriva da quella del Gesù: rispetto al
modello in legno, conservato nel corridoio presso la sagrestia, si
differenzia per l’attico, che fu sostituito dal timpano triangolare;
l’estrema contrazione delle ali raccordate da volute all’ordine superiore
denuncia le ridotte dimensioni delle cappelle rifatte dal Longhi.

NELL’INTERNO la derivazione dal modello controriformista del Gesù


del primo impianto di Matteo da Città di Castello è ancora evidente,
nonostante le modifiche apportate dal Longhi (la cupola è impostata
senza tamburo; l’attraversamento delle cappelle avviene con due
percorsi longitudinali a mo’ di navatelle, con un interessante
compromesso tra lo schema a navata unica e quello basilicale
tradizionale), il ricchissimo apparato decorativo barocco e le
manomissioni postconciliari; rispetto al Gesù, maggiore è lo sviluppo
verticale e più frequente il ritmo delle paraste corinzie e delle arcate
delle cappelle, tutte di uguale struttura (i dipinti retti da angeli in
stucco sostituiscono i coretti chiusi nel ’700).
Le tele alle pareti della navata e del transetto e sopra i coretti del
presbiterio (episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento) sono di
Lazzaro Baldi, Giuseppe Ghezzi, Daniele Seiter, Giuseppe Passeri e
Domenico Parodi. Nel soffitto, tra stucchi disegnati da Pietro da
Cortona ed eseguiti da Cosimo Fancelli ed Ercole Ferrata (1662-65),
*affreschi dello stesso Pietro da Cortona: nella navata Intervento
miracoloso della Vergine durante la costruzione della chiesa (1664-
65), nella cupola Trionfo della Trinità (1647-51), nei pennacchi profeti
(1659-60), nel catino absidale Assunta (1655-60). 1ª cappella d.:
Crocifissione di Scipione Pulzone; nella volta, dipinti di Giovanni
Lanfranco. 3ª: Ascensione di Girolamo Muziano. 4ª: Pentecoste di
Giovanni Maria Morandi. 5ª: Assunzione di Giovanni Domenico Cerrini.
TRANSETTO DESTRO. Nella cappella, Incoronazione di Maria del Cavalier
d’Arpino (1593); ai lati, due statue di Flaminio Vacca. Ai lati del
presbiterio, *cantorie in legno intagliato e dorato (sec. XVIII); sotto
quella di d. è l’ingresso alla cappella Spada o di S. Carlo Borromeo,
iniziata nel 1662 su disegno di Camillo Arcucci e completata nel 1667
con ricco rivestimento di marmi da Carlo Rainaldi: *Madonna col
Bambino e i Ss. Carlo Borromeo e Ignazio di Loyola di Carlo Maratta
(1675), alle pareti S. Carlo cura gli appestati (d.) di Giovanni Bonatti e
S. Carlo distribuisce l’elemosina (sin.) dello Scaramuccia.
PRESBITERIO. Monumentale ciborio in bronzo su disegno di Ciro
Ferri (1681); la pala (*Vergine col Bambino – entro ovale che
ricopre l’affresco di uguale soggetto proveniente dalla chiesa primitiva
– adorati dagli angeli) e i due laterali (a d., *Ss. Domitilla, Nereo
e Achìlleo; a sin., *Ss. Gregorio Magno, Mauro e Papia) sono il
capolavoro romano di Peter Paul Rubens (1606-1608); sopra l’altare,
Crocifisso di Guillaume Berthelot. A sinistra del presbiterio, *cappella
di S. Filippo Neri, progettata da Onorio Longhi e terminata da Paolo
Marucelli (1600-1604): uno straordinario rivestimento di marmi
pregiati, pietre dure e madreperla ricopre i due ambienti, uno
ottagonale (Fatti del santo del Pomarancio) e l’altro circolare; all’altare
(la sottostante urna in bronzo accoglie le spoglie del santo), S. Filippo
e la Vergine, copia in mosaico (1774) dell’originale di Guido Reni ora
nella cappella del Santuario superiore. TRANSETTO SINISTRO. Nella
cappella, *Presentazione di Maria al tempio di Federico Barocci; ai lati,
statue del Valsoldo. L’antico organo costruito nel 1610 e restaurato nel
2000, è tuttora funzionante.
Una porta sulla sin. dà accesso alla SAGRESTIA, iniziata nel 1621 da
Mario Arconio e compiuta dal Marucelli dal 1629: *S. Filippo e un
angelo, gruppo marmoreo di Alessandro Algardi (1640); ai lati dipinti
di Francesco Trevisani, in alto Cristo benedicente del Cerrini; sopra
l’ingresso, busto di Gregorio XV dell’Algardi; nella volta, *angeli con gli
strumenti della Passione del da Cortona (1633-34). Una porta a d. del
corridoio immette nel SANTUARIO TERRENO (visitabile il 25 maggio
pomeriggio e il giorno successivo, in corrispondenza della festa del
santo), composto dalla Camera rossa (volta affrescata da Niccolò
Tornioli e dalla bottega del da Cortona; sopra l’urna lignea, busto in
argento del santo dell’Algardi) e dalla Cappella interna, corrispondente
a quella della chiesa e ornata di marmi (all’altare, S. Filippo e un
angelo del Guercino). Saliti al primo piano, un corridoio con pareti
affrescate a prospettive architettoniche conduce al SANTUARIO SUPERIORE,
costituito dall’Anticamera (sulla volta, Estasi di S. Filippo del da
Cortona; sull’altare, S. Filippo e la Vergine di Guido Reni, 1615; tra i
dipinti: Commiato di Cristo di Gerolamo da Santacroce; S. Lorenzo di
Cecco del Caravaggio; Madonna col Bambino e i Ss. Filippo e Ignazio e
Miracolo di S. Filippo al cardinale Vincenzo Maria Orsini di Pier Leone
Ghezzi) e dalla cappella privata di S. Filippo, qui ricostruita nel 1635:
alla parete sin. Madonna col Bambino, bassorilievo fiorentino della
prima metà del sec. XVI, e trittico tardo-bizantino; nella parete opposta
all’altare, Natività di scuola di Jacopo Bassano; sulla parete d.,
Madonna col Bambino e S. Martina del da Cortona e S. Filippo nelle
catacombe del Pomarancio.
5ª cappella sin.: Annunciazione del Passignano. 4ª: Visitazione
del Barocci; nella volta, santi di Carlo Saraceni. 3ª: Adorazione dei
pastori di Durante Alberti; nella volta, sante del Pomarancio. 2ª:
Adorazione dei Magi di Cesare Nebbia. 1ª: Presentazione al tempio del
Cavalier d’Arpino.

IL *PALAZZO DEI FILIPPINI, sui lati sin. e posteriore della chiesa, è


complesso, in gran parte borrominiano, per la cui costruzione fu
abbattuta la chiesa di S. Cecilia a Monte Giordano o «de Turre
Campi», consacrata da Callisto II nel 1123. I lavori per la nuova
residenza dei religiosi iniziarono nel 1621 partendo dalla sagrestia,
cosa che condizionò l’ubicazione e la distribuzione planimetrica
dell’edificio, la cui realizzazione fu affidata nel 1637 a Francesco
Borromini, con Paolo Marucelli poi ritiratosi; alla sua direzione (fino al
1643) vanno ascritti l’oratorio, le due sale ellittiche del refettorio e di
ricreazione, la biblioteca, i due cortili e, nel 1647-49, le abitazioni degli
oratoriani e la torre dell’Orologio →. Camillo Arcucci, che subentrò a
Borromini nel 1650-66, completò le ali verso Monte Giordano e su via
della Chiesa Nuova, ampliò la biblioteca e curò la sistemazione
urbanistica della zona circostante, con la costruzione delle case che
fronteggiavano la chiesa sulla piazza e di quelle su via della Chiesa
Nuova.
Il prospetto sulla piazza – uno dei capolavori di Borromini –
parzialmente asimmetrico nelle ali laterali, dissimula con eccezionale
abilità, nell’organica concezione, la distribuzione interna assai
differenziata: la parte a sin. su due piani, incluso il portale centrale,
corrisponde al lato sin. dell’oratorio, disposto parallelamente alla
facciata; quella a d. corrisponde agli ambienti della portineria e al
soprastante appartamento di rappresentanza dei cardinali; la parte
sopra il cornicione corrisponde alla biblioteca, anch’essa disposta
trasversalmente. Il portale a d. è in asse con il percorso che attraversa
longitudinalmente il complesso e costituisce il vero ingresso all’oratorio
e al palazzo. La facciata, che parafrasa quella della chiesa cui è
subordinata per le dimensioni e i materiali meno nobili, è a due ordini
di lesene che la ripartiscono in cinque campate; la sua forma
leggermente concava – allegoria dell’abbraccio ai fedeli ripresa da
Gian Lorenzo Bernini nel colonnato di S. Pietro – è ribadita dal
nicchione balconato, al quale si contrappone la convessità in
corrispondenza dell’ingresso; le finestre presentano originali
incorniciature, mentre lo straordinario coronamento mistilineo
sintetizza i timpani curvo e triangolare della facciata della chiesa.

L’INTERNO. Il portale al N. 18 dà accesso all’*ORATORIO o sala


Borromini (1637-40), destinato all’Oratorio secolare, istituzione
filippina nella quale alla recitazione di sermoni sacri si alternava
l’esecuzione di musiche polifoniche (da qui nacque la nuova forma
musicale detta appunto oratorio). La destinazione della sala, nella
quale sono presenti temi architettonici tipicamente borrominiani
(pianta rettangolare a spigoli smussati; raccordo tra gli elementi
strutturali delle pareti mediante fasce intrecciate in diagonale), suggerì
l’idea di due logge su due ordini affrontate sui lati corti: quella dei
Cardinali e quella dei Musici e dei Cantori; sull’altare, Vergine, S.
Filippo Neri e S. Cecilia, pala di Raffaele Vanni. Sul lato d. la
disposizione simmetrica delle finestre, condizionata dalla struttura del
loggiato verso il cortile, fu risolta allargando l’interasse tra le paraste
centrali (nella nicchia, statua in stucco di S. Filippo di Michel Maille); la
medesima partitura è ripetuta sul lato opposto, dove la nicchia
accoglie una cattedra lignea di disegno borrominiano. Dopo i restauri
del 1922 l’ambiente è tornato a ospitare concerti.
Gli ambienti del palazzo sono distribuiti intorno ai tre CORTILI (i
due principali, a doppio ordine di arcate, con paraste giganti a
capitello composito che si incurvano agli angoli, sono separati dalla
preesistente sagrestia ma raccordati dal porticato continuo che li
include in un grande rettangolo): attorno al primo, più piccolo, si
dispongono su due piani i locali ‘pubblici’; intorno al secondo, detto
degli Aranci, gli ambienti destinati ai religiosi; attorno al terzo, posto
dietro l’abside della chiesa e adiacente al refettorio, le cucine e i
servizi. Tra il secondo e il terzo cortile è il *REFETTORIO, elegantissima
sala ellittica coperta da volta lunettata: nell’ambiente antistante sono i
due magnifici lavamani di marmo bianco e cipollino disegnati da
Borromini.
I Filippini occupano soltanto l’ala su via della Chiesa Nuova,
mentre il resto del complesso è sede di istituzioni culturali. Dal primo
cortile, lo scalone (a d. di questo è sistemata l’Emeroteca romana, che
raccoglie quasi tutti i giornali romani dal ’700 a oggi) sale al PRIMO
PIANO e all’Archivio capitolino, qui trasferito nel 1922 e composto di
quattro sezioni; in fondo al corridoio, Miracolo di S. Agnese, modello in
stucco di Alessandro Algardi per la pala marmorea (non eseguita)
nella chiesa di S. Agnese in Agone. I locali sopra la navata sin. della
chiesa sono occupati dalla Biblioteca romana, che riunisce testi
esclusivamente di argomento romano e carte topografiche della città e
della Campagna. Al secondo ripiano dello scalone, Incontro di S.
Leone Magno con Attila, modello in stucco dell’Algardi per la pala
marmorea in S. Pietro. Al SECONDO PIANO è la *Biblioteca
Vallicelliana, la più antica tra quelle romane aperta al pubblico, che
origina dal lascito testamentario di Achille Estaço e che comprende
118040 volumi, 2549 manoscritti, 449 incunaboli e c. 7000
cinquecentine. Il salone che la ospita fu realizzato da Borromini (1642-
44), che disegnò le scaffalature lignee con ballatoio su balaustri cui si
accede mediante scale a chiocciola nascoste dagli angoli convessi, e il
soffitto a lacunari (al centro, Sapienza di Giovanni Francesco
Romanelli; l’ambiente fu ampliato verso via dei Filippini dall’Arcucci).
Sullo stesso piano ha sede la Società romana di Storia patria, con ricca
biblioteca specializzata annessa alla Vallicelliana.

LA *TORRE DELL’OROLOGIO. Il fianco del palazzo su via dei Filippini


è improntato, per espressa volontà dei Padri, alla massima umiltà di
forme e materiali, mentre all’estremità rivolta verso via del Governo
Vecchio → esplode questo episodio architettonicamente e
urbanisticamente clamoroso (1647-49), plasmato da superfici
alternativamente concave e convesse e culminante nell’aereo
coronamento in ferro battuto che sostiene le tre campane: sotto il
quadrante, edicola con la Madonna della Vallicella in mosaico (1657),
forse su disegno di Pietro da Cortona; un’altra edicola (1756) con
angeli in stucco di Tommaso Righi e Madonna col Bambino di Antonio
Bicchierai è nel cantonale concavo stretto da due paraste giganti.

IL TRATTO DI CORSO VITTORIO DALLA CHIESA NUOVA AL TEVERE fu


iniziato nel 1887-88. Il piano regolatore del 1883 prevedeva che il
percorso, all’incrocio con l’antica via dei Banchi, si dividesse in due
rami: a sin. verso il ponte di ferro dei Fiorentini (poi sostituito da
quello dedicato al principe Amedeo Savoia Aosta: →), a d. verso
ponte S. Angelo → allargando via del Banco di S. Spirito →; con la
variante del 1886 fu invece decisa la prosecuzione in rettifilo in
direzione di Borgo e l’attraversamento del fiume su un nuovo ponte
(l’edificio ai numeri 274-280 è l’unico a non essere stato modificato dal
passaggio della strada).
Sulla sinistra si apre piazza Sforza Cesarini, al cui centro è il
monumento a Nicola Spedalieri (Mario Rutelli, 1903), qui trasferito
negli anni ’50 del sec. XX da piazza Vidoni; ai numeri 38-40, bella casa
del tardo ’500. Sul lato d. è il fianco del palazzo Sforza Cesarini, la
cui facciata principale, originariamente su via dei Banchi Vecchi (→; le
eleganti forme settecentesche risalgono al rifacimento di Pietro
Passalacqua), venne sostituita dal prospetto cinquecentista di Pio
Piacentini (1886-88) sul corso. L’edificio, eretto c. nel 1458-62 dal
cardinale Rodrigo Borgia, prende nome dagli Sforza, cui fu concesso
dopo il trasferimento della Cancelleria nel palazzo Riario a S. Lorenzo
in Damaso e nei quali si estinse nel 1697 la famiglia Cesarini. Nel
cortile quattrocentesco (N. 282), uno dei due lati contigui – forse gli
unici costruiti – è stato ripristinato nei tre ordini di arcate su pilastri
ottagonali con capitelli a foglia.
L’isolato dopo via Giraud, aperta nel 1888 riprendendo in parte il
tracciato irregolare del vicolo (ora via) del Pavone, curva verso largo
Tassoni raccordandosi al palazzo del Banco di S. Spirito →: il nuovo
asse, interrompendo qui il precedente tracciato via dei Banchi Vecchi-
via del Banco di S. Spirito, ha distrutto l’antico contesto. Sul tronco
residuo di via del Consolato, che inquadra a sin. il portale di S.
Giovanni dei Fiorentini → e che prende nome dal cinquecentesco
palazzo del Consolato di Firenze distrutto nel 1888, resta al N. 6 il
seicentesco palazzo Malvezzi Campeggi già De Rossi. Il lato d. della
via è stato cancellato dall’apertura (1938-40) del raccordo con il ponte
Principe Amedeo Savoia Aosta →, originando l’informe slargo che
accoglie il monumento a Terenzio Mamiani Della Rovere (Mauro
Benini, 1892). L’arrivo del corso al Tevere è segnato, poco più avanti,
dai due palazzi gemelli di piazza Pasquale Paoli, la cui sistemazione,
realizzata nel 1926-32 in funzione dell’imbocco monumentale al ponte
Vittorio Emanuele II →, cancellò il pittoresco nucleo annidato nell’ansa
del Tevere attorno ai vicoli dell’Albergo di Civitavecchia, del Carciofo e
del Granchio.
1.2 DA PIAZZA DEL POPOLO A S. GIOVANNI IN LATERANO: VIA DEL
CORSO E VIA DEI FORI IMPERIALI

L’itinerario (pianta alle pagine 238-239) attraversa da nord a sud-


est il centro storico e allinea monumenti ed episodi urbani
rilevantissimi, che sintetizzano due millenni di storia e d’arte.
Costituito da tre tratti di origine diversa e rappresentativi di altrettanti
momenti fondamentali dell’urbanistica della città, intende riproporre
nella prima parte l’approccio a Roma vissuto e celebrato dai più illustri
visitatori del passato, che, giungendo da nord, erano accolti oltre
porta del Popolo da una delle più spettacolari piazze romane. A essa
segue il Corso, asse di origine classica intorno al quale si è strutturata
la città soprattutto in età barocca e che tende al ‘centro’ di piazza
Venezia, dove i due itinerari, ‘cardo’ e ‘decumanus’ moderni, si
incrociano. Per valorizzare l’area compresa tra piazza del Popolo e
piazza Venezia è stato istituito il Museo Aperto del Tridente, volto alla
conservazione, alla conoscenza (con la predisposizione di un grande
archivio storico) e la promozione di un luogo unico e irripetibile della
Roma rinascimentale e barocca.
Il secondo tratto è costituito da via dei Fori Imperiali, discussa
creazione dell’urbanistica fascista, che attraversa una delle più
importanti aree archeologiche del mondo concludendosi ai piedi del
Colosseo e all’estremità orientale del Foro Romano e che funge da
raccordo tra il centro e i collegamenti che strutturano il settore SE di
Roma.
Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:
sinistra,destra, sinistra e destra.
Lo «stradone» di S. Giovanni (via di S. Giovanni in Laterano),
tratto finale dell’itinerario, è uno degli assi sistini tracciati a fine
Cinquecento come parte della nuova via Papale che avrebbe dovuto
collegare la cattedrale di Roma (S. Giovanni) col Vaticano, e che fu
completata tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del successivo
proprio con via dei Fori Imperiali e corso Vittorio Emanuele II.
Conclude la visita l’importante complesso lateranense.
DA PIAZZA DEL POPOLO A PIAZZA VENEZIA: IL CORSO

*PIAZZA DEL POPOLO è l’ultima grande realizzazione, e tra le più


scenografiche, della Roma papale; chiusa a N dall’omonima porta → e
dominata da E dalle rampe della passeggiata del Pincio →, anche
prima del definitivo assetto ottocentesco impressionava il forestiero al
suo ingresso in città annunciandone le ‘meraviglie’ artistiche e il
carattere ‘sacro’. Il vasto spazio, sapientemente orchestrato negli
aspetti urbanistico, architettonico, paesistico e di arredo urbano, si è
configurato nell’arco di tre secoli e mezzo, dalla ricostruzione della
chiesa di S. Maria del Popolo alla sistemazione neoclassica di Giuseppe
Valadier, che rilesse la tradizione barocca secondo i criteri illuministi di
utilità sociale e di integrazione fra architettura e natura: una soluzione
che ha armonicamente ricollegato le preesistenze monumentali,
dotando la città del primo parco pubblico dei tempi moderni.

LA STORIA. Ai primi del ’500 risale l’idea del Tridente aperto a


ventaglio verso il centro della città e incentrato sulla piazza, che aveva
allora una forma trapezoidale convergente alla porta: ai lati del tratto
urbano della Via Flaminia fu creata sotto Leone X (1517-19) la via
Leonina (ora via di Ripetta) regolarizzando un tracciato di età classica,
quindi, in vista del giubileo del 1525, la via Clementina poi Paolina
Trifaria (l’attuale via del Babuino), compiuta nel 1543. Gregorio XIII
fece collocare nel 1572 al centro della piazza la prima fontana
pubblica di Roma moderna, mentre Sisto V potenziò la funzione
prospettica degli assi del Tridente ponendo alla loro confluenza
l’obelisco. Dopo gli interventi di Alessandro VII (rinnovamento di S.
Maria del Popolo e approvazione del progetto per le chiese ‘gemelle’
all’imbocco del Corso) legati all’entrata in Roma di Cristina di Svezia
(1655), la piazza non subì modifiche fino a inizi ’800; il riassetto
definitivo, progettato dal Valadier nel 1811 e modificato nel 1815-16,
fu avviato dal prefetto Camillo De Tournon e portato a compimento
nel 1824: all’architetto si debbono, oltre al disegno della piazza e delle
rampe (ad Alexandre-Jean-Baptiste Guy de Gisors e Louis Martin
Berthault è ascritta la risoluzione della forma espansa nei due emicicli,
1813), gli edifici presso la porta, quelli all’imbocco del Tridente e la
sistemazione della base dell’obelisco, mentre rimase inattuata la
prosecuzione della passeggiata pubblica tra la piazza e il Tevere e
oltre le mura fino a ponte Milvio. La parte retrostante all’emiciclo O fu
ristrutturata secondo uno schema ortogonale dai piani regolatori del
1873 e 1883 in funzione del collegamento con il Vaticano attraverso il
nuovo quartiere di Prati (il rettifilo via Ferdinando di Savoia-ponte
Regina Margherita-via Cola di Rienzo fu impostato sull’asse trasversale
della piazza). La carta qui sopra evidenzia le trasformazioni effettuate.

Oltre a costituire il monumentale ‘vestibolo’ alla città, la piazza era


adibita in passato a fiere, giochi e spettacoli popolari (da qui partiva la
«corsa dei Bàrberi» durante il Carnevale), nonché a esecuzioni
capitali.

I MONUMENTI. L’*obelisco Flaminio, che svetta al centro del


vasto largo, è il più antico e il più alto (m 25; col basamento m 36.5)
di Roma dopo quello Lateranense, monolito di granito eretto a
Heliopolis da Ramsses II e dal figlio Mineptah c. nel 1200 a.C. e
portato a Roma da Augusto, che lo collocò nel Circo Massimo;
trasportato qui per volere di Sisto V da Domenico Fontana nel 1589,
nel 1823 fu ornato dal Valadier di una base con quattro vasche
circolari e altrettanti leoni in stile egizio.
Gli emicicli della piazza accolgono due fontane in travertino con
bacini a forma di gigantesche conchiglie, sormontate da due gruppi
ideati dal Valadier e realizzati da Giovanni Ceccarini (1818-21): verso il
fiume Nettuno tra due tritoni, verso il Pincio la Dea Roma tra il Tevere
e l’Aniene; gli emicicli, adorni di sfingi del Ceccarini, recano alle
estremità le statue delle Quattro Stagioni (1824) di Filippo Gnaccarini,
Alessandro Massimiliano Laboureur, Achille Stocchi e Felice Baini.
Al Valadier si debbono anche gli edifici (1818-24) ai lati degli
emicicli: verso il Tridente i fabbricati, eretti per i Torlonia, che
ospitano i celebri caffè Rosati (all’angolo di via di Ripetta) e Canova
(all’angolo di via del Babuino); quelli presso porta del Popolo (la
caserma dei Carabinieri e, a d., il convento degli Agostiniani,
riedificato nel 1818-21) furono progettati a ‘pendant’ di *S. Maria del
Popolo.

LA CHIESA EBBE ORIGINE da una cappelletta, eretta da Pasquale II


nel 1099 – forse in ringraziamento per la liberazione del Santo
Sepolcro avvenuta in quell’anno – a spese del Popolo romano (da qui
il nome) sul mausoleo dei Domizi dove era stato sepolto Nerone, che
fu ingrandita (1227) da Gregorio IX; il complesso, passato nel 1250
agli Agostiniani della Tuscia e nel 1472 a quelli della Congregazione
Lombarda, venne ricostruito (1475-77) nello spirito della coeva
architettura sacra lombarda. Tuttora ignoto è il nome dell’architetto di
questa che è la più significativa chiesa romana dell’ultimo quarto del
’400: l’attribuzione di Giorgio Vasari a Baccio Pontelli va respinta
anche per ragioni cronologiche, al pari di quella a Meo del Caprino per
la facciata; probabilmente è da ascriversi ad Andrea Bregno, autore
insieme alla bottega di numerose opere di scultura qui conservate.
Già nel ’500 si ebbero i primi interventi (rifacimento del coro
absidato da parte di Bramante; costruzione della cappella Chigi su
progetto di Raffaello), e le modifiche proseguirono nel ’600 in chiave
barocca con l’aggiunta-trasformazione delle cappelle del transetto, la
sostituzione dell’altare maggiore, la sovrapposizione in facciata e
all’interno dell’apparato decorativo – sotto la regia di Gian Lorenzo
Bernini e per volere di Alessandro VII (1655-59) – e l’aggiunta della
cappella Cybo di Carlo Fontana. Nel 1811-13 venne sacrificato, nella
risistemazione della piazza e del Pincio, il vasto convento
quattrocentesco, poi ricostruito dal Valadier.

LA FACCIATA ATTUALE DI S. MARIA DEL POPOLO rivestita di travertino,


eretta sotto Sisto IV (iscrizioni e stemma sul portale centrale) e
modificata da Bernini, presenta qualche incertezza nell’organizzazione
e nelle proporzioni dei singoli elementi, ma rispecchia l’esigenza di
chiarezza e semplicità affermata dagli Agostiniani; è tripartita, a due
ordini di lesene che evidenziano la divisione interna, e ha tre portali:
quello centrale – con fregio di raffinata fattura e, nella lunetta entro il
timpano, una Madonna col Bambino – è attribuito alla bottega di
Andrea Bregno. L’intervento berniniano eliminò alcuni elementi
‘arcaici’ modificando le finestre e il rosone, raccordò i due ordini con i
mezzi sesti curvi e le ghirlande, aggiunse sul timpano i candelabri e i
monti con la stella del papa (Chigi), nonché i due timpani triangolari
sulle porte minori. Il fianco d. si presenta nel rivestimento neoclassico
del Valadier: accanto alla cupola su tamburo ottagonale – la prima di
questo tipo a Roma – si leva il campanile in laterizio, unico per la
cuspide conica in cotto a squame e per i quattro pinnacoli angolari di
evidente tipologia tardo-gotica padana.

L’ORIGINARIA DISTRIBUZIONE PLANIMETRICA DELL’INTERNO (tre


navate a quattro campate divise da pilastri con semicolonne addossate
e altrettante cappelle poligonali per lato; transetto con testate
absidate e due cappelle semicircolari ai lati del presbiterio; cupola
ottagonale e coro concluso da abside), poi modificata nelle seconde
cappelle d. e sin., nel transetto d. e nel coro absidato, presenta
analogie con le chiese lombarde quattrocentesche di derivazione
gotica, mentre il sistema di copertura a volte a crociera è desunto
dall’architettura termale classica. Nell’intervento di Bernini furono
sostituite con le attuali finestre le originarie bifore, furono create nel
transetto le due cantorie e le cappelle semicircolari alle testate furono
occupate da altari monumentali; l’altare maggiore sostituì quello
rinascimentale ostruendo la visione della limpida spazialità del coro
bramantesco. La decorazione plastica da lui aggiunta si è sovrapposta
alla struttura quattrocentesca con garbo e vivacità: sul cornicione a
dentelli che ricollega le pareti seguendo la curva delle arcate siedono
statue in stucco di santi di scultori berniniani; il rosone è retto da due
angeli di Ercole Ferrata e due figure allegoriche fiancheggiano,
sull’arcone del transetto, lo stemma di Alessandro VII.
NAVATA DESTRA. 1ª cappella (Della Rovere; pianta a fronte, 1):
elegante balaustra di Andrea Bregno e aiuti; gli affreschi (episodi della
vita di S. Girolamo) sono di Tiberio d’Assisi (1485-89) allievo del
Pinturicchio, del quale è la *Natività sull’altare (c. 1490); a d. tomba
del cardinale Giovanni de Castro (1506) attribuita a Francesco da
Sangallo; a sin. *tomba dei cardinali Cristoforo (m. 1478) e Domenico
Della Rovere del Bregno (la Madonna è di Mino da Fiesole). 2ª
(*Cybo; 2), ricostruita da Carlo Fontana (1682-87) a croce greca, con
sontuoso apparato di marmi policromi e 16 colonne di diaspro di
Sicilia: *Immacolata Concezione e santi, pala a olio su muro di Carlo
Maratta; i sottostanti angeli in bronzo dorato e l’urna sono di
Francesco Cavallini; ai lati, sepolcri gemelli del cardinale Lorenzo Cybo
(1683; sin.), fondatore della cappella, e del cardinale Alderano Cybo
(1684; d.), suo ricostruttore, con busti del Cavallini; la cupola
emisferica fu affrescata da Luigi Garzi; nel vestibolo, Martirio di S.
Caterina di Daniele Seiter e Martirio di S. Lorenzo di Giovanni Maria
Morandi. 3ª (Basso Della Rovere; 3): affreschi illusionistici e scene
della vita di Maria e santi del d’Assisi e di Antonio da Viterbo; nello
zoccolo, monocromi (sibille, martiri) attribuiti a Jacopo Ripanda o ad
Amico Aspertini (1503); pavimento a piastrelle di ceramica di Deruta
(fine sec. XV); a d. tomba di Giovanni Basso Della Rovere della scuola
del Bregno (1483-92). 4ª (Costa; 4), con resti di decorazione
affrescata della scuola del Pinturicchio (1489): trittico marmoreo (Ss.
Caterina, Vincenzo e Antonio di Padova) di scuola del Bregno; a d.
tomba di Marcantonio Albertoni di Jacopo di Andrea (1487), a sin.
tomba del cardinale Giorgio Costa di Portogallo (m. 1508) di scuola del
Bregno; qui è attualmente collocata la *tomba del vescovo Pietro
Foscari con realistica statua in bronzo del Vecchietta (1480).
TRANSETTO DESTRO (5). All’altare, disegnato al pari di quello opposto
da Bernini (1657-59), Visitazione del Morandi, con cornice sostenuta
da angeli (quello a d. è del Ferrata); alla parete d., tomba del
cardinale Ludovico Podocataro attribuita a Giovanni Cristoforo Romano
(c. 1490); cantoria (disegno di Bernini; esecuzione di Ercole Antonio
Raggi del 1656-57) con ricca incorniciatura (quercia araldica di
Alessandro VII). A destra dell’altare, per un CORRIDOIO (6) lungo il
quale sono elementi scultorei provenienti dalla chiesa e dal distrutto
convento (notevoli: il monumento del vescovo Bernardino Elvino, m.
1548, di Guglielmo Della Porta; il monumento a Nestore Malvezzi,
datato c. al 1490, e il trittico marmoreo con santi entro nicchie, del
1497, entrambi ascritti a Luigi Capponi) si giunge in SAGRESTIA (7):
*altare marmoreo del Bregno (1473; firma), già altare maggiore, con
Madonna di scuola senese del ’300; ai lati monumenti dei vescovi
Guglielmo Rocca (m. 1482) e Giovanni Ortega Gomiel (m. 1514) pure
riferiti al Bregno; in un locale attiguo, piccolo lavabo con i busti di S.
Girolamo e S. Monica attribuiti al Vecchietta.
ALTARE MAGGIORE (8), eretto nel 1627 per volere del cardinale
Antonio Sauli, che fece eseguire la ricca decorazione a stucchi dorati
dell’arcone (Leggenda della fondazione della chiesa): Madonna del
Popolo, tavola bizantineggiante (inizi sec. XIII) ritenuta anticamente
opera di S. Luca; sulla parete a d. in basso è la più antica memoria
della chiesa: un frammento di marmo con decorazione cosmatesca e
iscrizione del 1263. Il *CORO (9) fu trasformato da Bramante in due
fasi (la più antica, corrispondente all’arcone a lacunari e all’abside con
catino a conchiglia, risalirebbe ai primi anni dell’attività romana
dell’architetto: c. 1500; la seconda, consistente nella trasformazione
dell’originaria volta a crociera in una a vela, nelle due finestre a
serliana e nella collocazione dei monumenti sansoviniani, è riferibile al
pontificato di Giulio II: 1505-1509); alle pareti, *monumenti del
cardinale Ascanio Sforza (1505; sin.) e del cardinale Girolamo
Basso Della Rovere (1507), firmati da Andrea Sansovino, tra i
capolavori dell’artista e rappresentativi del passaggio dall’arte del ’400
a quella del ’500: a forma di arco trionfale di elegante e ornatissima
architettura, recano la figura del defunto non più disteso supino ma
dormiente e col busto sollevato, secondo i modelli etruschi; notevoli
anche le figure allegoriche nelle nicchie e sopra la trabeazione. Sopra
di essi, alle finestre, le preziose vetrate (Infanzia di Cristo e storie
della Vergine), uniche dell’epoca a Roma, dipinte a fuoco da Guillame
de Marcillat nel 1509. Nella volta, bellissimi *affreschi del
Pinturicchio (Incoronazione di Maria, evangelisti, sibille e dottori della
Chiesa; 1508-1510). La cupola, senza lanternino, ha calotta e
pennacchi affrescati da Raffaele Vanni (1656-58).
TRANSETTO SINISTRO. 1ª cappella (Cerasi; 10): Assunzione di
Annibale Carracci (1601); ai lati, *Conversione di S. Paolo (d.) e
*Crocifissione di S. Pietro (sin.) di Caravaggio (1600-1601). 2ª
(Theodoli; 11): sculture in stucco e pitture di Giulio Mazzoni (sua la
statua di S. Caterina d’Alessandria sull’altare). Altare del transetto
(12), su disegno di Bernini: Sacra famiglia di Bernardino Mei tra due
angeli del Raggi (d.) e di Giovanni Antonio Mari (sin.); sulla parete
sin., monumento del cardinale Bernardino Lonati, datato c. 1500.
NAVATA SINISTRA. 4ª cappella (13): Crocifisso ligneo del sec. XV e
affreschi di Pieter van Lint (1635-40). 3ª (Mellini; 14), con volta
affrescata da Giovanni da S. Giovanni (1623-24): pala di Agostino
Masucci; a d. tomba di Savo Mellini di Pierre-Étienne Monnot (suoi i
busti di Pietro e Paolo Mellini ai lati); a sin. *monumento del cardinale
Garcia Mellini con busto del defunto, capolavoro di Alessandro Algardi
(c. 1630; suoi i busti di Urbano e Mario Mellini ai lati dell’altare). 2ª
(*Chigi; 15), armoniosissimo ambiente a pianta centrale fatto erigere
su disegno di Raffaello da Agostino Chigi come mausoleo della
famiglia, iniziato nel 1513-14 dal Lorenzetto e completato dal futuro
Alessandro VII con l’intervento di Bernini nel 1652-56: di chiara
derivazione bramantesca, si presenta spoglio all’esterno e ricco di
pitture e sculture all’interno; Raffaello fornì il disegno per i mosaici
della cupola (Dio creatore del firmamento con intorno i simboli del
Sole e dei sette pianeti, ciascuno guidato, secondo il concetto
dantesco, da un angelo del suo ordine motore) eseguiti da Luigi De
Pace (1516); tra le finestre, scene della Creazione e Peccato originale,
dipinti di Francesco Salviati (c. 1550), del quale sono anche i tondi nei
pennacchi (Stagioni); sull’altare Nascita della Vergine, dipinto a olio su
blocchi di peperino di Sebastiano del Piombo completato dal Salviati;
nel paliotto Gesù e la samaritana, bassorilievo bronzeo del Lorenzetto;
ai pilastri, entro nicchie, i profeti della Risurrezione (a d. dell’altare
*Abacuc e l’angelo di Bernini, 1656-61; a sin. *Giona che esce dalla
balena del Lorenzetto su disegno di Raffaello, 1520; nelle nicchie dei
pilastri opposti Daniele e il leone di Bernini, 1655-57, ed Elia, del
Lorenzetto ma terminato da Raffaello da Montelupo); alle pareti
laterali tombe a forma di piramide di Agostino Chigi e del fratello
Sigismondo, su disegno di Raffaello ma modificate da Bernini (suoi i
medaglioni marmorei); nelle lunette, dipinti di Raffaele Vanni; al
centro del pavimento, su disegno di Bernini, tarsia con la Morte alata.
Al pilastro tra la 2ª e la 1ª cappella, monumento a Maria Flaminia
Chigi Odescalchi (m. 1771), di scenografica concezione ancora
barocca, su disegno di Paolo Posi eseguito da Agostino Penna. 1ª
(battistero; 16): pregevoli edicole per l’olio santo e l’acqua battesimale
composte da smembrate sculture quattrocentesche e quattro santi del
Bregno provenienti dall’antico altare maggiore; a d. tomba del
cardinale Francesco Castiglioni (1568), a sin. tomba del cardinale
Antoniotto Pallavicini (1507) di seguace del Bregno. A sinistra
dell’ingresso laterale, curioso monumento di G.B. Gisleni (m. 1672), su
disegno dello stesso, con la Morte imprigionata e, nei medaglioni, il
simbolo del bruco che rivive farfalla.

LE CHIESE ‘GEMELLE’. Il lato S della piazza si apre nei tre assi


prospettici – convergenti al fulcro dell’obelisco e indirizzati verso il
centro della città – di via di Ripetta (d.; →), del Corso → e di via del
Babuino (sin.; →), che costituiscono il Tridente rinascimentale preso a
modello dall’urbanistica barocca europea: a testata monumentale si
ergono i prospetti apparentemente identici di S. Maria dei Miracoli (d.)
e di S. Maria di Montesanto (sin.), che ribadiscono la consacrazione
della piazza alla Vergine. La necessità non soltanto monumentale e
urbanistica di questi ‘propilei sacri’ fu sentita da Alessandro VII, che
con la loro costruzione completò gli interventi barocchi della piazza. I
due organismi, che Carlo Rainaldi aveva pensato identici, furono
variati da Gian Lorenzo Bernini e Carlo Fontana in rapporto alla
diversità delle aree: pianta circolare con cupola ottagona per la prima,
pianta ellittica con cupola dodecagonale per l’altra.
S. MARIA IN MONTESANTO (il titolo deriva da una chiesetta che
sorgeva all’inizio di via del Babuino) fu iniziata per prima (1662) ma,
interrotta per la morte del papa, fu ripresa nel 1673, con il
finanziamento del cardinale Girolamo Gastaldi (stemma nell’arco
maggiore interno), sotto la direzione di Carlo Fontana e la
supervisione di Gian Lorenzo Bernini, che nel 1675 elaborò il progetto
definitivo; completata con le decorazioni interne nel 1679, fu
restaurata nel 1825. Sulla balaustra, statue di santi (1674), forse su
disegno di Bernini ed eseguite da scultori della sua cerchia; il
campanile, terminato nel 1761, è di Francesco Navone.

L’ELEGANTE INTERNO, il cui candore contrasta con la ricca


policromia delle cappelle (tre per parte lungo l’asse maggiore), è a
pianta ellittica, con paraste corinzie, quattro coretti e profondo
presbiterio. Negli spicchi della cupola, le nicchie accolgono statue di
santi di Filippo Carcani, autore anche degli stucchi del presbiterio (su
disegno di Mattia De Rossi, 1679). 3ª cappella d. (Francesco Carlo
Bizzaccheri, 1679): pala e affreschi di Niccolò Berrettoni e putti in
marmo di Pietro Paolo Naldini. Altare maggiore: Vergine di
Montesanto, tavola del sec. XVI. 3ª sin. (Montioni), opera di Tommaso
Mattei del 1687: Vergine col Bambino e i Ss. Francesco e Giacomo
maggiore di Carlo Maratta; a d. Apparizione di Cristo alla Vergine e a
S. Francesco di Luigi Garzi, a sin. Carità di S. Giacomo di Daniele
Seiter; nella volta Gloria della Vergine, affresco di Giuseppe Chiari. 2ª,
opera di Carlo Rainaldi: sul soffitto e alle pareti, dipinti di Ludovico
Gimignani. Il vano attiguo alla sagrestia (1691-92) fu interamente
affrescato dal Baciccia.

S. MARIA DEI MIRACOLI, che sostituì l’omonima cappella eretta nel


1525 presso le mura Aureliane, fu iniziata nel 1675 da Carlo Rainaldi,
col finanziamento del cardinale Gastaldi (stemma, retto da angeli in
stucco di Ercole Antonio Raggi, sull’arco maggiore interno), e
proseguita da Carlo Fontana, venendo inaugurata nel 1681. Sulla
balaustra, statue di santi di carattere berniniano (1676-77);
elegantissimo campanile settecentesco di Girolamo Theodoli.

L’INTERNO circolare, con coppie di paraste corinzie, ha quattro


cappelle e un profondo presbiterio, la cui decorazione, al pari del
disegno della cupola e del lanternino, si deve al Fontana. All’altare
maggiore, angeli in stucco del Raggi; alle pareti, monumenti funebri
del cardinale Girolamo Gastaldi e del fratello Benedetto, su disegno
del Fontana, con busti in bronzo di Girolamo Lucenti e statue del
Raggi.

*VIA DEL CORSO. I prospetti delle chiese inquadrano l’inizio del


rettifilo, lungo 1500 m e precluso al traffico automobilistico privato,
che, noto più semplicemente come il Corso, è la più rappresentativa
strada della città storica, con palazzi e chiese monumentali e, a
fondali, l’obelisco di piazza del Popolo e il monumento a Vittorio
Emanuele II →. Per secoli luogo delle feste, degli spettacoli e dei
cortei di personaggi illustri che entravano da porta del Popolo, dal ’700
ebbe nei caffè – concentrati tra le piazze Sciarra (poi cancellata) e
Colonna – vivaci ritrovi della vita intellettuale, politica e artistica, e da
metà ’800 vi si moltiplicarono i migliori negozi di moda, le librerie e le
sedi di giornali e periodici. Nel 1900 la strada fu intitolata a re
Umberto I, ma nel 1947 riprese l’antico nome, venendo a perdere
dagli anni ’80 il ‘sapore antico’ dei locali storici, quasi tutti sostituiti da
negozi di abbigliamento.
LA STRADA IN ETÀ ROMANA. Il Corso corrisponde al tratto di Via
Flaminia, compreso tra le mura Serviane e quelle Aureliane, che
attraversava da S a N il Campo Marzio, delimitato a S dalle pendici del
Campidoglio, a E da quelle del Quirinale e del Pincio, e a O dall’ansa
del Tevere. Questa estesa zona extraurbana, oggi occupata da ben
otto rioni (Colonna, Campo Marzio, Ponte, Parione, Regola,
Sant’Eustachio, Pigna e Sant’Angelo) e dalla parte O di quello
chiamato Trevi ma inglobata nella suddivisione augustea nelle regioni
VII («Via Lata») a E e IX («Circus Flaminius») a O e SO, ebbe, dopo la
cacciata dei re, destinazione pubblica. Le pendici dei colli si
punteggiarono di ville patrizie già dall’ultimo periodo della Repubblica,
mentre l’urbanizzazione della pianura fu avviata al tempo di Augusto
da Marco Vipsanio Agrippa (a lui si devono l’adduzione dell’Acqua
Vergine e la costruzione delle prime terme pubbliche romane vicino al
Pantheon): nella parte a E della via, sotto il Quirinale, si
concentrarono i servizi pubblici; sul lato opposto Augusto, a conferma
del carattere pubblico e di rappresentanza della zona, creò invece una
spettacolare sistemazione che includeva il mausoleo e l’ustrinum
(luogo dell’incinerazione) della sua famiglia e, più a S, l’Ara Pacis e
l’orologio solare con un obelisco per gnomone. A seguito
dell’urbanizzazione la Flaminia, nel tratto tra il «vicus Pallacinae»
(l’odierna piazza Venezia) e l’arco di Claudio (palazzo Sciarra), prese il
nome di «via Lata», toponimo di cui resta traccia nella breve strada
che dal Corso porta al Collegio Romano. Al sec. I risale il monumentale
portico, poi trasformato in botteghe, su cui si installò nel V la diaconia
di S. Maria in via Lata, al successivo il complesso di insulae sul luogo
attualmente compreso tra i palazzi della Rinascente e della Banca
Commerciale Italiana, la ricostruzione del Pantheon e la colonna
dedicata a Marco Aurelio. L’erezione delle mura Aureliane incluse
definitivamente nella città il primo tratto della Flaminia, lungo la quale
furono eretti l’arco onorario di Diocleziano e il cosiddetto arco di
Portogallo e si attestarono tre dei più antichi «tituli» cristiani (S.
Marcello, S. Lorenzo in Lucina e S. Marco), seguiti da S. Maria in via
Lata, S. Maria in Aquiro e S. Silvestro in Capite.
Dopo la fine dell’Impero la strada conservò importanza in
rapporto all’ingresso N della città dalla porta Flaminia; nel Medioevo
l’abitato persistette dove maggiore era stata l’urbanizzazione in età
classica (tra l’attuale piazza Venezia e S. Lorenzo in Lucina), e
l’ospedale di S. Giacomo, sorto nel 1339, costituì un importante polo
per lo sviluppo successivo.
COL RINASCIMENTO il Corso cominciò ad assumere il ruolo che ha
mantenuto fino a tutto l’800. Paolo II fece costruire il palazzo di
Venezia all’estremità S del tracciato, sistemando la piazza antistante
che si configurò come altro terminale del percorso, ne regolarizzò il
primo tratto («via Lata») e nel 1466 vi trasferì dal Testaccio i giochi
popolari e le corse che si concludevano a piazza Venezia; da allora la
strada divenne il luogo deputato alle feste – e in particolare al celebre
Carnevale, soppresso nel 1882 – col nome di Corso, poi passato a
designare la strada principale di molte città italiane. L’ingresso a Roma
di Carlo V (1536) diede occasione a Paolo III di regolarizzare a prezzo
di grandi demolizioni il secondo tratto del Corso fino all’arco di
Portogallo, mentre gli incoraggiamenti concessi dalla costituzione di
Gregorio XIII ai proprietari di immobili per il miglioramento delle
residenze, e quindi del decoro cittadino, avviarono la trasformazione in
palazzi signorili delle modeste case allineate sulla strada e su piazza
Colonna (Sciarra; Aldobrandini poi Chigi; Rucellai poi Ruspoli; Del
Bufalo poi Ferrajoli), alla quale dette forma definitiva Alessandro VII,
promotore della sistemazione dell’ultimo tratto del Corso (l’arco di
Portogallo venne allora demolito) e degli interventi in piazza del
Popolo; inoltre, tra metà ’500 e i primi decenni del ’600 si
restaurarono antiche chiese e se ne eressero di nuove (S. Giacomo in
Augusta; Ss. Ambrogio e Carlo al Corso; Gesù e Maria).
Nel ’700 la strada raggiunse la massima importanza con la
costruzione di palazzi (Doria Pamphilj, il cui primo nucleo risale alla
seconda metà del sec. XV; Rondinini poi Sanseverino; De Carolis) e
della chiesa della SS. Trinità degli Spagnoli. Dopo la sistemazione di
piazza del Popolo a opera di Giuseppe Valadier e gli interventi di
Gregorio XVI (livellamento, creazione dei marciapiedi, ricostruzione
dell’ospedale di S. Giacomo), sotto Pio IX si avviò il restauro delle
chiese più antiche e la ristrutturazione dell’edilizia minore
(accorpamenti di più unità, sopraelevazioni e rifacimenti dei prospetti
in forme neorinascimentali), che proseguì sino a fine sec. XIX.
IL PALAZZO DELLA CASSA DI RISPARMIO DI ROMA, eretto ex novo nel
1867-74, segnò il passaggio dalla città papale alla città capitale
d’Italia, non solo costituendo un modello per l’edilizia successiva ma
anche prefigurando la terziarizzazione della strada. I piani regolatori
del 1873 e 1883 confermarono l’importanza del Corso prescrivendone
l’allargamento tra palazzo Sciarra e via dei Condotti – dove si
innestava via Tomacelli che divenne il collegamento con Prati – ma
stabilirono anche l’ampliamento di via del Tritone – asse rivolto verso
piazza Barberini e i nuovi quartieri a E – che si innestò nel Corso
presso il nuovo largo Chigi, mentre rimasero fortunatamente sulla
carta la prosecuzione di via Nazionale sino alla fontana di Trevi e la
trasversale di lì al Pantheon. L’allargamento del Corso, che fu attuato
solo fino a via delle Convertite, causò l’abbattimento di edifici
(particolare rilievo assunse l’intervento del principe Maffeo Sciarra su
tre isolati, compresa l’area dell’antico palazzo) e la completa
ristrutturazione edilizia e urbanistica della fascia adiacente: sul nuovo
fronte sorsero tra il 1885 e il 1920 edifici caratteristici dell’eclettismo
romano (palazzo Marignoli, galleria Colonna, palazzo della Banca
Commerciale Italiana) e l’interessante tipologia ‘moderna’ del palazzo
ora della Rinascente, e nell’ambito dell’eclettismo stilistico furono
condotti gli interventi di trasformazione e ricostruzione delle
preesistenze. Al 1905-1906 risale l’apertura di via del Parlamento; a
epoca fascista, e legati alla sistemazione di piazza Augusto
Imperatore, i due edifici di grande mole che, presso la chiesa dei Ss.
Ambrogio e Carlo al Corso, hanno distrutto per buon tratto il carattere
e la continuità della strada.

PALAZZO RONDININI. Si imbocca via del Corso (la numerazione è


progressiva da sin. fino a piazza Venezia e continua sul lato d. da
quella a piazza del Popolo), sulla quale affaccia un’edilizia sei-
settecentesca per lo più risistemata nell’800. Ai numeri 518-519 è
questo edificio, poi Sanseverino, di compassate forme settecentesche
ravvivate dal doppio portale balconato a colonne e dai timpani delle
finestre del piano nobile.

LA COSTRUZIONE ATTUALE, che ha incorporato il palazzetto che il


Cavalier d’Arpino si era fatto costruire da Flaminio Ponzio ai primi del
’600, iniziò intorno al 1750 a opera di Gabriele Valvassori, che della
residenza della famiglia Rondinini realizzò l’ala su via Brunetti e gran
parte della facciata sul Corso; Alessandro Dori (1761-64) aggiunse
l’ala S e curò lo sfarzoso allestimento interno, concepito come casa-
museo per le raccolte di scultura antica e di pittura del marchese
Giuseppe. Il conte Sanseverino Vimercati, che lo acquistò nel 1904,
fece ridecorare in forme neorococò vari ambienti dell’ala ovest.

ALL’INTERNO, cui si accede per un ANDRONE movimentato da 12


colonne di granito, il CORTILE è concepito come museo all’aperto: a
fondale, tre nicchie-fontana accolgono le statue, molto restaurate, di
Apollo, Bacco e Venere; alle pareti, rilievi, epigrafi e sculture dalla
collezione dispersa nel corso dell’800 (la celebre Pietà, che
un’alterazione comunemente accettata designa come «Rondanini», è
ai Musei civici nel Castello Sforzesco di Milano). Riccamente ornati il
VESTIBOLO e il monumentale SCALONE che conduce al PIANO NOBILE: le sale
costituiscono un notevole esempio di decorazione ancora di gusto
tardo-barocco (soffitti affrescati a quadrature architettoniche;
pavimenti «alla veneziana»; stucchi e «boiserie» alle pareti; sculture,
per lo più antiche, e dipinti italiani e stranieri soprattutto del ’500-
600); interessante la GALLERIA, con quattro statue alle testate curvilinee
e volta affrescata da Jacques Gamelin (Caduta di Fetonte, 1772).

MUSEO CASA DI GOETHE. Sul lato sinistro del Corso al N. 18 è la


casa dove soggiornò nel 1786-88 Goethe (lapide) ospite dell’amico e
pittore Tischbein. Oggi è sede del museo Casa di Goethe: la
collezione comprende disegni, acquerelli, documenti, diari e lettere
originali di Goethe, documentazione relativa al «Viaggio in Italia»,
lettere scritte da Winckelmann, incisioni del Piranesi nonché dipinti di
Tischbein, Warhol e numerosi altri artisti. Vi sono allestite mostre
temporanee.
LA CHIESA DI GESÙ E MARIA fu costruita con l’annesso convento
degli Agostiniani Scalzi in due fasi (quella degli anni 1672-75 fu su
progetto di Carlo Rainaldi) e restaurata nel 1824 e nel 1859-63. La
facciata, del Rainaldi, riflette l’austerità dell’ordine mendicante: nella
tripartizione assume risalto la parte corrispondente alla
navata,rivestita di travertino, con portale e finestrone tra coppie di
paraste corinzie e timpano triangolare.

IL SONTUOSO *INTERNO, orchestrato dal Rainaldi recuperando tutta


la spettacolarità barocca, è a sala con volta a botte (tele di Giacinto
Brandi e allievi, 1685) e tre cappelle per lato. La decorazione,
realizzata nel 1678-90 per munificenza di Giorgio Bolognetti che fece
della chiesa il ‘pantheon’ della propria famiglia, si caratterizza per i
monumenti funebri collocati sopra i confessionali, in forma di logge o
palchetti teatrali, entro i quali ‘recitano’ i personaggi, ricchi di
movimento ed espressione (1681-83): da d., Pietro e Francesco
Bolognetti di Francesco Aprile, Mario e Giorgio Bolognetti (il donatore)
di Francesco Cavallini ed Ercole e Luigi Bolognetti di Michel Maille; in
controfacciata, Camillo Del Corno di Domenico Guidi e Giulio Del
Corno di Ercole Ferrata. Ricchissimo presbiterio (1678-80) con altare
maggiore, su disegno del Rainaldi: Incoronazione di Maria, pala del
Brandi (suo lo Spirito Santo nella volta); ai lati dell’altare, statue dei
Ss. Giovanni Battista ed evangelista di Giuseppe Mazzuoli. La 2ª
cappella sin. fu ridecorata da Giuseppe Valadier in forme neoclassiche
(1824); la pala è del Brandi. I dipinti sull’altare e sulla volta della
sagrestia sono attribuiti a Giovanni Lanfranco.

L’OSPEDALE DI S. GIACOMO o degli Incurabili, che la fronteggia,


venne fondato forse nel 1339 per lascito del cardinale Pietro Colonna
e si specializzò in malattie incurabili a inizi ’500, quando fu
parzialmente riedificato (all’antico edificio appartengono il prospetto
su via di Ripetta e un rilievo marmoreo con Madonna, opera di Andrea
Bregno, posto su un ripiano dello scalone).
Il complesso venne ricostruito nel 1842-44 da Pietro Camporese il
Giovane, che realizzò l’ala su via Canova (al N. 29 è l’accesso al
complesso) e le due testate tardo-neoclassiche, a colonne ioniche
architravate e sovrastante balcone a serliana, fiancheggianti la chiesa
di S. Giacomo in Augusta – il toponimo, medievale, deriva dal non
lontano mausoleo di Augusto – iniziata dal cardinale Antonio Maria
Salviati (stemma in facciata) nel 1592 su progetto di Francesco da
Volterra e compiuta da Carlo Maderno per l’Anno Santo 1600.
L’imponente e severa facciata (del da Volterra nella parte inferiore, del
Maderno in quella superiore) è a due ordini di paraste tuscaniche e
corinzie collegati da volute; l’ampio varco del portale di centro, a
semicolonne e timpano curvo, è riecheggiato dal finestrone balconato
con calotta a conchiglia e sovrastante timpano spezzato. Al Maderno
vanno ascritti anche i campanili gemelli (si vedono dall’interno
dell’ospedale), nuovi a Roma per la collocazione – secondo uno
schema palladiano – a lato dell’abside anziché in facciata.

IL MAESTOSO INTERNO – il primo di grandi dimensioni a pianta


ellittica coperto da una cupola pure ellittica, con tre cappelle radiali
per parte e presbiterio absidato – traduce in spazialità tardo-
manierista il modello canonico del Pantheon; per ragioni statiche, il
Maderno sovrappose alla cupola una copertura a capriate su alto
tiburio in laterizio, con volute-contrafforti, aperto da finestroni
centinati. La percezione spaziale è stata mortificata dai pesanti
restauri realizzati sotto Pio IX da Gaetano Morichini (1861-63; a tale
periodo risale la Gloria di S. Giacomo di Silverio Capparoni nella
calotta) e poi nel 1912 (rivestimento a finto marmo). Nell’ambiente
rotondo a d. dell’ingresso (già battistero), Risurrezione del Pomarancio
e Madonna e S. Giacomo di Francesco Zucchi. 2ª cappella d.: S.
Francesco di Paola implora la Vergine per gli infermi, altorilievo di
Pierre Legros (1716; suoi gli angeli nella volta) che include l’immagine
della Madonna dei Miracoli (sec. XV). 3ª: Battesimo di Cristo del
Passignano. Altare maggiore: SS. Trinità di Francesco Grandi e ricco
tabernacolo attribuito al Maderno. 3ª cappella sin.: alla parete d.,
Natività di Antiveduto Grammatica. 2ª: S. Giacomo, statua in marmo
di Ippolito Buzio.

I SS. AMBROGIO E CARLO AL CORSO. Superata al N. 63 la


neoclassica casa Lezzani, che Giuseppe Valadier realizzò intorno al
1830 con prospetto a due avancorpi bugnati con finestre-balcone tra
semicolonne tuscaniche formanti all’ultimo piano un finto loggiato con
balconata continua, il Corso incontra a d. i due edifici in travertino e
laterizio, tipici del «Novecento» monumentale, creati nel 1936-40 da
Vittorio Ballio Morpurgo come propilei alla sistemazione fascista della
retrostante piazza Augusto Imperatore →.
Sul successivo largo dei Lombardi resta al N. 4 il palazzo Vitelli
(1682-85), che, con l’altro simmetrico, chiude la ‘colossale’ chiesa dei
*Ss. Ambrogio e Carlo al Corso, tra le più importanti del barocco
romano, che sostituì l’antica S. Nicola de Tofo concessa nel 1471 da
Sisto IV ai Lombardi residenti in città; l’erezione del nuovo tempio,
decisa l’anno della canonizzazione di S. Carlo Borromeo (1610), iniziò
nel 1612 secondo il progetto di Onorio Longhi e continuò dal 1640 c.
sotto la direzione di Martino Longhi il Giovane, mentre nel 1668-69 si
colloca l’intervento di Pietro da Cortona, cui si debbono il
completamento della tribuna, la cupola e il disegno della decorazione
a stucchi all’interno. La singolare facciata, costruita nel 1682-84 da
G.B. Menicucci e fra’ Mario da Canepina su disegno del cardinale Luigi
Alessandro Omodei, è tripartita da un ordine gigante corinzio, a
paraste laterali e semicolonne al centro, con trabeazione e timpano
spezzati e di forte aggetto. La stupenda *cupola (la visuale migliore è
da piazza Augusto Imperatore) si qualifica soprattutto per il tamburo,
aperto da finestre e plasmato da pilastri e colonne libere.

L’INTERNO, notevole per l’ampia e slanciata spazialità, è a tre


navate con volta a botte e tre cappelle per lato, con le quali sono
allineati i bracci del transetto dominato dalla cupola; intorno al
profondo presbiterio absidato si sviluppa, in prosecuzione delle navate
laterali, un deambulatorio, unico a Roma ed evidente richiamo di
quello gotico del Duomo di Milano. La ricchissima decorazione tardo-
barocca non prevale sulla struttura ma ne costituisce la parte
integrante: gli stucchi della volta centrale, del transetto e della tribuna
furono eseguiti da Cosimo e Giacomo Antonio Fancelli su disegno del
da Cortona; le volte delle navi laterali e del deambulatorio (nelle
nicchie, statue in stucco di santi di Francesco Cavallini, 1677-82)
hanno stucchi e affreschi di Ludovico Gimignani, Luigi Garzi, G.B.
Benaschi (1678-81). Giacinto Brandi eseguì gli affreschi della navata
centrale (Caduta degli angeli ribelli, 1677-79), nei pennacchi della
cupola (evangelisti, 1671-72), nelle volte del transetto e del
presbiterio (Gloria di S. Carlo, 1677; nel catino S. Carlo e gli
appestati). TRANSETTO DESTRO. Al ricco altare (1769), Immacolata, copia
in mosaico della pala di Carlo Maratta nella cappella Cybo di S. Maria
del Popolo; ai lati, statue di Giuditta (Pietro Pacilli) e di David (André
Jean Lebrun). ALTARE MAGGIORE. *Gloria dei Ss. Ambrogio e Carlo, pala
del Maratta (1685-90) restaurata nel 1831 da Vincenzo Camuccini.
DEAMBULATORIO. In una nicchia dietro l’altare, ricco reliquiario del cuore
di S. Carlo; nel pilastro a sin. dell’altare maggiore, tabernacolo dell’olio
santo (sec. XV) dall’antica chiesa. TRANSETTO SINISTRO. Ai lati dell’altare
del Santissimo (Cesare Bazzani, 1929), statue della Religione (Eugenio
Maccagnani) e della Fede (Guido Galli). 1ª cappella sin.: Predica di S.
Barnaba di Pier Francesco Mola. Nell’ANTISAGRESTIA, Crocifissione del
Borgognone.
Dal portone del palazzo a sin. della facciata (N. 439A) si accede
all’ORATORIO dell’arciconfraternita, eretto sul luogo della chiesa di S.
Nicola de Tofo: sull’altare, gruppo marmoreo con la Deposizione e,
nelle nicchie ai lati, sibille di Tommaso Della Porta (ante 1583).

VIA TOMACELLI, che converge da O nel successivo largo Goldoni (il


celebre commediografo abitò nel 1758-59 nel palazzo Manfroni al N.
47), fu allargata secondo il piano regolatore del 1873 quale
collegamento verso Prati ed è fiancheggiata da edifici tardo-
ottocenteschi e novecenteschi; ne segnano l’innesto sul Corso il
neocinquecentesco palazzo Boncompagni Ludovisi (Gaetano Koch,
1902; numeri 419-421) e, sul lato opposto (N. 160), il palazzo
dell’Unione Militare (1906), eclettico compromesso fra la tipologia
dell’edificio residenziale e quella del centro commerciale.
PALAZZO RUSPOLI. Lasciata a sin., opposta a via Tomacelli, via dei
Condotti →, il Corso costeggia sul lato O questo edificio, già Rucellai e
Caetani, iniziato intorno al 1560 da Bartolomeo Ammannati (lato su
via della Fontanella di Borghese e metà sin. del prospetto sul Corso) e
completato verso il 1586 da Bartolomeo Breccioli, che modificò il terzo
piano e aggiunse il cornicione e l’altana. Il lungo prospetto ha un
severo impianto tardo-rinascimentale,fittamente scandito dalle finestre
su tre piani e rigorosamente simmetrico; sull’asse centrale si allineano
il portale bugnato, il balconcino al terzo piano e l’altana. All’interno, il
maestoso *scalone (Martino Longhi il Giovane, c. 1640), formato da
120 gradini ognuno ricavato da un sol pezzo di marmo antico,
conduce al piano nobile, dove la galleria è ricoperta da affreschi
manieristi (Scene mitologiche e allegoriche) di Jacopo Zucchi ed è
ornata di busti antichi.
Il palazzo risvolta con due assi di finestre sulla piazza, a forma di
triangolo allungato, che prende nome dalla chiesa di S. Lorenzo in
Lucina.

LA GENESI DEL LUOGO DI CULTO. L’antichissimo «titulus Lucinae»


sorse nel sec. IV (è ricordato dal 366) sulla residenza dell’omonima
matrona cristiana. Forse sotto Sisto III avvenne la trasformazione in
tempio pubblico, rifatto a inizi XII da Pasquale II (restano il portico e il
campanile a due piani di monofore e tre di bifore), mentre al 1281-87
risale l’erezione, sulla sin., del palazzo cardinalizio ceduto nel 1624 al
principe Michele Peretti (v. sotto). Nel 1606 Paolo V la concesse ai
Chierici Regolari Minori, che verso la metà del secolo la restaurarono
radicalmente, per opera di Cosimo Fanzago, trasformando in cappelle
gentilizie le navate laterali dell’antica basilica; successivamente vi
furono interventi di Gian Lorenzo Bernini (cappella Fonseca), Carlo
Rainaldi (altare maggiore; cappella del Sacramento; convento) e
Giuseppe Sardi (battistero). Il restauro di Andrea Busiri Vici (1856-58)
eliminò gran parte delle decorazioni barocche della navata e aggiunse
due cappelle; a inizi ’900 si ripristinò l’aspetto del campanile e nel
1927 si riaprì il portico murato.

LA SEMPLICE FACCIATA a capanna è preceduta dal PORTICO


architravato, con sei colonne di granito con capitelli ionici e pilastri
angolari con capitelli corinzi, che accoglie frammenti marmorei e
iscrizioni soprattutto medievali e, ai lati dell’ingresso centrale, due
leoni marmorei del tempo di Pasquale II; il monumento funerario
Severini a d. è di Pietro Tenerani (1825).

L’INTERNO DI S. LORENZO IN LUCINA, in origine a tre navate, si


presenta nelle gelide forme puriste del restauro del Busiri Vici e
decorato dagli affreschi di Roberto Bompiani (1860). 1ª cappella d.:
sotto l’altare, urna settecentesca che racchiude la graticola sulla quale
il santo avrebbe subìto il martirio. 2ª, del Rainaldi (1663): dipinti di
Jan Miel. 3° pilastro: monumento di Nicolas Poussin, fatto eseguire da
Chateaubriand (1829-30) con busto di Paul Lemoyne e rilievo di Louis
Desprez. 4ª cappella (Fonseca; Gian Lorenzo Bernini, 1660-64):
Annunciazione di Ludovico Gimignani (da Guido Reni); la cupoletta è
animata da bellissimi angeli in stucco; alle pareti sono quattro nicchie
con busti marmorei di defunti: particolarmente espressivo quello *di
Gabriele Fonseca (2° a d.), opera di Bernini (1668-73). All’altare
maggiore, opera del Rainaldi (1669) e adorno di colonne di marmo
nero, il fin troppo celebre Crocifisso del Reni; dietro l’altare paliotto
cosmatesco (sec. XII); nel coro Vergine e santi di Placido Costanzi e in
fondo, dietro una porticina, cattedra marmorea con iscrizione di
Pasquale II (1130). 5ª cappella sin. (*Alaleona): Morte di S. Giacinta
Marescotti, pala di Marco Benefial (suoi i santi sui pilastri); le tele
laterali (Vestizione e Tentazione di S. Francesco) e gli affreschi della
volta sono di Simon Vouet (1624). 4ª: S. Giuseppe di Alessandro
Turchi. Tra la 4ª e la 3ª, pulpito marmoreo su disegno del Fanzago.
2ª: S. Carlo Borromeo di Carlo Saraceni. 1ª (battistero), opera del
Sardi (1721): caratteristica cupola e copertura del fonte a forma di
modello ligneo di chiesa.

GLI SCAVI ARCHEOLOGICI condotti sotto la chiesa hanno rimesso in


luce, sopra una domus di metà sec. I a.C., i resti di un’aula in cui si
può riconoscere il «titulus Lucinae». In un locale è visibile un
frammento dell’«horologium Augusti», vastissimo impianto costruito
nel 10 a.C. da Mecenate: su una platea (m 160x60) pavimentata con
lastre di travertino era disegnato il quadrante, con liste e scritte in
bronzo, sul quale un obelisco (ora in piazza di Montecitorio) posto al
centro segnava l’ora con l’ombra.

IL PALAZZO FIANO già Peretti e ora Almagià, che serra la chiesa a


sin., fu eretto sul luogo della residenza dei cardinali titolari di S.
Lorenzo in Lucina (risalente al 1281-87) passata nel 1624 al principe
Michele Peretti (a lui si deve il corpo su via in Lucina), poi agli
Ottoboni duchi di Fiano (da qui il nome con cui è noto il palazzo), che
eressero le attuali facciate (Francesco Settimj, 1888), e nel 1898 agli
Almagià. Il prospetto sulla piazza ha doppio portale e presenta una
semplice partitura a lesene che si ripete nelle testate del fronte sul
Corso, la cui parte centrale ha un ordine di paraste corinzie collegate
da archi e includenti i due piani superiori. Nell’atrio e nel cortile-
giardino (vi si accede dal N. 4) è una ricca collezione di iscrizioni e
rilievi marmorei romani (qui fu eretta da Augusto l’Ara Pacis); in fondo
è l’incompiuto palazzo seicentesco del principe Peretti. Al piano nobile,
la volta del SALONE fu affrescata (Scene mitologiche, paesaggi e figure
allegoriche) da Baldassarre Croce.

SUL LATO OPPOSTO DI PIAZZA DI S. LORENZO IN LUCINA affacciano


l’ex cinema-teatro Corso ora cinema Étoile, costruito nel 1916-18 da
Marcello Piacentini – è una delle sue prime e più interessanti
realizzazioni per le novità tecniche (struttura interamente in cemento
armato) e soprattutto stilistiche (aderenti alla Secessione viennese) –
e una casa settecentesca (numeri 31-35), vivacizzata dagli ornati in
stucco e dai balconcini panciuti in ferro battuto (il portale al N. 35 è
stato modificato per evidenziare l’ingresso al Tempio Battista, il primo
di questa confessione acattolica a Roma). In efficace contrasto per le
forme semplici e razionali è l’adiacente casa Castellani (Giuseppe
Valadier, c. 1823), con prospetto su via del Leoncino.

VIA DEL CORSO, oltrepassata via delle Convertite, si allarga: da


questo punto fino a palazzo Sciarra il lato sin. della strada è stato
infatti arretrato in seguito alle disposizioni dei piani del 1873 e 1883.
L’isolato compreso tra le vie delle Convertite e di S. Claudio è
occupato dal palazzo Marignoli, iniziato nel 1874 su progetto di
Salvatore Bianchi; a Giulio Podesti va riferita la facciata sul Corso
(1888), che spicca per il nobile classicismo e il monumentale ingresso
bugnato sormontato da una loggia ad arcate su semicolonne corinzie.
All’angolo sin. del blocco è il celebre ex caffè Aragno.

IL PALAZZO VEROSPI (N. 374), dal 1902 del Credito Italiano, fu


rinnovato da Girolamo Rainaldi, completato da Onorio Longhi (c.
1610; suoi il cortile, la loggia e la galleria) e restaurato nel ’700 da
Alessandro Specchi. La severa facciata simmetrica di tipo sangallesco
(una lapide ricorda il soggiorno del poeta inglese Shelley), con portale
ad arco bugnato e balcone su due colonne, è stata alterata al piano
terra con la trasformazione delle finestre in porte e sopraelevata
eliminando l’altana. La loggia è decorata da celebri affreschi (Apollo e
gli dei dell’Olimpo, post 1617) di Francesco Albani.

IL PALAZZO DELLA RINASCENTE. Oltre via di S. Claudio si erge il


blocco cubico degli ex magazzini Bocconi «Alle città d’Italia», eretto da
Giulio De Angelis e Sante Bucciarelli (1885-87) secondo la nuova
tipologia di edificio a destinazione esclusivamente commerciale
ispirata ai modelli parigini; la struttura interamente metallica permise
l’apertura dei prospetti in amplissime finestrature, mentre l’interno
(dove, per la prima volta a Roma, furono adottate, oltre agli ascensori,
le scale mobili) è a balconate su colonne di ghisa con vano centrale
libero.
A fianco si apre il largo da cui si diparte via del Tritone → e il cui
nome deriva dal palazzo Chigi, già Aldobrandini, che lo chiude a
ovest.

LA STORIA. Iniziato nel 1580-86 da Matteo da Città di Castello e


continuato dal cardinale G.B. Deti (1623-26) con la parte in angolo
con il Corso, fu completato per i principi Mario e Agostino Chigi, che
l’acquistarono nel 1659, con l’ala verso Montecitorio sotto la direzione
di Felice Della Greca dal 1661 e dal 1677 di G.B. Contini; nel 1694-96
fu aggiunto l’attico, mentre al sec. XVIII risalgono il portale su piazza
Colonna, la fontana del cortile e la ricca decorazione degli ambienti
interni; divenuto proprietà dello Stato (1917), dopo aver ospitato i
ministeri delle Colonie e degli Affari Esteri e un completo restauro
(1959-61) è sede della presidenza del Consiglio dei Ministri.

ESTERNAMENTE palazzo Chigi si presenta come un blocco unitario,


dalla severa architettura tardo-cinquecentesca che dissimula le varie
fasi costruttive; nella facciata principale (N. 371), le finestre del primo
piano hanno timpani alternati curvi e triangolari (la parte centrale
corrisponde al palazzetto Aldobrandini, quelle a sin. e a d.
rispettivamente agli ampliamenti del Deti e dei Chigi). Il prospetto su
piazza Colonna differisce per la maggiore lunghezza e per il più ricco
portale (1739). Dopo l’acquisizione allo Stato, nel piano terra a d. del
portale le porte delle scuderie sono state sostituite da finestre uguali
alle altre.

ALL’INTERNO, il CORTILE, opera del Della Greca, ha portico le cui


arcate si ripetono al primo piano dove includono le finestre a timpano
e originale decorazione a riquadri di stucco tra le finestre superiori; in
fondo è una fontana (1740) con mascherone recante gli elementi
araldici Chigi Della Rovere. Dall’ATRIO, tripartito da pilastri, lo SCALONE,
anch’esso del Della Greca (1659-61) e adorno di sculture antiche, sale
al primo piano, dove spicca il SALONE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, con
fregio di Giovanni Paolo Schor (1665); al secondo piano è il *SALONE
D’ORO, ambiente di gusto già neoclassico (1765-67) di Giovanni Stern,
con al soffitto l’Endimione del Baciccia.

*PIAZZA COLONNA, sulla quale il palazzo prospetta con un secondo


fronte, è l’unica monumentale lungo il Corso; prende nome dalla
famosa colonna coclide e ha costituito fino a tutto l’800 il centro della
vita cittadina.

LA STORIA. In età classica, il lato di fondo (dove è ora palazzo


Wedekind) era occupato dal tempio di Marco Aurelio, mentre gli altri
lati erano a portici e quello a E era occupato da tre isolati di età
adrianea adibiti ad abitazioni e botteghe. Posta nel Medioevo
all’incrocio di due percorsi di pellegrini – da porta Salaria a ponte S.
Angelo e da porta del Popolo al Campidoglio – con la fine del ’500 la
piazza iniziò ad assumere l’aspetto mantenuto sino allo scorcio del
sec. XIX (Sisto V restaurò la colonna e iniziò la demolizione –
completata da Alessandro VII – delle modeste case che vi
affacciavano, sostituite da palazzi nobiliari: Del Bufalo poi Ferrajoli,
Aldobrandini poi Chigi, Giustini poi Piombino), e l’ubicazione lungo il
Corso ne fece quasi il ‘foro’ della città papale (nell’800 vi ebbe sede la
direzione generale delle Poste pontificie e vi furono aperti frequentati
caffè; famosi furono anche i concerti bandistici). L’allargamento del
Corso previsto dal piano del 1873 comportò la demolizione del lato E e
la costruzione della galleria Colonna. La carta → visualizza le
trasformazioni operate a fine ’800.

LA *COLONNA DI MARCO AURELIO venne eretta nel 180-193 per


celebrare le vittorie dell’imperatore nelle guerre contro Marcomanni,
Quadi e Sarmati; le scene del rilievo continuo (campagna germanica
del 172-173 in basso; campagna sarmatica del 174-175 in alto),
separate da una Vittoria, presentano uno stile meno raffinato di quello
della Colonna Traiana cui si ispirano, ma più espressivo.

Tutta in marmo lunense e con un fusto alto m 29.6 (con la base e


il capitello m 42) e dal diametro di m 3.7, spiccava in origine da un
basamento (altezza m 10.5) i cui quattro lati erano decorati con fregi
e festoni sorretti da Vittorie e da una scena di sottomissione di
Barbari; all’interno del fusto, composto di 28 rocchi, una scala a
chiocciola illuminata da feritoie sale alla sommità, dove era la statua
dell’imperatore, andata persa nel Medioevo. All’intervento di Domenico
Fontana sotto Sisto V (1588-89) risalgono la base attuale e la
collocazione della statua bronzea di S. Paolo (Leonardo Sormani e
Tommaso Della Porta), e nella stessa occasione Giacomo Longhi Silla
e Matteo da Città di Castello rifecero molte delle figure andate perdute
nella parte centrale e alta.
A est della colonna è l’elegante fontana, a vasca ovale con fasce e
teste leonine di marmo bianco, disegnata da Giacomo Della Porta
(1576-77) ma modificata nel 1830 sostituendo i due gruppi con
conchiglie e delfini (Achille Stocchi) ai quattro obelischi originari che
gettavano acqua.

PALAZZO WEDEKIND, che chiude il lato O della piazza, fu sede un


tempo delle Poste pontificie e oggi del quotidiano «Il Tempo»; fu
ricostruito nel 1838 da Pietro Camporese il Giovane, che nel
caratteristico portico sormontato da ampia terrazza riutilizzò 11
colonne scanalate con capitelli ionici rinvenute a Veio nel 1812-17, e
rimaneggiato, dopo l’acquisto da parte del banchiere da cui deriva il
nome, nel 1879 e poi da G.B. Giovenale.
LA CHIESA DEI SS. BARTOLOMEO E ALESSANDRO DEI BERGAMASCHI, sul
lato S della piazza, nacque col titolo di S. Maria della Pietà – dal vicino
«arcus Pietatis» di età romana – nel 1562 in connessione con
l’ospedale dei Pazzarelli; i Bergamaschi residenti a Roma, che la
intitolarono ai patroni della loro città, la fecero rinnovare da Carlo De
Dominicis (1728-31), che le conferì un aspetto ‘barocchetto’. La
facciata è a ordine unico di paraste tuscaniche e si qualifica per il
timpano mistilineo e il portale, con due colonne alveolate disposte
diagonalmente rispetto alla parete, sul quale poggia un timpano
interrotto dall’edicola con Pietà a rilievo entro ovale.

NELL’INTERNO – sala coperta a volta, con tre cappelle per lato – la


2ª cappella sin. accoglie una Decollazione del Battista di Aureliano
Milani (1732); nell’oratorio annesso alla sagrestia, Madonna col
Bambino e i Ss. Bartolomeo e Alessandro di Durante Alberti.

A sinistra della chiesa (N. 355) è il palazzo Del Bufalo ora


Ferrajoli, sorto a fine ’500 ma ricostruito nel 1626-42 c. da Francesco
Peparelli; la semplice facciata in laterizio, d’impianto ancora
cinquecentesco, è tripartita verticalmente da bugne e orizzontalmente
da fasce marcapiano.

IL PALAZZO DELL’ISTITUTO ROMANO DI BENI STABILI, sul lato E della


piazza e più noto come galleria Colonna, è un attardato esempio di
eclettismo monumentale progettato da Dario Carbone nel 1910
sull’area precedentemente occupata dal tardo-cinquecentesco palazzo
Boncompagni Piombino e costruito nel 1915-22. Il prospetto è spartito
da coppie di paraste giganti su alto basamento bugnato e porticato; la
parte centrale tra semicolonne reca un fastigio con i gruppi
dell’Industria (Giuseppe Guastalla) e del Commercio (Ercole Drei). La
struttura in cemento armato è dissimulata dal rivestimento di
travertino e laterizi; all’interno, decorato da Ulisse Stacchini, si
sviluppa una galleria coperta a vetri con pianta a «Y», ispirata alla
tipologia ottocentesca delle gallerie di Milano e Napoli.
VIA DEL CORSO lascia a sin., tra le vie dei Sabini e delle Muratte, il
palazzo della Banca Commerciale Italiana, progettato da Luca Beltrami
e realizzato sotto la direzione di Marcello Piacentini nel 1916-27,
raggiungendo al N. 320 il palazzo della Cassa di Risparmio di Roma,
eretto come sede della banca nel 1867-74 su progetto di Antonio
Cipolla; esplicito omaggio allo ‘stile’ di Antonio da Sangallo il Giovane,
divenne a sua volta modello per l’edilizia civile dei primi decenni di
Roma capitale. All’istituto appartiene dal 1969, sul lato opposto della
strada (N. 239), palazzo Sciarra, leggermente arretrato rispetto al
filo antico della strada che qui formava una piazza intitolata alla
famiglia.

LA STORIA. La ricostruzione in forma di palazzo delle case dei


Colonna (di tale casata gli Sciarra costituiscono un ramo), presenti
sull’area sin dal Medioevo, iniziò poco dopo il 1550 e, ripresa nel ’600
forse da Flaminio Ponzio, fu conclusa da Orazio Torriani (suo il
disegno del portale); intorno al 1745 Luigi Vanvitelli progettò la
bellissima biblioteca. A fine ’800 risale il radicale restauro dell’edificio e
degli isolati adiacenti (uno dei primi interventi di ristrutturazione
urbanistica su piccola scala nel vivo del centro storico), intrapreso dal
principe-editore Maffeo Sciarra nell’ambito dell’allargamento del Corso;
l’idea fu studiata da Francesco Settimj nel 1875-82 (suoi
l’ampliamento del palazzo sul lato d. e il rifacimento del cortile) e
riprogettata, in seguito al nuovo piano regolatore, da Giulio De
Angelis, cui si deve gran parte dell’attuazione nel 1882-95 (creazione,
nell’isolato del palazzo, del teatro Quirino e della galleria Sciarra: →;
prospetto su via Minghetti).

L’austera nobiltà della facciata di palazzo Sciarra, riquadrata dai


cantonali bugnati e dal cornicione e con tre piani di finestre
rettangolari sottolineati da fasce, traduce lo spirito di severa
monumentalità che coinvolse nel periodo della Controriforma anche
l’architettura ‘laica’ romana; elemento di spicco è il *portale (1641),
attribuito in passato ad Antonio Labacco e persino al Vignola, ad arco
bugnato tra due colonne tuscaniche scanalate su alto plinto,
mensolone sull’arco e balcone.
IL TRATTO FINALE DEL CORSO è quello rimasto più immune dai
disturbanti interventi otto-novecenteschi. Ai numeri 249-252 è il
palazzo Mellini oggi della Banca di Roma, ristrutturazione del
quattrocentesco edificio del cardinale Giovanni Michiel operata da
Tommaso De Marchis a metà sec. XVIII con accenti barocchetti nella
snella struttura e nella decorazione delle finestre, dei cantonali e del
cornicione. Cesare Bazzani (1913-19) lo restaurò e aggiunse la
facciatina in stile prospettante sulla piccola piazza che subito avanti si
apre a sin. e che prende nome dalla chiesa di S. Marcello al Corso,
la più antica della strada.

Il fondatore del «titulus Marcelli», ricordato dal 418 ma risalente


alla fine del secolo precedente, fu identificato con l’omonimo pontefice
che secondo la leggenda fu costretto da Massenzio a servire nel
«Catabulum», la sede centrale del servizio postale di Roma antica
posta nei pressi, e le cui spoglie furono qui traslate tra fine VIII e inizi
sec. IX; ricostruita nel XII, fu ceduta nel 1368 ai Servi di Maria.
Distrutta da un incendio nel 1519, se ne iniziò la ricostruzione con
l’attuale orientamento sotto la direzione di Jacopo Sansovino,
sostituito nel 1527 da Antonio da Sangallo il Giovane e Annibale Lippi;
completata nel 1592, ebbe aggiunta da Carlo Fontana la facciata nel
1682-86, mentre la decorazione dell’interno proseguì fino al ’700. Al
1861-67 (Virginio Vespignani) e al 1923 datano i principali restauri.

LA *FACCIATA tutta di travertino, capolavoro del Fontana, è


un’esemplare versione tardo-barocca dello schema già espresso nella
quattrocentesca S. Maria del Popolo. La concavità enfatizza il nuovo
orientamento verso il Corso; i due ordini corinzi, nei quali sono
protagoniste le colonne libere addensate nella parte centrale, sono
raccordati alle ‘quinte’ laterali dall’invenzione naturalistica dei fasci di
palme che sostituiscono le rinascimentali volute; l’apparato plastico-
decorativo è completato dalle sculture di Francesco Cavallini (due
figure allegoriche sul frontone curvilineo spezzato e quattro santi) e
dal bel rilievo (S. Filippo Benizi rinuncia alla tiara) entro un medaglione
che è retto da due angeli di Ercole Antonio Raggi.

L’INTERNO DI S. MARCELLO, sansoviniano, è a navata unica con


cinque cappelle per lato, aperte da arcate tra paraste corinzie
sorreggenti il cornicione sopra il quale sono altrettante finestre
rettangolari, e presbiterio absidato; nel restauro purista del Vespignani
furono rifatti l’altare maggiore e la decorazione dell’abside, ridipinto il
soffitto a lacunari lignei del 1592-97 ed eliminati molti ornamenti,
sostituiti dalle pitture di Silverio Capparoni e G.B. Polenzani. Nella
parete di controfacciata, Crocifissione di G.B. Ricci (1613; suoi gli
affreschi tra le finestre e sull’arcone). A sinistra dell’ingresso, duplice
monumento del cardinale Giovanni Michiel e di suo nipote
Antonio Orso di Jacopo Sansovino (i volumi sotto la bara del vescovo
alludono al dono di 730 codici alla biblioteca del convento). 1ª
cappella d.: Annunciazione di Lazzaro Baldi e affresco prospettico di
Tarquinio Ligustri; qui è di solito conservato il gruppo ligneo della
Pietà (1700). 2ª (architettura di Francesco Ferrari): Martirio delle Ss.
Degna e Merita di Pietro Barbieri (1727); alle pareti *monumenti di
Maria Colomba Vincentini e di Giovanni Muti di Bernardino Cametti
(1725). Pulpito su angelo di Pietro Paolo Naldini. 3ª: Madonna col
Bambino, affresco del tardo ’300 entro raffinata cornice del secolo
successivo con bassorilievo (Pietà); alla parete di fondo, episodi della
vita della Vergine di Francesco Salviati; affreschi e dipinti del Ricci; a
d. monumento del vescovo Matteo Grifoni (m. 1567) di Stoldo Lorenzi.
4ª: Crocifisso ligneo del sec. XV e prezioso ciborio di pietre dure su
disegno di Francesco Carlo Bizzaccheri (1691); sotto la mensa, *cippo
del sec. III, ornato ai lati da insegne militari e ridecorato sulla fronte a
opus sectile nel XII; a sin. monumento del cardinale Ercole Consalvi e
del fratello di Rinaldo Rinaldi (1831); nella volta Creazione di Eva,
Marco e Giovanni, affreschi di Perin del Vaga che iniziò anche Matteo
e Luca, terminati da Daniele da Volterra. 5ª (su disegno di Ludovico
Rusconi Sassi, 1725): S. Pellegrino Laziosi risanato dal Redentore e, ai
lati, Miracolo del santo e Miracolo della Madonna del Fuoco di
Aureliano Milani; a d. monumento del cardinale Fabrizio Paolucci di
Pietro Bracci (1726); a sin. monumento del cardinale Camillo Paolucci
di Tommaso Righi (1776). Sulla parete di fondo della sagrestia (1661),
Crocifisso attribuito ad Antonie Van Dyck; in un vano annesso,
sarcofago cristiano del sec. IV. Abside (architettura di Annibale Lippi
del 1569 modificata dal Vespignani): la conca, il sottarco e i santi tra
le finestre hanno affreschi del Ricci ritoccati dal Polenzani, autore di
quelli della parte inferiore; la Gloria di S. Marcello sull’altare è del
Capparoni. 5ª cappella sin.: S. Filippo Benizi di Pier Leone Ghezzi
(1725). 4ª (Frangipane): Conversione di S. Paolo, dipinto su lavagna
di Federico Zuccari (1560); nella volta e ai lati, storie di S. Paolo di
Taddeo Zuccari completate dal fratello Federico; dei sei busti di
personaggi Frangipane quelli a d. (*Muzio e i figli Roberto e Lelio)
sono di Alessandro Algardi (1630-40). 3ª: Addolorata del Naldini; ai
lati Sacrificio di Isacco e Ritrovamento di Mosè di Domenico Corvi. 1ª:
Madonna e i sette santi fondatori dei Serviti di Agostino Masucci e
dipinti del Naldini.
Il BATTISTERO dell’antica basilica, visibile anche dal salone al piano
terra della vicina Banca di Roma, fu ritrovato nel 1912 ed è tra i
pochissimi rimasti a Roma per il rito mediante immersione: la vasca in
laterizio rivestito di marmo, poligonale all’esterno e con nicchie
all’interno, è forse del sec. VIII, anche se indagini condotte nel 1978-
79 hanno rimesso in luce resti di una fase più antica (sec. V).

A destra della chiesa è il convento di S. Marcello, iniziato nel 1616


su disegno di Antonio Felice Casoni e terminato nel 1671; il portale al
N. 5 (sec. XV) apparteneva al palazzo del cardinale Michiel.

IL PALAZZO DE CAROLIS ora della Banca di Roma, che fronteggia il


tempio cristiano (N. 307), venne eretto nel 1714-24 da Alessandro
Specchi e passò nel 1750 ai Gesuiti che lo affittarono (fu sede
dell’ambasciata di Francia); fu poi dei Simonetti, dei Boncompagni
Ludovisi, che aggiunsero l’attico e modificarono il cornicione (1833), e,
dal 1908, della banca, che lo fece ampliare e adattare da Pio
Piacentini (nuovo scalone, trasformazione del cortile in salone per il
pubblico). Il prospetto principale è tripartito da lesene su tre ordini e
fittamente ritmato dalle finestre con timpani al primo e secondo piano;
caratteristico l’impiego dell’intonaco rustico; sopra il portale è un
balcone su quattro colonne.

ALL’INTERNO, la SCALA ELICOIDALE a colonne binate fu derivata dallo


Specchi da quella borrominiana di palazzo Barberini; nei saloni del
PRIMO PIANO, i dipinti dei soffitti offrono un’antologia dei migliori pittori
attivi a Roma nei primi decenni del ’700 (Francesco Trevisani, Andrea
Procaccini, Sebastiano Conca, Domenico Maria Muratori, Giovanni
Odazzi, Luigi Garzi, Benedetto Luti, Giuseppe Chiari).
LA CARATTERISTICA FONTANA DEL FACCHINO, incassata nel fianco sin.
del palazzo, è una delle ‘statue parlanti’ (per l’inquadramento →);
rappresenta un acquaiolo col suo barilotto e risale al tempo di
Gregorio XIII (la tradizione popolare l’attribuì a Michelangelo).

LA CHIESA DI S. MARIA IN VIA LATA, che immediatamente segue, è


ricordata per la prima volta nell’806 ma fu fondata, sembra, sotto
Sergio I a fine sec. VII come diaconia su preesistenti strutture (v.
oltre); demolita nel 1491 e ricostruita con interventi che si protrassero
per tutto il ’500, fu completamente rinnovata all’interno in occasione
dell’Anno Santo 1650 da Cosimo Fanzago.
A Pietro da Cortona è dovuta la *facciata (1658-62), di sapiente
gradazione chiaroscurale dalle estremità verso il centro per i due
ordini corinzi di uguale ampiezza che si aprono – caso unico nelle
chiese del ’600 romano – nel portico e nella sovrastante loggia con
serliana inserita nel timpano triangolare. L’elegantissimo campanile,
ben armonizzato con l’architettura cortonesca, risale al secolo
precedente (Martino Longhi il Vecchio, 1580): notevole la soluzione
della cella, con lesene a mensola con capitelli ionici e timpano curvo
su ogni lato, sormontata da cupolino. L’ATRIO è plasticamente
articolato dalle colonne libere sui lati lunghi e si espande
trasversalmente in due absidi schiacciate in cui si aprono le porte di
accesso agli ambienti sotterranei; le grate di queste (elementi araldici
di Alessandro VII), delle due finestre ai lati della porta e gli stucchi
della volta a botte sono su disegno del da Cortona.

L’INTERNO, riccamente decorato con marmi, stucchi e pitture dagli


interventi seicenteschi, conserva le tre navate divise da 12 colonne, in
origine di cipollino ma rivestite dal Fanzago con diaspro di Sicilia; le
navate laterali, ognuna con due altari e con volta a crociera,
terminano con le cappelle che fiancheggiano l’abside; il soffitto ligneo
a riquadri dipinti è stato restaurato da Pio IX nel 1863. Sopra
l’ingresso, bella cantoria barocca. NAVATA DESTRA. 1° altare: Martirio di
S. Andrea di Giacinto Brandi (1685). 2°: S. Giuseppe e i Ss. Nicola e
Biagio di Giuseppe Ghezzi. Cappella a d. dell’abside (del Sacramento):
pregevole ciborio di alabastro e lapislazzuli; alla parete sin.,
monumento a Pio IX di Ignazio Jacometti (1871); resti di pavimento
cosmatesco. ALTARE MAGGIORE, attribuito a Gian Lorenzo Bernini (1636-
43): Madonna Advocata, tavola dei sec. XII-XIII già ascritta a S. Luca; il
coro ligneo è del 1628. Cappella a sin.: Madonna col Bambino e i Ss.
Ciriaco e Caterina di Giovanni Odazzi e resti di pavimento cosmatesco;
tombe di Giuseppe Napoleone Bonaparte e di Zenaide Bonaparte
(busto di Pietro Tenerani), quest’ultima seguita dal monumento del
poeta Antonio Tebaldeo (m. 1537), eretto nel 1776. NAVATA SINISTRA. 2°
altare: S. Paolo battezza S. Sabina e i figli di Pier Leone Ghezzi. 1°:
Madonna e santi di Pietro De’ Pietri. In una stanza vicina alla
sagrestia, Sacra famiglia, altorilievo in terracotta di Cosimo Fancelli
dall’oratorio sotterraneo.
GLI AMBIENTI SOTTERRANEI, cui si scende dalla porta a sin.
dell’atrio, constano di sei vani quadrilateri con volte a botte disposti su
due file e ricavati in età adrianea e nel sec. III suddividendo con muri
in laterizio parte di un monumentale portico (sec. I) parallelo alla Via
Flaminia; quelli centrali furono trasformati a inizi V in chiesa con
l’aggiunta di un’abside posta sotto l’ingresso attuale al tempio, ma
nell’XI, con la ricostruzione del complesso a un livello superiore,
vennero in gran parte murati. Nel 1658-61 il da Cortona recuperò
cinque ambienti, che furono decorati e resi accessibili; gli scavi,
condotti nel 1904-1905 e nel 1964 (nel 1960 l’Istituto centrale del
Restauro ha staccato e restaurato molti degli affreschi, databili dal
sec. VII all’XI-XII), hanno in parte sacrificato la sistemazione del da
Cortona: restano due affreschi della sua scuola nei vani delle scale, il
monumento ad Atanasio Ridolfi, su disegno dell’architetto, nel
vestibolo, e l’oratorio centrale, dove, sull’altare, è l’altorilievo
marmoreo (Ss. Pietro, Paolo, Marziale e Luca) del Fancelli; si notino
anche il pozzo e la colonna connessi alla presunta prigionia di S. Paolo
e una transenna con resti di ornato cosmatesco (sec. XIII).

*PALAZZO DORIA PAMPHILJ. S. Maria in via Lata occupa l’estremità


N del vastissimo isolato di questo edificio, il più importante tra quanti
prospettano sulla strada non solo per le dimensioni, ma anche per la
qualità architettonica dei vari corpi di fabbrica con cui si è venuto
costituendo nell’arco di quattro secoli e per essere tra i pochissimi di
Roma, ancora occupati dalle antiche famiglie, che conservino intatto
l’eccezionale patrimonio di arredi e opere d’arte.

IL PRIMO NUCLEO si formò a metà ’400, accanto alla chiesa, con la


casa del cardinale Nicolò Acciapacci, della quale nel 1505-1507 il
cardinale Giovanni Fazio Santorio iniziò la ricostruzione ma che fu
costretto a cedere a Francesco Maria I Della Rovere, nipote di Giulio
II. Acquistato nel 1601 dal cardinale Pietro Aldobrandini che ne ampliò
l’area sull’attuale vicolo Doria, il palazzo fu portato in dote nel 1647 da
Olimpia a Camillo Pamphilj, per la cui famiglia il complesso venne
ingrandito da Antonio Del Grande con la demolizione (1659) del
cinquecentesco palazzo Salviati e la realizzazione (1659-63) dei
prospetti sulle vie Lata e della Gatta. La risoluzione della facciata sul
Corso si deve a Gabriele Valvassori (1731-34), mentre l’ala ad
appartamenti su via del Plebiscito (1739-44) e la scala nobile sul Corso
(1748-49) sono di Paolo Ameli. Gli ultimi grandi lavori, diretti da
Andrea Busiri Vici, iniziarono nel 1846 e si protrassero fino al termine
del secolo, comportando nuovi prospetti su vicolo Doria (1871) e su
via della Gatta (1877-90).
L’ESTERNO. La *FACCIATA SUL CORSO, capolavoro del Valvassori, è una
delle architetture più originali e innovatrici della prima metà del ’700
romano. Rispetto al vicino palazzo De Carolis, con il quale ha in
comune lo ‘svuotamento’ della parte muraria nella fitta successione di
finestre, questo ha un più accentuato andamento orizzontale e
presenta novità lessicali di derivazione borrominiana: le fantasiose
incorniciature delle finestre del mezzanino e del piano terra,
‘agganciate’ alle fasce orizzontali, e di quelle del primo e secondo
piano, con timpani diversi sul balcone centrale e sulle testate; i
balaustri alternati; i capitelli delle colonne dei portali (disposte di
spigolo) col giglio araldico in sostituzione delle foglie d’acanto; il ricco
cornicione; le elegantissime griglie di ferro battuto. Non meno
importanti le novità distributive, come lo spostamento alle estremità
delle ali dei portali secondari, che si inseriscono nel ritmo ternario
delle aperture al piano terra; quest’ultimo raccorda l’edificio al
contesto urbano con le due terrazze laterali, in parte occupate dai
padiglioni del Busiri Vici: quella a d. con la chiesa, mentre quella a sin.
curva in corrispondenza del risvolto su vicolo Doria.

Dal portale centrale si vede il CORTILE D’ONORE, a pianta quasi


quadrata con portico ad arcate su colonne, risalente al cardinale
Santorio e derivato da quello del palazzo della Cancelleria: in origine
aveva un piano superiore solo nel lato verso il Corso, mentre gli altri
furono sopraelevati, riprendendo la partitura sottostante – ma con
capitelli corinzi anziché tuscanici – dai Della Rovere e dai Pamphilj. La
tamponatura delle arcate superiori, con finestre e sopraluci inquadrate
da sguinci prospettici, fu operata dal Valvassori, che creò così la
galleria sui quattro lati raccordante i vari nuclei del palazzo.

Il PROSPETTO SU VIA DEL PLEBISCITO si caratterizza per i ‘borromineschi’


portali balconati e per il cantonale che si rapporta in negativo a quello
del vicino palazzo Bonaparte →, mentre quelli ad angolo SU PIAZZA DEL
COLLEGIO ROMANO (la si raggiunge dal Corso costeggiando il fianco d.
della chiesa di S. Maria in via Lata), realizzati da Antonio Del Grande
(1659-63), sono di pacata monumentalità berniniana: le aperture si
succedono con ritmo vario, che nella parte centrale è regolarizzato e
inquadrato da tre ordini di paraste tuscaniche e ioniche (sulle finestre
del primo piano sono le colombe dei Pamphilj, su quelle del secondo i
gigli degli stessi con i «rastrelli» Aldobrandini).

Lo scenografico ATRIO, dalla complessa struttura a volta su


colonne e pilastri tuscanici, si espande ai lati in ampie absidi e in
fondo in un vano rettangolare che dà sul CORTILE DEI MELANGOLI, il
cinquecentesco omonimo giardino trasformato nel ’700 in scuderie e
inglobato nel 1878 nell’ala su via della Gatta.

LA *GALLERIA DORIA PAMPHILJ (t. 0632810-066797323;


www.doriapamphilj.it) nacque dall’istituzione da parte di Innocenzo X
del fidecommesso a favore del nipote Camillo, che dette avvio alla
costituzione di una delle più cospicue raccolte d’arte private; nella
collezione, già accresciuta da oculati acquisti (Caravaggio, Rubens,
Bernini, Algardi, opere di scuola emiliana e di ambito classicista),
confluirono, in seguito al matrimonio con Olimpia Aldobrandini, le
opere (scuola ferrarese e veneta) che costei aveva quale unica erede
dello zio, il cardinale Pietro, mentre al cardinale Benedetto Pamphilj si
deve la costituzione del prestigioso gruppo della pittura fiamminga.
Con l’estinzione del ramo Pamphilj la collezione passò ai Doria
Pamphilj, trasferitisi qui da Genova nel 1760, i quali la arricchirono di
quadri (Sebastiano del Piombo, Bronzino) e della stupenda serie di
arazzi; alla fine dell’800 il principe Alfonso completò la raccolta con il
gruppo dei «primitivi».

I CAPOLAVORI DELLA GALLERIA. Il SALONE DEL POUSSIN prende nome


dai Paesaggi di Gaspard Dughet, cui si accompagnano opere dei
collaboratori e di altri paesaggisti. La prima stanza che si apre a d. è la
SALA DEL TRONO, detta fin dall’800 «delle Tempere» dalla tecnica in cui è
eseguita la maggior parte dei Paesaggi che vi si trovano (sono quasi
tutti opera di Crescenzo Onofri, a volte con aiuti), disposti ancora oggi
come a fine ’700. La segue la SALA AZZURRA, dove sono alcuni ritratti di
famiglia del sec. XIX.
La SALA DEI VELLUTI è ornata alle pareti da parati genovesi forse di
fine ’700, mentre i quadri vi furono allestiti in questa maniera nella
prima metà del secolo successivo: Quattro Muse di Giuliano
Bugiardini; Caino e Abele di Niccolò Tornioli; La Pittura, la Scultura e
l’Architettura di Marco Benefial; Apollo e le Muse del Bugiardini;
Sacrificio di Isacco di Pasquale Chiesa; Tre Muse del Bugiardini; Agar
e l’angelo di Mattia Preti; Diana ed Endimione forse di Daniele Seiter;
Narciso alla fonte forse di Ventura Lamberti. Inoltre: busti di
Innocenzo X e di Benedetto Pamphilj di Alessandro Algardi; sul
soffitto: Tre cupidi, Diana ed Endimione, Due cupidi con cani di Liborio
Marmorelli. La SALETTA VERDE è un elegante ambiente di stile veneziano
(si noti la decorazione a roselline tardo-rococò nelle rifiniture lignee e
negli elementi del lampadario), città cui rimandano anche le Scene di
costume settecentesche già attribuite a Pietro Longhi; sul soffitto,
David e Abigail di Domenico Corvi.
La SALA DA BALLO corrisponde all’antico salone di Musica e venne
ridecorata tra fine ’800 e il 1903; nell’angolo a d., tappeto di
manifattura persiana del ’500, arpa e gabbia per uccelli
settecentesche. La contermine SALETTA GIALLA ha alle pareti arazzi
(Allegorie dei 12 mesi, c. 1715) della manifattura Gobelins, che
produsse anche quello raffigurante il Maggio nella PICCOLA SALA DA
BALLO.
Preceduta dall’ANTICAPPELLA (nel soffitto, decorazione a
monocromo che finge l’interno di una cupola, seconda metà sec. XVIII),
la CAPPELLA fu progettata da Carlo Fontana nel 1689-91 per il cardinale
Benedetto Pamphilj e rimaneggiata sia nella seconda metà del ’700 sia
nella prima metà del secolo successivo: sul soffitto, Incoronazione
della Vergine di Tommaso Minardi.
VESTIBOLO. Nella volta Cadmo e il drago, affresco di Gioacchino
Agricola. Alle pareti: Paesaggi di Paolo Anesi, Jan Frans van Bloemen,
Adrien Manglard, Herman van Swanevelt e Jan Theunisz Blanckerhoff;
S. Francesco e gli angeli forse di Simone Cantarini; Adorazione dei
pastori forse di Giovanni Francesco Guerrieri; Cena in Emmaus forse di
Matthias Stomer; Eolo e Giunone di Lucio Massari; Sacra famiglia con
S. Giovannino della scuola di Andrea del Sarto; Sacra famiglia con S.
Giovannino e due angeli di fra’ Paolino da Pistoia.
La Galleria vera e propria ha inizio qui e accoglie i quadri secondo
l’allestimento tardo-settecentesco documentato da un manoscritto
dove sono indicati con precisione i dipinti e il loro posto: l’allestimento
si basa su criteri di simmetria e, a volte, di affinità tipologiche e
stilistiche.
PRIMO BRACCIO. Soffitto decorato alla cinese da Ginesio del Barba.
Maddalena penitente di Annibale Carracci; Madonna col Bambino del
Romanino; Madonna e santi in gloria del Garofalo; Paesaggio con
figure danzanti (Matrimonio di Isacco e Rebecca) di Claude Lorrain;
Paesaggio con la Fuga in Egitto del Carracci; Paesaggio con la
creazione degli animali di Roelant Savery ed Hendrick van Balen;
Galatea e Polifemo di Giovanni Lanfranco; Paesaggio con l’Assunzione
della Vergine di Francesco Albani e aiuti; Cristo in casa del Fariseo del
Cigoli; Paesaggio con grande abete e castello di Herman van
Swanevelt; Paesaggio con il vecchio Tobia cieco di Pietro Paolo Bonzi;
Paesaggio con la Visione di S. Eustachio forse di van Swanevelt;
Paesaggio con la Visitazione dell’Albani e aiuti; *Venere, Marte e
Cupido di Paris Bordon; Paesaggio con castello forse di van
Swanevelt; Paesaggio con Diana, Cefalo e Procri del Lorrain; S.
Girolamo forse del Carracci; Paesaggio con baia e grande albero di
van Swanevelt; Paesaggio con Apollo e Mercurio che ruba il gregge di
Admeto del Lorrain; Sacra famiglia del Garofalo; Lotta di putti di
Andrea Podestà; Paesaggio con la Fuga in Egitto di van Swanevelt;
Paesaggio con Tobia e l’angelo del Bonzi; Paesaggio con rupi di van
Swanevelt; Paesaggio con l’Adorazione dei pastori dell’Albani e aiuti;
*Erminia ritrova Tancredi ferito del Guercino; Paesaggio con la
Deposizione di Cristo dell’Albani e aiuti; S. Rocco curato dagli angeli di
Carlo Saraceni; Banchetto rustico forse di David Teniers il Giovane;
Veduta di Delfi con processione del Lorrain; Paesaggio con
l’Adorazione dei magi dell’Albani e aiuti; S. Girolamo di Ventura
Salimbeni; Maddalena penitente di Jacob van Loo; Paesaggio con
Maddalena penitente del Carracci; Ritratto di gentiluomo di Juan
Pantoja de la Cruz; Ritratto di giovane di Francesco Torbido; Cristo
coronato di spine forse del Carracci; Paesaggio con l’Andata al
Calvario di Jan Symonzs Pynas; Donna che si spulcia di Theophile
Bigot; Paesaggio con il Ritorno dalla caccia di van Swanevelt; Didone
forse di Dosso Dossi; Gli usurai di Quentin Massys; Cristo portacroce e
la Veronica di Niccolò Frangipane; Deposizione di scuola del Veronese;
Sacra conversazione di Bonifacio Veronese; Creazione di Eva di
Leonart Bramer; Sacra famiglia con S. Caterina e S. Cecilia dell’Albani;
Madonna col Bambino e S. Giovannino, copia dal Correggio; *ritratto
di Agatha van Schoonven di Jan van Scorel; *S. Girolamo in penitenza
di Domenico Beccafumi. Inoltre, busto di Olimpia Aldobrandini
Pamphilj di Giovanni Lazzoni.
GABINETTO DI VELÁZQUEZ. *Ritratto di Innocenzo X di Diego
Velázquez e *busto di Innocenzo X di Gian Lorenzo Bernini.
SECONDO BRACCIO (sfarzosamente arredato). Nella volta Caduta dei
giganti e Fatti d’Ercole, affreschi di Aureliano Milani; le sculture
mostrano i segni del restauro operato nel ’600-’700 sugli originali;
Giacobbe in lotta con l’angelo, marmo di Stefano Maderno. Inoltre:
ritratto di Giovanna d’Aragona, copia da Raffaello; Paesaggio del Mar
Rosso di Antonio Tempesta.
In asse con questo braccio, quattro ambienti accolgono una
selezione di altre opere disposte per secoli. SALETTA DEL ’700: Veduta di
Roma con il convento di S. Pietro in Vincoli e Veduta di Roma con il
Tevere e l’Aventino di Hendrick Frans van Lint; Paesaggio e Paesaggio
fluviale con vaso di marmo di Paolo Anesi; Maddalena di Sebastiano
Conca; Porto di mare di Adrien Manglard; Apoteosi di Ercole, bozzetto
di Giuseppe Bottani; Veduta del canale della Giudecca e Veduta della
piazzetta di Venezia con il Palazzo Ducale e la Marciana di Gaspard
van Wittel. SALETTA DEL ’600: Natura morta con ostriche, fiori, frutti e
animali e Natura morta con fiori, frutti e animali di Jan van Kessel il
Vecchio; Endimione del Guercino; *Riposo durante la fuga in
Egitto e *Maddalena penitente di Caravaggio; Sibilla di Massimo
Stanzione; *S. Sebastiano di Ludovico Carracci; Convito campestre di
David Ryckaert III; Paesaggio di Jan de Momper; Paesaggio con
cascatella e figure di Jan Both; Ritratto di frate francescano attribuito
a Pieter Paul Rubens; Marina con arco roccioso di Salvatore Rosa.
SALETTA DEL ’500: *Doppio ritratto di Raffaello; Ritratto di giovane
gentiluomo del Tintoretto; Ritratto di coniugi di Sofonisba Anguissola;
Salomè di Tiziano; Ritorno del figliuol prodigo di Jacopo e Francesco
Bassano; Paesaggio di montagna con ponti e pastore di Paolo
Fiammingo; Andata al Calvario del Civetta; Paesaggio invernale con
pattinatori e trappola per uccelli, copia da Pieter Brueghel il Vecchio;
ritratto di Niccolò Machiavelli di Cristofano dell’Altissimo; Ritratto di
dama di Bernardino Campi. SALETTA DEL ’400: Pietà del Mazzolino;
Madonna col Bambino della cerchia di Antoniazzo Romano; Sacra
famiglia del Garofalo; Natività con S. Francesco, S. Maria Maddalena e
S. Giovannino dell’Ortolano; Strage degli innocenti e riposo durante la
fuga in Egitto del Mazzolino; Visitazione del Garofalo; S. Cristoforo e
S. Giovanni Battista e S. Giacomo apostolo e S. Antonio abate di Bicci
di Lorenzo; storie di S. Antonio abate e Tentazioni di S. Antonio di
Bernardo Parentino; Deposizione di Cristo con un donatore di Hans
Memling; Due vecchi in preghiera (Gli ipocriti) di Quentin Massys;
*Sposalizio della Vergine e *Nascita della Vergine di Giovanni
di Paolo.
TERZO BRACCIO: Paesaggio di Herman van Swanevelt; *Allegoria
della Virtù del Correggio; Paesaggio con il Riposo durante la fuga in
Egitto di Claude Lorrain; Sacra famiglia con S. Elisabetta e S.
Giovannino del Garofalo; Scalo levantino di Frans Arnold Rubens;
Maddalena penitente di Domenico Fetti; Giunone mette gli occhi di
Argo nella coda del pavone di Orazio Riminaldi; S. Francesco in estasi
di Francesco Albani; *S. Girolamo di Lorenzo Lotto; Paesaggio con
lago di Jan de Momper; Paesaggio di Jan Joost van Cossiau; Ritorno
del figliuol prodigo e Martirio di S. Agnese del Guercino; Ragazzo con
pipistrello in mano di Theophile Bigot; Satiro e pastore forse di
Annibale Carracci; Ragazza che versa olio da una lampada del Bigot;
ritratto di Innocenzo X, copia da Diego Velázquez; Madonna che adora
il Bambino di Guido Reni; Donna con lucerna di Wolfgang Heimbach;
Battaglia nel porto di Napoli di Pieter Brueghel il Vecchio; Uomo con
lucerna dell’Heimbach; S. Giovanni Battista nel deserto del Guercino;
Giovane cantore del Bigot; Sposalizio di S. Caterina d’Alessandria del
Garofalo; Giovane cantante coronata d’alloro del Bigot; Paesaggio con
fiume alla foce di van Cossiau; Giuramento di Semiramide di
Alessandro Tiarini; Giuditta con la testa di Oloferne di Giovan Giacomo
Sementi; Cristo condotto al Calvario di Alessandro Allori; Crocifissione
di Marcello Venusti; Battaglia di Vincent Adriaensz.; Sacra famiglia del
Sassoferrato; Paesaggio di Frans Arnold Rubens; Visione di S.
Eustachio, copia da Albrecht Dürer; Adorazione dei pastori di
Francesco Bassano e bottega; Madonna in preghiera del Sassoferrato;
Maddalena che legge di Adriaen Isenbrandt; Giuditta con la testa di
Oloferne di Andrea Piccinelli; Madonna col Bambino e S. Giovanni
Battista di Giovanni Bellini e bottega; Ritratto di gentiluomo forse di
Francesco Beccaruzzi; Madonna col Bambino e angelo forse di
Francesco Mancini; Paesaggio con la caccia al cervo di Paul Brill;
Paesaggio con Venere, Pan e amori forse di Giovanni Francesco
Grimaldi; Studio di pittura di Gerard Thomas; Allegoria del gusto di
Giovanni Francesco Romanelli; Sacra famiglia con S. Gioacchino e S.
Anna del Garofalo; Studio di scultura del Thomas; Allegoria
dell’odorato del Romanelli; Sacrificio di Noè di Leandro Bassano; S.
Giovanni evangelista del Guercino; Paesaggio con caccia alla lepre del
Brill; *Paradiso terrestre di Jacopo Bassano; Madonna con Bambino e
S. Anna di Francesco Vanni; Sacra conversazione di Boccaccio
Boccaccino; Predica di S. Giovanni Battista di Giuseppe Passeri;
Nascita della Vergine di Francesco Trevisani; Paesaggio con tomba e
figure di Jan Frans van Bloemen; Studio di testa di Federico Barocci;
Paesaggio con caseggiato e figure del van Bloemen. Inoltre: *busto di
Innocenzo X di Alessandro Algardi.
La SALA ALDOBRANDINI sorge sull’ala rinascimentale del palazzo, del
quale costituiva l’antica galleria. Vi sono riuniti statue antiche, dall’età
arcaica a quella ellenistica, provenienti in gran parte dal giardino di
villa Doria Pamphilj e, sulla parete di fondo, due rilievi (Giochi di putti)
di Francesco Dusquesnoy. Inoltre: Paesaggio con Mercurio e Argo di
Crescenzio Onofri; Veduta romana con rovine della cerchia di Viviano
Codazzi; Diluvio universale forse di Carlo Saraceni e Jean Leclerc;
Paesaggio con Omaggio a Venere di Giovanni Francesco Grimaldi;
Veduta romana con rovine e soldati della cerchia del Codazzi;
Paesaggio con ruderi, viadotto e pastori e Paesaggio con castello,
viadotto e figure di Jan Frans van Bloemen; Paesaggio con Belisario
cieco di Salvatore Rosa; Erminia fra i pastori di Ciro Ferri; Martirio di
S. Dorotea di Alessandro Tiarini; Matrimonio mistico di S. Caterina di
Theodor van Loon; Paesaggio forse di Herman van Swanevelt;
Deposizione dalla croce di Giorgio Vasari; Sacrificio di Noè del Ferri;
Paesaggio con ponte di van Swanevelt; *La Religione soccorsa dalla
Spagna, copia da Tiziano; Paesaggio con Riposo durante la fuga in
Egitto di Pier Francesco Mola; Caccia alle anatre di Monsù Aurora;
Paesaggio boscoso con piante acquatiche e dirupi di Gaspard Dughet;
Burrasca di mare della cerchia di Pieter Mulier d. Cavalier Tempesta;
Tributo della moneta di Mattia Preti; Le Nozze Aldobrandini, copia da
Nicolas Poussin; Battaglia di Castro del Borgognone; Paesaggio con
cipressi e figure e Paesaggio con cascata del Dughet; Paesaggio
panoramico dell’Onofri; Paesaggio con pescatore di Francesco
Graziani; Burrasca di mare, forse bozzetto per il quadro dello stesso
soggetto, della cerchia del Mulier.
QUARTO BRACCIO. Paesaggio forse di Crescenzio Onofri; Maddalena
penitente di Mattia Preti; Paesaggio con guado del Domenichino;
Paesaggio forse dell’Onofri; S. Girolamo forse del Guercino; Paesaggio
con immagine sacra di Pietro Paolo Bonzi; S. Giuseppe del Guercino;
S. Sebastiano di Marco Basaiti; Paesaggio fluviale con cacciatori sulla
barca forse del Bonzi; Angelo con tamburino di Tiziano; Marina con la
tomba di Cecilia Metella di Adrien Manglard; S. Giovanni Battista del
Preti; Maddalena penitente di Luca Cambiaso; Orazione nell’orto di
Marcello Venusti; Madonna col Bambino, S. Caterina e S. Bernardo di
Ludovico Carracci; Cristo benedicente di seguace di Giovanni Bellini;
Battaglia di Palamedes Palamedesz; Ritratto di uomo con teschio e
libri (allegoria della Vanitas) di Pietro Muttoni d. Pietro della Vecchia;
Addolorata di Francesco Trevisani; Madonna col Bambino di Nicolò
Rondinelli; Cristo portacroce di Giovan Francesco Maineri; Madonna
col Bambino del Rondinelli; Madonna col Bambino, S. Giovannino e S.
Antonio di Giacomo Raibolini d. Francia; Paesaggio con scene di caccia
forse dell’Onofri; Suonatrice di violino di Antonio Solario d. lo Zingaro;
S. Pietro forse di Giacinto Brandi; Paesaggio della scuola di Gaspard
Dughet; Madonna col Bambino e animali di Jan Brueghel il Vecchio;
Paesaggio con cavalieri forse di Jan François van Bredael il Vecchio;
Salomè con la testa del Battista del Solario; S. Paolo del Brandi;
Paesaggio con cavalieri del van Bredael il Vecchio; Angelo con velo
forse di Guido Cagnacci; Paesaggio con pastori forse di Dirck van den
Bergen; Paesaggio con Riposo durante la fuga in Egitto del Bonzi;
Paesaggio con pastori presso una piramide forse del van den Bergen;
S. Pietro penitente di Sisto Badalocchio; S. Giovanni Battista, copia da
Caravaggio; Dopo la battaglia del Borgognone; *Natività del
Parmigianino; Paesaggio con fonderia di Brueghel il Vecchio; Sacrificio
di Isacco di Jan Lievens; Susanna e i vecchioni del Domenichino; S.
Girolamo di Jusepe de Ribera; *Madonna col Bambino del
Parmigianino; Scena di battaglia del Borgognone; Paesaggio forse di
Jan de Momper; Liberazione di S. Pietro del Badalocchio; Testa di
donna forse di Pier Francesco Mola; Cristo e i dottori del Mazzolino;
Erminia fra i pastori di Giovanni Francesco Romanelli; Riposo durante
la fuga in Egitto di Simone Cantarini; *Paradiso terrestre di Brueghel il
Vecchio; Interno di taverna di David Ryckaert III; Maddalena
penitente di Pasquale Chiesa; Deposizione nel sepolcro di Alessandro
Varotari d. Padovanino; Paesaggio con Creazione dell’uomo di
Brueghel il Vecchio; Paesaggio con caccia al daino di Sebastiaen
Vrancx; Paesaggio con Tentazioni di S. Antonio e Paesaggio con
Visione di S. Giovanni a Patmos di Brueghel il Vecchio; Allegoria del
fuoco e Allegoria dell’acqua di Brueghel il Vecchio ed Hendrick van
Balen; *Concerto del Preti; Paesaggio con torre e figure del de
Momper; Ritratto di donna di Francesco Beccaruzzi; Gesù scaccia i
mercanti dal tempio del Monogrammista ferrarese I A; S. Pietro e S.
Giovanni davanti a Simon Mago di Alessandro Tiarini; Paesaggio con
figure di Herman van Swanevelt; Animali e pastori di Monsù Leandro;
Fruttiera e vaso di fiori forse di Jan van Kessel il Vecchio; Pastori alla
mungitura di Monsù Leandro; Paesaggio con pastore e gregge di van
Swanevelt; Allegoria dell’aria e Allegoria della terra di Brueghel il
Vecchio e di van Balen; Testa di vecchio di Girolamo Muziano;
Staffiere con cavalli di Monsù Leandro. Inoltre: *busto di Olimpia
Maidalchini Pamphilj, opera di Alessandro Algardi.
La SALETTA DEGLI SPECCHI (ormai fuori della galleria) fu interamente
decorata da Stefano Pozzi: sul soffitto con il tema di Venere, sopra le
porte con Putti allegorici. La SALETTA ROSSA accoglie nella volta un
affresco (Sogno di Giacobbe) di Pietro Angeletti; alle pareti, ritratti del
principe James Edward Stuart (Alexis Simon Belle) e del conte di
Bjelke (Joseph Marie Vien, 1757; firma); arazzo (Dicembre) della
manifattura Gobelins; Testa di vecchia ebbra (sec. XVIII).

L’APPARTAMENTO PRIVATO consta di numerosi vani, tutti


sontuosamente decorati e arredati. Nel FUMOIR, rimaneggiato nell’800
in stile inglese, Madonna col Bambino, angeli e santi, polittico a fondo
oro di scuola toscana del sec. XV; il Redentore tra i Ss. Giovanni
Battista e Bernardino da Siena, trittico a fondo oro di Sano di Pietro;
Tobiolo e l’angelo e Cornelia di Domenico Beccafumi. La SALA ANDREA
DORIA racchiude anche cimeli dell’ammiraglio; Villa Doria Pamphilj di
Luigi Vanvitelli. Nella SALA DEI FEUDI, quadri (Romanzo di Bertoldo) di
Giovanni Maria Crespi; Busto femminile di Antonio Canova. Il SALONE
VERDE, l’ambiente più ricco, accoglie: *Annunciazione di Filippo Lippi;
*ritratto di un Doria attribuito al Bronzino ma più probabilmente di
Francesco Salviati; *Ritratto di prelato del Tintoretto; *Ritratto di
gentiluomo di Lorenzo Lotto; *dittico di Mabuse; ritratto di Marco Polo
del Lotto; *busto di Innocenzo X di Alessandro Algardi; l’*arazzo con
episodi della leggenda medievale di Alessandro Magno della
manifattura di Tournai (metà sec. XV) è stato ricollocato nel palazzo di
famiglia a Genova. Madonna col Bambino e santi, tondo del
Beccafumi; Circoncisione di Cristo di Giovanni Bellini; Sacra
conversazione di Bonifacio Veronese.

PALAZZO MANCINI poi Salviati e ora del Banco di Sicilia, che via del
Corso costeggia ai numeri 270-272, venne costruito su progetto di
Carlo Rainaldi (1662) per Filippo Giuliano Mazzarino Mancini, duca di
Nevers, e proseguito fino al 1690 c. da Sebastiano Cipriani; dal 1725
al 1803 fu sede dell’Accademia di Francia. La nobile facciata, versione
romana del contemporaneo barocco classicista di Luigi XIV, è tripartita
verticalmente da lesene e rivestita da un leggero bugnato: presenta
finestre a timpano al primo piano, architravate al secondo, due
mezzanini (il secondo inserito tra le mensole del fastoso cornicione
con putti) e portale balconato con quattro colonne tuscaniche;
notevole l’atrio passante, deformato dalla trasformazione del cortile in
salone della banca.
Poco oltre si sbocca in piazza Venezia →.

DA PIAZZA VENEZIA A S. GIOVANNI IN LATERANO I FORI


IMPERIALI
LA PROSPETTIVA DI VIA DEI FORI IMPERIALI (già via dell’Impero) ha
inizio, dall’angolo SE di piazza Venezia, tra l’«esedra arborea» e
l’imponente mole del Vittoriano → e si dirige al Colosseo attraverso
una delle più importanti aree archeologiche del mondo, tuttora in
buona parte sepolta sotto la strada e le aree verdi che l’arredano.
Questa sistemazione urbanistica, la più discussa tra quelle operate dal
fascismo, fu realizzata nel 1931-33 annientando uno dei più
straordinari brani della città papale stratificatosi nel Medioevo e nel
Rinascimento sui resti dei Fori Imperiali, di cui riproponeva, con angoli
estremamente pittoreschi, la continuità ora spezzata dall’arteria.

LA FORMAZIONE DEI FORI IMPERIALI. Sul finire dell’età


repubblicana, divenuto il Foro Romano insufficiente allo svolgimento
della vita pubblica, fu avvertita l’esigenza di acquisire nuovi spazi.
L’esempio di Giulio Cesare, che dette inizio all’espansione creando (54-
46 a.C.) il foro che da lui prese nome in una zona occupata da
abitazioni private, fu seguito da Augusto (31-2 a.C.), da Vespasiano
(71-75 d.C.), da Nerva (98) e da Traiano (107-113); sorse così uno
dei più estesi (c. m 600x200) complessi monumentali dell’antica
Roma, nel quale i cinque fori riproducevano sostanzialmente lo stesso
schema della piazza porticata con tempio sullo sfondo.
Dopo l’abbandono e la decadenza medievale (l’ostruzione della
«Cloaca Maxima» causò l’impaludamento di parte della zona), attorno
al 1540 Paolo III isolò la Colonna Traiana, mentre la bonifica dell’area
«dei Pantani», con la conseguente risistemazione della viabilità, fu
intrapresa nel 1566-70 dal cardinale Michele Bonelli; l’urbanizzazione
che seguì occultò quasi completamente l’antico complesso, nel quale
continuarono a essere eseguiti scavi sporadici per il recupero di
materiali. La prima campagna con finalità scientifiche si ebbe con
l’amministrazione francese nel 1812-14 quando, su progetto di
Giuseppe Valadier e Pietro Bianchi, fu messa in luce parte della
«basilica Ulpia», mentre alla Restaurazione risale la parziale
liberazione dell’esedra dei mercati di Traiano (1828); nel 1857 venne
redatto un progetto che prefigurava in qualche modo l’attuale
sistemazione, con un collegamento diretto tra via del Corso e il
Colosseo e la zona di S. Giovanni.
L’APERTURA DELLA STRADA. Pur avendo già i piani regolatori del
1873, 1883 e 1909 previsto pesanti interventi nella zona per collegare
via Cavour sia con via di S. Teodoro sia con piazza Venezia, solo con
la variante generale del 1925-26 si giunse a proporre la demolizione
dell’intera zona tra il Colosseo e piazza Venezia; i lavori, iniziati
nell’agosto 1931, procedettero con incredibile velocità – e senza
tenere in conto le esigenze scientifiche di documentazione e
stratigrafia – in vista dell’inaugurazione, che fu solo parziale, per il
decennale della marcia su Roma, e l’intera via venne aperta il 21
aprile 1933 (il proseguimento verso il Circo Massimo, che ricalcava la
«via Triumphalis», è di sei mesi posteriore). Le conseguenze per il
patrimonio storico, artistico, architettonico e ambientale furono
gravissime: a parte il sacrificio di chiese e palazzi, i monumenti
superstiti rimasero completamente avulsi dal contesto originario (gli
edifici che affacciano sul Foro mostrano alla via la parte posteriore), il
taglio della Velia (la propaggine del Palatino retrostante alla basilica di
Massenzio) provocò danni irreparabili al sottosuolo archeologico
alterando l’aspetto oro-topografico antico, senza contare che le aree
classiche effettivamente recuperate furono piuttosto limitate. Rimasto
fortunatamente senza esito il concorso per il palazzo del Littorio,
previsto di fronte alla basilica di Massenzio, nel 1934 vennero attuate
ulteriori demolizioni allo sbocco di via Cavour. Al 1981 data la
proposta, accompagnata da vivaci polemiche, di riprendere e ampliare
lo scavo dei Fori: nel 1988-90 sono stati eseguiti saggi nell’area di
quello di Nerva, divenuti dal 1995 vere e proprie campagne di scavo
che hanno cancellato via della Salara Vecchia; sperimentata più volte
la chiusura domenicale della via, non è del tutto tramontata l’idea di
un’abolizione totale o parziale della stessa – divenuta però un
tracciato di collegamento difficilmente sostituibile – a vantaggio della
tanto auspicata istituzione del parco dell’Appia, anche se è stata
avanzata l’ipotesi di riavvicinare i Fori Imperiali al Foro Romano
tramite un passaggio sotto lo stesso rettifilo del ventennio.
LE INDAGINI ARCHEOLOGICHE. A cavallo tra il XX e il XXI secolo, i Fori
Imperiali sono interessati da importanti campagne di scavo. Tutta
l’area sarà oggetto di un piano complessivo di riordino e di
riqualificazione urbana, che partirà al termine delle campagne
archeologiche e per la cui definizione è nelle intenzioni un concorso
internazionale di idee.
FORO DI CESARE. Grazie alle indagini archeologiche, è tuttora l’unico
dei Fori Imperiali a essere visibile per tutta la sua estensione. Lungo il
portico occidentale, gli scavi hanno rimesso in luce una nuova taberna
con tracce di rivestimento pittorico di colore rosso lungo le pareti. Si è
quasi interamente scoperto il portico meridionale, trasformato in una
grande aula nella tarda antichità (forse l’Atrium Libertatis), mentre si è
accertato che i portici cesariani erano già caratterizzati da doppie file
di colonne (divisi quindi in due navate), con un numero di fusti doppio
nella fila esterna rispetto all’interna. Si è scoperto, e in parte scavato,
un sepolcreto protostorico a incinerazione, risalente al X secolo a.C.,
sotto il lastricato in travertino della piazza.
FORO DI AUGUSTO. Di questo foro si è messa in luce solo una piccola
porzione del portico settentrionale, dove sono apparsi i resti, obliterati
dalla costruzione dell’adiacente Foro di Traiano, di un ulteriore
emiciclo, il terzo oltre i due già noti e ancora visibili, di dimensioni di
un quarto inferiori agli altri (30 m di diametro contro 40). È
praticamente certo che, per simmetria, il portico meridionale dovesse
essere munito di un emiciclo analogo, distrutto da Domiziano per
costruire il Foro di Nerva. Si trattava probabilmente di tribunali, dal
momento che il Foro di Augusto era un luogo di amministrazione della
giustizia. Una teoria alternativa identifica i due nuovi emicicli con le
absidi di una basilica. I futuri scavi dovrebbero dare risposte a questi
interrogativi.
FORO DI VESPASIANO O DELLA PACE. In precedenza, nulla o quasi si
conosceva di questo complesso monumentale. Gli scavi hanno
scoperto buona parte dei portici nord e ovest, ma è stata soprattutto
l’area centrale quella che ha fornito i dati più interessanti poiché è
risultata occupata da sei lunghi canali d’acqua, leggermente
sopraelevati su basi continue in laterizio, che dovevano essere
decorati da originali scultorei di artisti ateniesi e immersi nel colore e
nel profumo di un roseto. Di tali piante sono stati infatti rinvenuti i
vasi e, nella terra contenuta all’interno di questi ultimi, tracce di
polline di rose galliche. Si trattava dunque di una sorta di museo-
giardino. Recentissimi scavi della Soprintendenza Archeologica stanno
infine rimettendo in luce l’aula di culto del tempio della Pace, dove per
ora si è scoperto il basamento della probabile statua di culto che
doveva trovarsi al centro di una sorta di podio rialzato. Sono stati
rinvenuti anche spezzoni delle colonne colossali, in granito rosa
d’Egitto, della facciata del tempio, di circa 2 m di diametro e di 50
piedi romani di altezza (15 m circa).
FORO DI NERVA. Questo complesso era già stato ampiamente
indagato nell’ultimo ventennio del XX secolo (in tutta la sua metà
occidentale), quando erano state messe in luce le fondazioni di un
tempio, mai realizzato, speculare a quello di Minerva. Gli scavi del
Giubileo hanno indagato il sottosuolo del foro, dove è stato ritrovato
uno stabilimento termale della prima metà del I sec. d.C., con alloggi
per gli schiavi addetti alla manutenzione e resti delle decorazioni
pavimentali a mosaico bianco e nero. Il balneum fu obliterato dalla
costruzione del foro.
FORO DI TRAIANO. È quello che ha fornito i dati più singolari e
inaspettati. Due le scoperte principali: la fondazione dell’Equus Traiani
che non era affatto al centro della piazza del foro, come si pensava,
ma spostata di circa 25 metri verso sud, lungo l’asse maggiore. La
fondazione ha permesso di dimensionare la statua equestre bronzea
che, compreso un plausibile basamento, doveva toccare i 12-15 metri
di altezza; il muro di chiusura meridionale della piazza, che si credeva
ad arco di cerchio con colonnato aggettante e arco di trionfo centrale
e che, invece, è risultato composto da una elaborata architettura per
la quale non sono stati sinora individuati confronti. Esso consisteva in
una vasta sala trisegmentata (un tratto centrale rettilineo inquadrato
da due obliqui laterali), decorata da un colonnato affacciato verso la
piazza, con colonne in parte aggettanti e in parte con trabeazione
continua, in marmo verde di Caristo (Cipollino) e giallo di Numidia
(Giallo Antico). I fusti erano di 40 piedi romani di altezza (12 metri,
come le colonne del pronao del Pantheon) e tutta questa sorta di
grandiosa macchina architettonica doveva certamente inquadrare ed
esaltare la figura dell’imperatore (l’Equus Traiani), che si trovava
inserito in una vera e propria prospettiva accentuata dall’inclinazione
dei bracci laterali. Alle spalle di tutto questo, a contatto con il Foro di
Augusto, è stato scoperto un cortile porticato su tre lati,
magnificamente decorato con marmi pregiati e iscrizioni con lettere in
bronzo dorato, che fungeva da comunicazione tra i due fori e da
contenitore di qualcosa ancora non individuata. All’altro capo del foro,
recenti ricerche hanno messo in dubbio l’esistenza del tempio del Divo
Traiano, realizzato da Adriano, così come la tradizione degli studi lo
interpretava identificando le gigantesche colonne di granito grigio
egiziano (sulle quali poggia tuttora la facciata meridionale di palazzo
Valentini, sede della Provincia di Roma) con un pronao di accesso
all’intero complesso da nord. Il ribaltamento delle percorrenze interne
del foro che ne risulta, sembrerebbe provato dal ritrovamento della
fondazione dell’Equus Traiani che, certamente, doveva essere rivolto a
nord, verso la Basilica Ulpia. Sono in corso le pratiche per la
realizzazione di uno scavo sotto il palazzo, che dovrebbe finalmente
permettere di chiarire la reale posizione e l’aspetto del tempio del Divo
Traiano.
ALTRE SCOPERTE. Nei fori di Cesare, Nerva e Traiano, sono stati
ritrovati e, in buona parte conservati, i resti murari delle case di nuclei
di abitato che, nei secoli IX e X, si insediarono tra i ruderi imponenti
dei complessi forensi. Le arcate tuttora visibili presso il limite
occidentale del Foro di Nerva, quasi a contatto con la Basilica Emilia e
il Foro Romano, sono pertinenti ad abitazioni aristocratiche risalenti
proprio a questo periodo. Nell’area meridionale del Foro di Traiano,
quasi a contatto con quello di Augusto, sono visibili i resti di un
grande edificio rettangolare identificabile con un ospedale del XIII
secolo (gestito quasi certamente dai Cavalieri Ospitalieri di S.
Giovanni, insediati nel Foro di Augusto), poi inglobato nel seicentesco
convento di S. Urbano, in funzione di chiesa omonima. Anche di
questo convento sono visibili resti abbondanti, conservati a livello delle
cantine.

*S. MARIA DI LORETO. In piazza della Madonna di Loreto,


retrostante all’«esedra arborea» all’angolo SE di piazza Venezia, la
chiesa compone, con quella del SS. Nome di Maria e con i resti della
«basilica Ulpia» con la Colonna Traiana, uno dei più celebri ‘quadri’
romani. E sintetizza, contrapponendoli, i due momenti fondamentali
del ’500 romano: il classicismo bramantesco e il manierismo di
estrazione michelangiolesca.

Iniziata nel 1507 dalla confraternita dei Fornari su una più antica
chiesa e subito interrotta, la costruzione – forse su progetto di
Bramante – fu ripresa nel 1522 e consacrata nel 1534 (era realizzata
la parte basamentale al rustico, includente la pianta centrale
ottagona; il prospetto fu ultimato nel 1550-52), mentre in una
seconda fase, sotto la direzione di Jacopo Del Duca (1573-76), furono
completati i fianchi, venne costruito il complesso sistema cupolato e il
campanile e compiuto all’interno l’ordine gigante fino alla cornice (la
decorazione fu eseguita nel secolo successivo). Un restauro sia statico
sia decorativo fu condotto nel 1867-73 da Luca Carimini, che ricostruì
anche la sagrestia e aggiunse la retrostante Canonica (1871).

ALL’ESTERNO, ben distinte sono le parti corrispondenti alle due fasi


progettuali. Il dado basamentale, in laterizio e travertino, è modulato
su tre lati da paraste corinzie accoppiate in campiture di diversa
ampiezza, con nicchie e portale centrale entro arcata (quello di
facciata, con gruppo scolpito nel timpano, è nello stile di Andrea
Sansovino, 1550), secondo modelli bramanteschi. Sopra s’imposta la
‘sproporzionata’ cupola ottagona a doppia calotta su tamburo, che il
Del Duca concepì come elemento di richiamo nel fitto contesto edilizio
originario, in un crescendo plastico-decorativo che culmina nella
straordinaria *lanterna vuota; analoga è la concezione del campanile,
a due cellule (quadrata e circolare) sovrapposte.

L’IMPIANTO DELL’INTERNO è costituito da un ottagono inscritto in


un quadrato, con quattro cappelle semicircolari sui lati alterni (negli
altri sono i tre ingressi e il presbiterio). Il restauro del Carimini ha
quasi completamente sostituito la parte decorativa seicentesca (gli
affreschi del tamburo, della cupola e della cappella del Crocifisso sono
di Cesare Mariani). 1ª cappella d.: decorazione a mosaico di Paolo
Rossetti (1594). 2ª: la decorazione è di Nicolò Circignani (1585).
Altare maggiore, opera di Gaspare De Vecchi (1628-30; sua la
sistemazione del presbiterio) ma modificato dal Carimini: Padre Eterno
e Madonna di Loreto tra i Ss. Rocco e Sebastiano, su due tavole a
fondo oro attribuite a Marco Palmezzano (fine sec. XV) e provenienti
dall’antica chiesa; le tele a d. (Transito) e a sin. (Natività della
Vergine) sono del Cavalier d’Arpino (1630); delle sei statue, notevoli i
due *angeli di Stefano Maderno, la S. Cecilia (2ª sulla parete d.) di
Giuliano Finelli e, opposta a questa, la *S. Susanna, capolavoro di
François Duquesnoy (1630-33).

LA VICINA CHIESA DEL SS. NOME DI MARIA fu eretta dal 1736, sul
luogo della quattrocentesca S. Bernardo, su progetto di Antoine
Dérizet; gli subentrò nel 1743 Mauro Fontana, che assieme ad
Agostino Masucci curò la decorazione interna chiudendo nel 1751, per
motivi statici causati dalla cupola, i due ingressi laterali. Il rivestimento
a finto marmo dell’interno risale al 1858, quando Luigi Gabet effettuò
radicali restauri alla cupola e ai piloni. L’architettura è un’intenzionale
trascrizione in chiave tardo-barocca – anche nelle esagerate
proporzioni della cupola – dello schema della prossima S. Maria di
Loreto, con un più immediato rapporto tra corpo e copertura: sulla
parte basamentale ottagona, definita da paraste composite e
semicolonne accoppiate sorreggenti timpani curvi spezzati in
corrispondenza dei tre ingressi originari, s’imposta la cupola, con
paraste accoppiate nel tamburo in cui si aprono i finestroni centinati;
sulla balaustra dell’ordine inferiore, statue di evangelisti e profeti.

L’INTERNO a pianta circolare è scandito da un ordine gigante di


paraste in otto settori, aperti alternativamente dagli archi di accesso
alle cappelle (sormontati da coretti) e da arconi in corrispondenza dei
tre ingressi originari e dell’altare maggiore; negli spicchi della cupola,
medaglioni in stucco (episodi della vita di Maria, c. 1750) di Carlo
Tantardini, Francesco Queirolo, Filippo Della Valle, G.B. Maini,
Bernardino Ludovisi e Michelangelo Slodtz (suoi gli stucchi della
lanterna). 1ª cappella d.: S. Luigi Gonzaga di Antonio Nessi. 2ª: S.
Anna e la Vergine di Agostino Masucci (1757). 3ª: Morte di S.
Giuseppe di Stefano Pozzi. Cappella maggiore, ricca di marmi
policromi (Mauro Fontana, 1750): Vergine con Bambino, tavola di
scuola romana della prima metà del sec. XIII entro spettacolare Gloria
d’angeli di Andrea Bergondi. 2ª cappella sin.: la Vergine appare a S.
Bernardo di Nicolò Ricciolini.
A sinistra della chiesa sono il prospettino neoclassico della
Sagrestia (1839) e, accanto, quello secondario di palazzo Valentini →.

LA *COLONNA TRAIANA, che campeggia isolata sulla piazza, è uno


dei rarissimi monumenti antichi sopravvissuti pressoché intatti fino a
noi, alta, compreso il basamento, m 39.87 (il fusto, con la base e il
capitello, m 29.76) e composta da 25 blocchi di marmo del diametro
di m 3.5. La superficie esterna della colonna è interamente ricoperta
da un fregio a bassorilievo, alto c. 1 m e originariamente arricchito
dalla policromia, che racconta episodi delle guerre daciche (101-103 e
107-108): la rappresentazione delle varie scene, non solo minuta e
accurata (le figure sono c. 2500) ma anche di altissima qualità
artistica, è dovuta al cosiddetto Maestro delle Imprese di Traiano. Dal
basamento, decorato con trofei di armi barbariche e da un’iscrizione
sopra la porta d’ingresso ricordante che la colonna fu eretta anche a
testimoniare l’altezza del monte prima degli sbancamenti per
l’apertura del foro di Traiano e dei vicini omonimi mercati, una scala a
chiocciola, ricavata all’interno del fusto, sale alla piattaforma dove dal
1587, in sostituzione di quella dell’imperatore, è la statua di S. Pietro
(Tommaso Della Porta e Leonardo Sormani).
IL *FORO DI TRAIANO (v. anche →), di cui la colonna è la
testimonianza più rilevante quanto a grandiosità e livello artistico (già
celebrato dagli antichi), fu costruito dal 107 su progetto di Apollodoro
di Damasco e ultimato sotto Adriano; la sua apertura richiese, anche
per le dimensioni (c. m 300x190), ingenti lavori, tra i quali il taglio di
quasi 200 m della sella che univa il Quirinale al Campidoglio. Al foro,
che si articolava in settori distribuiti su ripiani leggermente digradanti
verso S, si accedeva tramite l’arco trionfale di Traiano, posto a ridosso
del foro di Augusto, che introduceva a una piazza (c. m 116x95)
delimitata su tre lati da portici – i laterali aperti sul fondo in grandi
emicicli – e ornata al centro dalla statua dell’imperatore; lo slargo è
per la maggior parte coperto da via dei Fori Imperiali e dai giardini. Di
ausilio alla visita e all’individuazione delle singole strutture di questo e
dei successivi fori è la pianta alle tavole 22-23 dell’atlantino in fondo al
volume.

LE STRUTTURE VISIBILI. Le colonne che si ergono al centro dell’area


scavata appartengono al fianco della «BASILICA ULPIA», la più grande (m
170x60) e sontuosa mai eretta a Roma, che è stata rimessa in luce
solo nella parte centrale: dal prospetto sulla piazza, tre ingressi
davano accesso all’interno, diviso trasversalmente in cinque navate da
un quadruplice colonnato; della straordinaria ricchezza dell’edificio
rimangono tracce del pavimento.
Dalla basilica, due passaggi conducevano a un cortile porticato (m
24x16) ornato al centro dalla colonna e fiancheggiato dalla Biblioteca
Greca e dalla Biblioteca Romana. Alle spalle della colonna (nell’area
oggi occupata dalle chiese e da palazzo Valentini), circondato da un
portico, chiudeva il monumentale complesso il tempio di Traiano,
terminato da Adriano; uniche testimonianze delle sue eccezionali
dimensioni sono, appoggiate accanto alla Colonna Traiana, una
colonna monolitica di granito (diametro m 1.8) e un capitello di
marmo bianco alto c. m 2.
Al di là di via Alessandrina, che a NE scioglie la continuità tra il
foro di Traiano e i vicini mercati, sono i resti del PORTICO ORIENTALE del
summenzionato foro, elevato su tre gradini, con tracce di pavimento
di marmi policromi: era cinto da un muro di peperino e travertino con
fronte esterna a bugnato ed era concluso da un’abside di cui resta una
colonna di granito a d. del nicchione.

I *MERCATI DI TRAIANO. Alle spalle del portico, oltre la strada che


correva intorno a esso (ne resta il lastricato), si innalza la grande
facciata a esedra del complesso, geniale creazione, forse dello stesso
Apollodoro di Damasco, che sosteneva il terreno del Quirinale tagliato
per l’apertura del foro; sui resti antichi, sui quali domina la torre delle
Milizie →, s’impostarono nel Medioevo il castello dei Caetani (v. sotto)
e la torre del Grillo →; l’area è stata scavata nel 1929 da Corrado
Ricci. Vi ha sede il Museo dei Fori Imperiali (v. oltre).

L’INTERNO. L’ingresso da via IV Novembre è in corrispondenza


della grande *AULA, a pianta rettangolare su due piani (ognuno con sei
tabernae sui lati lunghi) e con volta composta da sei crociere
poggianti su mensoloni di travertino (ai quali corrispondono all’esterno
contrafforti); si ritiene che l’ambiente, di tipo finora unico
nell’architettura romana, fosse una specie di sala di borsa o di
contrattazione. Verso il fondo, a sin., una scala del sec. XVI sale al
primo e al secondo piano (*PANORAMA sul Campidoglio e sul Foro
Romano): passando davanti alle botteghe e volgendo a d. si
raggiunge il giardino da cui si accede alla torre delle Milizie; a d. si ha
invece una serie di ambienti, forse destinati a uffici – si riconoscono
un’aula absidata, una sala con nicchie e un cortile – vicino ai quali
sono i resti del castello dei Caetani (fine sec. XIII), poggiante in parte
su muri romani.
Dalla scala che si trova sulla parete di fondo della grande aula si
scende invece alla «VIA BIBERATICA», perfettamente conservata nel
basolato, il cui nome deriva probabilmente dalle botteghe di bevande
che la fiancheggiavano. Il segmento di sin. sale con andamento
curvilineo (causato dal sottostante emiciclo), fiancheggiato a d. da
tabernae quasi rase al suolo e a sin. da alte murature romane
sorreggenti quelle medievali, verso un arco, oltre il quale la via
proseguiva, sempre fiancheggiata da botteghe, alla volta della torre
del Grillo. Sul tratto di d. della «via Biberatica», piano e rettilineo, si
aprono sui due lati tabernae che sono sormontate da pareti con resti
di balconi su mensole di travertino.
Per una scala antica all’interno della bottega d’angolo si scende a
un CORRIDOIO voltato sul quale affaccia una serie di TABERNAE e, quindi,
alla strada che costeggia il grande *EMICICLO: in basso si aprono 11
TABERNAE in laterizio con porte incorniciate di travertino, mentre la
parte sopra le tabernae presenta una serie di piccole finestre ad arco
in laterizio che affacciano sul precedente corridoio; ai lati dell’emiciclo,
in basso, sono due AULE ABSIDATE, mentre nella piazza sono resti di una
chiesetta medievale.
Dai mercati di Traiano un passaggio sotto via Alessandrina
conduce al foro omonimo (v. sopra).

MUSEO DEI FORI IMPERIALI. Dopo il restauro conservativo (non


ancora concluso), il complesso monumentale dei Mercati di Traiano è
divenuto sede di questo museo (t. 060608; www.mercatiditraiano.it),
pensato come integrazione dell’itinerario di visita del complesso
archeologico all’aperto, dal quale provengono i materiali costituiti da
decorazioni architettoniche e scultoree. L’esposizione è articolata in
sezioni corrispondenti agli altrettanti complessi forensi. L’obiettivo è di
documentare l’evoluzione topografica dell’insediamento prima e dopo
la fase imperiale nonché i suoi influssi sulle piazze forensi delle città
provinciali, e di ricontestualizzare i frammenti e i materiali esposti al
fine di illustrare i caratteri peculiari dell’architettura e della
decorazione degli edifici forensi.
Il Museo rappresenta l’accesso all’area archeologica dei Fori da
nord: per questo motivo, al piano terra della Grande Aula è prevista
l’introduzione alla visita di tutta l’area forense attraverso un apposito
apparato multimediale e per mezzo di alcune sale dedicate ai singoli
Fori, ognuno simboleggiato da un pezzo particolarmente significativo.
Al piano superiore dell’Aula si snodano due sezioni dedicate
rispettivamente al Foro di Cesare (ambienti verso la via Biberatica) e
alla «Memoria dell’Antico». Allo stesso livello, l’itinerario prosegue
nelle sale del corpo centrale dedicate alla decorazione architettonico-
scultorea dei portici, delle esedre e dell’aula del Colosso del Foro di
Augusto, anche con l’ausilio di prestiti e calchi di materiali non più
conservati a Roma, o conosciuti solo da imitazioni realizzate per i Fori
delle capitali provinciali di poco successivi.

SALA INTRODUTTIVA. Vi è esposta la testa di Costantino,


eccezionale ritrovamento (2005) durante gli scavi nell’area del Foro di
Traiano. La testa dell’imperatore è stata scolpita rilavorando i tratti di
un precedente ritratto non più identificabile: dell’immagine più antica
si conservano un’evidente stempiatura e tracce di un diadema,
successivamente eliminato, che la qualificano come appartenente a un
personaggio di rango imperiale. La scoperta sembra attestare la
prosecuzione nel Foro di Traiano delle gallerie di ritratti imperiali,
presenti sui clipei dell’attico dei portici, con nuove sculture di epoca
tardo antica.
FORO DI CESARE. Sono esposti i pochi rinvenimenti della fase
cesariana, tra cui i frammenti pertinenti all’ordine del portico e a
quello di pilastri, opere di maestarnze locali che rappresentano
un’importante e rara testimonianza del momento di formazione della
tradizione decorativa romana, quando, in seguito anche all’apertura
delle cave di marmo lunense, l’uso del tradizionale tufo o travertino
stuccato venne rimpiazzato da quello del marmo. La fase traianea è
documentata da alcuni frammenti pertinenti alla decorazione del
tempio di Venere Genitrice.
FORO DI AUGUSTO. Il museo dedica al Foro di Augusto numerose
sale espositive contenenti diverse ricomposizioni architettoniche
pertinenti al tempio di Marte Ultore, agli ordini dei portici e delle
esedre. Una delle ricomposizioni più significative riguarda una
partizione dell’ordine attico dei portici del Foro che è collocata nella
Grande Aula.
SEZIONE MEMORIA DELL’ANTICO. Il tema è affrontato attraverso
sculture ed elementi architettonici pertinenti il tempio di Marte Ultore,
già conosciuti e riprodotti dal Quattrocento in poi.
TEMPIO DELLA PACE. La denominazione Templum Pacis, nota dalle
fonti antiche, ne riflette la diversità progettuale e planimetrica rispetto
agli altri Fori di committenza imperiale, e ne sottolinea il carattere
sacro. Durante gli scavi sono stati recuperati 52 frammenti di un
labrum (vasca circolare) in porfido rosso di età severiana, spezzati
volontariamente per essere reimpiegati in un muro altomedioevale. Ne
è presentata la ricomposizione assieme a frammenti di basamenti di
statue con iscrizioni in greco, oltre ad una testa bronzea
rappresentante il filosofo Crisippo.
FORO DI NERVA. Vi emerge la ricomposizione della figura femminile
identificata come «Provincia», in origine collocata sull’attico dei portici,
assieme ai frammenti architettonici che ne completavano la
decorazione.
FORO DI TRAIANO. In questa sezione ha trovato posto la statua
acefala di un personaggio loricato in marmo bianco importata dall’isola
greca di Thasos. La raffinata decorazione della corazza, con grifoni in
posizione araldica ai lati di uno stelo emergente da un cespo d’acanto,
richiama un motivo largamente presente nei fregi figurati del
complesso.
IL FORO DI CESARE. Da piazza della Madonna di Loreto s’imbocca
via dei Fori Imperiali lasciando a d., subito dopo il Vittoriano, la ripida
via di S. Pietro in Carcere → che sale a piazza del Campidoglio → e
costeggiando sullo stesso lato il complesso (v. anche →), scavato nel
1932 per poco più di un quarto dell’estensione originaria e segnalato
nel giardino dalla statua dell’imperatore, riproduzione bronzea di
quella marmorea nel Palazzo Senatorio.

LA STORIA. Iniziato da Cesare, consacrato nel 46 a.C. e ultimato


da Augusto, il foro presentava un semplice impianto: una piazza
rettangolare allungata (c. m 160x75) e circondata da portici, con il
tempio di Venere Genitrice addossato al fondo. In occasione della
costruzione del proprio foro, Traiano ricostruì anche questo,
ampliando la piazza verso O ed erigendo la «basilica Argentaria».
LE STRUTTURE VISIBILI. Al foro – se ne osserva c. metà della
piazza, con alcune colonne, ascrivibili al rifacimento operato da
Diocleziano, del lato SO del porticato doppio e alle spalle di questo
una serie di TABERNAE in blocchi di pietra gabina e travertino – si
scendeva da una scala in travertino al limite del «clivus Argentarius»,
l’antica strada, in parte conservatasi, che correva tra il foro e il
Campidoglio e ai lati della quale sono resti o tracce di tabernae in
laterizio. In seguito allo scavo sono state rialzate tre colonne,
sormontate da trabeazione, del TEMPIO DI VENERE GENITRICE, in origine
con otto colonne sulla fronte e nove sui lati mentre il fondo ne era
privo in quanto addossato al terreno; del complesso restano il podio e,
a terra, frammenti ascrivibili al rifacimento traianeo. La doppia serie di
pilastri in laterizio sorreggenti volte sono da riferire alla «BASILICA
ARGENTARIA» (dei banchieri): sul rivestimento d’intonaco che ricopriva
le pareti sono stati scoperti graffiti di versi dell’«Eneide». Nel
Medioevo vi venne adattata una chiesetta, di cui rimane il pavimento a
marmi colorati.
Oltre via del Tulliano, la parte restante del foro è dal 1999
oggetto di una campagna di scavo volta a riportare in luce altri 3500
m2 del complesso.
IL FORO DI AUGUSTO. Anche sul lato opposto di via dei Fori
Imperiali, copie moderne in bronzo delle statue di Traiano, Augusto e
Nerva segnalano (nelle aree a verde nel 1999 in smantellamento nel
quadro della campagna di scavo intrapresa a metà anni ’90) i rispettivi
retrostanti fori. Adiacente ai mercati di Traiano si stende il *foro di
Augusto (v. anche →), votato prima del 42 a.C. ma inaugurato solo
nel 2 a.C.; sull’esedra a sin. si impostò nel sec. XV la casa dei Cavalieri
di Rodi →.

LA STORIA. Il foro s’ispira nella pianta a quello di Cesare: grande


piazza porticata (m 125x118) e, sullo sfondo, il tempio dedicato a
Marte Ultore; verso il fondo il complesso era chiuso da un grandioso
muro a blocchi di peperino e pietra gabina con ricorsi e copertura di
travertino (alto c. m 30 e ben visibile dalla retrostante via Tor de’
Conti), eretto a protezione dai frequenti incendi nella Suburra, nel
quale furono lasciati due passaggi (quello a d. fu chiamato nel
Medioevo arco dei Pantani a causa dell’impaludamento della zona).
Parti limitate del foro e del tempio furono scavate nei sec. XV-XVIII, nel
1888-90 e in maniera più consistente nel 1924-32 nell’ambito del
progetto di recupero dei Fori pensato da Corrado Ricci; la metà
anteriore, nascosta sia sotto via Alessandrina sia sotto le aiuole, è
interessata da una campagna di scavo.
LE STRUTTURE RIMESSE IN LUCE. Nell’area, che conserva parte della
pavimentazione in lastre di marmo, restano tracce del portico di sin.,
all’estremità del quale era l’aula del Colosso: l’ambiente, che custodiva
la statua, alta c. m 14, di Augusto (ne rimane la base addossata alla
parete di fondo), era alle pareti rivestito di marmi e decorazioni,
mentre lungo i muri di fondo e lungo quelli delle esedre che si
aprivano nelle pareti di fondo dei portici erano disposte statue di
marmo.
Al centro si colloca il *TEMPIO DI MARTE ULTORE, cui si accedeva da
una scalinata che conserva al centro resti dell’ara. Il podio era in
blocchi di tufo ricoperto di marmo lunense, materiale utilizzato per le
otto colonne del pronao, in parte rialzate, e le otto dei lati (ne
rimangono integre tre del fianco d., alte m 15); la cella, coperta da un
tetto a doppio spiovente (gli incassi nel muro di fondo sorreggevano le
travi), aveva, a ridosso delle pareti interne, colonne inquadranti
nicchie con statue e, nel fondo, un’abside che ospitava le statue di
Marte, di Venere e, forse, del Divo Giulio.
Addossati al podio del tempio erano due archi di trionfo, dedicati
a Druso e Germanico.

IL FORO DI NERVA (v. anche →), comunicante con quello di


Augusto, era chiamato anche «forum Minervae» o «Palladium» dal
tempio dedicato dalla dea, e «Transitorium» o «Pervium» perché
punto di passaggio tra la Suburra e il Foro Romano.

Iniziato da Domiziano e compiuto da Nerva nel 97, era lungo c. m


150 ma largo solo m 45, essendo ricavato nello stretto spazio libero
tra i vicini, preesistenti complessi; la piazza, conclusa dal tempio cui si
appoggiava dall’esterno un’esedra aperta verso la Suburra (la
«Porticus Absidata»?), era recintata da muri in blocchi di peperino, ai
quali si addossavano, a causa della ristrettezza dell’area, le colonne
del portico.
LE STRUTTURE DEL COMPLESSO rimesse in luce, cui si può accedere
anche attraverso il foro di Augusto, appartengono al TEMPIO DI MINERVA,
di cui resta il nucleo informe del podio, e a d., come parte del portico,
le cosiddette *COLONNACCE, sorreggenti un attico con fregio a
bassorilievo (Minerva e scene di lavori femminili). Sul lato di via dei
Fori imperiali contermine all’area archeologica del Foro Romano, la
campagna di scavo intrapresa nel 1995 ne sta portando alla luce altre
strutture.

IL FORO DELLA PACE (v. anche →), che si stendeva a SE del


precedente, fu costruito da Vespasiano nel 71-75 e impostato su una
piazza a portici quasi quadrata (c. m 130x130) con in fondo l’omonimo
tempio; distrutto da un incendio nel 192 e restaurato da Settimio
Severo, dopo il sec. V cadde in rovina. Del complesso, ancora quasi
interamente sepolto (un’esedra del portico si trova sotto la torre dei
Conti: →, mentre una campagna di scavi ne sta riportando alla luce c.
5500 m2 tra l’entrata all’area archeologica del Foro Romano e la
basilica di Massenzio), la biblioteca venne trasformata nella chiesa dei
Ss. Cosma e Damiano (v. sotto).

S. LORENZO IN MIRANDA. Lasciata a sin. via Cavour →, via dei Fori


Imperiali si apre a d., presso largo Romolo e Remo, sulla magnifica
vista del Foro Romano e del Palatino. Salendo una scaletta a sin.
dell’ingresso all’area archeologica →, si giunge in via in Miranda, dove,
nel breve tratto di d., è la chiesa che occupa la cella e una parte del
pronao del tempio di Antonino e Faustina →; la trasformazione in
luogo di culto cristiano avvenne forse nel sec. VII-VIII ma la prima
menzione è del 1192 (nel 1430 Martino V la concesse al collegio degli
Speziali – oggi Collegio Chimico Farmaceutico – che ne ha tuttora il
giuspatronato), mentre la facciata in laterizio a due ordini di paraste e
grande timpano spezzato a sesti curvi, visibile dal Foro, fu realizzata in
carattere già barocco nella ricostruzione fatta da Orazio Torriani nel
1601-1614. All’altare maggiore, attribuito a Pietro da Cortona (1636-
46), Martirio di S. Lorenzo pure del da Cortona (1646); nella 1ª
cappella sin. Madonna col Bambino e santi del Domenichino (c. 1626),
al quale è pure attribuito il disegno degli stucchi.
I SS. COSMA E DAMIANO. Via in Miranda scende verso via dei Fori
Imperiali costeggiando a d. il nuovo prospetto (Gaetano Rapisardi,
1947) della basilica, costituita dalla fusione di due edifici classici – la
biblioteca del foro della Pace → e un’aula del tempio del Divo Romolo
sulla «via Sacra» → – donati da Teodorico e Amalasunta a Felice IV
che li adattò a chiesa dedicandoli ai santi fratelli medici in
contrapposizione al culto dei Càstori nel vicino tempio →; ai lavori
condotti, su progetto di Orazio Torriani, da Luigi Arrigucci sotto
Urbano VIII intorno al 1632 si deve l’aspetto attuale, con il pavimento
rialzato di 7 m fino al nuovo livello del Campo Vaccino (la parte
inferiore degli antichi ambienti divenne una specie di cripta).

L’INTERNO. Da un arco di travertino, creato nella risistemazione


del 1947 (nell’ambiente a sin. dell’accesso alla chiesa restano il
pavimento a lastre di marmo del foro della Pace e, nella parete
laterizia di fondo, i fori delle grappe cui erano appese le 150 lastre
della «Forma Urbis»), si entra nel CHIOSTRO, opera dell’Arrigucci (1626-
32), con affreschi di Francesco Allegrini.
Di tipo controriformista, l’aula, con tre cappelle per lato più una
minore di fronte all’ingresso attuale (quello originale era dalla rotonda
del tempio del Divo Romolo ora a d.), ha un ricco soffitto in legno
dorato e dipinto (Gloria dei Ss. Cosma e Damiano di Marco Tullio
Montagna, 1632 ma malamente ritoccata) e, alle pareti, affreschi
(storie dei santi titolari) di G.B. Speranza. 1ª cappella d.: Crocifisso,
affresco forse del sec. XIII ma ridipinto, interessante per l’iconografia
(il Cristo è vestito). 2ª: la decorazione è di Giovanni Baglione (1638).
3ª: S. Antonio col Bambino dello Spadarino e affreschi dell’Allegrini.
L’ABSIDE, del tempo di Felice IV, si presenta oggi sproporzionata per
l’innalzamento del pavimento, e l’arco trionfale tagliato ai lati con la
perdita di alcune figure. I mosaici risalgono al sec. VI-VII: sull’arco
trionfale Apocalisse con l’Agnello mistico fra i sette candelabri, quattro
angeli, i simboli degli evangelisti Luca e Giovanni e, più sotto, alcuni
dei 24 Seniori offerenti corone (epoca di Sergio I); nel catino (del
tempo di Felice IV), *Cristo tra i Ss. Pietro (d.) e Paolo che presentano
rispettivamente i Ss. Cosma e Damiano accompagnati da S. Teodoro e
Felice IV con il modello della chiesa e in basso, sotto le pecore
convergenti all’Agnello, iscrizione di Felice IV (la figura del papa e le
tre pecore a sin. sono state quasi del tutto rifatte sotto Urbano VIII).
Altare maggiore (Domenico Castelli, 1637), con quattro colonne di
marmo provenienti da quello antico: Madonna col Bambino detta della
Salute o di S. Gregorio, tavola di scuola romana del sec. XIII; a d.
dell’altare, coevo candelabro cosmatesco. In SAGRESTIA, ciborio
cosmatesco (sec. XIII). 2ª cappella sin.: affreschi dell’Allegrini.
La CHIESA INFERIORE, cui si accede da una porta nel chiostro,
conserva resti di pavimento pre-cosmatesco e l’antico altare in
pavonazzetto (sec. VI-VII).

VIA DEI FORI IMPERIALI, nell’ultimo tratto, ha tagliato la Velia,


altura che collegava il Palatino con l’Esquilino chiudendo la valle del
Colosseo (il terrazzamento a sin. sostiene il residuo giardino di palazzo
Rivaldi: →); a d., sul rivestimento moderno della superficie del
muraglione costantiniano a ridosso della basilica di Massenzio →, sono
affisse quattro tavole marmoree (su disegno di Antonio Muñoz)
illustranti l’espansione di Roma dalle origini all’impero di Traiano.
Poco oltre, una scaletta sulla d. sale a uno slargo da dove, con
percorso segnalato, si raggiunge la chiesa di S. Maria Nova, oggi nota
come S. Francesca Romana, costruita nel sec. IX su un precedente
oratorio di Paolo I, ampliata nella seconda metà del X, quando prese il
nome di Nova per distinguerla da S. Maria Antiqua nel Foro Romano, e
restaurata a metà XII (campanile e decorazione dell’abside). Dal XV fu
dedicata a Francesca Romana perché la santa, fondatrice del
monastero di Tor de’ Specchi →, pronunciò qui l’oblazione del 1425.
La facciata in travertino (Carlo Lambardi, 1615), di derivazione
palladiana ma con raccordi a volute e aperta in basso dalle tre arcate
del portico di ordine tuscanico, è strutturata nella parte centrale da
due coppie di paraste corinzie giganti su alti plinti, con finestra-
balcone e timpano coronato da statue; l’elegantissimo campanile a
cinque piani, con bacini in maiolica e croci in porfido, fu eretto a metà
sec. XII e restaurato nel 1916-17.

L’INTERNO DI S. FRANCESCA ROMANA, a navata unica con cappelle


laterali, risale alla seconda metà del ’600; il soffitto a cassettoni è su
disegno del Lambardi (1612). 1ª cappella d.: nella volta, dottori della
Chiesa della scuola di Melozzo da Forlì. Nel vano dell’ingresso laterale,
monumenti funebri del cardinale Marino Vulcani (m. 1394; attribuito a
Paolo Taccone) e di Antonio da Rio (m. 1450; Mino del Reame). Al
termine della navata, sotto l’arco santo, Confessione, su disegno di
Gian Lorenzo Bernini (1644-49): sotto l’edicola con quattro rare
colonne di diaspro, statua di S. Francesca Romana e l’angelo di Giosuè
Meli (1866). TRANSETTO DESTRO. Dietro una grata sulla parete, i Silices
Apostolici (pietre di basalto collegate alla leggenda della caduta di
Simon Mago) con impronta ritenuta di S. Pietro; contro la parete sin.,
monumento funerario di Gregorio XI, eretto dal Popolo romano in
ricordo del ritorno del papa da Avignone, con rilievi di Pietro Paolo
Olivieri (1584). ALTARE MAGGIORE. Madonna con Bambino, tavola del sec.
XII restaurata nel 1949 entro un tabernacolo di fine XV; ai lati, Martirio
di S. Nemesio e compagni di Domenico Maria Canuti (1684). Nel
catino absidale, *Madonna con Bambino e santi, mosaico della
seconda metà del sec. XII; sull’arco, profeti di Cesare Maccari (1870).
Sotto il transetto si dispone la CRIPTA, con tomba della santa sistemata
nel 1868 da Andrea Busiri Vici e medaglione marmoreo (S. Francesca
Romana e l’angelo) di scuola berniniana. 1ª cappella sin.: Natività di
Carlo Maratta; a sin. Il beato Tolomei e il diavolo attribuito al Canuti.
La SAGRESTIA, cui si accede dal transetto sin., ospita: la Madonna
Glycophilusa, preziosa icona (prima metà sec. V) proveniente da S.
Maria Antiqua e ritrovata sotto quella sull’altare maggiore nel restauro
del 1949; *Madonna in trono fra i Ss. Benedetto e Francesca Romana
di Girolamo da Cremona; Madonna in trono e santi di Sinibaldo Ibi
(1524; firma); Paolo III e il cardinale Reginald Pole attribuito a Perin
del Vaga o al Sermoneta; *Miracolo di S. Benedetto di Pierre
Subleyras (1744; firma); Trinità e il beato Tolomei di Giacinto Brandi.

L’ANNESSO MONASTERO mostra nell’ala a sin. della chiesa strutture


medievali, con archi terreni e muri a scaglie di travertino e peperino;
l’ala verso l’arco di Tito – oggi sede della Soprintendenza archeologica
di Roma e dell’Antiquarium forense → – fu riedificata in dimensioni
ridotte e in veste neoclassica da Giuseppe Valadier (1816).

IL TEMPIO DI VENERE E ROMA. Ritornati allo slargo, si scende lungo


il clivo di Venere Felice, rasentando a d. questo luogo di culto romano,
iniziato nel 121 da Adriano che con esso volle palesare il suo rifiuto
dell’architettura sacra romana su podio, terminato da Antonino Pio e
restaurato nel 307 da Massenzio. Posto su una gigantesca piattaforma
– risultata dalla modifica di quanto restava del vestibolo della Domus
Aurea (→; in tale occasione venne spostato il colosso di Nerone: →) –
e cinto da due portici che presentavano al centro un piccolo propileo e
lasciavano aperti i fronti, l’edificio, decastilo corinzio (10x19 colonne),
presentava una doppia cella dalle absidi contrapposte, che all’interno
erano ornate di nicchie e che ospitavano le statue di Venere (lato
verso il Colosseo) e di Roma (lato verso il Foro; questa parte è
compresa nell’area dell’Antiquarium forense).
PIAZZA DEL COLOSSEO, al termine della discesa, corrisponde
all’antico avvallamento tra il Celio, il Palatino, la Velia e l’Oppio che
concludeva a E il Foro Romano. Le indagini archeologiche hanno
evidenziato che la valle, cui la dinastia flavia impresse quel carattere
pubblico-monumentale poi ribadito da Adriano e Costantino, già tra il
sec. II e la prima metà del I a.C., e poi in età augustea, costituì una
zona urbanisticamente sviluppata; le strutture abitative e i tracciati
viari furono obliterati dal riassetto neroniano, e l’area fu inglobata
nella reggia dell’Esquilino.
L’apertura delle vie dell’Impero e dei Trionfi (l’attuale via di S.
Gregorio: →), oltre a distruggere il suggestivo carattere di luogo
solitario ai margini dell’abitato che la zona aveva mantenuto fino a
tutto il sec. XIX, ha accelerato, a causa dell’intenso traffico, il degrado
dei monumenti; dal 1981, a seguito dei restauri dell’arco di Costantino
e del Colosseo e degli scavi della «Meta Sudans», gran parte della
piazza è stata pedonalizzata, recuperando una dimensione più
consona all’eccezionalità del luogo.
L’ANFITEATRO FLAVIO (t. 067740091;
www.archeorm.arti.beniculturali.it), al centro dello slargo, è
universalmente noto come *Colosseo (questo nome risale però al
Medioevo) ed è il monumento più grande della romanità giuntoci,
nonché il «simbolo dell’eternità di Roma».

LA STORIA. Fu Vespasiano a decidere la costruzione, nell’area


occupata da un lago artificiale annesso alla Domus Aurea, del primo
anfiteatro stabile della città, che andò a sostituire precedenti strutture
minori o provvisorie; dedicato nel 79 e inaugurato nell’80 da Tito con
giochi che si dice siano durati 100 giorni, venne completato nella parte
sommitale da Domiziano e restaurato da Severo Alessandro, che rifece
il colonnato della «summa cavea». Nel tardo Impero fu adibito a
«venationes» (cacce), nel Medioevo, dopo che svariati terremoti lo
avevano danneggiato, fu trasformato in fortezza (appartenne ai
Frangipane e agli Annibaldi), per passare nel 1312 al Senato e al
Popolo romano. Divenuto una cava di materiali per cantieri edilizi, con
Benedetto XIV, che lo consacrò alla Passione di Gesù (attorno
all’arena furono costruite 14 stazioni della Via Crucis), si pose fine alla
devastazione della struttura, anche se solo al ministero di Guido
Baccelli risalgono i lavori per l’isolamento dell’esterno e lo scavo delle
strutture interne sotterranee. Il Colosseo è stato sottoposto a recenti
interventi di riqualificazione con la ricostruzione (completamente
reversibile) di parte della scena, nel totale rispetto del monumento.
L’Anfiteatro è stato restituito alla sua funzione di luogo di spettacolo e
di scenario straordinario di eventi culturali. Nel 2000 il Colosseo è
stato inoltre scelto, su iniziativa del Ministero per i Beni e le Attività
culturali in collaborazione con il Comune di Roma, Amnesty
International, la Comunità di S. Egidio e l’associazione «Nessuno
tocchi Caino», come emblema della lotta contro la pena di morte.
Ogni volta che nel mondo viene sospesa un’esecuzione capitale o un
Paese decide di abolire la pena di morte, l’Anfiteatro Flavio si illumina
di una luce particolare.

LA FACCIATA ESTERNA, alta m 48.5 e in travertino, presenta una


triplice serie di 80 archi, inquadrati da semicolonne su tre ordini
(dorico, ionico, corinzio), su cui poggia un attico a paraste corinzie
coronato da mensole e scandito da una finestra e da uno spazio piano
per il «clipeus»; gli archi del secondo e terzo piano presentano un
parapetto continuo con un dado di base sotto le semicolonne, mentre
nei fori quadrangolari della cornice terminale alloggiavano i sostegni
per il «velarium» che riparava gli spettatori dal sole.

L’ARENA ELLITTICA INTERNA (m 86x54) era separata dalla cavea


mediante un alto podio, adorno di nicchie e marmi e protetto da una
balaustra dietro la quale sedevano i personaggi di rango. La cavea, in
marmo, era ripartita in senso orizzontale in «maeniana» (balconate) e
in quello verticale in settori circolari («cunei») da scalette e accessi
(«vomitoria»); la parte alta, riservata alle donne, era divisa dalle fasce
inferiori mediante un muro, dietro il quale erano gradoni in legno
protetti da un colonnato; il tetto di quest’ultimo era destinato alla
plebe. Nei sotterranei dell’arena, che presentava due ingressi
monumentali alle estremità dell’asse maggiore, correvano gallerie per
la custodia delle belve e delle attrezzature sceniche e per gli
ascensori. Il massiccio impiego della volta e dell’arco consentì un alto
livello di sicurezza, dal momento che i c. 50000 spettatori accedevano
e defluivano per mezzo di corridoi anulari a volta attraversati da scale
in direzione dei piani e dei «vomitoria».

IL COLOSSO DI NERONE. Sul piazzale che circondava il Colosseo


Adriano spostò dalla Domus Aurea la statua in bronzo dorato che
l’imperatore fece creare a Zenodoro, dopo l’incendio del 64,
raffigurando se stesso, con la testa cinta di raggi, nelle sembianze del
Sole; un basamento piantato a cipressi, a d. dello sbocco di via dei
Fori Imperiali nella piazza, indica il luogo dove essa allora sorgeva.

L’*ARCO DI COSTANTINO. Sull’angolo SO della piazza, a segnare


l’inizio dell’antica via dei Trionfi (l’attuale via di S. Gregorio: →), è il
più grande e meglio conservato tra quelli antichi a Roma, che il
Senato e il Popolo fecero erigere nel 315 per il decennale
dell’imperatore e a ricordo della vittoria su Massenzio del 312 (alcuni
studi ipotizzano però sia più antico); incorporato nel Medioevo nelle
fortificazioni dei Frangipane, venne restaurato nel sec. XVIII e liberato
nel 1804.

A tre fornici e con colonne libere in marmo numidico sui fronti, fu


in parte decorato con rilievi e sculture di spoglio (indicate nel testo
con un asterisco): le statue dei Barbari prigionieri (pianta I, 1, 4, 5 e
8) sulla sommità delle colonne e il fregio sui lati dell’attico (pianta II
→, 1) e all’interno del fornice centrale (pianta I, A) sono traianei; i
tondi sopra i fornici minori (pianta I, 9, 10, 18 e 19) sono adrianei, i
rilievi nell’attico ai lati dell’iscrizione (pianta I, 2, 3, 6 e 7) sono
aureliani. I rilievi creati all’epoca di Costantino presentano nelle
figurazioni allegoriche un’impostazione classicista, stanca e
disegnativa; quelli storici sono invece espressione del gusto
stereometrico del tempo.

I RILIEVI. FRONTE NORD (verso il Colosseo; pianta I). *1, *4, *5, *8:
Daci prigionieri; *2: Trionfo dell’imperatore Marco Aurelio nel ritorno a
Roma (174); *3: L’imperatore, nel ritornare a Roma, è salutato dalla
Via Flaminia personificata; *6: L’imperatore distribuisce pane e denaro
al popolo; *7: L’imperatore interroga un re germano prigioniero; *9:
Caccia al cinghiale; *10: Sacrificio ad Apollo; 11: Costantino parla al
popolo; 12, 13, 21, 22: Fiumi; 14, 15, 23, 24: Vittorie con legionari
romani e prigionieri barbari; 16, 17: Vittorie; *18: Caccia al leone;
*19: Sacrificio a Ercole; 20: Costantino distribuisce le tessere; 25:
«Imperatori Caesari Flavio Constantino Maximo pio felici augusto
Senatus Populusque Romanus quod instinctu divinitatis mentis
magnitudine cum exercitu suo tam de tyranno quam de omni eius
factione uno tempore iustis rem publicam ultus est armis arcum
triumphis insignem dicavit» (All’imperatore Cesare Flavio Costantino
Massimo pio felice augusto il Senato e il Popolo romano dedicarono
questo arco insigne per trionfi perché, per stimolo della divinità e per
grandezza di mente, rivendicò col suo esercito, per mezzo di una
giusta guerra, lo stato sia dal tiranno sia, contemporaneamente, da
ogni fazione). FIANCO EST (verso il Celio; pianta II). *1: Combattimento
contro i Daci; 2: Il Sole; 3: Trionfo di Costantino. FRONTE SUD (verso via
di S. Gregorio; pianta I). *1, *4, *5, *8: Daci prigionieri; *2, *3:
episodi di guerra di Marco Aurelio; *6: Allocuzione dell’imperatore
all’esercito; *7: Sacrificio; *9: Partenza per la caccia; *10: Sacrificio a
Silvano; 11: Costantino conquista Susa; 12, 13, 21, 22: Fiumi; 14, 15,
23, 24: Vittorie con legionari romani e Barbari prigionieri; 16, 17:
Vittorie; *18: Caccia all’orso; *19: Sacrificio a Diana; 20: La vittoria a
ponte Milvio; 25: iscrizione speculare a quella del fronte nord. FIANCO
OVEST (verso il Palatino; pianta II): *1: Combattimento contro i Daci;
2: La Luna; 3: Trionfo di Crispo figlio di Costantino; al di sotto,
iscrizione commemorativa del restauro di Clemente XII. FORNICE
MEDIANO (A). Lato O: *Combattimento contro i Daci; lato E: *Traiano
entra vittorioso da porta Capena.

LA «META SUDANS». Nell’area immediatamente dietro il fornice N


dell’arco si riconoscono le fondazioni concentriche della monumentale
fontana voluta da Tito, rifatta da Domiziano e demolita nei resti in
superficie nel 1936; il più interno dei cilindri conteneva il saliente della
fontana (dalla quale l’acqua stillava come per sudore), la cui vasca
venne ampliata nel sec. IV.

IL «LUDUS MAGNUS». Sul lato E della piazza, tra le vie Labicana e


di S. Giovanni in Laterano (v. sotto), sono stati parzialmente rimessi in
luce dagli scavi del 1937 e 1959-61 i resti della principale caserma dei
gladiatori della città, consistenti nella metà N (età traianea) con
l’ingresso oggi ricalcato dalla scaletta; tutta in laterizio e con pianta
rettangolare su tre piani, il cortile porticato su cui si aprivano gli
alloggi includeva un piccolo anfiteatro per gli allenamenti, mentre un
corridoio sotterraneo la collegava al Colosseo.

Nelle vicinanze si trovavano altre palestre di gladiatori: i «Ludi


Dacicus», «Gallicus» e «Matutinus» costruiti da Domiziano.
Il casino Evangelisti, al margine dell’area archeologica, su via
Labicana, è una gradevole architettura seicentesca di G.B. Mola, con
altana a tre arcate su quattro fronti (le sopraelevazioni laterali sono c.
del 1950).

VIA DI S. GIOVANNI IN LATERANO, a d. dell’area del «Ludus


Magnus» e detta anche «stradone», fu aperta da Sisto V (1588) come
uno dei tre assi che si irraggiavano dal polo lateranense. Nelle
intenzioni del papa il percorso, progettato fino a S. Pietro attraverso il
Colosseo e il Campidoglio, doveva sostituire la medievale «via Papalis»
(per l’inquadramento →), ma, realizzato solo in parte, venne compiuto
con l’apertura di corso Vittorio Emanuele II e, successivamente, di via
dell’Impero (ora dei Fori Imperiali).
Degli edifici anteriori all’urbanizzazione di fine ’800 restano nel
primo tratto (numeri 2-14) il seicentesco casino Fini e a sin. la
facciata, attribuita a Giuseppe Sardi (1739), della ex chiesa di S. Maria
delle Lauretane, distrutta per la costruzione dell’Esattoria comunale
(1959-61).
*S. CLEMENTE. Avanti, la via si apre a sin. nella piazza che prende
nome dalla basilica e dal relativo convento, uno dei più straordinari e
ben conservati ‘palinsesti’ monumentali della città.

LA GENESI DELLA BASILICA. Accanto a un edificio pubblico anteriore


all’incendio di Nerone fu eretta nel sec. II una casa d’abitazione, nel
cui cortile fu ricavato nel successivo un mitreo, trasformato poco dopo
in sala suddivisa da pilastri e colonne in laterizio: forse la «domus
ecclesia» di Clemente, liberto martire sotto Domiziano e più tardi
identificato con l’omonimo papa, le cui reliquie furono portate a Roma
nel sec. VIII e custodite nella basilica eretta nel IV sopra la casa
cristiana. Tale edificio, danneggiato dall’incendio dei Normanni del
1084, fu interrato e rinforzato a sostenere la nuova costruzione, voluta
da Pasquale II ripetendo lo schema della precedente; nel 1713-19
Carlo Stefano Fontana conferì alla chiesa l’aspetto attuale, mentre lo
scavo delle strutture sottostanti fu condotto nel 1857-60 e completato
nel 1912-14.

ALL’ESTERNO è ancora riconoscibile, sotto il ‘maquillage’ tardo-


barocco, l’organismo romanico del sec. XII: un PROTIRO in laterizio, a
colonne di granito con capitelli antichi e cornice marmorea a intrecci
(sec. VIII-IX), precede il QUADRIPORTICO (pianta Basilica superiore, →; 1;
vi si accede normalmente dall’interno della chiesa) a colonne antiche
architravate con capitelli ionici, un cui lato fu rimaneggiato dal
Fontana come pronao della FACCIATA, a due ordini raccordati da volute
e ampio finestrone; anche il campanile risale al medesimo intervento.

L’INTERNO DELLA BASILICA SUPERIORE, benché alterato dagli


interventi settecenteschi (stucchi, affreschi e i tre ricchi soffitti lignei),
conserva la struttura di inizi sec. XII, a tre navate concluse da absidi e
divise da 16 antiche colonne lisce e scanalate (i capitelli in stucco sono
di restauro) interrotte al centro da due setti murari; il bel pavimento è
cosmatesco. NAVATA CENTRALE. Nel soffitto, Gloria di S. Clemente,
affresco di Giuseppe Chiari (1714-19); alle pareti sopra il cornicione,
storie di S. Ignazio (d.) e di S. Clemente (sin.), ciclo di affreschi
eseguiti tra gli altri da Pier Leone Ghezzi (a d. Martirio di S. Ignazio),
Giovanni Odazzi (a sin. Traslazione del corpo di S. Clemente) e
Sebastiano Conca (a sin. S. Clemente in Crimea, Apparizione
dell’angelo e Prodigio della fonte). Nel mezzo della navata è la *SCHOLA
CANTORUM (2), del sec. XII ma con elementi appartenenti alla chiesa
inferiore: i due amboni e il candelabro tortile sono cosmateschi. Un
recinto marmoreo, con plutei e transenne con monogramma di
Giovanni II (sec. VI), la divide dal PRESBITERIO (3), che ospita il ciborio
cosmatesco a quattro colonne di pavonazzetto e tettuccio a colonnine
(sec. XII); addossata all’abside, è la coeva cattedra episcopale. Il
catino è rivestito del pregevolissimo mosaico con il *Trionfo della
Croce, tra le opere di più alta qualità della scuola romana della prima
metà del sec. XII: al centro il Crocifisso con le 12 colombe (gli apostoli)
tra la Vergine e S. Giovanni; dalla base della croce, che poggia su un
cespo d’acanto, si svolge un motivo a girali che occupano tutto il
fondo racchiudendo piccole figure, mentre in basso i cervi si
abbeverano ai rivoli che sgorgano dalla croce; sull’arco trionfale, Cristo
con i simboli degli evangelisti, i Ss. Pietro e Clemente con Geremia e
la città di Gerusalemme (d.), i Ss. Lorenzo e Paolo con Isaia e la città
di Betlemme (sin.); nella fascia inferiore del mosaico, Agnus Dei con le
12 pecore (gli apostoli). Sotto il mosaico, Cristo, la Vergine e gli
apostoli, affresco ridipinto del sec. XIV; sul piedritto dell’arcone, edicola
con rilievo (Il cardinale titolare Giacomo Caetani adorante la Vergine,
1299).

NAVATA DESTRA. 1ª cappella (di S. Domenico; 4): scene della vita


del santo, tele attribuite al Conca. Di fianco al presbiterio (5),
monumento di Giovanni Francesco Brusati di Luigi Capponi (1485) e
*monumento del cardinale Bartolomeo Roverella (m. 1476) di
Giovanni Dalmata e aiuti. Cappella terminale (6): statua del Battista
(fine sec. XVI) e coevi affreschi attribuiti a Jacopo Zucchi.
NAVATA SINISTRA. Cappella terminale (7): Madonna del Rosario tra i
Ss. Domenico e Caterina del Conca (1714); a d. Madonna con
Bambino e S. Giovannino dello Zucchi. Alla parete sin. monumento del
cardinale Antonio Venier (m. 1479; 8), attribuito all’ambiente di Isaia
da Pisa, con colonnine e capitelli provenienti dal tabernacolo fatto
costruire nel sec. VI dal futuro Giovanni II (le sinopie sulla parete sono
quelle degli affreschi della cappella di S. Caterina). Chiusa da una
cancellata, la *cappella di S. Caterina (9) accoglie i celebri *affreschi
di Masolino da Panicale eseguiti per il cardinale Branda Castiglioni
probabilmente nel 1428-31 con la verosimile collaborazione di altri
artisti (Masaccio?); all’esterno del piedritto di sin. dell’arcata, S.
Cristoforo e, sull’arco soprastante, Annunciazione; nell’intradosso
dell’arcata, apostoli; nella volta della cappella, evangelisti e padri della
Chiesa; sulla parete di fondo, Crocifissione; sulla parete d. storie della
vita di S. Ambrogio; su quella sin., in due registri, scene della vita di S.
Caterina d’Alessandria.

ALLA BASILICA INFERIORE si scende dalla SAGRESTIA (10) attraverso


una scala decorata da frammenti di sculture e calchi in gesso
provenienti dalla basilica del sec. IV e dal mitreo. Il NARTECE (pianta
Basilica inferiore →, 1) accoglie sulla parete un affresco assai svanito
(Cristo benedicente e santi) del sec. IX e due dell’XI: *Miracolo di S.
Clemente con, sotto, S. Clemente, il committente Beno de Rapiza e la
sua famiglia e la Traslazione delle reliquie di S. Clemente. La NAVATA
CENTRALE ha gli intercolumni tamponati da muri che reggono con altri la
Basilica superiore ed è tagliata longitudinalmente dal muro di sostegno
del colonnato della navata d. di quella. A sinistra (2) affreschi poco
leggibili dell’epoca di Leone IV con l’Assunzione, in basso gli apostoli,
ai lati Leone IV (col nimbo quadrato dei viventi) e S. Vito; a fianco
Crocifissione (con Cristo vivente), Marie al sepolcro, Discesa di Gesù al
limbo, Nozze di Cana. Alla parete sin. (3) *Leggenda di S. Alessio,
affresco del sec. XI-XII con, sul registro superiore, parte di un pannello
con Cristo in trono fra angeli e santi; poco avanti (4), un altro affresco
raffigura la *Leggenda di Sisinnio (i comandi e gli appellativi che
accompagnano la scena dei servi di Sisinnio che portano una colonna
al posto del papa sono un importante documento del primissimo
volgare italiano), mentre sopra è la parte inferiore di un affresco con
S. Clemente in cattedra tra santi. NAVATA DESTRA. A metà della parete,
nicchia con Madonna in trono con il Bambino (sec. VIII-IX; 5).
Sarcofago con Fedra e Ippolito (sec. I; 6). NAVATA SINISTRA. Resti di una
tomba (7), forse di S. Cirillo.
Per una scala in fondo alla navata si scende, sotto le absidi delle
Basiliche superiore e inferiore, alle COSTRUZIONI ROMANE di età imperiale
e al MITREO (sec. III; 8), maestosa sala a volta ribassata – con
intradosso a superficie scabra di pomice per simulare una spelonca –
con banconi in muratura lungo le pareti laterali: nel mezzo è un’ara
marmorea (sulle facce, rilievi raffiguranti il dio che immola un toro,
due dadofori e un serpente, risalenti ai sec. III-IV). Seguendo il
percorso guidato si costeggiano mura che sono forse pertinenti alla
Zecca (II a.C.).
Dirigendosi verso l’uscita, dietro un cancello prima della scala si
nascondono le due più recenti scoperte del complesso: un volto di
Madonna databile tra IX e XI sec. e un BATTISTERO paleocristiano.

VERSO IL LATERANO. Lasciate a sin. le case popolari – primo


segnale dell’urbanizzazione moderna della zona – erette da Pio IX nel
1862 e prospettanti su piazza di S. Clemente, via di S. Giovanni in
Laterano, che da qui all’omonima piazza presentava fino a metà sec.
XIX carattere suburbano, prosegue tra edifici di fine ’800 fino a uno
spiazzo sulla d., dove confluiscono le vie dei Ss. Quattro → e di S.
Stefano Rotondo → e su cui affaccia la chiesa dei Ss. Andrea e
Bartolomeo, sorta forse nel sec. VII e ricostruita da Giacomo Mola nel
1634 assieme all’ospedale di S. Giovanni → cui si addossa; il semplice
prospetto (c. 1730) è a un ordine di paraste e include il portale
quattrocentesco.

NELL’INTERNO a sala trapezoidale sono un tabernacolo


quattrocentesco e a d., sopra la nicchia dell’altare, un affresco
bizantineggiante (Madonna col Bambino e angeli) proveniente dalla
distrutta chiesa di S. Maria Imperatrice.
Sulla destra, dopo l’ingresso originario (1348; N. 280)
dell’ospedale di S. Giovanni, è il portico architravato, con otto colonne
antiche e reperti archeologici, dall’antico ospedale di S. Michele.

L’AMPLISSIMA *PIAZZA DI S. GIOVANNI IN LATERANO, dove poco oltre


lo «stradone» sbocca, costituisce l’ingresso S della città storica ed è
articolata intorno al fulcro includente la basilica, il palazzo e il
Battistero; peculiarità della piazza è quella di accostare testimonianze
monumentali che rappresentano quasi una sintesi della cultura
architettonica romana: dall’obelisco egizio e i vistosi resti di età
imperiale al paleocristiano, dal romanico al tardo Rinascimento e al
barocco, fino allo storicismo ottocentesco e al «Novecento».

LA FORMAZIONE DELLO SPAZIO. Corrispondente all’estremità E del


Celio, il Laterano ospitò sin dagli inizi dell’Impero le residenze patrizie
(ne sono stati rinvenuti resti sotto la basilica, l’ospedale e la sede
dell’INPS in via dell’Amba Aradam), e qui venne eretto il monumento
equestre a Marco Aurelio ora nel Museo Capitolino. La residenza dei
Laterani, confiscata da Nerone, fu da Fausta, moglie di Costantino,
messa a disposizione del vescovo di Roma papa Melchiade divenendo
la residenza sua e dei successori, mentre l’imperatore volle erigere
accanto a essa (c. 313-318) la prima basilica cristiana. Il complesso
del palazzo e della basilica (Patriarchìo) decadde in seguito al
trasferimento dei papi ad Avignone e, dopo lo spostamento della
residenza pontificia in Vaticano, sacrificato alla radicale trasformazione
della piazza voluta da Sisto V, che fissò qui uno dei poli principali del
suo piano urbanistico; sotto la direzione di Domenico Fontana (1585-
89) furono aperti i rettifili di collegamento con S. Maria Maggiore, il
Colosseo e l’Appia Antica ed eretto alla loro confluenza l’obelisco-
segnale, nonché costruiti il nuovo Palazzo Lateranense, la loggia delle
Benedizioni e l’edificio della Scala Santa. La scenografia fissata
dall’intervento sistino fu arricchita nel ’600 (nuovo ospedale del
Salvatore e ospedale delle Donne), nel ’700 (facciata della basilica e
‘sistemazione’ del Triclinio Leoniano) e fino agli ultimi anni del governo
pontificio (convento annesso alla Scala Santa). L’urbanizzazione
dell’Esquilino decretò la scomparsa delle ville e giardini tra il Laterano,
S. Maria Maggiore e S. Croce in Gerusalemme: Leone XIII ricostruì la
parte absidale della basilica creando il braccio di collegamento col
Battistero, sotto Pio XI venne aggiunto l’edificio «novecentista» del
Pontificio Ateneo Lateranense. La carta qui sotto evidenzia le
trasformazioni effettuate.

Teatro fino all’esilio avignonese della cerimonia della presa di


possesso, da parte del neoeletto papa, della residenza vescovile e
della basilica cattedrale, la piazza ospita ancora oggi la festa della
notte di S. Giovanni (23-24 giugno), di antichissima origine pagana.

I NOSOCOMI DEL LATERANO. Allo sbocco dello «stradone» si trovano


a d. l’ospedale del Salvatore più noto come di S. Giovanni, fondato
dalla compagnia del SS. Salvatore ad Sancta Sanctorum nel 1348 e
ampliato da Everso dell’Anguillara nel 1462 (il corpo sulla piazza fu
eretto nel 1634-40 da Giacomo Mola coadiuvato da Carlo Rainaldi, con
prospetto austeramente spartito da un doppio ordine di lesene
inquadranti le finestre e i cinque ingressi e sormontato da un
campanile a vela), e a sin. l’ospedale delle Donne, oggi reparto
maternità, costruito da Giovanni Antonio De Rossi nel 1655-56
utilizzando in parte strutture di un ospizio duecentesco.
L’*OBELISCO LATERANENSE, che – in granito rosso – svetta al
centro della piazza in asse con via Merulana →, è il più antico e il più
alto (m 31; col basamento m 47) a Roma. Innalzato dai faraoni
Tutmes III e Tutmes IV nel sec. XV a.C. davanti al tempio di Ammon a
Tebe, fu trasportato a Roma da Costanzo II nel 357 e collocato nel
Circo Massimo; crollato e ritrovato nel 1587, fu qui trasferito da
Domenico Fontana.
LA LOGGIA DELLE BENEDIZIONI, sul lato S della piazza in contiguità
al Palazzo Lateranense (v. oltre), venne costruita da Domenico
Fontana nel 1586 in corrispondenza della testata del transetto d. della
basilica e affrescata all’interno da pittori tardo-manieristi (al piano
terra, statua bronzea di Enrico IV di Francia di Nicolas Cordier, 1608);
aperta da cinque arcate di travertino su due ordini a paraste
tuscaniche e corinzie e coronata da balaustra, vi poggiano due
campanili gemelli a trifore del sec. XIII (le cuspidi furono aggiunte
attorno al 1370).
IL *BATTISTERO LATERANENSE. A destra della loggia, di cui ripete le
linee col raddoppio delle paraste, è il corpo, edificato da Virginio e
Francesco Vespignani nel 1884, che piegandosi ad angolo si raccorda
col battistero, più correttamente S. Giovanni in Fonte, eretto da
Costantino contemporaneamente alla basilica su una villa del sec. I e
su un edificio termale del II, e modificato da Sisto III, che aggiunse
l’atrio a forcipe, e dai papi Ilario e Giovanni IV, che aggiunsero le
cappelle; dopo la sostituzione (1540) della cupola originaria con
l’attuale tiburio, venne restaurato da Domenico Castelli nel 1629-35 e
da Francesco Borromini nel 1657 (fregio esterno con elementi araldici
chigiani), mentre al 1967 risale l’eliminazione degli intonaci e delle
aggiunte ottocentesche.

L’INTERNO OTTAGONALE, cui si accede attraverso il portale risalente


ai restauri di Gregorio XIII (1575), è modello per questa tipologia
architettonica: al centro, un anello di otto colonne di porfido con
capitelli corinzi sorregge un architrave, pure ottagono, su cui corre
un’iscrizione in distici di Sisto III esaltante il battesimo; al di sopra è
un secondo ordine di colonne più piccole, in marmo bianco. Al centro
di un recinto circolare, del tempo di Urbano VIII, è un’urna di basalto
verde, già usata per il battesimo a immersione, con copertura in
bronzo del sec. XVII. Nel tamburo, storie del Battista, copie moderne
degli originali di Andrea Sacchi (1639-45) ora nel Palazzo Lateranense;
alle pareti storie di Costantino, affreschi di Andrea Camassei, Giacinto
Gimignani, Carlo Maratta (Distruzione degli idoli) e Carlo Mannoni.
CAPPELLA DEL BATTISTA, fondata da papa Ilario: la porta conserva gli
antichi battenti in bronzo; statua ènea del Battista di Luigi Valadier.
CAPPELLA DI S. RUFINA o dei Ss. Cipriano e Giustina, corrispondente al
nartece di Sisto III trasformato da Anastasio IV (1154): sopra la
porta, Crocifisso della scuola di Andrea Bregno (1492); nell’absidiola
sin., *mosaico del sec. V; uscendo all’esterno si vede l’antico ingresso
del Battistero, con frammento di architrave romano. Nell’abside d.,
Madonna attribuita al Sassoferrato. CAPPELLA DI S. VENANZIO, eretta nel
640 da Giovanni IV e decorata sotto papa Teodoro: soffitto ligneo
cinquecentesco; nell’abside e nell’arco trionfale, *mosaici (in alto,
busto del Salvatore fra due angeli e in basso la Vergine; a d. S. Pietro,
S. Giovanni Battista, il vescovo Donnione e Giovanni IV; a sin. S.
Paolo, S. Giovanni evangelista, S. Venanzio e papa Teodoro) di metà
sec. VII restaurati nel 1826-28; l’altare è di Carlo Rainaldi, la targa del
cardinale Francesco Adriano Ceva (a sin.) su disegno di Borromini
(1650). CAPPELLA DI S. GIOVANNI EVANGELISTA, dedicata da papa Ilario
(iscrizione): *battenti in bronzo di Uberto e Pietro da Piacenza (1196);
volta a mosaico della seconda metà del sec. V; altare tra due colonne
di alabastro, con statua ènea di S. Giovanni attribuita a Taddeo
Landini; pregevoli affreschi di Antonio Tempesta e Ambrogio
Buonvicino, autore anche degli stucchi (1597-1601); a sin., rilievo
funebre di Luigi Capponi.
La cancellata a d. del Battistero segna l’ingresso al Pontificio
Ateneo Lateranense, entro il cui recinto, all’inizio di via dell’Amba
Aradam, sussiste un’aula termale in laterizio (prima metà sec. III)
aperta da tre archi a doppia ghiera e in origine coperta da volta a
crociera.
IL PALAZZO LATERANENSE, il cui blocco, a sin. della loggia delle
Benedizioni, avanza sulla piazza, fu fatto costruire da Sisto V a opera
di Domenico Fontana (1586-89) in sostituzione del Patriarchìo;
dell’antico complesso venne ripreso in parte l’impianto nella nuova
costruzione, concepita come residenza estiva del papa. L’edificio, a
pianta quadrata, si presenta con tre prospetti equivalenti, a tre piani
di finestre a timpani curvi e triangolari e portale centrale con balcone,
ed è coronato da un’originale altana a colonne. Il modello di palazzo
Farnese fu reinterpretato con una severità in sintonia col rigore
controriformista; nel prospetto parallelo alla chiesa le aperture si
infittiscono verso sin. con un effetto ‘prospettico’ calcolato per la
veduta dallo «stradone».

I DIVERSI USI DEL PALAZZO. Trasformato in ospedale e poi in


archivio, fu restaurato sotto Gregorio XVI da Luigi Poletti e ospitò dal
1844 il Museo Gregoriano Profano, cui si aggiunsero il Museo Pio
Cristiano (1854) e quello Missionario Etnologico (1926). In seguito ai
Patti Lateranensi, che vennero qui firmati l’11 febbraio 1929, l’edificio
gode del privilegio dell’extraterritorialità e ospita dal 1967, dopo i
restauri radicali e il trasferimento dei musei in Vaticano, il vicariato di
Roma.
Nel 1987, al piano nobile, è stato costituito il Museo Storico
Vaticano (vi si accede dal portico della basilica di S. Giovanni;
www.mv.vatican.va), comprendente l’Appartamento papale e il Museo
storico vero e proprio. Il monumentale SCALONE conduce
all’*APPARTAMENTO PAPALE, che è composto di dieci sale e della CAPPELLA,
affrescate, sotto la direzione di Giovanni Guerra, da pittori tardo-
manieristi (tra gli altri, Cesare Nebbia, G.B. Ricci, Ventura Salimbeni,
Andrea Lilio, Ferraù Fenzone, Paris Nogari, Paul e Matthijs Brill); il
ciclo pittorico esalta la gloria di Sisto V attraverso motivi araldici, motti
e la rappresentazione delle imprese del suo pontificato, mentre il
complesso programma iconografico delle singole sale si propone come
una summa erudita della storia comune di Roma imperiale e cristiana
e della continuità fra Vecchio e Nuovo Testamento. Tre soffitti lignei
sono su disegno del Poletti, mentre i mobili risalgono ai sec. XVI-XIX, le
sculture lignee al XIII-XV, e gli arazzi provengono soprattutto dalle
manifatture Gobelins, Barberini e S. Michele; la SALA DELLA CONCILIAZIONE
mantiene l’orientamento e le dimensioni dell’aula dei papi del
Patriarchìo (il magnifico *soffitto ligneo a lacunari dipinti e dorati è del
1589); in essa fu firmato lo storico concordato fra la Santa Sede e lo
Stato italiano.
Il *MUSEO STORICO propriamente detto è disposto su tre lati del
LOGGIATO, affrescato nelle volte dai medesimi tardo-manieristi, che
affaccia sul CORTILE quadrato, a tre ordini di arcate (le superiori
cieche); consta di tre sezioni: quella intitolata ICONOGRAFIA DEI PAPI
spazia dal XVI al XXI secolo e vi spicca il ritratto di Marcello II (sec. XVI);
quella sul CERIMONIALE PONTIFICIO illustra le pratiche non più in uso in
Vaticano attraverso una serie di incisioni, dipinti e oggetti, come sedie
gestatorie, flabelli, troni e costumi delle cariche ereditarie della oggi
disciolta Famiglia Pontificia e di altri dignitari; quella sui CORPI ARMATI
PONTIFICI raccoglie armi, uniformi e cimeli. Notevole, inoltre, la
Collezione di paramenti sacri (sec. XVI-XIX) appartenuti a prelati della
famiglia Borghese.

LA SCALA SANTA. Si costeggia il prospetto N del palazzo avendo di


fronte l’edificio (propriamente, S. Lorenzo in Palatio ad Sancta
Sanctorum) voluto da Sisto V per conservare la cappella privata dei
papi («Sancta Sanctorum») al primo piano del Patriarchìo; per
accedervi fu riutilizzata la scala d’onore del palazzo, che da metà ’400
fu fantasiosamente identificata con quella del Pretorio di Pilato
percorsa da Gesù durante il processo (da qui l’appellativo). La
semplice architettura di Domenico Fontana (1589), in laterizio
intonacato, ripete lo schema della loggia delle Benedizioni; le arcate
furono chiuse nel 1853 da Francesco Azzurri.

L’INTERNO. Al centro dell’ATRIO, ornato di gruppi marmorei


(notevoli il Bacio di Giuda e l’Ecce Homo di Ignazio Jacometti), si
diparte la SCALA SANTA, affiancata da quattro scale e composta di 28
gradini in marmo con rivestimento in legno: alle pareti e nelle volte
storie dell’Antico Testamento e storie di Cristo, affreschi di G.B. Ricci,
Giacomo Stella, Paris Nogari, Andrea Lilio, Paul Brill, Giovanni Baglione
e altri. La Scala Santa, che si percorre in ginocchio, immette nella
cappella di S. Lorenzo, dov’è l’ingresso al «SANCTA SANCTORUM»
(l’interno è visibile solo attraverso le grate delle finestrelle), cosiddetto
per le reliquie che custodisce, il cui aspetto attuale risale al
rifacimento del 1278 a opera dei Cosmati: gli *affreschi sulla volta
(evangelisti) e nelle lunette sono del sec. XIII, i santi entro edicolette
ogivali sono di Giannicola di Paolo; nella volta del presbiterio, mosaico
con Cristo Pantocrator (fine XIII); sull’altare, protetta da sportelli,
immagine acheropita (non dipinta a mano) del Redentore, tavola del
V-VI, pesantemente ridipinta, cui è sovrapposta l’immagine su seta
(sec. XIII) riproducente l’originale.

IL TRICLINIO LEONIANO. A ridosso del lato d. della Scala Santa si


leva il singolare prospetto – a forma di abside inquadrata da un ordine
colossale di paraste, sormontata da timpano e preceduta da scalinata
– con il quale Ferdinando Fuga dette sistemazione nel 1743 al
mosaico della sala da pranzo dei papi all’interno del Patriarchìo, eretta
da Leone III a fine sec. VIII con absidi su tre lati e demolita nel 1733;
il mosaico (nel catino Cristo e gli apostoli; sull’arco, a d. S. Pietro
incorona Leone III alla presenza di Carlo Magno e a sin. Cristo
trasmette i poteri a papa Silvestro e a Costantino), qui ricomposto, ha
importanza solo iconografica.

PIAZZA DI PORTA S. GIOVANNI, contermine a piazza di S. Giovanni


in Laterano, prende il nome dall’apertura nelle mura Aureliane → ed è
comunemente nota (come piazza S. Giovanni) per i grandi raduni
sindacali e politici. Vi prospetta da ovest l’imponente facciata di *S.
Giovanni in Laterano (propriamente del SS. Salvatore e dei Ss.
Giovanni Battista e Giovanni Evangelista), la cattedrale di Roma.

LA STORIA. Gli scavi del 1877-78 e del 1934-38 hanno riportato in


luce, sotto la basilica, resti di una domus del sec. III e di un’altra, del I,
che nel successivo fu sostituita dalla seconda caserma della guardia a
cavallo dell’imperatore («Castra Nova Equitum Singularium»); tale
edificio venne tagliato da Costantino per la costruzione (c. 313-318)
della basilica, il cui schema era simile a quello dell’antica S. Pietro.
Danneggiata e restaurata più volte, nel ’400 ebbe l’interno affrescato
da Gentile da Fabriano e dal Pisanello; Sisto V aggiunse la loggia delle
Benedizioni e Clemente VIII fece ridecorare il transetto; Francesco
Borromini rimodellò, per incarico di Innocenzo X, le cinque navate. La
facciata in laterizio, rifatta da Alessandro III nella seconda metà del
sec. XII, sopravvisse fino al 1732 quando, in seguito a concorso, venne
sostituita dall’attuale, opera di Alessandro Galilei; a Leone XIII risale
invece la barbara ricostruzione dell’abside costantiniana, che era
l’unico elemento antico rimasto intatto.

LA GRANDIOSA, SOLENNE *FACCIATA del Galilei (1732-35) è a un


ordine colossale di paraste e semicolonne corinzie sorreggente la
trabeazione con timpano centrale e balaustra coronata da 15 statue di
Cristo, dei Ss. Giovanni Battista ed evangelista e dei dottori della
Chiesa. All’interno dell’ordine la facciata è svuotata in basso dal
portico architravato e in alto dalla loggia ad arcate, in una trascrizione
neopalladiana dell’invenzione cortonesca di S. Maria in via Lata.

IL PORTICO del Galilei (pianta a fronte, 1) ha volta a botte


ribassata ornata di lacunari e, al centro, dallo stemma di Clemente
XII. La porta mediana ha preziosi *battenti in bronzo provenienti dalla
Curia ma trasformati attorno al 1660 con l’aggiunta delle fasce di
contorno (stemmi di Alessandro VII) per adattarli alle dimensioni
dell’apertura attuale; l’ultima a d. è la Porta Santa, aperta solo negli
anni giubilari. A sinistra, statua di Costantino dalle terme erette
dall’imperatore sul Quirinale; sopra questa e sulle porte (quella sul
lato d. del portico dà accesso al Museo Storico Vaticano: →), altorilievi
marmorei (storie della vita del Battista) di Filippo Della Valle,
Bernardino Ludovisi, G.B. Maini e Pietro Bracci.

L’INTERNO. Lungo m 130 e basilicale a cinque navate già divise da


colonne, con transetto poco sporgente e abside, si presenta nel
rifacimento di Borromini (1646-50 e 1656-57; inattuato restò il
progetto di copertura a volta nervata), cui si debbono le sistemazioni
dei più antichi monumenti funebri e le cappelle laterali (la 1ª e l’ultima
dell’estrema navata d.; la 2ª e la 5ª di quella sin.).
Il sontuoso soffitto della NAVATA MEDIANA, disegnato forse da Pirro
Ligorio (gli ornati sono di Daniele da Volterra), fu iniziato nel 1562,
ultimato nel 1567 sotto Pio V, cui si deve la doratura, e restaurato da
Pio VI (stemma). Il pavimento, di tipo cosmatesco, presenta il motivo
della colonna gentilizia di Martino V. Contro i pilastri della navata
spiccano 12 edicole, su disegno di Borromini, con colonne di verde
antico e timpano fregiato dalla colomba pamphilia, dentro le quali
furono collocate prima del 1718 colossali *statue di apostoli; al di
sopra delle edicole, scene del Vecchio (sin.) e del Nuovo Testamento
(d.), altorilievi in stucco (1650) disegnati da Alessandro Algardi ed
eseguiti in parte dallo stesso (Cacciata dal Paradiso terrestre,
Battesimo, Crocifissione e Risurrezione di Gesù) in parte da Ercole
Antonio Raggi e Giovanni Francesco Rossi; più in alto, entro cornici
ovali, profeti (c. 1718): lungo il lato d. della navata, S. Taddeo di
Lorenzo Ottoni (sopra, Nahum di Domenico Maria Muratori), S. Matteo
di Camillo Rusconi (sopra, Giona di Marco Benefial), S. Filippo di
Giuseppe Mazzuoli (sopra, Amos di Giuseppe Nasini), S. Tommaso di
Pierre Legros (sopra, Osea di Giovanni Odazzi), S. Giacomo maggiore
del Rusconi (sopra, Ezechiele di Giovanni Paolo Melchiorri), S. Paolo di
Pierre-Étienne Monnot (sopra, Geremia di Sebastiano Conca); lungo
quello sin., S. Pietro del Monnot (sopra, Isaia di Benedetto Luti), S.
Andrea del Rusconi (sopra, Baruch di Francesco Trevisani), S.
Giovanni evangelista del Rusconi (sopra, Daniele di Andrea
Procaccini), S. Giacomo minore di Angelo De Rossi (sopra, Gioele di
Luigi Garzi), S. Bartolomeo del Legros (sopra, Abdia di Giuseppe
Chiari), S. Simone di Francesco Moratti (sopra, Michea di Pier Leone
Ghezzi). In fondo alla navata, sotto il grande arco, pregevole
tabernacolo ogivale (2), di tarda derivazione da Arnolfo di Cambio,
eretto da Giovanni di Stefano per Urbano V nel 1367: è ornato
all’esterno da 12 riquadri in affresco attribuiti a Barna da Siena (1367-
68) e ritoccati da Antoniazzo Romano e da Fiorenzo di Lorenzo; in
alto, custodie d’argento racchiudono le reliquie delle teste degli
apostoli Pietro e Paolo. Sotto il tabernacolo, l’altare papale,
restaurato nel 1851; nella parte superiore, dietro le roste di legno
dorato, è conservato l’altare ligneo dove si dice officiassero i primi
papi; alla base dell’altare, entro il recinto della confessione, *sepolcro
di Martino V, con lastra tombale bronzea, finissimo lavoro di Simone
Ghini (1443).

NAVATA ESTREMA DESTRA. A destra (3), monumento del cardinale


Paolo Mellini (m. 1527) sormontato da un affresco frammentario
(Madonna con Bambino) di ambito melozzesco. 1ª cappella (Orsini;
4): Immacolata, affresco di Placido Costanzi (1729). Tra la 1ª e la 2ª
cappella, monumento del cardinale Giulio Acquaviva (m. 1574; 5): le
statue della Prudenza e della Temperanza appartenevano al
monumento De Chaves (v. sotto). 2ª (Torlonia; 6), ultima cappella
gentilizia romana, opera di tardo gusto neoclassico (Quintiliano
Raimondi, 1830-50): sopra l’altare, con paliotto di malachite e
lapislazzuli, Deposizione, altorilievo di Pietro Tenerani (1844); alle
pareti, monumenti funebri del duca Giovanni (d.) e di Anna Torlonia
(sin.), e statue di Virtù di Filippo Gnaccarini, Achille Stocchi, Vincenzo
Gaiassi e Bartolomeo Bezzi. Tra la 2ª e la 3ª cappella, sopra una
finestra a grata (7), statuetta di S. Giacomo, resto dell’altare De
Pereriis attribuito ad Andrea Bregno (1492). 3ª (Massimo; 8), di
Giacomo Della Porta (1564-70): Crocifissione, tavola del Sermoneta
(1575). Seguono la tomba cosmatesca del cardinale Casati da Milano
(1287; 9) e il sepolcro del cardinale Antonio Martino De Chaves detto
il cardinal di Portogallo (1447; 10), con sculture di Isaia da Pisa.
NAVATA INTERMEDIA DESTRA. 5° pilastro (11): tomba del cardinale
Ranuccio Farnese (m. 1565) su disegno del Vignola. 4° (12): sepolcro
di Sergio IV (1012). 3° (13): sepolcro di Alessandro III (m. 1181). 2°
(14): cenotafio di Silvestro II (m. 1003) eretto nel 1909 (l’iscrizione è
antica). 1° (15): Bonifacio VIII proclama il Giubileo del 1300,
frammento di affresco di Giotto.
NAVATA ESTREMA SINISTRA. In alto, su sarcofago, statua giacente di
Riccardo degli Annibaldi (16), copia da Arnolfo di Cambio. 1ª cappella
(*Corsini; 17), elegante opera del Galilei (1732-35) a croce greca,
ripartita da lesene corinzie e con volte e cupola a lacunari: S. Andrea
Corsini, copia in mosaico da Guido Reni; a sin. monumento di
Clemente XII, con urna e colonne in porfido provenienti dall’atrio del
Pantheon, e statua bronzea del pontefice del Maini (le figure
allegoriche sono di Carlo Monaldi); nelle nicchie alle pareti Fortezza di
Giuseppe Rusconi, Giustizia di Giuseppe Lironi, Prudenza di Agostino
Cornacchini, Temperanza del Della Valle; nella cripta, Pietà, gruppo
marmoreo di Antonio Montauti (c. 1732). 2ª (Antonelli; 18): Volto
della Vergine, frammento di tavola del sec. XV inserito in un affresco
(Assunta tra i Ss. Domenico e Filippo Neri) dell’Odazzi. Tra la 2ª e la
3ª cappella, sepolcro del cardinale Bernardino Caracciolo (m. 1255;
19). 3ª (Onorio Longhi, 1600-1610; 20): sull’altare, composto da un
sarcofago strigilato su due leoni, Crocifisso attribuito a Stefano
Maderno e, sotto, Madonna con Bambino tra i Ss. Lorenzo e
Sebastiano (sec. XVI); alla parete sin. monumento del cardinale
Giuliano Antonio Santori (m. 1637) con busto di Giuliano Finelli. 4ª
(21), eretta c. nel 1675 da Giovanni Antonio De Rossi a pianta
centrale con cupola: nella volta, stucchi di Filippo Carcani. All’ultimo
pilastro (22), monumento del cardinale Girolamo Casanate (m. 1700)
opera del Legros (1707).
All’ultimo pilastro d. della NAVATA INTERMEDIA SINISTRA, sepolcro di
Elena Savelli con architettura e bronzi di Jacopo Del Duca (1570; 23).
Il TRANSETTO, completamente rinnovato nel 1597-1601 dal Della
Porta per la parte architettonica e dal Cavalier d’Arpino per quella
pittorica, costituisce uno dei più rappresentativi complessi del
manierismo romano di fine ’500. PARTE DESTRA. Alla parete d.: S.
Barnaba di G.B. Ricci, S. Bartolomeo di Paris Nogari, S. Simone del
Pomarancio e, nel registro inferiore, S. Silvestro riceve i messi di
Costantino del Nogari e Battesimo di Costantino del Pomarancio; sulla
quella sin.: S. Taddeo di Orazio Gentileschi, S. Tommaso di Cesare
Nebbia, S. Filippo di Giovanni Baglione, Fondazione della basilica del
Nogari e Consacrazione del Ricci. PARTE SINISTRA. Alla parete d. S.
Giacomo del Nogari, S. Paolo e due santi dottori del Nebbia,
Apparizione del Santo Volto, Costantino dona gli arredi alla basilica,
del Baglione; nella testata Trasfigurazione del d’Arpino; alla parete sin.
S. Andrea del Ricci, S. Pietro di Bernardino Cesari, due Santi dottori e
Sogno di Costantino del Nebbia, Trionfo di Costantino del Cesari.
Alla testata del braccio d. del transetto (24), organo (1598),
sostenuto da due colonne di giallo antico, e due angeli del Valsoldo.
Alla testata di quello sin. (25), grandioso altare del Sacramento, con
quattro colonne e coronamento a timpano, in bronzo dorato, di Pietro
Paolo Olivieri (c. 1600), e tabernacolo bronzeo di Pompeo Targone; ai
lati statue di Elia, Mosè, Melchisedec e Aronne di Camillo Mariani, Gillis
de la Rivière, Nicolò Pippi e Giacomo Longhi Silla (c. 1599). Cappella
del Crocifisso (26): a d., Bonifacio IX inginocchiato su fondo
cosmatesco (sec. XIV-XV). Tomba di Innocenzo III (27) eretta da
Giuseppe Lucchetti nel 1861. Da qui si accede al museo (28),
sistemato nel 1986, che raccoglie quanto rimane dei tesori accumulati
nella basilica nei secoli; si notino nel portico il prezioso reliquiario di S.
Caterina da Siena e di S. Maria Egiziaca (oreficeria veneta del sec. XV),
il reliquiario del cilicio di S. Maria Maddalena (seconda metà XV), la
croce stazionale detta costantiniana (sec. XIII-XIV), la croce astile di
Nicola da Guardiagrele (1441; firma) e, nella sala sul lato sin. del
chiostro, i pregevoli arazzi e il piviale detto di S. Silvestro (sec. XIII-
XIV).
Il PRESBITERIO (29) e l’ABSIDE (30) sono un rifacimento del tempo di
Leone XIII eseguito, ripetendo le forme antiche, da Francesco
Vespignani su disegno del padre Virginio (1884-86). Il mosaico
(Jacopo Torriti, 1291) della semicalotta fu qui trasportato dalla vecchia
abside e restaurato: in alto, fra le nubi, Cristo a mezzo busto
circondato da angeli; in basso nel mezzo, Croce gemmata, con la
colomba posata sulla collina racchiudente la Gerusalemme celeste e
donde scendono a dissetare il gregge (cervi e pecore) i quattro fiumi
(i Vangeli); a d. i Ss. Giovanni e Andrea (le figure minori di S. Antonio
di Padova a d. e di S. Francesco d’Assisi a sin. sono un’inclusione
voluta da Niccolò IV); a sin., Vergine con il donatore Niccolò IV in
ginocchio e i Ss. Pietro e Paolo; al di sotto, il Giordano; più in basso,
tra le finestre, nove apostoli e le figurette degli autori (fra’ Jacopo da
Camerino a d. e Jacopo Torriti a sin.). Alle pareti del presbiterio, Fatti
di Innocenzo III e Approvazione degli ordini francescano e
domenicano (d.) e L’architetto Vespignani presenta il progetto del
nuovo presbiterio e dell’abside a Leone XIII (sin.), affreschi di
Francesco Grandi.
A lato del presbiterio (31), sepolcro di Leone XIII di Giulio
Tadolini (1907). Passando sotto questa sepoltura si entra nel CORRIDOIO
(32; visita a richiesta al Pontificio Consiglio delle Relazioni Sociali) ove
sono memorie della basilica del sec. XIII, monumenti funebri (spiccano
le tombe dei pittori Andrea Sacchi – 1661 – e del Cavalier d’Arpino,
1640), le statue dei Ss. Pietro e Paolo di Deodato di Cosma. Dalla
porta sin., fra due iscrizioni a mosaico («tabula magna lateranensis»
ed elogio di Nicola IV) si entra nella SAGRESTIA VECCHIA (dei Beneficiati;
33): Maddalena di Scipione Pulzone; a sin. *Annunciazione, tavola di
Marcello Venusti su disegno di Michelangelo (1555); alle pareti busti di
Clemente VIII di Giacomo Laurenziano e di Paolo V di Nicolas Cordier;
nella volta affresco di Giovanni Alberti (1592). Dalla porta sulla d. si
passa nella SALA CLEMENTINA (sagrestia dei Canonici; 34), con affreschi
di Agostino Ciampelli e volta di Giovanni e Cherubino Alberti (c. 1600).
Più avanti, i cinque ambienti della SAGRESTIA NUOVA (35), fatta costruire
da Leone XIII: in quello centrale, altare del sec. XV con coeva
Annunciazione di scuola toscana.
In chiesa, cappella Colonna (del Coro; 36), opera di Girolamo
Rainaldi (1625): monumento di Lucrezia Tomacelli (1625) di Teodoro
Della Porta e del Laurenziano.
IL *CHIOSTRO (37; vi si accede in fondo alla navata sin.),
capolavoro d’arte cosmatesca, fu costruito nel 1215-32 dai Vassalletto,
come risulta dall’iscrizione sul fregio del portico di fronte. Le arcatelle
poggiano su colonnine binate (alcune decorate a mosaico), di forma
svariata e con differenti capitelli; la trabeazione è ricca specialmente
nel fregio a mosaico e nella cornice intagliata con teste ferine sulla
gronda. Le volte degli ambulacri, impostate su antiche colonne con bei
capitelli ionici e addossate ai pilastri verso l’interno, furono costruite
posteriormente, insieme con la semirustica sopraelevazione ad arcate
del loggiato. Ai lati dei passaggi al cortile, leoni stilofori; in mezzo a
questo, puteale (sec. IX). Lungo le pareti, elementi architettonici,
sculture e ornati dall’antica basilica, iscrizioni, lastre tombali, materiale
di scavo romano e paleocristiano. Iniziando da d.: entro nicchie, Il
Battista e S. Giovanni evangelista di Luigi Capponi, provenienti dallo
smembrato altare De Pereriis (1492); all’inizio del 2° ambulacro,
battenti in bronzo, già appartenenti alla porta della Scala Santa, di
Pietro e Uberto da Piacenza (1196); a metà del 3° ambulacro si vede,
sul lato opposto, l’imponente testata in laterizio del braccio sin. del
transetto della basilica, ancora nella struttura medievale; subito
avanti, a d., statua giacente di Riccardo degli Annibaldi (m. 1274) di
Arnolfo di Cambio (1276), cui si devono anche i vicini frammenti della
relativa tomba; a metà del 4° ambulacro, cattedra cosmatesca con
colonnine tortili e sedile di età classica, e accesso a un piccolo museo
con arazzi del ’500; all’inizio del 1° ambulacro, resti di un ciborio
(timpani con rosoni gotici e arme del cardinale Colonna) di Deodato di
Cosma (1297).

IL MUSEO DELLA BASILICA (t. 0669886433) conserva il Tesoro della


Cattedrale di Roma, costituito da un ricco complesso di arredi liturgici
costituitosi nel corso dei secoli. Si segnalano il reliquiario del cilicio
della Maddalena, in argento e oro dorato, della seconda metà del xv
secolo, la tazza detta di S. Giovanni, risalente al v secolo e il piviale
detto di S. Silvestro, secondo la tradizione indossato da papa Bonifacio
VIII in occasione dell’indizione del primo Giubileo (1300).
Sulla piazza, a d. dell’imbocco di viale Carlo Felice e in rapporto
simbolico con la basilica di S. Giovanni in Laterano, è l’arioso
monumento a S. Francesco d’Assisi, con figure bronzee del santo e dei
primi seguaci (Giuseppe Tonnini, 1927).
2 LA CITTÀ ENTRO LE MURA: I RIONI CENTRALI

La maggior parte del centro storico di Roma, cioè dell’area entro


le mura, si stende sulla riva sinistra del Tevere, dove sorse il nucleo
originario (la «Roma quadrata» del Palatino) e dove si sviluppò la città
dei mitici sette colli racchiusa nella cinta serviana. Questo settore
corrisponde a 13 delle 14 regioni della città imperiale e a 12 dei 14
rioni di quella papale, cioè a 19 degli attuali 22.
Dopo la fine dell’Impero d’Occidente e la disgregazione di quella
che, nel periodo di massima espansione, era stata una metropoli di un
milione, o forse più, di cittadini, l’abitato si contrasse nella piana ai
bordi del fiume che assicurava l’approvvigionamento idrico e la forza
motrice per i mulini e che costituiva un’essenziale via di
comunicazione e di traffico commerciale. Per tutto il Medioevo
l’incremento edilizio e demografico fu limitatissimo; nel Rinascimento
la città occupava quasi esclusivamente l’antico Campo Marzio e il
Campidoglio: i restanti colli e lo stesso Foro Romano, centro vitale
della città classica, erano luoghi segnati solo da sporadici insediamenti
religiosi. Il rilancio del settore collinare nord-orientale, avviato nella
seconda metà del Cinquecento da Pio IV, Gregorio XIII e soprattutto
Sisto V, non influì in misura significativa sulla crescita dell’aggregato
urbano, rimasto sostanzialmente lo stesso fino al 1870, a eccezione
delle direttrici viarie della strada Pia, della nuova via Merulana e della
strada Felice con i rettifili che da essa si diramavano.
Dei 19 rioni, questo capitolo ne prende in considerazione 11,
quelli corrispondenti alla parte di Roma che anche nei secoli più incerti
della sua storia non cessò di essere abitata (i rioni Ripa, Testaccio,
Celio, Esquilino, Castro Pretorio, Sallustiano e Ludovisi sono trattati nel
capitolo 3; Trastevere e Borgo nel 4; Prati nell’8). E sono anche quelli
dove i capolavori artistici e architettonici si passano il testimone quasi
senza soluzione di continuità, contribuendo alla fama di città d’arte
della capitale del mondo.
2.1 IL RIONE MONTI

Il rione, il cui nome ricorda la movimentata altimetria del suo


territorio, comprende un settore cospicuo dell’area racchiusa dalle
mura repubblicane (parte del Quirinale, il Viminale e le propaggini
dell’Esquilino), benché l’assai più vasta estensione originaria sia stata
ridotta dopo il 1870 per formare i rioni Castro Pretorio ed Esquilino. La
parte sud era prossima ai rilievi su cui sorsero i nuclei abitati della
città primitiva; al centro era la valle della «Subura» o Suburra (il nome
significherebbe «zona sotto la città»), già in età repubblicana
occupata da modeste dimore (le domus patrizie punteggiavano le
vicine alture), con un tono popolare per certi aspetti protrattosi sino a
oggi. L’antica struttura viaria, come l’attuale che spesso la ricalca, era
condizionata dall’orografia: la Suburra era percorsa dall’«Argiletum»
(l’odierna via della Madonna de’ Monti), che sotto il Cispio,
prominenza dell’Esquilino, si biforcava nel «vicus Patricius» (l’attuale
via Urbana) e nel «clivus Suburanus» (la moderna via in Selci); uno
schema, questo, riproposto sfalsato e ingrandito dalle ottocentesche
vie Cavour e Lanza. L’età imperiale confermò il carattere residenziale
della zona, che vide sorgere a sud la Domus Aurea di Nerone, poi in
parte sepolta dalle terme di Tito e di Traiano; con l’avvento del
Cristianesimo nacquero, in dimore private, luoghi di culto («tituli») che
furono all’origine di alcune basiliche (S. Pudenziana, S. Prassede, S.
Martino ai Monti, S. Pietro in Vincoli). La caduta dell’Impero e il taglio
degli acquedotti spopolarono le alture: nel Medioevo piccoli nuclei
rimasero solo presso le chiese titolari e gli abitanti si concentrarono
nella Suburra, mentre intorno sorsero recinti fortificati a controllo delle
strade tra l’abitato, i colli orientali e il Laterano (il rione resta tuttora il
più ricco di torri di quel periodo).
Sostanziali mutamenti avvennero solo con Sisto V, che realizzò
l’acquedotto Felice, tracciò via Panisperna e sistemò via dei Serpenti.
Tali interventi posero le premesse per il ripopolamento della parte più
alta del rione, edificata tra Sei e Settecento: oltre alla villa di Sisto V e
alle successive Aldobrandini e Sforza, pochi furono i palazzi nobiliari –
a conferma del carattere popolare e periferico della zona – numerosi
invece i conventi e le case d’affitto settecentesche. Il 1870 segnò
cambiamenti ben più radicali: l’apertura di via Nazionale e
l’urbanizzazione dell’Esquilino, prevista dal piano regolatore del 1873
insieme alle opere viarie di collegamento con il centro; esemplare
della cesura del vecchio tessuto urbanistico è via Cavour, sulla quale si
allineano compatti caseggiati di fine Ottocento che mascherano le
variazioni altimetriche e nascondono la retrostante minuta edilizia
antica.
Due gli itinerari (pianta →): il primo, nella zona di Monti a nord di
via Cavour, si snoda in un tessuto urbano dal carattere ancora
popolare, nel quale spiccano la chiesa di S. Pudenziana e, a ridosso
dei Fori Imperiali, la casa dei Cavalieri di Rodi; il secondo, nell’area a
sud dell’asse ottocentesco, tocca uno dei polmoni verdi della città
risparmiati dall’urbanizzazione post-unitaria, dove sono i resti della
Domus Aurea, e, dopo il complesso di S. Pietro in Vincoli, si conclude
alla basilica di S. Prassede.

A NORD DI VIA CAVOUR

LARGO RICCI fu creato dalle demolizioni del 1932 per l’apertura di


via dell’Impero (ora dei Fori Imperiali: →) ed è dominato a N dal
poderoso basamento della torre dei Conti, con quella delle Milizie la
maggiore di Roma. Eretta nel 1203 da Innocenzo III, come parte di
un recinto fortificato, inglobando nella base un’esedra del foro della
Pace → e isolata nel 1934-37, presentava in origine due corpi
rientranti superiori, uno abbattuto dal terremoto del 1348, l’altro in
parte demolito e in parte crollato nel ’600; le strutture in laterizio
conservatesi poggiano su uno zoccolo a scarpa con fasce alternate di
selce e marmo.
LA MADONNA DEI MONTI. Percorsa per breve tratto via Cavour,
rumorosa arteria di collegamento tra l’area dei fori e la stazione di
Termini aperta sbancando le pendici dell’Esquilino e fiancheggiata da
grandi case d’affitto di fine ’800, si volta a sin. in via dell’Agnello,
incrociando via della Madonna de’ Monti; nel tratto di d., oltre la
chiesa di S. Salvatore ai Monti – testimoniata già nel sec. XII ma
riedificata nel 1762 – e l’adiacente Collegio dei Neofiti (Gaspare De
Vecchi, 1635), si erge, pure a sin., una delle chiese romane più
interessanti della transizione tra Rinascimento e barocco: la
*Madonna dei Monti, eretta su disegno di Giacomo Della Porta
(1580) per celebrare il rinvenimento di una miracolosa immagine della
Vergine. La facciata, derivata da quella del Gesù, è a due ordini di
lesene (l’inferiore, corinzio, è raccordato da volute al superiore,
composito e più stretto); le tre campate centrali, lievemente avanzate,
ospitano tra nicchie il portale e il finestrone a edicola.

ANCHE L’INTERNO s’ispira a quello del Gesù, sebbene in scala


minore: nella volta, Ascensione, angeli e dottori della Chiesa di
Cristoforo Casolani (1602-1609); nella volta e negli arconi delle
cappelle, angeli in stucco di Ambrogio Buonvicino (1588). 1ª cappella
d.: Madonna con Bambino e S. Carlo Borromeo (1624); gli affreschi
(storie di S. Carlo Borromeo) sono di Giovanni da S. Giovanni (1624).
3ª: Pietà, copia (c. 1588) da Lorenzo Sabbatini; alla parete d., Andata
al Calvario di Paris Nogari. Altare maggiore: Madonna con Bambino e i
Ss. Stefano e Lorenzo (inizi sec. XV). Nell’abside, dipinti di Giacinto
Gimignani (S. Michele, Crocifissione, S. Pietro battezza i Ss. Processo e
Martiniano, Apparizione di Cristo alla Vergine e Battesimo di Cristo) e
del Casolani (storie di Maria ed evangelisti); al di sopra, angeli di
Orazio Gentileschi (1599). 3ª cappella sin.: Natività di Girolamo
Muziano; ai lati, Adorazione dei Magi e Sogno di S. Giuseppe di Cesare
Nebbia. 1ª: Annunciazione di Durante Alberti (1588).

LA CHIESA NAZIONALE UCRAINA DEI SS. SERGIO E BACCO affaccia sulla


vicina piazza della Madonna de’ Monti (al centro, fontana disegnata da
Giacomo Della Porta nel 1588-89, con vasca ottagonale su gradini
ornata dagli stemmi di Sisto V e del Popolo romano, e due coppe
sovrapposte circolari) e, detta anche Madonna del Pascolo, è nota già
nel sec. IX ma fu ricostruita nel 1741 da Francesco Ferrari; la facciata
di forme ‘cinquecentesche’ è del 1896.

VERSO S. PUDENZIANA. Via Leonina, continuazione di via della


Madonna de’ Monti, conduce in piazza della Suburra, sin dall’antichità
uno dei nodi del sistema viario della zona che qui si biforcava per
salire sull’Esquilino evitando la prominenza del Cispio; con l’apertura di
via Cavour tale funzione è passata al vicino largo Visconti Venosta e la
piazza, già infossata dalla nuova viabilità, è stata deturpata da
costruzioni recenti (a d., su un angolo, iscrizioni e bassorilievi di fine
’400 dalla distrutta chiesetta di S. Salvatore ad tres imagines).
Si prosegue tra edifici settecenteschi lungo via Urbana, che ricalca
il «vicus Patricius» e che deriva il nome attuale da Urbano VIII (a lui è
riferita la sistemazione definitiva); oltre piazza degli Zingari, dalla
quale risale le pendici del Viminale la breve via Clementina, aperta nel
1734 da Clemente XII, si lascia a d. (N. 50) la facciatina neoclassica
della chiesa di S. Lorenzo in Fonte o Ss. Lorenzo e Ippolito, cosi detta
dalla presenza, in sotterranei di età romana, di un pozzo con la cui
acqua Lorenzo avrebbe battezzato il suo carceriere Ippolito (la tela di
Andrea Camassei sull’altare maggiore raffigura tale leggenda).
Fabbricati di fine ’800 segnano l’incrocio con le vie di S. Maria
Maggiore e Panisperna →, oltre il quale, su via Urbana, prospetta a d.
la chiesa del Bambin Gesù (se chiusa, suonare al N. 1), iniziata da
Carlo Buratti nel 1731 e completata da Ferdinando Fuga nel 1736. La
facciata, a ordine gigante di lesene, contrasta nell’andamento verticale
con l’orizzontalità del convento che la ingloba e appare sproporzionata
in seguito all’eliminazione, per l’innalzamento della quota stradale (c.
1872), della doppia scala d’accesso; nell’interno, a croce greca
allungata dal profondo coro e dal vestibolo in cui si apre a d. la
cappella della Passione (Virginio Vespignani, 1856; le decorazioni sono
di Francesco Grandi), all’altare d. S. Agostino trionfa sull’eresia di
Domenico Maria Muratori (1736).
S. PUDENZIANA. Di fronte al convento si scende a questa chiesa,
fondata secondo la tradizione da Pudenziana, sorella di Prassede, nella
casa del padre, il senatore Pudente, che aveva ospitato S. Pietro. In
realtà l’edificio sorse, come «titulus Pudentis» (da cui per corruzione
Pudenziana), all’interno di una casa romana dove nel sec. II fu eretto
un impianto termale; un’aula di questo fu trasformata a fine IV in
basilica a tre navate, restaurata da Adriano I e Gregorio VII, e
rimaneggiata a fine ’500. A sinistra si leva l’alto campanile romanico a
cinque ordini (gli ultimi tre a trifore su colonne), che si fa risalire ai
primi del sec. XIII; la facciata venne rifatta da Antonio Manno nel
1870. Precede il portale, con motivo a intreccio rilavorato nell’800, un
PROTIRO, rimaneggiamento cinquecentesco di elementi medievali: due
colonne a scanalatura elicoidale reggono la trabeazione con *fregio a
motivi vegetali (sec. XI; restauro sec. XIX), in origine cornice del
portale; nei medaglioni, partendo da sin., Pastore, Pudenziana,
Agnello mistico, Prassede e Pudente.

L’INTERNO, originariamente a tre navate divise da sei colonne


antiche per lato, è stato trasformato nel 1588, per volere del cardinale
Enrico Caetani, da Francesco da Volterra in navata unica murando le
prime tre arcate di d. e di sin. e rimettendo in luce le colonne di
marmo bigio inglobate in pilastri di rinforzo forse nel sec. VIII; il
restauro del 1927 ha lasciato in vista sopra le arcate la muratura
antica. 1ª cappella d.: sulla controfacciata, S. Agostino di Giacinto
Gimignani. 2ª: Madonna della Clemenza (fine sec. XVI); ai lati, Natività
di Maria e Presepe, tele di Lazzaro Baldi. Nel corridoio di accesso alla
sagrestia (nella volta, Conversione di S. Guglielmo d’Aquitania
attribuita al Domenichino, 1625), Assunzione di Ludovico Gimignani.
PRESBITERIO. La cupola, opera del da Volterra, fu affrescata (Paradiso)
da Nicolò Circignani. Sull’altare maggiore, di forme neoclassiche,
Gloria di S. Pudenziana di Bernardino Nocchi (1803; suoi i Ss. Novato
e Timoteo ai lati). Nell’abside, *mosaico (Cristo in trono, con un libro
aperto in mano, circondato dagli apostoli e dalle Ss. Pudenziana e
Prassede offerenti corone; sullo sfondo, la Croce, la Rappresentazione
simbolica di Gerusalemme e, in cielo, i simboli degli evangelisti) di inizi
sec. V, malamente ritagliato nelle zone periferiche in seguito al
rimodernamento cinquecentesco. A sinistra del presbiterio, nella
cappella in fondo (di S. Pietro), Consegna delle chiavi, gruppo
marmoreo di G.B. Della Porta (1596). Presso l’ultima arcata sin. si sale
all’ORATORIO MARIANO (lungo la scala, stemma Caetani), che ospita i bolli
doliari recuperati negli scavi e affreschi (sull’altare, Madonna con
Bambino in trono tra le Ss. Pudenziana e Prassede; a sin.,
Predicazione di S. Paolo, Battesimo di Novato e Timoteo; sul lato
opposto, frammentari, i Ss. Valeriano, Tiburzio e papa Urbano; nella
volta, Agnello e i simboli degli evangelisti) databili al 1073-85; a d.
dell’altare, Crocifisso, affresco del sec. XVI; il pavimento riutilizza
materiali antichi. Sul fianco sin. della navata si apre la CAPPELLA CAETANI,
iniziata dal da Volterra e terminata da Carlo Maderno, trasformazione
della cappella di S. Pastore ritenuta il primo luogo di culto della domus
di Pudente: i marmi policromi sono del Della Porta, gli stucchi del
Valsoldo; nella volta, negli sguinci delle finestre e sulla parete di
controfacciata, mosaici di Paolo Rossetti su disegno di Federico
Zuccari; all’altare, Adorazione dei Magi, rilievo di Pietro Paolo Olivieri
(c. 1599) terminato da Camillo Mariani; ai lati, monumenti funebri del
cardinale Enrico (m. 1599) e del duca Filippo Caetani (m. 1614) del
Maderno, con angeli reggistemma del Mariani; nelle nicchie, statue
delle Virtù cardinali di Giovanni Antonio Mari e altri berniniani (c.
1650).

VIA PANISPERNA, che si segue a d. di ritorno all’incrocio e il cui


etimo è incerto, venne tracciata da Sisto V per collegare S. Maria
Maggiore a piazza Venezia; la strada rivela l’origine cinquecentesca
nell’andamento rettilineo che, indifferente all’orografia, fa un doppio
saliscendi tra Esquilino, Viminale e Quirinale e presenta oggi, nel tratto
intermedio, un vivace carattere popolare. Lasciata a d. via Balbo,
prevista dal piano regolatore del 1883 ma completata a inizi ’900 e
delimitata a sin. dal muraglione del Viminale, si costeggia a sin. (N.
198) il palazzo Cimarra, iniziato nel 1736, con facciate articolate da
cornici e paraste angolari. Sul lato opposto, in alto, è la chiesa di S.
Lorenzo in Panisperna, eretta secondo la tradizione al tempo di
Costantino sul luogo del martirio del santo e riedificata nel 1300 e nel
1574. Il portale esterno, restaurato da Leone XIII che fece costruire la
doppia scala (1893), si apre su un cortile che conserva a d. una rara
casa d’impianto medievale con scale esterne; la facciata
cinquecentesca della chiesa accoglie una porta lignea scolpita nel
1664.

L’INTERNO, a navata unica con tre cappelle per lato, fu decorato


nel 1756-57; nella tribuna Martirio di S. Lorenzo di Pasquale Cati, a
sin. *Crocifisso del sec. XV.
Sulla vigna del monastero di S. Lorenzo, espropriata dopo il 1873,
sorsero il palazzo del Viminale → e l’edificio dove ebbe sede l’Istituto
di Fisica dell’Università di Roma, legato agli esperimenti di Enrico
Fermi ed Ettore Majorana. Vi è stato istituito il Museo della Fisica e
Centro Studi «Enrico Fermi», al fine di promuovere la ricerca e
diffondere le conoscenze scientifiche.

Al numero 76 della perpendicolare via Milano →, nel complesso


dell’Istituto di Patologia del Libro Alfonso Gallo, è una torre medievale
mozza ritenuta dei Capocci.

S. AGATA DEI GOTI. Oltre via dei Serpenti, cosiddetta da un


graffito scomparso raffigurante il Laocoonte (nel tratto di d. si
riconoscono l’abside e il campanile di S. Agata dei Goti: v. sotto), via
Panisperna risale le pendici del Quirinale tra edifici otto-novecenteschi.
In angolo con via di S. Agata dei Goti si erge la chiesa di S. Bernardino
da Siena, consacrata nel 1625: l’interno, a pianta ellittica, accoglie
nella cupola la Gloria di S. Bernardino e di santi francescani di
Bernardino Gagliardi e, sulla porta della sagrestia, i Ss. Francesco,
Chiara e Agata di Giovanni Baglione (1617).
Con ingresso al N. 29, la chiesa di S. Agata dei Goti, detta
anche in Suburra e con facciata (Francesco Ferrari, 1729)
prospettante su via Mazzarino, fu fondata nel sec. V; unica
testimonianza rimasta del culto ariano praticato dalla comunità gotica
di Roma, venne consacrata da S. Gregorio Magno alla religione
cattolica, col titolo attuale, nel 593.

L’INTERNO conserva in parte la struttura del sec. V, con aggiunte


barocche e ottocentesche: è a tre navate, divise da arcate su colonne
con capitelli ionici e pulvini rivestiti in stucco nel ’600; sull’altare
maggiore ciborio cosmatesco (sec. XII-XIII), nel catino Gloria di S.
Agata di Paolo Gismondi (c. 1633-36). Nel quadriportico tra la facciata
e l’interno, bel pozzo cinquecentesco.

VILLA ALDOBRANDINI, il cui prospetto segue sul lato d. di via


Panisperna (N. 28), venne eretta a fine ’500 da Carlo Lambardi per i
Vitelli e donata nel 1600 da Clemente VIII al nipote Pietro. La
palazzina, cinque-seicentesca ma con aggiunte posteriori (l’ingresso
da via Panisperna ha per sfondo un bel ninfeo), è oggi sede
dell’Istituto internazionale per l’Unificazione del Diritto privato, con
una biblioteca specializzata.

LA PARTE DI GIARDINO oggi di proprietà comunale (la vasta area a


verde fu assai ridotta per l’apertura di via Nazionale) si stende verso
via Mazzarino, dalla quale un accesso consente di osservare ruderi di
magazzini di fine sec. I.
All’angolo del giardino verso la chiesa di S. Caterina a
Magnanapoli è un padiglione del 1595 che fungeva da ingresso fino al
1876, quando fu abbassato il piano stradale per l’apertura di via
Nazionale e furono costruiti su questa i due padiglioni angolari
gemelli.

I *SS. DOMENICO E SISTO. Via Panisperna piega a d. seguendo un


tracciato preesistente al piano sistino e, avendo sullo sfondo la torre
delle Milizie e la chiesa di S. Caterina a Magnanapoli (per entrambe v.
pagine 185 e 186), costeggia a sin. questa chiesa, detta anche S.
Sisto Nuovo perché eretta sul luogo dell’antica S. Maria a Magnanapoli
per le suore del convento di S. Sisto presso le terme di Caracalla;
venne edificata dal coro (1569-77) a opera di Giacomo Della Porta,
proseguita nella navata (1609-1636) da Nicola e Orazio Torriani e
completata da Vincenzo Della Greca. La facciata – di effetto
scenografico per il sito elevato, la scalea a tenaglia opera del Della
Greca (1655-63) e i candelabri fiammeggianti sul timpano – è a due
ordini di lesene accoppiate: il primo (Nicola Torriani) reca nelle nicchie
le statue di S. Tommaso d’Aquino e di S. Pietro Martire (Stefano
Maderno, 1636); nelle nicchie del secondo, opera del Della Greca
(1654) e più decorato, statue di S. Domenico e di S. Sisto di
Marcantonio Canini.

L’INTERNO è a navata unica coperta a botte e presenta tre altari


per lato; nella volta, Apoteosi di S. Domenico e Patrocinio di Maria
sull’ordine, affreschi di Domenico Maria Canuti ed Enrico Haffner
(1674-75). 1° altare d. (Alaleona), disegnato da Gian Lorenzo Bernini:
*Noli me tangere, gruppo marmoreo di Ercole Antonio Raggi (c.
1649). 3°: Visione di S. Domenico di Pier Francesco Mola (1648).
Altare maggiore, su disegno di Bernini (1640): Madonna col Bambino,
terracotta policroma di scuola fiorentina (sec. XV). 3° altare sin.:
Madonna col Bambino attribuita a Benozzo Gozzoli (c. 1460). 2°:
Sposalizio mistico di S. Caterina di Francesco Allegrini (1532). 1°:
Madonna del Rosario di Giovanni Francesco Romanelli (1652).

IL CONVENTO DOMENICANO, a d. della chiesa (dalla scala d’accesso,


bella vista della torre delle Milizie e del giardino di villa Aldobrandini),
è raccolto attorno a un CHIOSTRO a pilastri e lesene e ospita il Pontificio
Ateneo Angelicum: in un ambiente al piano terreno, Crocifisso di
scuola toscana del sec. XIII e trittico a sportelli di Lippo Vanni (firma)
raffigurante la Madonna in trono col Bambino tra i Ss. Domenico e
Aurea (centro) e scene del martirio della santa (sportelli).

LA CASA DEI CAVALIERI DI RODI. Si percorre a sin. la salita che


prende nome dal palazzo del Grillo poi di Robilant, tra i piùinteressanti
del ’700 romano, con eleganti cornici in stucco delle finestre.
Un cavalcavia lo collega sulla d. alla torre del Grillo, eretta nel
sec. XIII dai Carboni e passata nel ’600 ai marchesi del Grillo che
aggiunsero l’iscrizione e il singolare coronamento a gigli tra volute su
mensole e aquile angolari. Sulla contermine omonima piazza,
all’angolo d. del muraglione in peperino che isolava il foro di Augusto
dalla Suburra, è la *casa dei Cavalieri di Rodi, sede un tempo del
Priorato romano dell’ordine dei Cavalieri di S. Giovanni di
Gerusalemme (poi detti di Rodi e di Malta).

LA STORIA. I Cavalieri si stabilirono a fine sec. XII sopra la chiesa e


il convento di S. Basilio costruendo la loro sede su strutture romane;
Paolo II affidò nel 1466 l’amministrazione del Priorato al nipote
cardinale Marco Barbo, che diede alla casa l’assetto attuale utilizzando
maestranze venete, forse le stesse del palazzo di Venezia (a tale
periodo risalgono l’ingresso dal foro di Augusto, ove affaccia un bel
balcone tra due finestre a croce guelfa, e la loggia verso il foro di
Traiano). Trasferito nel 1566 il Priorato all’Aventino, vi si insediarono
le suore della SS. Annunziata finché nel 1924 si avviò la demolizione
della chiesa e del convento per lo scoprimento del foro di Augusto; nel
1946 la casa fu concessa all’ordine di Malta, che la fece restaurare
ripristinando l’ingresso su piazza del Grillo.

LE PARTI OGGI VISIBILI. La FACCIATA sullo slargo ha una cornice a


dentelli romanica e una finestra a croce del ’400. Dalla porta a sin. ai
piedi della scala si entra nell’*ATRIO PORTICATO augusteo, mirabilmente
conservatosi, ad arcate e pilastri in travertino. La parte centrale,
coperta da una volta nel Rinascimento, è stata adattata nel 1946 a
CAPPELLA DI S. GIOVANNI BATTISTA, ambiente quadrangolare con tre arcate
per lato (una sola, più grande, è nel lato verso l’ingresso): un
ambulacro, già parte dell’antico portico, corre intorno alla cappella; nel
vano dell’altare, scavato nel muro romano, affreschi staccati dalla
demolita casa di Flaminio Ponzio. Dall’ingresso alla casa, per la scala
romana (restaurata) si sale all’AULA MAGGIORE (interessanti i portali
marmorei del ’400 con lo stemma Barbo), dove in fondo è una specie
di arengo da cui si poteva parlare ai Cavalieri raccolti nella sala. A
sinistra si passa nella SALA DEL BALCONCINO, situata sopra l’atrio porticato
(a d., ricostruzione con frammenti originali di un tratto del fregio
dell’attico dei portici del foro di Augusto, costituito da clipei alternati a
copie delle cariatidi dell’Eretteo di Atene), e nella SALA BIZANTINA
(frammenti architettonici dalle chiese medievali della zona distrutte
per l’apertura di via dell’Impero e affreschi del sec. XII dalla chiesa di
S. Basilio). Per una porta in fondo all’Aula maggiore si accede a una
scaletta (nel ripiano, disegno a carboncino del sec. XV raffigurante
Virgilio con i versi danteschi che lo ricordano e, intorno, versi
virgiliani) che conduce all’aerea *LOGGIA (*panorama), con cinque
arcate verso i mercati di Traiano e tre su uno dei lati brevi; eretta dal
cardinale Barbo nel 1470 (stemma nello zoccolo) sul muro di età
augustea che verso il foro di Traiano, in seguito all’abbassamento del
livello del terreno, ebbe al tempo di Domiziano un rivestimento di
cortina, conserva nelle pareti paesaggi in affresco, deteriorati, di
scuola di Andrea Mantegna e nel fregio busti di imperatori.

I SS. QUIRICO E GIULITTA. Si scende per via Tor de’ Conti (alla
base del muraglione sono tre fornici del foro di Augusto – → – seguiti
dal portale e da due bifore della distrutta chiesa dell’Annunziata),
lasciando a sin. via Baccina (dopo il N. 35, mercato coperto in stile
littorio del 1934) e raggiungendo la chiesa, testimoniata già nel sec.
VII. La facciata con lievi spartiture in stucco (Filippo Raguzzini, c.
1733) accoglie un portale rinascimentale, attribuito a Baccio Pontelli, e
un’iscrizione risalenti al restauro di Sisto IV (1475) e qui spostati nel
1584 quando fu invertito l’orientamento del luogo di culto. Nelle
strutture dell’ex convento (Gabriele Valvassori, 1750-53), oggi hotel
Forum, è inglobato il piccolo campanile romanico.
L’INTERNO, a navata unica con arcate laterali, fu coperto attorno
al 1730 da una volta a botte (nella tribuna, affreschi di Pietro
Gagliardi) che celò gli archi acuti trasversali di una sopraelevazione del
’300. Alla chiesa è annesso il Museo del Presepio (t. 066796146;
www.presepio.it), con circa 3000 figurine provenienti da ogni parte del
mondo.

Superata a d. una casetta medievale (ripristinata) che si addossa


alla torre dei Conti →, si ritorna in largo Ricci.

A SUD DI VIA CAVOUR. IL COLLE OPPIO

VERSO IL PARCO DEL COLLE OPPIO. Da largo Ricci si prende a d.,


all’imbocco di via Cavour (per entrambi, →), via del Colosseo, uno dei
principali accessi all’anfiteatro prima dell’apertura di via dei Fori
Imperiali, sulla quale, oltre via Frangipane – tracciato di età romana
che conduceva alla basilica di S. Pietro in Vincoli prima degli interventi
ottocenteschi – prospetta al N. 61 la severa fabbrica cinquecentesca di
palazzo Rivaldi, iniziato da Antonio da Sangallo il Giovane per Eurialo
Silvestri, cameriere di Paolo III, e ristrutturato attorno al 1586 da
Jacopo Del Duca; il complesso, divenuto nel 1662 istituto assistenziale
col nome di Ascanio Rivaldi, perse nel 1932 gran parte del giardino,
che originariamente arrivava fino alla basilica di Massenzio, per
l’apertura di via dell’Impero.
Tra gradevoli scorci si giunge in largo Agnesi (bella vista sul
Colosseo, l’arco di Costantino e il tempio di Venere e Roma), dal quale
si diparte a sin. via degli Annibaldi, prevista dal piano regolatore del
1873 ma aperta nel 1894, profonda trincea che taglia le pendici O
dell’Esquilino: sul lato sin. affacciano fabbricati scolastici di fine ’800,
su quello d., c. a metà della strada, la mozza torre degli Annibaldi
(primi ’200).
Dalla parte opposta del largo si stacca via Nicola Salvi, sottostanti
alla quale, a d., sono i pochi resti attualmente visibili delle terme di
Tito, dall’imperatore erette e dedicate nell’80; orientate come la
Domus Aurea, si componevano di svariati ambienti disposti lungo un
asse centrale (al portico di accesso al complesso appartengono i
pilastri laterizi con semicolonne prospicienti il Colosseo).
IL PARCO DEL COLLE OPPIO, nel quale si entra al termine della
discesa per viale della Domus Aurea, venne realizzato da Raffaele De
Vico nel 1928-32, espropriando parte dei giardini del palazzo
Brancaccio, sul pendio tra le terme di Traiano e le vie Labicana e
Mecenate (l’area interna al perimetro delle terme e attraversata dal
viale del Monte Oppio si deve ad Antonio Muñoz, 1936); al suo interno
sono i resti della Domus Aurea e delle terme di Traiano che a essa in
parte si sovrapposero.

LA *DOMUS AUREA. Subito a sin., in corrispondenza delle


sostruzioni dell’esedra del complesso termale, è l’accesso alle
grandiose rovine della Domus Aurea riaperta nel 1999 (t.
0639967700; www.archeorm.arti.beniculturali.it). Costruita per
Nerone dopo l’incendio del 64, che aveva distrutto la «Domus
Transitoria», dagli architetti Severus e Celer e ornata dal pittore
Fabullus (i motivi decorativi, studiati e riproposti dagli artisti del
Rinascimento, presero il nome di grottesche), la villa, che si stendeva
dalle pendici del Celio e del Palatino fino agli «horti Maecenatiani» su
un’area di c. un miglio quadrato, comprendeva, oltre all’edificio
residenziale, un ampio giardino (sull’area poi occupata dal Colosseo
era un lago artificiale). La sezione di palazzo fino a oggi scavata,
composta da circa 150 ambienti, mostra nella parte O, incentrata su
un cortile porticato, un impianto regolare, mentre la zona E, articolata
attorno a un’esedra trapezoidale e alla Sala ottagona, presenta un
impianto più movimentato. Tra gli ambienti che si dispongono in tale
zona spiccano: il GIARDINO PORTICATO, fiancheggiato a O da un corridoio
sul quale affacciavano stanze e a N da un criptoportico; un NINFEO, con
volta rivestita di pomici e, al centro, mosaico con Ulisse che offre la
coppa di vino a Polifemo; la famosa SALA DELLA VOLTA DORATA, dagli
stucchi oggi mal ridotti; l’altissimo CRIPTOPORTICO, le cui pareti sono
rivestite di intonaco dipinto e le cui volte conservano firme di artisti
del Rinascimento (testimonianza dell’antico aspetto del monumento si
conserva nella decorazione pittorica di un ambiente sul lato opposto al
criptoportico); la SALA OTTAGONA, con la cupola dal grande occhiale
centrale e le pareti aperte su sale disposte a raggiera. Le indagini
lasciano supporre che il complesso fosse più esteso a E (sotto gli
attuali viale Mizzi e via Mecenate) di quanto ipotizzato, mentre gli
scavi condotti al livello dei giardini del parco del Colle Oppio hanno
rivelato l’esistenza di un piano superiore della Domus Aurea che era
sistemato a ninfei e peristili.
Si prosegue nel parco tenendo a sin. per i viali Serapide e Mizzi,
sul cui lato sin. sono i cospicui resti dell’abside di un’aula e dell’esedra
della palestra E delle terme di Traiano; opera probabilmente di
Apollodoro di Damasco, l’architetto del foro di Traiano, che le costruì
in opus latericium in parte sopra la Domus Aurea, testimoniano per la
prima volta lo schema – poi imitato dagli impianti di Caracalla e di
Diocleziano – costituito da un corpo centrale (c. m 210x190) racchiuso
da un recinto (c. m 330x315) con esedra. Sotto l’esedra della palestra
E è riapparso nel 1998 un affresco (Città ideale?) risalente al sec. I.
Viale Mizzi sbocca in via delle Terme di Traiano di fronte alle
*Sette Sale, grandiosa cisterna (c. m 40x60) appartenente al
summenzionato complesso e costituita da nove ambienti paralleli
intercomunicanti, coperti a volta. Sul terrazzo superiore della cisterna,
disposta su due piani (quello inferiore fungeva da sostruzione), si
impiantò una ricca domus, della quale gli scavi del 1966-67 hanno
riconosciuto due fasi edilizie (secoli II e IV).

S. PIETRO IN VINCOLI. Da via Nicola Salvi si continua per via delle


Terme di Tito, largo della Polveriera (a sin.) e via Eudossiana (a d.),
che oltrepassa la facoltà d’Ingegneria, trasformazione (G.B. Milani, c.
1915-25) del convento della vicina basilica di S. Pietro in Vincoli (il
CHIOSTRO del primo ’500 accoglie un bel pozzo coevo). Su piazza di S.
Pietro in Vincoli, parte dell’antico «Fagutal» (la pendice ovest
dell’Esquilino), prospettano a sin. l’alta torre dei Margani già creduta
dei Borgia (sec. XII), trasformata in campanile della chiesa di S.
Francesco di Paola →, e a d. la basilica di *S. Pietro in Vincoli detta
anche Eudossiana perché ricostruita da Eudossia minore moglie
dell’imperatore Valentiniano III.
LA STORIA. Ricevute dalla madre le catene che avevano avvinto S.
Pietro a Gerusalemme, essa, secondo la tradizione, le donò a S. Leone
Magno, che le avvicinò a quelle della prigionia romana dell’apostolo: le
due catene si fusero miracolosamente in una sola, qui conservata.
Scavi condotti nel 1956-59 nel sottosuolo della basilica (vi si accede
mediante una scala sul lato d. del portico) hanno accertato l’esistenza
di una domus del sec. III con aula absidata, sostituita nel IV da una
basilica dedicata agli apostoli; questo edificio venne ricostruito al
tempo di Eudossia minore, consacrato sotto Sisto III nel 439,
modificato nella seconda metà del sec. XV dai futuri Sisto IV e Giulio
II, e poi ancora ai primi del XVIII e nella seconda metà dell’800.

L’ESTERNO. Precede la facciata un PORTICO (pianta, 1; c. 1475), con


arcate su pilastri ottagonali in pietra (nei capitelli, stemma Della
Rovere), attribuito da Giorgio Vasari a Baccio Pontelli ma forse opera
di Meo del Caprino; la cancellata che lo chiude risale al tempo di
Clemente XI, la dimessa sopraelevazione della facciata al 1570-78.
Sulla sinistra è la Canonica di fine ’400, restaurata nel 1861.
L’INTERNO DI S. PIETRO IN VINCOLI, cui si accede sotto il portico
per un portale marmoreo quattrocentesco (stemma Della Rovere), è
imponente per le proporzioni e le 20 colonne doriche antiche di
marmo imezio (le basi ioniche sono settecentesche). La navata
centrale, conclusa da un arco trionfale su due colonne antiche di
granito con capitelli corinzi, presenta la veste datale nel 1705-1706 da
Francesco Fontana che aggiunse la pesante volta lignea ribassata e
cassettonata (al centro, Miracolo delle catene di G.B. Parodi, 1706); le
navi laterali e il transetto furono coperti a fine ’400 con volte a
crociera (stemma Della Rovere). A sinistra dell’ingresso, monumento
di Antonio e di Piero del Pollaiolo con busti dei fratelli, opera di Luigi
Capponi (post 1498); sopra, Processione propiziatoria per la peste del
1476, affresco di scuola di Antoniazzo Romano. NAVATA DESTRA. 1°
altare (2): S. Agostino del Guercino. 2° (3): Liberazione di S. Pietro,
copia dal Domenichino; ai lati, monumenti del cardinale Girolamo
Agucchi (sin.; m. 1605) e di Lanfranco Margotti (d.; m. 1611), il primo
su disegno del Domenichino cui si attribuiscono anche i due ritratti
dipinti a olio. TRANSETTO DESTRO. Mausoleo di Giulio II (4), riduzione
della colossale opera ordinata a Michelangelo dal pontefice nel 1513 e
concepita dall’artista che vi attese per tre anni e che ne fu stornato da
Leone X: grandeggia in basso la figura seduta di *Mosè (1514-16?),
che, sceso dal Sinai, contempla sdegnoso gli Ebrei idolatri; ai lati,
entro nicchie, statue di Lia e di Rachele, simboli della vita attiva e
contemplativa, opere di Michelangelo ultimate da Raffaello da
Montelupo (1542-45); le altre parti sono dei discepoli (il Papa giacente
già attribuito a Tommaso Boscoli sarebbe, secondo recenti scoperte,
di mano di Michelangelo); la Madonna col Bambino di Scherano da
Settignano; il profeta e la sibilla di Raffaello da Montelupo. Il restauro
(2003) dell’opera ne ha consentito un’aggiornata lettura critica e un
ancora inedito portato scientifico. Per restituire l’aspetto
tridimensionale voluto da Michelangelo è stato rimosso il finestrone
settecentesco che oscurava il capolavoro. Infatti, nel 1553 il maestro
aveva fatto aprire una grande lunetta alle spalle del monumento che
proiettasse una luce così intensa sul retro della scultura da
consentirne una percezione quasi mistica. Nel XVIII secolo era stato
inserito un diaframma di vetri opalini che annullava la dinamicità e la
profondità della statua, riducendola a un mero monumento funebre
parietale di cui si avvertiva l’appiattimento sulle due dimensioni della
lunghezza e della larghezza. Di notevole interesse è anche il
ritrovamento di un affresco medievale sul muro dell’ex sagrestia, alle
spalle della tomba di Giulio II. Il dipinto è quasi certamente datato al
terzo o al quarto decennio del Trecento. Il ritrovamento riveste
particolare importanza sia per la particolare qualità pittorica sia perché
rappresenta un elemento di chiarimento dell’organizzazione
complessiva dell’ambiente retrostante alla tomba, che subì consistenti
modifiche all’epoca di Michelangelo.
Una porta lignea intagliata (prima metà sec. XVI) immette
nell’ANTISAGRESTIA (5), che accoglie la Liberazione di S. Pietro del
Domenichino (1604) e S. Agostino di Pier Francesco Mola; nella
SAGRESTIA, altare marmoreo quattrocentesco con rilievo raffigurante la
Madonna col Bambino. Nella cappella a d. della tribuna (6), S.
Margherita del Guercino. TRIBUNA (dipinta da Jacopo Coppi nel 1577;
7). Sotto l’altare maggiore (il baldacchino è di Virginio Vespignani,
1876), la CONFESSIONE (8), opera dello stesso, ospita nell’altare due
sportelli di bronzo dorato con scene della vita di S. Pietro in
bassorilievo, attribuite al Caradosso (1477); gli sportelli nascondono
l’urna di bronzo dorato (1856) contenente le supposte catene di S.
Pietro. Nella CRIPTA sotto l’altare, *sarcofago paleocristiano (sulla
fronte, episodi del Nuovo Testamento) con le presunte reliquie dei
fratelli Maccabei. NAVATA SINISTRA. 2° altare (9): *S. Sebastiano
barbuto, mosaico bizantino (c. 680). Monumento del cardinale Cinzio
Aldobrandini (1707; 10). 1° (11): Cristo deposto del Pomarancio; a
sin., *tomba di Nicolò da Cusa (m. 1464) con bassorilievo (S. Pietro
tra il cardinale e l’angelo liberatore) attribuito ad Andrea Bregno.

S. FRANCESCO DI PAOLA. Da un basso arcone su piazza di S. Pietro


in Vincoli si scende in via S. Francesco di Paola, suggestiva scalinata
che sottopassa il cosiddetto palazzo dei Borgia, in realtà appartenuto
ai Margani; secondo la tradizione sarebbe qui il «vicus Sceleratus» (da
identificarsi più probabilmente nell’odierna via Frangipane), ove Tullia
passò col cocchio sul corpo del padre, il re Servio Tullio. Si sbocca in
piazza di S. Francesco di Paola (a sin., sostruzioni medievali a fasce
bianche e nere di fortificazioni dei Cesarini), cui fa angolo l’omonimo
ex convento, costruito per i Minimi a metà ’600 ma riedificato nel
successivo da Luigi Barattoni.
Gli è contigua la chiesa nazionale dei Calabresi di S. Francesco di
Paola, costruita da Orazio Torriani (1624-30), ampliata nel 1645-50 e
completata nella decorazione dal Barattoni (inizi sec. XVIII). La parte
inferiore della facciata è in travertino, con portale e due nicchie a
edicola tra lesene con teste di cherubini; la superiore ebbe una
modesta finitura a intonaco nel ’700.

L’INTERNO è a navata unica coperta a botte, con tre cappelle per


lato, di cui le centrali più ampie. 2ª cappella d.: sulle pareti e sulla
volta, Miracoli del santo di Giuseppe Chiari. All’inizio del presbiterio,
sopra le porte, monumenti di Lazzaro Pallavicini (d.) e di Giovanni
Pizzullo (sin.) con busti dei defunti (Agostino Corsini, sec. XVIII).
*Altare maggiore di Giovanni Antonio De Rossi (c. 1655), con
scenografico panneggio di stucco imitante il bronzo e sostenuto da
angeli. Nella volta della sagrestia, Apparizione della Vergine a S.
Francesco di Paola del Sassoferrato (c. 1660); nella cappella attigua,
Crocifissione e S. Francesco di Paola di Francesco Cozza.

S. LUCIA IN SELCI. Scesi in via Cavour →, la si risale a d. fino a


largo Visconti Venosta, da dove si prosegue ancora a d. in via in Selci,
l’antico «clivus Suburanus», costeggiando la facciata, tripartita da
lesene a fascio e con duplice frontone, della chiesa dei Ss. Gioacchino
e Anna ai Monti (Giovanni Francesco Fiori, 1770-78), con interno a
croce greca. Segue il seicentesco monastero delle Agostiniane (N. 82),
che racchiude la chiesa di S. Lucia in Selci, diaconia sorta sul lato N
del portico di Livia e già esistente nel sec. VIII; l’edificio sacro, cui si
accede a sin. dell’atrio, fu ricostruito da Carlo Maderno nel 1604.

L’INTERNO è un’aula rettangolare voltata a botte, con due altari


per lato in nicchie tra lesene doriche. Sulla controfacciata, cantoria
attribuita a Francesco Borromini e Dio Padre del Cavalier d’Arpino. 1°
altare d.: Martirio di S. Lucia di Giovanni Lanfranco (firma). 2°: Visione
di S. Agostino di Andrea Camassei. L’altare maggiore, ottocentesco,
sostituisce quello originario di Borromini (sua la grata della mensa):
Annunciazione di Anastasio Fontebuoni (1606). 2° altare sin.:
Comunione della Madonna dalle mani di S. Giovanni del Camassei;
ciborio con marmi policromi e statue dorate e in alabastro, attribuito al
Maderno. 1° (cappella Landi), opera di Borromini del 1637-39: SS.
Trinità e i Ss. Agostino e Monica del Cavalier d’Arpino.

PIAZZA DI S. MARTINO AI MONTI, al termine di via in Selci il cui


ultimo tratto è fiancheggiato a d. dal prospetto di un edificio del sec. V
(ne resta un portico murato con pilastri di travertino), venne aperta a
fine ’800 e su essa sorgono due torri medievali, con merli e cortina di
restauro: a sin. quella dei Graziani; a d., isolata, quella dei Capocci
(m. 36.1).

L’EX VILLA SFORZA. Dal lato sin. dello slargo si stacca via dei
Quattro Cantoni, dove al N. 50, oltre un recinto settecentesco
rimaneggiato a fine ’800, è l’ex residenza, costruita nella prima metà
del sec. XVII ispirandosi a prototipi palladiani nella pianta con salone
centrale (le ali laterali risalgono ai primi del ’700); la facciata,
preceduta da una doppia scalinata, presenta belle cornici barocche ed
è sormontata da un belvedere in corrispondenza del salone centrale.

LA BASILICA DI S. MARTINO AI MONTI chiude il lato SE dello slargo


con l’abside e il cinquecentesco portale posteriore, mentre la facciata
principale, prospettante su viale del Monte Oppio, è articolata da due
ordini di lesene a fascio (ai lati del portale, S. Martino e S. Silvestro,
stucchi di Stefano Castelli). Sull’antico «titulus Equitii» venne eretta da
papa Simmaco una prima chiesa, dedicata ai Ss. Silvestro e Martino,
poi riedificata da Sergio II; la veste attuale risale ai restauri iniziati nel
1636.

L’INTERNO è a tre navate, divise da colonne antiche con capitelli


compositi su cui poggia la trabeazione (sopra questa, medaglioni in
stucco e statue di santi di Pietro Paolo Naldini, c. 1655). Le navate
laterali conservano bei soffitti lignei seicenteschi monocromi a rilievo
e, sulle pareti, affreschi di Gaspard Dughet (a d., storie di S. Elia; a
sin., Paesaggi della Campagna romana) e prospettive di Filippo
Gagliardi (Interno di S. Giovanni in Laterano prima del rinnovamento
borrominiano; Antica basilica di S. Pietro). NAVATA DESTRA. 1° altare: S.
Maria Maddalena de’ Pazzi di Matteo Piccione (1647). 2°: Estasi di S.
Teresa di Gesù di Giovanni Greppi. 3°: S. Martino di Fabrizio Chiari. La
scalinata centrale scende alla scenografica CRIPTA del Gagliardi (c.
1650), con profusione di colonne doriche e, sulle volte, stucchi del
Naldini. Dalla cripta si accede a sin. a una suggestiva AULA (m 18x11),
coperta da volte a crociera su pilastri e preceduta da un vestibolo,
databile al sec. III e facente parte del «titulus»; in essa sono
frammenti architettonici romani e medievali, resti di affreschi del IX
(nella volta, avanzo di Croce gemmata), un ciborietto cosmatesco e un
mosaico (Madonna con S. Silvestro) del VI. NAVATA SINISTRA. 2° altare:
S. Alberto carmelitano di Girolamo Muziano (1575). 1°: S. Angelo di
Pietro Testa (1646). All’inizio della navata, S. Cirillo battezza un
sultano, affresco di Jan Miel (1651).

*S. PRASSEDE. Dalla piazza, via di S. Martino ai Monti, tratto


superiore del «clivus Suburanus» (nel palazzo al N. 20A un’iscrizione
ricorda un soggiorno del Domenichino), incontra, serrato tra case
d’abitazione, il protiro medievale, con due colonne antiche di granito
con capitelli ionici, della basilica, le cui origini sono legate, secondo la
tradizione, al «titulus Praxedis», cioè della figlia del senatore Pudente
e sorella di Pudenziana; nel 489 esisteva già sul luogo, ma con
orientamento inverso all’attuale, un edificio sacro, ricostruito da
Pasquale I – che vi trasferì dalle catacombe le spoglie di c. 2000
martiri – e restaurato più volte nei secoli successivi. Alla chiesa si
accede abitualmente dal lato d., che dà su via S. Prassede.
Dal PROTIRO (pianta, 1), una SCALA (2; nelle pareti sono inglobati gli
archi del ciborio del sec. IX) sale al CORTILE (3; a sin., resti del
colonnato della basilica paleocristiana), che precede la facciata
laterizia a due spioventi risalente al tempo di Pasquale I, con portale
del ’500, tre finestre centinate (le transenne sono di restauro) e
cornicione medievale.

L’INTERNO DI S. PRASSEDE conserva, sotto le aggiunte, parte della


struttura del sec. IX: le tre navate sono divise da colonne di granito
con capitelli in parte di restauro; nel Medioevo tre colonne per parte
furono inglobate in pilastri reggenti arcate trasversali di rinforzo, nel
’500 le 10 finestre originarie su ogni lato furono sostituite da quattro
finestroni, sotto i quali sono affreschi di inizi sec. XVII. Al centro del
pavimento (4), un disco di porfido copre il pozzo ove S. Prassede
avrebbe raccolto i resti dei martiri (iscrizione).
NAVATA DESTRA. 2ª cappella (Cesi; 5): la volta e le pareti (a d.,
Famiglia della Vergine; a sin., Adorazione dei Magi) sono del
Borgognone, le lunette di Ciro Ferri. *Cappella di S. Zenone (6), il
più importante monumento bizantino in Roma, eretta da Pasquale I
come mausoleo della madre Teodora. La precede un portale costituito
da materiale in parte di spoglio (i capitelli e gli stipiti sono del sec. IX),
al di sopra del quale un lunettone a mosaico, con doppio giro di
medaglioni, circoscrive una finestra centinata con urna marmorea di
età classica: nel giro interno, Madonna con Bambino, i Ss. Novato e
Timoteo, le Ss. Prassede e Pudenziana e altri busti muliebri; nel giro
esterno, Cristo e gli apostoli; agli angoli, in alto due santi, in basso
Pasquale I e il suo successore (?), assai restaurati. L’interno della
cappella s’ispira ai mausolei classici nella pianta cruciforme con
colonne angolari e volta a crociera: le colonne di granito, i capitelli e i
pulvini sono di spoglio, tre basi risalgono al sec. IX; il pavimento è uno
dei più antichi esempi di opus sectile a marmi policromi. I mosaici
rappresentano: nella volta, il Salvatore entro un medaglione sorretto
da quattro angeli; nel lunettone d., i Ss. Giovanni evangelista, Andrea
e Giacomo; nella lunetta sottostante, Cristo tra i Ss. Pasquale I e
Valentiniano; nella nicchia all’altare, Madonna con Bambino in trono e
le Ss. Prassede e Pudenziana (sec. XIII); ai lati della finestrella
quadrata sopra l’altare, S. Giovanni Battista e la Madonna; nel
lunettone sin., S. Agnese (d.) e le Ss. Prassede e Pudenziana (sin.);
nella lunetta della nicchia sottostante, Teodora episcopa (con il nimbo
quadrato dei viventi), la Madonna e due sante. Nel piccolo vano a d.
dell’ingresso, colonna della Flagellazione, portata da Gerusalemme nel
1223 e ritenuta quella cui sarebbe stato legato Gesù. Sul 3° pilastro
(7), affresco con Crocifissione (fine sec. XIII) e memoria funebre con
busto del vescovo G.B. Santoni (m. 1592), una delle prime opere di
Gian Lorenzo Bernini (c. 1614). 4ª cappella (8): tomba del cardinale
Alano (1474) di Andrea Bregno. Cappella in fondo alla navata (del
Crocifisso; 9), con marmi provenienti dalla basilica paleocristiana e da
quella medievale: Crocifisso ligneo (sec. XVI); alla parete opposta,
tomba del cardinale Pantaléon Anchier de Troyes (m. 1286) attribuita
ad Arnolfo di Cambio.
In fondo alla navata maggiore, l’arco trionfale (A) è decorato con
*mosaici del tempo di Pasquale I: entro le mura della Gerusalemme
celeste, Gesù tra due angeli e, in basso, gli apostoli divisi in due
gruppi con S. Paolo preceduto dal Battista e dalla Madonna; ai lati,
Mosè (sin.) ed Elia con un angelo; alla porta della città, Angeli che
aspettano gli eletti del Signore; nell’intradosso dell’arco, monogramma
di Pasquale I.
La zona del presbiterio e della cripta fu modificata dopo il 1730 da
Francesco Ferrari: per la scala centrale si scende in un corridoio (ai
lati, quattro sarcofagi strigilati, di cui uno con le spoglie delle Ss.
Prassede e Pudenziana), al termine del quale è l’originaria CRIPTA
semianulare (10; sull’altare, paliotto cosmatesco). Due gradinate di
rosso antico salgono al PRESBITERIO (11): il ciborio, che utilizza quattro
colonne di porfido rosso di quello di Pasquale I, è opera del Ferrari
(1730); gli angeli al sommo del fastigio sono di Giuseppe Rusconi, la
cupoletta accoglie affreschi di Antonio Bicchierai (c. 1730); alle pareti
sono addossate *colonne, probabilmente di età classica, scanalate e
fasciate di corone d’acanto. L’abside risplende di *mosaici, anch’essi
forse dell’epoca di Pasquale I: nel mezzo del semicatino, Cristo
benedicente; a sin., S. Paolo che cinge col braccio S. Prassede, e papa
Pasquale offerente la chiesa; a d., S. Pietro nello stesso atteggiamento
di S. Paolo, S. Pudenziana e S. Zenone; ai lati, le palme (quella di sin.
con la Fenice, simbolo del Cristo risorto); sotto, il Giordano, l’Agnello
(simbolo del Redentore) e le pecore (i discepoli), Gerusalemme e
Betlemme (le città d’oro) e l’iscrizione dedicatoria; al sommo,
monogramma di Pasquale I. All’esterno, l’Agnus Dei in chiave d’arco e,
ai lati, i sette candelabri, i quattro arcangeli e i simboli degli
evangelisti; più sotto, spartiti sui due lati, i 24 Seniori biancovestiti che
offrono corone. Sulla parete in fondo all’abside, S. Prassede in atto di
raccogliere il sangue dei martiri di Domenico Maria Muratori (1735).
All’estremità sin. dell’antico transetto, ora base del campanile
(sec. XV), storie di martiri, affreschi del IX.
SAGRESTIA (12). All’altare, pala di S. Giovanni Gualberto di Agostino
Ciampelli; alle pareti, Flagellazione già ritenuta di Giulio Romano,
Cristo deposto e santi di Giovanni De Vecchi, S. Giovanni Gualberto
eremita di Francesco Gai. NAVATA SINISTRA. 4ª cappella (di S. Giovanni
Gualberto; 13), a croce greca e cupola (Ernesto Leschiutta, 1933):
affreschi e mosaici di Giulio Bargellini (1935). 3ª (Olgiati; 14), di
Martino Longhi il Vecchio: Gesù sotto la Croce di Federico Zuccari;
volta affrescata dal Cavalier d’Arpino. 2ª (15): Preghiera di S. Carlo di
Ludovico Stern (1739; firma), cui appartengono anche il S. Carlo in
meditazione e il S. Carlo in estasi ai lati.

Via S. Prassede, che costeggia il fianco d. della chiesa, conduce in


piazza di S. Maria Maggiore →.

2.2 IL RIONE TREVI

Il rione, il cui nome deriva dal trivio presso piazza dei Crociferi,
accolse nel Medioevo la massima concentrazione di abitazioni attorno
alle piazze di Trevi, dove restava attiva l’Acqua Vergine, e dei Ss.
Apostoli; la sommità del Quirinale, denominato Monte Cavallo dai
colossali Dioscuri e sulle cui pendici era stato costruito al tempo di
Caracalla il tempio di Serapide, rimase scarsamente abitata,
conservando un aspetto suburbano fino a metà Cinquecento, quando
agli insediamenti difensivi medievali si sostituirono casini e ville (villa
Carafa d’Este, nucleo del palazzo del Quirinale), nonché edifici di
carattere religioso oggi in gran parte scomparsi. Con Pio IV s’iniziò
una parziale rivitalizzazione della zona con il livellamento e
l’ampliamento dei percorsi classici dell’«Alta Semita» e del «vicus
Portae Collinae», che presero il nome di strada Pia (le attuali vie del
Quirinale e XX Settembre), ma fu soprattutto sotto Sisto V, con
l’apertura nel 1585 della strada Felice (il rettifilo che ancora oggi
collega Trinità dei Monti a S. Croce in Gerusalemme) e con la
costruzione del condotto dell’Acqua Felice (1585-89), che cominciò la
vera urbanizzazione. Nel Seicento si restaurarono antiche chiese (S.
Susanna, sorta nel Medioevo come «titulus Gai») e se ne costruirono
di nuove (S. Paolo poi S. Maria della Vittoria, S. Nicola da Tolentino, S.
Basilio), mentre attorno a piazza dei Ss. Apostoli importanti palazzi
(Odescalchi, Colonna, Grimaldi, Muti Papazzurri) sorsero a fianco di
abitazioni di borghesi e artigiani formando un fitto tessuto urbano; il
complesso del Quirinale, sede papale alternativa al Vaticano, divenne
il fulcro della zona, che dal XVIII secolo ebbe assetto definitivo con la
costruzione degli edifici connessi alla residenza e al governo pontificio
(scuderie, palazzo della Consulta, palazzo della Famiglia Pontificia,
Manica Lunga, palazzina del Segretario della Cifra).
Sostanziali cambiamenti si verificarono dopo il 1870 nella parte
alta del rione per adeguarla alle funzioni di Roma capitale: la
costruzione degli edifici dei ministeri mutò completamente l’aspetto
della strada Pia, asse di collegamento tra il Quirinale – divenuto
residenza del re – e la stazione ferroviaria, mentre la sistemazione di
via della Dataria (1866) e il livellamento di via XXIV Maggio (1877)
crearono i collegamenti fra il centro storico e i nuovi quartieri a nord-
est; l’apertura delle vie del Tritone (1885-1925), Barberini (1926-32),
Bissolati (1933) e del traforo Umberto I (1902-1903) hanno
accentuato la trasformazione del rione, che ha mantenuto le
caratteristiche più suggestive intorno al polo di fontana di Trevi e che
ha nella visita (pianta →) di importanti complessi museali (le Gallerie
Colonna, dell’Accademia di S. Luca e nazionale d’Arte antica) e di due
splendidi esempi di architettura sacra seicentesca (S. Carlo alle
Quattro Fontane e S. Andrea al Quirinale) i momenti di maggiore
interesse.

PALAZZO COLONNA, sul lato NE (N. 53) di piazza dei Ss. Apostoli
(aperta su via Battisti: →), fu eretto da Martino V sul luogo di un
castello dei conti Tuscolani anteriore al Mille e in parte ricostruito nel
1730 da Nicola Michetti, che aggiunse sul lato prospiciente la piazza
un’originalissima quinta composta da una fascia bassa con botteghe,
due portali e due eleganti padiglioni cubici con loggia a finestroni; il
prospetto su via IV Novembre fu eretto ripetendo le forme
settecentesche del fronte sulla piazza nel 1879. Nel padiglione in
angolo con la summenzionata via, ora sede del Museo delle Cere (t.
066796482), è l’ex CAFFEE-HAUS, che accoglie, al secondo piano, la
splendida sala a volta ottagonale affrescata (Favola di Amore e
Psiche) da Francesco Mancini.
Il palazzo vero e proprio, posto in un vastissimo cortile (la
PALAZZINA DEL CARDINALE GIULIANO DELLA ROVERE, eretta nel 1484 e
incorporata nel fabbricato settecentesco, forma il fianco N di un
secondo cortile), ospita la famosa *Galleria Colonna (ingresso dalla
retrostante via della Pilotta N. 17; t. 066784350), costituita nel 1654-
65 dal cardinale Girolamo e incrementata da Lorenzo Onofrio Colonna
e da Fabrizio Colonna; dopo la vendita forzosa di un discreto numero
di capolavori nel 1798, nel sec. XIX entrarono nella collezione dipinti di
maestri italiani del ’300 e ’400, mentre nel successivo l’accorta politica
di acquisizioni di Marcantonio Colonna ha riportato la raccolta
all’antico splendore.

LE OPERE DELLA COLLEZIONE. INGRESSO: S. Benedetto di Jacopo


Chimenti. SCALA: Tre figure, copia di dipinto ritenuto di Giorgione,
Sebastiano del Piombo e Tiziano; Paesaggio di Filippo Angeli; Uscita di
Noè dall’arca di Filippo Lauri. ANTICAMERA: Crocifissione di scuola di
Federico Barocci; Maddalena, copia da Correggio; Marte e Venere di
scuola di Antonie Van Dyck; Il Tempo rapisce la Bellezza di bottega
del Cavalier d’Arpino; S. Giuliano ospitaliero attribuito a Perin del
Vaga; S. Andrea e S. Caterina del Sermoneta; Cristo coronato di spine
di Francesco Trevisani; Visione di S. Gerolamo di Pier Francesco Mola.
SALA DELLA COLONNA BELLICA, cosiddetta dalla colonna di marmo
rosso antico (emblema della famiglia) posta al centro e sormontata da
una statuetta la cui attribuzione oscilla tra Pallade, Bellona e Roma:
Madonna con Bambino e S. Pietro e donatore di Palma il Vecchio;
Ratto delle Sabine di Bartolomeo di Giovanni; Sacra famiglia con S.
Gerolamo e S. Caterina di Bonifacio Veronese; Pace tra Romani e
Sabini, tavola del di Giovanni; *Venere, Cupido e satiro, tavola del
Bronzino; La Notte di Michele di Ridolfo del Ghirlandaio; Lo Spirito
Santo adorato da una famiglia di Domenico Tintoretto; Venere e
Amore di Michele di Ridolfo del Ghirlandaio; *Narciso al fonte di
Jacopo Tintoretto; L’Aurora, tavola di Michele di Ridolfo del
Ghirlandaio; Ritratti attribuiti a Pietro Novelli, Giovanni Bernardo
Carbone, Antonie Van Dyck, Lorenzo Lotto, e di Scipione Pulzone e
Bartolomeo Cancellieri. Nella volta: Apoteosi di Marcantonio II
Colonna, affresco di Giuseppe Chiari.
La SALA GRANDE (uno dei gradini venne spezzato da un colpo di
cannone durante l’assedio francese del 1849), ambiente fastosamente
decorato secondo il progetto di Antonio Del Grande e Girolamo
Fontana, è ripartita da lesene corinzie binate, fra le quali sono fregi in
stucco dorato con trofei e panoplie; le specchiere di Venezia furono
dipinte con putti di Carlo Maratta e fiori di Mario de’ Fiori; gli affreschi
della volta si devono per la parte decorativa a Giovanni Paolo Schor e
per la parte figurativa (episodi della vita di Marcantonio II Colonna) a
Giovanni Coli e Filippo Gherardi (1675-78). Cena in casa di Simeone di
Francesco Bassano; S. Giovanni Battista di Salvatore Rosa; S.
Sebastiano curato dalle pie donne di Giovanni Domenico Cerrini;
Cimone e Ifigenia attribuito a Pietro Testa; Predica di S. Giovanni
Battista del Rosa; Ecce Homo tra due angeli di Francesco Albani;
Rebecca al pozzo di Pier Francesco Mola; Adamo ed Eva di Francesco
Salviati; Agar e Ismaele del Mola; Martirio di S. Emerenziana del
Guercino; Madonna del Soccorso di Niccolò di Liberatore; Maddalena
in gloria di Giovanni Lanfranco; S. Francesco orante di Girolamo
Muziano; Allegoria delle Arti attribuita a Matteo Rosselli; Martirio di S.
Caterina di Enea Salmeggia; S. Pietro liberato da un angelo del
Lanfranco; S. Francesco in preghiera attribuito a Guido Reni;
Assunzione della Vergine di seguace di Pieter Paul Rubens; Cristo al
limbo di Alessandro Allori; La Carità romana di Antonio Gherardi; S.
Paolo eremita del Guercino; Ritratti di Bartolomeo Passerotti e della
bottega di Justus Sustermans.
SALA DEI PAESAGGI: Paesaggi di Gaspard Dughet, Pieterzoon
Nicolaes Berchem, Herman van Swanevelt, Cornelis van Poelenburgh,
Jan Frans van Bloemen, Jacob de Heusch e Crescenzio Onofri; Cacce
del Borgognone, Josse de Momper e Jan Brueghel il Vecchio; Antigone
presso i corpi di Eteocle e Polinice attribuito a Paul Brill; Riposo
durante la fuga in Egitto del Borgognone; Predica di S. Giovanni
Battista di Michelangelo Cerquozzi. Nella volta: Allegoria della vittoria
di Marcantonio II Colonna a Lepanto di Sebastiano Ricci (ante 1695).
SALA DELL’APOTEOSI DI MARTINO V: Ritratti di Domenico Tintoretto,
Francesco Salviati, Jan Stephan van Calcar, del Veronese, e attribuiti a
Juan Fernandez de Navarrete e alla cerchia di Michele di Ridolfo del
Ghirlandaio; Madonna con Bambino e angelo con fragole, copia da
Lucas Cranach il Giovane; Ecce Homo di Francesco Bassano; Angelo
annunziante e Vergine annunciata del Guercino; La Vergine dona lo
scapolare a S. Simone Stock dello Scarsellino; Madonna con Bambino
e S. Elisabetta, tavola del Bronzino; S. Carlo Borromeo di Giovanni
Lanfranco; Angelo custode del Guercino; Ratto di Europa di Francesco
Albani; Madonna incoronata da due angeli con Bambino e S.
Giovannino, tavola di Andrea del Sarto (?); *Mangiafagioli di
Annibale Carracci; S. Gerolamo penitente, tavola dello Spagna; Sacra
famiglia con S. Sebastiano e S. Girolamo e la Maddalena di Paris
Bordon; Risurrezione di Lazzaro del Salviati; Cristo morto sorretto da
due angeli di Leandro Bassano; Sacra famiglia e santi del Bordon. Sul
soffitto: al centro Apoteosi di Martino V di Benedetto Luti, agli angoli
Allegorie di Pompeo Batoni; in due riquadri rettangolari, Il Merito
incoronato dalla Virtù di Pietro Bianchi e Il Tempo scopre la Verità del
Batoni.
SALA DEL TRONO (destinata secondo l’uso delle case principesche
romane a ricevere il pontefice): sotto il baldacchino della poltrona che
funge da trono, ritratti di Martino V (copia da Pisanello) e di Felice
Colonna Orsini di Scipione Pulzone (?); alle pareti, portolano del 1572,
che si ritiene adoperato da Marcantonio II a Lèpanto, e diploma in
pergamena offerto dal Senato romano al vincitore di Lèpanto.
SALA DEI PRIMITIVI (detta anche di Maria Mancini): Allegoria delle
Arti decorative della maniera di Giovanni Benedetto Castiglione;
Nascita della Vergine di Francesco Cozza; Risurrezione di Cristo e di
alcuni membri di casa Colonna di Pietro da Cortona; Cristo risorto,
tavola di Jacob van Amsterdam; Addolorata, tavola di Juan de Juanes;
Madonna in trono con Bambino benedicente, tavola di Bartolomeo
Vivarini; Madonna con Bambino, S. Giovannino e un monaco di Luca
Longhi; Riscatto di uno schiavo di Gerard de Lairesse; S. Giovanni
Battista, tavola di Pietro Alemanno; Madonna con Bambino, S.
Elisabetta e S. Giovannino, tavola di Bernardino Luini; Madonna con
Bambino, tavola di Giuliano Bugiardini; Madonna con Bambino, tavola
di scuola di Sandro Botticelli; Crocifisso, tavola di Jacopo degli Avanzi;
Madonna con Bambino e santi attribuita a Giovanni Francesco Caroto;
Madonna con Bambino e S. Giovannino, tavola del Sermoneta;
Madonna con Bambino e angeli, tavola di Stefano da Zevio; Sacra
famiglia di Simone Cantarini; S. Giacomo maggiore, tavola della
bottega di Botticelli; Le sette gioie della Vergine, tavola di Bernart van
Orley; Sacra famiglia e santi, tavola di Innocenzo da Imola e bottega;
I sette dolori della Vergine del van Orley; Mosè con le tavole della
Legge del Guercino; Paesaggi di Francesco Albani; Ritratti di Rocco
Zoppo e ascritti a Caspar Netscher.
LA BASILICA DEI SS. APOSTOLI (Filippo e Giacomo), contigua al
palazzo Colonna, fu eretta da Pelagio I e completata da Giovanni III
nel 570. Martino V ne iniziò il restauro e a fine ’400 Sisto IV la rinnovò
aggiungendo il loggiato; sotto Clemente XI, Francesco Fontana (1702-
1708), e alla morte di questi il padre Carlo fino al 1714, trasformarono
la chiesa in forme settecentesche. L’alta e piatta facciata neoclassica,
su disegno di Giuseppe Valadier (1827), è scandita da lesene e da un
finestrone rettangolare nel mezzo; la precede un PORTICO, attribuito a
Baccio Pontelli (fine sec. XV) e obliquo rispetto all’asse della chiesa, a
nove arcate su due ordini: il primo a pilastri ottagonali e il secondo
con semicolonne ioniche, chiuso nel 1674-75 con l’inserimento di
finestre barocche da Carlo Rainaldi, che aggiunse la balaustra con le
statue di Cristo e degli apostoli.

SOTTO IL PORTICO, a d., aquila imperiale, rilievo romano del sec. II,
e, sotto, leone firmato da un Vassalletto (sec. XIII); a d. della porta d.
lapide del musicista Gerolamo Frescobaldi, a sin. pietra tombale con
ritratto di Giovanni Colonna (m. 1484), attribuita a Luigi Capponi; ai
lati del portale mediano, leoni stilofori romanici; a sin., *stele
funeraria di Giovanni Volpato di Antonio Canova (1807).

L’INTERNO, splendente di ori e di decorazioni ad affresco e stucco


di gusto settecentesco, è a tre navate, divise da robusti pilastri con
lesene corinzie binate: sulla volta, *Trionfo dell’ordine francescano,
affresco del Baciccia (1707), ed evangelisti di Luigi Fontana (1875);
sopra la porta mediana, iscrizione con stemma di Clemente XI (1721)
riquadrata da quattro figure allegoriche in stucco. NAVATA DESTRA. 1ª
cappella: Madonna col Bambino adorati da S. Bonaventura e dal beato
Andrea Conti di Nicolò Lapiccola; sotto, Madonna del cardinale
Bessarione, tavola attribuita a Jacopo Ripanda (c. 1480). 2ª:
Immacolata e angeli di Corrado Giaquinto. Sul 2° pilastro, monumento
funerario di Clementina Sobieski di Filippo Della Valle (1737). 3ª
cappella (Odescalchi), su architettura di Ludovico Rusconi Sassi
(1703): sul ricco altare marmoreo, S. Antonio di Padova di Benedetto
Luti (1723); sul pavimento, stemma marmoreo di Innocenzo XI (1716)
in ricordo della liberazione di Vienna del 1683; sulla parete retrostante
all’altare, *affreschi quattrocenteschi della confessione di S. Eugenia,
fatti eseguire dal cardinale Bessarione. In fondo alla navata è la
cappella del Crocifisso (Luca Carimini, 1858), con otto *colonne tortili
del sec. IV dall’antica chiesa. La CONFESSIONE, pure del Carimini (1873-
79), accoglie, oltre alle ossa degli apostoli titolari, il monumento
funebre di Raffaele Della Rovere (m. 1477), attribuito ad Andrea
Bregno, e un sarcofago romano con tomba di Alessandro Riario.
ABSIDE. Sulla parete d., tomba del conte Giraud d’Ansedum attribuita a
Mino del Reame, e, sopra, tomba del cardinale Raffaele Riario (m.
1721), di forme michelangiolesche; in fondo, Martirio dei Ss. Filippo e
Giacomo di Domenico Maria Muratori (1704), la più grande pala
d’altare di Roma; alla parete sin., monumento funebre del cardinale
Pietro Riario (m. 1474), opera del Bregno, di Giovanni Dalmata e di
Mino da Fiesole (suo il bassorilievo con Madonna col Bambino e santi).
A sinistra dell’abside, *monumento di Clemente XIV (alla base,
Allegorie della Mansuetudine e della Modestia), prima opera romana di
Canova (1789). Una porta sotto il monumento dà accesso alla
SAGRESTIA: nella volta, Ascensione di Sebastiano Ricci (1701). NAVATA
SINISTRA. 3ª cappella (Colonna): S. Francesco sorretto dagli angeli di
Giuseppe Chiari; a sin., monumenti del cardinale Carlo Colonna (m.
1753; d.) e di Maria Lucrezia Rospigliosi Salviati (m. 1749; sin.) di
Bernardino Ludovisi. 2ª: S. Giuseppe da Copertino, tela di Giuseppe
Cades (1777). 1ª: Pietà di Francesco Manno.

IL PALAZZO DEI SS. APOSTOLI, appoggiato al fianco sin. della


basilica, venne eretto per il cardinale Giuliano Della Rovere da Giuliano
da Sangallo (1478-80), con torre angolare e finestre marmoree con
stemma della famiglia. Per il portale cinquecentesco al N. 51 si accede
ai due CHIOSTRI contigui: il primo (fine sec. XV) è ad archi su colonne
con capitelli ionici, analoghi a quelli dell’elegante loggia superiore sui
lati N ed E; il secondo (1503-1512), simile al precedente, accoglie una
fontana di Domenico Fontana e, lungo la parete, il monumento del
cardinale Bessarione (m. 1472) e il cenotafio di Michelangelo, qui
posto prima della traslazione a Firenze (la figura giacente è forse
quella del filosofo Ferdinando Eustachio, m. nel 1594).
IL PALAZZO ODESCALCHI, già Colonna e poi Ludovisi e Chigi,
fronteggia la basilica (N. 80); iniziato da Carlo Maderno (suo è il
CORTILE rettangolare ad arcate con pilastri e colonne doriche), ebbe nel
1664 da Gian Lorenzo Bernini aggiunta la facciata – parte
corrispondente alle prime otto paraste a sin. – con ordine gigante su
alto basamento, cornicione con balaustra e ricco portale con finestra
sovrastante; benché il prolungamento ai lati e il raddoppiamento al
centro operati da Nicola Salvi e Luigi Vanvitelli per Baldassarre
Odescalchi nel 1745 abbiano alterato le proporzioni berniniane,
l’edificio ha costituito un modello di palazzo barocco molto imitato sia
in Italia sia all’estero. Il fronte sulla retrostante via del Corso, eretto
per il principe Baldassarre da Raffaele Ojetti (1887-89), si rifà ai
palazzi fiorentini del ’400 nel bugnato su tutta la superficie, nel doppio
piano di bifore entro archi e nel netto cornicione.

PIAZZA DELL’ORATORIO E DINTORNI. Via di S. Marcello, che si stacca


dall’angolo NO di piazza dei Ss. Apostoli costeggiando a d. il fianco di
palazzo Balestra già Muti Papazzurri (1644), incontra al N. 41B
l’accesso alla cappella della Madonna dell’Archetto, eretta nel 1851 da
Virginio Vespignani per i marchesi Alessandro e Caterina Papazzurri;
nonostante le esigue dimensioni, è notevole per l’armonia delle
proporzioni architettoniche e la varietà delle decorazioni (sull’altare,
venerata Madonna causa nostrae letitiae, dipinta su pietra maiolicata
da Domenico Maria Muratori nel 1690).
Al termine della via si è in piazza dell’Oratorio, che prende nome
dall’oratorio del Crocifisso eretto da Giacomo Della Porta. La
facciata manierista (1568), finemente decorata, ha un forte slancio
verticale e reinterpreta con libertà la tradizionale struttura a ordini
sovrapposti. L’interno, ad aula rettangolare e con soffitto a lacunari, è
interamente affrescato: in controfacciata, a d. Processione per la
peste del 1522 di Paris Nogari e Approvazione degli statuti della
confraternita di Baldassarre Croce; a sin. Il Crocifisso rimane intatto
nell’incendio della chiesa di S. Marcello e Fondazione del convento
delle Cappuccine del Pomarancio. Sulle pareti, tra profeti e sibille,
*Invenzione ed esaltazione della Croce: a d., S. Elena fa abbattere gli
idoli e Invenzione della Croce di Giovanni De Vecchi (1579), e Miracolo
della vera Croce di Nicolò Circignani (1589); a sin., Duello fra Cosroe
ed Eraclio e Visione di Eraclio del Circignani, ed Eraclio porta la Croce
a Gerusalemme di Cesare Nebbia.
Sulla destra dell’oratorio è la galleria Sciarra, passaggio pedonale
verso via Marco Minghetti aperto nel 1885-86 da Giulio De Angelis, nel
quadro della ristrutturazione di palazzo Sciarra →, con schema
crociato e volta a padiglione di ferro e vetro; nel vano centrale, a
ordini sovrapposti di lesene, decorazione eclettica affrescata da
Giuseppe Cellini (1886-88).
Da piazza dell’Oratorio, seguendo il tratto di d. di via dell’Umiltà
che costeggia a sin. il prospetto del teatro Quirino, si raggiungono la
chiesa di S. Rita, già S. Maria delle Vergini (la facciata, di gusto tardo-
manierista, fu edificata forse su disegno di Mattia De Rossi, mentre
l’interno è di Francesco Peparelli, 1634-36), e l’edificio (Andrea Busiri
Vici, 1859) che ingloba la chiesa di S. Maria dell’Umiltà, eretta nel
1641-46 da Paolo Marucelli e trasformata da Carlo Fontana, autore
anche della primitiva facciata (1681); questa conserva l’ordine unico di
paraste e la decorazione tardo-seicentesca, ma ha perduto l’originale
coronamento a timpano spezzato. L’interno fu completato con ori e
marmi pregiati dal Fontana, che alterò il sobrio aspetto
cinquecentesco della navata: sulla volta, Assunzione di Maria di
Michelangelo Cerruti (1726); nelle nicchie, sculture di Ercole Antonio
Raggi. Nella cappella maggiore, riccamente decorata su progetto di
Martino Longhi il Giovane (1640-46), i rilievi laterali (S. Maria
Maddalena e S. Caterina d’Alessandria) sono di Francesco Cavallini. Al
2° altare sin., S. Michele arcangelo di Francesco Allegrini (c. 1645).

VERSO LA FONTANA DI TREVI. Da piazza dei Ss. Apostoli, a sin.


dell’omonimo complesso, la stretta via del Vaccaro lascia a sin. il
palazzo Muti Papazzurri – attribuito a Mattia De Rossi ma radicalmente
trasformato nel 1909 per ospitare il Pontificio Istituto Biblico (la
decorazione della galleria del piano nobile – paesaggi, architetture e
soggetti mitologici – è di Giovanni Francesco Grimaldi e Giacinto
Calandrucci; la biblioteca riunisce oltre 135000 volumi sulle Sacre
Scritture e sul Vicino Oriente antico) – e sbocca in piazza della Pilotta,
così chiamata dal nome spagnolo del gioco della palla («pelota»). Vi
incombe la mole del palazzo della Pontificia Università Gregoriana,
costruito da Giulio Barluzzi nel 1927-30 per ospitare l’istituzione
fondata da S. Ignazio di Loyola nel 1551; la facciata, ricca di motivi
classici, ricorda nella sopraelevazione del corpo centrale le linee del
Collegio Romano.
Si piega a sin. in via de’ Lucchesi, che si apre a d. in
corrispondenza della chiesa di S. Croce e S. Bonaventura dei
Lucchesi, eretta sui ruderi, visibili nei sotterranei, della chiesa di S.
Nicola de Portiis («de Porcis» o «in Porcilibus») del sec. IX,
appartenuta nella seconda metà del ’500 ai frati minori cappuccini e
concessa nel 1631 da Urbano VIII ai Lucchesi; il tempio attuale
(Mattia De Rossi, 1682-95) ha facciata a un solo ordine, con la parte
centrale fiancheggiata da corpi più bassi con volute spezzate.

L’INTERNO, a navata unica e ricco di ori e stucchi, fu modificato


dai restauri di Virginio Vespignani (1859-63): nel soffitto a cassettoni,
al centro L’imperatore Eraclio riporta la Croce a Gerusalemme, ai lati
angeli con il velo della Veronica e angeli con il Volto Santo e inserti
minori con angeli recanti i simboli della Passione, di Giovanni Coli e
Filippo Gherardi. 1ª cappella d., eretta nel 1701 su disegno di Simone
Costanzi: Immacolata di Biagio Puccini; alla parete d., S. Frediano
libera Lucca da un’inondazione di Francesco del Tintore; a quella sin.,
S. Lorenzo libera un’ossessa di Domenico Maria Muratori. 3ª cappella
sin.: Assunta e i Ss. Francesco e Girolamo del Barbalonga. 1ª: alla
parete d. Coronazione di spine attribuita al Coli, a quella sin. Ecce
Homo ascritto al Gherardi.

*PIAZZA DI TREVI. Oltre via della Dataria →, via di S. Vincenzo,


prosecuzione di via de’ Lucchesi, sbocca in questo spazio di fama
mondiale, il cui nome deriva dal trivio su piazza dei Crociferi mentre la
sua storia inizia con la mostra dell’Acqua Vergine (la romana «Aqua
Virgo» captata nel 19 a.C. da Agrippa presso Salone), ricostruita nel
1453 per volere di Niccolò V e orientata allora proprio verso il
summenzionato incrocio.
Domina l’insieme la celeberrima *fontana di Trevi, iniziata nel
1732, sotto Clemente XII, da Nicola Salvi, continuata dopo il 1751 da
Giuseppe Pannini e inaugurata sotto Clemente XIII (1762). È
addossata al lato minore (largo m 20 e alto m 26) di palazzo Poli,
divenuto a sua volta parte integrante del complesso dopo fasi
costruttive e di accorpamento e ristrutturazione di edifici preesistenti
che si prolungarono dal 1573 al 1808.

UNA FELICE FUSIONE DI ARCHITETTURA E SCULTURA. La fontana, abile


connubio fra rigore architettonico classico e concezione scenografica
barocca, presenta sopra l’arco trionfale centrale, costituito da un
ordine di quattro colonne corinzie addossate a lesene, un grandioso
attico con balaustra e figure allegoriche (Bartolomeo Pincellotti,
Francesco Queirolo, Bernardino Ludovisi e Agostino Corsini, 1735) e
iscrizione centrale con stemma di Clemente XII e rappresentazioni
della Fama (Paolo Benaglia); le due ali simmetriche laterali sono
scandite da un ordine gigante di lesene con finestre. Dal nicchione
centrale, posto su una roccia e con soffitto a cassettoni, sporge la
maestosa statua di Oceano, trainata sul cocchio a forma di conchiglia
da cavalli marini (uno tranquillo e l’altro agitato) guidati da tritoni
(Pietro Bracci, 1759-62). Nelle nicchie laterali, a d. la Salubrità di
Filippo Della Valle, con la sovrastante Vergine che indica la sorgente ai
soldati di Andrea Bergondi, a sin. l’Abbondanza del Della Valle,
sormontata da Agrippa che approva il disegno dell’acquedotto di G.B.
Grossi. Artificio e natura si fondono nella rappresentazione della
scogliera e della vegetazione pietrificata (di derivazione berniniana)
sull’intera base del palazzo fino alla grande vasca a bordi rialzati che
rappresenta il mare. Alla fontana, uno dei simboli di Roma, sono
legate leggende e tradizioni popolari, tra le quali quella di gettarvi una
monetina per assicurarsi il ritorno nella città.

I SS. VINCENZO E ANASTASIO. Sulla piazza affacciano anche un


negozio (N. 93) con i resti di un portico medievale su colonne di
spoglio ioniche e, in angolo tra le vie di S. Vincenzo e del Lavatore,
tale chiesa, completamente rinnovata da Martino Longhi il Giovane nel
1640-46. La movimentata facciata (1650) a due ordini è ricca di rilievo
plastico al centro, dove le numerose colonne – per cui fu
popolarmente chiamata «il canneto» – si staccano dalla parete. Sulla
zona centrale sono massicci frontoni, in alto il ricco stemma del
cardinale Giulio Mazzarino fra quattro angeli; curiose volute in forma
di donna raccordano i due livelli. Nell’interno, a navata unica, l’abside
accoglie alcune iscrizioni ricordanti che qui sono conservati i precordi,
tolti per imbalsamazione, di quasi tutti i papi da Sisto V a Leone XIII,
essendo stata questa la chiesa parrocchiale del vicino palazzo
pontificio del Quirinale.

IL MUSEO NAZIONALE DELLE PASTE ALIMENTARI. Prendendo a sin.


della chiesa via del Lavatore (da un lavatore pubblico su un
muraglione del Quirinale) e piegando a d. in vicolo Scanderbeg si
raggiunge l’appartata piazza Scanderbeg, che conserva intatto
l’aspetto edilizio sei-settecentesco. L’omonimo palazzetto, di origine
quattrocentesca, fu alloggio del principe Giorgio Castriota difensore
dell’indipendenza albanese dai Turchi (ritratto ad affresco sul portale)
ed è oggi sede del museo (t. 066991119; www.pastainmuseum.com),
che illustra questo indispensabile alimento attraverso gli strumenti per
la sua produzione e varia documentazione raccolta da Vincenzo
Agnesi. Avanti, via del Lavatore si apre in uno slargo chiuso a d. dal
monotono prospetto, su alto basamento scandito da fasce verticali e
da marcapiani che inquadrano finestre, delle scuderie da tiro (Antonio
Cipolla, 1869).

LA CHIESA DI S. MARIA IN TRIVIO, che prospetta in piazza dei


Crociferi a sin. della fontana di Trevi, fu eretta secondo la tradizione
da Belisario, generale di Giustiniano, nel sec. VI per fare ammenda
della deposizione di papa Silverio e ricostruita da Jacopo Del Duca nel
1575 sotto Gregorio XIII. La singolare facciata, tripartita da lesene su
due ordini di diversa altezza, è ricca di spunti manieristi nell’uso delle
decorazioni. Nell’interno, a navata unica, Antonio Gherardi dipinse su
tela la Presentazione al tempio, l’Annunciazione e la Circoncisione
nella volta; le storie della Vergine nei peducci; gli angeli nelle lunette;
suo è anche il Trionfo della Croce (1669-70) nell’arco trionfale. 3ª
cappella d.: sull’altare, con bel paliotto in scagliola, *Crocifisso in
legno dipinto, opera veneziana del sec. XIV. Altare maggiore, in marmi
policromi: al centro dell’edicola, entro cornice raggiata, Vergine col
Bambino, tavola della prima metà del XV. Nell’antisagrestia, S. Camillo
guarisce un infermo di casa Crescenzi del Gherardi.
A destra della chiesa, via Poli conduce alla piazza omonima, dove,
in angolo con via del Tritone, è il settecentesco oratorio del SS.
Sacramento o di S. Maria in Via: eretto nel 1576, fu ricostruito sotto
Benedetto XIII da Domenico Gregorini, cui si deve la movimentata
facciata d’ispirazione borrominiana, e decorato all’interno nel 1875
(sull’altare maggiore, Sacra famiglia di Francesco Trevisani).

LA CALCOGRAFIA. A destra della fontana di Trevi, via della


Stamperia raggiunge (N. 6) il palazzetto neoclassico, edificato nel
1837 su disegno di Giuseppe Valadier e successivamente
sopraelevato, sede dell’istituzione, che dal 1975 fa capo, assieme al
Gabinetto nazionale delle Stampe →, all’Istituto nazionale per la
Grafica.

LA STORIA E I FONDI. Nata come Calcografia camerale per volere di


Clemente XII nel 1738 allo scopo di conservare il cospicuo fondo di
rami incisi provenienti dall’antica stamperia romana De Rossi,
raccoglie c. 23000 matrici, soprattutto di incisori italiani, databili fra
metà ’500 e i giorni nostri (tra le altre, quelle di Marcantonio
Raimondi, Marco Dente, Agostino Veneziano, Giulio Bonasone,
Agostino e Annibale Carracci, G.B. Piranesi, Salvatore Rosa, Pietro
Testa, Francesco Bartolozzi, Giovanni Volpato, Giorgio Morandi, Carlo
Carrà), oltre a un ragguardevole numero di opere di incisioni di
traduzione da artisti italiani (Raffaello, Michelangelo, Correggio,
Guercino); l’istituto ospita anche la Calcoteca e una sezione museale
di collezioni fotografiche di lastre e stampe otto-novecentesche.
L’attiguo palazzo Poli è stato acquistato nel 1978 per ospitare,
assieme all’attigua Calcografia, la collezione di disegni, stampe e
fotografie dell’Istituto nazionale per la Grafica. Nel 2003 si sono infine
conclusi i lavori di riordino e di sistemazione museografica della
Calcoteca.

L’ACCADEMIA NAZIONALE DI S. LUCA. In continuazione del


palazzetto della Calcografia si stende il sobrio prospetto (che su via
del Tritone assume però andamento smussato, con bel portale
sormontato da balconata) del palazzo della Stamperia, eretto per il
cardinale Luigi Cornaro nel 1580 da Jacopo Del Duca nel luogo in cui
Paolo Manuzio aveva sistemato una stamperia e ricostruito sotto Pio
VI per ospitare la Calcografia camerale.
Lo fronteggia, su piazza dell’Accademia di S. Luca (N. 77), il
palazzo Carpegna, attribuito a seguaci di Giacomo Della Porta e
ristrutturato (1643-47) per i Carpegna da Francesco Borromini; a lui si
debbono la caratteristica RAMPA ovale interna – riconoscibile per
l’ornato portale d’accesso con fregio a festoni di fiori e il loggiato
interno al piano terreno – che si apre su un CORTILE ornato di sculture
di Adolfo Apolloni, Eugenio Maccagnani e Edoardo Müller. Vi ha sede
l’Accademia nazionale di S. Luca, erede della quattrocentesca
università dei Pittori; abbattuta l’antica sede presso la chiesa dei Ss.
Luca e Martina, venne qui trasferita nel 1932 assieme alla Galleria
dell’Accademia di S. Luca (t. 066798850; chiusa per restauri,
apertura prevista entro il 2008).

TRA I CAPOLAVORI DELL’ISTITUZIONE, Giovane eroe, gesso di Luigi


Bienaimé; L’amore che scherza, Bacco e Arianna e Addolorata di
Guido Reni; Fauno con maschera tragica di Edoardo Müller; Marina di
Antonio Tempesta; Assunta di scuola del Baciccia; ritratto del
cardinale Bartolomeo Pacca di Francesco Laboureur; copia della
Galatea di Raffaello eseguita da Pietro da Cortona; Gloria di angeli di
Luigi Garzi; busto di Napoleone di Antonio Canova; ritratto di Antonio
Canova di Filippo Albacini; Atleta trionfante e Ulisse alla corte di
Alcinoo (bozzetto) di Francesco Hayez; Monte Circello di Giulio Aristide
Sartorio; Flora, gesso di Pietro Tenerani; *ritratto di Clemente XI,
Madonna con Bambino e Nascita del Battista (bozzetto) del Baciccia;
Pastorale di Girolamo e G.B. Bassano; Filatrice e Testa di vecchio di
Pier Francesco Mola; S. Girolamo, riferito alla bottega di Tiziano;
*Putto reggifestone, frammento di affresco di Raffaello; *Annunzio
ai pastori di Jacopo Bassano; la cosiddetta Maschera di
Michelangelo, probabile calco in gesso da uno dei bronzi di Daniele da
Volterra; Deposizione di Marcello Venusti; Venere allo specchio di
Carletto Caliari; Modestia e Sposalizio di S. Caterina di Giovanni
Conca; Giaele e Sisara di Carlo Maratta; Trionfo di Bacco di Nicolas
Poussin (da Tiziano); ritratto ritenuto di Marino Corner di Francesco
Beccaruzzi; Seduzione di Paris Bordone; Giuditta e Oloferne di G.B.
Piazzetta; studio per la Cena in casa del fariseo di Pierre Subleyras;
Marina di Anzio di Claude-Joseph Vernet; Perseo e Andromeda e
Cattura di Cristo del Cavalier d’Arpino; Madonna con Bambino, tavola
attribuita a Francesco di Giorgio; Riposo in Egitto di Federico Barocci;
Annunciazione di Lorenzo di Credi; bozzetto per la Deposizione di
Cristo (in S. Pietro in Montorio) di Dirk van Baburen; S. Bartolomeo e
S. Andrea, frammenti su tavola del Bronzino; Paride ed Ecuba di
Vincenzo Camuccini; Venere e Adone di Domenico Pellegrini; Funerali
di Cesare di Pietro Gagliardi; bozzetto per il Soffitto dell’Opera di Parigi
di Jules-Eugène Lenepveu; Speranza di Angelika Kauffmann; busto di
Antonio Canova attribuito ad Alessandro d’Este; gesso delle Tre Grazie
e Ganimede e l’aquila di Bertel Thorvaldsen; Visione di Giuseppe di
Nicolas Wleughels; Sogno di Giacobbe di Aniello Falcone; Sposalizio di
S. Caterina di Adriaen Isenbrandt; Deposizione di scuola tedesca del
sec. XVI; Baccanale e Rinaldo e Armida di Ludovico Gimignani;
Alessandro visita il sepolcro di Achille e *Rovine romane di Giovanni
Paolo Pannini; Tarquinio e Lucrezia di Felice Ficherelli; *Rovine
romane di Jan Asselijn (1646); Veduta prospettica del Canaletto;
Natura morta di Jan Fyt; *Vergine col Bambino e due angeli
musicanti e Vergine con il Bambino di Antonie Van Dyck; *Ninfe
che coronano l’Abbondanza di Pieter Paul Rubens; Susanna al
bagno di Palma il Giovane; Cavallo bianco di Philips Wouwerman;
ritratto dell’ammiraglio Neeuwszoon Kostenaer, tavola del 1635; Teste
di gatti, studio attribuito a Salvatore Rosa; Autoritratto al cembalo di
Lavinia Fontana (1577); Il Dolore, testa marmorea di Lambert
Sigisbert Adam; Deposizione e Battaglia del Borgognone; Pastore e
animali di Rosa da Tivoli; La Carità Romana e Lot e le figlie di Daniele
Seiter; Composizioni di fiori di Ludovico Stern; Figura fluviale,
terracotta riferita al Tribolo; Cantatrice attribuita a Guido Cagnacci; S.
Pietro battezza i Ss. Processo e Massimiano di Giuseppe Passeri;
Flagellazione e S. Francesco di Francesco Trevisani; Andromeda e
Perseo e Diana ed Endimione di Cristoforo Unterberger; Educazione
della Vergine di Filippo Lauri; Cena in Emmaus (1707) e Maddalena di
Benedetto Luti; Venere e Amore del Guercino; Busto di giovinetta di
Claude-Michel Clodion; Porto di Ripa Grande e Veduta di Tìvoli di
Gaspare Vanvitelli; Madonna con il Bambino che dorme di Angelo
Massarotti; Donna con pesci e ortaggi di Placido Costanzi; Madonna
con Bambino del Sassoferrato; Faustolo trova Romolo e Remo di Jean
François De Troy; Natività di Domenico Corvi; S. Girolamo e i
Sadducei di Hendrick van Somer; Lapidazione di S. Stefano (sec. XVII);
S. Cecilia, terracotta di Michele Rocca; S. Anna, S. Gioacchino e Maria
di Giuseppe Bottani; Martirio di S. Lazzaro di Ciro Ferri; Giacobbe
confida Beniamino a Giuda, bassorilievo di Richard Westmacott; Ercole
e Deianira, gruppo in terracotta di Pietro Finelli; S. Francesco di Paola
di G.B. Maini; Leone XI riceve l’abiura di Enrico IV di Alessandro
Algardi, modello per il bassorilievo nel monumento vaticano dello
stesso pontefice; Annunciazione ed Ester, Amano e Assuero di Felipe
de Castro; Le Arti rendono omaggio a Clemente XI di Pierre Legros; Il
faraone riceve Giacobbe e Giuseppe, prova del concorso del 1766 di
Filippo Tagliolini; S. Teresa trafitta da un angelo con un dardo di
Michelangelo Slodtz, bozzetto per la cappella in S. Maria della Scala; Il
faraone riceve Giacobbe e Giuseppe (Vincenzo Pacetti), altra prova del
1766; Perseo e Andromeda di Joseph Chinard; Ritratti di Anton von
Maron, Luigi Vanvitelli, Domenico Duprà, Tiziano, Frans II Pourbus il
Giovane, Alessandro Allori, del Pellegrini, di Andrea Appiani, Joseph
Grassi, Joseph Nollekens, Antonie Joseph Wiertz, Penry Williams;
Autoritratti di Federico Zuccari, Giuseppe Cades, Marie-Renée-
Geneviève Brossard de Beaulieu e Marie-Louise Elisabeth Vigée Le
Brun; Paesaggi di Pieterzoon Nicolaes Berchem, John Parker, Jan
Frans van Bloemen, Giovanni Rosa, Jean François De Troy, Salvatore
Rosa e di scuola di Antonio Tempesta; Scene campestri di Monsù
Stendardo, Michiel Sweerts, Jan Frans van Bloemen e Andrea
Locatelli; Scene di genere di Anthonie Palamedesz, Andrea Locatelli,
del Sweerts e di Paolo Monaldi; Autoritratti di Benedetto Luti (1724) e
del De Troy; Paesaggi marini del van Bloemen e di Claude-Joseph
Vernet; due orci e due piatti etruschi.
Nelle SALE ACCADEMICHE sono esposte la ricca collezione di ritratti
degli accademici, le tele vincitrici dei concorsi e la discussa Madonna
con S. Luca, iniziata da Raffaello e terminata forse da altra mano. Al
secondo piano hanno sede l’Archivio storico, ricco di c. 27000
documenti e c. 3000 disegni tra architettura e figura (sec. XVII-XX)
legati all’attività didattica dell’istituzione, e la Biblioteca, al cui fondo di
oltre 2000 volumi si sono raggiunti i 40000 esemplari della biblioteca
Sarti, lasciata al comune di Roma nel 1877 dall’architetto Antonio e in
deposito perpetuo presso l’accademia.

LA TRAFFICATA E COMMERCIALE VIA DEL TRITONE, al termine di via


della Stamperia, prende nome dal tritone berniniano posto in piazza
Barberini e venne allargata nel 1885-1925 nell’ambito delle opere di
Roma capitale.
La si segue a d. raggiungendo, tra palazzi umbertini, largo del
Tritone, creato in seguito alle demolizioni per l’apertura del traforo
Umberto I su progetto di Arturo Pazzi, che gli diede una sistemazione
unitaria, moderna ed ‘europea’; si qualifica per gli isolati arrotondati e
disposti a schema radiale e per gli imponenti edifici, dove si fondono
elementi del repertorio rinascimentale con quelli delle tecniche e dei
materiali moderni quali ferro e vetro (palazzo del «Messaggero», già
albergo Select).
PIAZZA BARBERINI. Il segmento successivo di via del Tritone,
allargato nel 1911-25, segue l’antica via della Madonna di
Costantinopoli ed esce in questo nodo viario di primaria importanza:
posto in un avvallamento e abitato già nei primi secoli dell’Impero, si
arricchì di ville e giardini nel ’500; con la strada Felice (per
l’inquadramento →) assunse carattere di spazio urbano, e tra l’ultimo
quarto dell’800 e il primo del ’900 anche un aspetto moderno grazie
all’apertura delle vie Veneto → e Regina Elena, ora Barberini →.
Al centro è la *fontana del Tritone, inconfondibile e
spettacolare creazione di Gian Lorenzo Bernini (1642-43) per Urbano
VIII con motivi allegorici e un’abile fusione di elementi naturalistici e
antropomorfi: da una vasca molto bassa, che conferisce maggior
risalto all’insieme, quattro delfini con le api barberiniane (la famiglia
dette nome alla piazza già nel 1625) sollevano con la coda una
conchiglia sulla quale poggia un tritone che manda verso il cielo uno
zampillo d’acqua.
Nella quinta edilizia che chiude la piazza spicca per ‘estraneità’
l’hotel Bernini Bristol (Ettore Rossi, 1943).
PALAZZO BARBERINI. Via delle Quattro Fontane, tratto della strada
Felice, sale dall’angolo SE della piazza costeggiando, in corrispondenza
di via Rasella (di fronte al N. 155, presso il tardo-seicentesco palazzo
Tittoni, il 23 marzo 1944 33 soldati tedeschi furono uccisi da
un’esplosione provocata da partigiani; per rappresaglia 335 civili
vennero trucidati alle Fosse Ardeatine), la sontuosa cancellata a
pilastrate (Francesco Azzurri, 1864; sua la fontana a candeliere nel
retrostante giardino) che segna l’ingresso a *palazzo Barberini. Il
progetto iniziale dell’edificio, eretto sul luogo della villa del cardinale
Rodolfo Pio da Carpi (poi villa Sforza) che il cardinale Francesco
Barberini acquistò nel 1625, si deve a Carlo Maderno, che ideò
dapprima una costruzione quadrangolare, inglobante il preesistente
complesso, secondo lo schema classico del palazzo rinascimentale e
poi elaborò un progetto ad ali aperte che rivoluzionava tale concetto
in quello di palazzo-villa (sull’esempio di villa Farnesina di Baldassarre
Peruzzi) unendo le funzioni di abitazione di rappresentanza della
famiglia papale con l’uso della villa urbana dotata di vasti giardini e di
prospettive aperte. Gian Lorenzo Bernini, subentrato nella direzione
dei lavori, mantenne il progetto originale: sua la concezione del salone
centrale, della LOGGIA vetrata corrispondente al porticato sottostante,
con i tre ordini (dorico nel porticato, ionico al piano nobile, corinzio a
quello superiore con fasci di lesene fra i finestroni strombati) e della
grandiosa SCALA A POZZO QUADRATO, con rampe sostenute da colonne
doriche binate fino al primo piano, per la quale si accede, dal lato sin.
del porticato, alla Galleria nazionale d’Arte antica (v. sotto); a
Francesco Borromini sono riferibili il disegno delle finestre del corpo
centrale del piano nobile, alcuni particolari decorativi e il progetto
della *SCALA ELICOIDALE a colonne binate sulla d. del prospetto.

ALL’INTERNO sono soffitti affrescati da Andrea Camassei,


Baldassarre Croce e Antonio Viviani, Nicolò Ricciolini, e decorazioni di
Pietro da Cortona e della sua scuola; la piccola CAPPELLA venne
decorata dal da Cortona e da Giovanni Francesco Romanelli. Nel
SALONE PIETRO DA CORTONA, l’artista lavorò dal 1633 al 1639 al grandioso
affresco della volta: il tema allegorico, che esalta la gloria della
famiglia papale, fu elaborato dal poeta Francesco Bracciolini e vuole
raffigurare il *Trionfo della Divina Provvidenza, che al centro,
circondata da allegorie, trionfa sul Tempo e ordina all’Immortalità di
incoronare lo stemma Barberini (api) sorretto dalle Virtù. Le finte
trabeazioni incorniciano un cielo aperto, animato da scene che
simboleggiano il buon governo e le virtù del papa e della sua famiglia:
sulla parete opposta alla facciata, Minerva abbatte i titani (l’impegno
del papa contro le eresie); sul lato a sin., la Pace trionfa assisa in
trono, mentre si chiude il tempio di Giano, il Furore giace incatenato e
la fucina di Vulcano foggia badili anziché spade; sul lato verso la
facciata, Ercole (la giustizia) abbatte le arpie mentre Abbondanza e
Magnanimità offrono doni al popolo; sul lato opposto al camino, la
Religione e la Saggezza trionfano sul Sileno (il Vizio) e su Venere che
vede l’Amor profano cacciato dalla Castità. Nei clipei a monocromo
agli angoli sono raffigurate scene della storia romana riferite a virtù e
corrispondenti al significato simbolico delle sottostanti figure di
animali.
L’APPARTAMENTO, fatto decorare da Cornelia Costanza Barberini nel
1750-70, accoglie una ricca collezione di mobili sei-settecenteschi;
interessanti la SALETTA DELL’ALCOVA, decorata con specchi dipinti e lesene
interrotte da stucchi di gusto neoclassico, il SALONE DI RAPPRESENTANZA o
«delle battaglie» (alle pareti, episodi della famiglia Colonna di
Domenico Corvi e del Ricciolini), il SALOTTINO, con ritratti in ovale di
membri della famiglia Barberini, peculiare esempio di arredo
neoclassico del 1790 c. e il SALONE DELLA BIBLIOTECA DEL CARDINALE
FRANCESCO, dove sono esposti 14 cartoni (episodi della vita di
Costantino) del da Cortona e la serie con la Vita di Cristo di Giovanni
Francesco Romanelli.

SUI GIARDINI POSTERIORI, ai quali si accede per la rampa realizzata


(1675-80) a completamento del raccordo con le allora vastissime aree
verdi che comunicavano lateralmente con il piano nobile attraverso il
«ponte ruinante» ideato da Bernini, la facciata del palazzo ha come
elemento dominante l’avancorpo in cortina di mattoni, di chiara
matrice maderniana.
Al termine della rampa si ha di fronte la villa Savorgnan di Brazzà
(Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini, 1936). Al di sotto di questa
sono stati scoperti resti di ambienti in laterizio, allineati e con
copertura a volta (sec. II); uno di essi fu successivamente trasformato
in mitreo con la costruzione dei podî lungo le pareti: a tale periodo
risalgono, sulla parete di fondo, la raffigurazione affrescata (unica a
Roma) di Mitra che uccide il toro (al centro) e i quadretti minori con
scene relative al mito del dio (ai lati).

LA *GALLERIA NAZIONALE D’ARTE ANTICA (t. 064814591,


www.galleriaborghese.it/barberini) nacque ufficialmente nel 1893 e,
già ospitata in palazzo Corsini, ebbe la sua nuova sede in parte del
palazzo Barberini (l’altra è stata a lungo occupata dal circolo ufficiali
dell’Esercito) dal 1949. Essa raccoglie opere dal sec. XII al XVIII
provenienti da collezioni (Torlonia, Barberini, Sciarra, Chigi, Hertz
ecc.), da acquisti e lasciti. Nel 1984, la Collezione Corsini fu trasferita
nella sua sede sorica e furono qui collocate tutte le opere di
provenienza da acquisti o da collezioni, con l’intento di creare in
questa sede una vera e propria Galleria nazionale, ordinata
cronologicamente ma con la possibilità di inserire nel percorso acquisti
e integrazioni. La Galleria sarà fino al 2009 in fase di restauro e di
riordino; nel 2006 sono state riaperte alcune sale.

1445 DIPINTI E 2067 OGGETTI DI ARTE DECORATIVA compongono le


collezioni. Il nucleo più rilevante è quello dei dipinti, ricchissimo di
capolavori soprattutto dei sec. XVI e XVII. Tra i più significativi si
segnalano: Medea e i figli, gruppo di Domenico Pieratti (1634); i busti
di Antonio Barberini, eseguito da Gian Lorenzo Bernini in
collaborazione con Giuliano Finelli, di Urbano VIII e di papa Altieri,
sempre di Bernini; Vergine con Cristo (seconda metà sec. XII);
Crocifisso attribuito al Maestro del Bigallo (sec. XIII); croce firmata da
Simone e Machilone (prima metà XIII); Crocifisso di Bonaventura
Berlinghieri (post 1235); Nascita del Battista, affresco staccato del
Maestro dell’Incoronazione di Urbino (seconda metà XIV); storie di
Cristo di Giovanni Baronzio e Giovanni da Rimini; Madonna,
Annunciazione e santi, trittico firmato da Simone da Bologna;
Madonna con Bambino di Niccolò di Segna di Bonaventura; Madonna
con Bambino, tavola cuspidata del cosiddetto Maestro di Palazzo
Venezia (già attribuita a Simone Martini); due laterali di trittico senesi
(seconda metà XIV); Crocifissione ascritta a Sano di Pietro;
Incoronazione della Vergine di Nicolò di Pietro (fine XIV); Madonna con
Bambino, scultura di area napoletana con influenze toscane (primi
decenni XV); *Madonna con Bambino datata 1437 sulla base del trono;
Annunciazione di Filippo Lippi; tavola lunettata del Maestro della
Natività Johnson; Crocifissione di Girolamo di Benvenuto; Pietà,
bozzetto in terracotta di Francesco di Giorgio Martini; Maddalena di
Piero di Cosimo (inizi XVI); tavole di Pietro Alemanno e Bernardino di
Mariotto; Madonna in trono con i Ss. Pietro e Michele di Lorenzo da
Viterbo (firma; 1471); Madonna con Bambino e i Ss. Paolo e
Francesco di Antoniazzo Romano (firma; 1488); Madonna e i Ss.
Francesco, Giovanni Battista, Girolamo e Chiara di Niccolò di
Liberatore (1460-70); S. Pietro e S. Paolo attribuito a Marco Meloni; S.
Niccolò da Tolentino, tavola del Perugino (1505-1507); S. Girolamo e
la piccola croce stazionale con l’Eterno, la Maddalena, S. Giovanni, la
Vergine, S. Sebastiano (recto) e S. Francesco e S. Antonio da Padova
(verso) di ambito del Perugino; Divisione delle acque di Lorenzo
Pécheux; Pietà del Francia; S. Giuseppe di Amico Aspertini; S.
Girolamo di Marco Palmezzano; Madonna con Bambino firmata da
Michele Giambono (post 1430); S. Sebastiano e S. Caterina di
Francesco Pagano; Crocifissione di Bernardino Butinone; Pellegrini in
un santuario del Maestro di S. Sebastiano; Sacra famiglia e Madonna
con i Ss. Giuseppe e Pietro martire di Andrea del Sarto; *Madonna con
Bambino (non finita) di Domenico Beccafumi; Madonna della cintola
del Maestro dei Paesaggi Kress (c. 1533); Madonna con Bambino e S.
Giovannino di Tommaso di Stefano; Ritratto di donna con turbante di
Andrea del Brescianino (c. 1510-20); busto di Cerere di Baldassarre
Peruzzi; Ratto delle Sabine e Sposalizio mistico di S. Caterina del
Sodoma; *La Fornarina, celebre dipinto di Raffaello (restaurato nel
2001), che ritrasse, secondo la tradizione, la donna amata; Madonna
con Bambino di Giulio Romano (c. 1525); Sposalizio mistico di S.
Caterina di Girolamo Genga; ritratto di Stefano Colonna del Bronzino
(firma; 1546); Trionfo della Divina Sapienza di Andrea Sacchi (1629);
Suonatrice di liuto di Andrea Solario; Visione del beato Amodeo Menez
de Sylva, tavola di Pedro Fernandez; Pico trasformato in picchio del
Garofalo; i Ss. Giovanni Battista e Bartolomeo di Dosso Dossi; ritratti
di Nicolò dell’Abate, Girolamo da Carpi e Bartolomeo Veneto;
Sposalizio mistico di S. Caterina di Lorenzo Lotto (firma; 1524);
Madonna che cuce del Cariani (post 1524); Venere e Adone di Tiziano;
Adultera di Tintoretto (c. 1546-48); *Adorazione dei pastori e
*Battesimo di Cristo (c. 1596-1600), bozzetti del Greco; Risurrezione
di Lazzaro, Pietà e Gesù nell’orto dello Scarsellino; Pietà
michelangiolesca del Maestro della Madonna Manchester; ritratto di
Francesco II Colonna firmato dal Sermoneta; Orazione nell’orto e S.
Lorenzo di Marcello Venusti; Carro del Sole di Giuseppe Chiari (c.
1700); Crocifissione di S. Pietro e Martirio di S. Paolo di Ventura
Salimbeni; Venere e Adone di Luca Cambiaso (c. 1610); Suonatore di
zufolo, Macelleria e Pescheria di Bartolomeo Passarotti; S. Giorgio e il
drago, rame firmato da Camillo Procaccini (c. 1610); Pietà e santi,
tabernacolo portatile attribuito ad Annibale Carracci; Fuga in Egitto di
Giovanni Andrea Ansaldo (c. 1625-30); *Giuditta taglia la testa a
Oloferne (1599-1600) e Narciso di Caravaggio; S. Francesco
sorretto da un angelo di Orazio Gentileschi; S. Cecilia e l’angelo (c.
1610), Madonna con Bambino e S. Anna (c. 1610) e S. Gregorio
Magno (c. 1610-1620) di Carlo Saraceni; Amor sacro e pro Amor
profano di Giovanni Baglione (firma; 1602); Bacco e bevitore di
Bartolomeo Manfredi; Sacra conversazione di Orazio Borgianni;
Vanitas di Angelo Caroselli; Cacciata dei mercanti dal tempio, L’ultima
cena (1625-26) e Giudizio di Salomone di Valentin de Boulogne;
Incontro di S. Pietro e S. Paolo di Giovanni Serodine; autoritratti di
Artemisia Gentileschi, Massimo Stanzione, G.B. Caracciolo, Jusepe de
Ribera, Aniello Falcone e Bernardo Cavallino; Risurrezione di Lazzaro
di Mattia Preti (c. 1650-60); la Musica, la Poesia (c. 1640-42) e ritratto
della moglie Lucrezia di Salvatore Rosa; Baccanali di putti (c. 1630) e
Agar e l’angelo di Nicolas Poussin; Nano del duca di Crequi (1633-34),
busto di François Duquesnoy; Trasfigurazione di Giovanni Lanfranco;
S. Filippo Neri, busto di Alessandro Algardi (1635-36); Putto dormiente
(c. 1612) e Maddalena penitente (1610-15) di Guido Reni, cui è
attribuito anche il ritratto di Beatrice Cenci; Flagellazione di Cristo ed
Et in Arcadia ego (1618) del Guercino; la Musica, con l’arpa Barberini
del Lanfranco conservata al Museo nazionale degli Strumenti Musicali;
*ritratti di Hans Holbein e di Quentin Metsys; quattro anamorfosi
cilindriche (proiezioni piane di dipinti eseguiti su una superficie
cilindrica) di François Niceron; Pietà e ritratti del Baciccia; Autoritratto
come David (c. 1625) e ritratto di Urbano VIII di Gian Lorenzo Bernini;
ritratto di monsignor Ottaviano Prati del Sassoferrato (firma); Angelo
custode di Pietro da Cortona (1656); Vedute della Campagna romana
e di Roma di Gaspare Vanvitelli; Vedute di Venezia del Canaletto;
Paesaggio con rovine e figure di Andrea Locatelli; Ritratto di fanciulla
di Jean-Baptiste Greuze; Scene di campagna e Piccola giardiniera di
François Boucher; Annette a vent’anni di Jean-Honoré Fragonard
(1774); Satiro e amorino di G.B. Tiepolo; ritratti in pastello di Rosalba
Carriera; *Ritratto di gentildonna di Giuseppe Bonito; bozzetti di
Sebastiano Conca e Luigi Garzi; Contadina con canestro di Antonio
Amorosi; Allegorie dei Continenti di Francesco Trevisani; bozzetti di
prospettive di Andrea Pozzo; opere di Luigi Garzi, Giovanni Maria
Morandi, Francesco Mancini, Domenico Corvi, Giuseppe Bottani e
Ignaz Stern; bozzetti della decorazione del casino Borghese; un nudo
di Pierre Subleyras; ritratti di Ludovico Stern, Angelika Kauffmann,
Anton von Maron; opere di Pompeo Batoni e *Famiglia del missionario
di Marco Benefial.

S. NICOLA DA TOLENTINO. Dall’angolo NE di piazza Barberini,


presso la berniniana fontana delle Api (1644) qui collocata nel 1917
dalla vicina via Sistina, si segue la via che prende nome dalla chiesa di
rito greco di S. Basilio (N. 51A; 1662) e si raggiunge, voltando a d. per
salita di S. Nicola da Tolentino, l’omonima chiesa, oggi soffocata tra
edifici moderni. Eretta nel 1599 dagli Agostiniani Scalzi per il principe
Camillo Pamphilj e riedificata nel 1654 da Giovanni Maria Baratta sotto
la guida di Alessandro Algardi, presenta una facciata barocca, pure del
Baratta (1670), a due ordini di colonne e paraste: nella parte centrale
colonne libere formano piani diversamente aggettanti, mentre l’ordine
superiore con volute laterali è limitato al corpo centrale, coronato da
un timpano curvilineo spezzato.

L’INTERNO a croce latina (di pertinenza del Pontificio Collegio


Armeno dal 1883) presenta volta a botte con stucchi dorati e cupola
affrescata priva di tamburo. 1ª cappella d.: Miracolo di S. Nicola di
Bari di Filippo Laurenzi (1710); alla parete sin., Incoronazione di Maria
di Giovanni Ventura Borghesi (1680). 3ª (Lante Della Rovere): Ss.
Lucrezia e Gertrude di Pietro Paolo Ubaldini, autore anche della
decorazione parietale e della volta (1645-48); alla parete sin.,
monumento funebre del cardinale Federico Lante Della Rovere (1774).
Nei pennacchi della crociera, Virtù dell’Ubaldini (1643); nella cupola,
Gloria di S. Nicola da Tolentino di Giovanni Coli e Filippo Gherardi
(1670). Sull’altare del transetto d., S. Giovanni Battista del Baciccia
(1670). Al centro dell’altare maggiore (del Baratta, su disegno
dell’Algardi), Vergine, il Bambino e i Ss. Agostino e Monica che
appaiono a S. Nicola da Tolentino, pala marmorea disegnata
dall’Algardi ma eseguita da Domenico Guidi ed Ercole Ferrata (ante
1654). Cappella a sin. dell’altare maggiore: storie dei Ss. Cecilia e
Matteo, affresco dell’Ubaldini autore anche della pala d’altare e delle
due tele laterali (1638-40). 3ª cappella sin.: Madonna del Buon
Consiglio di Cristoforo Unterberger; alla parete d., Sacra famiglia di
Giuseppe Cades (1790). 2ª (Gavotti), su disegno di Pietro da Cortona
(1668) ma compiuta da Ciro Ferri (post 1674): Apparizione della
Vergine ad Antonio Botta, detta Madonna della Misericordia di Savona,
pala marmorea di Cosimo Fancelli; a d. statua di S. Giuseppe del
Ferrata, a sin. statua del Battista di Ercole Antonio Raggi; nella cupola,
affresco del da Cortona e del Ferri. 1ª: Il Santo Sepolcro (1679).

VIA BARBERINI E LARGO DI S. SUSANNA. Oltre via di S. Nicola da


Tolentino (al N. 13, il palazzo del Pontificio Collegio Germanico
Ungarico, eretto da Gustavo Giovannoni nel 1940, conserva nei
sotterranei una monumentale cisterna per acqua di età adrianea
formata da quattro navate separate da pilastri e mantenente
l’originario rivestimento in cocciopesto), s’interseca via Barberini,
aperta nel 1926-32 col nome di via Regina Elena per collegare la
stazione di Termini con il centro demolendo il teatro Barberini di Pietro
da Cortona (c. 1630-35) e una suggestiva schiera di case sotto
l’omonimo palazzo; oggi si caratterizza per la presenza degli uffici di
rappresentanza di numerose compagnie aeree e marittime.
Si sale fino a largo di S. Susanna – nell’aiuola, il Giano nel cuore
di Roma, monumento di Pietro Consagra (1997) nasconde un tratto di
mura Serviane (per l’inquadramento →) – avendo di fronte il *palazzo
dell’Ufficio Geologico, istituzione fondata a Firenze nel 1869, trasferita
a Roma nel 1873 e destinata al lavoro della carta geologica d’Italia.
L’edificio, costruito da Raffaele Canevari (1873-80), è interessante per
l’impiego di realizzazioni strutturali innovative in ferro: l’originale
facciata risulta particolarmente imponente con le ampie vetrate e i
decorativi elementi funzionali; l’interno, caratterizzato dall’uso di
materiali tradizionali e moderni, ha una struttura mista che ha
consentito di realizzare vaste sale di esposizione.
PIAZZA DI S. BERNARDO, contermine a largo di S. Susanna, fu
individuata nella seconda metà del sec. XVI dal tracciato della strada
Pia (per l’inquadramento →) e delle vie delle Terme e S. Susanna; tra
fine ’500 e inizi ’600 acquisì carattere monumentale grazie alla fontana
del Mosè e alle chiese di S. Susanna, di S. Maria della Vittoria e di S.
Bernardo alle Terme, trasformandosi intorno al 1870, per la rapida
urbanizzazione della zona, in nodo primario di collegamento tra il
centro e la stazione.
Vi si riconosce l’imponente *fontana del Mosè, che Domenico
Fontana ideò nel 1587 come mostra dell’acquedotto Felice (per
l’inquadramento →) ispirandosi alle tipologie dell’arco trionfale e del
ninfeo. Sotto il grande attico (iscrizione con soprastante stemma
sorretto da angeli) si aprono tre nicchioni: in quelli laterali, Giosuè fa
attraversare agli Ebrei il Giordano asciutto (Flaminio Vacca) e Aronne
guida il popolo ebreo a dissetarsi (G.B. Della Porta), al centro la
colossale e sproporzionata statua del Mosè di Leonardo Sormani e
Prospero Bresciano (1588). Dalla base dei nicchioni l’acqua sgorga
nelle vasche ornate di quattro leoni (copie degli originali egizi
trasportati da Gregorio XVI ai Musei Vaticani); la balaustra marmorea
che le cinge proviene da un edificio del tempo di Pio IV.
S. MARIA DELLA VITTORIA. A sinistra della fontana – e al di là di via
XX Settembre → – è la chiesa, così detta da un’immagine della
Madonna (trovata tra i rifiuti del castello di Pilsen) alla quale fu
attribuita la vittoria degli eserciti di Ferdinando II d’Asburgo su Praga
protestante nel 1620. Sorta su una precedente cappella dei
Carmelitani Scalzi che era dedicata a S. Paolo e ricostruita nel 1608-
1620 a spese del cardinale Scipione Borghese su progetto di Carlo
Maderno, ha una solenne e snella facciata, realizzata nel 1626 da G.B.
Soria ispirandosi a quella della vicina S. Susanna e preceduta da una
breve scalinata, su due ordini, di cui quello superiore, dove si apre un
finestrone con timpano arcuato, coronato da un frontone triangolare e
da una balaustra.

L’INTERNO, uno dei più sontuosi modelli di decorazione barocca


per la ricchezza dei marmi, degli stucchi e dei fregi, è a navata unica,
con volta a botte e tre cappelle per lato intercomunicanti; sui
decoratissimi arconi della crociera poggia la cupola priva di tamburo:
sulla volta, Trionfo della Madonna sulle eresie e Caduta degli angeli
ribelli di Giovanni Domenico Cerrini (1675), autore anche dell’Assunta
in gloria nella cupola. Sopra la porta d’ingresso, organo con
scenografica cantoria barocca di Mattia De Rossi (1680). 2ª cappella
d.: pala d’altare (*Madonna col Bambino e S. Francesco); ai lati, *S.
Francesco in estasi e S. Francesco riceve le stimmate, ultime opere del
Domenichino a Roma (1630). Transetto destro: Sogno di S. Giuseppe,
gruppo marmoreo di Domenico Guidi; ai lati, Fuga in Egitto (d.) e
Adorazione dei pastori (sin.), altorilievi in marmo di Pierre-Étienne
Monnot (1699); nella volta, Gloria di Ventura Lamberti. Cappella
maggiore (restaurata dai Torlonia nel 1833): nel catino absidale, La
Madonna della Vittoria entra in Praga con gli eserciti cattolici di Luigi
Serra (1885); nel coro dietro l’altare, Rapimento di S. Paolo al terzo
cielo di Gherardo delle Notti (1620). Transetto sinistro (*cappella
Cornaro, creazione di Gian Lorenzo Bernini): entro edicola marmorea
mistilinea, *S. Teresa trafitta dall’amore di Dio, capolavoro dello
stesso (1644-52; dalla volta a cassettoni piove sul celebre gruppo una
luce dorata che crea suggestive e segrete penombre: un angelo dal
sorriso ambiguo sta per colpire il cuore della santa); assistono allo
‘spettacolo’, affacciati a nicchie a guisa di palchetti di teatro, i membri
della famiglia Cornaro, opera di Bernini e aiuti; nella volta, Gloria dello
Spirito Santo di Guidobaldo Abbatini. 3ª cappella sin.: SS. Trinità del
Guercino (c. 1642); alla parete d., monumento funebre del cardinale
Berlinghiero Gessi (il ritratto del defunto è di Guido Reni, c. 1641). 2ª:
Apparizione di Cristo a S. Giovanni della Croce, pala d’altare di Nicolas
Lorrain (c. 1667), autore anche della Madonna salva S. Giovanni della
Croce (d.) e della Morte del santo (sin.). In sagrestia, dipinti
raffiguranti la Battaglia di Praga, cimeli storici della guerra contro i
Turchi e Massimiliano di Baviera dona il cavallo a padre Domenico di
Sebastiano Conca (1730-40); in una cappella attigua, Assunta e i Ss.
Girolamo e Giovanni, pala marmorea di Pompeo Ferrucci (1629).

S. SUSANNA, che a ‘pendant’ di S. Maria della Vittoria chiude il lato


NO di piazza di S. Bernardo, venne eretta nei sec. II-IV secondo la
leggenda su case romane (resti nei sotterranei) di familiari della santa
e attualmente è chiesa nazionale cattolica americana; d’impianto
originariamente basilicale (testimonianze sul fianco d.), fu riedificata
da Sisto IV e nel 1595 ridotta a una navata da Carlo Maderno per il
cardinale Girolamo Rusticucci. La *facciata, opera del Maderno (1603),
è la prima manifestazione della futura concezione spaziale barocca:
rinnova i tipi tradizionali tardo-cinquecenteschi con un sistema di
colonne che accentua il rilievo al centro nell’ordine inferiore e con l’uso
omogeneo di paraste in quello superiore; originali volute raccordano
gli ordini, mentre il coronamento è a frontone triangolare e balaustra.

L’INTERNO, a navata unica con transetto, abside e due cappelle


per lato, è decorato ad affresco con scene della vita di S. Susanna e di
Susanna ebrea di Baldassarre Croce (1595). Le statue in stucco di
Isaia e Geremia sono del Valsoldo, quelle di Ezechiele e Daniele forse
di Flaminio Vacca. Splendido soffitto a lacunari con al centro La
Vergine e lo stemma del cardinale Rusticucci (1595). Presbiterio: sulle
pareti, da d., Martirio di S. Felicita del Croce; S. Susanna rifiuta di
adorare gli idoli e La santa respinge la proposta di matrimonio del
figlio di Diocleziano di Paris Nogari; Tortura e morte di S. Gabino del
Croce. Nel catino absidale, S. Susanna in gloria di Cesare Nebbia,
autore anche del Salvatore nella volta. Sull’altare maggiore, Morte di
S. Susanna di Tommaso Laureti. Cappella sinistra (Peretti): Martirio di
S. Lorenzo del Nebbia; il Martirio di S. Eleuterio (d.) e il Battesimo di
S. Genesio (sin.) sono di G.B. Pozzo.
S. BERNARDO ALLE TERME. Opposto a S. Susanna è il corpo
cilindrico con elementi tardo-cinquecenteschi, coronato da un tamburo
ottagonale con facce concave a medaglioni ovali e con facciata ornata
di lesene e cornici in stucco, di questa chiesa, che fu adattata nel
1598 per volere di Caterina Nobili Sforza di Santa Fiora in uno dei
quattro torrioni angolari delle terme di Diocleziano. L’interno a pianta
circolare è coperto da una cupola (diametro m 22), a cassettoni
ottagonali digradanti verso il finestrone anulare centrale, simile a
quella del Pantheon. Lungo il perimetro, otto nicchie con statue di
santi in stucco di Camillo Mariani (c. 1600). All’altare d., Visione di S.
Bernardo di Giovanni Odazzi (c. 1710). Al 5° pilastro, S. Giovanni de la
Barrière di Andrea Sacchi. Cappella di S. Francesco (a d. del
presbiterio): statua del santo di Giacomo Antonio Fancelli (c. 1647); a
sin., monumento funebre del pittore Federico Overbeck di Karl
Hoffmann (1869); alle pareti, busti di membri della famiglia Nobili del
Fancelli. Nel coro, Vergine Lauretana di Carlo Saraceni (1600). Subito
a d., monumento dello scultore Carlo Finelli (m. 1853) di Rinaldo
Rinaldi. All’altare sin., Sacra famiglia e santi dell’Odazzi (1710).

VIA XX SETTEMBRE, di cui s’imbocca in direzione del palazzo del


Quirinale il segmento SO (da → è descritta la sezione tra porta Pia e
piazza di S. Bernardo), è il nome con cui fu ribattezzato il tratto tra il
quadrivio delle Quattro Fontane e porta Pia della strada Pia aperta da
Pio IV attorno al 1560.

Il tracciato ricalcò in gran parte l’antichissimo percorso romano


lungo la dorsale del Quirinale, costituito dall’«Alta Semita» e dal
«vicus Portae Collinae», che già Sisto V aveva migliorato inserendolo
nel suo sistema stradale. Nel segmento tra le piazze del Quirinale e di
S. Bernardo si concentrarono le emergenze monumentali (palazzo
pontificio e chiese con annessi conventi), mentre quello successivo
mantenne carattere suburbano per tutto l’800, quando la strada, che
conduceva al palazzo reale, si costituì come asse direzionale
accogliendo svariati ministeri.

AL QUADRIVIO DELLE QUATTRO FONTANE. Oltre via Firenze, si


costeggia a sin. il prospetto neorinascimentale, con avancorpo
centrale a ordine gigante, del palazzo del Ministero della Difesa, sorto
nel 1875-89 sul luogo delle chiese di S. Teresa e della SS.
Incarnazione i cui monasteri furono in parte inglobati nella struttura a
blocco con cortili interni; sul lato opposto gli rispondono le facciate dei
palazzi Caprara (N. 11; 1884) e Baracchini (N. 8; 1886) – entrambi di
Giulio Podesti – della chiesa presbiteriana scozzese di S. Andrea (N.
7A; 1885) e dei palazzi Calabresi (N. 5; 1882) e Bourbon (N. 3; 1884),
questi ultimi su disegno di Gaetano Koch.
Il fianco sin. dell’austero palazzo Albani Del Drago, iniziato ai
primi del sec. XVII su disegno di Domenico Fontana e terminato un
secolo dopo da Alessandro Specchi che vi inserì la torre belvedere,
porta al *quadrivio delle Quattro Fontane, punto d’intersezione
dell’omonimo rettifilo → con l’asse XX Settembre-via del Quirinale e
punto tra i più significativi delle sistemazioni urbanistiche di Sisto V e
poi ottocentesca. Agli angoli smussati dell’incrocio, che ha per fondali
gli obelischi della fontana di Monte Cavallo →, Sallustiano presso
Trinità dei Monti → e di piazza dell’Esquilino →, sono fontane entro
nicchie ornate di statue giacenti (1588-93) raffiguranti il Tevere,
l’Arno, Diana e Giunone.
LA CHIESA DI *S. CARLO ALLE QUATTRO FONTANE o S. Carlino, che
sullo stesso incrocio insiste, è un capolavoro di Francesco Borromini,
che la iniziò nel 1638 per i padri trinitari scalzi lasciandola alla morte
(1667) con il prospetto in costruzione. La scenografica facciata, ultima
realizzazione dell’architetto, presenta un andamento, convesso e
concavo negli altri settori; nel corpo centrale dell’ordine inferiore i due
ordini sono ricchi di ornamenti e tripartiti da colonne: in ogni
comparto un ordine minore divide lo spazio in due piani. Sopra il
portale, nicchia con statua di S. Carlo Borromeo di Ercole Antonio
Raggi; originali il coronamento a balaustra, dove due angeli
sorreggono un medaglione ovale con affresco, e la cupola ellittica con
lanterna a nicchie concave. Sul lato sin. è il campanile, con cella
campanaria ad andamento concavo convesso e copertura a cuspide.
L’INTERNO, di piccole dimensioni, è una delle prime realizzazioni
borrominiane: bianco e privo di dorature, ha impianto ovale, con
nicchie raccordate da colonne corinzie alveolate che seguono la parete
e sorreggono una trabeazione continua. La cupola ovale presenta
lacunari in stucco cruciformi, esagonali e ottagonali. Sull’altare
maggiore (pianta, 1), SS. Trinità di Pierre Mignard; nella cappella a
sin. (2), Riposo nella fuga in Egitto di Giovanni Francesco Romanelli.
Nella sagrestia, S. Carlo Borromeo in adorazione della Trinità di Orazio
Borgianni (1611). Sulla sinistra dell’ingresso, attraverso un cancello, si
accede alla CHIESA INFERIORE, di pianta uguale ma più compressa, con
volta su pilastri.
Adiacente alla chiesa è il *CHIOSTRO (1635-36; A), capolavoro di
armonia e proporzione, su due ordini con pianta ottagonale ad angoli
convessi; colonne binate sorreggono al piano inferiore archi e in quello
superiore la loggia, caratterizzata da balaustri alternativamente dritti e
rovesci. Nel refettorio, Vergine col Bambino e S. Simone di Roxas di
Francisco Preciado (1767; firma).

VIA DEL QUIRINALE, proseguimento di via XX Settembre, è segnata


a d., oltre il palazzo Galloppi poi Volpi di Misurata (N. 21) eretto nel
1711-14 e rimaneggiato negli anni ’20 del sec. XX da Armando Brasini,
dal prospetto, che si riconosce per il risalto plastico delle membrature
della palazzina del Segretario della Cifra, sede del prelato addetto alla
cifratura della corrispondenza segreta del papa. Fu costruita nel 1730-
32 da Ferdinando Fuga (l’interno fu trasformato a fine ’800 da Antonio
Cipolla) a completamento della cosiddetta Manica Lunga (il lato SE del
palazzo del Quirinale), eretta a più riprese da Sisto V, Alessandro VII e
Clemente XII, che la fece prolungare dal Fuga nel 1730-32: il lungo
(m 360) e monotono prospetto, caratterizzato da una predominante
orizzontalità accentuata dalla successione di finestre e dal marcapiano
sotto il quarto ordine, fu sopraelevato dal Cipolla nel 1872.
*S. ANDREA AL QUIRINALE. Una gradinata semicircolare a sin.
introduce alla chiesa, altro capolavoro di architettura sacra barocca,
commissionata dal cardinale Camillo Pamphilj nel 1658 a Gian Lorenzo
Bernini, che la edificò sul luogo della chiesa di S. Andrea a
Montecavallo. Al centro della singolare facciata, a un solo ordine con
paraste corinzie sorreggenti un frontone triangolare, è un finestrone
semicircolare dal quale sembra ‘ribaltarsi’ il protiro poggiato su
colonne ioniche.

L’INTERNO, ricco di marmi policromi, dorature e stucchi, è a pianta


ellittica, con l’asse principale sul lato minore e quattro cappelle. La
serie ininterrotta dei pilastri che sorreggono la trabeazione focalizza
l’attenzione sull’altare, preceduto da un’edicola a colonne con frontone
concavo (statua di S. Andrea di Ercole Antonio Raggi); la cupola a
cassettoni dorati è popolata da figure in stucco del Raggi, la lanterna
da cherubini. 1ª cappella d. (pianta →, 1): pala d’altare (Morte di S.
Francesco Saverio) e tele laterali del Baciccia (1705); nella volta,
Gloria del santo di Filippo Bracci (1746). 2ª (2): Deposizione,
Flagellazione e Salita al Calvario di Giacinto Brandi (1682). Cappella
maggiore (3): altare in bronzo dorato e lapislazzuli su disegno di
Bernini; Martirio di S. Andrea del Borgognone (1668); sopra, splendida
raggiera dorata con angeli e cherubini, del Raggi. 2ª cappella sin. (4):
Madonna col Bambino e S. Stanislao Kostka di Carlo Maratta (1687);
nella volta, Gloria del santo di Giovanni Odazzi. Cappella dei Fondatori
(5): Madonna col Bambino e santi di Ludovico Mazzanti; nella volta,
Gloria di angeli di Giuseppe Chiari.
Nell’attiguo convento, le camere di S. Stanislao ospitano la statua
marmorea del santo (Pierre Legros), ma anche 12 tempere (storie del
santo) di Andrea Pozzo.

*PIAZZA DEL QUIRINALE. Superato a sin. il giardino creato nel 1888


per la visita a Roma dell’imperatore di Germania Guglielmo II
demolendo le cinquecentesche chiese di S. Chiara e di S. Maria
Maddalena (il monumento equestre a Carlo Alberto è di Raffaele
Romanelli, 1900), si sbocca in questo spazio urbano, aperto verso O
sul panorama della città.

Il luogo, posto sulla sommità dell’omonimo colle (m 61; il nome


deriverebbe da un tempio di Quirino o da «Curii», città donde secondo
la leggenda mossero i Sabini di Tazio per venire a stabilirsi su questa
altura) e qualificato in età classica dal tempio di Serapide e dalle
terme di Costantino (da esse provengono i Dioscuri che fecero
chiamare la contrada, dal Medioevo in poi, «De Caballo» o «Monte
Cavallo»), per il disagevole collegamento con le zone sottostanti
cominciò ad assumere un assetto organico solo a partire da Sisto V;
nel ’700 le scuderie del Quirinale e il palazzo della Consulta
completarono i lati SO ed E, mentre con Pio IX (1866) si ebbe l’ultima
radicale trasformazione, che permise il collegamento della piazza con
la parte bassa della città.
LA FONTANA DI MONTE CAVALLO è il fulcro dello spazio urbano, con i
due colossi (m 5.6) di Castore e Polluce, i Dioscuri, che frenano i
rispettivi cavalli. Provenienti dalle terme di Costantino, le statue, copie
di età imperiale romana di originali greci del sec. V a.C., erano rivolte
fino al 1589 verso l’attuale palazzo della Consulta; in quell’anno Sisto
V le restaurò e per valorizzare la prospettiva della strada Pia le spostò
al centro della piazza con una fontana alimentata dall’acquedotto
Felice (per l’inquadramento →). Pio VI (1786) incaricò Giovanni
Antinori di orientare le statue con i cavalli divergenti verso il Quirinale
per poter erigere al centro l’obelisco proveniente dal mausoleo di
Augusto; solo nel 1818 Pio VII commissionò a Raffaele Stern una
nuova fontana, nella quale fu utilizzata la vasca proveniente dal
Campo Vaccino.
IL *PALAZZO DEL QUIRINALE (www.quirinale.it), che dà nome allo
slargo, fu iniziato da Martino Longhi il Vecchio (1573-77) e continuato
da Ottaviano Mascherino (1578-85). Eretto sul luogo della
quattrocentesca villa del cardinale Oliviero Carafa e poi del cardinale
Ippolito d’Este come residenza estiva dei papi, fu ingrandito da
Domenico Fontana, Flaminio Ponzio, Carlo Maderno e Gian Lorenzo
Bernini; sotto Alessandro VII, Pietro da Cortona eseguì le decorazioni
pittoriche, Clemente XII completò l’edificio e Benedetto XIV ne arricchì
i giardini. A partire da Clemente VIII (1592) fu sede papale fino al
1870, quando divenne reggia dei Savoia che trasformarono lo spirito
severo degli ambienti nell’ala E verso il giardino per renderlo più
rappresentativo; dal 1947, infine, è la residenza del presidente della
Repubblica.
La facciata, eretta dal Fontana per Sisto V (1589) nelle austere
forme del tardo Rinascimento, è a due piani, con finestre a
piattabanda e timpano, ed è animata dal portale del Maderno (1615)
con colonne sorreggenti un ricco timpano, su cui sono le statue di S.
Pietro (Stefano Maderno) e di S. Paolo (Guillaume Berthélot); al di
sopra è la LOGGIA DELLE BENEDIZIONI (1638) di Bernini (al centro,
Madonna con Bambino di Pompeo Ferrucci, 1635). Il TORRIONE
circolare, pure di Bernini (1626), movimenta la compatta facciata sulla
sin., mentre a d. emerge il lato breve della sopraelevazione della
Manica Lunga →.
ALL’INTERNO (aperto al pubblico la domenica mattina), il vasto
CORTILE, nelle rigide e severe linee della Controriforma, accoglie sulla
sin. un PORTICO: l’ala sin. è del Fontana (1589), quella d., con altana al
centro di sette finestre, del Ponzio (1605-1609). In fondo è il
PALAZZETTO cinquecentesco del Mascherino (sua la scala a chiocciola a
colonne doriche binate), con doppia loggia a cinque arcate serrata da
due avancorpi, derivato dal tipo della coeva villa suburbana; al di
sopra, la torretta angolare venne coronata, sotto Urbano VIII, da un
campaniletto a vela.
Nello SCALONE D’ONORE a quattro rampe incrociate con pianerottolo
intermedio, costruito nel 1611-12 dal Ponzio, *Cristo in gloria di
Melozzo da Forlì (dalla basilica dei Ss. Apostoli). Nella SALA REGIA, fregio
ad affresco di Giovanni Lanfranco e Agostino Tassi (1616). Nella
CAPPELLA PAOLINA (Carlo Maderno, 1617), delle stesse dimensioni di
quella Sistina in Vaticano, ricca volta a botte con cassettoni in stucco
dorato di Martino Ferrabosco. Nella *CAPPELLA DELL’ANNUNCIATA (1610, su
disegno del Ponzio), con aula quadrata e cupola ellittica, affreschi di
Guido Reni. Nella SALA DEL DILUVIO, affreschi di Antonio Carracci. Nella
SALA DEL BALCONE, Partenza e Trionfo di David di Pietro da Cortona. Nel
SALOTTO DI S. GIOVANNI BATTISTA, S. Giovanni Battista attribuito a Giulio
Romano. Al patrimonio del palazzo appartengono anche c. 261 arazzi
di fattura italiana, fiamminga e francese (sec. XVI-XIX). La domenica
pomeriggio, presso il Palazzo del Quirinale, si svolge il tradizionale
Cambio della Guardia d’Onore, seguito da concerto bandistico.

LA MATRICE DEI MAGNIFICI GIARDINI è costituita dal reticolo di viali


della villa del cardinale d’Este. Attrattiva della zona inferiore del
complesso è la singolare fontana dell’Organo, creata da Clemente VIII
sul luogo di un ninfeo e completata nel 1596; in essa si fondono
elementi naturalistici e figurati, ai quali si associavano effetti musicali
dovuti alla caduta delle acque sui tasti di un organo (lavori di idraulica
di Giovanni Fontana, decorazioni di Giovanni da Neri). In uno dei punti
più panoramici del giardino Benedetto XIV fece costruire la Coffee
House: la palazzina, iniziata da Ferdinando Fuga nel 1741, ha un
prospetto verso il giardino con tre ampie arcate e accoglie, nella
saletta del Mezzanino, tele (S. Maria Maggiore; Piazza del Quirinale col
palazzo della Consulta) di Giovanni Paolo Pannini.

VIA DELLA DATARIA. Per una scalinata a sin. del palazzo del
Quirinale si può scendere a questo tracciato, il cui assetto definitivo
(Virginio Vespignani, 1866) risale a Pio IX, che ne promosse la
generale sistemazione assicurando una facile transitabilità verso i
nuovi quartieri a NE e intervenendo sugli edifici. Il palazzo sulla d.,
collegato alla residenza del presidente della Repubblica dal torrione
circolare, è quello della Famiglia Pontificia, detto della Panetteria, che
fu rinnovato sotto Clemente XIII (1764-65) con l’ala in angolo con
vicolo Scanderbeg. Al numero 21 è il lungo prospetto del palazzo di S.
Felice, eretto sotto Pio IX nel 1864 da Filippo Martinucci sul luogo del
convento dei Cappuccini (1580) poi annesso alla chiesa di S. Croce e
S. Bonaventura dei Lucchesi, che accoglie nel cortile quadrato interno
strutture della chiesa superiore di S. Nicola de Portiis → e nel
sotterraneo i resti del sepolcro dei Semproni, scoperto nel 1863: la
facciata in blocchi di travertino della tomba, che prospettava
sull’antico tracciato verso il Quirinale, è sormontata da un elegante
fregio a palmette con cornice a dentelli e ovuli (sopra la porta di
accesso alla cella, iscrizione dedicata a Sempronio, alla sorella e alla
madre). Seguono (numeri 94-95) il palazzo della Dataria Apostolica
oggi dell’ANSA, rinnovato da Andrea Busiri Vici (1860) che inglobò il
palazzo del cardinale Orazio Maffei sede dal 1615 della suddetta
istituzione papale, e (N. 22) il palazzo Testa Piccolomini (Filippo
Barigioni, 1718-19).

LE EX SCUDERIE DEL QUIRINALE fronteggiano il palazzo del Quirinale


con un basso fabbricato, iniziato nel 1722 da Alessandro Specchi per
Innocenzo XIII e terminato nel 1730 da Ferdinando Fuga sotto
Clemente XII (stemma in facciata), dall’elegante prospetto e dai due
avancorpi laterali fra i quali è un’ampia balconata; l’aspetto attuale è il
risultato delle mutilazioni ottocentesche volute da Pio IX (stemma sul
portale) per l’apertura della contermine via della Dataria, quando si
eliminarono il portico d’angolo e la bella scalinata a rampe ricurve che
collegava l’edificio allo slargo. Un recente restauro, su progetto di Gae
Aulenti, ha adattato l’edificio a spazio espositivo e restituito alle
facciate il colore travertino e terra d’ombra previsto dal Vespignani.
IL *PALAZZO DELLA CONSULTA (poi Ministero dell’Africa Italiana e dal
1955 sede della Corte Costituzionale), sul lato E della piazza, fu
edificato da Ferdinando Fuga (1732-34) come sede del Tribunale della
Consulta, della Segnatura dei Brevi e delle caserme delle Corazze e dei
Cavalleggeri. La vivace facciata è a due piani con ammezzato: in
quello terreno è un leggero bugnato, mentre la zona centrale è
scandita da lesene, con parti laterali ritmate da fasce che inquadrano
ricche finestre. La Giustizia e la Religione (1739) coronano il portale
centrale d’ispirazione michelangiolesca; sulle porte secondarie sono
trofei di Filippo Della Valle (1735); in alto, stemma di Clemente XII
con figure alate (Paolo Benaglia, 1735). Nel cortile si proietta lo
scenografico SCALONE a due piani e doppie rampe con aperture
centinate al centro.
VIA XXIV MAGGIO già del Quirinale, che discende il colle, venne
aperta nel 1877 per creare un accesso monumentale da via Nazionale
al Quirinale abbassando il dislivello e demolendo parzialmente gli
edifici sul lato destro. A tale periodo risale la scenografica scalinata –
con doppia rampa, ricchissimo portale e balaustrata – di accesso a
villa Colonna (1618), annessa all’omonimo palazzo →; nei giardini,
risistemati nel 1611-25 per volere di Filippo I Colonna, sono resti delle
murature laterizie e giganteschi frammenti della trabeazione del
monumentale tempio di Serapide, eretto da Caracalla.
PALAZZO PALLAVICINI ROSPIGLIOSI. La fronteggia, all’interno di un
ampio giardino cinto da un muraglione con finestre cieche, questo
edificio, sorto sul luogo delle terme di Costantino, l’ultimo grande
impianto pubblico antico (resti nel muraglione sopracitato, al piano
cantinato del palazzo e sotto il giardino); commissionato dal cardinale
Scipione Borghese a Flaminio Ponzio (1605) e completato da Carlo
Maderno (1616), il palazzo appartenne al cardinale Giulio Mazzarino e
ai suoi eredi che lo ampliarono, e nel 1704 fu acquistato dai Pallavicini
Rospigliosi, che tuttora lo detengono.

Il CASINO PALLAVICINI (ingresso al N. 43) è una graziosa loggetta


con tre ambienti di cui il centrale arretrato: al soffitto del salone
centrale, *Aurora di Guido Reni (1614); alle pareti, Trionfo
dell’Amore e della Fama, fregio di Antonio Tempesta, e le Quattro
Stagioni di Paul Brill. Nelle stanze adiacenti, Rinaldo e Armida di
Giovanni Baglione (1614) e Combattimento di Armida del Passignano.
Dietro il palazzo che ospita la Galleria Pallavicini, sulla sin., in un
secondo giardino è un NINFEO detto «Il teatro»; la decorazione della
vicina loggia delle Muse si deve ad Agostino Tassi (quadrature) e
Orazio Gentileschi (muse e Concerto di musici).

LA GALLERIA PALLAVICINI (t. 0648144344), al primo piano del


palazzo in fondo al cortile interno, è una delle più importanti raccolte
romane. Il genovese Nicolò Pallavicini, amico di Pieter Paul Rubens, e
il figlio, cardinale Lazzaro (1602-1680), ne costituirono il primo nucleo;
il matrimonio (1670) di Maria Camilla Pallavicini con G.B. Rospigliosi
portò alla fusione delle rispettive collezioni. La successiva separazione
delle raccolte, in seguito al ripristino del ramo Pallavicini (1679), fu
operante solo nell’800: la collezione Rospigliosi andò dispersa nel
1931-32, la Pallavicini si arricchì di dipinti della scuola piemontese
provenienti dai Medici del Vascello. Si notino: 14, Madonna col
Bambino e S. Giovannino del Guercino; 17, Madonna col Bambino di
Federico Barocci; 19, Sacra famiglia di Jacopo Bassano; 43, Riposo
nella fuga in Egitto di Pietro da Cortona; 49-57, Paesaggi di Jan Frans
van Bloemen; 58-59, Pastore e armenti e Maniscalco di Pieter van
Bloemen; 67-69, Trasfigurazione e i Ss. Gerolamo e Agostino e
Madonna col Bambino e S. Giovannino di Sandro Botticelli; 78-79,
Paesaggi di Paul Brill; 85, S. Cecilia di Denijs Calvaert; 112,
Gentildonna con cagnolino di Annibale Carracci; 114-115, Miracolo del
cieco nato e S. Pietro di Ludovico Carracci; 140, I cinque sensi di Carlo
Cignani; 141, Ercole che fila di Antonio Circignani; 147-151, S.
Agostino e Teste femminili di Sebastiano Conca; 153, Riposo nella
fuga in Egitto di Placido Costanzi; 154-157, Battaglie del Borgognone;
158, Paesaggio con S. Gerolamo di Nicolò dell’Abate; 169-170, Ritratti
di Antonie Van Dyck; 204-206, Sacra famiglia, Cupido e una ninfa e
Venere e Cupido di Luigi Garzi; 207, ritratto di Clemente IX del
Baciccia; 218-227, Rinaldo e Armida, Venere allatta Amore, Riposo
nella fuga in Egitto, S. Clemente portato in cielo dagli angeli, Allegoria,
Estasi di S. Pietro d’Alcantara, Miracolo di S. Maria Maddalena de’
Pazzi, Riposo nella fuga in Egitto, Pietà e gruppi di amorini, tutti di
Giacinto Gimignani; 234, Madonna col Bambino del Giampietrino; 235-
239, Morte di Giuliano l’Apostata, Conversione di Saul, Morte di
Lucrezia, Giudizio di Paride e Comunione degli apostoli di Luca
Giordano; 271, Derelitta di Filippino Lippi; 281, Esequie di S.
Francesco di Lorenzo Monaco; 288, *La Lussuria scacciata dalla
Castità di Lorenzo Lotto; 295-296, Il cardinale Giacomo Rospigliosi e
Madonna della neve di Carlo Maratta; 335-336, Adamo ed Eva e Cristo
morto e angeli di Palma il Giovane; 341, Genietto con il corno
dell’abbondanza di Nicolas Poussin; 351-352, Perseo e Andromeda e
Crocifisso di Guido Reni; 422, S. Giovanni nel deserto del Pomarancio;
430-443, ritratto di Hélène Fourment, Cristo e I dodici apostoli di
Pieter Paul Rubens; 448, Madonna del Sassoferrato; 449, Ritratto
virile di Francesco Salviati; 450, Madonna col Bambino e S. Anna di
Carlo Saraceni; 452-453, Enoc portato in cielo e Giuseppe venduto
dello Scarsellino; 461, Madonna col Bambino, S. Giovannino e un
santo di Luca Signorelli; 462, S. Ignazio in gloria di Francesco
Solimena; 463, Natura morta dello Spadino; 466, Loth e le figlie di
G.B. Speranza; 470, Cristo risana il paralitico di Pierre Subleyras; 471,
Ferdinando II de’ Medici di Justus Sustermans; 481-482, Caccia al
cervo e Battaglia di Antonio Tempesta; 484, Cucina vista dalla
dispensa di David Teniers II il Giovane; 485-486, Animali di David
Teniers III; 489, ritratto di Primo Lechi di Tintoretto; 490, S. Giacomo
maggiore del Garofalo; 503, Cristo morto e angeli di Francesco
Trevisani; 513, Rissa davanti all’ambasciata di Spagna di Diego
Velázquez; 546, Peccato originale del Domenichino.

LA CHIESA DI S. SILVESTRO AL QUIRINALE, a d. quasi a metà di via


XXIV Maggio, risulta menzionata già nel 1030 e fu denominata
dapprima in Caballo e successivamente in Arcioni dall’omonima
famiglia; riedificata nel 1524, ebbe demolite, per l’allargamento della
strada, l’originaria facciata tardo-cinquecentesca e le prime due
cappelle: l’attuale prospetto a due ordini (Andrea Busiri Vici, 1873-77),
che si ispira agli schemi cinquecenteschi, è in realtà puramente
decorativo.
L’INTERNO, è a navata unica, con due cappelle per lato, cupola e
profondo presbiterio; sfarzoso soffitto a lacunari dorato e dipinto con
scene a rilievo (Consegna delle chiavi e Madonna col Bambino) del
sec. XVI. Sulla parete di controfacciata, a d. monumento funebre del
cardinale Federico Cornaro attribuito a G.B. Della Porta (1591), a sin.
monumento funebre di Prospero Farinacci (1618); i Ss. Pietro e Paolo
sono di Stefano Pozzi, autore anche degli ovali nella navata. 2ª
cappella sin. (Ghislieri): Natività di Marcello Venusti; alle pareti laterali,
Circoncisione (d.) e Adorazione dei Magi (sin.) attribuite a Jacopo
Zucchi; nella volta, Sogno di S. Giuseppe (d.) e Strage degli Innocenti
(sin.) riferibili a Raffaellino da Reggio. 1ª: pregevole pavimento (1525-
27) in formelle di Luca Della Robbia (insegne di Leone X), le stesse
usate da Raffaello per le Logge Vaticane; zoccolo a monocromo con
putti di Polidoro da Caravaggio e Maturino da Firenze, autori anche
degli affreschi laterali (scene della vita della Maddalena e di Caterina
da Siena), primi paesaggi della pittura romana; nella volta, storie di S.
Stefano del Cavalier d’Arpino; sull’altare, Madonna col Bambino e santi
(sec. XVI). 1ª cappella d.: Papa Silvestro battezza Costantino di
Avanzino Nucci; nella volta, scene della vita di S. Silvestro (1868). 2ª:
S. Pio V e il cardinale Nepote Alessandrino in adorazione della Vergine,
tela di Giacinto Gimignani con al centro una tavola (Madonna col
Bambino) di scuola romana del sec. XIII; alle pareti, sulla volta e nel
sottarco, affreschi di Cesare Nebbia. Presbiterio: a sin. S. Gaetano
riceve il latte dalla Madonna di Lazzaro Baldi; la decorazione ad
affresco della volta è di Cherubino e Giovanni Alberti. Cappella del
transetto d.: L’Eterno appare ai Ss. Andrea Avellino e Gaetano Thiene
del Barbalonga. In fondo al transetto sin. è la sontuosa *cappella
Bandini (Ottaviano Mascherino, 1580-85), a pianta ottagonale con
cupola e lanternino: Assunzione, dipinto su lavagna di Scipione
Pulzone (1585); nei peducci della cupola sono tondi con scene bibliche
affrescati dal Domenichino (1628); nelle nicchie angolari, sculture in
stucco di Alessandro Algardi (Maddalena e S. Giovanni, 1628) e di
Francesco Mochi (S. Giuseppe e S. Marta).

S. MARIA DEL CARMINE. Poco avanti si piega a d. per via della


Cordonata costeggiando il fianco posteriore di palazzo Antonelli → e,
attraversata via IV Novembre, si prosegue in via delle Tre Cannelle (la
torre dei Colonna è →), che lascia a d., in uno spiazzo appartato, la
chiesa di S. Maria del Carmine, costruita nel 1624 e completata da
Michelangelo Specchi nel 1750; la facciata a due ordini, di disegno
classico, ha decorazioni tardo-barocche.

L’INTERNO, di forme classicheggianti (1772), è a navata unica con


volta a botte. All’altare d., stendardo raffigurante la Madonna che
appare a Elia (recto) e la Madonna che consegna lo scapolare a S.
Simone Stock (verso), attribuito a Sebastiano Conca. Sulla parete sin.,
S. Simone Stock riceve lo scapolare carmelitano dalla Vergine di
Giovanni Pirri (1776). All’altare maggiore, Madonna del Carmine di
Gaspare Celio.

IL RITORNO IN PIAZZA DEI SS. APOSTOLI. La discesa termina in via di


S. Eufemia, dal nome della chiesa e del convento che furono demoliti
a inizi ’800 per rimettere in luce la «basilica Ulpia»; il breve tratto di
d., che costeggia a sin. un fianco di palazzo Valentini →, conduce,
attraversata via Battisti, nella piazza dei Ss. Apostoli →.

2.3 IL RIONE COLONNA

Il rione, il cui nome deriva dalla colonna di Marco Aurelio e che


era compreso nel Campo Marzio classico (di tale epoca restano le
colonne del tempio di Adriano), è caratterizzato da una zona
pianeggiante lungo via del Corso (già tratto urbano della Via Flaminia)
e da una zona che sale verso il Pincio (il «collis hortulorum»). Nel
Medioevo, la parte bassa fu discretamente abitata e caratterizzata
dalla presenza di chiese, mentre lungo la via sorgevano modeste case
e numerose torri, poi inglobate nei successivi edifici; l’area sotto il
Pincio, chiamata «ad capita domorum» (a capo le case) per indicare il
limite dell’abitato, fu occupata soprattutto da vigne e orti («infra
hortos»; «de fractis»). Nel Cinquecento nella zona di Montecitorio
sorsero case con facciate dipinte e si tracciarono nuovi percorsi (l’asse
vie del Pantheon-della Maddalena-di Campo Marzio); sotto il Pincio si
installarono conventi e arciconfraternite (le Carmelitane a S. Giuseppe
a Capo le Case, gli Eremitani Scalzi di Spagna a S. Ildefonso), cui si
affiancarono nuovi edifici (palazzo Tonti) e ville intorno a piazza
Grimana (attuale piazza Barberini). Una decisa urbanizzazione si ebbe
solo sotto Gregorio XIII e soprattutto sotto Sisto V, con il tracciamento
della strada Felice (1585-89), mentre nel Seicento e Settecento furono
sistemate, nella zona pianeggiante, le piazze Colonna, di Pietra, di
Montecitorio e della Maddalena e si rinnovarono i complessi di S.
Maria Maddalena e di S. Maria in Aquiro.

La zona ai piedi del Pincio, che accoglie la chiesa di S. Silvestro in


Capite e la borrominiana S. Andrea delle Fratte, ha mantenuto
abbastanza inalterate le caratteristiche ambientali, mentre quella
intorno a Montecitorio, dove si segnalano la chiesa di S. Maria
Maddalena e il palazzo Capranica, ha subìto dopo il 1870 profonde
trasformazioni con l’allargamento delle vie del Corso e del Tritone e
soprattutto con il raddoppiamento del palazzo di Montecitorio (1903-
1927), che cancellò il suggestivo tessuto urbano circostante; la
lacerazione non è più stata completamente sanata, mentre la ‘città
politica’ continua a estendersi in modo allarmante, assorbendo i
circostanti edifici a destinazione residenziale. Pianta dell’itinerario qui
sopra.

PIAZZA DI MONTECITORIO, a O di piazza Colonna →, corrisponde al


medievale «Mons Acceptorius», altura artificiale da cui svetta
l’obelisco di Psammetico II (594-589 a.C.), trasportato da Heliopolis
per volere di Augusto che lo pose nel Campo Marzio come gnomone
dell’orologio solare →; caduto nel sec. IX, fu restaurato ed eretto qui
sotto Pio VI da Giovanni Antinori (1792), che ne ripristinò la funzione:
attraverso il globo di bronzo forato, recante lo stemma del papa,
passava il raggio solare, mentre sulla piazza apposite selci indicavano
le ore. L’obelisco, di granito rosso, è alto c. m 22 (con il basamento e
il globo, m 29).
L’IMPONENTE *PALAZZO DI MONTECITORIO, sul lato maggiore della
piazza, è sorto sull’area del cinquecentesco palazzo Gaddi.
Commissionato nel 1653 a Gian Lorenzo Bernini da Innocenzo X che
intendeva donarlo ai Ludovisi e interrotto nel 1655, fu adattato a sede
dei Tribunali dello Stato per Innocenzo XII (Curia Innocenziana) da
Carlo Fontana nel 1694 (a tale data risale la demolizione delle case
affrescate, che assieme alla medievale chiesa di S. Biagio affacciavano
sulla piazza), e nel 1871 divenne sede della Camera dei Deputati; nel
1903-1927 Ernesto Basile vi aggiunse il nuovo corpo costruendo
l’attuale aula parlamentare sull’area del cortile del Fontana e il
prospetto in stile floreale su piazza del Parlamento (v. sotto).
La movimentata facciata principale a ordine gigante di paraste,
opera di Bernini al pari delle ali laterali del palazzo, ha andamento
convesso (leggermente aggettanti la parte centrale e le due ali
estreme) ed è ricca di motivi scenografici e di spunti naturalistici
tipicamente barocchi (bugnato rustico negli spigoli delle ali e nelle
finestre del pian terreno); l’intervento del Fontana apportò solo alcune
varianti significative per la nuova funzione pubblica (semplificazione
delle finestre del corpo centrale, apertura del triplice ingresso,
sostituzione dell’attico a coronamento cuspidato con un campanile a
vela).
NELL’INTERNO, l’AULA a emiciclo del Basile (visita: solo in
corrispondenza delle sedute della Camera) sostituì quella provvisoria
in legno di Paolo Comotto (1871); tutto l’ambiente è in stile floreale, e
l’arredo è in legno di quercia con intagli e ornamentazioni. Sul soffitto,
tutt’intorno al grande lucernario decorato, corre il *fregio allegorico su
tela (Giulio Aristide Sartorio, 1908-1912) raffigurante la Civiltà
Italiana, le Virtù del popolo italiano ed episodi salienti della sua storia.
Sulla parete di fondo, Apoteosi di Casa Savoia, rilievo bronzeo di
Davide Calandra (1911). Gli altri ambienti del piano terra (visita
guidata 1ª domenica del mese), tra cui il «CORRIDOIO DEI PASSI PERDUTI»,
e del primo piano sono riccamente arredati con opere d’arte antiche
(notevole la piccola collezione archeologica; fra le tele, Nozze di Cana
di scuola di Paolo Veronese) e moderne (Parigi di notte di Giovanni
Boldini; Inverno sul lago d’Iseo di Carlo Carrà; Vecchina di Ottone
Rosai; Donna di Lorenzo Viani; Danza di donne di Mino Maccari;
Donna di Massimo Campigli; Gladiatori di Giorgio De Chirico; Carretti
siciliani di Renato Guttuso; Bagnanti e Bambine di Armando Spadini).
La Biblioteca della Camera dei Deputati, fondata nel 1848, contiene
oltre 400000 volumi e periodici relativi a storia, politica, economia,
diritto, e, dal 1990, la collezione Kissner.

PIAZZA DEL PARLAMENTO. Prendendo a d. dell’edificio la stretta via


dell’Impresa, su cui incombono i fianchi posteriori dei palazzi Chigi e
Verospi →, si giunge nello spazio urbano creato in funzione del nuovo
edificio cancellando un suggestivo tessuto urbano; esso occupa una
parte dell’antico largo dell’Impresa, così chiamato perché vi aveva
sede l’impresa del lotto. Qui è la turrita facciata posteriore del palazzo
di Montecitorio, estranea per mole e colore all’ambiente circostante;
eretta dal Basile (1903-1927) in mattoni rossi e travertino con enorme
stilobate e modesto portale, è pregevole soprattutto per i particolari
decorativi liberty (gruppi allegorici di Domenico Trentacoste, 1911).
Sul lato opposto della piazza è il palazzo del Banco di S. Spirito
già della Banca d’Italia, in forme classicheggianti di Marcello Piacentini
(1918); al N. 33 della retrostante via in Lucina è la casa Vacca, eretta
da don Pedro de Vaca in via della Vignaccia a fine ’400 e qui
ricostruita.
S. MARIA DELLA CONCEZIONE IN CAMPO MARZIO. Da piazza di
Montecitorio, presso l’angolo sin. dell’omonimo palazzo, s’imbocca via
degli Uffici del Vicario, che tra case sei-settecentesche giunge in
piazza in Campo Marzio, dove, con ingresso laterale al N. 45A, sorge
questa chiesa, cattolica orientale di rito antiocheno. Già annessa a un
monastero di Benedettine che era stato fondato intorno al 750 da
papa Zaccaria, fu costruita con l’opera di Giacomo Della Porta, Carlo
Maderno e Francesco Peparelli, e trasformata in forme barocche nel
1668-85 da Giovanni Antonio De Rossi, autore anche della
decorazione architettonica dell’ATRIO e dell’elegante CORTILE antistante,
reso illusionisticamente più ampio.

L’INTERNO consta di un’imponente croce greca con sette altari;


originale la cupola ellittica senza tamburo. Altare della crociera d. (a
sin. entrando): Battesimo di Gesù, Nascita del Battista e Decapitazione
del Battista di Pasquale Marini. 1ª cappella d. (sul fianco d.
dell’abside): S. Gregorio Nazianzeno di Luigi Garzi (1666). All’altare
maggiore, inserito in un’abside movimentata da due colonne con
angeli berniniani, icona della Madonna avvocata (sec. XII-XIII) da
Costantinopoli; il catino absidale fu affrescato da Placido Costanzi (c.
1730). Altare della crociera sin.: Morte di S. Benedetto di Lazzaro Baldi
(sue le storie del santo alle pareti). 1ª cappella sin. (a sin. della porta
che dà sul cortile): Natività di Maria di ambito di Baccio Ciarpi.

L’EX MONASTERO DI S. MARIA DELLA CONCEZIONE IN CAMPO MARZIO,


oggi della Camera dei Deputati (raggiungibile a sin. della chiesa per
via Metastasio e a d. per vicolo Valdina, dove è l’accesso al N. 3),
ingloba sull’angolo sin. del chiostro la chiesa di S. Gregorio
Nazianzeno, sorta su una costruzione del sec. IV: la facciata a timpano
(con rifacimenti del XVIII) è fiancheggiata dalla torre campanaria
(secoli XII-XIII) a quattro ordini di trifore; all’interno, a navata unica con
volta a botte e abside, affreschi dell’XI-XII. Nel refettorio del
monastero, lunettone (Cristo in casa di Marta e Maria) di Sebastiano
Conca.

*S. MARIA MADDALENA. Da piazza in Campo Marzio si segue in


direzione S via della Maddalena, pervenendo nell’omonima piazza che
mantiene intatto l’aspetto sette-ottocentesco e sulla quale prospetta
una delle più rappresentative chiese del tardo barocco romano.
Originata da una cappella trecentesca, fu affidata nel 1586, con
l’annesso ospedale della confraternita dei Disciplinati o Battuti, a S.
Camillo de Lellis quale sede dei Ministri degli Infermi; questi ultimi
(1621) aprirono la piazza antistante e iniziarono la nuova chiesa: ai
primi lavori (1631-34) si susseguirono Giovanni Francesco Grimaldi
(autore soprattutto del convento), Carlo Fontana (1673), che realizzò
la cupola e la volta, Giovanni Antonio De Rossi (1695), Giulio Carlo
Quadri e Francesco Felice Pozzoni, che la terminarono nel 1699. La
movimentata facciata, aggiunta nel 1735 da Giuseppe Sardi, è
l’esempio più significativo di stile rococò a Roma: un andamento
continuo concavo si propaga sui due ordini, arricchiti da nicchie,
statue e ornamenti di stucco.

L’INTERNO, con navata ellittica e cappelle sui lati, transetto e


cupola, è un’originale fusione dell’impianto longitudinale con quello
centrale. Sopra l’ingresso, ricchissimo organo con cantoria in legno
dorato e figure allegoriche in stucco (1740); alle pareti, entro nicchie,
statue (quelle di d. in stucco, quelle di sin. in marmo) delle Virtù,
opera di Carlo Monaldi, Paolo Morelli e altri; sulla volta, storie della
Maddalena di Michelangelo Cerruti (1732); la cupola (SS. Trinità) e i
pennacchi (Dottori della Chiesa) sono di Étienne Parrocel (1739). 1ª
cappella d.: S. Francesco di Paola risuscita un bambino di Biagio
Puccini (1720). 2ª: venerata immagine della Madonna della Salute.
3ª: S. Camillo ha la visione della Croce, pala di Placido Costanzi
(1749); volta affrescata da Sebastiano Conca (Gloria di S. Camillo);
alle pareti, storie del santo di scuola del Conca. Cappella a d.
dell’altare maggiore: venerato Crocifisso di S. Camillo (sec. XVI); sul
lato opposto, pregevole statua lignea della Maddalena (sec. XV). Altare
maggiore: Maddalena in preghiera, pala di Michele Rocca (1698); alle
pareti, Noli me tangere e Le Marie al sepolcro (1756). Nel catino
absidale, Predicazione di Gesù alle turbe, affresco di Aureliano Milani
(1732). 3ª cappella sin.: Cristo, la Vergine e S. Nicola di Bari del
Baciccia (1698); alle pareti, Miracoli del santo di Ventura Lamberti. 2ª:
S. Lorenzo Giustiniani adora il Bambino di Luca Giordano (1704). La
*SAGRESTIA è la più bella del ’700 romano per l’armonioso insieme della
decorazione e degli arredi rocaille.

S. MARIA IN AQUIRO. Via delle Colonnelle, che segna il fianco d. di


S. Maria Maddalena, sbocca in piazza Capranica avendo di fronte
questo altro luogo di culto, di antica fondazione (fu restaurato da
Gregorio III) e già denominato «a Cyro»; concesso da Paolo III alla
confraternita degli Orfani (1540), venne ricostruito nel 1590-1620 per
il cardinale Antonio Maria Salviati da Francesco da Volterra e poi da
Filippo Breccioli e Carlo Maderno. La facciata, del Breccioli su disegno
del Maderno nella parte inferiore, fu completata nell’ordine superiore –
a una sola campata con finestrone a loggia e due piccoli campanili
laterali – da Pietro Camporese il Vecchio (1774).

L’INTERNO, preceduto da un vestibolo con pietre tombali (sec. XIV-


XV) dalla distrutta chiesa di S. Stefano del Trullo e completamente
decorato nel 1866 da Cesare Mariani, è a tre navate, con altrettante
cappelle per lato, transetto e cupola. 3ª cappella d.: storie della
Madonna, affreschi di Carlo Saraceni (1617). Nell’edicola dell’abside,
affresco staccato (Madonna col Bambino e S. Stefano) di scuola
cavalliniana (sec. XIV). 2ª cappella sin.: Compianto su Cristo morto
attribuito a Maestro Jacobbe (post 1634); la Flagellazione e la
Coronazione di spine ai lati sono ascritte a Trophime Bigot (c. 1635-
40).

*PALAZZO CAPRANICA, che dà nome alla piazza, venne eretto dal


cardinale Domenico nel 1451 inglobando case preesistenti e la
cappella di S. Agnese (v. sotto), che ne chiude il lato N; tipico esempio
di edificio del primo Rinascimento romano, era originariamente a un
solo piano con torre laterale e senza cortile, e presenta una fase
costruttiva tardo-gotica (a tufelli con bifore marmoree trilobate) e una
con finestre a croce e torre con loggia.

L’INTERNO è in gran parte occupato dal cinema Capranica, una


delle più antiche sale da spettacolo della città. Nato come sala teatrale
privata per Pompeo e Federico Capranica (1678), fu ricostruito nel
1694 da Carlo Buratti con la pianta a «U» tipica dell’epoca e ricche
ornamentazioni, raggiungendo a metà ’700 il massimo splendore
grazie alle scenografie di Filippo Juvarra e Francesco Galli Bibiena;
riedificato a metà ’800, nel 1922 fu adibito a cinematografo.
Il portale al N. 98 dà accesso al Collegio Capranica, fondato nel
1456 dal cardinale Domenico per educare i giovani alla carriera
ecclesiastica (fu il primo del genere a Roma); disposto su due lati di
un cortile, accoglie nell’interno, trasformato come la facciata nel 1955,
la CAPPELLA DI S. AGNESE, dov’è la pregevole tavola della Madonna in
trono col Bambino, due santi e i cardinali Capranica di Antoniazzo
Romano (c. 1451).

LA CASA GIANNINI (N. 95) è un tipico edificio d’affitto del ’700; in


essa ebbe sede la Lega della Democrazia fondata da Giuseppe
Garibaldi.

VERSO IL PALAZZO DELLA BORSA. Dall’angolo SE della piazza si


costeggia il fianco d. dell’Istituto di S. Maria in Aquiro, rifacimento
(Pietro Camporese il Giovane, c. 1840) del Collegio Salviati aggiunto
da Filippo Breccioli nel 1591 alla casa degli Orfani, lungo vicolo della
Spada d’Orlando, cosiddetto dall’avanzo di una colonna di cipollino,
sporgente dal muro a sin., la cui fessura è stata attribuita dalla
fantasia popolare a un colpo della spada del paladino (la colonna,
come altre all’interno dell’istituto, e il tratto di muro laterizio sul lato
opposto della via appartengono al tempio di Matidia, eretto da Adriano
in onore della suocera m. nel 119). Giunti sulla tortuosa via de’
Pastini, dalle caratteristiche case d’affitto settecentesche a quattro
piani, si prosegue a sin. fino a piazza di Pietra, il cui nome deriva dai
grandiosi resti del tempio di Adriano (v. sotto); la sistemazione dello
spazio fu iniziata da Alessandro VII nel 1662 e completata sotto
Innocenzo XII, che volle qui collocata la Dogana di Terra, con la
demolizione della chiesa di S. Stefano del Trullo e dell’arco dei
Pazzarelli e con l’apertura (1699) della via detta poi dei Bergamaschi.
IL PALAZZO DELLA BORSA è un eccezionale esempio di riuso storico,
in quanto ingloba i resti del tempio di Adriano o «Hadrianeum» (a
lungo creduto di Nettuno).

LA STORIA. Il luogo di culto, dedicato nel 145 ad Adriano


divinizzato dal figlio Antonino Pio, sorgeva al centro di un’ampia piazza
porticata con colonne di giallo antico; ottastilo, con il fronte a E
preceduto da scalinata, presentava sui lati lunghi 15 colonne corinzie
di marmo bianco alte c. m 15: le 11 superstiti appartengono al fianco
d., del quale resta parte dell’alto podio a blocchi di travertino e
peperino; dietro le colonne rimane un tratto del fianco della cella, in
blocchi di peperino già rivestiti in marmo. All’interno della Borsa sono
visibili i resti della volta a cassettoni che copriva la cella.
Il tempio fu trasformato nel 1695 da Carlo e Francesco Fontana in
sede della Dogana di Terra, incorporando le 11 colonne e l’antico
cornicione; divenuto sede nel 1879 della Camera di Commercio e della
Borsa Valori, fu modificato da Virginio Vespignani, che eliminò i
caratteri barocchi, e nuovamente ristrutturato nel 1928 da Tullio
Passarelli, che liberò parte del colonnato e mise in luce lo stilobate.

S. MARIA IN VIA. Dal lato E della piazza si continua per via di


Pietra e, oltre l’incrocio con via del Corso (per il palazzo della Banca
Commerciale Italiana →), per via delle Muratte, piegando poi a sin.
nella via che prende nome dalla chiesa posta in angolo con largo Chigi
(il palazzo della Rinascente è →). Già menzionata nel 955 e famosa
per la cappella del Pozzo, eretta per ospitare l’immagine della
Madonna che fu rinvenuta nel 1256, secondo la tradizione, tra le
acque sgorganti di un pozzo (è ancora visibile a d. dell’altare), fu
riedificata nel 1491 sotto Innocenzo VIII, affidata da Leone X ai padri
serviti, ricostruita nel 1594 da Francesco da Volterra su progetto di
Giacomo Della Porta, che iniziò anche la facciata, e completata da
Carlo Rainaldi (1670).
Il prospetto è a due ordini, con finestrone, eleganti volte di
raccordo e coronamento con doppio timpano. Nell’interno, a navata
unica con quattro cappelle per lato, la 1ª d. accoglie la venerata
Madonna del Pozzo, frammento di dipinto su tegola (sec. XIII-XIV); la
3ª (Aldobrandini) un’Annunciazione e, ai lati, un’Adorazione dei Magi e
una Natività del Cavalier d’Arpino (1596).
I SS. ANDREA E CLAUDIO DEI BORGOGNONI. Attraversata via del
Tritone →, si è in piazza di S. Claudio, dove si trova questa chiesa,
edificata per la colonia ‘francese’ in luogo di un oratorio acquistato nel
1656 e ricostruita nel 1728-29 da Antoine Dérizet: in facciata, statue
di S. Andrea di Luc François Breton e di S. Claudio. Nell’interno, a
croce greca con cupola, all’altare maggiore, in alto, affresco con
L’Eterno di Antonio Bicchierai (gli angeli adoranti sono di scuola
berniniana); all’altare d., S. Carlo Borromeo di Placido Costanzi;
all’altare sin., Risurrezione di Jean François De Troy.
PIAZZA DI S. SILVESTRO, che un blocco di case separava fino al
1940 dalla precedente, è importante nodo di traffico sin da fine ’800
(a tale periodo risale la pretenziosa facciata neorinascimentale del
palazzo della Posta Centrale che ne chiude il fondo). Le dà nome la
chiesa di S. Silvestro in Capite, già annessa al convento eretto sulle
rovine del tempio del Sole sotto Stefano II e chiamata «inter duos
hortos» perché era circondata da orti o «in capite» perché vi è
conservata la reliquia della testa di S. Giovanni Battista.
Completamente restaurata nel 1198-1216 (al 1210 data la costruzione
del campanile su cinque ordini di doppie bifore), deve l’aspetto
attuale, risalente al 1595-1601, a Francesco da Volterra e Carlo
Maderno; a fine ’600 fu completata nelle decorazioni da Carlo Rainaldi,
Mattia e Domenico De Rossi, autore quest’ultimo anche della facciata
(1703) a un solo ordine, tripartita da lesene e ornata di statue.

L’INTERNO SONTUOSAMENTE BAROCCO, cui si arriva per un portale


con cornice del sec. XIII e un cortile con frammenti di lapidi, è a
navata unica con cappelle laterali e volta a botte affrescata da
Giacinto Brandi (Assunta in gloria e santi, 1680). Sopra l’ingresso,
fastosa cantoria con organo (1680). 1ª cappella d.: Madonna col
Bambino e i Ss. Antonio di Padova e Stefano I di Giuseppe Chiari, cui
appartengono anche i dipinti con storie dei due santi (1695). 2ª: S.
Francesco riceve le stimmate di Orazio Gentileschi (1610); alle pareti e
sulla volta, storie del santo, dipinti di Luigi Garzi. 3ª: Pentecoste di
Giuseppe Ghezzi, autore di tutta la decorazione pittorica della
cappella. TRANSETTO DESTRO: Madonna col Bambino e santi di Baccio
Ciarpi; sulla volta, storie di S. Silvestro di Ludovico Gimignani (1690).
Gli affreschi della cupola sono del Pomarancio e aiuti (ante 1605).
CAPPELLA MAGGIORE, a forma di arco trionfale e preceduta da un recinto
bronzeo con candelabri e putti di fine sec. XVII: *altare marmoreo di
scultori toscani (1518); il tabernacolo è del Rainaldi (1667). Abside:
Martirio di S. Stefano I (d.) e Messaggeri di Costantino chiamano S.
Silvestro (sin.) attribuiti a Orazio Borgianni (1610); nel catino,
Battesimo di Costantino del Gimignani (1688). TRANSETTO SINISTRO:
Madonna col Bambino e santi di Terenzio Terenzi da Urbino. 3ª
cappella sin.: Immacolata del Gimignani, autore anche degli affreschi
della volta (1696); alle pareti, Adorazione dei Magi (d.) e Visitazione
(sin.) del Morazzone. 2ª: S. Marcello papa ha la visione della Sacra
famiglia del Gimignani, del quale sono le tele laterali (Sacra famiglia e
Transito di S. Giuseppe) e la Gloria di S. Giuseppe nella volta (1695).
1ª: Crocifissione di Francesco Trevisani (1695), autore della Salita al
Calvario e della Flagellazione sulle pareti, e del Trionfo della Croce
sulla volta. In SAGRESTIA, Crocifissione (affresco del sec. XIII), Madonna
del latte (affresco del XV), Flagellazione (sec. XIV-XV), tutti dall’ex
monastero; inoltre, prezioso reliquiario della testa del Battista (sec.
XIV).

S. ANDREA DELLE FRATTE. Dall’angolo NE della piazza, quasi al


termine del prospetto del palazzo della Posta Centrale, si segue via
della Mercede, tracciata da Paolo V a inizi ’600, incontrando a sin. il
palazzo Bernini (Gian Lorenzo Bernini lo acquistò nel 1641; l’iscrizione
e il busto dell’artista dopo il portale al N. 12 sono di Ettore Ferrari,
1898), attribuito a Gaspare De Vecchi e Pier Paolo Drei.
Poco avanti la via si apre a d. in corrispondenza della chiesa di
*S. Andrea delle Fratte, nominata nel sec. XII «S. Andrea de hortis»
perché fuori dell’abitato, che costituisce, con il prossimo palazzo di
Propaganda Fide →, uno dei più intensi ‘nodi’ borrominiani della città.
Appartenuta nel Medioevo agli Scozzesi e donata nel 1585 da Sisto V
ai padri minimi di S. Francesco di Paola, fu ricostruita nel 1604-1612
da Gaspare Guerra (sua l’impostazione, in forme tardo-
cinquecentesche, della facciata, completata nell’ordine superiore da
Pasquale Belli nel 1826) per il marchese Paolo Del Bufalo, continuata
dal 1653 sino alla morte da Francesco Borromini (a lui si devono
l’abside, il tamburo della cupola e il campanile) e compiuta da Mattia
De Rossi (1691). L’intervento di Borromini si evidenzia soprattutto
all’esterno ed è in dinamica opposizione al tracciato stradale
ortogonale: accanto all’abside, semiellittica, si leva lo stupefacente
*CAMPANILE (visibile salendo a sin. della chiesa lungo via di Capo le
Case), a pianta quadrata con più ordini variati in assoluta libertà
creativa, culminante nel coronamento mistilineo coi sostegni
trasfigurati in erme-cherubini e infine con volute che sostengono le
insegne del santo (croce diagonale) e della famiglia committente
(bufalo) sormontate da una corona metallica a punta; la cupola,
incompiuta, è racchiusa in un tiburio a pianta quadrata con i lati
concavi: sugli angoli convessi le colonne binate determinano direttrici
diagonali.

L’INTERNO a navata unica – con volta a botte, tre cappelle per


lato, transetto e abside – è dominato dalla bellissima tribuna e
dall’altissima cupola, dipinta da Pasquale Marini (i pennacchi sono di
Francesco Cozza). Ai lati della porta, monumenti funebri di Livia del
Grillo (d.) e di Teresa d’Auria (sin.) di Francesco Queirolo (1752); a
sin., monumento del cardinale Carlo Leopoldo Calcagnini (m. 1746) di
Pietro Bracci. 1ª cappella d. (battistero): vasca marmorea con
tempietto in legno dipinto dal Borgognone (1674); sulla parete di
fondo, Battesimo di Cristo di Ludovico Gimignani. 3ª: monumento
funebre del cardinale Pierluigi Carafa del Bracci. Dopo la 4ª cappella si
accede al CHIOSTRO, dove sono lunette ad affresco (storie di S.
Francesco di Paola) del Cozza, del Marini e di Filippo Gherardi.
TRANSETTO DESTRO. Sull’altare, su disegno di Filippo Barigioni e ricco di
marmi e bronzi (1726-36), S. Francesco di Paola, pala di Paris Nogari;
angeli in stucco di G.B. Maini. PRESBITERIO. Nel catino absidale,
Moltiplicazione dei pani e dei pesci del Marini; dietro l’altare maggiore
Crocifissione di S. Andrea di G.B. Lenardi, Sepoltura di S. Andrea di
Francesco Trevisani e Morte di S. Andrea di Lazzaro Baldi, databili al
1691-1704; ai lati del presbiterio, *angeli marmorei di Gian Lorenzo
Bernini (1668-69). TRANSETTO SINISTRO. Altare su disegno di Luigi
Vanvitelli e di Giuseppe Valadier; S. Anna, S. Gioacchino e Maria
bambina, pala di Giuseppe Bottani; sotto la mensa dell’altare, statua
giacente di S. Anna del Maini. 3ª cappella sin. (rinnovata nel 1950 da
Marcello Piacentini): Madonna del Miracolo attribuita a Domenico
Bartolini. Cappellina di S. Francesco di Paola (1723): sull’altare, Il
santo in adorazione del Crocifisso di Giovanni Odazzi.

PALAZZO TONTI. Una breve deviazione a d. della chiesa per via di


S. Andrea delle Fratte conduce al largo che prende nome dal Collegio
Nazareno, tra i più noti d’Italia. L’istituto ha sede dal 1689 nel palazzo
Tonti (N. 25) iniziato a fine sec. XVI e donato da Michelangelo Tonti,
arcivescovo di Nazareth (da cui Nazareno), agli Scolopi per
trasformarlo in collegio per i giovani poveri; ampliato sui lati nel 1698-
1712, conserva ancora le caratteristiche originarie solo verso via del
Tritone. La facciata, di austere forme rinascimentali, ha portale
bugnato con balcone e finestre al piano terra con mensole ornate di
triglifi e teste leonine; il cortile, decorato di statue antiche, presenta
sul fondo un ninfeo; gli ambienti al piano terra conservano resti della
decorazione cinquecentesca, mentre al primo piano la galleria ospita
busti antichi, ritratti di cardinali (sec. XVIII-XIX), scene allegoriche ed
emblemi dei principi dell’Accademia degli Incolti.
Costeggiando il palazzo lungo via del Nazareno si possono
vedere, dietro un cancello, i resti monumentali in opus quadratum di
tre archi di travertino, in parte interrati, dell’Acqua Vergine (per
l’inquadramento →), che sono riferibili, come prova l’iscrizione
sull’attico, al restauro di Claudio del 46.

VERSO VIA SISTINA. Si sale, a sin. di S. Andrea delle Fratte, per via
di Capo le Case, così denominata perché posta fino ai primi del ’600 al
limite dell’abitato, incontrando via Due Macelli, dove (N. 9) è il palazzo
Chauvet (Giulio De Angelis, 1886), dall’originale soluzione dei negozi
svetrati e delle colonnine metalliche a piano terra. Proseguendo su via
di Capo le Case, si lascia a d. (numeri 2-5) il barocco palazzo Centini
poi Toni, detto Casa dei Pupazzi, dove ebbe lo studio Massimo
d’Azeglio; rinnovato nel 1722-42 per Felice Centini, presenta una
singolare facciata con finestre riccamente decorate e, al primo piano,
cariatidi e timpani mistilinei.
Intitolata a Francesco Crispi, la strada accoglie al N. 24 la
Galleria comunale d’Arte moderna e contemporanea, la cui
fondazione risale al 1883 e che è stata reinaugurata nel 1995 nel
seicentesco ex convento di S. Giuseppe; illustra attraverso 200 opere
c. momenti significativi dell’arte italiana dei sec. XIX-XX (t. 064742848;
www.comune.roma.it/galleriacomunale).
La sede di via Crispi ospita l’allestimento permanente delle opere
della collezione storica della Galleria, datate dall’Ottocento ai primi
decenni del Novecento. La collezione contemporanea, nella quale sono
rappresentate diverse generazioni di artisti (tra cui Turcato, Rotella,
Accardi, Dorazio, Attardi, Castellani, Mauri, Carrino, Tacchi, Lombardo,
Mambor, Fioroni, Lorenzetti, Cotani, Verna, Morales, Montessori,
Tirelli, Dessì, Asdrubali, Dompè, Zanazzo, D’Alonzo), già destinata a
esposizione permanente presso l’ex stabilimento della Birra Peroni,
dopo l’assegnazione di questo al Museo d’Arte contemporanea -
MACRO è in deposito in locali della fabbrica stessa.

LE OPERE DELLA GALLERIA. Dagli anni novanta del XX secolo è


ripresa la politica di acquisti dell’istituzione, orientata essenzialmente
alla produzione contemporanea, intensificatasi soprattutto in
occasione di importanti mostre presso la Galleria stessa, il Palazzo
delle Esposizioni e l’ex Mattatoio di Testaccio. Di particolare rilevanza
l’acquisto di oltre 105 opere esposte in occasione di «Arte
Contemporanea Lavori in corso» (1997-2000); numerosi artisti,
inoltre, hanno sostenuto questo impegno verso l’arte contemporanea
incrementando le collezioni con importanti donazioni, tra cui quella dei
bozzetti realizzati per «Arte Metro Roma», iniziativa che ha visto, a
partire dal 1996, il recupero delle stazioni della metropolitana
mediante la realizzazione di grandi pareti a mosaico progettate da
settanta artisti internazionali.
Nel portico al PIANO TERRENO, sculture in marmo e bronzo degli anni
’30 del ’900, tra cui Il seminatore di Ercole Drei, Ercole di Italo Griselli,
Prometeo di Guido Galletti. Al PRIMO PIANO sono: nella SALA A sculture di
Vincenzo Gemito, François-Auguste-René Rodin, Ettore Ximenes,
Nicola D’Antino, Amleto Cataldi e dipinti di area simbolista (Alla fonte
di Nino Costa; Le Vergini savie e le Vergini stolte di Giulio Aristide
Sartorio; Sic Transit di Adolf Hiremy Hirschl); nella SALA B Il lago di
Nemi e Veduta di Ninfa del Sartorio, Il Tevere a Castel Giubileo e
Roma sedente di Onorato Carlandi, Il lago di Nemi di Henry Coleman,
Il Tevere nei pressi di Roma di Dante Ricci; nella SALA C Il ritratto di
Ernesto Nathan e Il dubbio di Giacomo Balla, e i divisionisti Enrico
Lionne (Violette), Camillo Innocenti (La sultana), Arturo Noci (Le
arance). Al SECONDO PIANO, le due ali del PORTICO ospitano il Gruppo di
famiglia sotto gli archi di Armando Spadini, La famiglia sotto la pergola
di Felice Carena, opere del secondo Futurismo (il trittico Sensazioni di
volo di Tato, Polenta a fuoco vivo di Fortunato Depero, Velocità di
motoscafi di Benedetta), Donna con fiori e Nudo di donna di Adolfo De
Carolis, Ritratto di cinese di Primo Conti. Al TERZO PIANO nella SALA A,
Nature morte di Giorgio Morandi, Filippo De Pisis e Francesco
Trombadori; Il cardinal Decano, La via che porta a S. Pietro, Piazza Pia
e Castel S. Angelo di Scipione; Il Colosseo di Achille Funi; Figure di
Felice Casorati; La corrida di Enrico Prampolini. AL TERZO PIANO nella SALA
B, Combattimento di gladiatori di Giorgio De Chirico; Il giocatore di
ping pong e Giuochi di Giuseppe Capogrossi; La partita di calcio e Il
cancello rosso di Carlo Carrà; Bagnanti e Palestra di Fausto Pirandello;
Demolizioni di Mario Mafai; Giovani in riva al mare e Ritratto di Franco
Gentilini; il mosaico (Composizione) di Gino Severini; Autunno di
Alberto Savinio; Demolizioni di Afro Basaldella. Nella SALA C, Natura
morta e Composizione di Basaldella; Autoritratto di Renato Guttuso;
Nudino di Nino Franchina; Ninetta piccola di Ferruccio Ferrazzi; Natura
morta di Roberto Melli. L’ultima sala è quasi interamente dedicata a
Giulio Turcato, di cui la Galleria ha recentemente acquistato il Comizio
(1950), opera che ha esercitato una significativa influenza su artisti di
diverse tendenze.

VIA SISTINA, che si raggiunge per il tratto di sin. di via Crispi, è il


nome del tratto fra Trinità dei Monti e piazza Barberini del rettifilo
della strada Felice ideata da Sisto V per congiungere la stessa Trinità
dei Monti → con la basilica di S. Croce in Gerusalemme →.
Il tronco di d. annovera ai numeri 128-131 il teatro Sistina
(Marcello Piacentini, 1949-50) e poco avanti sulla d. la seicentesca
chiesa dei Ss. Ildefonso e Tommaso da Villanova, con facciata
(Francesco Ferrari) a due ordini con timpano curvilineo e nicchie
finemente intagliate e, all’interno, rilievo marmoreo (Natività) di
Francesco Grassia. Al termine si esce in piazza Barberini →.

2.4 IL RIONE CAMPO MARZIO

Data la funzione essenzialmente pubblica che il Campo Marzio


aveva avuto in età classica, il rione fu caratterizzato fino al XV secolo
da rare case lungo il tratto della Via Flaminia entro le mura Aureliane
e da complessi isolati (l’ospedale e la chiesa di S. Giacomo; la vasta
proprietà di S. Silvestro in Capite); con Niccolò V la zona si popolò, in
corrispondenza dell’attracco commerciale sul Tevere presso il
mausoleo di Augusto, di gruppi «nazionali» (Dalmati e Illirici) e sotto
Sisto IV, che valorizzò l’accesso alla città con la nuova porta del
Popolo, si arricchì di luoghi di assistenza per pellegrini e forestieri. Con
le lottizzazioni delle proprietà dell’ospedale di S. Giacomo (1509), ma
soprattutto con l’avvio della realizzazione del Tridente per volere di
Leone X, venne urbanizzata l’area tra via del Corso e il Tevere: le vie
di Ripetta (1517-19) e del Babuino (1525-43) crearono con il Corso
una struttura che pianificava secondo un reticolo di strade trasversali
e longitudinali il futuro sviluppo barocco del rione; la più importante
traversa (1544) fu la «via Trinitatis», asse fra il Tevere e le pendici del
Pincio, lungo la quale venne eretto, a fine Cinquecento, il palazzo
Borghese. Contemporaneamente furono costruite chiese e seminari
(S. Atanasio e il Collegio Greco), mentre nelle aree spopolate si
insediarono edifici (palazzi Gabrielli poi Mignanelli; Ferratini poi di
Propaganda Fide; villa Medici). Nel XVIII secolo si privilegiarono
percorsi trasversali legati a nuovi poli urbani: il porto di Ripetta (1703-
1704) e la scalinata della Trinità dei Monti (1723-26), che saliva verso
le zone di espansione previste dal piano sistino; dopo l’occupazione
francese, Giuseppe Valadier (1834) sistemò la passeggiata del Pincio,
primo parco pubblico della città.
La costruzione dei muraglioni del Tevere, che comportarono la
distruzione del porto di Ripetta, e soprattutto l’isolamento del
mausoleo di Augusto (1937-40), che ha cancellato un fitto e pregevole
tessuto urbano, hanno pesantemente modificato l’aspetto del rione,
che, pur mantenendo una grande rilevanza artistica, risulta oggi
alterato dagli incontrollati mutamenti d’uso tanto degli edifici
residenziali quanto delle antiche botteghe. Pianta dell’itinerario a
fronte.

VIA DI RIPETTA, che s’imbocca da piazza del Popolo → a d. della


chiesa di S. Maria dei Miracoli, si è sviluppata su un tracciato più
antico e fu sistemata (1517-19) sotto Leone X (via Leonina),
assumendo il nome attuale nel ’700 per la vicina ripa del Tevere; nel
fitto tessuto edilizio si segnalano al N. 46 l’ex Sala lancisiana, ora
camera mortuaria dell’ospedale di S. Giacomo (→; la facciata a due
ordini, simile a una chiesa, è di Francesco da Volterra, 1585), e, in
angolo con via Canova (dal celebre scultore che ebbe al N. 16 lo
studio), la chiesa di S. Maria Portae Paradisi già in Augusta,
ricostruita da Antonio da Sangallo il Giovane (1523), con originale
facciata su due ordini (sopra il portale, Madonna col Bambino di
Andrea Sansovino, 1509).
L’INTERNO DELLA CHIESA, attribuito a Giovanni Antonio De Rossi
(1645), è a pianta ottagonale; l’intera decorazione ad affresco e
stucchi (nella cupola, Vergine in gloria e angeli musicanti; nella volta
del presbiterio e delle cappelle laterali storie di S. Giacomo) è di Pietro
Paolo Naldini; gli affreschi (storie della Vergine) di Lorenzo Greuter.
Cappella destra: Madonna col Bambino e i Ss. Elisabetta e Giovannino,
altorilievo marmoreo del 1645. Altare maggiore: Gloria di angeli tra i
Ss. Giacomo e Antonio abate, gruppo marmoreo di Francesco
Brunetti; ai lati, in alto, *monumenti funebri di Matteo Caccia (Cosimo
Fancelli, 1645) e di Antonio di Burgos (Baldassarre Peruzzi, 1526).
Cappella sinistra: Gesù e i Ss. Giacomo, Giovanni evangelista e Maria
Salome, altorilievo marmoreo del Fancelli (1645).

PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE. Via di Ripetta, lasciata a d.


l’Accademia di Belle Arti di piatte forme neoclassiche (Pietro
Camporese il Giovane, 1845), detta «ferro di cavallo» per l’emiciclo
che raccorda le ali laterali (un atrio dà accesso alla passeggiata di
Ripetta: →), si apre poco oltre a sin. in questo vasto spazio,
sistemazione freddamente monumentale di Vittorio Ballio Morpurgo
(1937-40) conseguente alla liberazione dell’Augusteo che comportò la
cancellazione di un contesto di grande valore architettonico e
ambientale e l’isolamento delle chiese dei Ss. Ambrogio e Carlo al
Corso, di S. Rocco e di S. Girolamo degli Illirici (v. pianta); la piazza è
delimitata da enormi edifici, che evocano la tradizione classica nei
materiali e negli alti portici, e dall’abside dei Ss. Ambrogio e Carlo al
Corso →, preceduta dalle gigantesche statue di S. Carlo (Attilio Selva)
e di S. Ambrogio (Arturo Dazzi).

Al centro emerge il *mausoleo di Augusto, monumento


circolare (c. m 87 di diametro) ispirato alla tomba di Mausolo re di
Caria (donde il nome) e probabilmente anche a quella di Alessandro
Magno.

LA STORIA E LA STRUTTURA DELLA TOMBA. Iniziato da Augusto per sé


e i propri successori nel 27 a.C., cadde in rovina nella tarda antichità,
quando fu sfruttato come cava di materiali; fu poi trasformato in
vigna, giardino pensile, anfiteatro, politeama e infine in auditorium. Gli
scavi ebbero inizio nel sec. XVI, ma solo nel 1936-38 il monumento fu
completamente liberato.
Il mausoleo, alto 44 m, aveva un tumulo piantato a cipressi e
sormontato dalla statua bronzea dell’imperatore: l’ingresso, rivolto a
S, era fiancheggiato da due obelischi (uno trasportato da Sisto V nel
1587 all’Esquilino: →; l’altro collocato da Pio VI nel 1786 sulla fontana
di Monte Cavallo: →); a lato di questi, su due pilastri, erano affisse
tavole recanti l’autobiografia di Augusto. Del monumento, notevole
per l’uso sapiente di tecniche e materiali diversi nelle varie parti
dell’edificio (blocchi squadrati nei rivestimenti esterni e negli elementi
portanti, calcestruzzo nelle volte e nei nuclei murari, opus reticulatum
nel paramento degli ambienti non praticabili), rimane solo la parte
inferiore, dalla conformazione costruttiva particolarmente elaborata:
all’interno del muro perimetrale (alto c. m 12 e in origine rivestito di
travertino) era una serie di muri concentrici, che delimitavano
nicchioni e vasti ambienti funzionali alla parte superiore del
monumento. Al centro era un pilastro cilindrico, alto m 44, che
sorreggeva la statua dell’imperatore e all’interno del quale era ricavata
una cella quadrata per accogliere le spoglie di Augusto; nell’anello che
circondava il pilastro si disponevano le sepolture di Livia, Ottavia, dei
nipoti Marcello, Gaio e Lucio, di Agrippa, Tiberio e di altri membri della
famiglia giulio claudia, e infine di Nerva e di Giulia Domna moglie di
Settimio Severo.

L’*ARA PACIS AUGUSTAE, che è stata ricomposta entro un


padiglione vetrato su alto basamento a fianco del mausoleo, tra
questo e il lungotevere, è una delle più significative testimonianze
dell’arte augustea, votata nel 13 a.C. e dedicata nel 9 a.C. per
celebrare la pacificazione dopo le imprese di Gallia e di Spagna.

LA STORIA E LA STRUTTURA DEL MONUMENTO. Il manufatto fu ritrovato


in corrispondenza del palazzo Fiano → nel corso di scavi eseguiti dal
sec. XVI e proseguiti fino alle sistematiche campagne del 1937-38.
L’ara è costituita da un recinto rettangolare (m 11.65x10.62),
elevato su un podio e nei lati lunghi del quale si aprivano due porte,
cui si accedeva da una scala; all’interno, sopra una gradinata, era l’ara
vera e propria. Tutta la superficie del recinto presenta una
raffinatissima decorazione a rilievo. All’esterno, sopra il registro
inferiore con girali di acanto, sono nei lati lunghi, a lato delle porte, il
Lupercale ed Enea che sacrifica ai Penati e, sulla fronte opposta, la
Pace o Tellus e la dea Roma; sui lati brevi è raffigurata la processione
per il voto dell’ara: la scena più importante è quella sul fianco d., che
mostra personaggi della famiglia imperiale (Augusto, Agrippa, Giulia,
Tiberio ecc.). La superficie interna del recinto reca, nel registro
superiore, corone sorrette da bucrani e, nell’inferiore, profonde
scanalature verticali che forse simulano uno steccato. Sulla faccia del
basamento verso via di Ripetta è riprodotto il testo delle «Res Gestae
Divi Augusti» (il cosiddetto «monumentum Ancyranum», da «Ancyra»,
l’odierna Ankara dove è conservato il testo completo), racconto della
carriera politica dell’imperatore.
MUSEO DELL’ARA PACIS. La stuttura (t. 0682059127,
www.arapacis.it) ideata da Richard Meier per proteggere il
monumento antico, in sostituzione della teca messa in opera nel 1938,
è stata inaugurata nell’aprile 2006 dopo importanti restauri
conservativi, configurandosi anche come spazio per mostre ed eventi.
Gli spazi museali sono modulati sui contrasti di luce, che trovano
effetti particolarmente suggestivi nel padiglione centrale che ospita
l’Ara Pacis, dove la luce naturale filtra attraverso 500 m2 di cristalli.

S. ROCCO. Su via di Ripetta, subito dopo il mausoleo d’Augusto,


sorge, isolata a sin., la chiesa eretta nel 1499 dall’omonima
confraternita su quella precedente (sec. XI) di S. Martino e trasformata
(1645-80) in moderate forme barocche da Giovanni Antonio De Rossi;
la facciata (Giuseppe Valadier, 1834), esemplifica il neoclassicismo
della Restaurazione, che qui recupera la tipologia a frontoni
compenetrati tipica delle chiese veneziane di Palladio.

L’INTERNO a navata unica presenta tre cappelle per lato, transetto


e cupola semiellittica. Sopra l’ingresso, bella cantoria d’organo (1721).
1ª cappella d.: Estasi di S. Francesco di Paola di Antonio Amorosi
(1719). A destra del presbiterio si apre l’elegante cappella, a pianta
ellittica e cupoletta, della Madonna delle Grazie di Giovanni Antonio De
Rossi, dove si venera l’immagine della Madonna delle Grazie (sec.
XVII). Altare maggiore: S. Rocco e il Redentore di Giacinto Brandi
(1674). 3ª cappella sin.: S. Antonio di Padova di Gregorio Preti (c.
1650). 2ª: Presepe, affresco di Baldassarre Peruzzi. In sagrestia,
Madonna e i Ss. Rocco e Antonio abate e gli appestati del Baciccia (c.
1660).

S. GIROLAMO DEGLI ILLIRICI. Un cavalcavia moderno a doppio


fornice, con al centro la fontana della Botticella (1774) dal demolito
palazzo Valdambrini, collega la precedente a questa chiesa, detta
anche degli Schiavoni e ora dei Croati, che è dedicata al santo
connazionale dei profughi giunti a inizi sec. XV a Roma da quelle
regioni; eretta sotto Sisto IV sulla chiesa di S. Marina (sec. XII), fu
ricostruita da Martino Longhi il Vecchio (1588), autore anche della
facciata tardo-rinascimentale in travertino, a due ordini di lesene e
coronata da timpano, che ha perso lo slancio originale in seguito al
rialzamento, a fine ’800, della sede stradale.

L’INTERNO barocco è a navata unica con tre cappelle per lato,


finta cupola (gli affreschi sono di Andrea Lilio) e transetto. Nella volta,
Esaltazione della Croce, affresco di Pietro Gagliardi. 1ª cappella d.:
Annunciazione e santi di Michelangelo Cerruti (1718). 3ª: Madonna col
Bambino e S. Anna di Giuseppe Puglia (1631). Tribuna: episodi della
vita di S. Girolamo, affreschi di Antonio Viviani e del Lilio (1588); nella
volta, Gloria del santo di Paris Nogari (1588). 3ª cappella sin.: S.
Girolamo del Puglia (1632). 2ª: Pietà (1633) dello stesso. In sagrestia,
busto di Pio XII, bronzo di Ivan Mestrovic

VIA DEL CLEMENTINO. Oltre via Tomacelli (→; a d. è il ponte


Cavour, descritto →), via di Ripetta costeggia a sin. la «tastiera» di
palazzo Borghese →, incrociando avanti, ancora a sin., via del
Clementino, il cui nome deriva dal collegio fondato da Clemente VIII
nel 1593 e sostituito nel 1936 dall’ingombrante edificio in mattoni
prospiciente su piazza Nicosia (al centro del largo, fontana, già davanti
all’obelisco di piazza del Popolo e qui collocata nel 1950, con vasca di
Giacomo Della Porta e catino ornato dalle aquile Borghese).

VERSO IL MUSEO NAPOLEONICO. Via della Scrofa, prosecuzione di


via di Ripetta, prende nome dal bassorilievo murato sul fianco dell’ex
convento degli Agostiniani → e si caratterizza per edifici sei-
settecenteschi (il palazzo Galitzin al N. 117 è cinquecentesco; il
diagonale vicolo della Campana conduce alla chiesa di S. Ivo dei
Brettoni, concessa da Callisto III alla nazione francese della provincia
di Bretagna cui ancora appartiene e riedificata nel 1877 da Luca
Carimini). Da questa, voltando a d. in via dei Portoghesi, che
costeggia a sin. un fianco dell’ex convento degli Agostiniani, ci si
addentra nella zona più appartata del rione. Di fronte è il palazzo
Scapucci, nel quale è inclusa la quattrocentesca torre dei Frangipane
detta anche della Scimmia (sulla sommità arde, davanti a una
Madonna, una lampada che, secondo la leggenda, i padroni del
palazzo accesero per la salvezza della loro neonata portata lassù da
una scimmia). Sul lato opposto si apre l’animata facciata barocca, su
due ordini che fungono da supporto alla sovrabbondante decorazione
(le volute di raccordo si trasformano in telamoni e gli angeli,
asimmetrici, poggiano pesantemente sul timpano sopraffatto dai
panneggi), della chiesa di S. Antonio dei Portoghesi, riedificata da
Martino Longhi il Giovane (1630-38) su un luogo di culto del sec. XV e
in una zona dove era insediata una colonia di quella nazione.
Nell’interno, ornatissimo di marmi policromi, la cupola ribassata (1674-
76) è di Carlo Rainaldi, l’abside semiovale e l’altare maggiore sono di
Cristoforo Schor. 1ª cappella d.: alla parete d., monumento di
Alessandro de Souza di Antonio Canova (1808). 2ª: Battesimo di
Cristo di Giacinto Calandrucci, autore anche delle due lunette; sulla
parete sin., Circoncisione del Battista di Nicolas Lorrain (1682-86).
Braccio destro: S. Elisabetta regina del Portogallo di Luigi Agricola.
Altare maggiore: Apparizione della Vergine a S. Antonio del
Calandrucci. Braccio sinistro: monumenti Sampajo di Pietro Bracci
(1750). 2ª cappella sin.: Natività, Adorazione dei Magi (parete sin.) e
Riposo in Egitto (parete d.) del Lorrain. 1ª: Madonna col Bambino tra i
Ss. Antonio di Padova e Francesco, tavola a fondo oro di Antoniazzo
Romano.
Si continua nella via, popolata di negozi di antiquari e di artigiani,
che prende nome dall’albergo dell’Orso, aperto forse a fine sec. XV in
un palazzetto quattrocentesco e così chiamato da un frammento di
sarcofago con leone sbranante un cinghiale in angolo con via dei
Soldati; su tale strada si apre la caratteristica facciata con logge e
portici, ripristinata nel 1935-37 e adorna di pregiate decorazioni in
cotto.
Per una scaletta moderna si sale a piazza di Ponte Umberto I
(l’omonimo passaggio sul Tevere è →), dove prospetta il
monumentale palazzo Primoli, costruito nel ’500 e trasformato per
Giuseppe Primoli da Raffaele Ojetti che aggiunse nel 1909 la nuova
facciata sul lungotevere; alcuni ambienti conservano ancora i soffitti
del ’700 a travetti dipinti, mentre i fregi che corrono lungo le pareti
delle sale VIII, IX e X risalgono ai primi dell’800 (la decorazione delle
sale II e V, come indicano il leone rampante dei Primoli e l’aquila dei
Bonaparte, è posteriore al 1848).
Il Museo Napoleonico (t. 0668806286;
www.comune.roma.it/museonapoleonico), che qui ha sede assieme
alla Fondazione Primoli e al Museo Mario Praz (v. sotto), fu donato nel
1927 alla città dal conte Giuseppe, figlio di Pietro Primoli e di Carlotta
Bonaparte; disposto al piano terreno del palazzo, raccoglie opere
d’arte, memorie, cimeli e suppellettili legati alle vicende dei Bonaparte
e documenta tre distinti momenti della storia della famiglia: il periodo
napoleonico vero e proprio, quello romano che seguì la caduta di
Napoleone e il Secondo Impero. L’attuale ordinamento dei materiali
rispecchia nelle linee generali le indicazioni lasciate dal donatore,
proprio per conservare una testimonianza del gusto dell’epoca; ricchi
arredi si accompagnano a busti e ritratti dei maggiori esponenti della
famiglia: notevoli, nella SALA I, i ritratti di Napoleone (Joseph
Chabord), di Elisa Bonaparte Baciocchi con la figlia Napoleona Elisa di
François Gérard, dell’imperatrice Giuseppina e di Letizia Ramolino
Bonaparte di Robert Lefèvre; il ritratto di Luciano Bonaparte di
François-Xavier Fabre (SALA II). Si segnalano inoltre il busto di Paolina
di Antonio Canova (1805-1807; SALA VI), i ritratti di Zenaide e Carlotta
Bonaparte di Jacques-Louis David (SALA X) e quello di Carlotta
Bonaparte Gabrielli in veste da contadina di Jean-Baptiste Wicar (SALA
XI). Acquerelli, disegni (particolari quelli satirici e caricaturali della SALA
VIII), raffinate oreficerie e miniature completano la collezione. Alla
Fondazione Primoli è annessa l’omonima biblioteca, ricca di oltre
30000 volumi di storia, letteratura e arte francese e di una preziosa
raccolta di fotografie di fine ’800.
Il Museo Mario Praz (t. 066861089;
www.gnam.arti.beniculturali.it), una delle rare case-museo in Italia,
accoglie la collezione di arredi e opere d’arte (1200 pezzi) del sec. XIX
riunita dal celebre anglista, critico e saggista romano per documentare
fedelmente una dimora ottocentesca e acquistata dallo Stato nel 1986.
La dimora risulta composta di tre AMBIENTI DI PARATA, preceduti da
un piccolo INGRESSO, che affacciano su via Zanardelli; da una GALLERIA
tutta giocata sui toni del bianco e dell’oro; da uno STUDIO che accoglie
tra l’altro la collezione di ritratti a cera (sec. XVII-XIX); da una CAMERA DA
LETTO decorata da grandi «papier peint» di fine XVIII; la STANZA DELLE
BIBLIOTECHE; una SECONDA CAMERA DA LETTO che ospita mobili in miniatura
e giocattoli dell’800; una CAMERA DA PRANZO rosso pompeiano; una
STANZA DI PASSAGGIO. Se si eccettua una testa attribuita ad Antonio
Canova, mancano realizzazioni di artisti celebri, ma sono presenti in
gran numero opere eccellenti di artisti meno noti italiani, francesi,
svizzeri, austriaci, inglesi e tedeschi (Giuseppe Borsato, Carlo Labruzzi,
François-Xavier Fabre, Achille Etnà Michallon, Jacques Sablet, Edward
Henry Whenert, William Dunkel, Johann Philip Hackert), mentre mobili
e arredi appartengono a diverse manifatture europee. A rotazione
sono invece esposti gli oltre 400 fogli tra acquerelli, incisioni e disegni.

*PALAZZO BORGHESE. Da via di Ripetta la visita prosegue a sin. per


via del Clementino (sullo sfondo è la scalinata della Trinità dei Monti:
→), che, superato a d. un fianco di palazzo Cardelli (sulla retrostante
omonima piazza prospetta la facciata di Francesco da Volterra, 1592),
sbocca in piazza Borghese, caratteristica per la presenza di bancarelle
con stampe e libri antichi. Le dà nome l’omonimo palazzo, costruito
forse su disegno del Vignola e completato per il cardinale Camillo
Borghese da Flaminio Ponzio nel 1605-1614; detto il «cembalo» per
l’inconsueta pianta, è uno dei più imponenti di Roma: è a tre piani e
due ammezzati, con due portali sovrastati da balconi e ricchi stemmi.
Sulla vicina via di Ripetta prospetta la famosa «TASTIERA» (1612-14) del
Ponzio, con due balconate: la prima (ora chiusa) con ballatoio sorretto
da pilastri e colonne ai lati di un portale (Carlo Rainaldi, 1671-75), la
seconda su mensoloni; al di sopra sono due ordini di triplici arcate tra
lesene.

L’INTERNO. Dall’androne su largo della Fontanella di Borghese,


dove affaccia il fianco SE del palazzo, si può scorgere il maestoso
CORTILE con due ordini di arcate su colonne binate, decorato da statue
antiche; sul fondo è il bagno di Venere, vasto ninfeo, ornato di statue
e magnifiche fontane barocche addossate al muro di cinta del
giardino, di Giovanni Paolo Schor e Carlo Rainaldi. Le sale (non
visitabili) della galleria d’arte, trasferita dal 1891 nel casino Borghese
→, conservano decorazioni affrescate di Giovanni Francesco Grimaldi,
Ciro Ferri, Domenico Corvi e Paolo Piazza.

I ‘DINTORNI’ DI PIAZZA BORGHESE. Dal lato S della stessa si diparte


l’angusto vicolo del Divino Amore, lungo il quale si apre a sin. la
modesta facciata, a due ordini di lesene, della chiesa dei Ss. Cecilia e
Biagio o del Divino Amore, eretta sui resti di una costruzione del sec.
II (creduta la casa paterna della santa e a lei dedicata nel 1131) e
ricostruita da Filippo Raguzzini (1729; il campanile intonacato risale al
sec. XII) sotto Benedetto XIII; l’interno, ad aula rettangolare con volta
a botte, fu affrescato da Filippo Prosperi (1874): sull’altare maggiore,
Vergine col Bambino attribuita a Vincenzo Camuccini; in sagrestia,
affresco con i Ss. Cecilia e Valeriano incoronati da un angelo (prima
metà sec. XV).
Al termine del vicolo, percorrendo il breve tratto di d. di via dei
Prefetti si esce nella pittoresca piazza che prende nome dal maestoso
palazzo di Firenze (N. 27), costruito per Jacopo Cardelli nel 1516-
30, ristrutturato da Giulio III e divenuto nel 1561 proprietà dei
banchieri fiorentini Medici (da cui il nome attuale). Sull’armonioso
CORTILE con portico ad arcate su tre lati affaccia il manieristico
*PROSPETTO interno in laterizi, tripartito su due ordini di lesene con
portale a serliana soprastante, opera di Bartolomeo Ammannati, che
fu autore anche del fronte verso il giardino. La LOGGIA verso lo spazio
verde, detta atrio del Primaticcio e visitabile rivolgendosi alla Società
Dante Alighieri che nel palazzo ha sede dal 1926, ha una decorazione
ad affreschi e stucchi di Prospero Fontana (1553-55); nel CAMERINO,
volta affrescata con Allegoria dei Continenti dallo stesso (sue le Scene
allegoriche della SALA DEL GRANDUCA), mentre di Jacopo Zucchi (1574)
sono gli affreschi della volta della SALA DELLE STAGIONI e della SALA DEGLI
ELEMENTI.
Seguendo invece il tratto di sin. di via dei Prefetti si raggiunge la
chiesa di S. Nicola ai Prefetti, inserita tra le ali dell’ex convento
domenicano; riedificata nel 1729 sotto Benedetto XIII, conserva la
facciata del 1674 a un solo ordine di lesene su alti plinti, timpano
spezzato e medaglione con l’immagine di Pio V. Nell’armonioso interno
a navata unica, Gloria di S. Nicola, affresco di Giacomo Triga (1724-
30).

VIA DEI CONDOTTI. Contermine a piazza Borghese è largo della


Fontanella di Borghese, dal quale la via omonima si snoda tra nobili
edifici (quello in angolo con via del Corso è palazzo Ruspoli: →) fino a
largo Goldoni, punto d’inizio di via dei Condotti, così chiamata
perché vi passavano i condotti dell’Acqua Vergine (per
l’inquadramento →). Subito a d. è la chiesa della SS. Trinità degli
Spagnoli, edificata con l’annesso convento nel 1741-46 da Emanuel
Rodriguez de Santos; la facciata concava, dai morbidi effetti
chiaroscurali, ha un doppio ordine di colonne e lesene, è coronata da
un doppio timpano (triangolare e curvo) ed è decorata da statue.

L’INTERNO, di derivazione berniniana, è a pianta ellittica con tre


cappelle per parte intercomunicanti. Nella volta, S. Giovanni de Matha
in gloria, affresco di Gregorio Guglielmi (1748). 1ª cappella d.: Martirio
di S. Caterina d’Alessandria di Giuseppe Paladini (1750). 2ª: Ss.
Giovanni de Matha e Felice di Valois di Andrea Casali (1776). 3ª:
Addolorata del Casali. Cappella maggiore: SS. Trinità di Corrado
Giaquinto; alle pareti, Innocenzo III riconosce l’ordine dei Trinitari e I
due fondatori dell’ordine, tele di Antonio Velázquez, autore anche
degli affreschi della calotta absidale e della cupola. 3ª cappella sin.:
Immacolata di Francisco Preciado (1750). 2ª: S. Giovanni de Matha,
pala di Gaetano Lapis. 1ª: Martirio di S. Agnese di Marco Benefial
(1750); le storie della santa ai lati sono del Casali.
Pregevoli tele del Preciado e del Velázquez sono nel vicino
convento, insieme a una tavola (Ascensione di Cristo, 1548) di ignoto
spagnolo.

LA QUINTA ARCHITETTONICA DI VIA DEI CONDOTTI, animata ed


elegante per i negozi di fama internazionale (al pari delle traverse via
Belsiana, via Bocca di Leone e via di Mario de’ Fiori) e affollata a ogni
ora del giorno da turisti di tutto il mondo, è costituita da dimore
nobiliari sei-settecentesche che le conferiscono un aspetto
aristocratico; sull’angolo con via Bocca di Leone, al N. 68, il palazzo
del Gran Magistero dell’Ordine di Malta, iniziato nel ’600 e
sopraelevato nell’800; al N. 20, il palazzo Nuñez Torlonia (Giovanni
Antonio De Rossi, 1658-60), ampliato da Antonio Sarti nel 1842.
Lasciato al N. 86 il caffè Greco (dal levantino che lo aprì nel 1760),
che fu frequentato da artisti e letterati e che conserva quadri, opere
d’arte e arredi dell’epoca, si esce in *piazza di Spagna, tra le più
famose del mondo e tra le più monumentali di Roma, la cui fisionomia
si venne lentamente configurando tra fine ’400 e fine ’800.

LA STORIA. Disposta sull’asse via del Babuino-via Due Macelli e a


fondale della «via Trinitatis», fino al sec. XVII fu chiamata «platea
Trinitatis» dalla chiesa che la domina, poi fu detta piazza di Spagna la
parte davanti alla residenza dell’ambasciatore di quella nazione,
mentre la sezione verso il Babuino fu denominata piazza di Francia.
Polo d’interesse delle due potenze straniere, dal sec. XVI rappresentò il
centro culturale e turistico della città papale, attirando artisti e
letterati: vi sorsero alberghi, locande ed edifici residenziali
originariamente a due piani, e nell’800 si popolò di antiquari e
fotografi.
La piazza, che mantiene sostanzialmente l’aspetto sei-
settecentesco nonostante le sopraelevazioni otto-novecentesche,
presenta la caratteristica forma ‘a farfalla’, con due triangoli aventi il
vertice in comune.
LA *FONTANA DELLA BARCACCIA, al centro della piazza e ai piedi
della scalinata, fu costruita in ricordo dell’alluvione del Tevere del
1598; commissionata da Urbano VIII (il sole e le api sono i simboli dei
Barberini) nel 1629 a Pietro Bernini coadiuvato dal figlio Gian Lorenzo,
rappresenta una barca simmetrica semisommersa e leggermente sotto
il livello del terreno, invenzione che dissimulò il problema tecnico della
scarsa pressione dell’acqua.
LA *SCALINATA DELLA TRINITÀ DEI MONTI, che dalla piazza si
innalza, è tra le più grandiose scenografie urbane dell’epoca barocca,
realizzata per Innocenzo XIII da Francesco De Sanctis nel 1723-26
dando definitiva sistemazione al forte dislivello tra la piazza e la
chiesa. L’imponente scenario architettonico, che sostituì i sentieri
alberati inerpicantisi per il colle pinciano, è tripartito e articolato da
una successione di rampe che si dividono in branche o si congiungono
in scale secondo un sinuoso andamento mistilineo; ai piedi della
scalinata, che in primavera viene ornata di azalee, cippi con i gigli di
Francia (Luigi XV) si alternano alle aquile di Innocenzo XIII.
I coevi edifici ai lati, pure del De Sanctis, fungono da ‘quinte’
architettoniche: a d. (N. 26) è la Casina Rossa, ove visse e morì nel
1821 John Keats; da inizi ’900 è sede della Fondazione Keats-Shelley
Memorial (t. 066784235; www.keats-shelley-house.org) con annessa
biblioteca. L’edificio simmetrico (numeri 22-25) ospita il famoso
Babington’s, la prima sala da tè romana.
IL ‘TRIANGOLO’ SE DI PIAZZA DI SPAGNA è ornato al centro dalla
colonna dell’Immacolata Concezione, rinvenuta nel 1777 nel
monastero di S. Maria della Concezione in Campo Marzio e qui
innalzata da Luigi Poletti nel 1856 a ricordo del dogma proclamato da
Pio IX: la colonna, di cipollino venato, sorregge la statua bronzea della
Vergine (Giuseppe Obici) e poggia su un basamento ottagonale ornato
dalle statue dei profeti Mosè, Isaia, Ezechiele e David di Ignazio
Jacometti, Salvatore Revelli, Carlo Chelli e Adamo Tadolini; sulle facce
del basamento, quattro bassorilievi di Nicola Cantalamessa Papotti,
Giovanni Maria Benzoni e Pietro Galli.
L’isolato trapezoidale al N. 48 è quello del *palazzo di
Propaganda Fide, che è la sede della congregazione omonima
istituita da Gregorio XV nel 1622.
LA STORIA. Il nucleo originario è costituito dall’edificio eretto per
monsignor Bartolomeo Ferratini (1586) e donato nel 1626 alla
congregazione, che vi si trasferì nel 1633; nel 1639-45 Gaspare De
Vecchi costruì per gli alunnati del cardinale Antonio Barberini l’ala su
via Due Macelli; nel 1644 Gian Lorenzo Bernini modificò la semplice
facciata sulla piazza, tutta in cotto, riquadrata da lesene e fasce
orizzontali in travertino e stretta da contrafforti angolari bugnati.
Francesco Borromini, subentrato come architetto della congregazione
nel 1646, realizzò l’ala sulle vie di Propaganda e di Capo le Case; il
*prospetto su via di Propaganda è una delle sue più ardite creazioni
per il vibrante corpo centrale, modulato da elementi curvilinei: il ritmo
serrato dell’ordine gigante di lesene, tra cui s’incastrano finestre
concave di complessa struttura, culmina sull’asse centrale, anch’esso
concavo, in contrasto con il coronamento del finestrone convesso.
L’edificio ingloba la chiesa dei Re Magi, costruita da Borromini nel
1660-66 in sostituzione di quella ovale di Bernini (1634). L’impianto,
riportato alla purezza borrominiana nel 1955, è un rettangolo con
angoli arrotondati, serrato in un’intelaiatura che dalle lesene prosegue
sulla volta con costoloni intrecciati; tra le lesene risaltano i vani
decorati delle cappelle intercomunicanti. La decorazione a stucchi è su
disegno di Borromini (1666); alle cappelle si alternano nicchie con
busti. 1ª cappella d.: Conversione di S. Paolo di Carlo Pellegrini
(1635). 2ª: Madonna col Bambino e santi di Carlo Cesi. Altare
maggiore: Adorazione dei Magi di Giacinto Gimignani (1634) e, più in
alto, Missione degli apostoli di Lazzaro Baldi. 2ª cappella sin.:
Crocifissione di Ludovico Gimignani. 1ª: Chiamata degli apostoli di
Andrea Camassei (1635).

La quinta del ‘triangolo’ è completata dal palazzo di Spagna già


Monaldeschi (N. 57), sede dal 1647 dell’ambasciata di Spagna presso
la Santa Sede, che fu trasformato nel 1647-55 da Antonio Del Grande
e nel 1815; la ricca decorazione interna risale ai sec. XVII-XVIII (notevoli
*L’anima dannata e L’anima beata di Gian Lorenzo Bernini, 1620).
Opposta all’edificio si apre la piazza cui fa da sfondo e che prende
nome dal palazzo Mignanelli, già Gabrielli (N. 22), con sobria facciata
cinquecentesca (completata da Andrea Busiri Vici nel 1887).

CASA - MUSEO GIORGIO DE CHIRICO. Al N. 31 di piazza di Spagna,


nel secentesco palazzetto dei Borgognoni dove il maestro soggiornò e
lavorò dal 1948 alla morte (1978), è stato allestito un museo (t.
066796546, www.fondazionedechirico.it) che espone dipinti (Ritratto
di Isa con manto giallo, Autoritratto in giardino), terrecotte e calchi in
gesso nonché colori, pennelli, tavolozze autografate e il camice del
pittore.
VIA DEL BABUINO. Dal ‘triangolo’ NO di piazza di Spagna, occupato
da edifici settecenteschi quasi tutti sopraelevati nell’800, si prende
questa strada (il nome è quello della statua di sileno oggi a lato della
chiesa di S. Atanasio: v. sotto), tracciata da Clemente VII nel 1525 e
completata da Paolo III nel 1543 (via Paolina Trifaria); è ancora
considerata la via dell’antiquariato per le botteghe e gallerie d’arte
sopravvissute alle incontrollate trasformazioni d’uso.

VIA MARGUTTA, parallela alla precedente, deriverebbe il nome


dallo scudiero di Morgante, Margutte: celebre per l’avvicendarsi di
artisti italiani e stranieri fin dal ’600 e per l’annuale fiera, è una delle
più pittoresche di Roma, ancora animata da studi che con ampi
finestroni affacciano sui cortili e sui giardini digradanti sotto le pendici
del Pincio; addossata al N. 54A è la graziosa fontana degli Artisti
(Pietro Lombardi, 1927).

LUNGO VIA DEL BABUINO. A sinistra di questa si stacca l’elegante


via Vittoria, dove, nell’ex chiesa dei Ss. Giuseppe e Orsola fondata nel
sec. XVII con l’annesso monastero delle Orsoline e restaurata da Pietro
Camporese il Vecchio nel 1779, è dal 1935 il teatro dell’Accademia
nazionale d’Arte drammatica; il monastero è sede dell’Accademia
nazionale di S. Cecilia, uno dei più noti conservatorî del mondo (al N.
18 della parallela via dei Greci è la Biblioteca musicale governativa del
Conservatorio di S. Cecilia, che riunisce 300000 tra spartiti e partiture,
30000 libretti d’opera e 10000 manoscritti, alcuni autografi).
Proseguendo lungo via del Babuino si raggiunge, oltre via dei
Greci (dal Collegio Greco fondato da Gregorio XIII nel 1576), la
fontana del Babuino (una delle ‘statue parlanti’: per l’inquadramento
→), inserita nel 1738 dai Boncompagni Ludovisi in un’incorniciatura
rustica con due delfini soprastanti e qui posta, assieme al sileno da cui
la via prende nome, nel 1957. Subito oltre è la chiesa, cattolica di rito
greco, di S. Atanasio, eretta da Giacomo Della Porta nel 1580-83 per
volere di Clemente XIII; la facciata, serrata da due campanili con
ordini di lesene e cupoletta a cuspide, è in laterizio a due ordini di
paraste con portale a timpano e nicchie laterali: nell’ordine superiore è
un elegante finestrone fiancheggiato da lastre marmoree con iscrizioni
in latino e greco.

IL SUGGESTIVO E INCONSUETO INTERNO, dove un’aula con profonde


cappelle laterali s’innesta a un corpo terminale a tricora determinando
un impianto a croce latina molto complesso, presenta la navata
conclusa da iconostasi lignea, che sostituisce quella cinquecentesca,
su disegno di Andrea Busiri Vici (1876). Nella cappella d.,
Annunciazione di Francesco Trabaldesi (1584); nell’abside d.,
Assunzione di Maria attribuita al Cavalier d’Arpino. Nell’abside sin.,
Crocifissione del d’Arpino; nell’ultima cappella sin., Gesù tra i dottori
del Trabaldesi e decorazione a stucco di fine sec. XVI.

LA CHIESA EVANGELICA INGLESE DI OGNISSANTI (All Saints), uno dei


più interessanti esempi di «gothic revival» a Roma, che si erge poco
avanti fu realizzata nel 1882-87 su progetto di George Edmund Street
con l’intento di valorizzare i materiali tradizionali e il lavoro artigiano;
l’esterno è in mattoni rossi di Siena, che contrastano con le
ornamentazioni in travertino, mentre l’interno, in pietra rosata di Arles
e marmi colorati, è a tre navate con copertura lignea sorretta da
arconi a sesto acuto e archi rampanti.
Caratterizzano il tratto terminale di via del Babuino: il palazzo
Boncompagni Cerasi (N. 51), con portale ornato di mascheroni, draghi
e mensole sostenenti il balcone; le originali decorazioni in facciata e le
nicchie con busti di imperatori di palazzo Sterbini (numeri 41-38),
modificato nel 1887-88 da Virginio Vespignani; l’ex hotel de Russie (N.
9; 1819-22), uno dei più famosi della zona.
LA PASSEGGIATA DEL PINCIO, che si diparte sulla d. di piazza del
Popolo →, fu prevista, nel piano degli abbellimenti della città (1811),
come opera di carattere sociale secondo le concezioni della Francia
post-rivoluzionaria; realizzata da Giuseppe Valadier (1834) con
gradinate, prospettive architettoniche e nicchie con statue allegoriche
di ispirazione classica, sale fino a piazzale Napoleone I e fa da ampio
fondale alla piazza sottostante. Imboccato viale D’Annunzio, s’incontra
la PRIMA PROSPETTIVA: Igea con ai lati il Genio della Pace di Alessandro
Massimiliano Laboureur e il Genio delle Arti di Filippo Gnaccarini (le
due colonne rostrate di granito grigio, con trofei, provengono dal
tempio di Venere e Roma); la salita di d. porta alla SECONDA PROSPETTIVA,
con la Fama che corona i Geni delle Arti e del Commercio di Achille
Stocchi e Felice Baini (1831), e, dopo il successivo tornante,
all’imponente LOGGIA COPERTA a tre arcate, con mostra d’acqua centrale:
ai lati, due gradinate portano alla LOGGIA PANORAMICA (1832-34). Al
termine della salita converge da sin. viale Mickiewicz (sul muraglione,
lapide in ricordo di Pio VII che completò la passeggiata).

LUNGO VIALE MICKIEWICZ si passa sotto la casina Valadier, così


denominata dall’architetto che rielaborò (1813-17) in stile neoclassico
il precedente casino Della Rota, eretto su una cisterna romana degli
«horti Aciliani»; fu adibita a caffè secondo il gusto del giardino di
paesaggio settecentesco, e durante il restauro del 1966 vi sono state
rimesse in luce, all’interno, decorazioni murali di gusto neoclassico.
Sulla destra dell’edificio, busto dell’astronomo Angelo Secchi, con
forellino che inquadra l’osservatorio astronomico del Collegio Romano;
alle spalle del busto, fontana dell’Anfora, con esile fanciulla in bronzo
(Amleto Cataldi, 1912).
Al termine di viale Mickiewicz si diparte verso NE viale
dell’Obelisco, tracciato portante del giardino (gli assi alberati sono
ornati di busti di Italiani illustri) e strada di collegamento verso villa
Borghese →: su piazza Bucarest svetta l’obelisco, dedicato da Adriano
al favorito Antinoo, rinvenuto presso la basilica di S. Croce in
Gerusalemme nel sec. XVI e qui eretto nel 1822 da Giuseppe Marini
per volere di Pio VII. Si piega a sin. in viale dell’Orologio, così
denominato dall’orologio ad acqua eretto da G.B. Embriaco (1867), e,
lasciato alle spalle dell’orologio il viale che conduce alla fontana del
Mosè salvato dalle acque (1868), si percorre verso sin. viale Valadier
(alla testata d. del percorso, monumento a Enrico Toti di Arturo
Dazzi), impostato su antiche sostruzioni e su un tratto di mura
Aureliane, raggiungendo piazzale Napoleone I (dalla terrazza,
splendido *panorama).

*VILLA MEDICI. Dal termine della passeggiata del Pincio si


continua per viale della Trinità dei Monti, dove, subito sulla d., è il
monumento ai fratelli Cairoli (Ercole Rosa, 1883), di forte linguaggio
verista. Avanti si individua il prospetto turrito della residenza
cinquecentesca, la più ‘panoramica’ tra quelle patrizie entro le mura.
Un precedente edificio dei Crescenzi fu completamente trasformato
nel 1564-75 da Nanni di Baccio Bigio e Annibale Lippi per il cardinale
Giovanni Ricci da Montepulciano; il cardinale Ferdinando de’ Medici,
che l’acquistò nel 1576, l’abbellì e l’ampliò sul lato d. con la galleria
delle statue. Dal 1804 è sede dell’Accademia di Francia, fondata nel
1666 da Luigi XIV per consentire ai giovani artisti francesi di
perfezionarsi a Roma, e ospita una biblioteca con oltre 25000 volumi
d’arte, architettura e musica.

L’INTERNO. L’austera facciata contrasta con il prospetto ricco e


fastoso verso il giardino, che presenta due avancorpi laterali con
torrette e altane e un corpo mediano porticato, attribuito a
Bartolomeo Ammannati, con serliana centrale; esso è splendidamente
decorato con stucchi, festoni (alcuni provenienti dall’Ara Pacis
Augustae), bassorilievi e statue secondo il gusto antiquario del tardo
’500. Ai lati dell’arcata sono due leoni, uno di arte romana e l’altro di
Flaminio Vacca; di fronte, fontanina con copia ottocentesca del
Mercurio del Giambologna.
Il magnifico e vasto GIARDINO mantiene intatto il tracciato
originario; la particolare conformazione dell’area suggerì una
sistemazione con un viale parallelo al palazzo e con un’ulteriore
suddivisione in tre parti: aiuole di fronte all’edificio, un «pomarium»
con viali rettilinei e siepi verso N, un bosco con il Monte Parnaso (sui
ruderi del tempio della Fortuna) verso sud.
Sul piazzale prospiciente villa Medici è la graziosa fontana a tazza
di Annibale Lippi (1587), dove da una palla di cannone, posta in luogo
dell’originario giglio mediceo e che la fantasia popolare vuole sia stata
esplosa da Castel S. Angelo da Cristina di Svezia, zampilla l’acqua
dell’acquedotto Felice (per l’inquadramento →).

PIAZZA DELLA TRINITà DE’ MONTI. Costeggiati il muro del parco


della villa e il convento e l’istituto del Sacro Cuore, che sorge sui resti
della villa di Lucullo (i retrostanti «horti Luculliani» sono occupati da
villa Malta), si perviene in questo spazio, aperto sulla città, da dove
svetta, alla sommità della scalinata →, l’Obelisco Sallustiano,
proveniente dagli omonimi «horti» e qui eretto da Giovanni Antinori
per volontà di Pio VI nel 1789: i geroglifici sono un’imitazione romana
di quelli dell’Obelisco Flaminio.
In posizione dominante è posta anche la chiesa della Trinità dei
Monti, uno dei templi francesi a Roma, iniziata con il convento nel
1502 da Luigi XII, consacrata nel 1585 da Sisto V (agli anni 1564-67
risale la sottostante via) e restaurata nel 1816 per Luigi XVIII da Carlo
Francesco Mazois; una scalinata a doppia rampa (Domenico Fontana,
1587), che è ornata di capitelli antichi e bassorilievi, precede la
facciata, terminata nel 1584 su progetto forse di Giacomo Della Porta
(caratteristici i campanili ai lati), a ordine unico di lesene con portale e
colonne e attico con finestra termale al centro.

L’INTERNO a navata unica, con cappelle laterali la cui decorazione


ad affresco secondo i modi della pittura di derivazione
michelangiolesca è fra le più interessanti di Roma, è diviso da una
cancellata (normalmente chiusa) in corrispondenza della 3ª cappella;
modificato in forme settecentesche nel 1774, conserva elementi della
primitiva architettura tardo-gotica nell’arco trionfale, nel presbiterio e
nel transetto. 1ª cappella d.: Battesimo di Cristo e, ai lati, scene della
vita di S. Giovanni Battista di G.B. Naldini. 3ª (Della Rovere):
decorazioni ad affresco di Daniele da Volterra e aiuti; sulla parete di
fondo, Assunzione del da Volterra; ai lati, Presentazione al tempio e
Strage degli Innocenti di Michele Alberti. 4ª (Orsini): scene della
Passione, affreschi di Paris Nogari. 6ª: decorazione ad affresco di
scuola umbra. Altare maggiore (1676): alla parete di fondo,
Crocifissione di Cesare Nebbia. 7ª cappella sin. (Pucci): storie del
Vecchio e Nuovo Testamento di Perin del Vaga. 5ª (Massimo):
decorazione iniziata dal del Vaga (1537) e terminata (1563-89) da
Taddeo e Federico Zuccari (Eterno col Cristo morto, Assunta, Augusto
e la Sibilla). 2ª: *Deposizione del da Volterra; gli altri affreschi sono di
Paolo Céspedes e Cesare Arbasia (1571-77). 1ª: storie della Passione,
decorazione ad affresco del Nebbia. Nell’antisagrestia, Incoronazione
della Vergine, Annunciazione e Visitazione di Taddeo Zuccari.
Il CHIOSTRO accoglie lunette ad affresco (storie di S. Francesco di
Paola) del Cavalier d’Arpino, del Nogari, del Pomarancio, di Girolamo
Massei, Giacomo Semanza e Marco da Faenza, mentre nel 1616
Avanzino Nucci e altri dipinsero i ritratti dei Re di Francia; nel
REFETTORIO, *quadratura architettonica di Andrea Pozzo (1694).

IL *PALAZZETTO ZUCCARI occupa, a d. della chiesa, la testata tra le


vie Sistina → e Gregoriana, aperta nel 1576 per collegare piazza di
Spagna col Pincio. Fu eretto nel 1592 da Federico Zuccari su proprio
disegno per ospitare un’accademia di pittura (al N. 30 di via
Gregoriana, portale e finestre a guisa di bocche infernali) e da lui
decorato all’interno con l’aiuto del fratello Taddeo; il portico,
modificato nella copertura, fu progettato forse da Filippo Juvarra
(1711). L’edificio, con l’adiacente (N. 32) palazzo Stroganoff di forme
neocinquecentesche, è sede della Biblioteca Hertziana, fondata da
Enrichetta Hertz nel 1900 e specializzata in storia dell’arte italiana
medievale e moderna (oltre 170000 volumi).
2.5 IL «QUARTIERE DEL RINASCIMENTO»

Le propaggini sud-occidentali del Campo Marzio, in antico


paludose e interessate da fenomeni di vulcanismo secondario, furono
sede degli arsenali (i «navalia» erano collocati presso la moderna
piazza S. Vincenzo Pallotti), mentre l’area più settentrionale era in
parte occupata dal campo di Marte, destinato alle esercitazioni militari.
Alle prime edificazioni, risalenti al II-I secolo a.C. (il livello del terreno
di età repubblicana è posto 5-6 m al di sotto della quota attuale), si
affiancarono complessi pubblici di grande importanza (lo stadio di
Domiziano e l’odeon) e si venne delineando anche la struttura viaria,
formata dalla «via Recta» (le attuali vie del Collegio Capranica, delle
Coppelle, di S. Agostino, dei Coronari e il vicolo del Curato) che
sfociava nel tratto della Via Flaminia entro le mura Aureliane (la
moderna via del Corso) e da un tracciato che congiungeva il ponte Elio
(l’odierno S. Angelo) al Pincio.
Nell’ansa con la quale il corso del Tevere più si avvicina al
Vaticano si venne concentrando nel Medioevo, forse per la vicinanza
alla sede pontificia, la contrazione urbana verificatasi dal tardo Impero
al Rinascimento (il «quartiere» coincide con la porzione di Roma che
risulta abitata ininterrottamente dall’antichità ai giorni nostri); lungo le
«vie Papalis» (le attuali vie dei Banchi Nuovi, del Governo Vecchio, di
S. Pantaleo e di Torre Argentina) e «Peregrinorum» (le moderne vie
dei Banchi Vecchi e del Pellegrino, Campo de’ Fiori e via de’
Giubbonari), che ricalcavano tracciati romani, si andò delineando una
struttura urbana così fitta, che a inizi XV secolo questa era l’unica zona
entro il perimetro delle mura Aureliane dove prevalessero gli spazi
costruiti rispetto ai terreni liberi. Nell’Anno Santo 1425 la bolla di
Martino V, reintegrando la magistratura delle case e delle strade,
dette il via al rinnovamento della città, proseguito dal programma
urbanistico di Niccolò V, da Sisto IV (ponte Sisto), Giulio II (via Giulia),
Leone X, Clemente VII e Paolo III (via Paola), e compiuto sotto il
pontificato di Sisto V. Il processo avviato dalle trasformazioni sistine si
protrasse sino alla prima metà del XVIII secolo e almeno fino al 1870
l’attività edilizia seguì il piano di Domenico Fontana; al principio del XIX
risalgono le prime fusioni e sopraelevazioni di edifici, mentre al
periodo post-unitario, con la realizzazione dei lungotevere, e all’epoca
fascista, con le demolizioni di piazza dell’Oro e l’apertura del ponte
Principe Amedeo Savoia Aosta, datano le maggiori alterazioni del
quartiere.

Tre gli itinerari proposti (pianta a fronte): il primo, che si svolge


lungo gli assi rettilinei di via Giulia e via dei Coronari, percorre le due
metà del quartiere create dall’apertura di corso Vittorio Emanuele II in
uno dei quadri edilizi più eleganti – ma non sempre in buono stato di
conservazione – del centro di Roma, dove a nobili palazzi patrizi
(Sacchetti, Taverna, Altemps, Lancellotti) si alternano splendide chiese
(S. Eligio degli Orefici, S. Giovanni dei Fiorentini, S. Maria della Pace,
S. Salvatore in Lauro); il secondo, che segue una parte della «via
Papalis», attraversa uno straordinario tessuto urbanistico (notevoli i
palazzi del Banco di S. Spirito e del Governo Vecchio) solo in parte
alterato dalle demolizioni post-unitarie e dall’improprio uso attuale,
culminando nella festa barocca di piazza Navona; nel terzo, la teoria di
edifici civili, tra i quali spiccano la maestosità di palazzo Farnese e la
ricchezza di palazzo Spada, è cadenzata da chiese (S. Maria in
Monserrato, S. Girolamo della Carità, SS. Trinità dei Pellegrini, S.
Maria in Monticelli, S. Carlo ai Catinari) ‘sparse’ in un contesto
urbanistico nel quale non è ancora del tutto perso il contrasto tra
ricche residenze e abitazioni popolari, particolarmente riscontrabile in
Campo de’ Fiori.

VIA GIULIA E VIA DEI CORONARI

PIAZZA S. VINCENZO PALLOTTI, sulla riva sin. del Tevere in


corrispondenza di ponte Sisto →, fu pesantemente modificata nel
1879 per la costruzione degli argini (abbattimento dell’ospizio dei
Mendicanti, ordinato da Sisto V a Domenico Fontana nel 1585-89;
spostamento della fontana dell’Acqua Paola, →). In asse col ponte si
stacca verso NE via dei Pettinari, aperta da Sisto IV per collegare
Trastevere ai rioni Ponte, Parione e Regola; nell’isolato di sin. è
inglobata la chiesa di S. Salvatore in Onda, così chiamata per le
inondazioni del fiume, che è menzionata dal 1127 ed è stata più volte
modificata (il restauro dell’interno, operato da Luca Carimini nel 1860-
78, ha riportato in luce le colonne con capitelli della prima chiesa; due
colonne antiche di spoglio sono visibili nella CRIPTA, sorta sui resti di un
edificio del sec. II).
Dalla piazza inizia, in direzione NO, *via Giulia, la prima in Roma
ad andamento rettilineo, che venne aperta da Bramante assieme alla
parallela via della Lungara → a inizi sec. XVI e oggi è pedonalizzata.

IL PROGETTO ORIGINARIO. Fu Giulio II a commissionare le due


strade, rettilinee e parallele, sulle rive opposte del fiume, collegate fra
loro, a formare una specie di anello viario, a S da ponte Sisto e a N da
un altro, mai eretto, di fronte all’ospedale di S. Spirito in Sassia. Su
questo tracciato, negli intenti del papa, dovevano concentrarsi gli
edifici di maggiore importanza dello Stato: fulcro sarebbe stato il
palazzo dei Tribunali, anch’esso mai realizzato, con l’omonima piazza.
La via, che costituisce il limite SO del «quartiere del Rinascimento»,
presenta una numerazione civica continua: sul lato sin. è crescente
(da 1 a 80), su quello opposto decrescente.

VERSO S. MARIA DELL’ORAZIONE E MORTE. Il vertice formato dalla


via e dal lungotevere è occupato (N. 251) dalla palazzina Pateras
Pescara (Marcello Piacentini, 1910-1924), subito oltre la quale, a sin.,
è la fontana del Mascherone (c. 1626), con rilievo in marmo e vasca di
granito antichi; da questa prende nome la via che di fronte a essa si
diparte e sulla quale prospetta la chiesa dei Ss. Giovanni Evangelista e
Petronio dei Bolognesi, iniziata nel 1582 su disegno di Ottaviano
Mascherino e rinnovata nel 1805 (all’altare d., Morte di S. Giuseppe di
Francesco Gessi). Presso l’arco del Passetto Farnese, aperto nel 1603,
via Giulia taglia perpendicolarmente il complesso di palazzo Farnese
→, ordinato su un percorso interno riservato («via Farnesiorum») che
dall’omonima piazza arrivava fino a villa Farnesina → in Trastevere.
S. MARIA DELL’ORAZIONE E MORTE, a sin. subito al di là del
passaggio, venne eretta nel 1575 ma riedificata con pianta ellittica nel
1733-37 su disegno di Ferdinando Fuga; la facciata è a due ordini di
colonne, tra pilastri e lesene, con doppio timpano (due teschi alati
costituiscono le mensole del portale centrale), mentre ai lati sono due
corpi minori con finestre ovali sugli accessi.

IL MOVIMENTATO INTERNO, ricco di decorazioni e con due cappelle


per lato, è coperto da cupola ellittica. Alle pareti tra le cappelle,
affreschi staccati di Giovanni Lanfranco (a d., S. Antonio abate e S.
Paolo di Tebe; a sin., S. Simeone stilita). 1ª cappella d.: Sposalizio
mistico di S. Caterina (sec. XVI). Cappella maggiore: Crocifissione di
Ciro Ferri (1680). 2ª cappella sin.: S. Giuliana Falconieri riceve l’abito
da S. Filippo Benizi di Pier Leone Ghezzi (1740). 1ª: Riposo in Egitto di
Lorenzo Masucci (1750).

IL *PALAZZO FALCONIERI, attiguo alla chiesa (N. 1) e già Odescalchi


(stemmi sul cornicione), è oggi sede dell’Accademia d’Ungheria (la
biblioteca specializzata riunisce c. 20000 volumi): grandi erme
barocche, con busti femminili e teste di falco, sono poste come
lesene-cariatidi ai lati del prospetto, opera in parte di Francesco
Borromini come pure la *LOGGIA a tre arcate (1646) affacciata sul
fiume e, all’interno, lo SCALONE e gli splendidi soffitti in stucco.
Avanti a d. si apre la facciata, d’ispirazione borrominiana, della
chiesa di S. Caterina da Siena, edificata dal 1526 forse su disegno
di Baldassarre Peruzzi e nuovamente nel 1766-76 da Paolo Posi.

INTERNO. 1ª cappella d.: Predica di S. Bernardino da Siena di


Salvatore Monosilio (1768). 2ª: S. Bernardo Tolomei in meditazione di
Nicolò Lapiccola. Presbiterio: Sposalizio mistico di S. Caterina (1768)
di Gaetano Lapis, autore anche degli ovati; nel catino absidale, Ritorno
di Gregorio XI da Avignone di Lorenzo Pécheux (1773). 2ª cappella
sin.: Vergine assunta di Tommaso Conca (1768). 1ª: Incendio di
Borgo di Domenico Corvi (1769). Nell’attiguo oratorio, Risurrezione di
Gesù, importante tavola di Girolamo Genga (1530).

*S. ELIGIO DEGLI OREFICI. Oltre il palazzo Varese poi degli Atti (N.
16), eretto nel 1495 ma ricostruito da Carlo Maderno nel 1617-18, via
di S. Eligio, che si stacca a sin., conduce a una casetta del sec. XV
(numeri 7-8) e a questa chiesa: fu disegnata da Raffaello sotto
l’influenza di Bramante ed edificata nel 1509-1775, mentre la facciata,
crollata nel 1601, venne rifatta da Flaminio Ponzio, completata da
Giovanni Bonazzini nel 1620 e restaurata nel 1955-62.

LO SPAZIO INTERNO, a croce greca, è scandito da paraste bigie su


fondo chiaro; la *cupola emisferica su tamburo e la lanterna sono
forse di Baldassarre Peruzzi. Nei pennacchi delle cappelle laterali
(all’altare d., Adorazione dei Magi di Giovanni Francesco Romanelli,
1639; a quello sin., Adorazione dei pastori, affresco di Giovanni De
Vecchi, 1574), sibille del Romanelli. Nell’abside, affreschi di Matteo da
Lecce (SS. Trinità e Madonna con Bambino e santi) e di Taddeo
Zuccari (profeti, apostoli e Pentecoste). Nell’arcone sopra l’altare
maggiore, Annunciazione del da Lecce.

LA CHIESA DELLO SPIRITO SANTO DEI NAPOLETANI, che via Giulia


incontra a sin. oltre un prospetto di palazzo Ricci (numeri 147-146;
→), è dal 1574 dell’omonima confraternita, che la riedificò su disegno
di Domenico Fontana o di Ottaviano Mascherino nel 1619; fu poi
rinnovata radicalmente da Carlo Fontana (1704) e da Nicolò Forti
(1772). La facciata, a due ordini con portale e rosone scolpiti, venne
rifatta nel 1853 da Antonio Cipolla, che aggiunse anche la cantoria e
l’abside.

L’INTERNO a navata unica accoglie: nella 1ª cappella d., Miracolo


di S. Francesco di Paola di Ventura Lamberti; nella 2ª, monumento
funebre del cardinale G.B. De Luca di Domenico Guidi (1683); nel
catino absidale della cappella maggiore, SS. Trinità tra angeli e santi
di Giuseppe Passeri (1707); nella 3ª cappella sin., Martirio di S.
Gennaro di Luca Giordano (1705); nella 2ª, affresco staccato
(Madonna del fulmine) di scuola umbro-laziale (sec. XV); nella 1ª,
Miracolo di S. Tommaso d’Aquino di Domenico Maria Muratori.

DEMOLIZIONI E SVENTRAMENTI DI EPOCA FASCISTA hanno alterato il


seguito di via Giulia: a sin. il Liceo Ginnasio Virgilio, eretto nel 1936-39
sul precedente Collegio Ghislieri (portale al N. 38), comportò la
distruzione di piazza Padella e della chiesa di S. Nicola degli
Incoronati. Via S. Filippo Neri, che si diparte poco avanti a sin. e cui fa
da fondale il carcere di Regina Coeli →, doveva, secondo i progetti del
programma urbanistico sospeso nel 1940, raggiungere piazza della
Chiesa Nuova cancellando i vicoli della Moretta e del Malpasso:
nell’isolato di d. resta, diroccata, la chiesa di S. Filippo Neri
(bassorilievo del santo in facciata), restaurata nel 1728 da Filippo
Raguzzini.
IL PALAZZO DEI TRIBUNALI fu cominciato da Bramante per Giulio II
e mai compiuto (restano parti del basamento bugnato con i sedili
sporgenti – i cosiddetti «sofà di via Giulia» – presso gli angoli delle vie
del Gonfalone e de’ Bresciani, e del vicolo del Cefalo). Sull’area di tale
complesso, che si costeggia avanti a sin., sorsero invece le Carceri
Nuove (N. 52), commissionate da Innocenzo X ad Antonio Del Grande
(1652-55) in sostituzione di quelle di Tor di Nona e di Corte Savella, e
la severa facciata, con piccole aperture a inferriate, delle Prigioni
(Giuseppe Valadier, 1827), che ospitano il Museo criminologico
(ingresso da via del Gonfalone N. 29, t. 0668300234;
www.museocriminologico.it): fondato nel 1931, raccoglie la
documentazione storica dei reati, dei mezzi di prevenzione e
repressione, e dei sistemi di pena in uso nei secoli passati, e due
percorsi tematici illustrano la storia della pena e della punizione.

L’*ORATORIO DEL GONFALONE, poco avanti sulla stessa via del


Gonfalone, fu eretto nel 1544-47 sulla chiesa di S. Lucia vecchia, con
facciata a due ordini (il primo è del ’500, il secondo, barocco, è di
Domenico Castelli); nell’interno, Federico Zuccari, Livio Agresti, Cesare
Nebbia, Raffaellino da Reggio, Matteo da Lecce, Marco Pino e il
Bertoja eseguirono nel 1569-75 le *storie della Passione di Cristo, fra
le più interessanti decorazioni manieriste della città.

S. MARIA DEL SUFFRAGIO. Si continua per via Giulia, incontrando


sulla sin. la facciata in travertino della chiesa (Carlo Rainaldi, 1662-
80).

L’INTERNO è a navata unica coperta da volta a botte e conclusa da


coro quadrato. 1ª cappella d.: Adorazione dei Magi, Sogno di S.
Giuseppe (parete d.) e Natività (parete sin.) di G.B. Natali (1671). 2ª
(su architettura del Rainaldi): a d. Sacrificio di Isacco di Girolamo
Troppa, a sin. Sogno di Giacobbe di Giacinto Calandrucci. 3ª, su
architettura di G.B. Contini: tele laterali (a d. Adorazione dei Magi, a
sin. Natività di Maria) di Giuseppe Chiari. Presbiterio: Anime del
Purgatorio, pala d’altare di Giuseppe Ghezzi (1672); nella volta
dell’abside, Gloria della Vergine di G.B. Beinaschi (c. 1675).

PALAZZO SACCHETTI. Oltre la chiesa di rito armeno di S. Biagio


della Pagnotta (dalla pagnotta distribuita ai fedeli nel giorno del
santo), anteriore al sec. X ma riedificata da Giovanni Antonio Perfetti
(1730) e rinnovata nell’interno da Filippo Navone (1832), si riconosce,
al N. 66, l’ampia facciata, con paramento di mattoni a vista,
dell’edificio, che presenta un alto portale marmoreo con sovrastante
balcone (balaustri in marmo e bronzo); le finestre al piano terreno
sono ‘inginocchiate’ e al primo piano rastremate; alla sommità, ricco
cornicione su mensole. All’estremità sin. del prospetto, in angolo con
vicolo del Cefalo, fontanella con putto tra delfini (fine sec. XVI).
L’iscrizione «Domus Antonii Sangalli Architecti – MDXLIII» posta a sin.
del balcone ha originato diverse interpretazioni: l’edificio è attribuito
sia ad Antonio da Sangallo il Giovane sia a Nanni di Baccio Bigio e ad
Annibale Lippi, che lo avrebbero costruito (1552) sulle case del
Sangallo – a queste si riferirebbe l’iscrizione – per il cardinale Ricci di
Montepulciano.

ALL’INTERNO, nel CORTILE porticato, a sin., Madonna con Bambino,


formella fiorentina del sec. XV. Il palazzo fu decorato nel SALONE
DELL’UDIENZA (storie di David) da Francesco Salviati nel 1553-54 e nella
GALLERIA (Sacra famiglia e Adamo ed Eva) da Pietro da Cortona.

DUE OPERE DI ANTONIO DA SANGALLO IL GIOVANE caratterizzano,


oltre una casa cinquecentesca (N. 93) che reca in facciata lo stemma
di Paolo III, il tratto finale di via Giulia: al N. 85 la casa cosiddetta di
Raffaello, realizzata sul sito della dimora che l’urbinate voleva qui
erigere (iscrizione sopra le finestre architravate del primo piano); al N.
79 il palazzo Sangallo poi Medici Clarelli (1530), il cui portale bugnato
è sormontato da una dedica a Cosimo II de’ Medici.
*S. GIOVANNI DEI FIORENTINI. Superati il palazzo forse
appartenuto a Monsignor Sangalletto (N. 82; fine sec. XV), con finestre
centinate, e tre case a schiera, con affaccio anche su via del
Consolato, che risalgono al primo Rinascimento, si è presso questa
chiesa, voluta da Leone X che commissionò progetti ad Antonio da
Sangallo il Giovane, a Baldassarre Peruzzi, a Michelangelo, a Raffaello
e a Jacopo Sansovino. Da quest’ultimo venne iniziata nel 1519 e
continuata dal Sangallo il Giovane e da Giacomo Della Porta (sue sono
le navate attuali); la cupola, per la quale fu interpellato di nuovo
Michelangelo, venne realizzata nel 1602-1620 da Carlo Maderno
assieme alla volta interna a botte e al transetto che ne determina
l’aspetto dal lungotevere.
La facciata (Alessandro Galilei, 1734) è in travertino, con otto
semicolonne corinzie nell’ordine inferiore (comprendente tre portali e
quattro nicchie e superiormente ornato di statue) e quattro in quello
superiore (con finestrone a balcone e due nicchie); sul timpano del
portale centrale, stemma di Clemente XII con ai lati la Virtù e la
Fortezza di Filippo Della Valle; sopra le nicchie dell’ordine inferiore,
scene della vita del Battista, rilievi del Della Valle, di Pietro Bracci e
altri.

L’INTERNO, ripartito in tre navate da un poderoso ordine di pilastri


in muratura con addossate lesene corinzie e con cinque cappelle per
lato, è una rara traduzione in architettura del clima austero
conseguente al concilio di Trento, modificata da decorazioni barocche.
NAVATA DESTRA. 1ª cappella: S. Vincenzo Ferreri, pala attribuita al
Passignano (c. 1599). Nell’andito che conduce alla sagrestia, busti di
Antonio Cepparelli (d.; Gian Lorenzo Bernini, 1622) e di Antonio
Coppola (sin.; Pietro Bernini, 1614); in una nicchia sopra la porta della
sagrestia, *S. Giovannino di Mino del Reame (c. 1500); sulla parete
sin., lapide con busto di Clemente XII del Della Valle (1750). 4ª: S.
Girolamo penitente, tavola di Santi di Tito (1599); a d. S. Girolamo
scrive la Vulgata del Cigoli (1599), a sin. Costruzione della chiesa
illustrata da Michelangelo del Passignano (1599). All’ultimo pilastro d.,
monumento di Francesca Caldarini Pecori Riccardi (m. 1655) di Ercole
Antonio Raggi. TRANSETTO DESTRO. Martirio dei Ss. Cosma e Damiano di
Salvatore Rosa (1669); in due nicchie laterali in alto, busti di
Ottaviano Acciaioli (m. 1659) di Ercole Ferrata, e dell’arcivescovo
Ottaviano Corsini (m. 1641) di Alessandro Algardi. Cappella a d.
dell’altare maggiore: Madonna col Bambino, affresco del sec. XV; a d.,
Transito di Maria di Anastasio Fontebuoni. PRESBITERIO, su schema di
Pietro da Cortona (1634) condotto da Francesco Borromini e ultimato
da Ciro Ferri (1673-76): al centro del grandioso altare (Francesco
Borromini, 1640), Battesimo di Gesù, gruppo marmoreo del Raggi
(1669); su disegno di Borromini anche i monumenti di Orazio
Falconieri e Ottavia Sacchetti con la Fede (d.; Domenico Guidi) e del
cardinale Lelio Falconieri con la Carità (sin.; Ercole Ferrata);
l’illuminazione naturale proviene da aperture nascoste. Cappella a sin.
dell’altare maggiore: Crocifisso in bronzo di Prospero Bresciano; volta
e laterali (Salita al Calvario e Orazione nell’orto) di Giovanni Lanfranco
(1621-24). TRANSETTO SINISTRO. S. Maria Maddalena attribuita a Baccio
Ciarpi o ad Astolfo Petrazzi; i soprastanti angeli musicanti sono di
Giuseppe Ghezzi (1684-87). NAVATA SINISTRA. All’ultimo pilastro sin.,
monumento di Girolamo Samminiati del Della Valle (1733); a quello
opposto, *monumento di Alessandro Gregorio Capponi, disegnato da
Ferdinando Fuga e adorno di sculture di Michelangelo Slodtz (1746).
5ª cappella: S. Francesco d’Assisi di Santi di Tito (1585); gli affreschi
(storie del santo) sono di Nicolò Circignani (1583-85). 4ª: Transito di
S. Antonio abate di Agostino Ciampelli (firma; 1612); gli affreschi
(storie di S. Lorenzo) sono di Antonio Tempesta. 3ª (battistero):
Predicazione di S. Giovanni Battista di G.B. Naldini. 1ª: S. Sebastiano e
le pie donne di G.B. Vanni (1626). Sopra la porta maggiore,
ricchissimo organo in legno dorato (1673).
Nella chiesa vennero sepolti il Maderno e Borromini: una lastra
tombale nella navata mediana, sotto la cupola, ricorda il primo; una
lapide murata nel 3° pilastro sin. commemora il secondo.

VERSO PALAZZO TAVERNA. Davanti alla chiesa si apre piazza


dell’Oro, dalla quale si segue verso NE via Paola, uno dei cinque
tracciati che convergevano su ponte S. Angelo →, aperta dal futuro
Paolo III nel 1533, e si attraversa corso Vittorio Emanuele II là dove
in età romana si scavalcava l’«Euripus», canale che scaricava nel
Tevere le acque dello «stagnum Agrippae» →. Al di là di corso Vittorio
si lascia via Paola piegando a d. nella via che prende nome dall’arco
dei Banchi (un tempo detto cortile dei Chigi; nel piedritto di d. è la più
antica iscrizione sulle piene del Tevere). Intersecata via del Banco di
S. Spirito →, per i vicoli del Curato, che costeggia un fianco di palazzo
Alberini →, e di S. Celso si sbocca in via di Panìco (dal nome della
pianta da seme), sistemata nel 1544-46 da Paolo III. La curva della
strada risale l’altura, probabilmente artificiale (forse corrispondente
all’anfiteatro di Statilio Tauro), di Monte Giordano costeggiando la
mole ‘bastionata’ di palazzo Taverna già Gabrielli, eretto nel sec. XV
sui resti della fortezza di Giordano Orsini (da qui il nome del monte).

NEL *CORTILE (ingresso dal N. 36) si trovano una fontana a


quadruplice bacino entro un’esedra di lauri (Antonio Felice Casoni,
1615-18) modificata nel sec. XVIII. Alle spalle del portico di d. sono
costruzioni ottocentesche in stile e la merlata TORRE AUGUSTA (1880);
sul lato sin. del cortile, attraverso un portale, si accede a un cortiletto
con scala esterna, tre arcate su colonne e capitelli del sec. XV, e loggia
superiore murata. Alle pareti delle sale del piano nobile, grandi tele di
Sebastiano Ricci.

PIAZZA DI S. MARIA DELLA PACE. Per via di Monte Giordano, dove


sopravvivono botteghe di artigiani (ai numeri 7-9 è il palazzetto
ritenuto di Teodoro Amayden, con facciata concava del sec. XVI),
vicolo delle Vacche (dal tipico tono popolare romano) e via della Pace,
che segue a sin. il prospetto con altana di palazzo Gambirasi costruito
su disegno di Giovanni Antonio De Rossi nel 1659 su edilizia
precedente, si raggiunge questo compiuto ambiente barocco (Pietro
da Cortona, 1656-57), definito da un’unica facciata continua a esedra
in cui si aprono due strade asimmetriche. Esso prende nome dalla
chiesa di *S. Maria della Pace, già S. Andrea de Aquarizariis,
riedificata dal 1482 forse da Baccio Pontelli; nel 1656 Pietro da
Cortona la restaurò per volere di Alessandro VII e aggiunse la
convessa *facciata barocca, preceduta da un PRONAO semicircolare
(pianta, 1) a colonne doriche binate. L’insieme stabilisce un
indissolubile intreccio tra esterni e interni.

L’INTERNO è costituito da una breve navata a due campate con


volte a crociera, che conserva intatta la struttura quattrocentesca, e
da una tribuna a cupola. NAVATA. 1ª cappella d. (2; Chigi), opera di
Raffaello: Cristo trasportato dagli angeli, altorilievo in bronzo di
Cosimo Fancelli; ai lati, S. Caterina e S. Bernardino, sculture
marmoree del Fancelli e di Ercole Ferrata. Sopra l’arco della cappella,
*Sibille (da sin., Cumana, Persica, Frigia e Tiburtina), dipinte nel
1514 su commissione di Agostino Chigi da Raffaello, che qui rivela
l’influenza di Michelangelo dopo lo scoprimento della volta della
Cappella Sistina; nella soprastante lunetta, *profeti (a d. David e
Daniel, a sin. Abacuc e Giona) di Timoteo Viti, su disegno
dell’urbinate. 1ª sin. (3; Ponzetti): all’esterno, monumenti funebri
della famiglia Ponzetti (1505 e 1509); all’altare, *Madonna con le Ss.
Brigida e Caterina e il cardinale Ferdinando Ponzetti, affresco di
Baldassarre Peruzzi (1516; sue le storie del Vecchio e Nuovo
Testamento nel catino absidale). 2ª d. (4; Cesi) su disegno di Antonio
da Sangallo il Giovane (1525): sull’arco esterno, *ornamentazione
rinascimentale di Simone Mosca; le statue nelle nicchie (Ss. Pietro e
Paolo) e gli altorilievi ai lati dell’arco (profeti e angeli) sono di
Vincenzo de Rossi, autore anche delle figure dormienti sulle tombe di
Angelo Cesi e della moglie Francesca Carduli Cesi (le sfingi sono
ascritte al Mosca, 1550-60); sull’altare, Sacra famiglia e S. Anna di
Carlo Cesi; nel lunettone sopra l’arco esterno, Creazione di Eva e
Peccato originale di Rosso Fiorentino (1524). 2ª sin. (5; Mignanelli):
Madonna in gloria e i Ss. Ubaldo e Girolamo di Marcello Venusti; nella
lunetta sopra l’arco esterno, Cacciata dal Paradiso terrestre e Famiglia
di Adamo di Filippo Lauri (1657).
La TRIBUNA ottagona a cupola fu disegnata dal Sangallo e decorata
a stucco su disegno del da Cortona: nel tamburo, partendo da d.,
Visitazione di Carlo Maratta (1655), Presentazione al tempio del
Peruzzi (1524), Nascita della Vergine di Raffaele Vanni e Transito della
Vergine di Giovanni Maria Morandi. Nella cappella a d. dell’altare
maggiore (6; Olgiati), Battesimo di Gesù di Orazio Gentileschi (1603).
Il coro e l’altare maggiore (7) sono di Carlo Maderno (1611), le statue
del timpano di Stefano Maderno (1616); sull’altare, venerata
immagine della Madonna della Pace (sec. XV), che, colpita da un
sasso, avrebbe, secondo la tradizione, versato sangue e per la quale
venne costruita la chiesa; la Natività e l’Annunciazione sono del
Passignano, la decorazione della volta e del catino absidale di
Francesco Albani (1612-14); le sante nel sottarco di Lavinia Fontana
(1611-14). Nella cappella a sin. dell’altare maggiore (8), Crocifisso
ligneo quattrocentesco, su altare marmoreo di Innocenzo VIII della
scuola di Andrea Bregno (c. 1490). Nella cappella sin. (9), Adorazione
dei pastori del Sermoneta (1565).
IL *CHIOSTRO DI S. MARIA DELLA PACE (10; visita in corrispondenza
di mostre o eventi; accesso dal lato sin. della tribuna – lunetta
marmorea con l’Eterno, di scuola del Bregno – oppure suonando al N.
5 dell’Arco della Pace) è la prima opera di Bramante a Roma (1500-
1504): di mirabili proporzioni e inalterato in ogni sua parte, è
circondato da un portico ad arcate su pilastri (monumento funebre del
vescovo Giovanni Andrea Bocciaccio attribuito a Luigi Capponi), cui
sono addossate lesene ioniche su alti plinti e reggenti una trabeazione
continua con lunga iscrizione nel fregio; il loggiato superiore ha pilastri
con lesene a fascio alternati a colonne di ritmo doppio, e cornicione
terminale a mensole.

S. MARIA DELL’ANIMA. Da piazza di S. Maria della Pace si segue, a


d. della chiesa, vicolo della Pace, costeggiando il fianco di S. Maria
dell’Anima, sorta dalla cappella dell’ospizio per pellegrini tedeschi,
olandesi e fiamminghi ma ricostruita nel 1500-1523 forse da Giuliano
da Sangallo e completamente restaurata nel 1843. L’alta facciata
rinascimentale, che prospetta su via di S. Maria dell’Anima, è su tre
ordini, ciascuno ripartito da lesene, a coronamento orizzontale; i tre
portali classicheggianti, con colonne scanalate, capitelli compositi e
trabeazione con timpano, già attribuiti a Baldassarre Peruzzi, sono ora
ascritti ad Andrea Sansovino (suo il gruppo della Madonna tra due
anime purganti nel timpano del portale mediano). Sul fianco d., bel
campanile, riferito senza fondamento a Bramante (1502), con bifore
rinascimentali e coronato da cornicioni con ringhiera, pinnacoli
goticizzanti e cuspide conica rivestita di squame maiolicate di vari
colori.

L’INTERNO (vi si accede al N. 20 di piazza di S. Maria della Pace)


riprende, nelle tre navate divise con curiose asimmetrie da pilastri e
nelle cappelle laterali che si alzano fino alla volta, il modello delle
«Hallenkirchen» tedesche. Nella volta della navata mediana, santi di
Ludovico Seitz (1875-82; sua la vetrata a colori sopra l’ingresso). A
destra del portale, tomba del cardinale Andrea d’Asburgo (1600) di
Gillis de la Rivière; a sin. monumento del cardinale Guglielmo
Enckenvoirt (m. 1534) attribuito a Giovanni Mangone ma forse di
Michelangelo Senese. NAVATA DESTRA. 1ª cappella: S. Bennone riceve da
un pescatore le chiavi della cattedrale di Meissen di Carlo Saraceni
(1618). 2ª: Sacra famiglia di Giacinto Gimignani; a sin., tomba del
cardinale Johann Walter Sluse (1687) con busto di Ercole Ferrata. Al
3° pilastro, monumento di Adriano Vryburch (m. 1628) con putti di
François Duquesnoy. 3ª cappella: Crocifissione di G.B. Montano
(1584) e storie della Vergine del Sermoneta. 4ª: Pietà, copia con
varianti di quella di Michelangelo, iniziata dal Lorenzetto e terminata
da Nanni di Baccio Bigio (1532). PRESBITERIO. Sacra famiglia e santi
di Giulio Romano (1522). A destra, monumento di Adriano VI, con
architettura del Peruzzi; le statue della Giustizia, della Prudenza, della
Fortezza e della Temperanza sono di Michelangelo Senese, mentre al
Tribolo vanno ascritte le altre sculture minori, tra cui il bassorilievo
con Ingresso di Adriano VI a Roma. A sinistra, tomba del duca Carlo
Federico di Clèves (m. 1575) del de la Rivière e di Nicolò Pippi. In
SAGRESTIA (non si visita), opera di Paolo Marucelli del 1635 (nel
vestibolo d’accesso, Investitura del duca di Clèves da parte di Gregorio
XIII, rilievo del de la Rivière), gruppo ligneo di scuola tedesca del ’400
raffigurante S. Anna, la Madonna e il Bambino e, sull’altare, S. Anna di
Theodor van Loon; nella volta, Assunta di Giovanni Francesco
Romanelli (1639). NAVATA SINISTRA. Al 3° pilastro, tomba di Ferdinando
van der Eyden (m. 1630) del Duquesnoy. 4ª cappella: Deposizione,
affresco di Francesco Salviati (1540). 3ª: in alto, storie di S. Barbara di
Michiel Coxie (c. 1531). 2ª: Ss. Giovanni Nepomuceno e Giovanni
Sarcander, pala del Seitz (1880). 1ª: Martirio di S. Lamberto del
Saraceni (1618); in alto, storie del santo di Jan Miel.

IL ‘POLO’ DI S. APOLLINARE. Al termine di vicolo della Pace si volta


a sin. e, lasciati a d. la chiesa di S. Nicola dei Lorenesi già in Agone
(venne ricostruita nel 1636 e decorata all’interno da Corrado
Giaquinto) e a sin. largo Febo, si esce in piazza di Tor Sanguigna,
cosiddetta dall’omonima famiglia che aveva qui una fortezza (ne resta,
incorporata nel fabbricato moderno sul lato opposto dello slargo, la
torre, in parte vergata da ricorsi alternati di tufelli e laterizio). Oltre il
palazzo (numeri 13-12A) che ingloba resti dello stadio di Domiziano
→, si apre a sin. la piazza cui dà nome il palazzo S. Apollinare (v.
anche →), abitazione di cardinali dal sec. XIV e dal 1574 al 1773
Collegio Germanico Ungarico, che fu restaurato da Ferdinando Fuga
nel 1745-48 e sopraelevato nel 1853. La facciata in cotto, a tre piani e
cornicione su mensole, è contigua alla chiesa di S. Apollinare, sorta
dopo il 638 sul luogo in cui si svolgevano i giochi apollinari e anch’essa
ricostruita dal Fuga (1741-48).

NELL’INTERNO, preceduto da un vestibolo-nartece (sulla parete


sin., Immagine della Madonna di scuola umbro-romana del sec. XV), la
navata unica, con volta a botte (Gloria di S. Apollinare di Stefano
Pozzi), presenta tre cappelle per lato. 1ª cappella d.: S. Luigi Gonzaga
di Ludovico Mazzanti. 2ª: Sacra famiglia di Giacomo Zoboli. 3ª: statua
di S. Francesco Saverio di Pierre Legros. 3ª sin.: statua di S. Ignazio di
Loyola di Carlo Marchionni. 1ª: Vergine e S. Giovanni Nepomuceno di
Placido Costanzi.

PALAZZO ALTEMPS. Lo corona un’*ALTANA (Martino Longhi il


Vecchio, 1585), con arcate fra lesene binate, sormontata da quattro
obelischi e dallo stemma di Roberto Altemps (sulla cupola lo
stambecco saliente la rosa Orsini). Fu costruito dopo il 1471
incorporando case ed edifici medievali addossati alla cinta fortificata
che correva parallela a via dei Soldati; restaurato da Virginio
Vespignani (1837) e Antonio Muñoz (1949), allunga la facciata
principale a tre piani, che è marcata agli spigoli da una bugnatura
disegnata da Giacomo Della Porta, su via di S. Apollinare.
L’edificio (t. 0639967700; www.archeorm.arti.beniculturali.it)
accoglie, come sede distaccata del Museo Nazionale Romano →, le
raccolte rinascimentali di scultura, in particolare la collezione
Boncompagni-Ludovisi di arte antica.

LA STORIA DELLE PRINCIPALI COLLEZIONI. La più antica dal punto di


vista cronologico è la collezione Altemps, che il cardinale Marco Sittico
Altemps qui riunì e che il nipote Giovanni Angelo accrebbe con un
gusto antiquario che denota una notevole conoscenza dell’antichità
classica; le vendite iniziarono a fine ’700 e furono tanto consistenti che
delle 120 statue ne sono restate nel palazzo solo 15.
La collezione Ludovisi venne formata nel giro di pochissimi anni
dal cardinale Ludovico, nipote di Gregorio XV, per ornare la villa che si
era fatto costruire sull’area degli «horti Sallustiani», riunendo sia
opere rinvenute in loco durante l’edificazione del complesso sia
esemplari acquistati da altre collezioni (notevoli quelle del cardinale
Paolo Emilio Cesi, del palazzo Cesarini e di villa Altemps in Frascati); le
sculture, destinate unicamente a ornamento degli ambienti e del
giardino della villa, appaiono assai restaurate (alcuni interventi sono
ascritti ad Alessandro Algardi, altri a Gian Lorenzo Bernini), spesso in
modo molto libero; acquistata dallo Stato ed esposta nel 1901 nelle
terme di Diocleziano, rappresenta, sebbene svariati esemplari siano
andati persi, una delle più importanti testimonianze a Roma del gusto
antiquario delle famiglie patrizie.
La collezione Mattei consta della parte di proprietà statale della
raccolta che Asdrubale e Ciriaco Mattei avevano riunito nel ’500 per la
villa Celimontana al Celio. La collezione Del Drago fu riunita
dall’omonima famiglia nel sec. XVII nel loro palazzo presso il quadrivio
delle Quattro Fontane.

L’ALLESTIMENTO. L’armonioso *CORTILE in travertino e stucco,


attribuito ad Antonio da Sangallo il Vecchio e a Baldassarre Peruzzi ma
ultimato dal Longhi, è cinto da un portico e da eleganti logge nei lati
brevi: nei tre ordini, finemente decorati, lo stambecco e il ponte
colpito dal fulmine rappresentano lo stemma Altemps, cui seguono
quelli del cardinale Marco Sittico Altemps e del figlio Roberto, e quelli
Orsini. Opposte al portico d’ingresso sono quattro statue della
collezione Altemps, copie romane (sec. II) da originali greci: Menade,
Ercole seduto, Gladiatore a riposo (?) e Figura femminile; sul lato d.,
fra due erme di età adrianea, fonte del sec. XVI. Sotto il portico
d’ingresso sono le statue della collezione Mattei da villa Celimontana.
La statua di Antonino Pio, realizzata nel 140-147 e restaurata nel
’600, introduce la prima parte della collezione Ludovisi. Di essa fanno
parte i ritratti di Giulia (90), Matidia (c. 120), Giulio Cesare (sec. XVI),
di principe (età augustea), Demostene (sec. II) e Aristotele (età
adrianea), tutti ispirati a originali classici, esposti nel SALONE DEI
RITRATTI. Resti di strutture di età repubblicana e reperti scoperti nel
corso del restauro caratterizzano la SALA DELLA TORRE. Sei Erme (sec. II
a. C.) fanno da corona, nella SALA omonima, ai due Apollo citaredo
seduti, copie romane del sec. I-II. Il SALONE D’INGRESSO AL PALAZZO
corrisponde all’entrata dell’edificio quattrocentesco; sia l’Afrodite
Cnidia, da originale di Prassitele, sia la Demetra furono restaurate nel
’600 (alla prima Ippolito Buzzi aggiunse testa, braccia e gambe),
mentre la Niobe – più correttamente Afrodite – ha i tratti e la
pettinatura dell’Afrodite Cnidia. La SALA DELL’ATENA prende nome dalla
statua dell’Athena – ma l’insolita posizione del braccio d. che
ammonisce un serpente la fa ritenere Igea – che Alessandro Algardi
restaurò secondo il modello dell’Atena Giustiniani. Un intero ambiente
(si notino i peducci) è riservato all’*Athena Parthenos, copia del sec. I
a.C. firmata dall’ateniese Antioco seguendo il modello dell’originale di
Fidia e restaurata nel ’600. Nella SALA DEI SARCOFAGI (si noti quello con
le Imprese di Ercole, c. 240-250), due saggi nella muratura lasciano
vedere una finta tappezzeria affrescata riferibile a una casa
medievale, mentre la zoccolatura a fresco in basso è ottocentesca.
Nella SALA DEL DIONISO E SATIRO, l’omonimo gruppo, probabile
ornamento di edificio termale, è replica del sec. II di un originale di età
ellenistica trovato nel ’500 sul Quirinale nel sito delle terme di
Costantino. Si esce nel PORTICO N, avendo di fronte la famosa statua
colossale del Dace in marmo giallo antico; questa e altre opere
appartengono alla collezione Mattei (statue e are) e Ludovisi (coperchi
di sarcofagi). Una porta inquadrata tra due statue permette di passare
all’ATRIO N DI ACCESSO AL TEATRO – ridecorato a fine ’800 e con vera da
pozzo del 1585 – al FOYER (nella volta, Putti con un drappo e con un
tralcio guarnito di rose; nelle lunette, coppie di satiri musicanti a
monocromo) e al TEATRO GOLDONI, uno dei più antichi della città, la cui
decorazione è di fine ’800.
Lo SCALONE, ornato da altre sculture antiche, porta al LOGGIATO
dove sono esposti a muro i rilievi delle collezioni Del Drago (furono
disegnati già nel ’400 e resi famosi da Winckelmann; quello con il
lavaggio dei piedi data al 150-170, quello del Banchetto funebre è un
originale greco di inizi sec. IV a.C.) e Brancaccio (quello con i Dioscuri
risale al sec. V-IV a.C.) e che è chiusa sul fondo dal portale in vari
marmi datato 1626 nell’architrave. La SALA DELLA VENERE JANDOLO (dalla
statua di età adrianea da un tipo di Doidalsas del IV a.C.), nella quale
si entra dal loggiato per la porta tra i due rilievi Del Drago, introduce
la SALA DEI BACCHI, dove la statua del satiro versante è copia del sec. II
di un bronzo di Prassitele, un Dionisio è frutto dell’assemblaggio
seicentesco di vari frammenti antichi e l’altro è una creazione coeva
‘pendant’ di una statua omonima della collezione Ludovisi.
Con l’ambiente successivo ha inizio la COLLEZIONE EGIZIA,
organizzata in tre sezioni tematiche (teologia politica; devozione
popolare; luoghi di culto a Roma, soprattutto l’Iseo Campense e il
Santuario Siriaco). La prima sala prende nome dalla statua del bue Api
meglio nota come torello Brancaccio, risalente alla piena età tolemaica
(sec. II a.C.) e giunta a Roma in età imperiale (la vicina statua di
faraone è di un secolo più antica); nella STANZA DELL’IDOLO SIRIACO, la
statua di Dionisio conserva tracce di doratura; da Behbeit el-Hagar
proviene il rilievo templare che dà nome all’omonima stanza; nella SALA
cosiddetta di D’ANNUNZIO (il Vate sposò l’ultima esponente della famiglia
Altemps) si sono conservate le forme e le decorazioni settecentesche;
l’ANTICAMERA DELLA COSMOGRAFIA, dove termina l’esposizione egizia (si noti
il bassorilievo di età tolemaica con la coppia regale di Nerone come
faraone), è l’ambiente dove quadri raffiguravano decorazioni
geografiche e astrofisiche.
Subito dopo ha inizio l’APPARTAMENTO DI ROBERTO ALTEMPS, iniziato nel
1583. Nell’ANDITO D’INGRESSO, l’erma Mattei preannuncia le sculture
esposte nel SALONE DEI RITRATTI, ideato nel 1724-32: rilievo funerario
con dedica di Anteros e Myrsine (età repubblicana); rilievi funerari di
età repubblicana e del sec. II; fronte di sarcofago di età antonina con
scene dell’origine di Roma; capitello con Vittorie alate e decorazioni
(età costantiniana); al centro, tavolo con medagliere costruito per
Vittorio Emanuele II. Pasquale Cati e Vitruvio Alberi sono gli autori
degli affreschi, molto dannneggiati, della SALA DELLA STUFA, mentre in
due delle SALE DELL’APPARTAMENTO si conservano i soffitti originali.
Dal loggiato, il portale in marmi vari dà accesso alla *SALA DELLE
PROSPETTIVE DIPINTE, affrescata dall’Alberi e dal Cati (il fregio in alto con
putti che sporgono da una balaustra è di Lattanzio Bonastri) con
finestre finte e vere e colonne che reggono una sottile trabeazione,
mentre nei riquadri così ottenuti sono paesaggi, una scena di caccia,
una veduta con obelisco e un cielo azzurro incorniciato da drappi;
l’Hermes Loghios è una copia romana da originale del sec. V a.C.,
restaurata dall’Algardi; l’archetipo dell’Eracle, copia romana del II, è un
bronzo del IV a.C. di Lisippo o Skopas; l’Hermes del I rimanda a un
bronzo greco del 460 a.C. circa. La *SALA DELLA PIATTAIA fu dipinta verso
il 1477 con una mostra di argenti e peltri chiusi tra grandi colonne in
prospettiva dalla cerchia di Melozzo da Forlì; l’*Ares Ludovisi, statua
maschile riconducibile all’arte di Lisippo per l’accenno di pathos nel
volto (Eros è, come altre parti, opera di restauro di Gian Lorenzo
Bernini) e ora identificata con Achille, è sistemata vicino alla statua di
Teti – dal Museo Nazionale Romano – a ricomporre il gruppo statuario
di Achille e Teti presente, secondo le notizie di Plinio, nel Campo
Marzio. È vicina la statua di guerriero, copia di età antoniniana pure
con interventi seicenteschi; il gruppo di Elettra e Oreste porta la firma
di Menelaos (prima metà I d.C.). Nella SALA DELLE STORIE DI MOSè il fregio
in alto del Cati (1591) racconta le Dieci piaghe d’Egitto e l’Esodo di
Mosè, tutti inquadrati entro finti arazzi e racchiusi da cornici che sono
movimentate da ignudi in piedi e da putti reggenti festoni floreali; sui
lati dei riquadri narrativi sono personificazioni allegoriche. L’Acrolito
Ludovisi (480-470 a.C.) e la Hera Ludovisi, nella quale si riconosce un
ritratto di Antonia Minore, inquadrano il famoso, e discusso, *trono
Ludovisi (sul fronte, Nascita di Afrodite dal mare), opera prodotta nel
sec. V a.C. in Magna Grecia, probabilmente in ambiente locrese data la
quasi certa pertinenza al tempio di Marasà a «Locri Epizephiri» (Locri).
L’ANTICAMERA DELLA DUCHESSA – ornata sulla parete in alto da un fregio di
palmette del ’400 (coevo è il soffitto), dall’Afrodite al bagno (variante
del I a.C. di un originale di Doidalsas), dal Bambino con l’oca (età
adrianea) e da una colonna tortile (età flavia) posta sull’ara di Cecilius
Gorgonius (sec. III) – precede la SALA DELLA DUCHESSA, in origine salotto
privato di Isabella Lante: il fregio (episodi mitologici) è di Giovanni
Francesco Romanelli (1654), l’Afrodite accovacciata di età adrianea.
L’ANTICAMERA DELLE QUATTRO STAGIONI prende nome dal fregio attribuito ad
Antonio Viviani; la testa di Hera si ispira a un originale derivato da un
modello policleteo del sec. V a.C., ma data tra fine II-inizi I a.C. e il II
d.C.; quella di Heracles riconduce a immagini del IV a.C. ma è del I
d.C.; il frammento con Mito di Fedra è pertinente a un sarcofago del
III. Nella CAMERA DA LETTO DEL CARDINALE, quattrocenteschi sono il soffitto
e la parte superiore degli intonaci delle pareti; il fregio con grottesche,
stemmi e paesaggi (metà ’500) fu tagliato nel secolo successivo da
Scene di battaglia realizzate a tempera da Francesco Allegrini su
disegni di Antonio Tempesta; a età adrianea risalgono sia la maschera
dionisiaca in rosso antico, sia le teste di Igea e Attis sia il sarcofago
con il Giudizio di Paride (perso è il completamento in stucco operato
da Alessandro Algardi). Dallo STUDIOLO DELLA CLEMENZA (nella volta, entro
cornici in stucco dorato e dipinto, scene di vita della Vergine
dell’Alberi, 1590; al centro del vano, base con danzatrici alate di età
augustea) si passa a d. nella *LOGGIA DIPINTA o GALLERIA, la cui
decorazione – commissionata da Marco Sittico Altemps poco prima del
1595 – esprime il gusto per lo sfarzo e l’esotico stimolato dalla
scoperta del Nuovo Mondo e dagli oggetti (i frutti) da là importati; i
Paesaggi ai lati del passaggio allo studiolo della Clemenza sono del
Cati o dell’Alberi, una lunetta con motivi araldici è di Antonio Viviani il
Sordo, la lunetta con i putti che giocano con lo struzzo è di
derivazione raffaellesca, mentre un pergolato continuo è dipinto
illusivamente sulla volta; sempre alla collezione Ludovisi appartengono
le 12 statue di Cesari. Nel *SALONE DELLE FESTE, aperto dal Longhi,
caminetto barocco a forma di monumento funerario; al centro è il
*Galata che si uccide assieme alla moglie (copia dal gruppo
voluto da Attalo I ed Eumene II per il donario di Pergamo), notevole
per la resa del corpo e per l’espressività del volto; a sin., colossale
sarcofago con battaglia fra Romani e Barbari (c. 250) con
soprastante busto di Marte (la testa è del II d.C., il busto del ’500).
Nella SALA DEGLI OBELISCHI, così detta per gli affreschi nelle strombature
della finestra centrale, si entra a sin. del sarcofago. Inquadrano
l’accesso le muse Urania (sec. I) e Calliope (età adrianea), parti di un
gruppo di nove esemplari da modelli di Philiskos da Rodi (II a.C.); li
fronteggiano Pan e Dafni (replica del I d.C. di originale del I a.C.) e
Satiro e Ninfa (copia romana da gruppo forse di fine II a.C.), mentre il
*Dadoforo è l’esempio più notevole del concetto di restauro di una
scultura antica secondo l’Algardi. L’ambiente vicino prende nome dal
piccolo sarcofago Ludovisi (c. 170-180), mentre nel Togato seduto si
riconosce una copia da originale del sec. IV a.C.; al II d.C. si riferisce il
rilievo con Cavaliere salio, agli anni successivi al 194-195 il Trofeo con
prigionieri.
La porta a sin. del camino nel salone delle Feste dà accesso alla
CAPPELLA DI S. CARLO BORROMEO: una teca sull’altare racchiude un
frammento di paramento sacro ritenuto di S. Carlo Borromeo, mentre
nelle vetrine sono codici musicali con partiture composte tra fine ’500
e inizi ’600, espressamente per la chiesa di S. Aniceto.
La porta a d. del camino nel salone delle Feste introduce invece
alla CHIESA DI S. ANICETO, unica a custodire – all’interno di una dimora
privata – le spoglie di un pontefice. Iniziata nel 1603, accoglie sulle
pareti un ciclo sul santo (Antonio Circignani d. Pomarancio) che allude
alle vicende familiari (Roberto Altemps fu decapitato sotto Sisto V in
quanto adultero); sopra la cornice, processione con gli strumenti della
tortura e del supplizio; nella volta, Gloria di S. Aniceto (Polidoro
Mariottini). Due colonne introducono il presbiterio, ornato di scene
mariane, mentre nell’abside è il reliquiario (1612). Dietro questo,
Ottavio Leoni dipinse un altro ciclo su S. Aniceto. La parete sin. della
navata della chiesa si apre sulla SAGRESTIA (1615), con porta dalla
curiosa serratura.

VERSO VIA DEI CORONARI. Attraversata via Zanardelli, di cui s’iniziò


l’apertura nel 1906, la visita prosegue lungo piazza Fiammetta, cosi
chiamata dall’amante di Cesare Borgia la quale abitava nella casa
detta di Fiammetta: l’edificio (sec. XV ma molto restaurato) presenta
finestre ad arco e una colonna d’angolo di granito con capitello ionico
in marmo e, sulla perpendicolare via degli Acquasparta, un portico e
una loggetta; sulla piazza affacciano anche il palazzo Olgiati già
Sampieri (N. 11; sec. XVI) e il palazzo Ruiz già Alvarez (N. 11A),
attribuito a Bartolomeo Ammannati. Si prosegue per via della
Maschera d’oro, da un affresco quasi scomparso di Polidoro da
Caravaggio e Maturino da Firenze sulla facciata di palazzo Milesi (N. 7,
inizi sec. XVI; la casa adiacente conserva parte della decorazione
graffita ascritta a Jacopo Ripanda e, in angolo, una colonna tortile su
base di granito antica); sul lato opposto è il cinquecentesco palazzo
Cesi, dove venne istituita nel 1603 l’Accademia dei Lincei.
Si piega a sin. nella via cui dà nome il palazzo Lancellotti,
ricostruito per il cardinale Scipione su progetto di Francesco da
Volterra (fine sec. XVI) e ultimato da Carlo Maderno. La facciata, tra
spigoli bugnati, è ornata da un elegante portale, con colonne e
sovrastante balcone, disegnato dal Domenichino; l’interno ospita sale
con volte affrescate dal Guercino (Allegorie) e da Agostino Tassi
(prospettive e paesaggi). Sulla piazza antistante è stata trasferita nel
1973 la fontana di Giacomo Della Porta già nella distrutta piazza
Montanara.
VIA DEI CORONARI, su cui dà il fianco sin. dell’edificio, è così
chiamata dai venditori di corone sacre e oggi è nota per le botteghe
d’antiquariato che ne stanno cambiando l’originario tono popolare; il
rettifilo della Roma papale ha conservato quasi intatto l’aspetto
rinascimentale e barocco, anche se gli slarghi che si aprono lungo di
esso sono frutto delle demolizioni effettuate nel 1939. Nel tratto di sin.
spicca (numeri 26-28) il rinascimentale palazzetto Diamanti Valentini
già Bonaventura, a tre piani ripartiti da esili lesene.
S. SALVATORE IN LAURO. I palazzi Del Drago (numeri 33-44; metà
sec. XVI), con finestre binate e bugne dagli aggetti digradanti verso
l’alto, e Fioravanti già Sala (N. 45; sec. XVI), dal bel portale adorno di
lesene e testine sporgenti da bacili, caratterizzano invece il tratto d.
della via fino alla piazza che prende nome dalla chiesa di S.
Salvatore in Lauro, nota sin dal 1177 e riedificata una prima volta
nel 1449; nel 1594 ne venne iniziata la ricostruzione su disegno di
Ottaviano Mascherino, ma i lavori furono completati nel 1727-34 da
Ludovico Rusconi Sassi, mentre la facciata in fredde forme puriste,
con protiro a colonne corinzie sormontato da un bassorilievo
(Trasporto della Sacra Casa di Nazareth) di Rinaldo Rinaldi, fu
aggiunta nel 1857-62 da Camillo Guglielmetti. Notevoli, sul fianco d., i
poderosi contrafforti tesi a reggere la spinta della volta interna.

L’INTERNO è il capolavoro del Mascherino, che qui riprese motivi


palladiani: 34 colonne corinzie di travertino, discoste dal muro, girano
appaiate sotto una robusta trabeazione; le arcate trasversali della
volta si impostano sulle coppie di colonne della navata, che si allarga
in un vasto transetto e si prolunga nella tribuna. 1ª cappella d. (1628-
30): Addolorata di Giuseppe Ghezzi; sopra, angeli di Camillo Rusconi.
2ª: La Vergine appare a S. Carlo Borromeo di Alessandro Turchi. 3ª:
Natività di Gesù di Pietro da Cortona. Altare maggiore, su disegno di
Antonio Asprucci (1792): Gloria di angeli di Vincenzo Pacetti,
circondante la Madonna di Loreto. 1ª cappella sin.: Liberazione di
Pietro di Antiveduto Grammatica (1624).
Nell’attiguo ex convento (N. 15) è un *CHIOSTRO rinascimentale a
due ordini di arcate su piccole colonne e loggiato a pilastrini; nel
vicino CORTILE sono due portali tardo-quattrocenteschi. Nell’antico
REFETTORIO, alla parete di fondo Nozze di Cana di Francesco Salviati
(1550); a sin., *monumento funebre di Eugenio IV di Isaia da Pisa
(1450-55); a metà della parete, monumento funebre di Maddalena
Orsini attribuito a Giovanni Dalmata. Nel complesso ha sede il Museo
Umberto Mastroianni, dedicato allo scultore (1910-98).
IL TRATTO SUCCESSIVO DI VIA DEI CORONARI incontra ai numeri 156-
157 un’altra casa detta di Fiammetta (prima metà sec. XV), ai numeri
148-149 la casa di Prospero Mochi, costruita nel 1516 da Pietro
Rosselli, e a sin., in angolo con vicolo Domizio, l’Immagine di Ponte,
tabernacolo rifatto da Antonio da Sangallo il Giovane (c. 1523) con
resti dell’affresco di Perin del Vaga. Oltrepassati la casa Lezzani
(numeri 122-123; sec. XVI), una delle presunte dimore di Raffaello, e
(numeri 135-143) il palazzo Emo Capodilista già Vecchiarelli (la
bellissima *ALTANA, attribuita a Bartolomeo Ammannati, è ben visibile
dal largo che si apre poco avanti), si sbocca in via di Panìco →, il cui
tratto di d. conduce in piazza di Ponte S. Angelo (l’omonimo
manufatto è →), un tempo centro di attività commerciali e teatro di
sentenze capitali.

LE VIE DEL BANCO DI S. SPIRITO E DEI BANCHI NUOVI PIAZZA


NAVONA

VIA DEL BANCO DI S. SPIRITO, che s’imbocca da piazza di Ponte S.


Angelo (v. sopra), supera ai numeri 61-60 la casa Bonadies, del 1480
ma rifatta nel 1940, con resti di portico medievale formato da rocchi di
colonne di granito sorreggenti capitelli ionici e una bellissima cornice
ornata di palmette e protomi leonine, che provengono da edifici
romani.
Sulla sinistra si trova la chiesa dei Ss. Celso e Giuliano, consacrata
nel 432 da Celestino I, ricostruita nel 1733 da Carlo De Dominicis e
restaurata nel 1868 da Andrea Busiri Vici; la facciata a due ordini è
ornata in basso da colonne e in alto da lesene. L’interno, a pianta
ellittica trasversale con tre cappelle per lato, presenta un presbiterio
rettangolare con cupolino (la campana è del 1268); della decorazione
settecentesca, restaurata nel sec. XIX, spicca nella cappella maggiore il
Cristo in gloria e i Ss. Celso, Giuliano, Marconilla e Basilissa,
capolavoro giovanile di Pompeo Batoni (1738); il Crocifisso ligneo
nella 3ª cappella d. è di scuola lucchese del sec. XV.
Oltre l’arco dei Banchi → si costeggia (N. 12) l’ottocentesca
facciata di *palazzo Alberini poi Cicciaporci, sorto nel 1515-19 (ma il
piano terra, bramantesco, risalirebbe al 1512) forse su progetto di
Giulio Romano (il prospetto originario dà sul perpendicolare vicolo del
Curato) e ultimato nel 1521 da Pietro Rosselli, con piano terreno a
bugnato, fascione marcapiano e due piani con finestre entro
riquadrature, e forte cornicione su mensole. Lo fronteggia (N. 42) il
*palazzo Gaddi poi Niccolini e Amici, ingrandito secondo Giorgio Vasari
da Jacopo Sansovino (c. 1518-27; l’ALTANA è aggiunta del 1841), il cui
*CORTILE ad arcate è ornato di nicchie con statue e, in alto, da una
ricca decorazione a stucchi.
IL PALAZZO DEL BANCO DI S. SPIRITO. Poco avanti la via forma uno
slargo, sul quale affaccia (N. 31) l’edificio già della Zecca, forse
adattato da Bramante e ricostruito da Antonio da Sangallo il Giovane
nel 1521-24. Il prospetto, leggermente concavo per compensare la
pianta trapezoidale dell’isolato (oggi decontestualizzato in seguito
all’apertura di corso Vittorio), è costituito da un arco trionfale su
basamento bugnato: un ordine di quattro lesene corinzie comprende
finestre su due piani ai lati e una loggia ad arco nel mezzo, ora
murata; sul fastigio, stemma e statue barocche della Carità e del
Risparmio.
VERSO IL PALAZZO DEL GOVERNO VECCHIO. Si piega a sin. del palazzo
per via dei Banchi Nuovi, l’antica «via Papalis» (per l’inquadramento
→) e così chiamata dal «banco» tenuto da Agostino Chigi. Superata
(numeri 1-4) una casa cinquecentesca con finestre arcuate al primo
piano e sormontate da timpano al secondo, che fu di Carlo Maderno (il
portale al N. 24 appartiene a una dimora del sec. XVII), si giunge in
piazza dell’Orologio già di Monte Giordano, il cui nome deriva dalla
torre dell’Orologio sull’angolo del palazzo dei Filippini →: al N. 7 è il
palazzo Spada ora Bennicelli, progettato da Francesco Borromini per il
Banco di S. Spirito e trasformato a fine sec. XIX su disegno di Gaetano
Koch.
Il proseguimento di via dei Banchi Nuovi è via del Governo
Vecchio già di Parione (da un muro – «paries» – forse parte delle
recinzioni dello stadio di Domiziano), anch’essa un tempo percorsa dai
cortei papali verso il Laterano e oggi nota per le botteghe antiquarie.
Nel fitto tessuto edilizio cinque-seicentesco si segnalano il palazzo De
Sangro già Boncompagni Corcos (N. 3; seconda metà sec. XVI), con
portale a colonne sormontato da balcone, e il *palazzetto Turci, che è
erroneamente detto del Bramante (N. 123; 1500), con basamento a
bugne lisce, tre ordini di finestre centinate tra paraste e lesene.
IL PALAZZO DEL GOVERNO VECCHIO o Nardini (N. 39) venne eretto
nel 1473-77 dal cardinale milanese Stefano Nardini, nominato
governatore di Roma da Paolo II, divenendo dal 1624 sede dei
governatori. La facciata rinascimentale, rimaneggiata, conserva al
primo piano le finestre architravate, col nome del Nardini e la data
1477; il bel portale marmoreo è incorniciato da bugne a punta di
diamante, con fregio a palmette; nell’interno, sul lato sin. si apre un
CORTILE con portico e loggia a pilastri ottagonali, mentre opposto
all’ingresso è un portico sormontato da due loggiati.

AL PALAZZETTO DI SISTO V. Costeggiando il fianco d. del palazzo


lungo via di Parione si può osservare la facciata a due ordini – quello
inferiore, tripartito da lesene e con portale a timpano, è raccordato da
volute ornate da teste leonine al superiore, ove si apre una finestra
quadra – della chiesa di S. Tommaso in Parione, consacrata da
Innocenzo II nel 1139 e ricostruita nel 1582 su disegno di Francesco
da Volterra. Al numero 7 è la cosiddetta casa o palazzetto di Sisto V
(sec. XVI; visita a richiesta al Pio Sodalizio dei Piceni, che qui ha sede),
costruito per le nozze di Flavia Peretti, nipote del papa, con Virginio
Orsini: ha un piccolo CORTILE, con portichetto e doppio loggiato al
piano superiore e terrazza pensile con affreschi di Paul Brill;
nell’interno, la loggetta fu affrescata (storie di Ercole e nudi) dal
Cavalier d’Arpino e Federico Zuccari, mentre le SALE conservano dipinti
di Antoniazzo Romano, Federico Barocci e Francesco Podesti.

IL PASQUINO.Superata al N. 104 di via del Governo Vecchio una


casa quattrocentesca – rifatta nel sec. XVIII – con ricca facciata adorna
di medaglioni, si esce nella piazza cui dà nome la famosa ‘statua
parlante’ (per l’inquadramento →), posta contro la spezzata angolare
di palazzo Braschi →: è quanto rimane di un gruppo marmoreo
(Menelao che sostiene il corpo di Patroclo), copia di età romana da
originale del primo ellenismo (sec. III a.C.), rinvenuto in via di Parione
e qui collocato nel 1501 dal cardinale Oliviero Carafa. Sulla piazza
affaccia la chiesa della Natività di Gesù, fondata nel 1692 e più volte
trasformata; l’attuale prospetto, che racchiude un portale del sec. XV,
è di Andrea Busiri Vici (1862).
*PIAZZA NAVONA, dove esce via di Pasquino che si diparte a sin.
della statua, è uno straordinario complesso urbanistico della Roma
barocca e uno dei più spettacolari e caratteristici della città.

LA FORMA E LE DIMENSIONI derivano dallo stadio di Domiziano,


costruito prima dell’86 con una capienza di c. 30000 spettatori e
orientato esattamente in direzione N-S per una lunghezza di m 275 e
una larghezza di m 106 (alcuni resti sono inglobati nel palazzo ai
numeri 13-12A di piazza di Tor Sanguigna). Prima dello stadio esisteva
qui un recinto in legno, eretto per i ludi ginnici sotto Cesare e
Augusto, e la destinazione pubblica era stata confermata da Nerone,
che vi aveva fatto costruire un anfiteatro per i ludi quinquennali. Sullo
stadio sorsero, dal sec. VIII, alcuni oratorî, alla metà del XIII case e
torri; nel Rinascimento si edificarono chiese e palazzi sulla piazza,
dove dal 1477 fu trasferito il mercato del Campidoglio e che fu
ammattonata sotto Innocenzo VIII. Il nome della piazza originerebbe,
per corruzione, dai giochi agonali (in agone, nagone, navone, navona)
che vi si tenevano, ma probabilmente influirono la forma allungata e
l’usanza, sviluppatasi dal sec. XVII al XIX, di allagarne il fondo concavo
per le sfilate degli equipaggi dei prelati e dei principi in agosto, o su
carrozze addobbate per il Carnevale.

LA FONTANA DEL MORO è la prima delle tre che, alimentate


dall’Acqua Vergine (per l’inquadramento →), la ornano lungo la linea
mediana. È così detta dalla statua dell’Etiope in lotta con un delfino
scolpita da Giovanni Antonio Mari (1654) su bozzetto di Gian Lorenzo
Bernini e su commissione di Olimpia Maidalchini, che l’aveva pensata
per arricchire la vasca polilobata eseguita da Giacomo Della Porta per
Gregorio XIII nel 1575-76. I tritoni e gli altri ornamenti sono copie di
Luigi Amici (1874) poste in sostituzione degli originali trasferiti al
giardino del Lago di villa Borghese →; le quattro maschere, anch’esse
copie degli originali ora nel summenzionato giardino, che si alternano
ai tritoni provenivano dalla fontana che il Della Porta aveva eretto nel
1573 in piazza del Popolo e che fu rimossa da Giuseppe Valadier nel
1823. La piscina scavata attorno alla vasca è di Bernini su disegno di
Francesco Borromini.

IL PALAZZO LANCELLOTTI già Torres (N. 114; Pirro Ligorio, 1552) ha


un bel cortile porticato adorno di rilievi e stucchi antichi e sale
affrescate da Agostino Tassi e dal Guercino (Allegorie e storie di
Rinaldo e Armida, 1621-23).

LA *FONTANA DEI FIUMI, che domina al centro la piazza, fu eretta


nel 1651 da Gian Lorenzo Bernini, che si conquistò così il favore di
Innocenzo X dapprima a lui ostile, ed è sormontata da un obelisco,
imitazione romana del tempo di Domiziano, proveniente dal circo di
Massenzio. Nel mezzo del bacino, alimentato da otto veli d’acqua,
sorge il basamento a scogliera tetrapode con un leone e un cavallo
all’abbeverata; agli angoli siedono le personificazioni colossali del Nilo
(Giacomo Antonio Fancelli), del Gange (Claude Poussin), del Danubio
(Ercole Antonio Raggi) e del Rio della Plata (Francesco Baratta), ai
gesti delle quali la tradizione attribuisce infondatamente significati di
rivalità tra Bernini e Borromini.
LA FONTANA DEL NETTUNO, sul lato N della piazza, era detta dei
Calderari (il bacino e la vasca polilobati sono di Giacomo Della Porta,
1576) e rimase disadorna finché, per simmetria con quella del Moro,
non furono collocate nel 1878 le sculture di Antonio Della Bitta
(Nettuno lotta con una piovra) e di Gregorio Zappalà (nereidi, putti e
cavalli marini).

LA CHIESA DI *S. AGNESE IN AGONE, sul lato O della piazza, è sorta


tra il sec. VIII e il 1123 sul luogo in cui, secondo la tradizione, la santa
fu esposta nuda alla gogna e fu ricoperta dai suoi capelli scioltisi per
prodigio. L’attuale costruzione fu iniziata da Girolamo e Carlo Rainaldi
nel 1652 sotto Innocenzo X e ultimata da Francesco Borromini (1653-
57), che la modificò sensibilmente determinando la facciata concava a
ordine unico di pilastri e colonne, sormontata dall’alta cupola; i
campanili gemelli, su disegno di Borromini, furono realizzati da
Antonio Del Grande e Giovanni Maria Baratta.

L’INTERNO, splendente di ori e marmi, conserva dei Rainaldi la


pianta a croce greca, col braccio trasversale più lungo di quello
longitudinale, e le nicchie sulla crociera. La cupola, sorretta da otto
colonne di cottanello, fu affrescata (Gloria del Paradiso) da Ciro Ferri
nel 1689, i pennacchi (Virtù cardinali) dal Baciccia (1665). Ai sette
altari, partendo da d.: Morte di S. Alessio di Giovanni Francesco Rossi;
S. Agnese tra le fiamme (statua) e Martirio di S. Emerenziana (rilievo)
di Ercole Ferrata; Sacra famiglia e angeli (altare maggiore) di
Domenico Guidi; Martirio di S. Cecilia di Ercole Antonio Raggi; S.
Sebastiano, statua di Pietro Paolo Campi; S. Eustachio tra le belve,
rilievo di Merchiorre Caffà ultimato dal Ferrata. Sopra l’ingresso,
monumento di Innocenzo X (sepolto con altri membri della famiglia
Pamphilj in una cripta a sin. dell’altare maggiore) di G.B. Maini (1730).
Nel sotterraneo (vi si accede da una porta nella parete d. del
secondo altare), resti del circo di Domiziano (v. sopra) e pavimento
romano a mosaico; alle pareti affreschi medievali, all’altare Miracolo
dei capelli di S. Agnese, rilievo marmoreo di Alessandro Algardi
(1653).
A FIANCO DELLA CHIESA. A sinistra si appoggia l’ampia e piatta
facciata del palazzo Pamphilj, eretto da Girolamo Rainaldi nel 1644-50
e oggi sede dell’ambasciata del Brasile, della Casa del Brasile e del
Centro di Cultura Italo-Brasiliano; gli ambienti del piano nobile furono
affrescati da Giacinto Gimignani e allievi (SALE DI GIUSEPPE EBREO, DI
MOSÈ, DELLA STORIA ROMANA), Agostino Tassi (SALA DELLE MARINE), Andrea
Camassei (SALA DI BACCO), Gaspard Dughet (SALA DEI PAESI), Giacinto
Brandi (SALA DI OVIDIO) e Pietro da Cortona (nel SALONE, storie di Enea,
1651-54).
A destra, invece, il Collegio Innocenziano (ingresso al N. 30 della
retrostante via di S. Maria dell’Anima), su disegno, in parte modificato,
di Borromini (1654); al piano nobile, il SALONE DELLA BIBLIOTECA ha la
volta affrescata da Francesco Cozza. Costeggiando il fianco d. del
collegio si raggiunge la quattrocentesca torre Millina, dalla fortezza e
successivo palazzo dei Mellini o Millini, coronata da beccatelli con
caditoie e merli guelfi e col nome segnato a grandi caratteri.

LA CHIESA DI NOSTRA SIGNORA DEL SACRO CUORE già S. Giacomo


degli Spagnoli, sul lato E di piazza Navona, fu eretta forse da Bernardo
Rossellino in sostituzione di una precedente per il vescovo Alfonso
Paradinas in occasione del giubileo del 1450; restaurata da Antonio da
Sangallo il Giovane, venne di nuovo officiata nel 1879 in seguito al
rifacimento di Luca Carimini. Con l’apertura di corso del Rinascimento
→ la chiesa venne mutilata del transetto, riacquistando però
l’orientamento originario. La facciata sulla piazza, che si deve ad
Alessandro VI, conserva di antico la parte inferiore (quella superiore
risale al rifacimento del Carimini), tripartita da lesene e con tre portali,
di cui quello mediano con contorno finemente lavorato e ornato nel
timpano da angeli opera di Mino del Reame (firma a d.) e di Paolo
Taccone (firma a sin.).

L’INTERNO, con doppio accesso (quello principale è da corso del


Rinascimento N. 27), è del tipo «Hallenkirche»: tre navate di uguale
altezza, con volte a crociera, divise da pilastri lobati. 1ª cappella d.:
volta a stucchi con affreschi di Baldassarre Croce. Nella 3ª campata,
*cantoria rinascimentale in marmi policromi di Pietro Torrigiano.
Dietro l’altare maggiore, fondale marmoreo tripartito alla serliana di
Pietro e Domenico Rosselli (inizi sec. XVI). 2ª cappella sin. (di S.
Giacomo), opera del Sangallo il Giovane, con ampia arcata di accesso,
volta a botte con cassettonato in stucco e pareti ripartite da lesene
marmoree scanalate con ricchi capitelli compositi: la statua di S.
Giacomo è copia in gesso dell’originale di Jacopo Sansovino, ora nella
chiesa di S. Maria in Monserrato; gli affreschi laterali sono di Pellegrino
da Modena.

VIA DEI BANCHI VECCHI, PIAZZA FARNESE E CAMPO DE’ FIORI

VIA DEI BANCHI VECCHI, che da largo Tassoni si diparte sul lato S
di corso Vittorio Emanuele II →, è parte della «via Peregrinorum» (per
l’inquadramento →) e così chiamata dagli uffici che i banchieri vi
avevano nel sec. XV; costeggiato a sin. un fianco del palazzo Sforza
Cesarini →, s’incontrano al N. 123 il cinquecentesco palazzo degli
Accetti poi Muti, Del Nero, Strozzi e Guerrieri, con piano terreno
bugnato e botteghe, e (N. 22) il palazzo cosiddetto dei Pupazzi (1538-
40), casa del milanese Giovan Pietro Crivelli: la stretta facciata, con
quattro finestre per piano (tre prima dell’estensione sulla d.), è
elegantemente decorata da stucchi, attribuiti a Giulio Mazzoni, in
ciascuno dei piani superiori a eccezione del quarto, ripartito da
semplici paraste.
Nell’edilizia quattro-cinquecentesca del tratto successivo spicca al
N. 14 l’incompiuto palazzo del Vescovo di Cervia, attribuito ad Antonio
da Sangallo il Giovane, con vigorosa bugnatura d’angolo, fascia
marcapiano a greca e finestre sormontate da timpano al primo piano.
Forse a fine sec. XII risale la vicina chiesa di S. Lucia del Gonfalone,
riedificata nel 1511 e nuovamente nel 1764 da Marco David in forme
tardo-barocche; nell’interno a navata unica coperta a volta e con tre
cappelle per lato, decorato da Francesco Azzurri nel 1859-66 (gli
affreschi sono di Cesare Mariani), all’altare maggiore Madonna del
Gonfalone, tavola cinquecentesca entro ricca cornice dorata, e alla 2ª
cappella sin. un Crocifisso ligneo del sec. XVI.
VIA DEL PELLEGRINO, che si diparte a sin. dal successivo largo
compreso tra i vicoli del Malpasso e della Moretta, è percorso antico
che venne sistemato da Sisto IV nel 1483 e ampliato nel 1497 da
Alessandro VI. Nella quinta continua di edifici spiccano (numeri 66-65)
due case del sec. XVI, con resti assai danneggiati di dipinti forse di
Daniele da Volterra, e poco oltre, in angolo con l’arco di S. Margherita,
un tabernacolo in stucco con Madonna e il Bambino, putti e
medaglione di S. Filippo Neri, opera di Francesco Moderati del 1716.
VIA DI MONSERRATO, lungo la quale dal largo si continua, è così
detta dal celebre santuario spagnolo e, lasciata a sin. la casa di Pietro
Paolo della Zecca (c. 1470) dalle piccole finestre centinate e dalla
loggia sommitale, conduce tra edifici sei-settecenteschi (il palazzo
Incoronati de Planca al N. 152 è del ’500) in piazza de’ Ricci. La chiude
a d. la facciata, su cui è ancora visibile l’affresco di Maturino da
Firenze e Polidoro da Caravaggio (c. 1525), di palazzo Ricci (prima
metà sec. XVI), attribuito senza fondamento a Nanni di Baccio Bigio
forse per confusione con l’omonimo palazzo poi Sacchetti e ampliato
nel 1634 con la facciata su via Giulia; restauri hanno rimesso in luce,
in un salone al primo piano, affreschi (Virtù) di fine sec. XVI. Contigua
al palazzo è la chiesa di S. Giovanni in Ayno, fondata nel XII ma
sconsacrata nel XX, con facciatina rinascimentale.
Via di Monserrato incontra (N. 34) palazzo Capponi poi Dall’Olio e
Antonelli (sec. XVI). Avanti a d. è la chiesa di S. Maria in
Monserrato, iniziata su progetto di Antonio da Sangallo il Giovane
dal 1518, compiuta nel 1673-75 quale chiesa degli Aragonesi e dei
Catalani (ora è chiesa nazionale degli Spagnoli), e rimaneggiata da
Giuseppe e Pietro Camporese il Giovane (1820-21). La facciata è a
due ordini: l’inferiore (Francesco da Volterra, 1582-84), a lesene
corinzie, è assai movimentato, con nicchie nelle campate laterali e
portale settecentesco tra colonne, coronato dal gruppo della Madonna
e il Bambino che sega la roccia (allusione alla montagna del santuario
catalano di Montserrat); l’ordine superiore, a intonaco, fu sistemato da
Salvatore Rebecchini nel 1929-35.

ALL’INTERNO la navata unica, con cappelle laterali e vasta abside,


è partita da alte lesene di ordine composito e coperta da volta a botte;
la decorazione ottocentesca è di Giuseppe Camporese. 1ª cappella d.:
*S. Diego d’Alcantara di Annibale Carracci; a d. tomba di Alfonso XIII,
ultimo re di Spagna prima del franchismo, e, sopra, monumenti di
Callisto III e di Alessandro VI, qui deposti nel 1881, di Felipe Moratilla.
2ª: Annunciazione di Francesco Nappi (sue la Nascita di Maria e
l’Assunzione alle pareti). 3ª: Madonna del Pilar e santi di Francisco
Preciado. Altare maggiore: Crocifissione del Sermoneta. 3ª cappella
sin.: *S. Giacomo, statua di Jacopo Sansovino dalla chiesa di Nostra
Signora del Sacro Cuore; alle pareti, monumenti funebri di scuola di
Andrea Bregno. 1ª: S. Anna, la Vergine e il Bambino, gruppo
marmoreo di Tommaso Boscoli (1544); al pilastro d., tabernacolo
marmoreo attribuito a Luigi Capponi.
Nel PORTICO dell’annesso Collegio Spagnolo, monumenti funebri
dei sec. XV-XVI; nella SALA DELLE CONFERENZE, monumento funebre con
busto del cardinale Pietro Montoya di Gian Lorenzo Bernini (c. 1621).

PIAZZA DI S. CATERINA DELLA ROTA. Edifici rinascimentali (al N. 105


palazzo Giangiacomo, con portale inquadrato da colonne doriche e
balcone con finestrone tra pilastri bugnati aventi per capitelli teste di
cariatidi) e, ai numeri 94-97, una casa settecentesca che include i resti
della Corte Savella (le prigioni dei Savelli poi sostituite dalle Carceri
Nuove) affacciano sul segmento di via di Monserrato che immette in
piazza di S. Caterina della Rota. La chiesa omonima, già esistente nel
1186, fu restaurata a fine sec. XVI e nuovamente nel 1730, epoca alla
quale risale la facciata (nell’interno, pregevole soffitto ligneo di fine
’500; al 1° altare d., Fuga in Egitto di Girolamo Muziano; al 3° sin.,
Annunciazione di scuola tosco-romana del sec. XVI).
Il lato NE della piazza è chiuso dal Collegio Inglese, fondato da
Gregorio XII, nel quale è la chiesa di S. Tommaso di Canterbury già
SS. Trinità degli Scozzesi, costruita nel sec. VIII, riedificata nel 1575,
nel 1685 dal cardinale Filippo Tommaso Howard di Norfolk e dal 1866
su disegno di Pietro Camporese il Giovane (il portale neoromanico fu
realizzato da Luigi Poletti e Virginio Vespignani); l’interno a tre navate
e matronei accoglie la tomba del cardinale Cristoforo Bainbridge
(1514) e il monumento funebre di Tommaso Dereham di Ferdinando
Fuga, con sculture di Filippo Della Valle (1739), mentre sull’altare
maggiore si trova una SS. Trinità di Durante Alberti.
S. GIROLAMO DELLA CARITÀ. All’inizio dell’ultimo tratto di via di
Monserrato, e con un fianco sulla piazza, si erge la chiesa, sorta
secondo la tradizione sull’area ove nel 382 dimorò il santo e legata al
ricordo di S. Filippo Neri, che vi fondò il proprio istituto abitando nel
convento attiguo; l’attuale corpo di fabbrica venne ricostruito da
Domenico Castelli dal 1654, mentre la facciata barocca a due ordini è
di Carlo Rainaldi (1660).

L’INTERNO a navata unica conserva un ricco soffitto ligneo a


cassettoni (1654-60). 1ª cappella d. (Spada; 1660), una delle ultime
opere di Francesco Borromini: *decorazione in marmi policromi
imitanti tappezzerie; originalissima balaustrata a drappo sorretto da
angeli (Antonio Giorgetti); sull’altare, Madonna col Bambino, affresco
di ambito senese (sec. XV); alle pareti, tombe di Orazio Spada (d.;
Ercole Ferrata) e di Tommaso Spada (sin.; Cosimo Fancelli). 2ª:
Crocifisso ligneo del sec. XV. Transetto destro: monumento funebre del
conte Asdrubale di Montauto, su disegno di Pietro da Cortona (1629).
Cappella a d. dell’altare maggiore (Marescotti): Sacra famiglia e santi
di Durante Alberti (suoi gli affreschi della volta e della lunetta, 1605).
Altare maggiore, su disegno del Rainaldi (1660): Comunione di S.
Girolamo, copia di Vincenzo Camuccini dell’originale del Domenichino
oggi in Vaticano. Cappella a sin. dell’altare maggiore (Antamoro), su
disegno di Filippo Juvarra (1708): S. Filippo Neri, scultura di Pierre
Legros; scene della vita del santo, rilievi di Camillo Rusconi. 1ª
cappella sin.: Consegna delle chiavi di Girolamo Muziano.

PIAZZA FARNESE. Superato al N. 61 il cinquecentesco palazzo


Fioravanti, con portale tra colonne di travertino e bel cornicione, si
sbocca in questo vasto ma tranquillo ambiente, ornato di due
*fontane gemelle la cui composizione è ascritta a Girolamo Rainaldi:
l’acqua zampilla dai gigli farnesiani per ricadere prima in piccoli bacili
marmorei sorretti da vasi con quattro teste, poi in due colossali
vasche di granito egizio provenienti dalle terme di Caracalla e infine
nei sottostanti bacini mistilinei.
Vi prospetta da SO il *palazzo Farnese, primo e ultimo
(rispettivamente in termini volumetrici e cronologici) degli edifici del
Rinascimento romano e grandiosa conclusione, in clima già manierista,
del percorso architettonico iniziato dal palazzo di Venezia.

ALLA FABBRICA DIEDE INIZIO nel 1517, per il cardinale Alessandro


Farnese (il futuro Paolo III), Antonio da Sangallo il Giovane, anche se i
primi studi, sul preesistente palazzo Ferriz, risalgono al 1514; alla
morte del fiorentino venne continuata da Michelangelo (1546-49) e
dal Vignola (1569-73), e completata nel 1589 da Giacomo Della Porta.
Del Sangallo sono le facciate sulla piazza e sulle vie laterali, esclusi il
cornicione e la balconata centrale che, con parte del secondo e tutto il
terzo ordine del cortile, sono ascrivibili a Michelangelo; del Vignola la
facciata posteriore, terminata dal Della Porta. Il palazzo, passato ai
Borbone di Napoli e oggi sede dell’ambasciata di Francia, ha avuto
restauri che si sono conclusi nel maggio 1999.

L’ESTERNO. Il maestoso prospetto, serrato agli angoli da robusta


bugnatura, è diviso orizzontalmente in tre piani da cornici (marcapiani
e soglia del davanzale) decorate con i gigli farnesiani: sei aperture per
lato fanno ala nel pianterreno al portale con bugne ad arco; al primo
piano altrettante aperture, con semicolonne e timpani
alternativamente tondi e triangolari, racchiudono la michelangiolesca
loggia architravata con doppie colonne, sormontata dal grandioso
stemma Farnese; le 13 finestre del secondo piano sono a timpano
triangolare. Corona l’edificio lo splendido *cornicione, decorato
anch’esso dai gigli e proporzionato non all’ultimo ordine ma all’intera
fabbrica.
La facciata posteriore, che guarda su via Giulia, presenta nella
parte mediana un elegante partito architettonico a tre ordini di triplici
arcate, separate da semicolonne (con finestre nelle arcate chiuse) e
da lesene: l’ultimo, più slanciato, ha arcate aperte a formare una
loggia sulla vicina strada.

ALL’INTERNO si entra attraverso il magnifico *ATRIO del Sangallo,


diviso da colonne di granito rosso in tre navate (la centrale con volta a
botte e le laterali con copertura in piano, tutte con lacunari
ornatissimi), passando poi nel *CORTILE: questo è circondato da un
portico ad arcate su pilastri, cui si addossano semicolonne doriche,
sormontato da due piani (il primo ripartito da un ordine di
semicolonne ioniche, il secondo da lesene corinzie) e con finestre a
timpano nelle campate; ai lati del portico di fondo, sarcofagi
provenienti dalla tomba di Cecilia Metella (d.) e dalle terme di
Caracalla (sin.). Oltre il cortile un ANDITO a lesene doriche, con nicchie
ai lati, coperto da volta a botte con cassettoni ornati dai gigli Farnese,
conduce al SOTTOPORTICO della facciata posteriore, dove, nei nicchioni
laterali, sono composizioni di sculture e di frammenti architettonici
romani.
Al piano nobile è la celebre *GALLERIA, lunga 20 m e larga 6: le
pareti sono ritmate da lesene in stucco con capitelli dorati alternate a
nicchie con busti marmorei, da porte e da finestre sopra le quali sono
riquadri affrescati dal Domenichino; la volta a botte e i lunettoni delle
pareti minori sono scompartiti in riquadri, simulanti dipinti entro
cornici, che sono applicati alla volta o appoggiati alla trabeazione in
stucco lungo le pareti, oppure incassati nel bellissimo fregio (erme,
telamoni, maschere e balaustre) animato da figure di ignudi che
reggono festoni. La galleria fu affrescata nel 1597-1604 da Annibale
Carracci, con l’aiuto del fratello Agostino e con la collaborazione del
Domenichino e di Giovanni Lanfranco, con il *Trionfo dell’Amore
sull’universo, che segna il passaggio dalla stanca decorazione
manierista del tardo ’500 a quella barocca; le principali raffigurazioni
sono: nel mezzo della volta, Trionfo di Bacco e Arianna con, ai lati,
Pan e Selene e Mercurio e Paride; nelle pareti minori, in alto, Polifemo
e Galatea e Polifemo e Aci; contro il fregio, verso le finestre, Diana ed
Endimione, Cefalo e Aurora e Venere e Anchise; sul lato opposto,
Ercole e Onfale, tritone e nereidi e Giove e Giunone.
Il grandioso SALONE presenta un ricchissimo soffitto a cassettoni,
alle pareti sono arazzi riproducenti affreschi raffaelleschi delle Stanze
vaticane e, ai lati del monumentale camino, l’*Abbondanza e la *Pace
di Giacomo Della Porta; l’attigua SALA DEI FASTI FARNESIANI è decorata ad
affresco da Francesco Salviati e Taddeo Zuccari.

LA QUINTA ARCHITETTONICA DI PIAZZA FARNESE è completata dalla


chiesa di S. Brigida (sec. XVIII), a navata unica e con volta a botte
affrescata da Biagio Puccini, e (N. 44) dal palazzo del Gallo di
Roccagiovine già Pighini, elegante architettura settecentesca di
Alessandro Specchi.

PIAZZA DELLA QUERCIA. Vicolo de’ Venti, che si diparte a sin. di


palazzo Farnese e dove sono (numeri 5-9) tre case rinascimentali, si
apre a sin. in questo altro spazio, ornato dalla chiesa di S. Maria della
Quercia (nel 1727 Filippo Raguzzini la ricostruì con impianto centrale e
con facciata convessa a un solo ordine sormontato da un alto attico) e
al N. 1 dall’elegante palazzetto Ossoli, attribuito a Baldassarre Peruzzi
(c. 1525): la facciata è composta al piano terreno da bugnatura liscia
salvo che sulla porta, e nei due piani superiori è ripartita da lesene (il
piano sopra il cornicione è recente).
*PALAZZO SPADA, che delimita il lato SO della contermine piazza
Capo di Ferro, fu costruito attorno al 1548-50 per il cardinale Girolamo
Capodiferro da Giulio Merisi, Girolamo da Carpi e Giulio Mazzoni,
passando al cardinale Bernardino Spada e venendo rinnovato da
Francesco Borromini; acquistato dallo Stato nel 1927, è oggi sede del
Consiglio di Stato. L’elegante facciata è arricchita da decorazioni in
stucco del Mazzoni (1556-60): il piano terreno, molto alto, è a bugne
lisce, mentre al primo, tra le finestre, otto nicchie coronate da timpano
ospitano, da sin., le statue di Augusto, Cesare, Marcello, Numa,
Romolo, Fabio Massimo, Gneo Pompeo e Traiano; seguono un
ammezzato ornatissimo (figure, festoni di stucco, medaglioni tra le
finestre quadre e, nel mezzo, grande stemma Spada retto da due
Virtù) e un ultimo piano con otto riquadri tra le finestre, con iscrizioni
riferentisi alle corrispondenti statue del primo piano.

INTERNO. Il *CORTILE porticato è ancor più riccamente decorato di


stucchi del Mazzoni: finissimi rilievi (Centauromachia e Caccia alle
fiere) nelle fasce sotto i davanzali del primo e del secondo piano;
statue di divinità mitologiche e di geni nelle nicchie, e stemmi sorretti
da efebi al primo piano; chimere, satiri e figure alate reggenti festoni
all’ammezzato.
Al centro del lato sin. del cortile si apre sulla biblioteca una
grande vetrata, attraverso la quale si vede la *GALLERIA PROSPETTICA di
Borromini: l’effetto di profondità illusiva dello spazio è ottenuto
accentuando la fuga prospettica con il pavimento in salita, le pareti
convergenti e la volta in discesa, mentre in dimensioni e altezza le
colonne tuscaniche si rimpiccioliscono verso il fondo; lo spazio appare
così assai più lungo dei 9 m reali.
Il PIANO NOBILE è occupato dal Consiglio di Stato (visita con speciale
permesso del segretariato generale): alle pareti del CORRIDOIO DEI
BASSORILIEVI, otto rilievi di marmo e due in gesso (da sin.: 1, Paride nel
momento che precede il giudizio; 2, Mito di Pasifae che fa fabbricare a
Dedalo la vacca; 3, Morte di Opheltes; 4, Anfione e Zeto; 5, Paride
saluta la moglie Enone; 6, Adone ferito circondato da cani; 7, Ratto
del Palladio e il principio della discordia tra Ulisse e Diomede; 8,
Bellerofonte abbevera Pegaso); nella volta a botte del CORRIDOIO è
dipinta una meridiana catottrica, basata sulla rifrazione della luce; il
CORRIDOIO DEGLI STUCCHI conserva ricchi altorilievi incornicianti tele e
affreschi. Tra le sale, magnifiche per la decorazione e per i soffitti
della scuola del Mazzoni, notevoli gli affreschi del SALONE DELLE ADUNANZE
GENERALI, opera di Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli (1635); in
esso è collocata la *statua di Pompeo, cosiddetta dal luogo di
rinvenimento in via dei Leutari, dove in antico si trovava la casa del
condottiero: datata al principio dell’Impero ma non ancora identificata,
venne donata da Giulio III al cardinale Capodiferro nel 1552-53.

GALLERIA SPADA. In fondo al cortile di palazzo Spada, per un


androne che conduce al giardino (la cancellata decorata di termini e il
balcone su due colonne sono di Borromini) e per una porticina sulla
sin. si sale alla piccola ma importante collezione d’arte (t. 066861158;
www.galleriaborghese.it), nata per volere del cardinale Bernardino;
essa conserva tuttora il caratteristico aspetto di raccolta patrizia del
sec. XVII, e i quadri, per la massima parte del ’600, sono ordinati in
modo da dare risalto al loro valore decorativo.

TRA LE OPERE DELLA GALLERIA. SALA I: Nature morte di Onofrio


Loth; Battaglie del Borgognone; Paesaggi di Gaspard Dughet,
Domenico Roberti, Hendrick Frans van Lint; Rovine romane di Viviano
Codazzi; Ritratti del Domenichino, di Vincenzo Camuccini, Guido Reni,
del Guercino, di Giovanni Maria Morandi, Sebastiano Ceccarini;
Incontro di Bacco e Arianna di Giuseppe Chiari; S. Francesco d’Assisi
di Orsola Caccia; Mercurio affida Bacco alle ninfe del Chiari; Davide di
Giovanni Domenico Cerrini; Apollo e Dafne del Chiari; Carità romana di
Niccolò Tornioli; gli imperatori Claudio, Domiziano, Nerone, Caligola,
Tiberio e Vespasiano di Lazzaro Baldi; Latona trasforma in rane i
pastori della Licia del Chiari; S. Giovanni di Dio tra gli appestati e S.
Ignazio di Loyola del Baldi; Schiavo di Ripa Grande del Reni; S.
Girolamo del Cerano; Sacrificio di Mirtillo del Tornioli; S. Antonio abate
di Filippo Lauri.
SALA II: due tavoli del 1695 con piano impiallacciato in diaspro di
Sicilia, sorretti da una struttura lignea con due aquile dorate (su una,
testa di Laocoonte, copia di impronta berniniana della celebre scultura
ellenistica); le pareti lunghe recano in alto due frammenti di un fregio
su tela (Perin del Vaga) destinato a formare la zoccolatura al Giudizio
universale nella Cappella Sistina. Ritratti di Leandro Bassano,
Bartolomeo Passarotti, Domenico Tintoretto, Jan van Scorel, Hans
Dürer; Scene di genere del Mastelletta; Davide re del Passarotti;
Astrologo di Prospero Fontana; Botanico del Passarotti; Mosè fa
scaturire le acque dalla rupe e Passaggio del Mar Rosso del
Mastelletta; S. Sebastiano di Fiorenzo di Lorenzo; Andata al Calvario
ed Eterno benedicente di Marco Palmezzano; Madonna con Bambino e
S. Giovannino di G.B. Bertucci; Cristo portacroce di Girolamo
Marchesi; Teste del Parmigianino; Cleopatra di Lavinia Fontana; S.
Cristoforo e S. Luca di Amico Aspertini; Madonna con Bambino di
Bartolomeo Cesi. Davanti alla finestra, tabernacolo in noce intagliato e
dorato, fatto realizzare dal cardinale Bernardino da Andrea Battaglini
(1636-39), con bassorilievo cinquecentesco dell’Annunciazione.
SALA III: ricco soffitto decorato da Michelangelo Ricciolini (1699)
con Allegorie degli Elementi, delle Quattro Stagioni e dei Continenti;
sulle mensole e sugli sgabelli, busti e sculture (notevole, a sin. della
porta d’ingresso, un Ritratto muliebre del sec. II); nel centro, globi
blaviani (terrestre e celeste) del 1622 e 1616 ed, entro culla di legno,
il Sonno, marmo di scuola di Alessandro Algardi. Paesaggi di Nicolò
dell’Abate, Jan Brueghel dei Velluti; Ritratti di Jacob Ferdinand Voet,
Pieter Paul Rubens, Marco Benefial; Allegorie di Luigi Garzi,
Sebastiano Conca e Pietro Testa; Astronomi di Niccolò Tornioli;
Primavera di Carlo Cignani; Bacco di Pier Francesco Mola; Vestali di
Ciro Ferri; Saccheggio di un villaggio di Peter Snyers; Veduta di una
spiaggia a lume di luna di Egbert van der Poel; Morte di Cleopatra e
Morte di Marcantonio di Domenico Maria Muratori; Caino e Abele del
Tornioli; *Borea rapisce Orytia di Francesco Solimena; Borea rapisce
Orytia di Giovanni Francesco Romanelli; Sacra famiglia del Tornioli; S.
Lucia di Francesco Furini; *Cristo e la samaritana del Baciccia;
Ingresso di un poeta nel Parnaso di Lazzaro Baldi; *Morte di Didone
del Guercino; *Trionfo del Nome di Gesù, bozzetto del Baciccia per
l’affresco della chiesa del Gesù; *Festino di Marcantonio e Cleopatra di
Francesco Trevisani; Autoritratto di Antonio Carracci; Sacrificio di
Ifigenia del Testa. Davanti alla finestra della parete di fondo, Statua di
filosofo seduto, copia romana (sec. I a.C.-I d.C.) da originale greco
forse del IV a.C. (testa non pertinente).
SALA IV: S. Cecilia di Artemisia Gentileschi; Cristo tentato dal
demonio di Mattia Preti; Sosta all’osteria di Pieter van Laer;
All’abbeveratoio di Michelangelo Cerquozzi; Astronomia di G.B. Magni;
Cherubini dello Spadarino; David di Orazio Gentileschi; Assalto nella
foresta del van Laer; Morte del somaro del Cerquozzi; Amore divino
atterra Amore profano di François Duquesnoy; *Rivolta di Masaniello
del Cerquozzi; S. Giovanni evangelista di Nicolas Tournier; Parnaso di
Lazzaro Baldi; Mercato di Willem Reuter; Madonna con Bambino della
Gentileschi; Cristo e la donna adultera del Preti; *Natura morta con
candela di Lubin Baugin; Assalto al cascinale del van Laer; Madonna
con Bambino di Bartolomeo Cavarozzi; *Pietà di Orazio Borgianni;
Naufragio del van Laer; Davide con la testa di Golia di Bartolomeo
Manfredi, ma attribuito anche a Nicolas Régnier; Maddalena di Gian
Gioseffo Dal Sole; Notturno del van Laer; Viandante e pastori del
Cerquozzi; Erodiade con la testa di S. Giovanni Battista e Sacra
famiglia con S. Giovannino di Valentin de Boulogne; S. Girolamo di
Hendrick van Somer. Sulle mensole, Busto di fanciullo (età giulio
claudia) e Deposizione attribuita a Teodoro Della Porta (1602);
davanti alla finestra, Statuette di fanciullo indossante il pallio filosofale
di età romana e, al centro della stanza, urna cineraria (sec. II).
LUNGO VIA CAPO DI FERRO, a sin. di palazzo Spada, s’incontra al N.
7 il palazzetto Spada, attribuito a Baldassarre Peruzzi, con facciata a
membrature architettoniche in peperino su paramento di mattoni a
vista: l’alto portale centinato e a bugne (Ottaviano Mascherino?) è
affiancato da arcate con aperture per botteghe; al primo piano sono
finestre architravate fra eleganti lesene ioniche sorreggenti una
trabeazione, all’ultimo solo semplici aperture.
Al termine della via è la chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini,
concessa nel 1558 da Paolo IV all’arciconfraternita dei Pellegrini e
Convalescenti e ricostruita nel 1603-1616 su disegno di Paolo Maggi;
di Francesco De Sanctis (1723) è la facciata leggermente concava, a
due ordini di sei colonne corinzie e composite (nelle nicchie,
evangelisti di Bernardino Ludovisi).

L’INTERNO, a vasta navata e tre cappelle per lato, fu rimaneggiato


nel 1853 da Antonio Sarti. 3ª cappella d.: storie di S. Giulio di G.B.
Ricci. Crociera destra: S. Matteo e l’angelo di Jacopo Cobaert e
Pompeo Ferrucci (1614). Nei peducci della cupola, evangelisti del
Ricci; nel lanternino, Eterno Padre di Guido Reni (1612). Altare
maggiore: SS. Trinità del Reni (c. 1625); ai lati, candelieri in bronzo di
Orazio Censore (1616). Crociera sinistra: venerata Immagine mariana
inserita entro un S. Giuseppe e S. Benedetto del Ricci (1616). 3ª
cappella sin.: Messa di S. Gregorio di Baldassarre Croce. 2ª: Madonna
con Bambino e i Ss. Agostino e Francesco del Cavalier d’Arpino. 1ª:
Madonna col Bambino e santi del Borgognone (1677). In sagrestia,
Annunciazione del Ricci e Messa di S. Gregorio di Jacopo Zucchi.

VIA DI S. PAOLO ALLA REGOLA costeggia a sin. il fianco posteriore


del palazzo del Monte di Pietà → e a d. l’edificio, totalmente estraneo
al contesto, costruito nel 1955-65 a sutura di uno sventramento del
1940, sboccando nell’omonima piazza e presso la chiesa di S. Paolo
alla Regola, fondata secondo la tradizione sulla casa ove abitò il santo
e riedificata a fine sec. XVII da G.B. Bergonzoni; la facciata,
movimentata dal leggero andamento concavo-convesso, fu disegnata
da Giacomo Cioli (sua la parte inferiore) e ultimata da Giuseppe Sardi
nel 1721.

L’INTERNO è a croce greca sormontata da cupola, con quattro


cappelle agli angoli con cupole minori. 1ª cappella d.: alla parete d.,
Martirio di S. Erasmo di Biagio Puccini. Altare destro: Stimmate di S.
Francesco di Michele Rocca (1695). Oratorio di S. Paolo: S. Tommaso
d’Aquino del Puccini (suo il S. Bonaventura sopra la porta d’accesso).
Cappella maggiore: Conversione, Predicazione e Martirio di S. Paolo,
affreschi di Luigi Garzi. Sagrestia: volta affrescata da Ignaz Stern
(Gloria della Vergine e i Ss. Paolo e Giovanni Crisostomo). 3ª cappella
sin.: Madonna delle Grazie, affresco del sec. XV. 2ª: Sacra famiglia con
S. Anna di Giacinto Calandrucci. 1ª: S. Antonio di Padova del
Calandrucci.

S. MARIA IN MONTICELLI. Al termine di via di S. Paolo alla Regola


è il pittoresco complesso delle case di S. Paolo (sec. XIII), con
portichetto, loggia (rocchi di colonne e capitelli romani, monofore
trilobate di peperino e bifora) e una torre con loggia sommitale; da qui
si stacca verso N la via che prende nome dalla chiesa di S. Maria in
Monticelli, di antiche origini, restaurata da Pasquale II (1101),
trasformata per Clemente XI da Matteo Sassi (1715) e nuovamente
restaurata nel 1860 da Francesco Azzurri. La movimentata facciata
settecentesca, opera del Sassi, è a due ordini di colonne e lesene, con
corpo mediano convesso comprendente un atrio sormontato da
balaustra.

L’INTERNO, a tre navate separate da pilastri, presenta tre cappelle


per lato. 2ª destra: Flagellazione di Antonio Carracci. Cappella
maggiore: nel presbiterio, decorazione ad affresco di Cesare Mariani
(1860); nell’abside, Testa del Redentore, frammento di mosaico del
sec. XII. 3ª cappella sin.: Predicazione del Battista di G.B. Puccetti; a
d., Madonna con Bambino e santi attribuita a Sebastiano Conca. 2ª:
*Crocifisso trecentesco. 1ª: Flagellazione di Jean-Baptiste Van Loo.

S. CARLO AI CATINARI. Via della Seggiola, che scende a d.


costeggiando un fianco del palazzo del Ministero di Grazia e Giustizia
(Pio Piacentini, 1913-32; la biblioteca specializzata riunisce 250000
volumi e c. 3000 cinquecentine), conduce nella trafficata via
Arenula, il cui nome deriva dalla spiaggia della Renella lungo il
Tevere e la cui apertura data al 1886-88. Il tratto di d. si dirige verso
Trastevere, quello di sin. si apre a sin. nell’irregolare piazza Cairoli, su
cui prospetta la chiesa di *S. Carlo ai Catinari, così detta dalle
botteghe dei fabbricanti di catini ed eretta per i Barnabiti da Rosato
Rosati (1612-20) in onore di S. Carlo Borromeo. La facciata in
travertino (G.B. Soria, 1636-38), che reca nel fregio della prima
trabeazione il nome del cardinale G.B. Leni promotore della
costruzione, è a due ordini di lesene, con tre portali in basso e un
balcone tra due finestre cieche in alto, e presenta coronamento a
timpano: le dà notevole slancio il corpo mediano, assai aggettante. Su
alto tamburo in cotto, scompartito da 12 lesene inquadranti finestroni
ad arco, si slancia la *CUPOLA del Rosati, ultimata nel 1620.

L’INTERNO, originariamente a croce greca ma prolungato con


l’abside nel 1638-46, fu restaurato da Virginio Vespignani nel 1857-61.
Nella controfacciata, affreschi di Mattia Preti (*Carità di S. Carlo
Borromeo) e di Gregorio Preti (*Missione del santo contro l’eresia) del
1641-42. Nei pennacchi della cupola, *Virtù cardinali del Domenichino
(1627-30). 1ª cappella d.: Annunciazione di Giovanni Lanfranco
(1624). 2ª, su probabile progetto di Carlo Rainaldi: Martirio di S.
Biagio di Giacinto Brandi (1680). 3ª (*S. Cecilia), scenograficamente
decorata da Antonio Gherardi nel 1692-1700: S. Cecilia e angeli del
Gherardi. Altare maggiore (affidato a Girolamo Rainaldi ma eseguito
da Martino Longhi il Giovane): *S. Carlo Borromeo porta in
processione il Sacro Chiodo, pala di Pietro da Cortona (1650); nel
catino absidale, Gloria di S. Carlo del Lanfranco (1646); nel coro dietro
l’abside, S. Carlo Borromeo in preghiera di Guido Reni, S. Carlo
Borromeo di Andrea Commodi (1620) e Miracolo di S. Biagio di
Giovanni Domenico Cerrini (1669). Sagrestia: Crocifisso bronzeo
attribuito ad Alessandro Algardi e Cristo deriso del Cavalier d’Arpino
(1598). 3ª cappella sin. (architettura di Paolo Marucelli, c. 1635): alla
parete d., Martiri persiani di Giovanni Francesco Romanelli (1641);
nelle lunette, affreschi (storie dei santi martiri) di Giacinto Gimignani
(1641). 2ª: *Morte di S. Anna di Andrea Sacchi (1649).
La chiesa sorge su un notevole complesso archeologico, costituito
da una serie di ambienti in laterizio risalenti a fine sec. I; due vani
contigui furono in seguito unificati e trasformati in ninfeo, e le pareti e
le volte rivestite di pomici e di mosaici a eleganti motivi vegetali: di
questi restano, caso assai raro in Roma, tracce sul soffitto.

VIA DE’ GIUBBONARI. Da piazza Cairoli, lasciato al N. 6 uno dei tre


ingressi al palazzo Santacroce ora Pasolini dall’Onda, opera di Carlo
Maderno (1598-1602) completata nel 1630-40 da Francesco Peparelli,
si prosegue per la strada che prende nome dalle botteghe dei
fabbricanti di giubbe e che è parte dell’antica «via Peregrinorum» (per
l’inquadramento →); a metà c. si apre a d. largo dei Librari, dove,
serrata tra i palazzi, è la chiesa di S. Barbara dei Librai o alla Regola,
fondata al limite dell’emiciclo del teatro di Pompeo → nel sec. XI dal
prefetto Giovanni Crescenzio e dalla moglie Rogata (epigrafe
nell’interno) e ricostruita nel 1680 dallo stampatore Zanoni Masotti (la
facciata è di Giuseppe Passeri). Nell’interno, affreschi di Luigi Garzi, un
Crocifisso ligneo trecentesco e un trittico (Madonna con Bambino e i
Ss. Michele arcangelo e Giovanni Battista) del 1453.

IL PALAZZO DEL MONTE DI PIETÀ. Una breve deviazione per via


dell’Arco del Monte, che si stacca dal lato SO del largo, conduce alla
piazza che prende nome dall’edificio sede dell’istituto del Monte di
Pietà, nato nel 1539: la facciata, di Ottaviano Mascherino ma ampliata
da Carlo Maderno, presenta come unica decorazione una lapide di
Clemente VIII (1604), con un’edicola (Cristo nel sepolcro) e quattro
stemmi intorno; il fronte posteriore su via di S. Paolo alla Regola fu
realizzato da Nicola Salvi nel 1735-40. L’interno (visita: lunedì-venerdì
7.40-14.10) racchiude una *CAPPELLA del Maderno, rifatta da Giovanni
Antonio De Rossi e decorata con marmi e stucchi da Francesco Carlo
Bizzaccheri: nel vestibolo, busto di S. Carlo Borromeo di Domenico
Guidi (1676), autore anche della Pietà sull’altare; a d. di questo,
Elemosina di Bernardino Cametti (1724), a sin. Carità, gruppo di
Giuseppe Mazzuoli (1723); sopra le porte laterali, rilievi di Pierre
Legros (d.; 1704) e di Jean-Baptiste Théodon (sin.; 1704); nelle
nicchie ai lati dell’ingresso, Fede di Francesco Moderati (1724) e
Speranza di Agostino Cornacchini (1724).

CAMPO DE’ FIORI, al termine di via de’ Giubbonari, è uno dei centri
più importanti di Roma (vi si tenevano corse, palii ed esecuzioni
capitali) e, dal 1869, sede di un animato mercato; occupa la platea del
tempio di Venere Vincitrice annesso al teatro di Pompeo → e il suo
nome deriverebbe da Flora, amata da Pompeo, ma probabilmente
anche dal fatto che nel sec. XV la piazza venne abbandonata
trasformandosi in prato. Al centro si erge il monumento a Giordano
Bruno (Ettore Ferrari, 1887), qui bruciato come eretico il 17 febbraio
1600: la figura in bronzo del filosofo incappucciato, che tiene le mani
strette sul libro delle sue teorie, si leva su un alto basamento ornato di
medaglioni di eretici, sotto i quali sono rilievi bronzei con episodi della
vita di Giordano Bruno.

SULLA CONTERMINE PIAZZA DEL BISCIONE, tra le più caratteristiche di


Roma, che si apre all’angolo est di Campo de’ Fiori e che prende nome
dall’anguilla dello stemma Orsini, affaccia (N. 53) il palazzo Pio
Righetti, sorto nel sec. XVII sul precedente palazzo Orsini, con finestre
ornate nei timpani da aquile e leoni e ricco cornicione.

2.6 IL RIONE SANT’EUSTACHIO

Il rione, un quadrilatero limitato a ovest da corso del


Rinascimento, a est da via di Torre Argentina, a nord dalle vie dei
Portoghesi e della Stelletta, e a sud dal tratto finale di via de’
Giubbonari, era parte della IX regione augustea, al cui interno si
annoveravano il teatro di Pompeo con l’annessa Curia,
l’«Hecatostilon», le Terme Neroniano-Alessandrine e lo «stagnum
Agrippae». Lo spopolamento seguìto alla decadenza dell’Impero, e
protrattosi nel Medioevo, interessò marginalmente la zona; i percorsi
principali erano un tratto della «via Papalis» e una parte della «via
Recta», mentre l’asse portante in senso nord-sud era via della
Dogana, detta Vecchia dopo che Innocenzo XII la trasferì in piazza di
Pietra. Fra Quattrocento e Cinquecento sorsero il complesso di S.
Agostino e, sovente con ristrutturazione di case preesistenti, i palazzi
Madama, Maccarani, Lante e Caffarelli (il palazzo Baldassini è una
delle poche testimonianze di edificio ‘borghese’), mentre l’unico
progetto di respiro urbanistico (Leone X voleva fare della zona fra la
Dogana e piazza Navona una cittadella medicea, con fulcro nel palazzo
della Sapienza sede dell’Università) rimase sulla carta dei progettisti
Antonio e Giuliano da Sangallo; in epoca barocca vi furono rifacimenti,
talora ampliamenti e restauri dell’esistente, ma sempre all’interno della
scala dell’architettura, senza investire la dimensione urbana.
Questa continuità di insediamento – di cui resta traccia nella
toponomastica (sono ancora oggi numerosi i nomi delle vie che
rimandano alle attività artigiane che anticamente vi si svolgevano),
nella struttura urbana (le preesistenze romane furono ampiamente
riutilizzate come fondazioni e anche in alzato) e nelle torri medievali
inglobate in edifici successivi – è stata pesantemente menomata dalle
trasformazioni che ebbero luogo tra fine Ottocento e primi decenni del
Novecento, con gli sventramenti per l’apertura di corso Vittorio
Emanuele II e di corso del Rinascimento (1936-38), e per gli
ampliamenti di palazzo Madama (1926-31).
L’itinerario (pianta a fronte) – che ha nelle chiese di S. Luigi dei
Francesi, di S. Agostino e di S. Ivo i momenti di maggiore interesse –
presenta nella prima parte un tono più elevato, complice anche la
presenza di una delle massime istituzioni della Repubblica (il Senato si
riunisce a palazzo Madama); la zona a sud di corso Vittorio conserva
invece uno spiccato carattere ‘romanesco’.

IL NOME DI PIAZZA DI S. EUSTACHIO, a E di piazza Navona →,


deriva, al pari di quello del rione, dalla chiesa di S. Eustachio,
fondata secondo la leggenda da Costantino sul luogo del martirio del
santo; restaurata nel 1196, vide ricostruiti nel 1701-1706 la navata fra
portico e crociera (Cesare Crovara e G.B. Contini) e nel 1724-26 il
transetto e l’abside (Antonio Canevari, Nicola Salvi e Giovanni
Domenico Navone). La facciata, che è preceduta da un portico a
colonne con possenti capitelli ionici, è coronata da una testa di cervo
con croce nel trofeo, allusiva all’apparizione di Gesù al santo; a sin. è
il campanile (sec. XII), con bifore in parte murate. Nell’interno a navata
unica con cappelle laterali, decorato di architetture e tele
settecentesche, l’*altare maggiore in bronzo e marmi policromi del
Salvi (1739) è sormontato da un baldacchino di Ferdinando Fuga
(1746).

LE TERME NERONIANO-ALESSANDRINE. In via di S. Eustachio, che


costeggia il fianco d. della chiesa, sono state rialzate (1951) due
colonne di granito, trovate in piazza di S. Luigi de’ Francesi, riferibili al
complesso eretto da Nerone attorno al 62 e ricostruito da Severo
Alessandro nel 227, che si stendeva su un’area di c. m 190x120.

LA QUINTA ARCHITETTONICA DELLA PIAZZA. Opposti a S. Eustachio


sono: in angolo con via della Palombella il grazioso palazzo di Tizio di
Spoleto, la cui facciata accoglie raffinate decorazioni a stucco e
affreschi (scene della vita di S. Eustachio, ante 1575) di Federico
Zuccari; al N. 83 il rinascimentale palazzo Maccarani (Giulio Romano,
c. 1523), con facciata a doppie lesene doriche al primo piano che si
riducono a fasce nel secondo e cortile in parte aperto da loggiati
ripristinati nel restauro del 1979-81 (in tale occasione è stata rimessa
in luce anche la decorazione a grottesche del ’500 verso via del Teatro
Valle); nell’interno, fregi ad affresco del sec. XVI.

SULL’ATTIGUA PIAZZA DEI CAPRETTARI, così detta dai commercianti


che vi convenivano dalla campagna, prospetta (N. 70) il palazzo
Lante, già attribuito a Jacopo o Andrea Sansovino ma eretto forse da
Nanni di Baccio Bigio, su progetto di Giuliano da Sangallo, per Leone
X; passato ai Lante nel 1558, fu restaurato da Carlo Murena nel 1760.
Il prospetto si segnala per il marcato sviluppo orizzontale, segnato
dalle cornici sotto le finestre; il cortile, in origine con ampi loggiati di
colonne tuscaniche e ioniche sovrapposte, è alterato dalla chiusura di
gran parte dei lati.
Dalla piazza si diparte verso S via Monterone, lungo la quale
s’incontra la facciata, a due ordini tripartiti da paraste doppie e
coronata da timpano con candelabri, della chiesa di S. Maria in
Monterone, nota dal 1186 (le tre navate sono divise da colonne
ioniche antiche) ma ricostruita nel 1682; sull’altare maggiore,
Madonna tra S. Pietro Nolasco e S. Pietro Pascasio attribuita a
Pompeo Batoni. Sulla destra della chiesa è la garbata facciata del
convento, esemplare del barocchetto settecentesco.

VIA DELLA DOGANA VECCHIA la si imbocca dal lato O di piazza di S.


Eustachio, chiusa dal retro del palazzo della Sapienza su cui sovrasta il
tiburio della chiesa di S. Ivo (per entrambi v. pagine 414-415),
lasciando subito a sin., nello slargo formato da via degli Staderari, una
fontana con vasca di granito rosso proveniente dalle Terme
Neroniano-Alessandrine e qui sistemata nel 1987, e costeggiando,
ancora a sin., il moderno prospetto posteriore di palazzo Madama →.
Sul lato opposto è (N. 29) palazzo Giustiniani, iniziato da Giovanni
e Domenico Fontana (1585-87), proseguito da Carlo Maderno,
Girolamo e Carlo Rainaldi e terminato nel 1678 forse su progetto di
Francesco Borromini; nella biblioteca dell’edificio, oggi abitazione del
presidente del Senato, venne firmata nel 1947 la Costituzione della
Repubblica. La severa facciata presenta un elegante portale fra
colonne sorreggenti il balcone su alti pulvini, il VESTIBOLO accoglie rilievi
e busti antichi, mentre l’ATRIO è ad archi ribassati su colonne doriche;
nell’interno (visita a richiesta all’ufficio Questura e Cerimoniale del
Senato), notevole la SALA DELLE COLONNE, decorata da Borromini e
affrescata (storie di Salomone) da Giovanni Baglione, Ventura
Salimbeni e G.B. Ricci.
*S. LUIGI DEI FRANCESI, chiesa di quella nazione, fu iniziata nel
1518 per il futuro Clemente VII e completata nel 1589 da Domenico
Fontana su disegno di Giacomo Della Porta. L’ampia facciata in
travertino, a due ordini di uguale larghezza, è divisa da paraste
tuscaniche e corinzie in cinque campi sia nell’ordine inferiore (con tre
portali e due nicchie con statue di Carlo Magno e di S. Luigi di Pierre
l’Estache, 1746) sia in quello superiore (con balcone centrale, nicchie
con statue di S. Clotilde e di S. Giovanna di Valois sempre del
l’Estache, e finestre).

NELL’INTERNO, a tre navate con cappelle laterali scandite da


pilastri, la ricca decorazione in marmi e stucchi è su progetto di
Antoine Dérizet (1756-64); al centro della volta, Morte e apoteosi di S.
Luigi di Charles-Joseph Natoire (1756). 1ª cappella d.: S. Dionigi di
Renard Levieux. 2ª: Ss. Cecilia, Paolo, Giovanni evangelista, Agostino
e la Maddalena, copia di Guido Reni dall’originale di Raffaello alla
Pinacoteca nazionale di Bologna; la decorazione ad affresco (*storie di
S. Cecilia) è un capolavoro del Domenichino (1616-17). 3ª: S.
Giovanna di Valois portata in cielo dagli angeli di Étienne Parrocel
(1743). 4ª: Giuramento di Clodoveo di Jacopino del Conte; a d.,
Clodoveo si prepara ad attaccare nella battaglia di Tobliae del 496 di
Pellegrino Tibaldi (suoi gli episodi della vita di Clodoveo nella volta); a
sin., S. Remigio riceve la sacra ampolla per ungere Clodoveo del
Sermoneta. Altare maggiore: Assunzione di Francesco Bassano; sopra,
SS. Trinità di Jean Jacques Caffieri; nei pennacchi della cupola, Dottori
della Chiesa, gruppi di G.B. Maini, Filippo Della Valle, Simon Challe e
Nicolas François Gillet. 5ª cappella sin. (Contarelli): all’altare *S.
Matteo e l’angelo, alla parete d. *Martirio di S. Matteo, a quella
sin. *Vocazione di S. Matteo, capolavori di Caravaggio (1599-
1602); nella volta, affreschi del Cavalier d’Arpino. 4ª: Natività di
Charles Mellin (sua l’Annunciazione sulla d.); a sin., Adorazione dei
Magi di Giovanni Baglione. 3ª: S. Luigi IX di Plautilla Bricci (1664); alle
pareti, storie del santo di Ludovico Gimignani (d.) e di Nicolas Pinson
(sin.). 2ª: S. Nicola di Bari di Girolamo Muziano; ai lati, Ss. Barbara e
Caterina di Girolamo Massei; alle pareti, episodi della vita del santo di
Baldassarre Croce. 1ª: S. Sebastiano del Massei.

Accanto alla chiesa è il palazzo di S. Luigi, che sulla


perpendicolare via di S. Giovanna d’Arco prospetta con una facciata
(Carlo Francesco Bizzaccheri, 1709-1716) dallo scenografico portale
sormontato da balcone e finestra. Fronteggia la chiesa (N. 37) il
palazzo Patrizi già Aldobrandini (Carlo Maderno, 1603-1611).

IL PALAZZO DEL COLLEGIO GERMANICO UNGARICO. Contermine a


piazza di S. Luigi de’ Francesi è il moderno largo Toniolo, dal quale si
prosegue verso N lungo via della Scrofa →: la facciata in mattoni
(Pietro Camporese il Vecchio, seconda metà sec. XVIII) al N. 70 è
quella del Collegio, iniziato nel 1634-63 su progetto di Paolo Marucelli
e sopraelevato nell’800. L’edificio è collegato al palazzo S. Apollinare
→, sede della Pontificia Università della Santa Croce, che custodisce
un dipinto (Immacolata) di Andrea Pozzo. Subito oltre si incrociano a
d. via delle Coppelle, così detta dai fabbricanti di recipienti in legno, e
a sin. via di S. Agostino, già parte della «via Recta» →.

AL PALAZZO BALDASSINI poi Palma (Antonio da Sangallo il Giovane,


1514-20), che si dispone lungo via delle Coppelle, i restauri del 1956
hanno restituito l’originaria chiarezza d’impianto; nella facciata, il
portale dorico spicca con risalto plastico sulla nuda superficie muraria,
severamente proporzionata. L’edificio (visita a richiesta all’Istituto
Luigi Sturzo) si articola attorno a un cortile quadrato a portico e
loggia, e accoglie al piano terra una volta dipinta a grottesche da
Giovanni da Udine (1517-19); al primo piano sono resti di affreschi
(filosofi e figure allegoriche) e un fregio (episodi di storia antica e
animali fantastici e putti) di Perin del Vaga e aiuti, e scene mitologiche
di Giovanni da Udine.
Addentrandosi nel rione lungo via delle Coppelle si raggiunge
l’omonima, appartata piazza dove è la chiesa di S. Salvatore alle
Coppelle, anteriore al 1195 (nell’interno, una lapide a d. ricorda il
restauro di Celestino III, che innalzò il campanile romanico) e
riedificata nel sec. XVIII.

L’EX CONVENTO DEGLI AGOSTINIANI. Si piega a sin. per via di S.


Agostino, lungo il cui lato d. si stende un fianco del palazzo sorto a
fine ’400 insieme alla chiesa di S. Agostino (v. sotto) per volere del
cardinale Guglielmo d’Estouteville, ampliato nel sec. XVII e ristrutturato
nel 1746 da Carlo Murena e Luigi Vanvitelli; di quest’ultimo è la
facciata, con basamento bugnato e corpo centrale prominente, sulla
parallela via dei Portoghesi, al N. 12 della quale, attraverso una
nicchia con conchiglia nel catino, si accede al CORTILE, che accoglie la
tomba del cardinale Giacomo Ammannati Piccolomini, m. nel 1479, e
una fontana ellittica pure del Vanvitelli; forse di Filippo Juvarra è
invece l’elegante, scenografico ATRIO, con coppie di colonne e nicchie,
al N. 82 di via della Scrofa.
*S. AGOSTINO, sull’omonima piazza, venne eretta nel 1420,
ingrandita (1479-83) da Giacomo da Pietrasanta e Sebastiano
Fiorentino, trasformata nell’interno da Luigi Vanvitelli (1756-61) e
decorata da Pietro Gagliardi (1856). Una scalinata precede la facciata,
tipica del primo Rinascimento romano, a due ordini di paraste
raccordati da poderose volute: tripartita e con tre portali in basso (il
centrale a timpano e incorniciato da fini candelabre; architravati i
laterali, sormontati da oculi), a campata unica coronata da timpano in
alto. Arretrato sulla d. è il campanile, ‘rimaneggiato’ dal Vanvitelli.

L’INTERNO, diviso in tre navate da pilastri in marmi policromi cui si


accostano semicolonne in porfido ogni due arcate, presenta cinque
cappelle absidate per lato; all’incrocio col transetto il Vanvitelli sostituì,
all’originaria cupola emisferica su tamburo cilindrico, una a catino. A
destra del portale mediano, veneratissima *Madonna del Parto di
Jacopo Sansovino (1521). Al 3° pilastro sin. della navata centrale,
*Isaia profeta di Raffaello (1512; gli altri profeti sono del Gagliardi);
sotto, S. Anna e la Madonna col Bambino, gruppo di Andrea Sansovino
(1512). NAVATA DESTRA. 1ª cappella: S. Caterina d’Alessandria, olio su
lavagna di Marcello Venusti, autore anche dei santi ai lati. 2ª:
Madonna delle Rose, copia da Raffaello di Avanzino Nucci (suoi gli
affreschi del catino); le tele laterali sono del Gagliardi (1860). 3ª:
Estasi di S. Rita di Giacinto Brandi (1670); ai lati, storie della santa di
Pietro Locatelli (suoi gli affreschi della volta). 4ª: Consegna delle
chiavi, gruppo marmoreo di G.B. Cotignola (1596); nel timpano, *Dio
Padre, tavola di scuola umbra del sec. XV. 5ª: Crocifisso ligneo (sec.
XV). TRANSETTO DESTRO. Ss. Agostino, Giovanni evangelista e Girolamo
del Guercino, cui sono attribuite anche le due tele laterali; a sin.,
sepolcro del cardinale Renato Imperiali, su disegno di Paolo Posi, con
sculture di Pietro Bracci (1741). Sull’ALTARE MAGGIORE, su disegno di
Gian Lorenzo Bernini (1627), Madonna bizantina. Cappella a sin.
dell’altare maggiore: sulla parete sin., tomba di S. Monica attribuita a
Isaia da Pisa; nella cappella adiacente (Bongiovanni), la cupola
(Assunzione), la lunetta (Apostoli al sepolcro), la pala d’altare e le tele
(storie dei Ss. Agostino e Guglielmo) sono di Giovanni Lanfranco
(1616). TRANSETTO SINISTRO. Ricca decorazione marmorea di Giovanni
Maria Baratta; statua di S. Tommaso da Villanova, iniziata da
Melchiorre Caffà e ultimata da Ercole Ferrata; altorilievi in stucco
(Miracoli del santo) di Andrea Bergondi; sulla parete d., in alto,
monumento funebre del cardinale Lorenzo Imperiali di Domenico Guidi
(1672). NAVATA SINISTRA. 5ª cappella: S. Giovanni da S. Facondo, pala
del Brandi (sue le tele laterali). 4ª: S. Apollonia di Girolamo Muziano.
3ª: S. Chiara da Montefalco di Sebastiano Conca. 2ª: Crocifissione di
Ventura Salimbeni. 1ª: *Madonna dei Pellegrini, pala di Caravaggio
(1603-1604). In SAGRESTIA (1746), S. Tommaso da Villanova di
Giovanni Francesco Romanelli; nel vestibolo laterale sin., quattro
Dottori della Chiesa del da Pisa e Crocifisso marmoreo attribuito a
Luigi Capponi.

LA BIBLIOTECA ANGELICA, a lato della chiesa (N. 8), è la prima


pubblica in Roma, fondata da Angelo Rocca nel 1614 e specializzata in
letteratura e filologia (oltre 150000 volumi, più di 1000 incunaboli,
11000 cinquecentine, 2650 manoscritti e 3000 messali dal sec. IX in
poi); una nuova ala dell’edificio, iniziata da Francesco Borromini
(1659), fu completata a metà ’700 da Carlo Murena e Luigi Vanvitelli
(suo, al primo piano, il VASO, ambiente a pianta rettangolare e volta a
botte con preziosi scaffali lignei settecenteschi).

PIAZZA DELLE CINQUE LUNE. Sottopassato l’arco di S. Agostino, che


collega il Collegio Germanico Ungarico → con il palazzo S. Apollinare
→, si sbocca in questo slargo, che ricorda la via cancellata per
l’apertura di corso del Rinascimento (v. sotto): di fronte, in posizione
leggermente arretrata, è stato ricostruito il *palazzetto delle Cinque
Lune, attribuito ad Antonio da Sangallo il Giovane, con basamento a
bugnato in travertino, in cui si aprono le botteghe, e due piani in cotto
a vista ripartiti da lesene doriche abbinate.
L’APERTURA DI CORSO DEL RINASCIMENTO, realizzata da Arnaldo
Foschini nel 1936-38, comportò, oltre allo spostamento del citato
palazzetto, la distruzione di una spina di edifici che si disponeva tra le
piazze delle Cinque Lune e Madama e l’arretramento delle facciate di
alcuni edifici. Lo si percorre avendo sullo sfondo la chiesa di S. Andrea
della Valle →, fino alla piazza che prende nome dal palazzo
Madama, nel 1871 scelto come sede del Senato del Regno (dal 1948
del Senato della Repubblica), così chiamato da madama Margherita
d’Austria, vedova di Alessandro de’ Medici; eretto nel 1503 da
Giovanni de’ Medici su un nucleo quattrocentesco e ingrandito nel
1512, deve l’aspetto attuale a Paolo Marucelli (1637-42) che operò su
disegno del Cigoli, sebbene annoveri profonde trasformazioni sotto
Benedetto XIV e Pio IX. La sontuosa facciata presenta un portale su
colonne sovrastato da un balcone, finestre dalle ricche cornici, un
ornatissimo cornicione, con fregio di putti che giocano, includente le
aperture quadrate dell’ultimo piano, e comignoli dal capriccioso
disegno; l’ampliamento su via della Dogana Vecchia (1926-31)
presenta invece una greve facciata neomanierista.

ALL’INTERNO (t. 0667061; www.senato.it/relazioni), la SALA D’ONORE


è decorata da affreschi (nella volta, Italia tricolore; sulle pareti,
episodi del Senato di Roma antica) di Cesare Maccari (1880). La
biblioteca, fondata a Torino nel 1848 e ospitata in ambienti creati da
Gaetano Koch (1888-98), accoglie oltre 500000 volumi e opuscoli, 750
codici manoscritti, 80 incunaboli, 2000 documenti manoscritti e
autografi, 8000 carte geografiche, 1000 cinquecentine, 2450 periodici
italiani e stranieri e una raccolta di statuti.

IL PALAZZO DELLA SAPIENZA. Un doppio loggiato collega il fianco d.


dell’edificio a palazzo Baldinotti Carpegna, opera tarda di Giovanni
Antonio De Rossi, la cui facciata venne tagliata e ricostruita più
arretrata nel 1935 in seguito all’apertura del corso; segue il *palazzo
della Sapienza, l’antica Università romana che, fondata da Bonifacio
VIII nel 1303, ebbe qui sede dal tempo di Eugenio IV fino al 1935,
quando venne inaugurata la Città Universitaria →; il complesso – oggi
sede dell’Archivio di Stato di Roma (documenti dello Stato pontificio
dal sec. IX al XIX) – fu iniziato, su progetto di Guidetto Guidetti, da
Pirro Ligorio, che vi attese fino al 1568, continuato da Giacomo Della
Porta, terminato ai primi del ’600 e modificato dal 1632 da Francesco
Borromini, che eresse la chiesa di S. Ivo (v. sotto). L’austera facciata,
intelaiata da angoli bugnati e marcapiani, presenta al pianterreno un
muro pieno, con portale a timpano e a sin. il campanile (1588); il
prospetto verso piazza di S. Eustachio, opera di Borromini, ha un
elegante portale sormontato da balcone e finestra ad arco con
timpano triangolare ondulato, ed è coronato da un timpano a volute
su cui incombe il tiburio di S. Ivo.
INTERNO. L’elegante *CORTILE (pianta, 1), a due ordini di arcate
(nei tondi sopra le finestre, simboli dei Borghese, dei Chigi e dei
Barberini), accoglie, nel concavo lato di fondo, l’accesso alla chiesa di
*S. Ivo (Francesco Borromini, 1642-52; 2), compiuta sintesi spaziale
che traduce all’esterno – nel plastico tiburio polilobato, su cui si leva la
calotta a gradini coronata dal lanternino con cuspide elicoidale – il
compatto involucro interno, basato sul rapporto concavo-convesso
della pianta mistilinea, ribadito, attraverso gli elementi dell’ordine, nel
ritmo ascensionale degli spicchi della cupola; all’altare maggiore (A),
su disegno di G.B. Contini (1684), Ss. Ivo, Leone, Pantaleone, Luca e
Caterina d’Alessandria in gloria di angeli, tela di Pietro da Cortona
(1661) terminata da Giovanni Ventura Borghesi.

VERSO CORSO VITTORIO EMANUELE II. Corso del Rinascimento si


apre a sin. in largo dei Sediari, dal quale l’omonima via conduce in via
del Teatro Valle. Lungo il tratto di d. di quest’ultima si costeggia la
facciata, con avancorpo articolato da otto colonne ioniche assai
prominenti, del teatro Valle, costruito in legno da Tommaso Morelli nel
1726-27 e restaurato nel 1820-22 da Giuseppe Valadier e Giuseppe
Camporese. Il teatro dà nome al largo che la via forma poco avanti e
che si caratterizza per il cinquecentesco palazzo Capranica, costruito
dal Lorenzetto per il cardinale Andrea Della Valle e passato ai
Capranica nel 1539; rinnovato dal Morelli a metà ’700, ospita in alcuni
ambienti *soffitti a cassettoni con fregi affrescati (secoli XVI-XVII).
L’AREA DEL TEATRO DI POMPEO. Dalla contermine piazza di S.
Andrea Della Valle (l’omonima chiesa è →), si prosegue, oltre corso
Vittorio, in via dei Chiavari, che a d. del tempio si addentra in una
delle zone popolari più caratteristiche di Roma e porta in largo del
Pallaro, così detto dal gioco con estrazione di bussolotti che vi si
svolgeva. Si tiene a d. per via di Grottapinta, curva come i prospetti
degli edifici che la fiancheggiano, fondati sulle strutture della cavea
del teatro di Pompeo.

LA STRUTTURA DELL’IMPIANTO ROMANO. Costruito nel 61-55 a.C. (fu


il primo in muratura a Roma) e restaurato da Augusto nel 32 a.C., da
Domiziano dopo l’incendio dell’80 e da Diocleziano, aveva un diametro
di 150 m e poteva contenere 18000 spettatori; il portico dietro la
scena (m 180x135), ornato di colonne in granito e di sculture e
pitture, era chiuso da un’esedra (la Curia Pompeia) di cui sono visibili
tracce nell’area sacra dell’Argentina →; sulla sommità della cavea si
disponeva invece il tempio di Venere Vincitrice, la cui platea è oggi
coperta da Campo de’ Fiori →.

LA CHIESA DI S. MARIA IN GROTTAPINTA, che sulla via affaccia, è


nota dal 1291 ma oggi non è più consacrata. A destra di questa è il
passetto del Biscione, passaggio coperto che conduce in Campo de’
Fiori e che accoglie l’ARCO DI GROTTAPINTA, così detto dai resti di pitture
raffiguranti colonne, festoni e putti.

VERSO LA CASA DEL BURCARDO. Via di Grottapinta ritorna in via dei


Chiavari, lungo la quale si continua per girare poi in vicolo dei
Chiodaroli e uscire in via del Monte della Farina (nel Medioevo vi si
facevano le riserve di frumento), che corre sulla romana Curia
Pompeia. Se ne percorre il tratto sin., lasciando a d. via dei Barbieri
(la chiesa di Gesù Nazareno, ricostruita nel 1722, accoglie sull’altare
sin. una S. Elena attribuita al Pomarancio, mentre nell’attiguo
convento è una S. Caterina d’Alessandria del Cavalier d’Arpino).
All’incrocio con via del Sudario si segue quest’ultima a d.,
costeggiando a sin. l’originaria facciata principale di palazzo Vidoni →
e incontrando sul lato opposto la chiesa del SS. Sudario, eretta da
Carlo di Castellamonte nel 1604-1605 e ampliata nel 1660-90 da Carlo
Rainaldi, cui si attribuisce la dimessa facciata a due ordini sormontata
dallo stemma sabaudo (l’edificio fu dopo il 1870 chiesa particolare di
casa Savoia); all’altare maggiore Pietà e santi di Antonio Gherardi,
all’altare sin. il beato Amedeo IX di Giovanni Domenico Cerrini, in
sagrestia scene della passione di Lazzaro Baldi.
LA CASA DEL BURCARDO (N. 44) fu costruita nel 1503 da Giovanni
Burckhardt che, dal nome della sua città natale («Argentoratum», la
moderna Strasburgo), chiamò Argentina la torre cui la appoggiò (da
qui il nome della vicina piazza); restaurata nel 1931, ha il severo
aspetto di una tipica casa germanica del tardo ’400 (facciata liscia
intonacata, semplice portale, finestre centinate e loggia a sei arcate),
mitigato da asimmetrie nel prospetto.

INTERNO. Un breve androne con volta a nervature gotiche porta


nel *CORTILE, con resti della cinquecentesca decorazione graffita a
bugne, nicchie e finti archi. La casa è oggi sede della Biblioteca e
Raccolta teatrale del Burcardo (SIAE), che annovera oltre 30000
volumi e opuscoli riguardanti il teatro, stampe, ma anche busti,
quadri, bozzetti e fotografie di soggetto teatrale, una raccolta di
maschere del teatro antico e moderno, costumi, statuette antiche e
marionette dei sec. XVIII-XIX, con i quali vengono organizzate mostre
tematiche temporanee.

Oltrepassata la facciata, dal ricco portale con soprastante nicchia


con statua, della chiesa di S. Giuliano dei Fiamminghi, detto S.Giuliano
Ospitaliere, trasformazione del 1680-82 di una cappella del sec. XI e
dal 1831 Chiesa Reale Belga S. Giuliano dei Fiamminghi, si sbocca in
largo di Torre Argentina →.

2.7 IL RIONE PIGNA


La pigna bronzea posta in età romana presso le terme di Agrippa,
e ora nel cortile del Belvedere in Vaticano, dette il nome al rione
(pianta →), che ricadeva quasi per intero nella VII regione augustea e
i cui limiti definitivi furono fissati nel 1743 da Benedetto XIV. La
viabilità odierna, soprattutto nella parte centrale, ricalca piuttosto
fedelmente i tracciati antichi, favorendo la comprensione della
topografia classica. Per tutto il Medioevo infatti, mentre il resto della
città si spopolava, il rione rimase abitato, e ciò ha permesso la
conservazione dell’originario impianto urbanistico, al quale le
trasformazioni successive si sono sovrapposte lasciando in gran parte
inalterati gli assi viari e i blocchi edilizi. Tale continuità è riconoscibile
nei percorsi paralleli di via di Torre Argentina e via de’ Cestari,
condizionati dal complesso Pantheon-basilica di Nettuno-terme di
Agrippa; nel tracciato via del Seminario-via del Caravita, determinato
dal lato settentrionale dei «Saepta Iulia» e dalle arcuazioni dell’Acqua
Vergine; nella via del Gesù, disposta sull’asse della «Porticus
Meleagri» che chiudeva i «Saepta Iulia» a est. Una continuità
evidenziata anche dagli edifici: sotto la chiesa di S. Marta era il tempio
di Minerva Calcidica, erroneamente individuato nei ruderi visti al
momento della costruzione della chiesa di S. Maria sopra Minerva che
ne ha derivato il nome; fra le attuali vie del Seminario e di S. Stefano
del Cacco era il tempio di Iside e Serapide o Iseo Campense, eretto da
Domiziano e distrutto a fine Cinquecento, cui si accedeva mediante
l’arco di Camilliano a est e il grandioso «Giano alla Minerva» a ovest.
Fra i due fornici, conservatisi fino al Rinascimento, si delineò nel
Medioevo via del Pie’ di Marmo, il cui nome deriva da uno dei pezzi
antichi (particolarmente numerosi quelli nell’area dell’Iseo, tutti egizi
originali o egittizzanti) che, rinvenuti nella zona, ne hanno spesso
determinato la toponomastica.
Sostanziali trasformazioni ebbero luogo dalla venuta di Carlo V
(allargamento e rettifica delle vie de’ Cestari, di Torre Argentina, del
Seminario, del Gesù e di piazza del Collegio Romano a scapito di
chiese e case dalle tipiche facciate dipinte) e fra Sei e Settecento
(piazze della Rotonda e di S. Ignazio). Le imponenti demolizioni di fine
Ottocento e inizi Novecento ebbero qui scarsa incidenza, limitandosi
all’isolamento del Pantheon – che comunque comportò l’arretramento
di palazzi e l’abbattimento delle casette quattrocentesche sul luogo
dell’odierno albergo Senato – e all’allargamento del tratto terminale di
via del Pie’ di Marmo; anche i rifacimenti e le sopraelevazioni non
hanno turbato gravemente i rapporti reciproci fra le costruzioni del
rione, che ha conservato in buona parte l’antico aspetto e che accoglie
alcuni tra i monumenti più famosi della città (Pantheon, chiese di S.
Maria sopra Minerva e di S. Ignazio, palazzo del Collegio Romano).

VIA DI TORRE ARGENTINA →, che si diparte verso N dall’omonimo


largo →, incrocia a d. via dell’Arco della Ciambella; questo tracciato
venne aperto da Gregorio XV nel 1621 demolendo parte delle terme di
Agrippa, le più antiche (25-19 a.C.) di Roma, la cui aula circolare (se
ne conservano resti sopra un’edicola sacra fra i numeri 9 e 10 e, più
avanti, fra il 14 e il 15) è probabilmente all’origine del toponimo.
Via di Torre Argentina, sulla quale prospettano edifici del
’500-’600 poi rimaneggiati, costeggia a d. il fianco della chiesa di S.
Chiara, di origine quattrocentesca ma riedificata nel 1883-90 (la
facciata è di Luca Carimini), e prosegue, con il nome di via della
Rotonda, allargandosi in corrispondenza del fianco del Pantheon (v.
sotto): le facciate degli edifici che si allineano lungo il lato sin. della
strada (interessante al N. 23 il palazzo Crescenzi del sec. XVII, con
grande portone, sormontato da un’aquila, tra colonne sorreggenti un
balcone) vennero infatti arretrate nel quadro dei lavori per
l’isolamento del monumento romano.
PIAZZA DELLA ROTONDA è dominata dalla mole cilindrica del
Pantheon – da cui l’altro nome – e caratterizzata dalle facciate
settecentesche di edifici che in parte ricalcano lo spazio porticato
posto nell’antichità davanti al tempio (un’iscrizione nei pressi del N. 14
ricorda il mercato che qui si teneva fino al 1847). Al centro si trova la
fontana, in marmo bigio africano, disegnata da Giacomo Della Porta e
scolpita da Leonardo Sormani (1575): a pianta mistilinea su
piattaforma a gradini adorna di maschere e delfini zampillanti acqua
(gli attuali sono del restauro del 1880), era in origine sormontata da
una tazza su balaustro; il piccolo obelisco di Ramsses II che la corona,
proveniente dall’Iseo Campense, vi fu sovrapposto da Clemente XI nel
1711 trasferendolo dalla vicina piazza di S. Macuto.
Il lato S della piazza è occupato dall’imponente mole del
*Pantheon, uno dei monumenti romani più celebri per stato di
conservazione, grandiosità e sapienza costruttiva, oltre che per la
singolare tipologia che contamina la cella rotonda a cupola di tipo
termale con il tradizionale pronao a timpano.

LA STORIA. Il tempio primitivo, di cui si conservano tracce a 2 m


sotto il piano del portico, fu costruito nel 27 a.C. da Marco Vipsanio
Agrippa, genero di Augusto, restaurato da Domiziano dopo l’incendio
dell’80 e da Traiano; Adriano lo ricostruì nel 118-125 (l’edificio
originario era rettangolare e rivolto a sud), riproponendo nella fronte
l’iscrizione originaria che falsò la datazione dell’edificio finché gli studi
sui bolli laterizi e gli scavi dell’800 permisero di ricostruirne l’esatta
cronologia. I lavori furono terminati da Antonino Pio, mentre nel 202
Settimio Severo e Caracalla eseguirono i restauri ricordati nella piccola
iscrizione sotto quella principale.
Il monumento restò in abbandono per quasi due secoli, finché nel
608 fu ceduto dall’imperatore Foca a Bonifacio IV, che lo dedicò alla
Madonna e a tutti i martiri. Costante II lo spogliò (663) del manto in
bronzo dorato del tetto, che fu rifatto in piombo da Gregorio III (735).
Adoperato talora come fortilizio, fu dotato di un palazzo destinato a
sede pontificia (1153-54) e di un campanile al centro del frontone
(1270). Nel 1625 Urbano VIII Barberini asportò il rivestimento bronzeo
delle travi del portico per farne 80 cannoni per Castel S. Angelo e le
quattro colonne tortili del baldacchino di S. Pietro (da ciò la celebre
pasquinata «Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini»), fece
rimpiazzare la colonna d’angolo a sin. della facciata e innalzare da
Gian Lorenzo Bernini (1626-27) due campanili ai lati dell’attico (le
«orecchie d’asino») in luogo di quello centrale. Alessandro VII sostituì
altre due colonne sul lato sin. e fece abbassare il livello della piazza;
Clemente IX nel 1668 circondò il pronao con una cancellata per
impedire che nel portico si estendesse il mercato che si svolgeva sulla
piazza; Benedetto XIV nel 1747 rifece l’attico interno. Il risanamento
della zona fu avviato da Pio VII e continuato da Pio IX, che rinnovò in
parte il pavimento interno; divenuto nel 1870 sacrario dei re d’Italia,
fu restaurato con l’eliminazione delle cancellate, il completo
isolamento dei fianchi, lo scavo delle adiacenze e la demolizione dei
campanili (1881-83).

L’ESTERNO. La FACCIATA era in origine elevata su scalinata e


preceduta da una piazza allungata, i cui portici celavano la rotonda
retrostante creando un effetto di totale separazione dalla percezione
spaziale dell’interno; il PRONAO (largo 33 m e profondo 16), con 16
colonne monolitiche (otto sulla fronte e le altre disposte in profondità
a formare tre navate) in granito grigio e rosa alte 13 m, è coronato da
un frontone, ornato in origine di un rilievo in bronzo e sormontato da
un secondo timpano più alto e arretrato. I battenti di bronzo della
porta non sono, come spesso ritenuto, quelli antichi, ma risalgono a
un pressoché totale rifacimento dell’età di Pio IV. Ai lati del portale
sono due nicchie, destinate probabilmente alle statue di Augusto e di
Agrippa; in due vani retrostanti erano ricavate due scale (si conserva
quella di sin.) per il controllo delle parti alte dell’edificio e dell’esterno
della cupola. Un corpo parallelepipedo rivestito in marmo media
l’attacco fra il pronao e la ROTONDA; quest’ultima presenta muri laterizi,
dello spessore di m 6.2, scanditi da nicchie, volte e archi di scarico che
alleggeriscono la struttura. La cupola, del diametro di m 43.3 pari
all’altezza dal pavimento al suo colmo, fu voltata su un’unica centina
emisferica con un getto di conglomerato, contenente lapillo vulcanico
in modo da alleggerirlo.

L’INTERNO DEL PANTHEON (pianta) è articolato da sette nicchioni


alternativamente semicircolari e rettangolari, con sulla fronte,
delimitata da lesene angolari, due colonne scanalate monolitiche in
giallo antico e pavonazzetto alte m 8.9; il nicchione di fondo è invece
sormontato da un arco, simmetrico a quello sovrastante l’ingresso.
Nello spazio tra i nicchioni sono otto edicole con colonnine che
sostengono timpani triangolari e arcuati. Al di sopra corre la
trabeazione, sovrastata da un attico rifatto da Paolo Posi nel 1747,
con finestre cieche timpanate alternate a riquadri (un restauro del
1930 in corrispondenza dell’ultimo nicchione a d. ha riproposto la
decorazione originaria, in marmi policromi a lesene alternate a finestre
con transenne). Al di sopra, la grande volta è decorata da cinque
ordini di cassettoni (28 per ordine) che vanno restringendosi verso
l’alto, dove si apre l’occhio (del diametro di c. 9 m e orlato di bronzo),
che costituisce l’unica apertura. Il pavimento a quadrati e cerchi
inscritti, che utilizza vari marmi, è in buona parte originario. CAPPELLA
A: Annunciazione, affresco attribuito a Melozzo da Forlì. EDICOLA B:
Coronazione della Vergine, affresco del sec. XIV. CAPPELLA C: tomba di
Vittorio Emanuele II (1878) su disegno di Manfredo Manfredi. EDICOLA
D: S. Anna e la Vergine di Lorenzo Ottoni. CAPPELLA E: Madonna e i Ss.
Francesco e Giovanni Battista di scuola umbro-laziale del XV. EDICOLA F:
S. Rasio martire di Bernardino Cametti. ALTARE MAGGIORE (G), su
progetto di Alessandro Specchi: in alto, Madonna col Bambino
romano-bizantina (sec. VII) su tavola, rivestita in argento. EDICOLA H:
S. Anastasio di Francesco Moderati (1717). CAPPELLA I: Crocifisso del
sec. XVI. EDICOLA K: Madonna del Sasso, scultura del Lorenzetto
(1520) commissionata da Raffaello per la propria sottostante tomba
(l’epitafio è di Pietro Bembo); a d., lapide in ricordo di Maria Bibbiena,
fidanzata di Raffaello; a sin., busto di Raffaello di Giuseppe Fabris
(1833). CAPPELLA L: tombe di Umberto I (1900; Giuseppe Sacconi) e di
Margherita di Savoia (1926). EDICOLA M: a sin., monumento funerario
di Baldassarre Peruzzi (1921). CAPPELLA N (dei Virtuosi del Pantheon):
S. Giuseppe e Gesù fanciullo, gruppo di Vincenzo De Rossi (1550-60);
ai lati, Presepio e Adorazione dei Magi di Francesco Cozza (1660); alle
pareti, rilievi in stucco raffiguranti il Riposo della fuga in Egitto (Carlo
Monaldi, 1728) e il Sogno di S. Giuseppe (Paolo Benaglia, 1728); in
alto, Sibilla Cumana di Ludovico Gimignani (1674), Mosè di Francesco
Rosa (1674), Eterno Padre di G.B. Peruzzini (1674), David di Luigi
Garzi (1674), Sibilla Eritrea di Giovanni Andrea Carlone (1674);
epigrafi funebri dei ‘virtuosi’ Flaminio Vacca (1605), Taddeo Zuccari
(1566), Perin del Vaga (1547). EDICOLA O: Incredulità di S. Tommaso
di Pietro Paolo Bonzi.
VERSO S. MARIA SOPRA MINERVA. Si segue, lungo il fianco sin. del
Pantheon, via della Minerva, che lascia in angolo con via del Seminario
una casa del ’400 e incontra al N. 1 un coevo portale ad arco con
bugne a punta di diamante. In corrispondenza di via della Palombella,
che si stacca a d. e corre sull’asse della basilica di Nettuno – eretta da
Agrippa e restaurata in età adrianea (addossata al lato posteriore del
Pantheon è una delle pareti lunghe, in laterizio, con nicchie e, al
centro, un’abside inquadrata da colonne corinzie; in alto, resti del
fregio in marmo con tridenti e delfini) – via della Minerva si apre a sin.
nell’omonima piazza, al centro della quale è il grazioso monumento,
noto come «Pulcin della Minerva», composto da un obelisco egizio del
sec. VI a.C. trovato nel 1665 nell’area dell’Iseo Campense; l’elefante
marmoreo che lo sostiene fu concepito da Gian Lorenzo Bernini e
scolpito nel 1667 da Ercole Ferrata. Sul lato E è la chiesa di *S. Maria
sopra Minerva, così chiamata dal tempio di Minerva Calcidica cui si
credeva appartenessero i ruderi su cui sorge.

LA STORIA. Già delle monache greche di Campo Marzio e poi dei


Domenicani, che occupano il convento almeno dal 1266 e dal 1275 la
chiesa, fu riedificata dal 1280 e a metà ’300, compiuta nelle strutture
essenziali, aperta al culto. Circa un secolo dopo il cardinale Giovanni
Torquemada fece coprire a volta la navata centrale (prima a capriate)
riducendone l’altezza, quindi nel 1453 il conte Francesco Orsini fece
terminare la facciata e la navata d.; nel sec. XVI Giuliano da Sangallo
apportò cambiamenti alla zona del coro, mentre nel ’600 Carlo
Maderno ingrandì l’abside, rese a sesto pieno l’arco trionfale, rivestì
l’interno con decorazioni barocche e modificò la facciata, in origine a
guscio come quella della chiesa di S. Maria in Aracoeli. Nel 1848-55
padre Girolamo Bianchedi eseguì l’infelice ripristino delle forme
gotiche dell’interno.

IL PROSPETTO, diviso in tre campi da lesene e coronato da un


disadorno cornicione, è aperto da tre portali: i laterali presentano
lunette affrescate, il mediano (a timpano) è opera raffinata attribuita a
Meo del Caprino; sopra i portali sono oculi circolari. Vi sono murate
iscrizioni, stemmi (Orsini, di Pio V) e, presso l’angolo d., targhe
relative a piene del Tevere dal 1422 al 1870.

L’INTERNO, alterato dalla minuziosa decorazione ottocentesca, è a


tre navate, con volte a crociera su pilastri a sezione quadrilobata,
transetto, profondo coro e due cappelle ai lati del presbiterio, sopra le
quali sono organi di Ennio Bonifazi (1628); le acquasantiere con putti
sono di Ottaviano Lazzeri (firma; 1638). A destra del portale mediano
(pianta a fronte, 1), monumento funerario di Diotisalvi Neroni (1482)
è della scuola di Andrea Bregno; a d. di quello d. (2), monumento
funerario di Virginia Pucci Ridolfi (m. 1568).
NAVATA DESTRA. Al pilastro dopo la 1ª cappella (3), monumento di
Antonio Castalio (m. 1533). 2ª cappella (Caffarelli; 4): S. Luigi
Bertrando del Baciccia; sopra, S. Domenico attribuito al Cavalier
d’Arpino; sulla volta, scene della vita di S. Domenico di Gaspare Celio.
Al pilastro tra la 2ª e la 3ª cappella (5), monumento con busto di
Uberto Strozzi (m. 1553) di Vincenzo de Rossi. 3ª (6): S. Rosa da
Lima di Lazzaro Baldi; alle pareti e sulla volta, episodi della vita della
santa dello stesso. 4ª (7): Morte di S. Pietro Martire di Ventura
Lamberti (1688); alle pareti, affreschi di Battista Franco; volta e
sottarco affrescati da Girolamo Muziano. 5ª (8): Annunciazione di
Antoniazzo Romano (1485); ai lati, i Ss. Domenico e Giacinto di Nicolò
Stabia; volta a lunette di Cesare Nebbia; alla parete sin., tomba di
Urbano VII di Ambrogio Buonvicino (1613). 6ª (Aldobrandini; 9), su
disegno di Giacomo Della Porta (1600), di Carlo Maderno e Girolamo
Rainaldi: sulla volta, Trionfo della Croce, affresco di Cherubino Alberti;
sull’altare, Istituzione dell’Eucarestia di Federico Barocci (1594); ai lati,
Ss. Pietro e Paolo di Camillo Mariani; alle pareti, monumenti di
Salvestro Aldobrandini (m. 1558) e di Lesa Dati del Della Porta, con
statue giacenti dei defunti di Nicolas Cordier, figure allegoriche dello
stesso (Carità), di Ippolito Buzio (Prudenza), del Mariani (Religione) e
del Valsoldo (Giustizia), e angeli del Mariani e di Stefano Maderno;
nella nicchia in fondo a d., S. Sebastiano del Cordier, in quella a sin.,
statua di Clemente VIII del Buzio. 7ª (10): Ss. Raimondo di Peñafort e
Paolo di Nicolas Magny; a d., sepolcro del vescovo Giovanni de Coca
(1477) del Bregno, sul fondo del quale è un affresco (Cristo giudice
fra due angeli) attribuito a Melozzo da Forlì e Antoniazzo Romano; a
sin., sepolcro del vescovo Benedetto Soranzo (1495) della bottega del
Bregno. All’esterno della cappella, sul pilastro sin. (11), è un affresco
(Ss. Agata e Lucia) del Sermoneta.
TRANSETTO DESTRO. Sepolcro di Amerigo Strozzi (1592; 12) di
Taddeo Landini. Cappella del Crocifisso (13): Crocifisso ligneo del sec.
XV. *Cappella Carafa (14): arcata d’ingresso attribuita a Mino da
Fiesole, Verrocchio e Giuliano da Maiano; le figure dei fanciulli sono
ascritte a Luigi Capponi; la decorazione ad affresco (sull’altare,
Annunciazione con il cardinale Oliviero Carafa presentato dalla Vergine
a S. Tommaso; alla parete di fondo, Assunzione; sulla parete d.,
Trionfo di S. Tommaso e Miracoli del Crocifisso; sulla volta, sibille) è di
Filippino Lippi (1488-93): sulla parete sin., sepolcro di Paolo IV (1559)
su disegno di Pirro Ligorio. Accanto è la cappella funebre del
cardinale, decorata anch’essa dal Lippi in collaborazione con
Raffaellino del Garbo. A sinistra della cappella Carafa, *sepolcro di
Guglielmo Durand (1296; 15) di Giovanni di Cosma (firma; suo il
mosaico raffigurante la Madonna in trono col Bambino, i Ss. Domenico
e Privato e il committente). Cappella Altieri (16): S. Pietro presenta
alla Vergine cinque beati di Carlo Maratta; nel lunettone di fondo,
Gloria della SS. Trinità, affresco del Baciccia (1671-72); busti di
Lorenzo e Giovanni Altieri di Cosimo Fancelli. Cappella Capranica (17):
Madonna col Bambino e i Ss. Domenico e Caterina da Siena (sec. XVI);
alle pareti, affreschi (storie della vita della santa) di Giovanni De
Vecchi; nella volta, Misteri del Rosario di Marcello Venusti e
Coronazione di spine di Carlo Saraceni; a d. sepolcro del cardinale
Domenico Capranica (1470) di scuola del Bregno.
PRESBITERIO. Contro il pilastro d. (18), il Battista di Giuseppe Obici
(1858); contro quello sin. (19), *statua di Cristo risorto di
Michelangelo (1519-21). Sotto l’altare maggiore (20), sarcofago di S.
Caterina da Siena attribuito a Isaia da Pisa. Il CORO, gotico, fu
trasformato nel 1536 per contenere i monumenti funebri, a forma
di arco trionfale, di Clemente VII (21) e di Leone X (22) di Antonio
da Sangallo il Giovane: su un basamento elegantemente decorato,
quattro colonne scanalate di ordine composito fiancheggiano tre
fornici (il mediano più ampio) con statue, mentre sopra la trabeazione
è un alto attico tripartito e decorato da rilievi (1536-41); la statua di
Clemente VII è di Nanni di Baccio Bigio, quella di Leone X di Raffaello
da Montelupo, i profeti e gli altorilievi di Baccio Bandinelli.
TRANSETTO SINISTRO. Vestibolo (23): tomba del cardinale Matteo
Orsini (1340); tomba del cardinale Domenico Pimentel, su disegno di
Bernini, eseguita da Ercole Ferrata (statua del cardinale) e Ercole
Antonio Raggi (Carità; 1653); tomba di Cinzio Rustici (m. 1488); sulla
porta in fondo, tomba del cardinale Carlo Bonelli (1657) su disegno di
Girolamo Rainaldi; tomba di Agapito Rustici (m. 1482); tomba del
cardinale Michele Bonelli (1611) su disegno di Giacomo Della Porta;
sul pavimento, *lastra tombale del Beato Angelico (1455) di Isaia da
Pisa. Cappella Frangipane, già Maddaleni Capiferro (24): Madonna col
Bambino della bottega dell’Angelico; a sin., sepolcro di Giovanni
Alberini (sec. XV), attribuito ad Agostino di Duccio o Mino da Fiesole,
per il quale fu usato un sarcofago romano con Ercole che atterra il
leone. Sagrestia (25): Vergine col Bambino e i Ss. Pietro e Paolo del
Venusti; alla parete d’ingresso, I conclavi tenuti alla Minerva nel 1431
e 1447 di G.B. Speranza; sulla volta, Gloria di S. Domenico di
Giuseppe Puglia; sull’altare, Crocifissione attribuita ad Andrea Sacchi;
nella vicina camera di S. Caterina (1637), affreschi staccati di
Antoniazzo Romano (1482-83). Cappella di S. Domenico (26; Filippo
Raguzzini): Madonna e S. Domenico di Paolo De Matteis; a d.,
monumento di Benedetto XIII (1730) di Carlo Marchionni (le statue
del pontefice e della Purità sono di Pietro Bracci, l’Umiltà è di
Bartolomeo Pincellotti). Altare di S. Giacinto (27): la Vergine appare al
santo di Ottavio Leoni; accanto (28) è il monumento funebre di
Andrea Bregno attribuito a Luigi Capponi.
NAVATA SINISTRA. Nella parete, Madonna col Bambino e i due S.
Giovanni fanciulli, singolare gruppo di Francesco Grassia (1670; 29).
Sul 2° pilastro (30), *monumento funebre di Maria Raggi di Bernini
(1643). 5ª cappella (31): S. Giacomo del Venusti; monumenti
sepolcrali di Maria Colonna Lante (1840) e di Carlotta e Livia Lante
Della Rovere di Pietro Tenerani (ante 1870). 4ª (32): S. Vincenzo
Ferreri al concilio di Costanza di Bernardo Castello. Tra la 4ª e la 3ª
cappella (33), tomba di Giovanni Vigevano di Bernini (1630); sul
pilastro opposto (34), tomba De Amicis, su disegno di Pietro da
Cortona. 3ª (35): Redentore attribuito al Perugino; ai lati, S.
Sebastiano di Michele Marini e S. Giovanni Battista di Ambrogio
Buonvicino; sepolcri della famiglia Maffei di scuola del Capponi. 2ª
(Naro, 1588; 36): decorazione ad affresco di Francesco Nappi. 1ª
(37): busto di Girolamo Bottigelli attribuito ad Andrea Sansovino.
Presso la porta di sin. (38), *tomba di Francesco Tornabuoni (1480),
tra le opere migliori di Mino da Fiesole; al di sopra, tomba del
cardinale Tebaldi del Bregno e di Giovanni Dalmata (1466).

IL CHIOSTRO annesso alla chiesa, cui si accede dal N. 42 di piazza


della Minerva, è l’unica parte del complesso conventuale – che in
origine occupava l’intero isolato fra piazza della Minerva e le vie del
Seminario, di S. Ignazio e del Beato Angelico, e che dopo il 1870 fu
soppresso – ancora in possesso dei Domenicani; rifatto nel 1559 con
architettura di Guidetto Guidetti, conserva affreschi del primo ’600 e
notevoli tombe quattrocentesche, fra cui quella del cardinale Pietro
Ferricci attribuita a Mino da Fiesole (c. 1478). Dal chiostro si accede al
piccolo Museo d’Arte sacra, che accoglie un prezioso affresco
(Madonna col Bambino) dei primi del sec. XIV.
Il braccio del convento che affaccia su via di S. Ignazio è invece
occupato dalla Biblioteca Casanatense (ingresso al N. 52), aperta nel
1725 e specializzata in storia della Chiesa (250000 volumi, 100000
opuscoli, 6000 manoscritti e 2000 incunaboli).

VERSO PIAZZA DELLA PIGNA. Da piazza della Minerva si costeggia il


fianco d. della chiesa lungo via S. Caterina da Siena, proseguendo poi
in via del Pie’ di Marmo, uno dei tracciati più importanti del rione, che
attraversava l’intera area dell’Iseo Campense → fra gli accessi
dell’arco di Camilliano → e del «Giano della Minerva». Si svolta a d. in
via del Gesù, antico tracciato allargato verso il 1545 da Paolo III: nel
largo che la via forma subito a sin. è (N. 80) il bizzarro portale in
travertino (fine sec. XVI), con cariatidi ai lati e architrave poligonale al
cui centro è lo stemma, semiabraso, del palazzo dei Frangipane,
insigne famiglia, nota fin dal sec. X, cui appartenne l’insula retrostante.
Poco oltre si stacca a d. via della Pigna, che si allarga in piazza
della Pigna, cuore del rione: l’impianto è originario mentre gli edifici
che vi prospettano hanno subìto modifiche nel sec. XIX. La chiude sul
fondo (N. 24) un edificio ottocentesco che ingloba i resti delle case dei
Porcari, famiglia patrizia, estintasi nel ’600, cui appartenne Stefano,
promotore della congiura antipapale del 1453, e che fu proprietaria
dell’insula compresa fra via e piazza della Pigna, via de’ Cestari e
vicolo delle Ceste (portale marmoreo quattrocentesco).

LA CHIESA DI S. GIOVANNI DELLA PIGNA, a d. dell’edificio, è


ricordata già nel sec. X e venne data nel 1577 da Gregorio XIII alla
compagnia della Pietà verso i Carcerati, che la fece riedificare nel
1624; fu rinnovata nel ’700, restaurata nel 1837 e ancora nel 1983. La
semplice facciata a salienti è tripartita da lesene con capitelli compositi
e intonacata con finto paramento a mattoni. Nell’interno, presso la
porta, tombe di Nicola e Girolamo Porcari con decorazione a mosaico
(sec. XIV); all’altare maggiore, S. Giovanni Battista di Baldassarre
Croce; sul frontone, Pietà di Luigi Garzi.

PALAZZO MAFFEI MARESCOTTI. Costeggiando il fianco sin.


dell’edificio ottocentesco lungo via della Pigna si raggiunge, oltre il
cinquecentesco palazzo Gabrielli (N. 12; la facciata è del ’700),
l’edificio (N. 13A; Giacomo Della Porta, 1580) voluto dal cardinale
Marcantonio Maffei che, subito interrotto per la morte del committente
ancora incompiuto nel 1601, fu trasformato nel ’700 forse a opera di
Ferdinando Fuga. Il fronte principale, serrato fra angoli bugnati,
presenta sui timpani delle finestre del secondo piano le teste di cervo
araldiche dei Maffei, che ritornano sul ricco cornicione.

S. STEFANO DEL CACCO. Di nuovo su via del Gesù, s’incontra (N.


62) il palazzo Muti Berardi, realizzato nel 1565 da Giacomo Della Porta
ma modificato in seguito agli ampliamenti verso piazza della Pigna,
che conserva nel cortile un notevole orologio ad acqua ideato nel 1870
dal domenicano G.B. Embriaco. Si volta a sin. in via di S. Stefano del
Cacco e tenendo sempre a sin. si perviene a uno slargo, dove, serrata
tra gli edifici, è l’omonima chiesa (da «macacco», nome di una statua
egizia di cinocefalo rinvenuta nell’Iseo Campense e oggi ai Musei
Vaticani), la cui prima notizia, con la denominazione «in Bagauda» (in
arabo, mercato), risale al tempo di Adriano I; ebbe restauri con
Pasquale I e nel sec. XII, epoca cui appartengono il campanile a
quattro piani (i superiori aperti da trifore) e l’abside in mattoni.
L’aspetto attuale, con facciata a salienti e iscrizione sopra l’ingresso, è
quello del restauro eseguito nel 1607 dai monaci silvestrini, ai quali
venne data da Pio IV nel 1563.

L’INTERNO, a tre navate spartite da 12 colonne di spoglio in


marmo cipollino, è stato restaurato nel 1725 (capitelli) e nel 1857
(altare maggiore e pavimento). Sulla parete d., Cristo in pietà,
affresco di Perin del Vaga. Nell’abside, Martirio di S. Stefano e, ai lati, i
Ss. Carlo e Francesca Romana di Cristofano Casolani. Sul fondo della
navata sin., Crocifisso e santi (sec. XVI); 1ª cappella sin.: Volto Santo
di Giovanni Baglione, autore anche dei due laterali. In sagrestia, S.
Nicola di Giovanni Odazzi; nel monastero, S. Stefano di Giovanni De
Vecchi.

L’‘INSULA’ DEI GESUITI. Al termine di via di S. Stefano del Cacco,


presso il «piè di marmo» appartenente a una statua colossale
femminile e posto nel Medioevo all’imbocco della via da piazza del
Collegio Romano (fu qui spostato nel 1878, in occasione dei funerali di
Vittorio Emanuele II), si riprende a d. via del Pie’ di Marmo, lasciando
all’interno del N. 24A i resti del fornice nord dell’arco di Camilliano,
nome dato nel Medioevo all’arco a tre fornici in blocchi di travertino, di
età adrianea, che permetteva l’accesso all’Iseo Campense →. La
successiva piazza del Collegio Romano, allargata nel ’600 con la
demolizione di palazzo Salviati, è definita dai prospetti monumentali,
realizzati nell’arco di c. tre secoli a partire dalla seconda metà del XVI,
del palazzo Doria Pamphilj → a d. e, a sin., del Collegio Romano,
sorto per iniziativa di S. Ignazio di Loyola, su modello dell’Università di
Parigi, per coloro che aspiravano a militare nella compagnia di Gesù.

LA STORIA DELL’EDIFICIO. La scuola, dal 1551, aveva avuto nella


zona varie sedi, rivelatesi tutte insufficienti; per questo Gregorio XIII
intraprese nel 1582 la costruzione di un apposito edificio, che venne
inaugurato il 28 ottobre 1584; a lungo ritenuto opera di Bartolomeo
Ammannati ma più probabilmente attribuibile a Giuseppe Valeriano, il
complesso, che occupa l’isolato tra questa piazza e quella di S. Ignazio
e le vie di S. Ignazio e del Collegio Romano su una superficie di 13400
m2 inclusa la chiesa di S. Ignazio, ospitò la biblioteca, ricca di 50000
volumi, che dopo l’Unità formò il primo nucleo della Biblioteca
nazionale centrale Vittorio Emanuele II; vi ebbero altresì sede il
museo del Collegio (detto Kircheriano da Atanasio Kircher che gli
diede particolare impulso), la Spezieria e l’Osservatorio astronomico.
Dopo l’indemaniazione, l’ateneo dei Gesuiti passò nel vicino palazzo
Gabrielli Borromeo e nel 1930 nella sede della Pontificia Università
Gregoriana; nei locali della scuola venne istituito il primo Liceo-
Ginnasio della capitale (Ennio Quirino Visconti), mentre il resto
dell’edificio fu occupato dapprima dal Museo preistorico-etnografico
Luigi Pigorini ora all’EUR →, e dal 1975 dal Ministero per i Beni
Culturali e Ambientali.

L’IMPONENTE FACCIATA in cotto del Collegio è articolata in tre corpi:


quello centrale, più alto, è coronato da una balaustra sulla quale si
innalzano ai lati edicole per le meridiane e al centro un campanile
loggiato con cupolino; sull’asse centrale si sovrappongono dal basso
una nicchia, lo stemma (scalpellato) di Gregorio XIII con la lapide
della fondazione e un orologio su cui erano regolati tutti quelli della
città, mentre al pianterreno costituiscono elementi plastici i due portali
ad arco fra colonne sorreggenti un timpano curvo con il drago
Boncompagni e lo stemma del pontefice. I corpi laterali sono coronati
da attico a tetto con paraste e finestrelle ellittiche. A destra s’innalza
la torre per le osservazioni meteorologiche, costruita nel 1787.

ALL’INTERNO, cortile ad arcate su due ordini, progettato da Paolo


Maruccelli, incompleto nel lato di fondo entrando. Utilizzando quanto è
rimasto al liceo dell’ex Museo Kircheriano e dei laboratori scientifici dei
Gesuiti vi è stato allestito un Museo della Didattica delle Scienze.

LA CHIESA E IL MONASTERO DI S. MARTA, appartati sul lato S della


piazza, furono iniziati nel 1546 e rinnovati nel 1668-96 dapprima a
opera di Giovanni Antonio De Rossi, poi, dal 1671, di Carlo Fontana,
che configurò il sontuoso interno; nel 1852 Luigi Poletti realizzò
l’attuale rigido prospetto su via del Pie’ di Marmo, dopo la demolizione
di una parte del convento per allargare la strada. Con il passaggio al
demanio nel 1872, il complesso venne destinato a usi impropri
subendo gravi manomissioni. La facciata cinquecentesca della chiesa,
a due ordini, è spartita da lesene e coronata da un timpano con resti
di affresco. Il ricco interno è a navata unica, con ornati a stucco
nell’abside e nelle cappelle laterali; la volta fu dipinta dal Baciccia con
la collaborazione di Paolo Albertoni e Girolamo Troppa, ai quali si
devono gli affreschi nel presbiterio.

L’ORATORIO DEL CARAVITA. A destra del palazzo del Collegio


Romano si segue l’omonima via, costeggiando a sin. la facciata
laterale opera di Paolo Marucelli (il portale con il drago Boncompagni
al N. 27 è cinquecentesco); sul lato opposto, in angolo con via
Specchi, è la palazzina Calzone, opera in stile eclettico con
riecheggiamenti liberty di Vittorio Mascanzoni (1902-1903).
Sottopassato un cavalcavia, si interseca via del Caravita: sul breve
tratto di d. affaccia l’oratorio omonimo, più correttamente intitolato a
S. Francesco Saverio (1633), che, restaurato nella seconda metà
dell’800, presenta una semplice facciata laterizia a due ordini.
Dall’atrio (a sin., Crocifisso ligneo del sec. XVI; nella volta, storie di S.
Francesco Saverio di Lazzaro Baldi) si passa nell’interno, a navata
unica e con volta affrescata nel sec. XIX: sull’altare maggiore, SS.
Trinità e S. Francesco Saverio di Sebastiano Conca; Madonna della
Pietà attribuita a Baldassarre Peruzzi. Sopra l’atrio è il RISTRETTO DEGLI
ANGELI (1633), con affreschi e decorazione plastica settecentesca.
*PIAZZA DI S. IGNAZIO, cui porta il tratto di sin. di via del Caravita,
è uno degli spazi più rappresentativi della città barocca, racchiusa su
un lato dalla vivace scenografia rococò dei tre palazzetti detti «burrò».
Già a fine ’600 era stata ideata una piazza per dare respiro alla chiesa,
ma la sistemazione fu realizzata da Filippo Raguzzini nel 1727-28 per i
Gesuiti, ai quali era stata imposta da Benedetto XIII; i tre edifici a
foggia di scena di teatro che la circondano sono tutti originali (si
notino la pianta articolata e i graziosi balconcini in ferro battuto), i due
arretrati, che completano le quinte, in parte di restauro.
*S. IGNAZIO, uno dei più sontuosi esempi di architettura sacra
dell’età barocca, domina con la grandiosa facciata sul lato S della
piazza. Sul luogo della chiesa della SS. Annunziata, realizzata nel
1562-66 ma divenuta troppo piccola per gli studenti del collegio,
Gregorio XV decise di innalzare un nuovo tempio dedicandolo a
Ignazio di Loyola, canonizzato nel 1622. Il progetto venne affidato a
Orazio Grassi sotto la supervisione di Carlo Maderno, Paolo Marucelli,
Orazio Torriani; la costruzione, iniziata nel 1626, nel 1685 mancava
ancora della cupola (in suo luogo il gesuita Andrea Pozzo realizzò la
famosa prospettiva illusionistica che ne simula l’esistenza). La facciata
in travertino, che riprende il prototipo della chiesa del Gesù, è
articolata con grande rilievo plastico da semicolonne e paraste in due
ordini, di cui l’inferiore, più largo, si raccorda al superiore più stretto
per mezzo di volute laterali.

IL FASTOSO INTERNO, a unica navata con tre cappelle per lato


intercomunicanti, rappresenta la compiuta evoluzione del modello di
tempio richiesto dalla liturgia controriformista nella persuasiva
monumentalità barocca. Sulla parete di controfacciata, la Religione e
la Magnificenza, di Alessandro Algardi, sostengono l’iscrizione
commemorativa della consacrazione della chiesa (1650); dello stesso
sono i fregi sopra gli archi delle cappelle. La volta della navata
(*Gloria di S. Ignazio) è il capolavoro d’illusionismo prospettico del
Pozzo, autore anche dell’Assedio di Pamplona del 1521 nella volta del
presbiterio, di S. Ignazio che guarisce gli appestati nel catino absidale,
di Giuditta, David, Sansone e Jaele nei pennacchi della finta cupola
(l’effetto prospettico della volta si coglie compiutamente dal disco di
giallo antico al centro della navata, presso la tomba del cardinale
Franconi). NAVATA DESTRA. 1ª cappella: Vergine e S. Stanislao Kotska,
pala della prima metà del sec. XVIII. 2ª: Vergine e S. Giuseppe di
Francesco Trevisani, autore anche della lunetta d. (Ultima comunione
di S. Luigi Gonzaga); quella di sin. è di Giuseppe Chiari, la volta di
Luigi Garzi, i peducci del Trevisani. 3ª: Presentazione di Maria al
tempio di Stefano Pozzi. TRANSETTO DESTRO. Al ricchissimo altare,
disegnato dal Pozzo e con quattro colonne di verde antico, Gloria di S.
Luigi Gonzaga, rilievo marmoreo di Pierre Legros (1697-99); sotto la
mensa, preziosa urna in lapislazzuli con le reliquie del santo; nella
volta, Gloria del santo del Pozzo. Cappella a d. dell’abside:
monumento di Gregorio XV e del cardinale Ludovico Ludovisi del
Legros; agli angoli, Virtù cardinali di Camillo Rusconi (1686). CAPPELLA
MAGGIORE, affrescata dal Pozzo: al centro Visione di S. Ignazio a La
Storta; a d. S. Ignazio invia S. Francesco Saverio nelle Indie; a sin. S.
Ignazio riceve S. Francesco Borgia. Cappella a sin. dell’abside: modello
in stucco della statua di S. Ignazio dall’originale (1728) conservato in
S. Pietro. SAGRESTIA: altare cinquecentesco con Madonna col Bambino
di Pierre Delattre (sue le storie di S. Ignazio nella volta e nelle
lunette). TRANSETTO SINISTRO. Sull’altare, uguale a quello del transetto
d., *Annunziata, pala marmorea di Filippo Della Valle; figure
allegoriche (Castità e Umiltà) e angeli di Pietro Bracci (1649); sulla
volta, Assunzione del Pozzo; ai lati del finestrone, affreschi di Ludovico
Mazzanti. NAVATA SINISTRA. 2ª cappella: Ss. Francesco Saverio e
Francesco Borgia del Delattre. 1ª: S. Gregorio Magno dello stesso.
Annessa al complesso è la *CAPPELLA PRIMA PRIMARIA,
completamente affrescata dal Borgognone.

IL RITORNO IN PIAZZA DELLA ROTONDA. Lo slargo a d. della facciata


di S. Ignazio prende nome dalla chiesa di S. Macuto, nota dal sec. XII
e appartenuta dapprima ai Domenicani, dal 1538-39 alla confraternita
dei Bergamaschi – che la riedificarono su disegno di Francesco da
Volterra (1577-79) – quindi ai Gesuiti, del cui vicino collegio costituì la
cappella. La facciata è spartita in due ordini da lesene in travertino ed
è coronata da un timpano ornato di obelischi: al portale, coronato da
timpano, corrisponde nell’ordine superiore una serliana. Il semplice
interno (visita a richiesta al Collegio Bellarmino, via del Seminario N.
120) ospita sugli altari laterali due tele di Michelangelo Cerruti.
Da piazza di S. Macuto si prosegue verso O lungo via del
Seminario, segnata a sin. dal lungo prospetto (1903-1905) dell’ex
Ministero delle Poste; sul lato opposto, oltre il cinquecentesco palazzo
Gabrielli Borromeo (N. 120), è il palazzo Serlupi Crescenzi (N.
113), opera matura (1585) di Giacomo Della Porta e ritenuto da alcuni
il suo capolavoro; la facciata, incompiuta, si caratterizza per il
possente portale (non in asse) architravato su mensole e per
l’imponente cornicione, con stemmi nei cassettoni; nel cortile interno è
un portico con soprastante loggia ad arcate. Poco oltre si sbocca in
piazza della Rotonda →.

2.8 CAMPITELLI, IL FORO ROMANO E IL PALATINO

La leggenda individua il primo nucleo della città nella «Roma


quadrata» romulea sul Palatino (VIII secolo a.C.), anche se studi
recenti concordano nel collocarla nei ben più anteriori (XIV a.C.)
insediamenti nel Foro e a sud del Campidoglio: il sito dell’antica «arx»
(la rocca cittadina) fu sempre sede del governo, degli istituti civili, del
Tabularium (l’archivio di Stato) e di alcuni dei culti più importanti
(basti ricordare il tempio di Giove Capitolino). Il vicino Palatino ebbe
invece spiccata vocazione abitativa, fino a diventare, con l’edificazione
della dimora di Ottaviano Augusto, la sede imperiale propriamente
detta, tanto che il nome antico del colle («Palatium») è passato a
indicare la tipica dimora nobile e rappresentativa. Nel Foro, luogo
pubblico per eccellenza, si tenevano cerimonie religiose e si
svolgevano la vita pubblica e l’attività politica, mentre la zona in
prossimità dell’ansa del Tevere (il Velabro), mitico approdo della cesta
con Romolo e Remo, era, con i Fori Boario e Olitorio, luogo
rispettivamente dei mercati del bestiame e degli ortaggi.
Nel Medioevo sopravvenne la rovina: dei monumenti, distrutti dai
saccheggi, dall’incuria, dagli eventi sismici, rimasero a testimoniare la
passata grandezza resti colossali, svettanti da piane divenute pascolo
(Monte Caprino, Campo Vaccino) o riusati nei rari edifici presenti: nel
Foro e sul Palatino sorsero chiese, conventi e fortezze, sul
Campidoglio i palazzi delle assemblee popolari (il Palazzo Senatorio
s’insediò sui resti del Tabularium), e restò abitata solo la zona ai piedi
del colle, dove ebbero casa alcuni dei maggiori artisti del Cinquecento-
Seicento (Michelangelo, Giulio Romano, Giacomo Della Porta, Pietro
da Cortona). Nel Cinquecento il Campidoglio fu completamente
rinnovato per volere di Paolo III, che incaricò Michelangelo di creare
una grandiosa cornice per la vita politica cittadina; l’opera, eseguita da
più architetti nell’arco di un secolo, costituisce l’unico centro civico in
Italia di età rinascimentale e la prima piazza progettata, in età
moderna, di Roma. Analogamente, il papa fece del Palatino il luogo
simbolico della grandezza della sua famiglia realizzandovi gli orti
Farnesiani, giardino di delizie a imitazione delle ville nobiliari sorte sui
colli vicini ed equivalente romano della villa di Caprarola; anche sul
Campidoglio volle una residenza di svago e vi fece edificare la torre-
belvedere che portava il suo nome. Nel Seicento il Foro Romano
continuò a essere luogo di pascolo e di commercio del bestiame,
restando pressoché inalterato se si eccettua la decadenza dei giardini
palatini in seguito all’estinzione dei Farnese.
Nell’Ottocento ebbero inizio le trasformazioni che ridussero
all’attuale aspetto la zona: gli scavi nel Foro Romano e sul Palatino,
iniziati già nel Cinquecento e proseguiti con scopi antiquari, furono
ampliati dall’amministrazione francese e dal governo pontificio; dopo il
1870 si estesero per rimettere in vista i resti dell’età classica, dando
vita all’attuale complesso archeologico frutto di un programma
fermamente perseguito dai primi ministeri post-unitari. Attorno al
Campidoglio, dapprima per l’erezione del monumento a Vittorio
Emanuele II (1885-1911) e poi con gli sventramenti fascisti
(isolamento del teatro di Marcello, 1926-32; demolizione di piazza
d’Aracoeli e apertura del primo tratto della via del Mare, oggi del
Teatro di Marcello, 1928-30; scavo del foro di Cesare, 1932;
demolizione della zona intorno a piazza della Consolazione, 1933;
apertura di via dell’Impero, oggi dei Fori Imperiali, 1931-33;
demolizioni per la costruzione degli edifici dell’Anagrafe, 1935-41),
venne distrutto il pittoresco tessuto di strade anguste e tortuose, di
vetuste chiese, di case dimesse e di aristocratici palazzi che lo
circondava, sostituito da ampie strade e da una fitta vegetazione
mediterranea sulle falde; pur se a prezzo della cancellazione di
significative memorie medievali, tali lavori hanno conferito al colle
un’inedita suggestione e hanno consentito importantissime scoperte
archeologiche.

Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:


sinistra, destra, sinistra e destra.
L’itinerario (pianta) offre uno straordinario spaccato della storia di
Roma, che dall’età protostorica (capanne sul Palatino e area sacra di
S. Omobono), attraverso l’epoca classica (Foro Romano), medievale
(S. Maria in Aracoeli, S. Maria in Cosmedin) e rinascimentale (piazza
del Campidoglio), si conclude con le pesanti manomissioni del
ventennio.

PIAZZA D’ARACOELI, a O del monumento a Vittorio Emanuele II →,


era un tempo sede di mercato e faceva da sfondo al Campidoglio
michelangiolesco; le demolizioni del 1928, che ne fecero scomparire il
lato E, cancellarono la settecentesca chiesa di S. Venanzio dei
Camerinesi e le torri del Mercato e del Cancelliere. Sul lato NO
prospetta il palazzo Muti Bussi, iniziato da Giacomo Della Porta a fine
’500 e terminato da Giovanni Antonio De Rossi (1642-62), a pianta
esagonale con doppio ingresso passante e cortile a ferro di cavallo;
davanti è la fontana (Giacomo Della Porta, 1589), sormontata dai
monti di Sisto V (la vasca inferiore sostituì nell’800 l’originario
basamento a gradini). Lasciata a d. via della Tribuna di Tor de’
Specchi (al N. 3, torre medievale, trasformata in casa, con elementi
lapidei antichi reimpiegati), si costeggia al N. 3 il palazzo Pecci Blunt
già Ruspoli (Giacomo Della Porta, fine ’500), con ricco fregio a girali e
cornicione a mensole e rosoni, e al N. 1 il palazzo Massimo di Rignano,
ricostruito a fine ’600 da Carlo Fontana, con portale a motivi vegetali
nelle membrature, attico moderno e torretta-osservatorio merlata (nel
cortile, fontana con tritone, di imitazione berniniana, pure del
Fontana). L’angolo sin. del palazzo fu tagliato per l’apertura della via
del Mare, l’odierna via del Teatro di Marcello (l’edificio romano si
riconosce al termine della discesa: →), tracciata nel 1926-41 per
collegare piazza Venezia al Lido di Roma (l’attuale Lido di Ostia)
cancellando un brano di città di formazione medievale; la pianta qui
sopra visualizza gli interventi effettuati.
IL MONASTERO DI TOR DE’ SPECCHI, al N. 40 della via, fu fondato nel
1433 da S. Francesca Romana, inizialmente in una casa dei Clarelli, e
poi esteso a includere la «torre degli specchi» (il nome deriva dalla
forma delle finestre); nel 1596, pur disponendo il monastero della
chiesa di S. Maria de Curte, fu costruita la chiesa intitolata alla SS.
Annunziata. Nel severo e irregolare prospetto, accanto al N. 34 sono i
resti di un portico medievale, mentre l’ovale marmoreo (S. Francesca
Romana e l’angelo), di scuola berniniana, proviene da una casa
demolita nelle vicinanze; sopra il N. 40 è un affresco del sec. XVIII.
Nell’interno (visita: 9 marzo e tutte le domeniche seguenti del mese
stesso), all’inizio della SCALA SANTA, Madonna e Bambino, S. Benedetto
e S. Francesca Romana, affresco di Antoniazzo Romano; alle pareti,
affreschi del sec. XVII. La CAPPELLA VECCHIA è un suggestivo ambiente,
completamente decorato da affreschi (storie della vita della santa) del
1468 c. e con un bel soffitto quattrocentesco. Un ambiente, forse
l’antico refettorio, ha decorazione a monocromo in terra verde (storie
delle tentazioni della santa) c. del 1485.
La CHIESA monastica DELLA SS. ANNUNZIATA ha atrio settecentesco
affrescato; nell’interno, con bel soffitto ligneo intagliato, l’altare
accoglie la SS. Annunziata, copia dell’opera di Firenze, eseguita da
Alessandro Allori (l’Adorazione dei Magi e l’Adorazione dei pastori sono
dipinti seicenteschi).

S. MARIA IN ARACOELI. Dall’angolo E di piazza d’Aracoeli (il


campaniletto romanico a bifora e l’arcosolio di tomba con affresco
trecentesco della Pietà sulla sin. appartengono alla chiesa di S. Biagio
de Mercato, sorta nel sec. XI sopra una delle rare testimonianze
conservate in Roma di insula di cui rimangono quattro piani e tracce di
un quinto e forse di un sesto, con murature in opus reticulatum e
laterizio risalenti al sec. I), una scalinata sale alla chiesa di *S. Maria
in Aracoeli.

LA STORIA. Eretta sopra il tempio di Giunone Moneta e sul luogo di


un monastero (sec. VII) di monaci greci che era passato ai Benedettini
col nome di S. Maria in Capitolio, deve l’appellativo in Aracoeli,
affermatosi a inizi ’300, alla leggenda dell’apparizione della Vergine a
Ottaviano. La chiesa primitiva, orientata come l’attuale transetto, fu
ricostruita nel 1285-87 – forse su progetto di Arnolfo di Cambio – dai
Francescani, che la consacrarono incompleta nel 1291; i lavori
vennero conclusi dalla scalinata (Lorenzo di Simone Andreozzi;
iscrizione a sin. del portale), che fu inaugurata da Cola di Rienzo nel
1348. Il cardinale Oliviero Carafa vi condusse lavori nel 1467-72; Pio
IV (1564) demolì l’abside affrescata da Pietro Cavallini, abolì la schola
cantorum e spostò l’ingresso laterale; nell’ampio restauro del 1689
vennero chiuse alcune finestre e ridecorata la navata centrale.

IL PROSPETTO attuale, a guscio in mattoni, risale al sec. XIII e


accoglie tre portali, del XIV ma rimaneggiati nel XV e XVI, sopra i quali si
aprono altrettante finestre (le laterali sono rotonde e a traforo): nella
lunetta di quello centrale, resti di affresco quattrocentesco, sui laterali,
S. Matteo (d.) e S. Giovanni (sin.) del sec. XVI. Nel sagrato, lastre
tombali fra cui quella dell’umanista Flavio Biondo.
NELL’INTERNO, a tre navate divise da colonne antiche di marmi
diversi, il ricco soffitto ligneo a cassettoni (1572-75), con al centro la
Vergine e il Bambino, e stemmi di Gregorio XIII, Pio V e del Senato
romano, fu da quest’ultimo fatto eseguire, in ringraziamento della
vittoria di Lèpanto, dal Sermoneta e da Cesare Trapassi (1572-75); nel
pavimento cosmatesco (sec. XIII-XIV) sono numerose pietre tombali.
Importanti restauri, avviati in occasione del Giubileo del 2000, hanno
permesso di individuare brani di insiemi decorativi di grande rilievo,
tra i quali notevoli affreschi tardo-medievali nella cappella di S.
Pasquale Baylon, già di S. Giovanni, e altri cinquecenteschi nella
cappella del Presepe.
NAVATA CENTRALE. In controfacciata, sopra il portale, iscrizione
celebrativa del Senato romano per Urbano VIII, in marmo e stucco, su
disegno di Gian Lorenzo Bernini (1636); a d. del portale, *monumento
funerario del cardinale Ludovico d’Albret (m. 1465; pianta a fronte, 1)
di Andrea Bregno; sulla parete, *pietra tombale di Giovanni Crivelli
(m. 1432) di Donatello; a sin. del portale (2), tomba di Lodovico Grato
Margani di seguace di Andrea Sansovino (sec. XVI). Alle pareti, sopra il
cornicione, affreschi (1686-91) di Giovanni Odazzi (Adorazione dei
Magi, Fuga in Egitto, profeta David), Giuseppe Passeri (Morte della
Vergine, Assunzione), di fra’ Umile da Foligno (Immacolata
Concezione, Nascita della Vergine, Presentazione al tempio,
Annunciazione, Visitazione, Adorazione dei pastori, profeta Isaia); gli
ultimi due verso l’altare sono ottocenteschi. Alla 4ª colonna d. (3),
altare di S. Giacomo della Marca, con dipinto di S. Giacomo in
adorazione del calice e del Crocifisso (c. 1687). Nella 3ª colonna sin.
(4), iscrizione «a cubiculo Augustorum» e foro che trapassa
diagonalmente la colonna, forse per misurazioni astronomiche; alla 4ª
(5), altare della Madonna del Rifugio di scuola viterbese (sec. XV); alla
5ª (6), S. Luca, affresco del XIV, e, nel pavimento sottostante, lastra
tombale assai consumata di Aldus magister et murator; alla 7ª (7),
pulpito ligneo, di disegno berniniano, con stemma Barberini.
NAVATA DESTRA. 1ª cappella d. (Bufalini; 8): *storie di S.
Bernardino (alla parete di fondo S. Bernardino tra i Ss. Ludovico di
Tolosa e Antonio di Padova e, in alto, Redentore tra angeli; alla parete
d. S. Francesco riceve le stimmate e Vestizione di S. Bernardino; alla
parete sin. S. Bernardino fa penitenza e Morte del santo; nella volta
evangelisti), affreschi del Pinturicchio (1486). 2ª (9): Pietà, tavola di
Marco Pino da Siena (1568-70); gli affreschi (storie della Passione)
sono del Pomarancio (1582). Statua di Gregorio XIII (10) di Pietro
Paolo Olivieri. 3ª (11): S. Girolamo, dipinto su lavagna di Giovanni De
Vecchi; i dipinti delle pareti e della volta sono di Ludovico (sigla; 1875)
e Alessandro Massimiliano Seitz. 4ª (12): alla parete d.,
Trasfigurazione del Sermoneta (c. 1573). 5ª (13): sull’altare e alle
pareti, storie di S. Matteo di Girolamo Muziano (1586-89). 6ª (di S.
Pietro d’Alcantara; 14), su disegno di G.B. Contini: l’Estasi del santo e
gli altorilievi marmorei ovali sono di Michel Maille, gli stucchi di
Francesco Cavallini. 7ª (15): S. Diego guarisce un cieco del De Vecchi
(c. 1610); alle pareti, Miracoli del santo di Vespasiano Strada; volta e
lunette (vita di S. Diego) affrescate da Avanzino Nucci. Monumento di
Michele Antonio di Saluzzo di Giovanni Antonio Dosio (1575; 16). Vano
della porta laterale, già cappella della Madonna (17): resti di affreschi
del sec. XIV rinvenuti nel 1974; a d., tomba di Cecchino Bracci,
realizzata da Francesco Amadori su disegno di Michelangelo; a sin.,
tomba di Pietro Manzi attribuita ad Andrea Sansovino. 8ª (18): S.
Pasquale Baylon adora il calice di Vicente Vittoria; ai lati, Miracoli di S.
Pasquale, tele di Daniele Seyter; ricca decorazione in stucco del
Cavallini.
TRANSETTO DESTRO. Cappella Savelli, di origine duecentesca ma
rinnovata nel 1727: all’altare (19), su disegno di Filippo Raguzzini,
Estasi di S. Francesco di Francesco Trevisani; intorno, entro cornici,
tele di Mariano Rossi; le Stimmate e il Perdono di Assisi sono del
1774; i pannelli in stucco settecenteschi raffigurano quattro Virtù. Alla
parete d. (20), sepolcro di Onorio IV e della madre Vanna
Aldobrandeschi, con statua giacente del pontefice proveniente
dall’antica S. Pietro; a quella sin. (21), *sepolcro di Luca Savelli (c.
1287) attribuito ad Arnolfo di Cambio (cui spetta la statuina della
Madonna e Bambino); sotto la cassa funeraria, sarcofago romano con
figure di coniugi e festoni di fiori. Da una porticina si passa
nell’oratorio dell’Immacolata Concezione, decorato a tempera nel
1750. Cappella del Sacramento (22): architettura e pittura di Antonio
Gherardi; all’altare, statua lignea dell’Immacolata di artista napoletano
(sec. XVIII); i dipinti della volta dell’anticappella sono di Giuseppe
Ghezzi. Cappella di S. Rosa da Viterbo (23): a sin., Vergine in trono fra
santi e donatore (Giacomo Capocci?), mosaico attribuito a Jacopo
Torriti (fine sec. XIII); i dipinti della volta e delle pareti sono di
Pasqualino De Rossi.
PRESBITERIO. Ai pilastri terminali della navata mediana (24-25), due
*pergami, rimaneggiati e ricomposti, di Lorenzo di Cosma e del figlio
Jacopo (firma; c. 1200). Sopra l’altare maggiore (26), tavola con
l’immagine venerata della Madonna col Bambino (sec. X-XI), per la
quale, in ringraziamento della fine della peste nel 1348, venne
edificata la monumentale scalinata di accesso alla chiesa. Al centro
della volta del presbiterio (A), entro cornice ovale, *Vergine tra angeli
musicanti, capolavoro di Nicolò Martinelli; nei riquadri, storie del
sogno di Augusto e le sibille; alla parete sin. (27), monumento di G.B.
Savelli di allievo del Bregno.
TRANSETTO SINISTRO. Cappella di S. Elena (28), tempietto a colonne
del 1605, ma rifatto nel sec. XIX, cui fa da altare un’urna in porfido con
i resti della santa; sotto l’urna, più in basso rispetto al pavimento
attuale e visibile attraverso un vetro, è un altare cosmatesco con, in
alto, Augusto che si inginocchia all’apparizione della Vergine (sec. XII).
Sopra la porta della sagrestia, dove si conserva una copia della
Madonna di Giulio Romano, S. Sebastiano, statua in terracotta del sec.
XV. Monumento del cardinale Matteo d’Acquasparta (29), attribuito a
Giovanni di Cosma ma rimaneggiato, in bella edicola gotica con
affresco (Madonna col Bambino in trono tra i Ss. Matteo e Giovanni e
il cardinale) ascritto a Pietro Cavallini (fine sec. XIII); a sin.
monumento di Alessandro Crivelli (30), con marmi pregevoli e rilievo
(Trinità) di Jacopo Del Duca. Statua di Leone X (31) di Domenico Aimo
(c. 1520).
NAVATA SINISTRA. 9ª cappella (32): Madonna di Loreto (fine sec.
XVII); alle pareti, storie della vita della Vergine di Marzio Ganassini. 8ª
(33): alle pareti, S. Margherita ritrova il corpo dell’amato e *Morte
della santa di Marco Benefial. 7ª (34): altare di Carlo Rainaldi con
colonne di breccia corallina; a d., monumento del cardinale Luigi
Marini (m. 1838) di Alessandro Massimiliano Laboureur. 6ª (35):
Ascensione di Girolamo Muziano; alla parete sin., monumento di
Camillo Pardo Orsini (m. 1553) attribuito a Onorio Longhi; la ricca
decorazione con stucchi e affreschi è del Martinelli (1584). 5ª (36): S.
Paolo del Muziano; affreschi e stucchi del Pomarancio (1584-86); a
sin., *monumento funerario di Filippo Della Valle (m. 1494) attribuito
ad Andrea Briosco. 4ª (37): La Sacra famiglia appare alla beata
Caterina Sforza del Trevisani (1730). 3ª (38): *S. Antonio di
Padova e due donatori, unica parte rimasta degli affreschi di
Benozzo Gozzoli (1454-58) che decoravano la cappella; alle pareti
laterali, storie di S. Antonio attribuite a Charles Mellin (c. 1626); a d.,
sepolcro rinascimentale di Antonio Albertoni (m. 1509); nella volta,
Paradiso del Martinelli (1582). Statua cinquecentesca di Paolo III (39;
dal Campidoglio). 2ª (del Presepio; 40): presepio composto da statue
a grandezza naturale dei sec. XVIII e XIX. 1ª (41): complesso sistema
iconografico illustrante il tema dell’Immacolata Concezione; gli
affreschi sono del 1555 circa. Sul muro di fondo della navata (42),
Martirio del beato Giovanni da Prato di Paolo Mattei.

IL CONVENTO D’ARACOELI. Uscendo dalla chiesa dalla navata d., per


il portale laterale ricavato nel 1564 alla base del CAMPANILE romanico di
cui restano due piani (nella lunetta esterna, Madonna col Bambino di
scuola cavalliniana), si scende al PORTICO (Nanni di Baccio Bigio o
Jacopo Meleghino, 1554), adorno dei gigli di Paolo III e rinnovato nel
1932, da dove si accedeva al convento d’Aracoeli, che fu distrutto
assieme alla torre-belvedere, eretta da Paolo III in collegamento col
palazzo di Venezia, per la costruzione dell’Altare della Patria.

IL CAMPIDOGLIO

A piazza del Campidoglio si sale, da piazza d’Aracoeli, per la


cordonata che venne disegnata da Michelangelo, modificata nel 1578
da Giacomo Della Porta e accorciata nel 1929 per l’apertura della via
del Mare. In basso, su basi disegnate dal Della Porta (1582), sono due
leoni egizi in basalto, provenienti dall’Iseo Campense e trasformati in
fontane nel 1588 (le vasche sono moderne); nel giardino a sin. si
trova il monumento a Cola di Rienzo (1887), che qui fu ucciso in un
tumulto nel 1354, in quello di d. alcuni filari di massi di mura
repubblicane.
SULLA TRAPEZOIDALE *PIAZZA DEL CAMPIDOGLIO Michelangelo,
traendo magistralmente partito dalle preesistenze, organizzò in
prospettiva rovesciata, mirata sul Palazzo Senatorio, lo spazio definito
dal palazzo dei Conservatori (d.) e dal Palazzo Nuovo (sin.), eseguiti
secondo il progetto dell’artista rispettivamente nel 1568 e nel 1655.
Sulla balaustra, concepita dallo stesso quale complemento della piazza
affacciata sulla città e modificata dal Della Porta (1585), sono
collocati: i colossali dioscuri coi loro cavalli (tarda età imperiale),
provenienti dalla zona di Monte Cenci dove sorgeva il tempio a loro
dedicato e qui posti nel 1585 in luogo di quelli previsti inizialmente da
Michelangelo (oggi in piazza del Quirinale); i cosiddetti trofei di Mario,
composti con armi barbariche di età domizianea e qui spostati nel
1590 dal castello dell’Acqua Giulia in piazza Vittorio Emanuele II; le
statue di Costantino e del figlio Costante II, provenienti dalle
terme di Costantino e qui collocate nel 1653; due colonne miliarie con
iscrizioni di Nerva e di Vespasiano, dalla Via Appia Antica. Al centro
della piazza (la pavimentazione, dal dinamico disegno centrifugo, fu
realizzata nel 1940 da Antonio Muñoz in base a un’incisione del 1567),
e fulcro compositivo dell’insieme, è stata fino al 1981, sul piedistallo
originale disegnato da Michelangelo e ornato dei gigli farnesiani di
Paolo III e di un «elogium» cinquecentesco, la statua di Marco
Aurelio, trasferita nel 1538 dal Laterano per ordine di Paolo III e dopo
il restauro compiuto nel 1990 ricoverata al pianterreno del Museo
Capitolino; al suo posto è ora una copia.

LA STORIA DEL COLLE. Il Campidoglio, alto sul Tevere e isolato


tutt’intorno tranne che verso il Quirinale (cui era unito da una sella
smantellata al tempo di Traiano) e in posizione dominante tra la valle
del Foro e l’ampia pianura del Campo Marzio, si prestò ad assolvere
egregiamente, fin dal primo definirsi della città, le funzioni di rocca,
dopo essere stato, tra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio dell’età del
Ferro, anch’esso sede di uno dei più antichi insediamenti dell’età
romana. Distinto in due sommità – il «Capitolium» propriamente detto
a SE (dalla corruzione di questo nome deriverebbe Campitelli) e
l’«arx» a NO – divise da un’insellatura («asylum»), il colle, alto c. 50
m, era accessibile per una sola strada («clivus Capitolinus»), che
saliva dal Foro in prosecuzione della «via Sacra», e con due scalinate:
la «scalae Gemoniae» dallo stesso Foro all’arce e la «Centum gradus»
dal Campo Marzio al «Capitolium» per la rupe Tarpea, che conservava
il nome originario del colle («Mons Tarpeius»). Circondato da un muro
collegato alla cerchia urbana, il Campidoglio ospitò assai presto piccoli
santuari (di Giove Feretrio, il primo fondato a Roma, secondo Tito
Livio dallo stesso Romolo; di Terminus; di Fides; di Iuventas) e, dal
sec. VI a.C., il grandioso tempio di Giove Capitolino (e di Giunone e
Minerva, riuniti nella triade detta capitolina), eretto sulla cima del
«Capitolium» dai re Tarquini (ma inaugurato nel 509 a.C., primo anno
della Repubblica) e rimasto sempre il tempio principale del culto
ufficiale dello Stato. Sulla cima dell’arce invece, accanto alla
piattaforma per l’assunzione degli auspìci («auguraculum»), sorgeva il
tempio di Giunone Moneta, presso il quale fu costruita la prima sede
della zecca («Moneta»). Sulle estreme pendici meridionali, verso il
Foro, era infine il tempio della Concordia, al quale si aggiunsero, in età
imperiale, il tempio di Vespasiano e il portico degli Dei Consenti.
Devastato nell’83 a.C. da un incendio che distrusse anche il tempio di
Giove Capitolino, il Campidoglio fu sottoposto a notevoli interventi di
ricostruzione da parte di Silla, durante i quali, nella depressione
dell’«asylum», fu edificato il Tabularium. Poi, dopo gli incendi del 69 e
dell’80, fu definitivamente sistemato da Domiziano.
Alla fine del mondo antico, il Campidoglio fu praticamente
abbandonato e ridotto a pascolo (Monte Caprino), e al posto del
tempio di Giunone Moneta sorse la chiesa di S. Maria in Aracoeli. Poi,
sui ruderi del Tabularium s’andò formando un composito insieme di
edifici pubblici (Palazzo Senatorio), che nel ’500 cedettero il posto al
grandioso complesso realizzato da Michelangelo per Paolo III. Così,
mentre l’orientamento del colle cambiava direzione, volgendosi (con le
spalle al Foro) verso la città papale, nasceva l’unico grande centro
civico rinascimentale d’Italia e la prima piazza monumentale di Roma
moderna. Tutt’intorno si addensarono case, chiese e conventi,
sormontati da una parte dalla torre-belvedere dello stesso Paolo III,
fino a che non fu tutto demolito, tra la fine del sec. XIX e il 1940, per
la costruzione del monumento a Vittorio Emanuele II e per
l’isolamento del colle.

IL TEMPIO DI VEIOVE. Nell’ambito di tali opere venne scavata nel


1939-40 sotto la piazza una galleria. Durante i lavori fu rinvenuto,
oltre a resti di edifici privati di epoca imperiale e di un muro di tufo di
età repubblicana, tale luogo di culto (v. anche →), dedicato nel 192
a.C. ma ricostruito nel sec. I a.C., di cui rimangono il semplice podio,
la cella con lesene in corrispondenza degli angoli e del pronao e l’ara
con il colossale simulacro marmoreo acefalo del dio, interpretato dai
Romani come Giove sotterraneo. Scavi recenti ne hanno individuato lo
stilobate. Il fronte del tempio, interessante per la mescolanza della
tradizione italica con forme tardo-ellenistiche, prospettava verso
l’attuale via del Campidoglio; a fianco si vede, perfettamente
conservata, una scala di epoca repubblicana che saliva al Campidoglio
e il cui imbocco dal Foro fu chiuso in occasione della costruzione del
tempio di Vespasiano.

IL PALAZZO SENATORIO. Il fondale della piazza è costituito da


questo palinsesto di fabbricati civili sorti sulla fortezza dei Corsi che si
era a sua volta insediata sui resti del Tabularium →; rinnovato nel
1299, conservò fino al ’500 l’aspetto tipico di palazzo pubblico
medievale, circondato da torri celate da avancorpi. La solenne facciata
è un adattamento di Giacomo Della Porta e Girolamo Rainaldi (1582-
1605) del progetto di Michelangelo (ne restano, unici elementi
originali, la porta d’accesso all’Aula consiliare e la *SCALEA a due rampe
convergenti realizzata nel 1547-54 senza il baldacchino su colonne che
avrebbe dovuto sormontarla); rivestita in stucco e poggiante su base
a scarpa adibita in passato a prigioni, è spartita da un ordine gigante
di lesene corinzie ed è coronata da un cornicione (simboli di Clemente
VII) e da una balaustra con statue in parte moderne. Nella nicchia è
una statua in porfido e marmo di Minerva seduta (epoca domizianea),
trasformata in dea Roma e qui collocata da Matteo da Città di Castello
nel 1588-89 quando venne aggiunta la fontana; nelle specchiature
triangolari ai lati sono le colossali raffigurazioni distese del Tevere (in
origine Tigri, a d.) e del Nilo (a sin.), provenienti dalle terme di
Costantino e in Campidoglio dal 1518. La TORRE CAMPANARIA in laterizio e
travertino, sulla cui sommità sono un’antica croce con lamine dorate e
una statua di Minerva-dea Roma, fu eretta da Martino Longhi il
Vecchio (1578-82) in sostituzione di quella medievale; l’orologio,
collocatovi nel 1806, era sulla facciata della chiesa dell’Aracoeli.
Campane ottocentesche sono oggi al posto della storica «patarina»
sottratta ai Viterbesi nel 1200.

ALL’INTERNO (visita a richiesta all’Ufficio del Cerimoniale) si


accede, dal fianco sin., dall’INGRESSO DI SISTO IV (1477), entrando in un
suggestivo PORTICO a due navate diviso da pilastri (sec. XIII): di qui si
possono osservare dall’alto i resti del tempio di Veiove (v. sopra).
Nella SALA DEL CARROCCIO, iscrizione commemorativa del dono, fatto da
Federico II al Popolo romano, del Carroccio tolto ai Milanesi nella
battaglia di Cortenuova (1237). La SALA DELLE BANDIERE o DELLA GIUNTA
prende nome dagli stendardi dei 14 quartieri della Guardia civica
(1847). L’AULA CONSILIARE, salone maggiore del palazzo (1573-77), già
sede del tribunale del Senatore, conserva nel muro verso l’esterno
resti della loggia del tempo di Bonifacio VIII (1299); alle estremità
della sala, *statua di Giulio Cesare e statua di ammiraglio romano di
età traianea. Nel 2007 è stato bandito un concorso internazionale per
la realizzazione, all’Ostiense, del Campidoglio Due dove sarà trasferita
parte degli uffici comunali, con conseguente valorizzazione degli spazi
liberati a scopi museali.
Dal palazzo si raggiunge la Protomoteca Capitolina, raccolta di
busti di uomini celebri iniziata nel Pantheon da Antonio Canova:
notevoli i ritratti di Pio VII (1807) e di Domenico Cimarosa (1808) di
Canova, e il ritratto di Angelika Kauffmann (Paolo Adolfo Kauffmann,
1809).

AI FIANCHI DEL PALAZZO. Nel lato d. dell’edificio, dove si apre


l’originario ingresso principale al Tabularium (v. sotto), sono inglobate
le merlate torri-contrafforti di Bonifacio IX (1389-1404; il passaggio
aereo risale al 1940); sul lato opposto della via (N. 8) è l’estrosa
facciata del palazzetto Altemps (Onorio Longhi, c. 1600), qui
rimontata dalla Via Flaminia nel 1927. Scendendo alla terrazza
affacciata sul Foro Romano (*panorama) si vede il prospetto
posteriore del palazzo, alla cui base sono tre delle 11 arcate originarie
del Tabularium, tamponate all’epoca di Martino V.
Sul fianco sin. dell’edificio sono visibili avanzi delle strutture
medievali: la torre di Martino V (c. 1427) verso l’Aracoeli, e, verso il
Foro, quella merlata di Niccolò V (1453), alla cui base affiorano i
blocchi in tufo del *Tabularium (v. anche →), l’archivio di Stato di
Roma antica eretto nel 78 a.C. dal console Quinto Lutazio Catulo (sulla
piattabanda presso la porta, resti dell’iscrizione dedicatoria) e
utilizzato nel Medioevo come deposito di sale e prigione. Il grandioso
PORTICO, il cui monumentale fronte, di ordine dorico e con 11 grandi
campate solo in parte riaperte, faceva da sfondo al Foro (*panorama),
ospita sulle pareti frammenti dei vicini templi della Concordia e di
Vespasiano; alle spalle del portico sono STANZE coperte con volta a
padiglione, mentre sotto quello corre una GALLERIA assai più piccola,
con finestre rettangolari ricavate nel grande basamento in opus
quadratum. Il primo piano verso il Foro era, a causa del dislivello, il
piano terra verso il centro del colle; un sistema di scale provvedeva a
collegare i vari settori, mentre una grande scalinata in travertino, poi
chiusa dalla costruzione del tempio di Vespasiano, congiungeva il
livello del Foro con il primo piano del Tabularium. Tutta la struttura fu
concepita con un duplice scopo: regolarizzare le pendici del colle
capitolino e creare una quinta architettonica di sfondo al Foro
Romano, cui dava una nuova dimensione e prospettiva. In un
ambiente adiacente al portico sono visibili resti di edifici anteriori, ai
quali appartengono anche i mosaici pavimentali sistemati sulla parete
di fondo.

IL *PALAZZO DEI CONSERVATORI, magistratura elettiva della città,


chiude a sud-ovest piazza del Campidoglio. Forse esistente dal sec. XII
e riedificato a metà ’400, nel rifacimento avviato da Michelangelo nel
1563 e proseguito da Guidetto Guidetti e Giacomo Della Porta fino al
1568 ebbe toccate la facciata, la scala e il portico sul cortile; il palazzo
fu arricchito della fontana nel 1619, di una campata da Alessandro VII
(1665-67; stemma) e dotato di un altro portico da Alessandro Specchi
nel 1720. La monumentale facciata, racchiusa da lesene giganti, ha
portico terreno, finestre timpanate e balaustra di coronamento con
statue; le due aperture mediane, più larghe e a timpano triangolare,
sono state sostituite a quelle originali da Jacopo Del Duca o, secondo
alcuni, dal Della Porta.
IL CORTILE, cui si accede dal portale mediano sotto il portico
esterno, presenta resti di archi gotici su colonne della costruzione
quattrocentesca. Nel lato d., colossale testa di Costantino,
proveniente con altri frammenti (braccio, gamba, mano e piedi)
dall’acròlito, alto 12 m e un tempo nell’abside della basilica di
Massenzio, raffigurante l’imperatore seduto; l’immagine rappresenta
l’ideale tardo-antico del dominio celeste sulla terra e del contatto
diretto con il soprannaturale dell’imperatore, che governa ispirato
dalla divinità.
Nel portico in fondo, statua colossale di Roma (età traianea) tra
due statue in bigio di re barbari prigionieri (sec. II), celebre gruppo
composto dal cardinale Federico Cesi nel suo giardino in Borgo, e
testa giovanile di Costanzo II, appartenente ad altra statua colossale.
A sinistra, rilievi con rappresentazioni delle Province soggette a Roma,
che insieme a trofei ornavano la cella del tempio di Adriano; sopra,
parte dell’iscrizione dedicatoria dell’arco di Claudio, eretto in suo onore
sulla «via Lata» per la conquista della Britannia (43).

IL PALAZZO NUOVO. Il progetto michelangiolesco fu ripetuto da


Girolamo e Carlo Rainaldi per l’edificazione, commissionata da
Innocenzo X sul lato opposto della piazza e avvenuta nel 1655, di
questo edificio, previsto in origine come appendice della torre di Paolo
III senza collegamenti fra portico e primo piano.
I *MUSEI CAPITOLINI, che nei due edifici hanno sede, sono le più
antiche raccolte pubbliche non solo di Roma ma del mondo, ricche di
sculture classiche, alcune delle quali di gran pregio. Nel primo si
possono visitare l’appartamento dei Conservatori, il Museo del palazzo
dei Conservatori, il Braccio Nuovo, il Museo Nuovo e la Pinacoteca
Capitolina; nel secondo, il Museo Capitolino, che vi ha sede dal tempo
di Clemente XII (t. 0639967800-0667102475).

LA STORIA DELLE COLLEZIONI. La donazione di Sisto IV nel 1471 dei


bronzi conservati in Laterano (la Lupa, la testa colossale di Costantino
e il globo da lui tenuto in mano, lo Spinario e il Camillo), simboli del
potere di Roma antica, costituì l’originario nucleo del museo, cui si
aggiunsero i rilievi storici donati da Leone X (1515), l’Ercole dal Foro
Boario, l’acròlito di Costantino, il Bruto Capitolino, fino alla raccolta
degli idoli pagani, regalati da Pio V nel 1566, che segnarono la nascita
di un grande museo di arte antica. Uno straordinario momento di
crescita delle collezioni si ebbe con l’acquisto (1733) della raccolta del
cardinale Alessandro Albani, testimonianza del gusto collezionistico nei
sec. XVI e XVII; per accogliere le opere da poco acquisite, venne
inaugurata da Clemente XII (1734) nel Palazzo Nuovo la nuova sede
espositiva del Museo Capitolino. Sotto il pontificato di Benedetto XIV
giunsero in Campidoglio importanti opere dalla villa Adriana di Tìvoli e
uno straordinario documento per lo studio della topografia antica della
città: la «Forma Urbis Romae» dell’epoca di Settimio Severo. La
donazione della collezione Castellani concluse il capitolo delle raccolte
storiche capitoline. Con Roma capitale e con i lavori urbanistici a essa
connessi cominciò un nuovo e importante periodo di acquisizione delle
opere che andavano emergendo dagli scavi; in tale contesto sorsero
nel 1876 il Museo del palazzo dei Conservatori, nel 1925 il Museo
Nuovo e nel 1952 il Braccio Nuovo.
LA RISTRUTTURAZIONE MUSEALE Il complesso dei Musei Capitolini è
stato sottoposto a un profondo intervento di restauro sia delle
strutture architettoniche sia degli ambienti espositivi, che ha portato
alla creazione (2005) di un nuovo e articolato percorso di visita, alla
riorganizzazione di alcuni settori, al recupero di nuovi spazi e alla
dotazione di moderni servizi, tra cui un ristorante sulla spettacolare
terrazza di palazzo Caffarelli.
L’ATTUALE SISTEMA MUSEALE. Presenta grandi novità rispetto al
vecchio assetto del Museo: la più importante è rappresentata
dall’inserimento nel percorso di visita sia del TEMPIO DI VEIOVE →,
dedicato nel 192 a.C. a questa misteriosa divinità vicina a Giove e al
mondo degli inferi, con la sua maestosa statua di culto, sia delle
imponenti strutture del TABULARIUM →, imponente edificio di età
repubblicana affacciato sui Fori e sul Palatino, sede dell’archivio di
Stato di Roma. Il panorama sulla città antica che si offre dalle
monumentali arcate del Tabularium rappresenta uno spettacolo
indimenticabile, che permette di collegare indissolubilmente le opere
delle raccolte capitoline, incontrate nel percorso di visita, al cuore
monumentale di Roma repubblicana e imperiale.
I TRE PALAZZI CAPITOLINI che delimitano la piazza
michelangiolesca (Palazzo Senatorio, palazzo dei Conservatori, Palazzo
Nuovo) sono collegati attraverso la galleria di congiunzione, costruita
negli anni quaranta del Novecento ma solo oggi recuperata e
rinnovata come armonico completamento di un percorso museale
unitario e ininterrotto tra le collezioni artistiche del Campidoglio e le
sue emergenze monumentali; gli spazi espositivi sono stati ampliati e
resi più organici con l’inserimento del palazzo Clementino e di una
parte del palazzo Caffarelli →.
Attraverso i recenti lavori di restauro i bellissimi soffitti
cassettonati dei due palazzi storici, gli affreschi e gli stucchi
dell’appartamento dei Conservatori, sono stati recuperati al loro
splendido aspetto originario; la cappella storica dei Conservatori ha
ritrovato il suo volto antico con il riposizionamento dell’altare e del
pregevole dipinto su lavagna. Le sculture più prestigiose delle raccolte
capitoline, compresi i preziosi bronzi che rappresentano il nucleo di
fondazione dei Musei, sono nuovamente esposte al pubblico dopo
importanti interventi conservativi.
VERSO L’APPARTAMENTO DEI CONSERVATORI. La collocazione delle
opere può subire modificazioni. Dal cortile del palazzo dei Conservatori
si passa a sin. nell’ATRIO e nel VESTIBOLO, ove sono esposti alcuni
documenti relativi alla storia del museo, tra cui un’iscrizione relativa al
dono dei bronzi lateranensi con cui ebbe origine il museo. Si sale a d.
la SCALA, ornata nei ripiani con stucchi di Luzio Luzi (1576). Alle pareti
del I ripiano, tre rilievi storici del sec. II (Marco Aurelio sacrifica
davanti al tempio di Giove Capitolino, Trionfo di Marco Aurelio e Marco
Aurelio fa grazia dei nemici vinti) appartengono a un monumento
dell’imperatore; il quarto, proveniente dall’arco di Portogallo,
rappresenta il Solenne ingresso di Adriano in Roma (sec. II). Al II
ripiano, Allocuzione di Adriano nel Foro Romano, rilievo dall’arco sopra
ricordato, e statua di Carlo d’Angiò, re di Sicilia e per tre volte
senatore di Roma, che è stata già attribuita ad Arnolfo di Cambio (fine
sec. XIII).

L’APPARTAMENTO DEI CONSERVATORI, adibito a sede di


rappresentanza del comune, cui si accede attraverso una porta in
legno dai *battenti riccamente intagliati (1643), costituisce un
complesso di grande sontuosità. La SALA DEGLI ORAZI E CURIAZI, ove si
riuniva un tempo il consiglio pubblico, è così detta dal soggetto di uno
degli affreschi del Cavalier d’Arpino, imitanti arazzi e rappresentanti
episodi dei primordi di Roma. Vi sono alloggiate la *statua di
Urbano VIII benedicente in trono, marmo di Gian Lorenzo Bernini e
aiuti (1635-39), e la *statua di Innocenzo X, in analogo
atteggiamento, bronzo di Alessandro Algardi (1645-50). La SALA DEI
CAPITANI, con belle porte intagliate del 1643 e alle pareti affreschi
(episodi della storia di Roma repubblicana) di Tommaso Laureti (1587-
94), prende nome dalle cinque statue marmoree di capitani della
Chiesa: Marcantonio Colonna (Nicolò Pippi; 1595); Alessandro Farnese
(1593; il torso è antico, la testa di Ippolito Buzio); Carlo Barberini
(1630; la testa è di Bernini, il torso è antico, le braccia e le gambe
dell’Algardi); Gianfrancesco Aldobrandini (1602); Tommaso Rospigliosi
(Ercole Ferrata; 1669). SALA DEI TRIONFI. Soffitto ligneo intagliato del
1569 e fregio (Trionfo di Paolo Emilio su Perseo) di Michele Alberti e
Giacomo Rocca (1569). Statuette di scudieri, bronzi della maniera del
Verrocchio; *Ritratto virile in bronzo, creduto di Giunio Bruto (solo la
testa è antica; sec. III-II a.C.); nel mezzo, il famoso *Spinario, di
bronzo (già chiamato il Fedele capitolino perché si identificava con
Marzio messaggero dei Romani, il quale non si arrestò nel cammino
quantunque tormentato da una spina al piede), elegante creazione
tardo-ellenistica (I a.C.); *Camillo, statua di giovane assistente al
culto, di età augustea. Alle pareti: Deposizione, su lavagna, di Paolo
Piazza (firma; 1614); Vittoria di Alessandro su Dario di Pietro da
Cortona (1635); S. Francesca Romana di Giovanni Francesco
Romanelli (1638). SALA DELLA LUPA, già loggia (gli archi sul lato delle
finestre riproducono quelli originari nascosti nel muro). Alle pareti,
fatti della storia romana, affreschi attribuiti a Jacopo Ripanda (inizi
sec. XVI); sulla parete di fondo, entro architettura disegnata da
Michelangelo, frammenti dei *Fasti Consolari e Trionfali, che erano
incisi nelle pareti interne dei fornici laterali dell’arco di Augusto:
contengono la lista dei consoli romani fino al 13 e dei trionfi dei grandi
capitani dal tempo di Romolo al 12 a.C.; sulle altre pareti, iscrizioni in
onore di Marcantonio Colonna, vincitore a Lèpanto, e di Alessandro
Farnese duca di Parma (1588). Nel mezzo della sala, la celeberrima
*Lupa Capitolina, straordinaria opera in bronzo di inizi sec. V a.C.
riferita ad artisti magnogreci: già collocata sulla facciata del palazzo
dei Conservatori, è divenuta dal XV simbolo di Roma (i gemelli sono
stati aggiunti nel ’400 da artista fiorentino, probabilmente il Pollaiolo).
SALA DELLE OCHE. Soffitto e fregio dipinto del sec. XVI. 6, Testa di
medusa di Gian Lorenzo Bernini (1630); 7, busto in bronzo di
Michelangelo, derivato da quello di Daniele da Volterra al Museo
nazionale di Firenze; 12, 13, due anatre e vaso con testa d’Iside,
bronzi di età romana. Nel centro, *cane, scultura decorativa romana in
serpentina moschinata. SALA DELLE AQUILE. Soffitto e fregio attribuito ad
Antonio Gherardi. 8, Amore dormiente di arte ellenistica. La SALA DEGLI
ARAZZI, già del Trono, con ricco soffitto intagliato e bel fregio (storie di
Scipione Africano) del sec. XVI, prende nome dalle opere alle pareti,
eseguite a Roma dalla fabbrica dell’ospizio di S. Michele nel 1764-68
(l’arazzo con Romolo e Remo si ispira al quadro di Pieter Paul Rubens
nella Pinacoteca Capitolina). CAPPELLA NUOVA (inaugurata nel 1960).
Sull’altare, Madonna col Bambino e i Ss. Pietro e Paolo di Avanzino
Nucci; alle pareti, Misteri del Rosario in porcellana di Sassonia. Alla
SALA DELLE GUERRE PUNICHE, con soffitto cinquecentesco, danno nome gli
affreschi di Jacopo Ripanda e collaboratori (primi ’500). Al centro,
*cratere bronzeo con iscrizione greca di Mitridate, bottino della guerra
mitridatica (63 a.C.). CAPPELLA VECCHIA. Nella volta, affreschi e stucchi di
Michele Alberti e Giacomo Rocca (1575-78). Alle pareti: Madonna col
Bambino e angeli, detta Madonna delle Scale, affresco di Antonio da
Viterbo (fine sec. XV); gli Evangelisti e i Ss. Cecilia, Alessio, Eustachio e
la beata Ludovica Albertoni sono di Giovanni Francesco Romanelli
(1645-48). Nel passaggio verso il Museo del palazzo dei Conservatori,
Festa al Colosseo, arazzo fiammingo del sec. XVI, e *Vedute di Roma,
tempere di Gaspare Vanvitelli.

IL MUSEO DEL PALAZZO DEI CONSERVATORI. La ristrutturazione,


completata nel 2005, del palazzo dei Conservatori ha modificato
radicalmente l’aspetto di questa sezione museale, con la realizzazione
di una grande aula vetrata per i grandi bronzi capitolini, il
riallestimento delle sale degli Horti romani e della Collezione Castellani
e la creazione di un ampio settore dedicato al tempio di Giove
Capitolino.
ESEDRA DI MARCO AURELIO. Realizzata su progetto di Carlo Aymonino,
ripropone nel volume della sala lo spazio ovale disegnato da
Michelangelo per la piazza capitolina. Ricavata dalla copertura del
Giardino Romano, essa accoglie la *statua equestre di Marco
Aurelio, tra le rarissime statue bronzee antiche pervenuteci (si salvò
dalla distruzione durante il Medioevo perché ritenuta raffigurare
Costantino) e modello del monumento equestre moderno dal
Rinascimento in poi: l’imperatore, rappresentato in atto di parlare al
popolo, monta un cavallo che originariamente posava la zampa d., ora
sospesa in aria, sul capo di un Barbaro sconfitto. Tracce della
doratura, ulteriormente evidenziate dal restauro, sono visibili sul viso e
sul manto dell’imperatore, e sulla testa e sul dorso dell’equino;
un’antica leggenda afferma che quando la doratura sarà tutta
ricomparsa, canterà la «civetta» (il ciuffo di peli tra le orecchie del
cavallo) e annuncerà il giudizio universale. Vi sono collocati anche
alcuni dei grandi bronzi capitolini: i frammenti del colosso bronzeo di
Costantino (IV sec. d.C.) e la statua di Ercole in bronzo dorato (II
sec. a.C.).
AREA DEL TEMPIO DI GIOVE CAPITOLINO. L’intervento di Aymonino
comprende anche la nuova sistemazione delle fondazioni in tufo del
tempio di Giove Capitolino →, di recente restaurate. Gli scavi del
Giardino Romano, hanno permesso di individuare le fasi più antiche di
frequentazione e occupazione di questa parte del colle capitolino (a
partire dall’età del Bronzo Medio: XVII-XIV secolo a.C.) fino al cantiere
per la costruzione del tempio di Giove Ottimo Massimo all’epoca dei re
Tarquini nel VI secolo a.C.
Nell’area del palazzo dei Conservatori e del palazzo Caffarelli è
emersa una situazione archeologica di straordinario interesse: nel
Giardino Romano e in un ampio settore del palazzo Caffarelli
(corrispondente al Museo Nuovo) sono stati scoperti i resti
monumentali molto ben conservati delle fondazioni del tempio di
Giove Capitolino, massimo santuario della romanità, che permettono
di ricostruire la pianta originale dell’edificio arcaico, esteso su un’area
di circa 55 metri x 60. Nella stessa area è stata individuata una fase
molto antica di utilizzazione, che confermerebbe la frequentazione
dell’area del Campidoglio in un’epoca antecedente alla formazione del
primo nucleo urbano di Roma. Impressionanti sono le fondazioni in
blocchi di cappellaccio che, attraverso lo strato argilloso superficiale, si
appoggiano sul sottostante banco di tufo.È stato inoltre messo in
massima evidenza il cosiddetto Muro romano, l’unica struttura del
podio conservata fino alla sommità.
Il nuovo allestimento del Museo del Palazzo dei Conservatori
include inoltre una diversa presentazione delle SCULTURE MARMOREE degli
Horti Lamiani, degli Horti Mecenaziani e degli Horti Tauriani-Vettiani
(ritratti di imperatori), già esposti in queste sale e poi
provvisoriamente alla Centrale Montemartini. Ubicati nella zona più
alta dell’Esquilino, nell’area intorno all’attuale piazza Vittorio
Emanuele, gli Horti Lamiani furono fondati dal console Elio Lamia,
amico di Tiberio, e passarono già con Caligola a far parte delle
proprietà imperiali. Della lussuosa decorazione del vasto complesso
edilizio, oltre agli affreschi e agli elementi architettonici in marmi
colorati, sono stati rinvenute innumerevoli laminette sbalzate in
bronzo dorato con gemme incastonate, resti di un prezioso
rivestimento parietale.
Nelle tre sale adiacenti all’Appartamento dei Conservatori sono
infine sistemate le storiche vetrine della COLLEZIONE CASTELLANI, con una
parte dei magnifici vasi greci ed etruschi della raccolta.
IL PATRIMONIO MUSEALE. Nel novero dei suoi materiali spiccano: le
sculture trovate sull’Esquilino sul sito dei famosi «horti» del console
Lucio Elio Lamia (Vecchio pescatore, copia da originale ellenistico del
sec. I a.C., di particolare realismo; *Fanciulla seduta, fine creazione da
opera di arte ellenistica del II a.C.; Vecchia contadina – acefala – di
arte ellenistica; *testa di centauro, forse originale della scuola di
Pergamo; busto di Commodo, eccezionale testimonianza della
ritrattistica imperiale, raffigurato come Ercole con la «leontè» sulla
testa e nelle mani la clava e i pomi delle Esperidi, tra due tritoni;
candelabro del primo periodo augusteo; statua di Genio, arte romana
del I; la cosiddetta *Venere Esquilina, figura di giovinetta ignuda, con
attributi isiaci, nell’atto di cingersi i capelli con una benda, eccellente
scultura eclettica dell’inizio dell’Impero); le statue di funzionari in atto
di dare inizio ai giochi nel circo (fine IV); le epigrafi in ricordo del
conferimento della cittadinanza romana a Francesco Petrarca,
Michelangelo, Tiziano e Gian Lorenzo Bernini; le lapidi onorarie con i
ritratti di Cristina di Svezia e Maria Casimira di Polonia; la colossale
statua di Artemide, da originale del II a.C. già collocata come dea
Roma sulla torre capitolina; una statua acefala di giovinetta col peplo
da originale greco della prima metà del V a.C.; una testa di atleta di
arte mironiana; un frammento di stele con defunta seduta e ancella,
arte attica del principio del IV a.C.; una statuetta di Latona che fugge il
serpente Pitone portando in salvo Apollo e Artemide infanti, da
originale del V a.C.; le statue di giovinetti addetti al culto eleusino, da
originali greci del V a.C.; un *torso di amazzone, originale greco (c.
510 a.C.) riferibile alla decorazione frontonale del tempio di Apollo
Daphnephoros a Eretria; una *stele funeraria di giovinetta con
colomba, originale di arte ionica (fine VI a.C.) forse dell’Italia
meridionale; una *testa di leone, originale greco di inizi V a.C.; un
frammento di stele funeraria attica, originale della prima metà del V
a.C.; una Nike acefala (prima metà V a.C.); un colossale piede di
statua di Iside con sandalo adorno di motivi marini; due statuette di
fanciulli che giocano alle noci (sec. II); rilievo con veduta di città (I
a.C.); due statue di atleti da tipi del IV a.C.; rilievo con scena
dionisiaca, di arte ellenistica; Antinoo (sec. II); statua di giovane con
balteo, da originale d’arte policletea; due cinocefali di granito grigio
dal sepolcro di Nectanebo (358-341 a.C.); una sfinge di basalto del
faraone Amasis della XXVI dinastia; un coccodrillo e una sfinge in
granito rosa di età tolemaica o romana; una testa di imperatrice
bizantina, cosiddetta Amalasunta (fine V-inizi sec. VI); una statuetta
del Buon Pastore (sec. III); una mensa marmorea di epoca tardo-
romana con bordo adorno delle scene della vita di Achille, già
decorazione di uno degli amboni cosmateschi dell’Aracoeli; un
grandioso sarcofago col mito di Meleagro (sec. III); due sarcofagi in
terracotta di tarda età etrusca (III a.C.); *vasi greci e *antefisse (VI-V
a.C.) da Capua e dall’Italia meridionale; vasi etruschi d’impasto e di
bucchero, vasi italici, vasi falisci e altri, facenti parte della collezione
Castellani donata al comune nel 1867; la Tensa capitolina (sec. IV),
ricostruzione di un carro, destinato a portare in processione immagini
di divinità e rivestito di lamine di bronzo con bassorilievi
rappresentanti episodi del ciclo troiano; la *statuetta in terracotta
policroma di Etrusco seduto vestito alla moda orientalizzante (da
Cervèteri, fine VII a.C.); anfore dette impropriamente tirreniche (VI
a.C.); vasi corinzi, ionici, attici a figure nere e a figure rosse (VI a.C.);
tre lastre di letto funebre etrusco con figure di animali; il *cratere di
Aristonothos (Mito di Ulisse e Polifemo) firmato dall’artista (inizi VII
a.C.); una statuetta di Iside di età tolemaica; fiaschette in terracotta
smaltata di tarda età saitica (VI a.C.); una *testa colossale
dell’imperatore Costantino II (sec. IV), facente parte di una statua di
cui si conservano pure una mano e il globo che questa sosteneva; una
*statuetta di Lare danzante con in mano un corno potorio e una
coppa (sec. I); un *letto funerario con spalliere adorne di finissimi
bronzi ageminati in argento (I a.C.) da Amiterno; una lettiga
ricomposta con bronzi del I trovati sull’Esquilino; le sculture
provenienti dai giardini di Mecenate sull’Esquilino (spiccano: l’*Ercole
combattente, vigorosa scultura da originale di arte lisippea; il *Marsia
sospeso, una delle migliori repliche romane dell’originale della scuola
di Rodi; il *rilievo con Menade danzante, copia romana da originale di
Callimaco; la statua acefala di Venere, forse replica dell’originale di
Callimaco, utilizzato da Arcesilao per la Venere Genitrice del foro di
Cesare; la testa di amazzone, la più bella replica della statua di Cresila
o di Policleto; la decorazione di fontana a forma di rhyton (corno
potorio), di stile neoattico del sec. I a.C., firmata da Pontios.
IL BRACCIO NUOVO raccoglie sculture rinvenute per la maggior
parte durante i lavori di isolamento del colle del Campidoglio negli
anni ’30 del ’900 e ingloba alcuni resti della platea e di murature del
tempio di Giove Capitolino →. Il Museo Nuovo è dedicato alle
sculture venute alla luce dopo il 1870 (una selezione di pezzi è
esposta nella ex centrale termoelettrica Giovanni Montemartini: →).
Le collezioni del Palazzo Nuovo sono state riproposte nell’originale
ordinamento settecentesco, che privilegia un’articolazione delle opere
per categorie e accostamenti dettati da raffinati criteri estetici e che
costituisce un fattore dell’eccezionale fascino di questo settore
museale. Le collezioni sono sistemate in modo da evidenziare, con la
ricomposizione dei gruppi scultorei originali, le componenti sia storiche
sia artistiche delle opere esposte; è quindi possibile illustrare,
attraverso i reperti che li decoravano, i monumenti pubblici, gli edifici
religiosi, le ville e le case private, i complessi funerari. Una parte
importante è riservata alle sculture frontonali del tempio di Apollo
Sosiano, monumentale decorazione architettonica di un edificio
religioso greco (metà sec. V a.C.) riutilizzata a Roma per volere di
Augusto negli ultimi decenni del I sec. a.C., al gruppo di opere
bronzee (tra cui un cavallo, straordinario originale greco riferibile a
scuola lisippea) rinvenuto in Trastevere nell’800, ed è stata studiata
una nuova sistemazione per le sculture dagli «horti Lamiani»,
«Maecenatiani» e «Sallustiani».

LA PINACOTECA CAPITOLINA, fondata da Benedetto XIV nel 1748, è


costituita in massima parte dai dipinti delle collezioni Sacchetti e Pio di
Savoia, e raccoglie dipinti italiani ed europei dal Medioevo al ’700.
Dopo la recente riorganizzazione,le opere sono ragruppate per scuole,
generi e autori, con un percorso in ordine cronologico,
SALA I - ITALIA CENTRALE DAL MEDIOEVO AL CINQUECENTO. Vi è raccolto un
gruppo di opere dal XIV al XVI secolo. Si segnalano le tavolette con
Storie dell’infanzia di Cristo, di scuola dell’Italia centrale del ’300, e la
Trinità di Niccolò di Pietro Gerini. Proviene dal convento di S.
Domenico di Ascoli Piceno la Morte e Assunzione della Vergine di Cola
dell’Amatrice (1515-16). Inoltre, Madonna col Bambino e angeli di
Giovanni Antonio Sogliani e la grande tavola con la Presentazione di
Gesù al Tempio iniziata da Francesco Francia e terminata da
Bartolomeo Passerotti.
SALA II - IL CINQUECENTO A FERRARA. Nel consistente gruppo di opere
di artisti ferraresi del XVI secolo particolarmente significativa è la Sacra
famiglia di Dosso Dossi, cui si affianca il Garofalo, di cui si segnalano
la Madonna in gloria (1520-25) e la raffinata Annunciazione (1528).
Inoltre, S. Sebastiano e S. Nicola dell’Ortolano e Adorazione dei Magi
dello Scarsellino.
SALA III - IL CINQUECENTO A VENEZIA. In questa sala emergono: il
*Battesimo di Cristo (c. 1512) del giovane Tiziano; il *Ritratto di
donna in veste di S. Margherita del Savoldo; un’opera tarda di Lorenzo
Lotto (*Ritratto di balestriere), dipinto tra il 1551 e il 1552; il Ratto di
Europa di Paolo Veronese; la Maddalena penitente di Domenico
Tintoretto; il Buon Samaritano di Jacopo Bassano (c. 1550).
SALA IV - ASPETTI DEL SEICENTO A ROMA. Vi sono rappresentati artisti
italiani e stranieri attivi a Roma nella prima metà del Seicento:
François Perrier (Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia e Adorazione
del vitello d’oro), il ticinese Pier Francesco Mola (Diana ed Endimione),
gli emiliani Giovanni Lanfranco (Erminia tra i pastori) ed Emilio
Savonanzi (Morte di Adone).
SALA V - IL CINQUECENTO IN EMILIA. Sono presenti opere di pittori di
ambito bolognese come Prospero Fontana (Disputa di S. Caterina
d’Alessandria) e Pietro Faccini (Matrimonio mistico di Santa Caterina
d’Alessandria, c. 1595). Inoltre, due tele del Cavalier d’Arpino: Diana
cacciatrice (1600) e S. Antonio abate (1635).
SALA VI - LA PITTURA A BOLOGNA DAI CARRACCI A GUIDO RENI. Della
produzione dei tre Carracci (Ludovico, Agostino e Annibale) la raccolta
capitolina possiede alcune opere ‘minori’ ma significative, come la S.
Cecilia di Ludovico e il S. Francesco penitente di Annibale. Altro
notevole nucleo è costituito dai dipinti di Guido Reni, allievo dei
Carracci, tra cui: S. Sebastiano, l’Anima Beata, Cleopatra, Lucrezia e la
Fanciulla con corona, tutte opere della maturità.
SALA DI SANTA PETRONILLA. Presenta notevoli dipinti di pittori attivi a
Roma nel XVII secolo. È dominata dalla grande e celebre tela col
*Seppellimento di S. Petronilla (1623) del Guercino, cui appartengono
anche S. Matteo e l’angelo (1622), Cleopatra di fronte a Ottaviano
(1640) e la Sibilla Persica (1647). Alla Sibilla del Guercino è affiancata
la Sibilla Cumana del Domenichino (1622). Sono inoltre esposti due
capolavori del Caravaggio: la *Buona Ventura, opera giovanile
eseguita nel 1595 probabilmente per il cardinale Del Monte, e il *S.
Giovanni Battista (1602). La grande tela di Pieter Paul Rubens con il
*Ritrovamento di Romolo e Remo, dipinta ad Anversa attorno al 1617,
costituisce un omaggio a Roma del grande artista fiammingo. Agli anni
romani di Simone Vouet è da ascrivere l’Allegoria dell’Intelletto, della
Volontà e della Memoria (1624 circa).
SALA DI PIETRO DA CORTONA. In questa sala, un tempo detta
dell’Ercole dal nome della statua di bronzo dorato (trasferita nel
Museo del Palazzo dei Conservatori, →), è stato riunito il consistente
nucleo di opere di Pietro da Cortona: il Sacrificio di Polissena (1620), il
Trionfo di Bacco (1624), il Ratto delle Sabine (1629), il Paesaggio
delle allumiere (1625-30), il Ritratto di Urbano VIII (1627 c.), il
Trionfo di Bacco, il Carro di Venere e due piccoli e rari paesaggi.
Inoltre, grandi tele di Giovanni Maria Bottalla e opere di Giovanni
Francesco Romanelli (Ratto di Elena e il David)
GALLERIA CINI. Nelle vetrine sono conservate oltre 400 preziose
porcellane della produzione di Meissen, Frankental, Capodimonte e
dell’Estremo Oriente, donate dal conte romano Francesco Cini nel
1880 al Comune di Roma. Alle pareti, serie di arazzi con le storie di
Semiramide, eseguiti tra il 1627 e il 1638 nella manifattura di Anversa.
Nei diversi settori della galleria i dipinti sono raggruppati per generi:
opere di Gaspard Van Wittel, tra le quali la serie di sette vedute di
Roma su pergamena; ritratti dipinti tra il XV e il XVII secolo, tra cui
l’Autoritratto attribuito a Velásquez; due *doppi ritratti del fiammingo
Anton Van Dyck. Seguono un significativo gruppo di dipinti di
Bartolomeo Passerotti (Ritratto d’uomo, Ritratto d’uomo con cane e il
Doppio ritratto di musici) e testimonianze della pittura del Settecento
romano come la Sacra famiglia di Pompeo Batoni e i quattro grandi
bozzetti di Domenico Corvi per gli arazzi della sala del Trono
dell’appartamento dei Conservatori. La visita termina con il Ritratto del
Cardinale Silvio Valenti Gonzaga di Pierre Subleyras.
MUSEO CAPITOLINO. Attraverso il vestibolo e l’atrio del Palazzo
Nuovo si entra nel CORTILE, ove, nel fondo, è un prospetto a esedra,
opera di Filippo Barigioni, con l’arme di Clemente XII al di sopra di una
lapide celebrante l’istituzione del museo (1734); in basso, preceduta
da una vasca, la colossale statua giacente di Oceano (sec. I), detta
popolarmente Marforio e facente parte delle ‘statue parlanti’ (per
l’inquadramento →), che fu rinvenuta nel Foro. Nelle nicchie laterali,
statue di Pan (sec. II) dal teatro di Pompeo. ATRIO. 1, statua di
giovinetto con cane, da originale attico di fine sec. IV a.C. (la testa è
cinquecentesca); 2, statua colossale di Minerva, da originale attico di
metà V a.C.; 3, Statua femminile, da originale di fine IV a.C. (la testa è
un ritratto del tempo di Livia, moglie di Augusto); 4, statua di
baccante, da prototipo greco di fine V a. Cristo. Le STANZE TERRENE A
SINISTRA accolgono statue, rilievi, iscrizioni riferentisi ai culti orientali
(da qui l’altro nome dei vani) largamente diffusi in Occidente nell’età
imperiale. SALA I. 9, rilievo con Mitra tauroctono (sec. III; dal
Campidoglio); 18, ara della vestale Claudia (raffigura la leggenda della
vestale che trasse a riva con la sua cintura la nave che recava a Roma
l’idolo della Magna Mater nel 204 a.C.); 19, rilievo con gli dei di
Palmira (metà III); 28, busto di sacerdote di Atargatis (sec. III); 29,
rilievo di un sacerdote della Magna Mater (sec. II); 32, gruppo di Mitra
tauroctono (sec. III); 33, ara del Sol Sanctissimus (seconda metà I).
SALA II. 15, rilievo votivo con Serapide tra Demetra-Iside e Afrodite-
Iside (sec. II); al centro, 21, altare dedicato a Iside, su cui è, 22, una
grande testa di Serapide. SALA III. Raccolta di sculture appartenenti al
culto di Giove Dolicheno, trovate nel santuario del dio scoperto nel
1935 sull’Aventino (plastico al centro della sala). 23, statua di Giove
Dolicheno sul toro (sec. II-III); 27, rilievo con Giunone Regina
sull’animale sacro (seconda metà II); 45, statua di Onfale danzante da
originale ellenistico. Di nuovo nell’ATRIO: 7, statua di divinità femminile
(Demetra?), tipo di fine sec. V a.C.; 8, statua iconica di Faustina
maggiore, esemplata su un modello fidiaco del V a.C.; sotto la statua,
8a, frammento di rilievo con la scrofa Laurentina (rappresentava un
fatto miracoloso avvenuto dopo lo sbarco di Enea nel Lazio), del I; 13,
gruppo di Polifemo e un Greco di tarda epoca romana; 14, 17, Statue
muliebri panneggiate, derivanti dalla Sosandra di Calamide
sull’Acropoli di Atene, con teste-ritratto romane dei sec. II e IV. STANZE
TERRENE A DESTRA. SALA I. Alle pareti, frammenti di calendario (nel 5 è
segnato il 21 aprile, Natale di Roma); busti romani dalla fine della
Repubblica all’età di Costantino. Nel centro, 1, base con le 12 fatiche
di Ercole, opera romana del principio dell’Impero ispirata a modelli
greci del sec. V a. Cristo. SALA II. 4, sarcofago Amendola con
combattimento tra Greci e Galati, lavoro romano del sec. II molto
affine all’arte della scuola di Pergamo; 13, statua di sileno seduto, arte
romana del II (la migliore delle repliche pervenuteci di un tipo
ellenistico). SALA III: sarcofago colossale già detto di Alessandro
Severo, coi due defunti distesi sopra il coperchio e rilievi della
leggenda di Achille, opera di officina attica del sec. III; 4, cippo di
Vettio Agorio Pretestato, prefetto di Roma nel IV. Di nuovo nell’ATRIO:
16, *statua colossale di Marte, che riproduce probabilmente quella del
tempio di Marte Ultore (la parte inferiore è restauro moderno), opera
romana di fine sec. I; 18, statua di Mercurio, da tipo attico del
principio del IV a.C.; 19, statua colossale di Diana, da originale greco
del principio del IV a.C.; 20, statua di Diana cacciatrice da tipo del IV a.
Cristo. Lungo la SCALA di accesso al piano superiore si notino: 9, statua
di sacerdotessa recante un vaso (arte ellenistica) e frammenti di
sarcofagi romani a vasca con scene di caccia.
PRIMO PIANO. GALLERIA. 7, Leda col cigno da originale di Timoteo;
10, Vecchia ubriaca, forse replica da originale di Mirone il Giovane
(seconda metà sec. III a.C.); 12, urna cineraria di Lucilio Felice (sec.
II); 22, Psiche alata da originale del IV a.C.; 29, 39, statue di giovani
satiri che suonano il flauto da originali ellenistici; 30, busto detto di
Scipione Africano, ma piuttosto di un sacerdote d’Iside; 31, *Athena,
una delle più solenni rappresentazioni della dea, copia, trovata a
Velletri, da originale bronzeo di fine V a.C.; 34, grande cratere
decorativo (sec. I) sopra un *puteale con corteo dei «Dii Consentes»
di stile arcaizzante, proveniente dalla villa Adriana a Tìvoli; 41, statua
di Dioniso giovane di arte ellenistica; 42, testa della Venere di Cnido,
copia da Prassitele; 44, erma di Eubuleus o Trittolemo da originale di
Prassitele; 45, Statua femminile funeraria (I a.C.); 48, busto virile
barbato (sec. II); 49, Giove Ammone con corna di ariete, da originale
del IV a.C. o di età ellenistica; 50, statua di Selene da tipo ellenistico;
51, busto di Giove, da originale ellenistico; 53, testa colossale di dea
alla maniera di Damofonte da Messene; 56, busto di Faustina minore,
moglie di Marco Aurelio (sec. II); 57, sarcofago con il Ratto di
Proserpina (sec. III); 61, statua di dama romana ritratta come Venere
(età flavia); 65, statua di combattente (ricomposta nel ’600 utilizzando
un torso del Discobolo di Mirone); 67, *Amore tende l’arco da
originale di Lisippo; 68, Ercole uccide l’idra (secondo l’interpretazione
datagli nel restauro da Alessandro Algardi, ma piuttosto Ercole e la
cerva) del sec. II; 69, testa colossale di Vitellio (?; sec. I); 70,
sarcofago con amazzonomachia (prima metà II); 71, testa di Dioniso
da originale attico del IV a.C.; 72, testa di Dioniso di arte prassitelica.
SALA DELLE COLOMBE. 8, *sarcofago di bimbo col mito di Prometeo (arte
romana del sec. III); 9, *mosaico con quattro colombe che bevono a
un vaso, replica di un’opera di Soso di Pergamo, proveniente dalla villa
Adriana; 12, 18, busti virili del III; 27, sarcofago di Geronzia col mito di
Endimione e Selene (sec. II). Sul banco: 43-46, 48-51, ritratti della
fine della Repubblica o del principio dell’Impero. Nelle bacheche: 53,
*Tavola iliaca, con rilievi del ciclo troiano accompagnati da iscrizioni
greche, opera di Theodoros (sec. I); 56, frammento di uno scudo di
Achille, dello stesso Theodoros (dei 124 versi del libro XVIII
dell’«Iliade» che vi erano incisi, ne restano 75); tavole in bronzo con
iscrizioni, tra cui notevoli, 74, il «senatus consultum de Asclepiade»
(78 a.C.) riguardante privilegi nei confronti di tre navarchi greci, e, 73,
il decreto di Pompeo Strabone (90-82 a.C.), relativo a privilegi in
favore di alcuni cavalieri iberici. Nel mezzo della sala, statuetta di
bambina in atto di difendere una colomba, da originale ellenistico dei
sec. III-II a. Cristo. GABINETTO DELLA VENERE. *Venere Capitolina,
splendida copia romana in marmo di Paro, da originale ellenistico
derivato dalla Venere di Cnido (sec. III a.C.), scoperta nel ’600. La SALA
DEGLI IMPERATORI ospita, disposti in ordine cronologico, 65 *busti di
imperatori romani, una delle più ricche collezioni del genere,
interessante anche sotto il punto di vista iconografico, per quanto
l’identificazione non sia sicura per tutti i busti; si notino: 10 (sulla
colonna), *Commodo giovinetto, 55, *Elagabalo e Probo (unica sua
raffigurazione certa). A essi si accompagnano ritratti di familiari degli
imperatori, tra i quali spicca, 15, la presunta *Giulia, figlia di Tito, in
realtà dama dell’età dei Flavi con la caratteristica acconciatura a
raggiera di riccioli. Tra i bassorilievi alle pareti: F, Perseo libera
Andromeda (sec. II) e, H, Endimione dormiente (sec. I). Al centro della
sala, 59, statua seduta di Elena, madre di Costantino (il corpo deriva
da un tipo statuario fidiaco del V a.C.). La SALA DEI FILOSOFI accoglie 79
busti di filosofi, poeti, medici, oratori e storici, la cui identificazione
solo in parte è sicura; assai interessanti quelli (39, 40, 41) di *Omero
(arte ellenistica), 56, *Cicerone e 73, *Lisia oratore. Al centro della
sala, 75, statua di personaggio greco seduto, da tipo del sec. IV a.
Cristo. SALONE. 1, statua di Giove, in marmo bigio morato, da tipo del
sec. IV a.C.; 2, *statua di giovane centauro, detto Centauro ridente
(doveva avere sul dorso un amorino ai cui ordini obbediva con gioia),
proveniente dalla villa Adriana e firmato da Aristeas e Papias, che
riprodussero un originale in bronzo del tardo ellenismo (le somiglianze
col Laocoonte fanno pensare che l’originale fosse a esso
contemporaneo e della stessa scuola di Rodi); 3, colossale Ercole
fanciullo in basalto (sec. II), la cui base è un’*ara con scene del mito
di Giove; 4, *statua in marmo bigio di vecchio centauro, detto
Centauro piangente (doveva avere sul dorso un amorino ai cui ordini
si rifiutava), firmata dai medesimi artisti del giovane centauro; 5,
statua di Esculapio, di marmo bigio morato, da tipo del IV a.C.; 6,
Giovane satiro di arte ellenistica; 7, statua colossale di Apollo, da
originale di fine IV a.C.; 8, Minerva, da originale di scuola fidiaca; 10,
Atleta, replica del Diadoumenos di Policleto (la testa, non pertinente, è
un ritratto di Augusto); 11, Giunone, da originale fidiaco (la testa, non
pertinente, è il ritratto di Faustina minore, moglie di Marco Aurelio);
12, Giovane atleta, da originale in bronzo della prima metà del IV a.C.;
13, statua di Adriano come Marte, da un tipo di Ares del V a.C.; 20,
Apollo, replica del cosiddetto Apollo dell’Onfalo attribuito a Calamide;
21, Hermes oratore, copia di epoca adrianea da originale di Skopas;
22, *statua di vecchia in atteggiamento di stupore di arte ellenistica;
23, Giunone, restaurata come musa, da tipo greco del IV a.C.; 24,
Hera o Cerere, da originale greco attribuito ad Agoracrito; 26, Diana
gradiente, da originale greco della prima metà del IV a.C.; 27, statua
di cacciatore, ritratto del tempo di Gallieno su un corpo di tipo greco
di metà V a.C.; 28, Arpocrate, dio del silenzio, dell’epoca di Adriano;
30, Apollo, da originale greco della prima metà del V a.C.; 31, Pothos,
dall’originale di Skopas; 33, *Amazzone ferita, la migliore replica
dell’originale di Cresila (partecipò a un concorso con le omonime
statue di Fidia e di Policleto; il nome Sisikles è forse del copista); 34,
gruppo di coniugi romani rappresentati come Marte e Venere (fine II);
35, musa, da tipo greco del IV a.C.; 36, Minerva gradiente, da
originale del IV a. Cristo. SALA DEL FAUNO. 1, *Satiro ridente che alza un
grappolo d’uva, statua in marmo rosso antico, copia di epoca adrianea
da originale bronzeo ellenistico; 2, busto di romano di singolare
espressione (seconda metà sec. III); 5, sarcofago con mito di
Meleagro (sec. II); 8, fanciullo con maschera scenica di sileno del
principio dell’Impero; 11, sarcofago con Selene ed Endimione (prima
metà II; nel coperchio, non pertinente, scene allusive alla morte di una
sposa); 10, 15, ritratti di personaggi firmati da Zenas padre e figlio
(età adrianea); 16, erma di Ercole, scultura decorativa del II; 17,
Fanciullo con l’oca, replica di un’opera di Boethos di Calcedonia; 19,
sarcofago con l’educazione di Dioniso (sec. II); 31, tavola di bronzo
contenente parte della *«lex de imperio Vespasiani», con la quale il
Senato nel 69 conferiva a Vespasiano poteri sovrani (è l’epigrafe che
Cola di Rienzo commentava al popolo). SALA DEL GALATA MORENTE o DEL
GLADIATORE (alcune delle statue attorno alla parete provengono dalla
villa Adriana e furono qui riunite dopo essere state restituite nel 1816
dalla Francia). 1, Amazzone, da un famoso originale di Fidia (la testa,
non pertinente, è del tipo di quella di Cresila); 2, testa colossale di
Alessandro Magno, da originale del sec. IV a.C.; 3, statua di Antinoo o
altro personaggio in sembianze di Hermes, versione di età adrianea di
un tipo del IV a.C.; 4, Apollo Liceo, da originale della cerchia
prassitelica; 5, Divinità femminile, originale della scuola di Pergamo; 6,
*busto di Romano, già identificato con Bruto uccisore di Cesare ma in
realtà principe della gens Iulia; 7, *satiro in riposo, una delle statue
più celebri dell’antichità (il satiro leggermente ebbro si appoggia a un
tronco d’albero): nell’abbandono della persona, nell’armonia delle
membra, nella delicata trattazione dell’epidermide si ritrovano i
caratteri dell’originale prassitelico; 8, famosa testa di Dioniso, già
creduta Arianna, da originale prassitelico; 9, statua di filosofo greco,
probabile originale greco di metà III a.C.; 10, Testa barbata di tipo
fidiaco; 11, statua di sacerdotessa isiaca di età adrianea; 12, *Amore
e Psiche, da creazione ellenistica dei sec. III-II a.C.; 13, Fanciulla
coronata di fiori di derivazione ellenistica. Al centro della sala, il
*Galata morente, già detto Gladiatore morente, che rappresenta un
guerriero galata ferito, a terra, in attesa della morte. Fu trovato negli
«horti Sallustiani» nel sec. XVI insieme al Galata che uccide la moglie,
ed è replica di un bronzo della scuola di Pergamo facente parte di un
gruppo votivo dedicato dal re Attalo I a ricordo delle sue vittorie sui
Galati invasori dell’Asia Minore (III a.C.): il tipo gallico è caratterizzato
dal «torques» al collo, dai baffi, dai capelli rappresi in ciocche. Il
mirabile modellato, la posa del corpo interamente nudo prostrato
sotto il colpo mortale, il viso fiero e rassegnato del morente fanno
della scultura una delle più belle creazioni dell’arte antica.
GALLERIA LAPIDARIA. Allestita nel 2005 nella galleria di
congiunzione dei palazzi capitolini, presenta una scelta degli esemplari
più significativi della collezione epigrafica capitolina. Sui due lati vi
sono esposte 130 iscrizioni, raggruppate tematicamente a illustrare
vari aspetti della vita pubblica e privata nella Roma antica.

IL MEDAGLIERE CAPITOLINO ospita le raccolte di monete, medaglie,


gemme e gioielli del Comune di Roma. Costituito nel 1872, non è stato
mai stabilmente aperto al pubblico fino all’attuale sistemazione in una
sala del palazzo Caffarelli-Clementino.

LA ZONA PIù APPARTATA DEL COLLE. A destra del palazzo dei


Conservatori s’imbocca via delle Tre Pile, aperta nel 1592 e a lungo
unico accesso carrabile al colle; fu resa più agevole nel 1692 da
Innocenzo X (le pile araldiche ornano la sommità del monumentino
eretto a memoria dei lavori) e ancora migliorata nel 1872-74 con la
demolizione della casa di Michelangelo (il prospetto venne ricostruito
nel 1941 alla passeggiata di Gianicolo: →). Passato un portale di
forme michelangiolesche (1584), con luci laterali dell’800, che
immetteva alla villa Caffarelli, si trova a sin. (N. 1) il palazzo
Clementino, che fu fatto costruire da Clemente X come ampliamento
del palazzo dei Conservatori, appartenne alla Prussia e ritornò al
comune nel 1895. Segue (N. 3) il palazzo Caffarelli, edificato nel 1576-
83 per Gian Pietro Caffarelli da Gregorio Canonico; passato nel 1854
alla Prussia, dopo la prima guerra mondiale fu sequestrato alla
Germania che vi aveva l’ambasciata, parzialmente demolito per gli
scavi archeologici e poi restaurato per ospitare il Museo Nuovo. Il
palazzo sorge sui resti del tempio di Giove Capitolino → o della
triade capitolina (Giove, Giunone, Minerva), massima testimonianza
della «Roma dei Tarquini» (fu fondato secondo la tradizione da
Tarquinio Prisco, completato da Tarquinio il Superbo e inaugurato nel
509 a.C.). Orientato verso il Foro Romano su poderose sostruzioni, era
un periptero «sine postico», con sei colonne sul fronte e tre celle, di
cui quella centrale, dedicata a Giove, era di dimensioni maggiori. La
struttura lignea del tetto, secondo il tipo comune a tutte le civiltà
dell’Italia centrale nei sec. VI-V a.C., era rivestita da decorazioni in
terracotta policroma, opera di Vulca e di altri artisti veienti; distrutto
più volte da incendi, fu ricostruito da Silla, da Vespasiano e in ultimo
da Domiziano. Nell’aiuola a sin. dell’ingresso a palazzo Caffarelli se ne
vedono i resti in blocchi di cappellaccio, mentre sul lato opposto della
via la terrazza panoramica poggia in parte sulle antiche sostruzioni.
Si continua per via di Villa Caffarelli, incontrando a d. un edificio
(Paul Laspeyres, 1872-77), già sede dell’Istituto Archeologico
Germanico, di linee classicamente severe, in laterizio e peperino e con
medaglioni a rilievo in parte rimossi per aprirvi finestre. Sulla
perpendicolare via del Tempio di Giove si dispone (numeri 2-10) l’ex
Ospedale Teutonico (1835), con interessante prospetto posteriore
loggiato; gli si addossa al N. 12 la piccola casa Tarpea in forma di
tempietto (Johann Michael Knapp, 1835; il fronte in terracotta con
Roma seduta in trono è di Emilio Wolff). L’area a verde che segue è il
belvedere Tarpeo, così detto dal «Mons Tarpeius» legato alla
leggenda di Tarpea che per aver tradito Roma venne precipitata da
questa rupe; spopolatosi e divenuto zona di pascolo, ritornò, fino a
metà ’500, luogo di esecuzioni capitali.
Un passaggio a volta attraverso un edificio del 1752 conduce al
portico a tre arcate di peperino (stemmi di Giulio III), comunemente
attribuito al Vignola (sue, all’interno, le porte d. e centrale). Una scala
rifatta nell’800 (le porte delle sedi delle antiche corporazioni restano
inglobate nel muro) riconduce in piazza del Campidoglio.

I SS. LUCA E MARTINA. Da piazza del Campidoglio si prende, a sin.


del Palazzo Senatorio, via di S. Pietro in Carcere, aperta sul tracciato
della cordonata che passava sotto l’arco di Settimio Severo, e, lasciati
a sin. la scalinata che sale al portico del convento d’Aracoeli → e
nell’adiacente giardino resti delle fortificazioni dell’«arx» (sec. VI-IV
a.C.), si scende per una scala a uno slargo con ampia vista sul Foro
Romano (vi si riconosce l’arco di Settimio Severo: →).
La chiesa dei *Ss. Luca e Martina, in origine dedicata da Onorio
I a S. Martina in una taberna del foro di Cesare e restaurata da
Alessandro IV nel 1256, fu concessa nel 1588 da Sisto V all’Accademia
del Disegno detta di S. Luca: la ricostruzione, affidata a Ottaviano
Mascherino e a Pietro da Cortona (1623-24) ma concretamente
intrapresa dopo la nomina del cardinale Francesco Barberini a
protettore dell’accademia (1626), durò dal 1635 al 1664 sotto la
direzione del da Cortona, che ottenne di ricavare nella cripta la
cappella di famiglia e che creò uno dei suoi capolavori architettonici.
L’apertura di via dell’Impero (ora dei Fori Imperiali) comportò la
demolizione dell’edilizia circostante e della sede storica dell’istituzione,
la cui nuova sede, progettata sul retro da Arnaldo Foschini, non venne
realizzata (i prospetti laterale e posteriore furono ridefiniti da Gustavo
Giovannoni). La facciata è di marcata verticalità, cui la zona centrale
convessa, serrata fra semicolonne e pilastri binati, conferisce un senso
di trattenuta compressione spaziale, quasi l’interno premesse sul
prospetto. La cupola e il lanternino sono solcati da costolature
terminanti su archi di scarico trattati come bizzarri timpani sopra le
finestre aperte nel tamburo.

NEL COMPATTO EQUILIBRIO SPAZIALE DELL’INTERNO, a croce greca, gli


effetti di luce esaltano l’articolazione delle pareti con colonne e la ricca
decorazione dell’ordine superiore e della cupola, movimentata dal
sovrapporsi di lacunari e costoloni: nei pennacchi, simboli degli
evangelisti di Filippo Della Valle, Camillo Rusconi e G.B. Maini; sul
pavimento della navata, lastra tombale di Pietro da Cortona. A destra
dell’ingresso, monumenti funebri di Carlo Pio Balestra (Tommaso
Righi, 1776) e di Giovanna Garzoni (m. 1670) di Mattia De Rossi (il
ritratto è di Carlo Maratta). SAGRESTIA: Estasi di S. Francesco di
Tommaso Salini. BRACCIO DESTRO: Martirio di S. Lazzaro, pala di Lazzaro
Baldi; in alto a d., epigrafe dall’antica chiesa di S. Martina (1256); a
sin., tomba di Lazzaro Baldi. ALTARE MAGGIORE: S. Luca in atto di
dipingere la Madonna, copia di Antiveduto Grammatica della tavola
(ora all’Accademia di S. Luca) attribuita a Raffaello; poco sopra la
mensa, *statua giacente di S. Martina, in marmo bianco, di Niccolò
Menghini (1635). BRACCIO SINISTRO: Assunta e S. Sebastiano di
Sebastiano Conca (1740); sotto la finestra, targa con i nomi degli
accademici sepolti nella chiesa.
A sinistra dell’altare maggiore si scende alla CHIESA INFERIORE.
All’ingresso, monumento di G.B. Soria (m. 1651); in fondo alla scala,
epigrafe a Pietro da Cortona (il busto è di Bernardino Fioriti). Al centro
del vano ottagonale che interrompe il corridoio, *altare di S. Martina,
su disegno di Pietro da Cortona realizzato da Giovanni Artusi detto il
Pescina, capolavoro di fusione del bronzo e di commesso marmoreo;
sull’altare, rilievo in alabastro di Cosimo Fancelli entro bellissima
cornice. Nelle nicchie, statue in peperino di S. Dorotea, di S. Sabina, di
S. Eufemia del Fancelli, e di S. Martina di Pompeo Ferrucci; Cristo
morto, modello di un bassorilievo di Alessandro Algardi. Più avanti nel
corridoio, busto di Pietro da Cortona del Fioriti; nella cappella a sin.
del corridoio, i Ss. Concordio, Epifanio e Compagno martiri, terracotta
dell’Algardi.

IL CARCERE MAMERTINO. Opposto alla chiesa, un portico dà


accesso all’antica prigione di Stato, che venne detta in epoca romana
«Tullianum» forse per la presenza di una sorgente («tullus») e
rinominata in età medievale. L’attuale facciata di travertino, risalente
c. al 40 a.C. come indicato dai nomi dei consoli Caio Vibio Rufino e
Marco Cocceio Nerva, ne nasconde una più antica, in tufo.

ALL’INTERNO, un ambiente trapezoidale in blocchi di tufo (sec. II


a.C.) al quale si accedeva da una porticina ora murata sul lato d.,
comunicava attraverso un foro sul pavimento con l’ambiente
sottostante, a pianta circolare in blocchi di peperino, nel quale
venivano gettati e quindi strangolati i prigionieri di Stato; sembra
infondata la leggenda medievale secondo cui vi sarebbe stato
rinchiuso anche S. Pietro, che avrebbe battezzato i carcerieri con
l’acqua di una sorgente che sgorga dal sottosuolo (ciò ha fatto
ritenere che l’ambiente circolare inferiore fosse in origine una cisterna,
trasformata successivamente in carcere). Il luogo, già venerato nel
sec. XV, fu consacrato nel 1726 a S. Pietro in Carcere.

LA CHIESA DI S. GIUSEPPE DEI FALEGNAMI, sopra il carcere, fu


iniziata per l’omonima congregazione nel 1597, compiuta in gran parte
nel 1602 da G.B. Montano, proseguita dopo il 1621 da G.B. Soria e
ultimata nel 1663 da Antonio Del Grande; fu restaurata da Antonio
Parisi nel 1880 e nel 1932 isolata dall’edilizia circostante. L’involuta
facciata manieristica tende a effetti ornamentali, accentuati dai
riquadri a fresco (ormai svaniti) di Avanzino Nucci.

L’INTERNO, a navata unica con due cappelle per lato e abside del
1880 (in sostituzione dell’originaria quadrangolare), fu ridecorato
nell’800. Al centro del soffitto ligneo, rilievo (Natività) del Montano
(1612). La cantoria è settecentesca con modifiche ottocentesche;
coretti dipinti da G.B. Speranza e Giuseppe Puglia (1634). 1ª cappella
d.: Sacra famiglia con S. Anna di Giuseppe Ghezzi. Cappella maggiore:
Sposalizio della Vergine di Horace Le Blanc (1605) e lunetta (Eterno)
di Antonio Viviani detto il Sordo (1610); il Viaggio a Betlemme (d.) e la
Bottega di S. Giuseppe (sin.) sono di Cesare Maccari (firma; 1883); ai
lati dell’arco, bei torcieri seicenteschi. 2ª cappella sin.: Natività di
Carlo Maratta (1651).
A metà della parete d. è l’accesso all’ORATORIO rettangolare,
ampliato nel 1569 (le finestre sono del 1627), che conserva il soffitto
ligneo scolpito (1628), stalli in noce di pregevole fattura (1643) e un
leggio intagliato settecentesco: Concezione con i Ss. Gioacchino e
Giuseppe di Pier Leone Ghezzi (1716); alle pareti, storie della Sacra
famiglia, affreschi di Marco Tullio Montagna (1631-37). In un vano
ricavato fra la volta della prigione e il pavimento della chiesa è la
CAPPELLA DEL CROCIFISSO, che ospita il Crocifisso ligneo (sec. XVI) già
venerato sopra la porta del Carcere Mamertino.

L’*AREA ARCHEOLOGICA DEL FORO ROMANO E DEL PALATINO

Via del Tulliano, che corre tra la chiesa dei Ss. Luca e Martina e il
foro di Cesare →, conduce a via dei Fori Imperiali →, che si percorre a
d. – costeggiando l’area dei fori di Cesare, di Nerva e della Pace – fino
a largo Romolo e Remo, dove inizia la visita (t. 0639967700 -
067844271; www.archeologia.beniculturali.it) di uno dei complessi
archeologici più importanti del mondo.

LA STORIA DEL PALATINO. La tradizione indica questo colle come


sede della fondazione romulea della città, e certamente non v’è luogo
più adatto, nel comprensorio romano, per un insediamento stabile da
dove poter controllare, senza essere troppo esposti, i guadi del Tevere
all’altezza dell’Isola Tiberina e il punto di ritrovo e di mercato sorto
presso di essi sulla riva sin. del fiume (Foro Boario). L’importanza
strategica della posizione è adombrata dalla leggenda, che parla di
un’occupazione più antica del colle da parte di Greci venuti dall’Arcadia
col re Evandro e il figlio Pallante e nella quale è forse il ricordo di una
precoce frequentazione commerciale greca della zona. La conferma
della tradizione è venuta dalla scoperta (1946) di pavimenti di
capanne della prima età del Ferro proprio nell’angolo del colle che
sovrasta il Foro Boario (dove una capanna, costantemente restaurata,
veniva indicata, ancora nell’età imperiale, come l’abitazione del
fondatore o «casa Romuli») e (1989), alle estreme pendici N del colle,
di resti di apprestamenti difensivi (seconda metà sec. VIII a.C.) che
possono essere riferiti al muro e al pomerio (lo spazio rituale
all’interno della cinta muraria) dagli antichi attribuiti a Romolo.
Legati alla tradizione delle origini erano i culti più vetusti e tipici
del Palatino: quello della dea Pales, celebrato nelle feste delle «Palilia»
(o «Parilia») il 21 aprile, giorno della fondazione, e quello di Lupercus,
celebrato nelle feste dei «Lupercalia» presso una grotta ai piedi del
colle («Lupercal») dove la lupa avrebbe allattato i divini gemelli
Romolo e Remo; a questi si accompagnarono i culti della Vittoria e di
Cibele (la Magna Mater) e quelli di Apollo e Venere portativi da
Augusto. Tuttavia, sino alla fine dell’età repubblicana il colle fu
soprattutto il quartiere residenziale della nobiltà e della classe
dirigente, specie in prossimità del Foro dov’erano state le case dei re e
dove gli scavi hanno rimesso in luce resti di abitazioni signorili dal sec.
VI a.C. in poi. Vi abitarono fra gli altri Tito Sempronio Gracco, padre
dei due tribuni, l’oratore Licinio Crasso, Marco Livio Druso, Cicerone,
Milone, Clodio, l’altro grande oratore Ortensio, Marco Antonio e infine
Augusto, il quale, essendovisi intenzionalmente trasferito per
ricollegarsi alle memorie del fondatore, determinò il destino futuro del
colle. La scelta del primo imperatore, infatti, fu seguita dai successori,
sicché, con la costruzione di una serie di palazzi – a opera di Tiberio,
Caligola, Nerone ma soprattutto Domiziano e Settimio Severo – il
Palatino finì col trasformarsi in un grandioso complesso che fu la
‘reggia’ degli imperatori, designata col nome stesso del colle
(«Palatium») diventato sinonimo di palazzo.
La fine del mondo antico segnò – salvo saltuarie rioccupazioni e
poi la costruzione, marginale, di qualche piccola chiesa, convento e
torre – l’abbandono del Palatino. Fino a metà sec. XVI, quando il
cardinale Alessandro Farnese lo sistemò in una grandiosa villa (orti
Farnesiani) che fu in gran parte smantellata, dopo la decadenza
conseguente all’estinzione della famiglia, via via che dal ’700 iniziarono
gli scavi sistematici. Questi, lungi dall’essere esauriti, sono ancora in
corso, con risultati sempre di straordinario interesse (come fu, nel
1961, la scoperta della casa di Augusto).
LA STORIA DEL FORO ROMANO. Ai piedi del Palatino, la valle
compresa tra questo, il Campidoglio e il Quirinale, marginalmente
occupata da qualche capanna e da un’estesa necropoli della prima età
del Ferro, venne presto interessata dall’estendersi delle attività
commerciali del Foro Boario (e dell’adiacente Foro Olitorio), fino a
diventare, verso la fine del sec. VII a.C., il centro della vita cittadina,
dopo essere stata bonificata con opere di drenaggio e con la
costruzione di un canale («Cloaca Maxima») diretto al Tevere.
Destinata la parte ai piedi dell’arce capitolina alle funzioni politiche
(«Comitium») e quella opposta a sede ufficiale prima del re e poi del
pontefice massimo (Regia) e al culto di Vesta, la zona centrale e più
estesa della valle divenne la piazza della città: il Foro per eccellenza
(«Forum»).
Attraversato dalla «via Sacra» in direzione del Campidoglio, oltre
a essere luogo d’incontro e di mercato fu anche sede di importanti
santuari (di Saturno, dei Dioscuri, di Giuturna); quindi, col progressivo
allontanamento degli impianti commerciali e la costruzione delle
«basiliche» (sec. II a.C.) per gli atti giudiziari e la trattazione degli
affari assunse un carattere prevalentemente amministrativo, mentre si
definiva, regolarizzandosi, dal punto di vista urbanistico. La
sistemazione definitiva del Foro si ebbe con gli interventi di Cesare e
di Augusto, che condussero, tra l’altro, alla soppressione del
«Comitium», allo spostamento di alcuni edifici (Curia, Rostri) e alla
costruzione di nuovi («basilica Iulia» al posto della «Sempronia»;
tempio di Cesare, presso la Regia allora ricostruita; archi di Augusto e
dei nipoti Gaio e Lucio). Nello stesso tempo, con l’edificazione del
nuovo foro di Cesare, seguìto subito dopo da quello di Augusto e poi
dagli altri imperiali, esso s’avviò a trasformarsi in un monumentale
luogo di rappresentanza e di memorie storiche, mantenendo ormai
immutata la sua struttura. Durante l’età imperiale, a parte i rifacimenti
e i restauri e la costruzione, in posizione marginale, del tempio di
Antonino e Faustina, ci fu soltanto qualche ‘intrusione’, in particolare
di monumenti onorari il più importante dei quali fu l’arco di Settimio
Severo.
Quando, nel 608, fu elevata la colonna (di spoglio) in onore
dell’imperatore di Bisanzio Foca, la storia antica del Foro Romano era
già da tempo terminata. Trasformati in luoghi di culto cristiani alcuni
dei monumenti (a cominciare dalla Curia) e abbandonati gli altri, gran
parte della zona, rimasta ai margini della città, andò progressivamente
interrandosi, trasformandosi in terreno da pascolo (Campo Vaccino).
Poi, con la ‘riscoperta’ del Rinascimento, mentre cominciavano gli
studi dei dotti e degli artisti, diventò una gigantesca cava di materiali,
molti dei quali ridotti in calce sul posto. Così fino al sec. XVII, quando
tornò l’abbandono, nuovamente interrotto sul finire del successivo
dalle prime esplorazioni archeologiche. L’inizio degli scavi sistematici si
ebbe però solo al principio dell’800 e da allora, con momenti di
particolare intensità (periodo napoleonico e dopo il 1870), essi sono
continuati fino ai giorni nostri, affiancati da interventi di
consolidamento e restauro delle strutture riportate alla luce.
Nell’atlantino in fondo al volume, una pianta generale dell’area dei
Fori e del Palatino (tavole 22-23) e due particolareggiate,
rispettivamente per il Foro Romano (tavole 24-25) e per il Palatino
(tavole 26-27), aiutano nell’individuazione delle singole strutture.

LA «BASILICA AEMILIA». Dall’ingresso al Foro Romano si scende


per la rampa che rasenta a sin. il fianco del tempio di Antonino e
Faustina → e a d. i resti di questa grandiosa costruzione, fondata nel
179 a.C. dai censori Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore, il
cui nome deriva dalla gens che la abbellì nel sec. I a.C.; distrutta da
un incendio, venne ricostruita sotto Augusto, e a tale epoca
appartengono le rovine dell’edificio, che fu nuovamente devastato da
un incendio forse durante il sacco di Alarico.
La basilica si stendeva da E a O per 100 m circa. Il fronte, rivolto
verso il Foro, era costituito da un portico a due piani (le tre colonne di
granito rialzate all’angolo E appartengono a un restauro moderno),
dietro al quale si aprivano le botteghe ancora in parte conservate ai
lati dei tre ingressi (quello ad arco è stato ricomposto); l’aula (m
90x29), oggi rasa al suolo (rimangono, ricomposti, resti della
trabeazione), era divisa in navate da colonne di marmo africano e
cipollino. All’estremità O, e sotto una tettoia, resti della basilica di età
repubblicana.
ALLA CURIA. Al termine della discesa si volta a d., incontrando,
sempre a d., un’iscrizione ricomposta a Lucio Cesare, nipote di
Augusto, appartenente probabilmente a un arco dedicato a lui e al
fratello Gaio dal Senato nel 2 a. Cristo. Lasciati a sin. il tempio di
Cesare → e la piazza del Foro → e avendo sullo sfondo l’arco di
Settimio Severo →, si raggiunge un avanzo del basamento di marmo
di un’edicola, o puteale circolare, dedicata a Venere Cloacina,
rifacimento di età imperiale di una costruzione più antica eretta nel
punto dove la «Cloaca Maxima» → entrava nel Foro. Oltre
l’«Argiletum» →, che si incrocia a d. e di cui resta il lastricato in
travertino, s’innalza la facciata dioclezianea, in cortina di laterizi, della
*Curia, l’edificio dove si riuniva il Senato fondato secondo la
tradizione da Tullo Ostilio (Curia Hostilia), riedificato attorno all’80 a.C.
da Silla (Curia Cornelia), poi da Cesare (Curia Iulia), che lo fece
spostare dove è oggi, e, dopo l’incendio del 283, da Diocleziano.
L’esplorazione del complesso, identificato nel 1883 da Rodolfo
Lanciani, fu iniziata nel 1900 da Giacomo Boni e ultimata nel 1937 con
la demolizione della chiesa che Onorio I aveva dedicato a S. Adriano (i
battenti bronzei della porta sono copia di quelli originari, messi in
opera da Francesco Borromini in S. Giovanni in Laterano).

L’INTERNO è costituito da una sala rettangolare, con pavimento (in


gran parte rifatto) in opus sectile: sui due lati corrono tre bassi ripiani,
rivestiti di marmi, su cui poggiavano i seggi dei c. 300 senatori (le
votazioni avvenivano «per secessionem»: i favorevoli da una parte, i
contrari dall’altra); nel fondo è il basso podio della presidenza, con un
piedistallo un tempo occupato dal simulacro della Vittoria (alla fine del
sec. IV la statua fu oggetto di contese tra senatori pagani e cristiani) e
oggi da una statua porfiretica di togato romano (Traiano?), una
delle più perfette pervenuteci dall’età imperiale.
Nella Curia sono sistemati i cosiddetti *plutei di Traiano
(«anaglypha Traiani»), due marmorei parapetti che pare decorassero
la tribuna dei Rostri o che, piuttosto, costituissero una tarda
sostituzione dell’antico recinto bronzeo attorno alla cosiddetta aiuola
di Marsia. Su due facce sono raffigurate a rilievo le vittime del
«suovetaurilia» (verro, ariete, toro), sulle altre l’«institutio
alimentaria» di Traiano e la distruzione dei registri delle imposte
arretrate. La tecnica narrativa insiste sulla definizione topografica dei
luoghi e nell’espediente della continuità della narrazione dei due
avvenimenti, verificatisi in realtà in momenti differenti; tipici elementi
stilistici traianei sono l’affollarsi delle figure e la ricerca di spazialità
nella composizione, sebbene lo sfondo abbia solo valore illusionistico.

IL «COMITIUM». Si stende dinnanzi alla Curia ed è il piazzale ove si


tennero le assemblee del popolo fino a che Cesare le spostò nel
Campo Marzio; sotto il pavimento sono resti del comizio repubblicano
e le fondamenta a pianta semicircolare dei primitivi rostri.
Sotto il piano della piazza si trova anche un complesso di
monumenti antichissimi (la cosiddetta tomba di Romolo), scoperto da
Giacomo Boni nel 1899; studi basati sull’esegesi delle fonti vi hanno
invece riconosciuto il santuario di Vulcano («Volcanal»). In superficie
resta un’area quadrata pavimentata di marmo nero: è il «Lapis Niger»,
probabilmente posto in occasione della trasformazione del Foro al
tempo di Cesare per segnare il luogo venerato del sepolcro del mitico
fondatore della città. Scendendo una scaletta, si vedono due basi
modanate in tufo (altare?): a d., dietro un tronco di colonna conica in
tufo, è un cippo con iscrizione bustrofedica (la più antica in latino che
si conosca: sec. VI a.C.) di una «lex sacra»; l’insieme reca tracce di
devastazione, probabilmente quella relativa all’invasione gallica del
390 a. Cristo.

L’*ARCO DI SETTIMIO SEVERO, a tre fornici intercomunicanti e con


quattro colonne scanalate di ordine composito su ciascuna faccia, fu
eretto nel decimo anniversario (203) dell’ascesa al trono
dell’imperatore; il suo buono stato di conservazione dipende dal fatto
che nel Medioevo venne inglobato in altri edifici. L’iscrizione sulle due
facce dell’attico celebra le vittorie sui Parti, sugli Arabi e sugli Adiabeni
riportate dall’imperatore e dai figli Caracalla e Geta; quando nel 211
Caracalla fece uccidere il fratello, il nome di questi fu sostituito da altri
motti in onore dei due principi. I quattro pannelli sopra i fornici minori
rappresentano episodi delle due guerre di Settimio Severo contro i
Parti, mentre il fregio sotto gli stessi la processione trionfale; sui plinti
delle colonne, figure di Barbari condotti prigionieri. I pannelli rientrano
nella tradizione del rilievo storico e sono stilisticamente influenzati da
quelli delle colonne coclidi (notevoli le affinità con la colonna di Marco
Aurelio), sebbene la tecnica narrativa sia qui più riassuntiva e
schematica; la decorazione accessoria è tesa a esaltare l’eternità e
universalità dell’Impero, aderendo più da vicino alla tradizione
classicista.
Il selciato sotto il fornice mediano è il resto di una strada risalente
all’intervento dioclezianeo nella zona.

AL PRONAO DEL *TEMPIO DI SATURNO appartengono le retrostanti


otto colonne in granito, a fusto liscio e capitello ionico, con
soprastante architrave. Tra i più venerati monumenti di Roma
repubblicana, fu inaugurato nel 497 a.C., ricostruito da Lucio Munazio
Planco dopo il 42 a.C. (è di quell’epoca l’alto podio in travertino) e
restaurato dopo l’incendio di Carino (283); a c. 3.30 m sotto il piano
delle colonne sono filari di blocchi in cappellaccio pertinenti alla fase
repubblicana. Nell’avancorpo davanti al podio (in gran parte crollato)
era la sede dell’«Aerarium», il tesoro dello Stato.
A sinistra del pronao si trovava l’arco di Tiberio, innalzato nel 16
per celebrare le vittorie di Germanico.

AI PIEDI DELLA FACCIATA DEL TABULARIUM → – su cui sovrasta il


retro del Palazzo Senatorio → – si dispone il tempio della
Concordia, ricostruzione di età tiberiana (7 a.C.-10 d.C.) del
santuario eretto da Furio Camillo nel 367 a.C. per celebrare l’accordo
raggiunto tra Patrizi e Plebei; dagli scarsi resti visibili (i più antichi
sono ascrivibili al tempio dedicato da Lucio Opimio nel 121 a.C.) si
desume la singolare planimetria, con cella sviluppata trasversalmente
rispetto al pronao esastilo. Il vicino *tempio di Vespasiano fu
innalzato da Domiziano nell’81 in onore del padre e del fratello Tito,
restaurato da Settimio Severo e Caracalla (avanzo di iscrizione) e
scavato nel 1811 da Giuseppe Valadier; ne restano tre colonne
corinzie dell’angolo d. del pronao esastilo. Tra i templi, gli scavi hanno
rinvenuto un deposito votivo, risalente al sec. VI a.C. e ricco di
materiale ceramico etrusco misto a vasellame miniaturistico di impasto
e bucchero, relativo a un’area di culto forse dedicata a una divinità
ctonia. Le due ali congiungentisi ad angolo ottuso appartengono al
*portico degli Dei Consenti, forse l’ultimo grande monumento
dedicato in Roma al culto pagano, che fu riedificato o restaurato da
Vettio Agorio Pretestato nel 367, scavato nel 1834 e ricomposto in
parte nel 1858; le celle biposto sotto il portico – che ospitavano statue
– l’architrave e i capitelli corinzi appartengono a una ricostruzione
forse di età flavia.

I ROSTRI. Se a d. dell’arco di Settimio Severo è la base della


statua equestre di Costanzo II, innalzata nel 353, a sin. una base,
resto di una colonna onoraria eretta in occasione dei «Decennalia» dei
cesari Costanzo e Galerio (i rilievi che la ornano, nei quali il solco di
contorno delle figure e il disegno delle parti in secondo piano sono
caratteristici dei modi stereometrici e sintetici del gusto tetrarchico,
raffigurano la processione e il «suovetaurilia» per la cerimonia del
303), precede la tribuna degli oratori, qui trasportata dal «Comitium»
quando Cesare sistemò il Foro, piattaforma (altezza c. 3 m, lunghezza
24, larghezza 12) sostenuta da un muro di blocchi di tufo. Di
antichissima origine, venne decorata nel 338 a.C. coi rostri (speroni)
delle navi catturate ad Anzio; sulla piattaforma e dietro di essa
s’innalzavano monumenti e colonne onorarie (sono raffigurate nel
fregio scolpito dell’arco di Costantino con scena dell’allocuzione
dell’imperatore all’esercito), mentre il parapetto era forse ornato con i
cosiddetti plutei di Traiano.

ATTORNO AI ROSTRI. Sul lato d. sono i cosiddetti «rostra


Vandalica», ampliamento voluto attorno al 470 dal prefetto Giunio
Valentino per celebrare una vittoria navale sui Vandali. Dietro i Rostri,
verso l’arco di Settimio Severo, è una base circolare che sosteneva
l’«Umbilicus Urbis», centro simbolico di Roma e da qualche studioso
identificato col «mundus»; vicino è l’altare di Saturno, un tempo
individuato come «Volcanal», uno dei più antichi santuari della città
(l’ara marmorea, gli ornamenti e le epigrafi risalgono a età imperiale).
A sinistra dei Rostri, infine, era il «Miliarium aureum», colonna
marmorea rivestita in bronzo che Augusto innalzò per segnare il punto
di partenza di tutte le grandi vie imperiali (vi erano segnate le distanze
tra Roma e le principali città dell’Impero).

LA *PIAZZA DEL FORO, che si apre in asse con i Rostri, ha forma


quasi rettangolare (m 120x50) e un lastricato in travertino risalente a
età augustea (iscrizione a lettere di bronzo del pretore Lucio Nevio
Sordino) ma restaurato. Su un alto basamento si erge la colonna di
Foca, dedicata nel 608 da Smaragdo, esarca d’Italia, all’imperatore
d’Oriente Foca, che aveva donato alla Chiesa il Pantheon; ultimo
monumento onorario eretto nel Foro, la colonna, proveniente da un
edificio forse del sec. III, era sormontata un tempo dalla statua in
bronzo dell’imperatore.
Superata un’area non lastricata dove sono stati piantati il fico
sacro, l’ulivo e la vite simbolici, si incontra, al centro di uno spazio
irregolare, un puteale che indica il sito del «lacus Curtius», ultimo
avanzo dell’antica palude del Foro. Incerta l’origine del nome: secondo
una leggenda deriverebbe da Marco Curzio, buttatosi nel 362 a.C. in
una voragine che l’oracolo aveva detto si sarebbe richiusa solo se vi si
fosse gettato quanto Roma aveva di più caro; secondo un’altra
tradizione dal console Caio Curzio, che recinse una voragine aperta nel
445 a.C. da un fulmine.
Avanti, una fossa quadrangolare segnala il sito ritenuto un tempo
della colossale statua equestre di Domiziano, eretta a seguito della
vittoria sui Germani del 91 e abbattuta dopo la morte dell’imperatore a
causa della «damnatio memoriae»; studi sull’ordito del lastricato della
piazza posizionano il monumento più a N e nei tre blocchi di travertino
inseriti nella struttura cementizia, già interpretati come incastri per i
perni delle zampe del cavallo, individuano i contenitori di oggetti sacri
(i cosiddetti «dolìola») caratterizzanti un antico luogo di culto.
L’adiacente fondazione quadrangolare è probabilmente da riferirsi alla
statua equestre di Costantino.

LA «BASILICA IULIA». Sul lato S della piazza del Foro, segnato dal
lastricato a selci poligonali della «via Sacra» – il nome deriva dai
santuari disposti lungo di essa e dalle processioni che la percorrevano
– si allineano sette basi in laterizio, già rivestite di marmi, risalenti al
tempo di Diocleziano e sostenenti colonne onorarie (due sono state in
parte ricomposte). Oltre queste è il portico della «basilica Iulia», il
luogo dove si riuniva il tribunale dei Centumviri, eretta da Cesare al
posto della «basilica Sempronia» e completata da Augusto; dopo
l’incendio durante l’impero di Carino venne restaurata da Diocleziano.
Di forma rettangolare (m 49x101) e rivestita di marmi, si componeva
di un’aula centrale circondata da una galleria su pilastri (resti in gran
parte restaurati); sul pavimento in marmo del portico e dell’aula sono
incise alcune «tabulae lusoriae» (tavole da gioco).
Sul lato E della «basilica» corre il «vicus Tuscus», la ‘via degli
Etruschi’ che dal Foro portava al Velabro e al Tevere, così chiamata
per l’antica presenza in quel luogo di un ‘quartiere’ etrusco.

IL TEMPIO DI CESARE. Chiudono a E la piazza del Foro i resti del


tempio prostilo esastilo corinzio che Ottaviano dedicò nel 29 a.C. al
Divo Giulio nel luogo in cui era stato cremato il corpo di questi
(l’emiciclo con l’ara rotonda al centro, posto sulla fronte del podio, ne
ricorda il sito); dinnanzi al pronao era una terrazza a uso di tribuna,
detta «rostra ad Divi Julii» perché ornata dai rostri delle navi egizie
catturate ad Azio da Ottaviano nel 31 a.C. (la parte anteriore è stata
fedelmente restaurata nel 1933).
L’ARCO DI AUGUSTO. Ancora dibattuta è la questione
sull’identificazione dei due archi che il Senato decretò ad Augusto per
la vittoria di Azio e il recupero delle insegne dai Parti. Il basamento a
S del tempio di Cesare, tradizionalmente chiamato arco di Augusto, è
stato identificato con l’Arco Partico dedicato nel 19 a.C., anche se il
rinvenimento di frammenti dei «Fasti consulares» e dei «Fasti
triumphales» a N del tempio spinge alcuni studiosi a ritenere che
l’Arco Partico fosse posto in tale luogo. Il fornice centrale, voltato, era
ornato ai lati da due Vittorie alate ed era sormontato da un alto attico,
su cui poggiava la quadriga con Augusto trionfatore; i due fornici
laterali erano in realtà passaggi architravati, ornati di pilastri e sulla
sommità da statue di Parti sottomessi. Le edicole nei fornici laterali
accoglievano i «Fasti consulares» (elenchi dei consoli) dalla
fondazione della Repubblica ad Augusto, mentre sui pilastri
sorreggenti l’architrave erano incisi i «Fasti triumphales» (elenchi dei
trionfatori). L’arco può essere considerato una pietra miliare
nell’architettura romana: vi comparivano infatti i tre fornici non ancora
fusi organicamente e l’adozione del motivo strutturale del fornice
inquadrato da pilastri e coronato da timpano.
IL *TEMPIO DEI CÀSTORI fu eretto, a d. di quello di Cesare, nel 484
a.C. dal figlio del dittatore Aulo Postumio per sciogliere il voto fatto dal
padre a Castore e Polluce, i Dioscuri (da qui l’altro nome del tempio),
durante la battaglia del lago Regillo (499 a.C.). L’edificio, periptero
(8x11 colonne) su podio e con ampio pronao, venne ricostruito
almeno tre volte, una delle quali, nel 117 a.C., a opera di Lucio Cecilio
Metello Dalmatico, l’altra, del 6 d.C., a opera di Tiberio (a tale
intervento risalgono le tre colonne corinzie scanalate in marmo di Paro
con trabeazione, appartenenti al fianco E del tempio). Scavi sul podio
hanno precisato le dimensioni dell’edificio originario di tipo tuscanico,
della cui decorazione fittile sono stati rinvenuti eccellenti frammenti
con raffigurazioni di satiri e menadi.

L’AREA RETROSTANTE AL TEMPIO accoglie l’oratorio dei Quaranta


Martiri, adattato con l’aggiunta di un’abside in un edificio forse di età
traianea e decorato da affreschi rovinatissimi (Supplizio dei martiri di
Sebaste durante le persecuzioni di Diocleziano) dei sec. VIII-IX. A
sinistra di questo, l’edicola di Giuturna (restauro 1954) è preceduta da
un puteale e da un’ara di età severiana con figure di Turno e
Giuturna. La vicina vasca quadrilatera con nucleo centrale di forma
rettangolare (fine sec. II a.C.) è il «lacus Juturnae», fonte alle cui
acque i Dioscuri abbeverarono secondo la leggenda i cavalli dopo aver
portato la notizia della vittoria del lago Regillo.
A destra dell’oratorio, la chiesa di *S. Maria Antiqua,
trasformazione di uno dei locali del vestibolo dei Palazzi imperiali sul
Palatino, è il più importante e il più antico luogo di culto cristiano del
Foro (venne consacrato a Maria nel sec. VI), nonché uno straordinario
palinsesto di pitture parietali. Restaurata da Giovanni VII e abbellita
da Zaccaria, Paolo I e Adriano I, fu abbandonata a seguito dei danni
causati dai terremoti al tempo di Leone IV, che spostò la diaconia a S.
Maria Nova; sui ruderi sorse nel sec. XIII la chiesa di S. Maria
Liberatrice, rifatta da Onorio Longhi nel 1617 e demolita nel 1900 per
riportare alla luce le strutture dell’edificio più antico, che fu
ampiamente integrato dai restauri. Un VESTIBOLO (pianta, 1),
comunicante a sin. con la RAMPA (2) che sale al Palatino, dà accesso
all’ATRIO (3): al centro si trova l’«impluvium» del precedente edificio,
sulle pareti sono tracce di pitture. Un breve NARTECE (4) immette
nell’aula, divisa in tre navate da altrettante arcate longitudinali per
lato poggianti su due colonne in granito con capitello corinzio. La
NAVATA MEDIANA (5) era quasi completamente occupata dalla schola
cantorum, di cui si vede ancora la parte inferiore della balaustrata.
NAVATA DESTRA (6): affresco staccato dall’atrio raffigurante Maria regina
in trono tra angeli e santi (Adriano I, committente dell’opera, vi è
rappresentato col nimbo quadrato). NAVATA SINISTRA (7): sarcofagi
pagani e cristiani (notevole quello con storie di Giona); alle pareti
affreschi su tre fasce (nelle superiori, storie del Vecchio Testamento;
in quella inferiore, Il Salvatore e santi della Chiesa greca e latina).
All’ingresso del PRESBITERIO (8), su un muro che forma il
prolungamento della schola cantorum, Il profeta Isaia predice a
Ezechiele la fine prossima e Davide e Golia. Nell’abside, pavimentata
in opus alexandrinum a disegni geometrici, Cristo benedicente e la
Vergine che presenta Paolo I (col nimbo quadrato); a d. dell’abside,
tre strati di pitture comprese tra il sec. VI e l’VIII: nel primo Maria
regina con angeli, nel secondo Annunciazione, nel terzo Padri della
Chiesa. CAPPELLA A SINISTRA DELL’ABSIDE (9), la più importante per gli
affreschi del tempo di papa Zaccaria: nella nicchia rettangolare di
fondo *Crocifissione (Cristo veste il «colobium»; ai lati della croce, il
sole e la luna; a d. S. Giovanni; a sin. la Madonna; più piccoli, Longino
fora con la lancia il costato di Gesù e un soldato gli presenta la spugna
intrisa di fiele). Sul muro di sin. entrando, Passione di S. Giulitta e del
figlioletto Quirico; sulla parete d. Theodoto e la moglie presentano i
fedeli alla Madonna.
Il cosiddetto tempio di Augusto, cui si accede per una porta sul
lato d. del nartece, è anch’esso probabilmente un ambiente di
passaggio alle costruzioni imperiali sul Palatino; nell’aula, rimaneggiata
al tempo di Domiziano, sono riaffiorate strutture a uso commerciale
del sec. I a.C. prospicienti il «vicus Tuscus» e resti di poderose opere
legate agli ampliamenti della domus imperiale operati da Caligola in
direzione del Foro.

DEL *TEMPIO DI VESTA, periptero corinzio a 20 colonne, restano,


oltre l’arco di Augusto, il basamento circolare e alcuni frammenti
dell’ultima ricostruzione, avvenuta sotto Settimio Severo, che sono
stati parzialmente completati nel 1930; in una cavità del podio si può
forse riconoscere il «penus Vestae», reliquiario degli oggetti fatali cui
si attribuiva la fortuna di Roma, mentre nell’edicola ionica (restauro
1898) che si trova a fianco dell’ingresso alla casa delle Vestali era
sistemata una statua della dea. Nell’area è stato riportato in luce un
pozzo profondo 8 m e colmato in antico con materiali comprovanti che
la valle del Foro era già abitata nei sec. VII-VI a. Cristo.
LA RETROSTANTE CASA DELLE VESTALI, collegio di sacerdotesse
fondato secondo la tradizione da Numa Pompilio per custodire il fuoco
sacro, fu ricostruita da Nerone dopo l’incendio del 64 e in seguito più
volte restaurata e ampliata. L’ampio ATRIO rettangolare, circondato da
un portico a due piani e ornato di vasche, era il soggiorno delle
sacerdotesse, ricordate da basi e statue onorarie (i nomi incisi
risalgono al periodo 291-364); sul fondo è una grande SALA con ai lati
STANZE forse adibite a magazzini per gli arredi sacri, mentre sui fianchi
lunghi si aprono i VANI DI ABITAZIONE e altri ambienti (in uno si conserva
una macina).
A est della casa delle Vestali si stende, fino all’arco di Tito, un
complesso di edifici limitati a N dalla «via Sacra» e a S dalla «via
Nova». In età imperiale la zona era un quartiere commerciale con un
complesso di magazzini (i cosiddetti «horrea Vespasiani» e «horrea
Piperataria») disposti rispettivamente a N e a S della «via Sacra» (le
facciate lungo la strada erano costituite da portici pilastrati in
travertino). Gli scavi hanno riportato in luce avanzi di mura in scaglie
di tufo, databili tra il 730 e il 540 a.C. e associabili al «pomerium»
romuleo del Palatino, e ruderi di dimore patrizie che qualificano la
zona come quartiere residenziale fin dall’età regia. Al sec. I a.C.
risalgono i resti delle abitazioni più vaste, come la supposta casa di
Emilio Scauro.

IL *TEMPIO DI ANTONINO E FAUSTINA, opposto a quello di Vesta, fu


eretto per decreto del Senato alla divinizzata moglie di Antonino Pio e
dedicato all’imperatore all’indomani della sua morte. Dell’edificio,
prostilo esastilo corinzio, si è conservato per intero il podio, mentre la
gradinata è quasi interamente di restauro; le 10 colonne monolitiche
del pronao, alte 17 m, sono di cipollino, le basi e i capitelli in marmo
bianco al pari della ricca trabeazione e del fregio a grifi e candelabri.
Nel sec. VII-VIII la cella e parte del pronao vennero trasformati nella
chiesa di S. Lorenzo in Miranda →.

LA REGIA, secondo la tradizione la casa di Numa Pompilio, fu


l’abitazione rituale del primo sacerdote di Roma, nonché sede del
sacrario di Marte e dell’altare per i sacrifici a Giove, Giunone e Giano.
La struttura attualmente visibile davanti al tempio – costituita da un
grande cortile trapezoidale con pavimento a lastre di tufo su cui
poggia un altare, portico su due lati e tre vani appoggiati al fianco S
dello spiazzo – risale a fine sec. VI a.C., sebbene la presenza in sito di
un’area sacra dati addirittura alla seconda metà del VII a. Cristo. La
pianta del complesso, rispettata nelle ricostruzioni del 148 a.C. e del
36 a.C., ripete il tipo di abitazione noto in Etruria attraverso le tombe
e gli scavi in abitati arcaici, anche se sono stati ipotizzati rapporti
tipologici con la casa pubblica dei pritani nell’Agorà di Atene.

LA NECROPOLI ARCAICA. Presso il tempio di Antonino e Faustina si


riprende la «via Sacra» (sullo sfondo è la facciata tardo-manierista
della chiesa di S. Francesca Romana: →), lasciando a sin.
l’importantissimo sepolcreto delle popolazioni del primitivo nucleo
abitato del Palatino, scavato nel 1902 (aiuole erbose disegnano la
pianta delle sottostanti tombe, mentre i materiali rinvenuti sono
nell’Antiquarium forense). Delle circa 30 tombe a pozzo e a fossa,
sette risalgono alla tarda prima fase laziale (fine X-prima metà sec. IX
a.C.; sei sono a pozzo) e si caratterizzano per la presenza dell’urna a
capanna, del calefattorio e del vaso con decorazione a reticolo; 15
appartengono alla seconda fase laziale (sec. IX-VIII a.C.; più della metà
sono a fossa) e attestano la presenza della capeduncola e dell’orciolo
biconico monoansato.
IL *TEMPIO DEL DIVO ROMOLO. Superata ancora a sin. una casa
repubblicana («caupona»?), la «via Sacra» inizia a salire, incontrando
sullo stesso lato una rotonda comunemente identificata con il luogo di
culto eretto da Massenzio in onore del figlio e terminato da
Costantino; alcuni studiosi ritengono sia il tempio dei Penati o di Giove
Statore, altri un vestibolo monumentale aggiunto nel sec. IV alla
retrostante aula severiana del foro della Pace →. Edificato tutto in
mattoni, presenta una facciata concava, con quattro nicchie per
statue; il portale, formato da due colonne in porfido e da una
trabeazione finemente intagliata provenienti da un più antico edificio,
accoglie ancora l’originale *porta bronzea. Nell’aula posteriore fu
adattata la basilica dei Ss. Cosma e Damiano →.
LA *BASILICA DI MASSENZIO. Seguono, oltre un portico medievale
(a d. si intravedono, alte sul Palatino, le Uccelliere Farnese: →), le
colossali rovine dell’edificio, iniziato da Massenzio nel 308 ma
terminato da Costantino (da qui l’altro nome con cui è nota).
Poggiante su una piattaforma (m 100x65), era diviso da otto pilastri,
affiancati da altrettante colonne (l’unica superstite è in piazza di S.
Maria Maggiore), in tre navate, di cui quella centrale (m 80x25;
altezza m 35) era coperta da volte a crociera mentre quelle laterali
erano composte da tre campate intercomunicanti e coperte da volte a
botte; finestre arcuate su due ordini illuminavano le navate d. e sin.,
finestroni fra la sommità delle volte laterali e l’inizio di quella mediana
la nave centrale. I resti visibili appartengono alla navata d., dove si
riconosce l’abside aggiunta da Costantino a fondale del nuovo
ingresso sulla «via Sacra» (quello originario, cui corrispondeva
un’abside per la statua colossale dell’imperatore ora nel palazzo dei
Conservatori, guardava al Colosseo); le lastre di bronzo dorato del
tetto furono tolte da Onorio I nel 626 per coprire la prima basilica di S.
Pietro. Dal sito, bella vista del Palatino. La basilica è teatro di eventi
tra cui il Festival internazionale delle Letterature.
L’ANTIQUARIUM FORENSE. Al termine della salita si è sulla sommità
della Velia, avendo a d. l’arco di Tito (v. sotto) e a sin. l’ala del
monastero annesso alla chiesa di S. Francesca Romana, nel quale
hanno sede gli uffici della Soprintendenza archeologica di Roma e
questa collezione (t. 0639967700), dove sono riuniti alcuni materiali
scoperti nel corso degli scavi; spiccano quelli relativi alla necropoli
arcaica presso il tempio di Agostino e Faustina, ricostruita tramite un
plastico, disegni e fotografie, e la ricomposizione di alcune tombe;
cospicui anche i materiali e i corredi delle tombe a incinerazione e a
fossa (sec. IX-VIII a.C.; interessanti le urne a capanna). Si
accompagnano loro tombe a inumazione di bambini ricavate entro
tronchi d’albero (VIII-VII a.C.), ceramiche greche d’importazione e
imitazione, materiale dall’area del tempio di Vesta (notevole la
ceramica del VII a.C.), terrecotte architettoniche, statuette votive e
ceramiche arcaiche dal Foro; materiali dai pozzi votivi della «via
Sacra» e dalle gallerie sotterranee del Foro fatte scavare da Cesare.
L’*ARCO DI TITO fu eretto al tempo di Domiziano per ricordare le
vittorie riportate da Vespasiano e Tito sugli Ebrei e culminate nella
distruzione di Gerusalemme; incorporato durante il Medioevo nelle
fortezze dei Frangipane e isolato in parte sotto Sisto IV, venne liberato
totalmente nel 1821 da Giuseppe Valadier, che ne completò in
travertino le parti mancanti.

LA DECORAZIONE. A fornice unico con colonne scanalate di ordine


composito e rivestito di marmo pentelico, è ornato nel fregio esterno,
a figure tozze in altissimo rilievo, dalla pompa trionfale, nell’arcata da
due rilievi (nel pannello d., il corteo trionfale che precede l’imperatore
portando come bottino di guerra le spoglie del tempio di Salomone; in
quello sin. la quadriga imperiale, guidata da una Virtus, porta Tito
accompagnato da una Vittoria in atto di coronarlo) e nel mezzo della
volta a cassettoni dall’Apoteosi di Tito. Mentre il piccolo fregio riprende
la tradizione dell’altare dell’Ara Pacis Augustae, nei due pannelli si
realizza una spazialità che dà risalto al rilievo (non vi si distinguono gli
usuali piani diversi di rappresentazione) e che anima le figure che
sembrano seguire l’evolversi della scena.

GLI ORTI FARNESIANI. Salendo verso S per il «clivus Palatinus», ci


si addentra nel Palatino e nel sito del primo orto botanico del mondo
(1625). Voluto dal cardinale Alessandro Farnese per conto di Paolo III
a metà ’500, fu realizzato da vari artisti – tra cui il Vignola, Jacopo Del
Duca e Girolamo Rainaldi – lungo un arco di c. un secolo; la scelta del
luogo, comune ad altre ville patrizie che nella stessa epoca sorsero sui
colli vicini, si caricò qui di pregnanti significati simbolici, per essere
stato il Palatino sede mitica della nascita di Roma e residenza degli
imperatori. Chiusi verso il Foro da un alto muraglione in cui si apriva il
portale ora in via di S. Gregorio, vi si accedeva per mezzo di un
sistema di rampe, che conduceva alle fontane sovrapposte del Ninfeo
della Pioggia e del Teatro del Fontanone; al di sopra si trovavano le
Uccelliere, tuttora esistenti e in origine coperte da reti a pagoda. Sul
ripiano più alto si stendeva un tessuto regolare di viali e aiuole, con
parterre ornati di composizioni floreali, arricchito da altre fontane;
verso il Circo Massimo era il Giardino segreto, dominato dal casino del
Belvedere (visibile a lato dell’antiquarium del Palatino). Gli scavi
avviati a fine ’800 causarono la quasi totale scomparsa degli orti e la
demolizione dei manufatti, mentre la ridotta porzione a giardino
risente delle tarde sistemazioni di Giacomo Boni.
Il Ninfeo della Pioggia, ricavato in mezzo ad antichi sotterranei, è
ai piedi della terrazza superiore (*panorama), risistemata dal Boni, cui
si sale per una scalea a due rampe e sulla quale svettano le Uccelliere.

DELLA «DOMUS TIBERIANA», della quale quasi nulla resta in


superficie e le cui rovine si stendono sotto la terrazza, scavi del sec.
XIX rintracciarono un atrio centrale, interrato, e due serie di stanze a N
e a S; indagini successive vi hanno riconosciuto diverse fasi edilizie:
alle abitazioni di età tardo-repubblicana, sulle quali si imposta la
domus e che furono ampliate da Caligola, succedono le strutture di
età neroniana (identificate come parti della Domus Aurea),
ristrutturate in età domizianea e adrianea (angolo prospiciente il
Foro).

IL TEMPIO DELLA MAGNA MATER. Dall’estremità ovest della terrazza


(*panorama), si scende a un ripiano inferiore e si raggiunge il podio
del tempio (vi si custodiva la pietra nera simbolo della dea Cibele),
eretto nel 204 a.C., restaurato a fine sec. II a.C. e ricostruito da
Augusto nel 3. Le ricerche hanno permesso di riconoscere nei resti del
podio a E dell’edificio il tempio della Vittoria, costruito nel 294 a.C. e
ristrutturato nel sec. I a. Cristo. Muri in blocchi di cappellaccio di una
struttura non ancora identificata, che fu distrutta tra fine IV e inizi III
a.C., sono stati scoperti nello scavo in profondità del cosiddetto
«Auguratorium», costruzione in laterizio attigua al santuario nella
quale è stato proposto di riconoscere il tempio di Giunone Sospita
(pregevoli antefisse policrome avvalorano tale ipotesi) o il sacello della
Vittoria Virgo; dai graffiti su materiali votivi da una stipe dei sec. IV-III
a.C. si rileva la presenza in sito di un culto femminile precedente
quello della Magna Mater.

LA CASA DI ROMOLO. Alle indagini di fine anni ’40 del sec. XX risale
il ritrovamento, a S del tempio della Magna Mater e a O delle «scalae
Caci» – uno degli antichi accessi al Palatino – di tre capanne della
prima età del Ferro, consistenti in ‘pavimenti’ scavati nel tufo nei quali
furono praticati fori per i pali (la loro disposizione permette di
ricostruire una pianta ovale, con sostegni centrali per il trave maestro
e piccolo portichetto antistante all’ingresso): all’esterno sono visibili i
cavi per il deflusso delle acque, mentre nel vano centrale era posto il
focolare, riconosciuto dai residui carboniosi. Tali testimonianze
avvalorano la tradizione che qui colloca la capanna del mitico
fondatore, mentre il Lupercale, ove la lupa avrebbe allattato i gemelli,
sarebbe da collocare poco a sud.

LA *CASA DI LIVIA. Avendo di fronte le poche strutture visibili della


«Domus Tiberiana», si va a questa dimora, già ritenuta quella di
Augusto, famosa per le straordinarie pitture murali: il TRICLINIUM è
decorato da pitture imitanti finestre aperte con paesaggi sullo sfondo;
il «TABLINUM» accoglie riquadri in secondo stile pompeiano raffiguranti
scene mitologiche (a d. *Mercurio in procinto di liberare Io custodita
da Argo; sulla parete di fondo, ormai quasi completamente perduto,
Polifemo insegue Galatea) repliche di quadri greci del sec. IV a.C., alla
parete sin. tubi di condutture d’acqua con la scritta «Iulia Aug(usta)»
che ha determinato il nome della domus e, in due vetrine, oggetti
rinvenuti nel corso degli scavi; la sala a d. del «tablinum» conserva un
fregio giallo (scena di vita egizia) con sotto *festoni di fiori, frutta e
fogliame, in quella a sin. predomina invece una finta incrostazione
marmorea.

A nord-est della casa di Livia corre, lungo la «Domus Tiberiana»,


il criptoportico di Nerone, passaggio sotterraneo che univa le varie
parti dei palazzi imperiali.

LA *CASA DI AUGUSTO. Nell’area a S della casa di Livia si stende il


complesso di costruzioni (restaurate e riaperte al pubblico nel 2008)
che il primo imperatore fece erigere nel 36 a.C.: lo compongono una
vasta abitazione su due terrazzi a differente livello – ormai
definitivamente riconosciuta come sua dimora – il tempio di Apollo, i
portici e le Biblioteche Greca e Latina. Nella domus, che venne
ricostruita dopo l’incendio del 3 e poi obliterata dalle costruzioni flavie,
cubicoli con bassi soffitti e decorazioni pavimentali a semplice mosaico
distinguono l’appartamento privato da quello ufficiale, dove alti locali,
ornati di pavimenti a intarsi di marmi policromi, si aprivano
sull’antistante peristilio; nel notevolissimo complesso di pitture del
secondo stile pompeiano spiccano la STANZA DELLE MASCHERE (la
decorazione a scenari teatrali è un eccellente esempio di prospettiva),
la SALA DELLE PROSPETTIVE con complessa raffigurazione architettonica e
il cosiddetto *STUDIOLO DI AUGUSTO, nel quale si tende a riconoscere lo
svetoniano «Technyphion» o «Siracusa».

IL LUPERCALE. Un’eccezionale scoperta è avvenuta nel 2007 nel


corso di indagini condotte dalla Soprintendenza Archeologica di Roma
sul fianco sud-ovest del Palatino, dove, durante saggi statici sulle
strutture del colle presso la casa di Augusto, è stata localizzata una
grotta-santuario che alcuni studiosi ipotizzano possa essere il
Lupercale, il luogo dove secondo la leggenda la Lupa allattò Romolo e
Remo. La grotta, situata alla base del colle e non lontana dal Tevere,
sarebbe stata restaurata da Augusto e da questi annessa alla sua
residenza. L’edificio ipogeo rinvenuto dalle sonde ha le sembianze di
un ninfeo, in parte naturale e in parte artificiale; è a pianta centrale e
ha la volta sontuosamente decorata con mosaici geometrici e valve di
conchiglie a imitazione di una copertura a lacunari in stucco o pittura;
vi appare la raffigurazione di un´aquila bianca su fondo azzurro; il
pavimento è in cocciopesto. Questo antro è citato dalle fonti classiche
come il luogo dove, secondo Dionigi di Alicarnasso, avvenivano le
celebrazioni del rito dei Lupercali, ancora praticato nel v secolo d.C.
Una volta completato lo scavo, il monumento verrà musealizzato.

IL PALAZZO IMPERIALE. Al centro del Palatino si stendono le rovine


dell’immenso complesso che venne costruito per Domiziano sopra
strutture anteriori e distinto in «Domus Flavia», «Domus Augustana»
e Stadio palatino.

LA *«DOMUS FLAVIA», o palazzo dei Flavi, era l’edificio di


rappresentanza. Lo compongono: la «BASILICA» (vi si discutevano le
cause in presenza dell’imperatore), a tre navate divise da colonne e
abside in fondo divisa da balaustra marmorea; la grande AULA REGIA
(l’imperatore vi dava udienza), con resti di muri ospitanti nicchie e
dell’abside circolare (un’iscrizione commemora lo scavo del 1726); un
vano contiguo, identificato ma senza fondamento con il LARARIO
(cappella privata dell’imperatore); a N, davanti ai tre ambienti, si
disponeva il portico di facciata.

Gli scavi effettuati sotto la basilica hanno scoperto una sala


absidata (AULA ISIACA), forse dedicata da Caligola al culto di Iside e in
origine ornata di splendide pitture (scene di carattere sacro e fregio
con simboli isiaci). Sotto il larario è stata trovata la ricca *casa dei
Grifi (fine sec. II a.C.), decorata da pitture in uno stile di transizione
dal primo al secondo pompeiano e con pavimenti a mosaico.

Opposto ai tre ambienti è il vastissimo PERISTILIO, circondato da un


porticato (avanzi del colonnato), dal quale si passa nello splendido
*TRICLINIO IMPERIALE («coenatio Jovis»), con resti del pavimento in
marmo nella parte sin. e nell’abside rialzata; la sala da pranzo si
apriva con grandi archi sul peristilio e ai lati, mediante finestre, su due
ninfei a pianta ovale (se ne conserva quello d.). In questo ninfeo, e
sotto il casino del Belvedere (la loggia ad arcate fu affrescata dalla
scuola degli Zuccari), fu rinvenuta parte di un ricco pavimento in
marmi colorati, con disegno a riquadri, dischi e arabeschi: appartiene
alle costruzioni di Claudio o di Nerone che sorgevano sull’area poi
occupata dalla «Domus Flavia». Anche sotto il triclinium e le sale
adiacenti si sono scoperti cospicui avanzi di costruzioni anteriori;
notevole un ninfeo, adorno di rari marmi, da attribuire alla «Domus
Transitoria» (era la casa di Nerone prima dell’incendio del 64).

Al di là del triclinio si vedono alcune colonne di un portico


limitante il palazzo dalla parte del Circo Massimo e resti di sale con
nicchie (biblioteche?); a O del ninfeo è il podio del tempio di Apollo
Aziaco, dedicato da Ottaviano Augusto nel 36 a.C. e inaugurato nel 28
a.C. dopo la vittoria di Azio.

L’ANTIQUARIUM DEL PALATINO. Su una parte della «Domus Flavia»


fu eretto nel 1855, su progetto di Virginio Vespignani, l’ampliamento
del convento della Visitazione, il cui nucleo iniziale si era insediato
sulla ex villa Mills, trasformazione della cinquecentesca villa Stati
Mattei operata da Carlo Mills; del complesso, demolito per rimettere in
luce le strutture della «Domus Augustana», si conservano oggi i resti
del portale su via di S. Bonaventura → e della loggetta Mattei, con
pitture e grottesche a fresco attribuite a Baldassarre Peruzzi o alla sua
scuola.
L’edificio ottocentesco, che ingloba parte degli edifici romani, è
sede dell’antiquarium del Palatino, che con un impianto didattico
illustra la storia del colle. Si parte dalle origini con i materiali relativi
alle capanne sul Germalo, con le ricostruzioni dell’aspetto dell’abitato e
di una capanna; cospicui anche i reperti ceramici, tra cui le urne
cinerarie a capanna, e i cippi iscritti relativi alla cinta del «pomerium».
Al piano superiore sono riunite essenzialmente le opere scultoree –
incluse quelle già trasferite nelle collezioni del Museo Nazionale
Romano – rinvenute dal 1870 a oggi nei palazzi imperiali a illustrare,
assieme ad alcuni complementi pittorici («domus Praeconum»;
«Domus Transitoria»), la decorazione artistica da Augusto alla tarda
antichità. Tra i marmi nella galleria spiccano: statua acroteriale acefala
di Aura con peplo aperto sul fianco d., originale greco del sec. V a.C.;
statua acefala di Afrodite o Kharis, replica di età imperiale da
Kallimacos; musa seduta su roccia, copia di età flavia di un tipo
ellenistico e proveniente dallo Stadio palatino; testa di Persiano
morente, copia di età antonina in stile pergameno; torso di danzatrice
con corto chitone, replica di età imperiale da originale di metà V a.C.;
frammento della testa del Doriforo di Policleto; testa di Asclepio, copia
di metà sec. II da prototipo del IV a.C.; *testa molto corrosa di
Meleagro, ottima copia flavia da originale scopadeo del IV a.C.; torso
di Artemide, copia di età antonina di originale ellenistico, rinvenuto
nelle costruzioni severiane. Il periodo augusteo è illustrato dalle
raffinatissime *terrecotte architettoniche dette lastra Campana (36-28
a.C.) e dalle terrecotte architettoniche che decoravano il tempio di
Apollo sul Palatino, dalla statua di Hermes con la testa-ritratto di
principe giulio-claudio, dal *Palladium Palatino (originale greco di fine
sec. VI a.C., dalle tre erme di canefora in marmo nero antico, dai resti
di una *decorazione pittorica di secondo stile (seconda metà sec. I
a.C.) dalla casa di Augusto, da un frammento di intonaco dipinto
(Apollo citaredo). All’impero di Nerone si riferiscono tre brani di
decorazione pittorica di quarto stile su intonaco e stucco dalla «Domus
Transitoria», da cui provengono anche le tarsie marmoree di
rivestimento parietale. Il periodo tra i Giulio Claudii e gli Antonini rivive
sia attraverso teste e busti (notevole quello di Antonino Pio, opera
forse di artista greco) sia tramite *tarsie marmoree di età neroniana
dalla «Domus Tiberiana». Quello dagli Antonini alla Tetrarchia ancora
attraverso teste-ritratto (si notini quello di Giulia Domna,
dall’acconciatura a melone della capigliatura, e quello di Massimino il
Trace, dalla caratteristica acconciatura a calotta compatta).

LA *«DOMUS AUGUSTANA». Adiacente alla «Domus Flavia» è l’area


dove sono stati rimessi in luce avanzi imponenti di parte della dimora
dell’imperatore da età domizianea al periodo bizantino; il fabbricato
era a due o tre piani (ciò permetteva di superare il dislivello del colle)
e con la facciata, composta di un ampio porticato semicircolare
(restano solo tracce delle basi delle colonne), guardava verso il Circo
Massimo.
Costeggiando il peristilio, al cui centro è un «impluvium»
quadrangolare, si può osservare dall’alto, disposto sulle pendici S del
Palatino, il «Paedagogium», sede del collegio dei paggi imperiali
costruito al tempo di Domiziano (l’architettura è in gran parte
ricostruzione di Luigi Canina) che conservava sulle pareti interessanti
graffiti; oltre questo, verso il Circo Massimo, è la cosiddetta «domus
Praeconum», dipendenza del palazzo imperiale consistente in un
cortiletto porticato e in tre ambienti a volta.
IL VASTO STADIO PALATINO o Ippodromo, contermine alla «Domus
Augustana», fu voluto da Domiziano e restaurato da Settimio Severo;
in laterizio rivestito di marmi, era cinto all’interno da un portico a due
piani interrotto dalla tribuna imperiale, che s’incurva al centro del lato
E: il recinto ovale fu realizzato nel primo Medioevo forse da Teodorico.

LA *«DOMUS SEVERIANA» (t. 0639967700), i cui grandiosi resti


delle sostruzioni si stendono a E dello Stadio, è un ampliamento della
«Domus Augustana» voluto da Settimio Severo (dalla terrazza
belvedere, splendido *panorama); nell’angolo adiacente alla curva
dello Stadio sono resti degli impianti di riscaldamento delle terme del
palazzo, rifatte da Massenzio e alimentate da un ramo dell’acquedotto
Neroniano →.
Alle estreme pendici S del Palatino Settimio Severo aveva fatto
edificare (203) il «Septizodium», monumentale ninfeo a più piani di
colonne demolito da Sisto V (alcuni marmi furono reimpiegati nella
decorazione della cappella Sistina in S. Maria Maggiore); indagini
archeologiche e geognostiche hanno precisato che l’edificio si
stendeva per c. 95 m dall’angolo SE del colle fino a ridosso del Circo
Massimo.

VIA DI S. BONAVENTURA. Ritornati all’arco di Tito, si esce dall’area


archeologica del Foro Romano e del Palatino seguendo ancora la «via
Sacra» (le fa da fondale l’arco di Costantino: →; le colonne che
svettano a sin. appartengono invece al tempio di Venere e Roma: →);
a d. si stacca la strada che sale alla parte del Palatino non inclusa
nell’area archeologica.

ALLA CHIESA DI S. BONAVENTURA. La via attraversa all’inizio le


fondazioni ritenute dell’arcaico tempio di Giove Statore o di Giove
Propugnatore (alcuni studiosi però non vi riscontrano caratteristiche
templari), cui segue a sin. la vigna Barberini, posta su un grande
terrazzamento artificiale sistemato da Settimio Severo. Sulle rovine del
tempio di Elagabalo, eretto sulla spianata al pari dei domizianei
giardini di Adone, sorse la chiesa di S. Sebastiano al Palatino, nota nel
Medioevo come S. Maria in Pallara (dal «Palladium» posto nel tempio)
e ricostruita nel 1624 da Luigi Arrigucci per Urbano VIII conservando
l’abside originaria del sec. X. La semplice facciata in stucco è terminata
da timpano e decorata con le api barberiniane. Nell’interno ad aula
unica, l’altare con preziose colonne di breccia corallina è dell’Arrigucci,
i brani di affreschi nell’abside risalgono alla primitiva chiesa, i dipinti
nella tribuna e nei pennacchi sono di Bernardino Gagliardi, la pala
(Martirio di S. Sebastiano) sulla parete sin. è di Andrea Camassei
(1633). Addossato al lato sin. della chiesa è quanto resta dell’antico
monastero benedettino.
Il tratto finale della via, lungo la quale si incontrano le stazioni
della Via Crucis in terracotta dipinta (Antonio Bicchierai, prima metà
’700) incassate nel muro antico e i resti cinquecenteschi del portale
dell’ex villa Mills, conduce alla chiesa di S. Bonaventura, fondata nel
1675 su una cisterna dell’acquedotto Neroniano →. La semplicissima
facciata (statua di S. Bonaventura del sec. XVIII) e l’interno furono
rifatti nel 1839-40. 1° altare d: Crocifissione di G.B. Benaschi. 2°: Ss.
Pasquale Baylon e Salvatore d’Orta di Giacinto Calandrucci. Altare
maggiore: Immacolata Concezione di Filippo Micheli. L’Annunciazione
(2° altare sin.) e S. Michele (1°) sono del Benaschi.

VIA DI S. GREGORIO. Al termine della «via Sacra» si esce in piazza


del Colosseo (→; l’Anfiteatro Flavio e l’arco di Costantino sono → e
→) e si piega a d. nel percorso erede della romana «via Triumphalis»,
che corre tra le pendici del Celio e del Palatino; l’aspetto attuale della
strada risale ai lavori di livellamento e ampliamento condotti da
Antonio Muñoz nel 1933, in seguito ai quali, col nome di via dei
Trionfi, costituì la prosecuzione di via dell’Impero (l’odierna via dei Fori
Imperiali) in direzione del mare. Il lato sin. del tracciato è costituito da
un terrazzamento, al centro del quale è un’originale fontana a cascata
del Muñoz (1933), di sostegno all’ex Antiquarium comunale →;
opposto a questa è il vignolesco portale degli orti Farnesiani, già
accesso all’omonimo complesso e qui rimontato nel 1955 come altro
ingresso monumentale all’area archeologica del Palatino, cui seguono
poco oltre alcune arcate superstiti da riferire all’acquedotto Neroniano
→.
PIAZZA DI PORTA CAPENA. Lasciata a sin., alta sulle propaggini O
del Celio, la chiesa di S. Gregorio Magno →, si sbocca in questo largo,
così detto dalla porta che qui si apriva nel recinto serviano (un
informe rudere segna il punto d’origine dell’antica Via Appia). A
sinistra si ha la Vignola, elegante casino porticato del sec. XVI un
tempo sulla pendice N del «piccolo Aventino» e qui trasferito nel 1911
per la realizzazione della Passeggiata Archeologica (per
l’inquadramento →); al centro della piazza si trovava la stele di Axum,
monolite di basalto, alto 24 m e risalente al sec. IV, trasportato a
Roma dalla città santa dell’Etiopia e qui eretto nel 1937 (nel 2005 è
stata restituita all’Etiopia); in angolo con viale Aventino, il massiccio
palazzo della FAO (Vittorio Cafiero e Mario Ridolfi, 1938) fu progettato
come Ministero per l’Africa italiana ma ultimato solo nel 1952.
IL CIRCO MASSIMO. Si volta a d. in via dei Cerchi, tracciato antico
ripristinato da Sisto V e allargato nel 1939, che si snoda lungo il fianco
NE dell’antico impianto pubblico, posto nella valle tra il Palatino e
l’Aventino detta Murcia dai mirti che ricoprivano quest’ultimo colle; la
sistemazione a giardino – le scarpate erbose indicano le gradinate, le
superfici sterrate la pista e la lunga aiuola al centro la posizione della
spina – ne suggerisce la pianta, che si stendeva su un’area di m
600x200.

LA STORIA. La prima costruzione risalirebbe a Tarquinio Prisco,


anche se secondo la leggenda già in precedenza la valle sarebbe stata
usata per le gare in onore del dio Conso (durante una di queste
sarebbe avvenuto il ratto delle Sabine). Un edificio di muratura, in
sostituzione di impianti lignei, sorse nel sec. II a.C. e fu più volte
modificato, in particolare da Giulio Cesare che nel 46 a.C. vi fece
svolgere una finta battaglia; Augusto vi costruì nel 31 a.C. il palco
imperiale («pulvinar») a ridosso del Palatino e vi innalzò nel 10 a.C.
l’obelisco di Ramsses II ora in piazza del Popolo. Rovinato da incendi
sotto Nerone e Domiziano, ebbe dal Senato nell’80-81 un arco a tre
fornici al centro dell’emiciclo, a ricordo delle vittorie di Vespasiano e
Tito nella guerra giudaica; fu poi ricostruito da Traiano nel 100-104 (a
tale rifacimento appartengono i pochi resti in laterizio della cavea sul
lato curvo verso piazza di Porta Capena), ampliato da Caracalla e
restaurato da Costantino, che volle ornarlo di un secondo obelisco
(quello di Tutmes III, oggi in piazza di S. Giovanni in Laterano)
innalzato dal figlio Costanzo II nel 357. L’impianto, che sembra
potesse contenere fino a 300000 spettatori, restò in uso fino al 549.
Nell’emiciclo, parzialmente scavato nel 1928 e nuovamente dal
1981, sorge la torre della Moletta, eretta nella prima metà del sec. XII
dai monaci di S. Gregorio per difendere il mulino alimentato dall’Acqua
Mariana e inclusa poi nelle fortificazioni dei Frangipane.

L’EX PASTIFICIO PANTANELLA. In fondo alla via dei Cerchi, lungo il


cui lato d. si dispongono le imponenti strutture della «Domus
Augustana» → e al N. 87 un fantasioso prospetto barocco adorno dei
gigli farnesiani, chiude il lato N del circo l’edificio tardo-ottocentesco,
ristrutturato nel 1930 per farne la sede del Museo di Roma e del
Museo dell’Impero Romano; nei sotterranei si nasconde il mitreo del
Circo Massimo, ricavato nel sec. III in un edificio preesistente, dove è
un grande rilievo raffigurante Mitra che uccide il toro.

S. ANASTASIA. Una spina di basse case, di aspetto forse


seicentesco ma probabilmente di origine medievale, separa via dei
Cerchi dalla piazza che prende nome da questa chiesa, sorta nel sec.
IV e divenuta luogo di culto ufficiale dei dignitari imperiali del Palatino.
Restaurata sotto Teodorico, nei sec. VIII e IX e poi da Sisto IV (trifore
sui fianchi), deve l’attuale aspetto al ripristino, voluto da Urbano VIII,
di Luigi Arrigucci (1636), dopo che una facciata con portico, costruita
nel 1618, era stata distrutta da un ciclone nel 1634. L’odierno
prospetto laterizio, di stampo berniniano, è a due ordini: l’inferiore, a
lesene doriche, si stende in larghezza sino a comprendere la parte
basamentale di due campanili; quello superiore, a lesene ioniche, si
conclude col timpano coronato da candelabri.
Il luminoso interno, a tre navate divise da colonne antiche
addossate a pilastri, fu riccamente decorato da Carlo Gimach (1721-
22). Nel soffitto (stemmi di Pio VII e Pio IX), Martirio della santa di
Michelangelo Cerruti (1722). Nella cappella a d., Il Battista di Pier
Francesco Mola. Nella cappella in fondo alla navata d., storie di S.
Carlo Borromeo e di S. Filippo Neri di Lazzaro Baldi. Transetto destro:
S. Toribio di Francesco Trevisani (1726). Nella tribuna, all’altare
maggiore, Natività del Baldi (suoi gli stucchi, le tele e gli affreschi nella
volta); sotto l’altare, statua di S. Anastasia di Francesco Aprile,
terminata da Ercole Ferrata dopo il 1667. Transetto sinistro: sepolcro
del cardinale Angelo Mai di Giovanni Maria Benzoni (1857); all’altare,
Madonna del Rosario del Baldi; sotto il dipinto è stato rinvenuto un
affresco medievale. Cappella in fondo alla navata sin.: sull’altare
medievale, S. Gerolamo attribuito al Domenichino; nella lunetta,
Martirio di S. Anastasia (sec. XVII). Nella cappella a sin., con belle
colonne di pavonazzetto: Ss. Giorgio e Publio di Étienne Parrocel.
PIAZZA DELLA BOCCA DELLA VERITÀ, al termine di via dei Cerchi,
corrisponde al Foro Boario (mercato del bestiame dell’antica Roma); a
d., spunta tra gli alberi la casa dei Pierleoni (sec. XIII-XIV ma
pesantemente restaurata), mentre lo spiazzo erboso verso il Tevere è
occupato da due templi, uno circolare e l’altro rettangolare, isolati
dalle demolizioni del 1924-25.
Il primo è il cosiddetto *tempio della Fortuna Virile, databile
ai sec. II-I a.C., che è ormai identificato con certezza con il tempio di
Portunus, il dio protettore del vicino porto fluviale. Preceduto da una
scalinata (di restauro), l’edificio, tra i meglio conservati a Roma,
presenta quattro colonne sul fronte, mentre sui fianchi e sul lato
posteriore sono semicolonne addossate alla muratura. Nell’872
divenne chiesa col nome di S. Maria Egiziaca, che fu concessa da Pio V
agli Armeni e abbellita da Clemente XI insieme all’annesso ospizio,
demolito nel 1930. All’interno, *storie della Vergine, resti di affreschi
del tempo di Giovanni VIII; sull’altare, S. Maria Egiziaca di Federico
Zuccari.
Il secondo, noto come *tempio di Vesta perché circolare al pari
di quello del Foro Romano, è da identificarsi molto più probabilmente
con il tempio dedicato a Ercole Vincitore a fine sec. II a.C. e
ampiamente restaurato sotto Tiberio. Il più antico edificio superstite
della città costruito in marmo è un periptero con 20 colonne corinzie
(una mancante) che circondano la cella cilindrica in blocchi di marmo,
mentre sono andate perdute la trabeazione e la copertura originaria
forse a cupola. A inizi sec. XII il tempio fu trasformato in chiesa
dedicata a S. Stefano (detta delle Carrozze e da metà ’500 chiamata
S. Maria del Sole per un’immagine, trovata nel Tevere, che avrebbe
mandato un raggio di sole); all’interno Madonna col Bambino e santi,
affresco di scuola romana del tardo XV.
Completa lo spiazzo erboso la fontana dei Tritoni (Francesco Carlo
Bizzaccheri, 1715), in cui il tema berniniano di piazza Barberini è
innestato su una vasca che riproduce la stella araldica a otto punte di
Clemente XI.
LA CHIESA DI *S. MARIA IN COSMEDIN, che guarda da SE sulla
piazza, sorse nel sec. VI sopra l’ara massima di Ercole (di antichissima
origine ma rifatta nel II a.C. e identificata nel grande blocco di tufo
dell’Aniene in cui è ricavata la cripta) inglobando anche un’aula
porticata di età flavia adiacente all’ara.

LA STORIA. La diaconia di «S. Maria in schola graeca», sorta su


una cappella del sec. III, fu ampliata da Adriano I nel 782 e prese
l’appellativo di «Kosmidion» per le splendide decorazioni; fu restaurata
da Niccolò I, che vi aggiunse la sagrestia, un oratorio («S. Niccolò in
schola graeca») e una residenza diaconale, da Gelasio II dopo le
invasioni di Roberto il Guiscardo (1082) e infine da Callisto II, che
chiuse il matroneo e ricostruì il portico con il protiro nel mezzo. Nel
1715-19 Giuseppe Sardi adattò al gusto barocco la facciata ornandola
di stucchi e cornici, mentre nel 1894-99 G.B. Giovenale ripristinò le
forme romaniche di Callisto II.

L’ESTERNO. La facciata è preceduta da portico ad arcate su pilastri


(l’unico medievale di questa forma a Roma), con protiro e soprastanti
monofore; a d. è l’elegante campanile romanico a sette piani di bifore
e trifore (sec. XII). Nel portico, a d. (pianta →, 1), monumento del
prelato Alfano, camerlengo di Callisto II (sec. XII); a sin. (2), la celebre
bocca della Verità qui collocata nel 1632, grande disco di marmo (in
realtà chiusino d’età classica a forma di mascherone di divinità
fluviale), collegato alla leggenda per cui i bugiardi che vi introducono
la mano ne escono monchi; sul muro, tracce di affreschi (sec. XII).
Sotto l’architrave del portale, firmato «Iohannes de Venetia» (sec. XI),
mano benedicente alla greca.
L’INTERNO è a tre navate divise da pilastri e da 18 colonne
romane con capitelli in parte antichi in parte medievali. Alle pareti
della navata centrale, resti di affreschi dei sec. VIII, IX e XII. Schola
cantorum (3) con amboni e iconostasi; baldacchino gotico (4) firmato
da Deodato di Cosma il Giovane (1294); cathedra episcopale (5);
altare formato da un frammento di granito rosso (1123); pavimento in
opus sectile (sec. VIII). Nel muro absidale, affreschi del XI. Nella
cappella del Coro (6), Madonna e Bambino (sec. XV); in sagrestia (7),
*Epifania, frammento di mosaico a fondo oro (inizi VIII) dall’antica
basilica di S. Pietro.
Inserite nelle navate centrale e sin. della chiesa e in sagrestia
rimangono le sette colonne scanalate della facciata e le tre del fianco
sin. dell’aula di età flavia, tradizionalmente identificata con la «statio
Annonae», l’antica sede del prefetto, ma da altri ritenuta un sacello in
relazione con l’ara di Ercole.
L’*ARCO QUADRIFRONTE DETTO DI GIANO occupa il centro di via del
Velabro, che si diparte dal lato E della piazza e il cui nome deriva dalla
palude fluviale (Velabro) dove Faustolo avrebbe trovato Romolo e
Remo. Il monumento, forse l’«arcus Constantini» menzionato dalle
fonti antiche, è costituito da quattro piloni, con nucleo di calcestruzzo
e rivestimento di marmi (molti di spoglio), che sostengono volte a
crociera con funzione di passaggio coperto («ianus»). I piloni sono
ornati all’esterno, sopra un alto zoccolo, da due ordini di piccole
nicchie con calotta a conchiglia, destinate forse in origine a statue e
inquadrate da colonnine su mensole; sulle chiavi degli archi, a rilievo,
raffigurazioni assai consunte di Roma e Giunone (sedute) e di Minerva
e Cerere (?) stanti. Nel Medioevo il monumento, eccellente documento
del gusto del sec. IV per i prospetti d’ingresso ornati di nicchie tra
colonne pensili, fece da base a una torre fortificata dei Frangipane,
demolita nel 1827 assieme ai resti, allora non riconosciuti, dell’attico
originario dell’arco, che era in mattoni rivestiti di marmo.
Alle spalle dell’arco è la chiesa di S. Giorgio in Velabro, antica
diaconia (sec. V-VI) dedicata da Leone II a S. Sebastiano. I restauri
effettuati sotto Gregorio XVI e Pio IX permisero di chiarire le vicende
costruttive della chiesa, ricostruita da Gregorio IV, con portico
restaurato a inizi sec. XIII; ad Antonio Muñoz (1923-26) si deve il
ripristino dell’originale assetto romanico, attraverso la cancellazione
delle aggiunte barocche. La semplice facciata, aperta da oculo, è
preceduta da un portico architravato su colonne ioniche e robusti
pilastri (iscrizione in ricordo dei restauri di inizi ’200; la cancellata è del
tempo di Clemente IX); a sin. è il campanile di forme romaniche, a
cinque piani articolati da cornici e trifore (sec. XI-XII).

L’INTERNO è a tre navate spartite da colonne di spoglio, in granito


e pavonazzetto, prive di basi e con capitelli ionici e corinzi (sec. VII).
Nel presbiterio sopraelevato, altare maggiore costituito da lastra
cosmatesca, ciborio con quattro colonne e architrave a mosaico, e
terminazione a piramide tronca. Nel catino absidale, Cristo, la Vergine
e i Ss. Giorgio, Pietro e Sebastiano, affreschi attribuiti a Pietro Cavallini
ma con parziali rifacimenti cinquecenteschi. All’altare in fondo alla
navata d., cippo marmoreo del sec. XI.
L’*ARCO DEGLI ARGENTARI, addossato al fianco sin. della chiesa,
era uno degli accessi al Foro Boario e costituisce un’interessante
testimonianza dell’arte di età severiana. Eretto nel 204 (iscrizione in
onore di Settimio Severo, della moglie Giulia Domna e dei figli
Caracalla e Geta) dalla corporazione degli «argentarii» (o
cambiavalute) del foro stesso, presenta un’insolita tipologia, forse
derivata da modelli orientali: è composto da due robusti pilastri, con
nucleo in calcestruzzo e rivestimento di marmo e travertino, che
sorreggono un architrave di marmo. La superficie delle parti
marmoree è interamente ricoperta da una decorazione vegetale e da
scene figurate di culto e di guerra; le più importanti sono sulle facce
interne, con Settimio Severo e Giulia Domna (d.) e Caracalla (sin.: la
figura di Geta fu abrasa dopo la sua uccisione). La disposizione
frontale e non prospettica delle figure imperiali, la tendenza a
occupare tutto lo spazio del rilievo con i personaggi e la loro
collocazione su un unico piano di rappresentazione, la gerarchia delle
proporzioni e la sovrabbondanza della decorazione preannunciano gli
sviluppi dell’arte tardo-antica.

LA «CLOACA MAXIMA», le cui acque si possono vedere al N. 3 della


via, scendeva dall’«Argiletum» → e attraversava il Foro raccogliendo
le acque defluenti dalle alture circostanti per convogliarle nel Tevere
(se ne vede ancora lo sbocco nel fiume a valle del ponte Palatino); la
tradizione ne attribuisce la costruzione a Tarquinio Prisco, ma al sec.
VI a.C. risale la sola arginatura del corso d’acqua (la volta a tutto
sesto, in blocchi di tufo a contrasto, non è anteriore al II a.C.).
S. TEODORO. Continuando per via del Velabro e voltando a sin. in
via di S. Teodoro, che ricalca il «vicus Tuscus» →, si può visitare
questa chiesa, sorta con fini assistenziali sugli «horrea Agrippiana» in
epoca che il mosaico absidale fa porre nella seconda metà del sec. VI
e quasi interamente ricostruita da Niccolò V (1453-54), secondo
Giorgio Vasari a opera di Bernardo Rossellino (la piazzetta antistante e
la scala a due rampe furono realizzate da Carlo Fontana nel 1703-
1705). La semplice facciata laterizia, con portale del ’400, accoglie una
lunetta dipinta sormontata da protiro con stemmi di Niccolò V.
Nell’interno circolare, coperto da cupola a coste e a vele di tipo
rinascimentale fiorentino (la prima del genere realizzata a Roma),
l’abside è l’unica parte rimasta della chiesa originaria: qui è un
mosaico (Il Redentore tra i Ss. Pietro, Paolo, Teodoro e altro santo)
molto restaurato di fine sec. VI; all’altare d., S. Crescentino di
Giuseppe Ghezzi (c. 1705); a quello sin., i Ss. Ranieri e Giacinta
Marescotti adorano il Sacro Cuore di Gesù di Francesco Manno (1805).

VIA DI S. GIOVANNI DECOLLATO, che si stacca da piazza della


Bocca della Verità in direzione N, permette di addentrarsi in una parte
del rione sopravvissuta alle demolizioni di epoca fascista.
A sinistra è la chiesa di S. Giovanni Decollato, già sede
dell’arciconfraternita della Misericordia, che fu eretta dopo il 1490 nei
pressi dell’antica chiesa di S. Maria de Fovea. Completata a metà ’500,
fu riconsacrata da Benedetto XIII nel 1727 e subì nuovi restauri nel
1888; la severa facciata dei primi del ’500, in finto laterizio, è
articolata da quattro paraste e terminata da alto architrave e timpano.
All’interno (visita dietro permesso rilasciato dal governatore), a navata
unica con tre nicchie a scarsella per parte, le pareti, scandite da
paraste doriche e con candelabre in stucco, sono completamente
affrescate da artisti toscani con figure di santi (1580-90). 1° altare d.:
Natività del Battista di Jacopo Zucchi (c. 1585). 2°: Incredulità di S.
Tommaso di scuola di Giorgio Vasari. 3°: Visitazione del Pomarancio.
Altare maggiore: Decollazione del Battista, tavola di Vasari (1553);
sulla parete d., Decollazione del Battista di artista michelangiolesco
(Girolamo Muziano?), su quella sin., Risurrezione di Lazzaro di
Giovanni Balducci detto il Cosci. 2° altare sin.: Martirio di S. Giovanni
evangelista di G.B. Naldini (c. 1580). 1°: Madonna della Misericordia,
affresco del sec. XV (ridipinto), e Assunzione di Maria di Francesco
Zucchi. Sopra la porta laterale sin., Predicazione del Battista, lunetta
del Cosci; il ‘pendant’ con il Battesimo di Cristo di Monanno Monanni,
rimosso per l’apertura della finestra, è nelle sale della confraternita.
Dal vestibolo d’ingresso si passa nell’*ORATORIO (1530-35), semplice
sala rettangolare riccamente decorata con affreschi di scuola
manierista toscana. Sulla parete d’ingresso, a d., Predica del Battista
di Jacopino del Conte (1538). Sulla parete d.: Nascita del Battista
(1551) e Visitazione (1538) di Francesco Salviati; Annuncio a Zaccaria
di Jacopino del Conte (1535), cui appartiene la tavola (Deposizione, c.
1550) sull’altare (i Ss. Bartolomeo e Andrea ai lati sono del Salviati).
Sulla parete sin.: Decollazione del Battista (1553); Danza di Salomè
attribuita a Pirro Ligorio; Arresto del Battista di Battista Franco (1541-
44). A sinistra della parete d’ingresso, Battesimo di Cristo di Jacopino
del Conte (1541). Nel piccolo CHIOSTRO-CIMITERO porticato (1535-55 ma
rifatto nel 1600) sono altari cinquecenteschi, due leoni stilofori del
’300 e una statua cinquecentesca di S. Sebastiano; sul pavimento,
sette chiusini in cui venivano introdotti i resti dei giustiziati. La CAMERA
STORICA della confraternita conserva un Crocifisso (sec. XVI) e una
croce processionale in bronzo del XV.
Sul lato opposto della via si individua la sobria facciata, in finto
laterizio con finestrone centrale, della chiesa di S. Eligio dei Ferrari,
eretta su una precedente dedicata a S. Martino e concessa nel 1453
da Niccolò V all’Università dei Ferrari; ricostruita nel 1561-62 e
accresciuta nel 1577 dell’oratorio, ebbe modifiche nel ’500, ’600 e
’900. L’interno, a navata unica e sontuosamente decorato, ha tre altari
per lato e due coretti laterali; il soffitto a lacunari in legno e stucco
dorato è del 1604. 1° altare d.: statua lignea di S. Antonio (sec. XVII);
intorno, affreschi del XVI. 2° (1726): Sacra famiglia e S. Giovanni di
fiammingo di fine XVI. 3° (1743): Andata al Calvario, resti di affresco
manierista. All’altare (1640) del presbiterio, *Madonna in trono, S.
Giacomo e i vescovi Eligio e Martino del Sermoneta (fine sec. XVI). 3°
altare sin. (su disegno di Luigi Valadier, 1827): Crocifissione, copia del
dipinto di Scipione Pulzone alla Chiesa Nuova (da alcuni è ritenuto
autografo). 2° (1764): Martirio e Gloria di S. Orsola di Ambrogio
Mattei (firma; 1764). 1° (1725): S. Ampelio curato dagli angeli (sec.
XVIII). ORATORIO (1577): alla parete, Estasi di S. Francesco attribuita a
Terenzio Terenzi; in un’altra sala, cassetta della Veronica, con
placchetta dipinta di fine XV, e, al centro, stendardo in seta dipinto da
Pompeo Batoni (1750) con la Vergine che appare a S. Eligio (recto) e
S. Ampelio curato dagli angeli (verso).
Il gruppo di case che a sin. della chiesa si articola intorno alle vie
Bucimazza (dalla famiglia Boccamazzi che vi abitava), dei Foraggi e
dei Fienili (che rimandano alla vicinanza del Campo Vaccino),
sopraelevato perché mantiene le quote originali, conserva
un’apprezzabile integrità ambientale, che suggerisce l’aspetto della
zona prima delle demolizioni del 1933.

LA *CASA DEI CRESCENZI. Da piazza della Bocca della Verità si


segue in direzione N via Petroselli, che incontra subito a sin. (N. 54)
uno fra i rarissimi edifici civili medievali rimasti, eretto nel 1040-65 da
Nicolò di Crescenzio a guardia del guado del Tevere con largo uso di
materiale antico; danneggiata negli scontri seguiti alla venuta di Arrigo
VII nel 1312, fu usata nella Via Crucis pasquale come casa di Pilato e,
detta anche casa di Cola di Rienzo e torre del Monzone, è stata
restaurata intorno al 1940. La lunga iscrizione latina in versi leonini
incisa sull’arco del portale, formato da un pezzo di cornice di edicola
romana a pianta circolare, ricorda Nicolò, figlio di Crescenzio e
Teodora, che costruì l’edificio per «rinnovare l’antico decoro di Roma».
La finestra a d. ha come parapetto un lacunare di soffitto; il fianco sin.
presenta inferiormente semicolonne intervallate da paraste con
capitelli in cotto su cui poggiano belle mensole tardo-romane con
amorini; il cornicione è formato con frammenti di altre cornici.
L’AREA DEL FORO OLITORIO. Superato il massiccio palazzo in
laterizio e travertino dell’Anagrafe (Cesare Valle, 1936-37), per la cui
realizzazione fu demolita l’antichissima chiesa di S. Galla (sulle pendici
del Campidoglio si riconosce l’ex sede dell’Istituto Archeologico
Germanico: →), s’incrocia a sin. la via che prende nome dal Foro
Olitorio, il mercato degli erbaggi dell’antica Roma che si stendeva tra
le pendici del Campidoglio, il teatro di Marcello e il Tevere. Sulla
grande piazza, lastricata in travertino, si affacciavano diversi edifici
monumentali, tra cui i templi (v. sotto) trasformati nel Medioevo nella
chiesa di S. Nicola in Carcere. Ricordata nel sec. IX ma forse più
antica (sec. VII), fu ricostruita nel 1128 e restaurata nel 1733, nel
1808 da Giuseppe Valadier (l’indagine da lui condotta sui resti dei
templi portò alla scoperta della gradinata e dell’ara dei quello centrale)
e sotto Pio X (1865), venendo isolata dalle case attigue nel 1934
quando fu ripristinata la torre-campanile medievale, in cui è una
campana del 1286. La facciata a unico ordine, in cui sono
brillantemente reimpiegate due delle tre colonne del tempio di
Giunone Sospita e ricca di decorazioni in stucco, è di Giacomo Della
Porta (1599).

NELL’INTERNO BASILICALE, con colonne e capitelli di reimpiego


(sulla 2ª a d., iscrizione dei sec. VII-VIII), le pareti laterali inglobano le
colonne dei templi romani; il soffitto ligneo a lacunari e gli affreschi
dell’abside sono del 1865. Nella navata centrale, storie di S. Nicola,
affreschi di Guido Guidi. Nella navata d., iscrizione commemorativa
della dedicazione della chiesa (1128); Madonna col Bambino,
frammento di affresco di Antoniazzo Romano (c. 1470). Nel
presbiterio, tomba del cardinale G.B. Rezzonico di Christopher
Hewetson (1787). A destra dell’abside è la cappella Aldobrandini, con
affreschi di Giovanni Baglione. Altare maggiore con urna antica di
porfido verde sotto un ciborio del 1856. Nel transetto sin., Cristo
risorto, pala di Lorenzo Costa (c. 1505).

I TEMPLI DEL FORO OLITORIO, sui quali sorse la chiesa e che sono
in parte visibili nella fronte, ai lati e nei sotterranei della stessa, furono
costruiti in età repubblicana (erano allineati e con il fronte rivolto a E)
e riedificati nel sec. I. Del primo tempio, dedicato, sembra, alla
Speranza e costruito dopo la prima guerra punica, è visibile, a d. della
facciata della chiesa, il podio di travertino, da cui spiccano due
colonne ioniche di peperino, in origine rivestite di stucco, mentre le
otto colonne del lato sin. sono incorporate nel muro della chiesa. Il
tempio mediano, il maggiore e più ricco, è identificato con quello di
Giunone Sospita, eretto nel 197 a.C. e interamente inglobato nella
chiesa; dell’edificio, esastilo e di ordine ionico al pari di quello
settentrionale, sono visibili, all’esterno, la scalinata di travertino (con
al centro l’altare davanti al podio), e, nei sotterranei, parti di
quest’ultimo. Del più piccolo tempio meridionale – forse quello di
Giano eretto nel 260 a.C. – pure esastilo ma di ordine dorico, sono
visibili dall’esterno, incorporate nel fianco sin. della chiesa, sei colonne
di travertino già rivestite di stucco e, nei sotterranei, resti del podio.

L’AREA SACRA DI S. OMOBONO. Opposti a S. Nicola in Carcere, ai


piedi del Campidoglio, rimangono una casa medievale con torre,
ripristinata dopo le demolizioni, murature, pilastri di travertino, un
portico, con arcate di peperino inquadrate da semicolonne d’ordine
tuscanico (fine sec. I a.C.), riutilizzato nel Medioevo e liberato nel
1933, pertinenti al Foro Olitorio. A fianco corre l’antico vico Jugario
(detto così forse dai fabbricanti di gioghi per buoi), dove sono visibili a
d. i resti del complesso religioso affiorati nelle demolizioni del 1936-37
e scavati nel 1959-64.
Gli sterri hanno rimesso in luce un’area sacra di pianta
rettangolare con are sacrificali (sec. VII-inizi VI a.C.), su cui nel VI a.C.
sorsero affiancati i TEMPLI DELLA MATER MATUTA e DELLA FORTUNA (le fonti
antiche mettono quest’ultimo in relazione con Servio Tullio, che vi
avrebbe celebrato la sua divinità protettrice in relazione allo sviluppo
del vicino porto, mentre la Mater Matuta è connessa alla
frequentazione dello scalo da parte di marinai e mercanti stranieri),
ricostruiti a inizi IV a.C., a metà e a fine III a.C. e in età domizianea.
Quanto attualmente appare si riferisce alle ultime due fasi di vita
dell’area, di cui gli scavi hanno dimostrato l’eccezionale importanza
archeologica; infatti nei livelli più profondi, oltre a resti delle fasi più
antiche dei templi, poi reinterrati con riporti contenenti ricco materiale
ceramico e terrecotte, sono stati rinvenuti materiali databili fra il sec.
IX e l’VIII a.C., che fanno supporre l’esistenza di un abitato di capanne
arcaiche sul tipo di quello del Palatino.
Accanto, rimasta sopraelevata in seguito alla trasformazione
urbanistica del 1933, è la chiesa di S. Omobono, eretta sulla
preesistente S. Salvatore in Portico; concessa nel 1575 all’Università
dei Sarti (stemma nella cupoletta dell’abside), che disposero immediati
restauri dedicandola a S. Omobono e arricchendola di decorazioni e
altari, ebbe altri restauri nel 1767, nel 1856, nel 1872-77 (soffitto,
pavimento, organo), nel 1940-42 dopo le demolizioni e gli scavi nella
zona, e infine nel 1964. La dimessa facciata è tardo-cinquecentesca.
All’interno, l’irregolare navata risente del condizionamento delle
preesistenze su cui poggia. Al centro del soffitto a cassettoni,
Incoronazione della Vergine tra i Ss. Omobono e Antonio, tempere di
Cesare Mariani. Nell’abside, Il Salvatore in gloria e, sotto, Madonna in
trono col Bambino tra i Ss. Stefano e Alessio attribuiti a Pietro Turini.
3ª arcata della navata sin.: tomba della famiglia Satri (sec. XV); nella
lunetta, originale iconografia del Padre Eterno, sarto divino, che infila
una pelliccia ad Adamo (sec. XVII).

LA CHIESA DI S. MARIA DELLA CONSOLAZIONE, che fa da sfondo al


vico Jugario, sorse insieme al retrostante ospedale e fu ricostruita nel
1583-1600 da Martino Longhi il Vecchio. La composta facciata
manierista (l’ordine inferiore è ripartito da lesene corinzie in cinque
campate e accoglie tre portali; in quello superiore prosegue solo la
campata centrale raccordata da volute, con finestrone centrale e
quattro lesene che sorreggono il timpano triangolare) fu interrotta dal
Longhi all’architrave e completata con la parte superiore nel 1827 da
Pasquale Belli; la scala antistante fu prolungata nel 1943 a seguito
delle demolizioni per la liberazione delle pendici capitoline. 1ª cappella
d. dell’interno: storie della Passione, affreschi di Taddeo Zuccari
(1556). 2ª: Madonna col Bambino e santi, tavola di Livio Agresti
(1575). 3ª, con pregevole cancello in ferro: storie di Gesù e della
Vergine, tele e affreschi di Giovanni Baglione. Cappella a d. del
presbiterio: icona della Madonna (sec. XIII). Presbiterio: all’altare
maggiore, su disegno del Longhi, S. Maria della Consolazione, affresco
medievale ridipinto da Antoniazzo Romano; ai lati Natività e
Assunzione del Pomarancio; sopra quest’ultimo, cantoria e organo
(1674). 5ª cappella sin.: scene della vita di Maria e di Gesù, dipinti di
Antonio Circignani. 4ª, con bel cancello in ferro battuto: storie di S.
Andrea, affreschi di Marzio di Colantonio Ganassini. 3ª: storie della
Vergine, affreschi di Francesco Nappi. 2ª: S. Francesco riceve le
stimmate (sec. XVII). 1ª: Sposalizio mistico di S. Caterina, rilievo
marmoreo di Raffaello da Montelupo (1530). Sagrestia: Crocifissione,
bassorilievo di Luigi Capponi (1496); alle pareti, frammenti di affreschi
di Antoniazzo Romano.
Il retrostante ex ospedale della Consolazione, sorto nel 1470 e
soppresso nel 1936, ingloba un cinquecentesco ingresso architravato
con Vergine col Bambino e, su via del Foro Romano, un portale del
’400 con lunetta entro cui è una Madonna col Bambino della chiesa di
S. Maria delle Grazie, demolita nel 1876. Dalla piazza antistante
all’ospedale, bella vista sul «Mons Tarpeius» → e sul Foro Romano (in
primo piano sono le colonne del tempio di Saturno: →).
Per via del Foro Olitorio, che costeggia a d. la chiesa di S. Nicola
in Carcere, si sale a piazza di Monte Savello →.

2.9 IL RIONE SANT’ANGELO

Del Campo Marzio classico il rione costituisce l’estremità


meridionale, caratterizzata già in età repubblicana da due
fondamentali orientamenti viari: uno, più vicino al fiume, era dovuto
alla presenza del Circo Flaminio (221 a.C.), sul cui lato settentrionale –
l’odierna via del Portico d’Ottavia – si erano allineati portici e templi
dando origine a un asse urbanistico conservatosi sino a oggi; l’altro, di
cui resta traccia in via delle Botteghe Oscure – limite settentrionale del
rione – era posto più a nord e riprendeva la disposizione secondo i
punti cardinali propria del Campo Marzio centrale. La zona, che con
Augusto ebbe assetto definitivo arricchendosi di edifici da spettacolo (i
teatri di Marcello e di Balbo) e consolidando il carattere monumentale,
acquisì importanza strategica nel Medioevo per la presenza dei ponti
dell’Isola Tiberina, uno dei tre valichi del Tevere rimasti all’interno
delle mura; sorsero allora dimore fortificate (la maggiore sul teatro di
Marcello), mentre l’asse viario rimase sempre quello di via del Portico
d’Ottavia, parte della medievale «via Peregrinorum».
Il progressivo trasferimento della comunità ebraica romana da
Trastevere in questo rione, attraverso il ponte Fabricio che fu per
questo detto anche «pons Judaeorum», cominciò nel XIII secolo, e fu
una bolla di Paolo IV a istituire nel 1555, sull’area del Circo Flaminio, il
Ghetto, a imitazione di quello creato a Venezia pochi anni prima;
circondato da mura, divenne residenza obbligata per gli Ebrei romani:
si raggiunsero livelli di grave affollamento e degrado (costruzioni di
sei-sette piani affacciavano su vie strettissime), che si protrassero fino
al 1870. Con il graduale spostamento a nord del centro cittadino, il
rione rimase estraneo ai mutamenti urbanistici cinquecenteschi e,
dopo la sistemazione di piazza di Campitelli (inizi XVII secolo), si
conservò sostanzialmente inalterato sino a fine Ottocento.
Nel 1811, durante l’amministrazione francese, vennero incluse
nelle aree da risanare il portico di Ottavia e il Ghetto, di cui erano già
state abbattute le porte e che venne definitivamente aperto da Pio IX
nel 1848. Il piano regolatore del 1873 previde massicci abbattimenti ai
piedi del teatro di Marcello e nella zona del Ghetto, demolito dal 1888
e sostituito da quattro isolati senza alcun legame col tessuto viario ed
edilizio circostante; gli interventi urbanistici successivi (isolamento del
teatro di Marcello, 1926-32; allargamento di via delle Botteghe
Oscure, 1938) toccarono l’area marginalmente, ma alterarono in
profondità gli ambienti che vi affacciavano.
Il rione, il più piccolo di Roma, conserva ancora oggi il composito
tessuto; la visita (pianta alle pagine 438-439) è di grande interesse,
oltre che per la presenza di monumenti celebri (teatro di Marcello;
portico di Ottavia; chiesa di S. Maria in Campitelli), proprio per
l’evidenza della stratificazione storica della zona, di cui sono
testimonianze eloquenti il palazzo Orsini, sorto sul già citato teatro, la
chiesa di S. Angelo in Pescheria, che riutilizzò parte del portico di
Ottavia, e la cosiddetta «isola dei Mattei», delineatasi sulle strutture
del teatro di Balbo.

PIAZZA DI MONTE SAVELLO, creata in prossimità della chiesa di S.


Nicola in Carcere → dalle demolizioni degli anni ’30 del sec. XX, ricorda
nel nome il rilievo originato dalle rovine della scena e della cavea del
teatro di Marcello (v. sotto); su di esso sorse, nel Medioevo, una
dimora fortificata appartenuta ai Pierleoni, ai Savelli e dal 1716 agli
Orsini, da cui l’attuale denominazione di palazzo Orsini (orsi araldici
della famiglia affiancano l’ingresso all’edificio, al N. 30 di via di Monte
Savello). I corpi di fabbrica ottocenteschi verso il Tevere nascondono il
nucleo più antico del complesso, costruito da Baldassarre Peruzzi per i
Savelli nel 1523-27 riordinando precedenti fabbriche, che si imposta
direttamente sulle arcate esterne della cavea del teatro (visibile da via
del Teatro di Marcello); l’interno ospita al piano nobile una GALLERIA
con affreschi paesistici del ’700 e un GABINETTO ottagonale con belle
maioliche coeve. Tramite una scaletta si scende al livello antico del
terreno, avendo di fronte, incassati nel muro del palazzo, una colonna
e un pilastro di travertino avanzi di una delle aule che fiancheggiavano
la scena del teatro; a d. è il podio di uno dei templi su cui sorse la
chiesa di S. Nicola in Carcere.

IL *TEATRO DI MARCELLO. Risalendo dal lato opposto su via del


Teatro di Marcello → e percorrendola a sin., si ha una visione
completa delle arcate superstiti dell’impianto pubblico, secondo solo a
quello di Pompeo per cronologia e capienza (c. 15000 spettatori), che
fu iniziato da Giulio Cesare e dedicato da Augusto nel 13 o 11 a.C. alla
memoria del nipote e genero Marcello. La cavea, del diametro di c.
130 m, aveva la facciata in travertino a tre ordini (quelli dorico e
ionico ad arcate si conservano, mentre il terzo, probabilmente un
attico chiuso con paraste corinzie, fu sostituito dal prospetto di
palazzo Orsini); le arcate, 41 per ogni ordine (ne restano 12), avevano
le chiavi decorate da maschere teatrali in marmo. Nella sottocavea
sono grandi setti radiali in opus quadratum di tufo e, per la parte più
interna, in opus caementicium con paramento in opus reticulatum;
rampe e ambulacri consentivano il rapido smistamento degli
spettatori.
Abbandonato nel sec. V e interrato per metà del primo ordine, fu
utilizzato dapprima come cava di materiale, poi come fortezza e infine
come palazzo patrizio, costituendo uno dei più singolari esempi di
continuità storica dell’abitato; nel 1926-32 fu scavato e restaurato da
Alberto Calza Bini (furono allora ricostruite in tufo, con funzione di
contrafforte, le arcate sul lato N, riproducendo fedelmente
l’architettura antica), che gli sacrificò però il fitto tessuto urbano
circostante.

Nell’area archeologica adiacente, tre colonne in marmo e con


capitelli corinzi sorreggenti un frammento di trabeazione con fregio di
bucrani e rami di olivo erano parte del tempio di Apollo Sosiano,
dedicato nel 431 a.C., restaurato nel 179 a.C. e ricostruito nel 34 a.C.;
alle spalle è il medievale albergo della Catena, che prende nome dalla
scomparsa via della Catena di Pescheria; a E del tempio è il
basamento di età imperiale di un edificio identificato con il tempio di
Bellona, la cui prima fondazione data al 296 a. Cristo.

LA SINAGOGA NUOVA. Da piazza di Monte Savello si segue verso O


l’omonima via, che costeggia a sin. la chiesa di S. Gregorio della
Divina Pietà o S. Gregorio a Ponte Quattro Capi, ricordata sin dal sec.
XII; ceduta nel 1727 alla congregazione degli Operai della Divina Pietà
per l’assistenza delle famiglie cadute in miseria, fu riedificata da
Filippo Barigioni. Sul portale, ovale con affresco (Crocifissione) di
Étienne Parrocel; nel cartiglio è riportato in ebraico e in latino un
passo biblico per rimproverare la perseveranza nella loro fede degli
Ebrei, per i quali qui si tenevano prediche coatte.
Si volta a d. in via del Portico d’Ottavia, che segnava il confine NE
del Ghetto, lasciando a sin. la Sinagoga nuova (Osvaldo Armanni e
Vincenzo Costa, 1899-1904), che occupa uno dei quattro isolati
realizzati sull’area dello stesso a inizi ’900. Il luogo di culto vuole
caratterizzarsi come tempio non cattolico più che nel disegno generale
(croce greca con cupola a padiglione su tamburo quadrato) nel ricorso
a motivi decorativi dell’architettura assiro-babilonese, a ricordo del
bacino di origine del popolo ebraico: la facciata sulla parallela via del
Tempio, con tre ingressi nel portico, reca simboli ebraici (candelabro a
sette bracci, tavole della Legge, stella di David, ramo di palma);
nell’interno, tre dei bracci ortogonali, sormontati da matronei, sono
divisi tramite colonne dallo spazio centrale, mentre nel quarto,
absidale, si trova l’edicola sopraelevata dell’Arca Santa.
Nell’edificio è aperto il Museo d’Arte ebraica (t. 066840061), con
reperti archeologici, stampe, oggetti di culto, argenti liturgici e
paramenti sacri.
IL *PORTICO DI OTTAVIA. Superata al N. 29 la casa dei Vallati,
del sec. XIV ma con aggiunte cinquecentesche, che fu liberata nel 1927
durante l’isolamento del teatro di Marcello e ampiamente integrata, si
raggiunge, in uno dei più suggestivi ambienti romani, il monumentale
passaggio eretto da Quinto Cecilio Metello nel 146 a.C., rifatto nel 27-
23 a.C. da Augusto – che lo dedicò alla sorella Ottavia – e ricostruito
nel 203 da Settimio Severo e Caracalla. Era costituito da un portico
doppio, largo 119 m e lungo 132, che racchiudeva il preesistente
tempio di Giunone Regina e quello, allora innalzato, di Giove (il primo
in Roma interamente di marmo); in occasione del rifacimento
augusteo fu ampliato verso N a inglobare anche la curia e la biblioteca
di Ottavia.
Del portico, al cui interno erano custodite numerose opere d’arte
e che dal Medioevo fino all’abbattimento del Ghetto fu sede della
pescheria della città (una lapide a d. dell’arcone che sostituì nel
Medioevo due colonne originarie ricorda il curioso privilegio dei
Conservatori di ottenere le teste dei pesci che superavano una
lunghezza prefissata), è oggi visibile una parte del fronte, col
monumentale propileo a colonne corinzie della fase severiana
(iscrizione sull’architrave sostenente il timpano); questo funge da
ingresso alla chiesa di S. Angelo in Pescheria (da qui il nome del
rione), diaconia di antica fondazione (755) detta dal sec. XII «in foro
piscium»; restaurata più volte (nel 1870 fu arretrata l’abside),
presenta la facciata inserita nel colonnato posteriore.

NELL’INTERNO quattrocentesco a tre navate, la 2ª cappella sin.


accoglie sulla sin. una Madonna col Bambino e angeli, affresco
proveniente dal muro esterno della Canonica e attribuito a Benozzo
Gozzoli (1450); la 1ª un Crocifisso del sec. XVI.
A destra del propileo è l’oratorio di S. Andrea dei Pescivendoli
(1689), con bella facciata a stucchi.

L’AREA DELL’EX GHETTO (pianta). Si prosegue lungo via del Portico


d’Ottavia, dove nella quinta di edifici che si oppone agli squallidi isolati
novecenteschi si notano la torre già dei Grassi (N. 25; sec. XIII) e le
case dei Fabi (numeri 8 e 13; sec. XV-XVI), con belle finestre al primo
piano. Oltre via di S. Ambrogio, che prende nome dalla chiesa di S.
Ambrogio della Massima, eretta secondo la tradizione sul luogo della
casa paterna del santo ove la sorella Marcellina aveva fondato un
monastero e riedificata nel 1606 (l’interno, visitabile su appuntamento
alla Curia Generalizia Benedettini Subliacensi, ospita un S. Benedetto
di Orfeo Boselli e una Virtù di Francesco Cozza; nel refettorio è un
affresco con Deposizione con le suore benedettine offerenti attribuito
ad Antoniazzo Romano; nel convento un Crocifisso del sec. XII), e via
della Reginella, che dà un’idea della ristrettezza della ‘città degli Ebrei’,
si costeggia la casa dei Manili, riedificata da Lorenzo Manili nell’anno
2221 dalla fondazione di Roma (1468); i caratteri d’imitazione romana,
le espressioni epigrafiche e l’inserimento di frammenti classici
testimoniano gli interessi umanistici e archeologici del proprietario.
Sulle porte del piano terra è ripetuto il nome latinizzato del fondatore
(sull’ultima a d. è in greco), su quella centrale sono inseriti un
altorilievo romano con un leone che abbatte un daino e una stele
greca con due cani, all’estremità d. un rilievo funerario con quattro
busti. È incerto se il Manili si sia limitato a unificare con l’iscrizione
diverse sue costruzioni o se l’aspetto dell’edificio sia frutto di
trasformazioni successive; allo stato attuale la parte d. conserva resti
di una finestra crociata, quella centrale presenta finestre con umboni
tra la centinatura e l’architrave, mentre finestre col motto «Have
Roma» ornano quella sin. verso piazza Costaguti (il portichetto
semicircolare che vi s’individua appartiene alla settecentesca, e ora
sconsacrata, cappella di S. Maria del Carmine).

L’«ISOLA DEI CENCI». In piazza delle Cinque Scole (già via del
Progresso), che si apre a sin. di via del Portico d’Ottavia e che trae
nome dalle Scole (Tempio, siciliana, castigliana, nova, catalana)
raccolte nel tempio ebraico un tempo qui prospettante, è stata
ricostruita nel 1930 la fontana marmorea, a vasca inferiore mistilinea
e superiore circolare, opera di Giacomo Della Porta e originariamente
collocata in piazza Giudea, ingresso principale del Ghetto. Chiude lo
slargo a O il cinquecentesco palazzo Cenci Bolognetti (il portale al
N. 23 è dell’800), parte dell’imponente complesso di fabbriche sorte a
residenza dei Cenci, famiglia nota a Roma già nel Medioevo, in parte
su un rilievo del terreno (Monte dei Cenci) originato dai ruderi di
costruzioni romane (il tempio dei Dioscuri era in corrispondenza della
cappella di S. Tommaso ai Cenci). La facciata principale, su via Monte
de’ Cenci che sale a sin. del prospetto sulla piazza, rivela ad angolo
l’esistenza di fabbriche diverse, unificate nel ’500; opposta al palazzo è
la cappella gentilizia di S. Tommaso ai Cenci, ricordata dal sec. XII e
detta «in capite molarum» per la vicinanza dei mulini sul Tevere, della
quale nel 1559 Cristoforo Cenci iniziò il totale rinnovamento, terminato
nel 1575 dal figlio Francesco (la singolare facciata bipartita conserva
fra i due portali l’ara funeraria romana di un Marcus Cincius
Theophilus, posta qui dai Cenci per la somiglianza col loro nome;
nell’interno, la mensa dell’altare maggiore è su due trapezofori in
marmo con leoni alati del sec. I, la pala con l’Incredulità di S.
Tommaso è firmata da Giuseppe Vermiglio e datata 1612, le storie
della Vergine nella 1ª cappella sin. sono del Sermoneta, 1585). La
facciata posteriore del palazzo, su piazza Cenci che si raggiunge, al
termine di via Monte de’ Cenci, prendendo a d. via Beatrice Cenci, è
costituita da un primo corpo (N. 7A), con androne sormontato da una
loggia e da una finestra con cornice barocca (in alto, fregio dorico con
le mezzelune dei Cenci alternate alle aquile coronate dei Lante, cui si
imparentarono nel 1575), e da un secondo (N. 7), con bugnato piatto,
del ’700.
Su piazza Cenci prospetta anche (N. 56) il palazzetto Cenci,
eretto da Martino Longhi il Vecchio nel 1579-84; la facciata, con
bugnato piatto a stucco, ha finestre irregolarmente spaziate (cieche
nel finto mezzanino, con architrave a cuscino al piano nobile) ed è
conclusa da un bel cornicione con mezzelune araldiche. Lo spoglio
portale, non del tutto armonicamente inserito, immette nel CORTILE,
che presenta su due lati un elegante portico (c. 1587) con serliane e
sovrapposto loggiato ionico, e sui restanti due una preesistente
costruzione della famiglia. Al piano nobile, affreschi (scene dell’Esodo,
1583-87) di Giovanni Guerra e aiuti. A destra del palazzetto è l’arco
dei Cenci, d’impianto medievale.

S. MARIA DEL PIANTO. Sul lato NE di piazza delle Cinque Scole, e


in angolo con via di S. Maria de’ Calderari (le due semicolonne in
travertino con capitello dorico, l’architrave e l’arco in laterizio al N. 23B
sono la parte meglio visibile di un monumentale portico di età romana
a lungo attribuito erroneamente alla «crypta Balbi»: →), è la chiesa,
riedificata nel 1612 su disegno di Nicolò Sebregondi ma incompiuta
(manca il braccio anteriore con la facciata); il titolo attuale ricorda un
evento miracoloso del 1546, quando sarebbe stata vista piangere una
Madonna, affrescata su un muro del portico di Ottavia, sotto la quale
era stato commesso un delitto. L’interno a croce greca, cui si accede
da via di S. Maria del Pianto, è di solenni proporzioni, con grandi
lesene e cupola su pennacchi decorati a stucco. Presso l’ingresso,
frammento di ciborio gotico con quattro arcatelle trilobate su fondo a
tessere dorate. All’inizio della navata, stendardo di Lazzaro Baldi
raffigurante il Miracolo dell’immagine piangente della Madonna (recto)
e la Vergine in gloria (verso). Nella crociera d., Madonna e santi del
Baldi; a sin., monumento funerario di Pompeo Palmieri di G.B. Mola.
Sull’altare maggiore, su disegno del Mola e con quattro colonne di
alabastro, venerato affresco della Madonna del Pianto (sec. XV); alle
pareti del coro, Gesù appare a S. Martino e Disputa tra i dottori di
Agostino Ciampelli.

VERSO PIAZZA MATTEI. In proseguimento di via del Portico


d’Ottavia si prende via di S. Maria del Pianto, incrociando a d. via in
Publicolis: il bugnato in angolo, a punta di diamante (unico esempio in
Roma) e in travertino, riveste la torre del palazzo Santacroce (N. 43),
ricostruito a fine ’400. Poco oltre, la via in Publicolis si apre in piazza
Costaguti, dove affacciano un fianco dell’omonimo palazzo (v. sotto)
e, a sin., la chiesa di S. Maria in Publicolis, ricordata dal sec. XII e
detta «de publico» forse per la vicinanza alla «Porticus Minucia» →;
assunse l’attuale nome quando divenne giuspatronato dei Santacroce
Publicola, per i quali fu ricostruita nel 1643 da Giovanni Antonio De
Rossi. Nella facciata, la campata centrale, avanzata, presenta al primo
ordine un portale tra semicolonne ioniche, al secondo un finestrone
con timpano triangolare tra lesene tuscaniche, ed è conclusa da un
timpano curvilineo innalzato da mensole; l’interno a navata unica, cui
si accede da via dei Falegnami N. 23, presenta nel pavimento lastre
tombali (notevole quella di Alfonso Santacroce) del ’400-’500 e
interessanti monumenti della famiglia Santacroce di G.B. Maini.

LA *FONTANA DELLE TARTARUGHE. Al termine della via si volta a d.


nella stretta via dei Falegnami e, superato al N. 73 un portale del ’400,
si giunge in piazza Mattei, al cui centro è l’articolatissima ed elegante
composizione eseguita nel 1581-84 su disegno di Giacomo Della Porta
(i bronzi sono di Taddeo Landini). Nella vasca terrena un basamento
mistilineo con cartigli sorregge quattro conchiglioni marmorei, sui quali
poggiano, tramite delfini, altrettanti efebi che spingono tartarughe ad
abbeverarsi nel catino superiore, ornato con teste di putti; le
tartarughe (ora sostituite da copie) furono aggiunte in un restauro,
forse di Gian Lorenzo Bernini, del 1658.

IL PALAZZO COSTAGUTI (N. 10), appartenuto a Costanzo Patrizi e


passato nel 1624 ai Costaguti, fu costruito a metà ’500 e rinnovato da
Carlo Lambardi. Nell’interno, di straordinaria importanza per il numero
e la qualità dei dipinti e per la ricchezza dell’arredo ma non visitabile,
spiccano: la SALA DI ERCOLE, con affreschi attribuiti a Giovanni Lanfranco
o a Sisto Badalocchio; il CORRIDOIO DELLE ORE, ascritto al Badalocchio o a
Giacinto Brandi; la SALA DI ARIONE di Giovanni Francesco Romanelli; la
SALA DI BACCO E ARIANNA, con dipinto di Pier Francesco Mola; la SALA DEI
MESI di Taddeo e Federico Zuccari; la SALA DI VENERE ED ENEA del
Cavalier d’Arpino; la SALA DI APOLLO, con soffitto raffigurante il *Carro
del Sole e il Tempo che scopre la Verità e amorini del Domenichino (le
prospettive sono di Agostino Tassi); la *SALA DI RINALDO E ARMIDA, con
soffitto del Guercino (1621) e prospettive del Tassi.

IL PALAZZO DI GIACOMO MATTEI (numeri 17-19) è il primo nucleo,


di origine quattrocentesca, delle abitazioni nel rione della famiglia
patrizia, i cui rami nobiliari divennero proprietari, a metà ’500,
dell’intero isolato (la cosiddetta «isola dei Mattei») tra le vie de’
Funari, Caetani, delle Botteghe Oscure e Paganica. L’edificio di d. (fine
sec. XV) ha un bel CORTILE con, a sin., una scala che reca a un loggiato
su portico ad arcate; quello di sin., con CORTILE porticato in parte
murato, è di metà ’500 e attribuito a Nanni di Baccio Bigio.

IL PALAZZO MATTEI DI PAGANICA. Una deviazione a sin. dell’edificio


lungo via Paganica conduce in piazza dell’Enciclopedia Italiana, dove
(N. 4) è l’edificio eretto nel 1541 per Ludovico Mattei, conte di
Paganica (iscrizione sul portale), forse da Nanni di Baccio Bigio e dal
1928 sede dell’Istituto per l’Enciclopedia Italiana; la semplice,
elegante facciata è conclusa da un elaborato cornicione con motivi
araldici, mentre nel cortile la controfacciata presenta un portico ad
arcate e un sovrapposto loggiato architravato con lacunari a stucchi
(stemmi Mattei) di fine sec. XVI.
Il palazzo poggia in parte sul teatro di Balbo, dedicato nel 13 a.C.
da Lucio Cornelio Balbo, di cui restano tracce in opus quadratum e
reticulatum, pertinenti alla parte inferiore della cavea, nel piano
cantinato; dietro al teatro si apriva la «Porticus post scaenam» più
nota come «CRYPTA BALBI», testimonianze della quale – relative in
particolare al suo utilizzo in età post-antica – sono state rinvenute
nell’area adiacente alla chiesa di S. Caterina dei Funari.

IL *PALAZZO MATTEI DI GIOVE. Da piazza Mattei si tiene diritto, in


prosecuzione di via dei Falegnami, per via de’ Funari e si costeggia a
sin. la solenne facciata in laterizio e travertino, conclusa da un
cornicione con motivi araldici, dell’edificio, ultimo fra quelli eretti per la
famiglia. Iniziato da Carlo Maderno nel 1598 per Asdrubale Mattei, fu
prolungato nel 1613 sull’attuale via Caetani e ultimato nel 1618;
passato agli Antici Mattei, è sede, tra l’altro, della Biblioteca di Storia
moderna e contemporanea (c. 300000 tra volumi e periodici) e della
Discoteca di Stato, che ospita una rara collezione di strumenti di
riproduzione del suono e una biblioteca specializzata di c. 4500
volumi.
L’INTERNO. Al numero 32 di via Caetani, un ANDRONE con
bassorilievi sulle porte immette in un portico, che si apre a d. sul
CORTILE ornato alle pareti di bassorilievi classici con ricche cornici in
stucco, di statue e di busti (il palazzo accolse una delle più preziose
raccolte private di antichità di Roma); sul lato opposto al portico, un
basso corpo, che ne ripete le arcate e le lesene doriche e che è
concluso da una balaustra, fa da schermo a un secondo cortile con
fontana. La SCALA in asse con l’ingresso di via Caetani, a quattro rampe
coperte da volte ribassate e decorata da stucchi di gusto classico
(1606-1611) e da sculture antiche, conduce alla LOGGIA, con analoga
decorazione, ove sono busti di imperatori (sec. XVI). Nelle sale, dipinti
di Francesco Albani (Sogno di Giacobbe), del Domenichino (Giacobbe
e Rachele alla fonte), del Pomarancio (storie di Giuseppe ebreo), di
Giovanni Lanfranco (storie di Giuseppe e la moglie di Putifarre, 1615)
e Pietro da Cortona (storie di Salomone).

LA CHIESA DI S. CATERINA DEI FUNARI, oltre lo sbocco di via


Caetani, fu eretta nel 1560-64, in sostituzione della precedente (sec.
XII) S. Maria Dominae Rosae, da Guidetto Guidetti. La *facciata in
travertino, a due ordini di paraste corinzie, è simile a quella della
chiesa di S. Spirito in Sassia da cui deriva, distinguendosene per il
risalto della parte centrale e per la maggiore ricchezza dell’ornato,
concentrato in fasce tra i capitelli; il portale a edicola è racchiuso tra
colonne scanalate. A destra (visibile dalla contermine piazza Lovatelli)
è il coevo singolare campanile, che su una torre preesistente imposta
la cella con cupolino ottagonale.

L’INTERNO, in eleganti forme tardo-rinascimentali, è a navata


unica coperta a volta ed è scandito da paraste uguali alle esterne, tra
le quali si aprono cappelle absidate. 1ª cappella d.: sulla cimasa,
Incoronazione di Maria di Annibale Carracci (c. 1600). 2ª (su disegno
del Vignola): Deposizione di Girolamo Muziano (suoi gli affreschi
laterali e della volta); i pilastri furono dipinti da Federico Zuccari. 3ª:
Assunzione di Scipione Pulzone (1598). Cappella maggiore: nella volta,
Gloria della santa attribuita a Livio Agresti; ai lati, storie della santa
dello Zuccari (1573) e dipinti di Raffaellino da Reggio. 3ª cappella sin.:
storie di S. Giovanni di Marcello Venusti.

PIAZZA DI CAMPITELLI. Subito oltre, via de’ Funari si apre a d. nella


piazza che prende nome dal palazzo Lovatelli (N. 1), eretto per i
Serlupi (sul cornicione, gigli araldici) verso il 1580 forse da Giacomo
Della Porta e ultimato dopo il 1619, e sbocca poco avanti nella
suggestiva piazza di Campitelli, chiusa a NE da una quinta edilizia di
cui fanno parte il palazzo Cavalletti (N. 1; sec. XVI), il palazzo Albertoni
(N. 2; inizi XVII) attribuito al Della Porta ma completato da Girolamo
Rainaldi, e il palazzo Capizucchi (N. 3; fine XVI), anch’esso forse del
Della Porta.
Sul lato opposto emerge *S. Maria in Campitelli, capolavoro
tardo-barocco di Carlo Rainaldi. La primitiva chiesa, già nell’area del
palazzo Lovatelli e qui trasferita nel 1619, venne ricostruita per
ricoverarvi l’immagine ritenuta miracolosa di S. Maria in Portico,
adempiendo a un voto della città per la liberazione dalla peste del
1656; iniziata nel 1662, fu aperta ancora incompleta nel 1667 e
consacrata nel 1728. La facciata in travertino, del tipo a edicole
sovrapposte, benché priva di decorazione scultorea è resa plastica
dalla sapiente disposizione delle colonne, con risalto che dai lati cresce
progressivamente a evidenziare il corpo centrale; l’effetto è
aumentato dagli spogli incassi laterali e dall’articolazione delle cornici.

L’INTERNO presenta un’originale e complessa soluzione,


intermedia tra la pianta centrale e la longitudinale, nella successione
di un primo corpo a croce greca e di un secondo più ristretto, con
cupola e abside; le colonne isolate, cui corrisponde il movimentato
aggetto delle cornici, sono scenograficamente disposte in posizione
angolata a sottolineare le diverse entità spaziali. All’inizio della navata,
a d., battistero con due tabernacoli del ’400. 1ª cappella d.: S. Michele
di Sebastiano Conca. 2ª, su disegno del Rainaldi (1692): S. Anna, S.
Gioachino e Maria di Luca Giordano; angeli di Michel Maille, Francesco
Cavallini e Francesco Baratta. Crociera destra: monumento funebre
del cardinale Bartolomeo Pacca (m. 1863) di Ferdinando Pettrich.
Cappella delle Reliquie: prezioso altare portatile, detto di S. Gregorio
Nazianzeno, rara coperta di libro del sec. XII con mosaico bizantino.
Altare maggiore: scenografica macchina barocca del Rainaldi,
realizzata da Giovanni Antonio De Rossi, Ercole Ferrata e Giovanni
Paolo Schor (1667); al centro, immagine miracolosa di *S. Maria in
Portico Campitelli – Romanus portus securitas, preziosa opera in
lamina e smalti del sec. XI. Crociera sinistra: Nascita del Battista del
Baciccia. 3ª cappella sin., su disegno di Mattia De Rossi: Conversione
di S. Paolo di Ludovico Gimignani. 1ª: Sacra famiglia e la beata
Ludovica Albertoni, pala marmorea di Lorenzo Ottoni; a d., sepolcro di
Vittoria Altieri Parabianchi di Giacomo Antonio Lavaggi; a sin.,
monumento funebre di Angelo Altieri di Giuseppe Mazzuoli.

A sinistra della chiesa è la bella fontana, con vasca inferiore


mistilinea (stemmi del Popolo romano e dei nobili frontisti che ne
sostennero la spesa) e superiore circolare, disegnata da Giacomo
Della Porta. Il fabbricato moderno al N. 6 conserva la facciata
rimontata della casa di Flaminio Ponzio, eretta su suo progetto nel
1600 in via Alessandrina e demolita nel 1933 per l’apertura di via
dell’Impero (oggi dei Fori Imperiali). In via Montanara, che costeggia il
fianco sin. del palazzo, è stata ricostruita nel 1940 la chiesa, oggi
sconsacrata, di S. Rita da Cascia (Carlo Fontana, 1665), fino al 1933 a
sin. della scalinata di S. Maria in Aracoeli, interessante per l’originale
passaggio dalla pianta quadrilatera dell’ordine inferiore (con fasci di
lesene includenti tre arcate cieche a sguincio prospettico) a quella
dell’ordine composito superiore, che si presenta con smussi concavi
negli angoli e con finestre pure a sguincio prospettico.

VERSO VIA DELLE BOTTEGHE OSCURE. Dall’angolo N della piazza si


seguono le vie Cavalletti (il palazzo Clementi al N. 2 risale a fine ’500)
e de’ Delfini e, dopo aver superato (numeri 29-31) alcune case del
’400, si sbocca in piazza Margana, raccolto ambiente a pianta
irregolare qualificato dalla torre dei Margani (N. 40A), famiglia qui
stabilitasi dal sec. XVI: in origine più alta, costituisce col corpo
retrostante un esempio, malgrado le trasformazioni, di dimora
fortificata del Medioevo (nella base, colonna antica con capitello
ionico; sopra la cornice, tondo marmoreo con l’aquila araldica); il
portale a d. è realizzato con frammenti di cornice romana del tardo
Impero.
Si tiene a sin. per via Margana, al termine della quale si volta di
nuovo a sin. in via d’Aracoeli costeggiando sul lato opposto il palazzo
Astalli, rinnovato da Giovanni Antonio De Rossi nella seconda metà del
’600 ma ridotto e trasformato nel 1938 per l’allargamento di via di S.
Marco.
IL NOME DI VIA DELLE BOTTEGHE OSCURE proviene dai negozi un
tempo ricavati negli ambienti interrati del teatro di Balbo (v. oltre;
l’area archeologica fa parte del Museo Nazionale Romano - Crypta
Balbi) e della «Porticus Minucia» (→; il lato S di questa correva sotto
gli edifici disposti lungo il lato meridionale della strada); il tracciato
della via venne allargato nel 1938, demolendo l’intero lato N, per
meglio collegare piazza Venezia a corso Vittorio Emanuele II. La si
percorre a sin., incontrando al N. 15 la chiesa di S. Stanislao dei
Polacchi, l’antica S. Salvatore in Pensilis, concessa da Gregorio XIII
nel 1578 al cardinale polacco Stanislao Osio, che la riedificò
lasciandola ai connazionali con l’annesso ospizio; la veste attuale è
frutto di una ristrutturazione che interessò anche gli edifici laterali
(belle le cornici in stucco), terminata nel 1735 da Francesco Ferrari.

L’INTERNO, a una navata con arcature laterali e profondo


presbiterio, è coperto da una volta a botte lunettata riccamente
decorata, con al centro la Gloria di S. Stanislao di Ermenegildo
Costantini (1774-77). 1° altare d.: Miracolo di S. Casimiro di
Franciszeck Smuglewicz (c. 1765) e Comunione di S. Stanislao di
Simone Czechowicz. 2°: Risurrezione di Piotrowin di Taddeus Kuntze
(c. 1756). Altare maggiore: Gesù con S. Stanislao e S. Giacinto di
Antiveduto Grammatica (fine sec. XVI). 2° altare sin.: S. Edvige adora
la croce del Czechowicz (1725). 1°: S. Giovanni Canzio di Salvatore
Monosilio (1767).

MUSEO NAZIONALE ROMANO - CRYPTA BALBI. Situato in via delle


Botteghe Oscure 31 (t. 066787804 - 0639967700, www.arche-
orm.arti.beniculturali.it), è una delle sedi (inaugurata nel 2000) del
Museo Nazionale Romano. Il Museo comprende l’area di indagine
archeologica (ancora in corso) tra via delle Botteghe Oscure e via
Caetani, dove sono venuti alla luce resti dall’età antica al Medioevo, al
Rinascimento e all’età moderna. Oltre ai reperti degli scavi in sede,
nella Crypta sono esposte le antichità altomedievali di pertinenza del
Museo Nazionale Romano. Particolarmente interessante la nuova ala
dei sotterranei.

IL COMPLESSO ARCHEOLOGICO.Nell’area tra le chiese di S. Caterina


dei Funari e S. Stanislao dei Polacchi sorgeva in antico un vasto cortile
porticato, la Crypta Balbi, annesso al teatro che Lucio Cornelio Balbo
aveva eretto nel 13 a.C. L’indagine ha rivelato una stratificazione di
insediamento e riuso del manufatto per molti secoli, offrendo una
testimonianza straordinaria del modo in cui Roma è cresciuta sulle sue
stesse antichità continuamente trasformando il paesaggio urbano. Le
ricerche hanno in particolare portato in luce le testimonianze di
costumi sociali e di attività economiche sviluppatesi nel periodo di
transizione dall’antichità al Medioevo, consentendone una nuova
comprensione. Il percorso museale si sviluppa nei diversi edifici
attraverso le vie di comunicazione storicamente più significative,
permettendo di percepire il portico antico, le murature medievali e il
complesso rinascimentale.
TEMI E PERCORSI. Il Museo documenta le fasi di trasformazione di
questo settore urbano: l’epoca antecedente Augusto, la nascita del
monastero di S. Maria Domine Rose nell’VIII secolo, l’insediamento
delle case dei mercanti costruite dopo il Mille a ridosso del muro
d’ambito della Crypta, la fondazione del Conservatorio di S. Caterina
dei Funari a metà Cinquecento per ospitare le figlie delle prostitute
romane. È quindi illustrata l’evoluzione della cultura cittadina tra il V e
il X secolo. In particolare, il deposito archeologico dell’esedra della
Crypta ha restituito migliaia di oggetti portando alla luce materiali e
attrezzi di lavorazione pertinenti a un officina del VII secolo. Ciò ha
consentito di fare luce, per la prima volta, sugli aspetti della Roma
produttrice e distributrice di manufatti di lusso con diffusione in tutta
Europa. Il deposito del VII secolo della Crypta ha restituito
un’amplissima tipologia di vasellame da mensa, da cucina e da
trasporto, vetri, monete. Accanto ai materiali della Crypta sono esposti
contesti provenienti da altri scavi urbani recenti e da collezioni storiche
di musei romani. Altri reperti provengono dalle raccolte storiche del
Museo Nazionale Romano (Medagliere, secoli V-XI) e in particolare
dalle collezioni dell’ex museo Kircheriano e dalle collezioni Gorga e
Betti. Dai depositi dell’Istituto Centrale per il Restauro proviene il
complesso di affreschi di S. Maria in Via Lata staccati dalla chiesa
medievale nel 1960.
Il progetto per il recupero dell’intero isolato (con l’importante
scavo della chiesa medievale di S. Maria Domine Rose) prevede il
completamento dell’allestimento del Museo di Roma medievale (secoli
X-XIV) e l’ampliamento del Museo della Crypta Balbi. L’esposizione
utilizzerà il palazzo Saragoni, sul fronte di via Botteghe Oscure, e il
palazzo Albertoni prospiciente via dei Delfini.

PALAZZO CAETANI. Lasciate a d. due colonne in peperino stuccato


riferibili a un tempio di età repubblicana che sorgeva nella «Porticus
Minucia» →, si raggiunge al N. 32 l’edificio costruito nel 1564 per
Alessandro Mattei forse da Nanni di Baccio Bigio o da uno dei figli;
passato ai Caetani nel 1776 e adibito dal 1963 a sede della
Fondazione Camillo Caetani, presenta una severa e armoniosa facciata
di tipo sangallesco. Il portale immette in un CORTILE quadrato con tre
arcate per lato (doriche nel primo ordine, ioniche nel secondo), al di là
del quale è un secondo CORTILE con frammenti antichi e fontane; al
piano terreno, fregio ad affresco, ora su tela, con Scena bacchica di
Francesco da Castello (inizi sec. XVII); nel SALONE al primo piano, fregio
(amorini) di Taddeo e Federico Zuccari.
Per via S. Nicola de’ Cesarini, che al termine di via delle Botteghe
Oscure si stacca a d. costeggiando l’area sacra dell’Argentina →, si
perviene in largo di Torre Argentina →.
3 LA CITTÀ ENTRO LE MURA: I RIONI ‘ESTERNI’

I rioni compresi in questo capitolo hanno tutti un’origine post-


unitaria, essendo stati istituiti dopo il trasferimento della capitale da
Firenze nel 1870. Da allora hanno avuto destini assai diversi fra loro,
mentre dal Medioevo a tale data, quando per lo spopolamento Roma
si era ritirata nell’ansa del Tevere di fronte all’“ager Vaticanus”, i colli
dell’Aventino, del Celio e dell’Esquilino erano stati ‘riconquistati’ dal
verde di vigne e orti, trasformati a partire dal secondo Cinquecento in
giardini di ville patrizie e saltuariamente interrotti da isolati complessi
religiosi.
Questa cintura, che fino alla «breccia» aveva reso la Città eterna
la più verde tra le capitali europee e che, se conservata e valorizzata,
avrebbe rappresentato un’eccezionale fascia di rispetto tra la città
storica e l’espansione oltre le mura, fu invece sacrificata a
un’urbanizzazione ingorda e miope. Soprattutto nei rioni Esquilino e
Castro Pretorio (si concentrarono qui le case per il nuovo ceto
impiegatizio dei ministeri), e nei rioni Sallustiano e Ludovisi, prediletti
per una residenza più elegante e per gli alberghi. Più ‘integri’ risultano
ancora oggi la parte sud-occidentale del rione Celio (dove la
passeggiata sulle mura da porta S. Sebastiano alla nuova porta
Ardeatina dà l’idea di come si presentasse Roma prima del nuovo
ruolo di capitale dell’Italia unita) e il rione Ripa attorno all’Aventino, i
cui villini del Novecento sono un’inaspettata oasi di pace a poca
distanza dal centro.

3.1 L’AVENTINO E IL TESTACCIO

Il colle Aventino ebbe nella prima antichità carattere popolare,


come testimoniano le secessioni della plebe, la «lex Icilia» (456 a.C.)
che permise ai Plebei di costruirvi case da trasmettere in proprietà e il
fatto che le popolazioni laziali avessero nel tempio di Diana, qui eretto
da Servio Tullio, la sede della propria confederazione. Tale sorta di
extraterritorialità lo escluse fino all’imperatore Claudio dal pomerio,
benché il recinto serviano lo includesse già dal IV secolo a.C. e vi
sorgessero i templi dedicati a Minerva, Mercurio, Giunone Regina,
Cerere, Libertas, Vertumno; inglobato con Augusto nella XIII regione,
in età imperiale, con l’allontanamento del porto e l’inclusione nel
pomerio, vide sostituirsi al popolo le famiglie patrizie – fra cui Traiano
prima di diventare imperatore – che vi ebbero terme e sontuose
dimore: questo spiega perché più accanite che altrove furono qui le
distruzioni dei Visigoti di Alarico nel 410.
La valletta in cui correva il «vicus Piscinae Publicae» lo separava
dal «piccolo Aventino», cinto in parte dalle mura Serviane che si
aprivano a est nella porta Nevia; posto dalla suddivisione augustea
nella XII regione col nome di «Piscina Publica» (da un bacino
artificiale usato come bagno pubblico, funzione poi mutuata dalle
terme di Caracalla), ospitava sulle pendici il santuario della Bona Dea
Subsaxana, mentre nei pressi di S. Saba era la caserma della IV
coorte dei «vigiles» e, nelle vicinanze, l’abitazione privata di Adriano.
Nel Medioevo tutta la zona, sede di ordini monastici e di
insediamenti fortificati, fu destinata per lo più a usi agricoli, e le
successive vicende edilizie, fra cui, assai significativo, l’intervento di
G.B. Piranesi al complesso dei Cavalieri di Malta, riguardarono
modifiche e rifacimenti dell’esistente. L’edificazione iniziò ai primi del
Novecento con l’isolato quartiere dell’Istituto Case Popolari a S. Saba,
ma solo dopo il 1931 la zona si andò trasformando nell’attuale
quartiere residenziale, sovente a spese del patrimonio archeologico
che solo sporadicamente ha potuto salvarsi; ne restano tracce sotto le
sedi ecclesiastiche e le abitazioni, e nella toponomastica, spesso
basata però su imprecise identificazioni.
L’itinerario (pianta alle pagine 508-509), che si snoda in una zona
di Roma ormai centrale ma silenziosa e poco trafficata, comprende la
parte del rione Ripa includente l’«Aventino maggiore» e il rione S.
Saba (l’«Aventino minore»), e tocca alcuni tra i più importanti «tituli»
cristiani (S. Sabina, S. Prisca, S. Saba e S. Balbina), culminando nel
grandioso complesso romano delle terme di Caracalla; una deviazione
permette di addentrarsi nel ‘romanesco’ rione Testaccio.

PIAZZALE UGO LA MALFA offre un superbo colpo d’occhio sulle


rovine del Palatino (la «Domus Augustana» è descritta →; il Circo
Massimo →). Vi si leva il monumento a Giuseppe Mazzini (Ettore
Ferrari, 1929), qui collocato nel 1949 nel centenario della Repubblica
romana, mentre l’area circostante, sistemata nel 1935 da Antonio
Muñoz, è occupata dal Roseto comunale (ingresso ai numeri 6-7 di via
di Valle Murcia).
Dal piazzale si diparte verso O via di Valle Murcia che, oltre il clivo
dei Publicii (il «clivus Publicii», prima strada lastricata di Roma; 289
a.C.), continua in via di S. Sabina, sul tracciato del «vicus Armilustri»
(nell’«Armilustrium» l’esercito romano purificava le armi al ritorno
dalle campagne militari); l’alto muro in laterizio a d. chiude il parco
Savello, più noto come «giardino degli aranci», trasformazione
(Raffaele De Vico, 1932) della fortezza eretta da Alberico II nel sec. X,
ereditata da Ottone III Savelli dopo il Mille e appartenuta poi ai
Domenicani di S. Sabina (*panorama).
*S. SABINA. Al termine della salita la via si apre a d. in piazza
Pietro d’Illiria, creata nel 1614 aprendo un varco nella fortezza dei
Savelli (sul muro a d., fontana con vasca termale antica in granito
sormontata da un mascherone, su disegno di Giacomo Della Porta): su
essa prospetta il quattrocentesco portico laterale, a tre arcate su
colonne antiche dai bei capitelli corinzi, della chiesa, il tipo più perfetto
di basilica cristiana del sec. V.
Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:
sinistra, destra, sinistra e destra.

LA STORIA. Fondata nel 425 da Pietro d’Illiria su un «titulus


Sabinae» sorto probabilmente nella casa di un’omonima matrona
identificata con la santa umbra, fu ultimata da Sisto III, restaurata da
Leone III, arricchita da Eugenio II (824), inglobata nel sec. X nei
bastioni imperiali presidiati dai Crescenzi e nel 1222 ceduta a S.
Domenico da Onorio III (dell’epoca sono il campanile, mozzato nel
’600, e il chiostro). Dopo i restauri del 1441 e del 1481, nel 1587
Domenico Fontana, per incarico di Sisto V, e nel 1643 Francesco
Borromini alterarono profondamente l’interno; in due riprese (1914-19
e 1936-37) Antonio Muñoz, con la sistematica eliminazione delle
sovrapposizioni del Fontana, riportò la chiesa alle forme originarie.

NELL’ATRIO (pianta →, 1), ad arcate sostenute da colonne antiche


(quattro in marmo giallo scanalate a spirale e altrettante in granito),
sono raccolti materiali di spoglio della chiesa provenienti dagli scavi
effettuati durante i lavori di ripristino della stessa: transenne originali
delle finestre, sarcofagi di età imperiale e cristiani e, sul fondo,
monumentale statua di S. Rosa da Lima (1668). Il PORTALE MAGGIORE
(2), dalla bella cornice classica in marmo, è dotato di preziosi
*battenti in cipresso della seconda metà del sec. V: una splendida
cornice traforata a racemi e animali lo spartisce in 28 riquadri a rilievo
(10 perduti), disposti secondo un restauro del 1836, con scene del
Vecchio e del Nuovo Testamento illustranti il parallelismo tra Mosè (la
Legge) e Cristo (il Vangelo). Procedendo dall’alto in basso e da sin.:
1ª fila: Crocifissione, con occhi aperti e senza nimbo (una delle più
antiche rappresentazioni del genere), Moltiplicazione dei pani e dei
pesci, Guarigione del cieco nato, Nozze di Cana, Cristo rimprovera
Tommaso, vita di Mosè (tre episodi), Cristo condannato da Pilato; 2ª
fila: L’angelo e le donne al sepolcro, Mosè e gli Ebrei nel deserto
(quattro episodi), Cristo risorto appare alle due Marie, scena
d’acclamazione, Epifania; 3ª fila: Ascensione, Cristo preannuncia la
negazione di Pietro, Mosè e l’esodo dall’Egitto (tre episodi); 4ª fila:
Cristo sulla via di Emmaus, Trionfo di Cristo e della Chiesa, Abacuc
vola verso Daniele, Ascensione di Elia, Cristo dinnanzi a Caifa.
IL SOLENNE E LUMINOSISSIMO *INTERNO, a tre navate di classiche
proporzioni divise da 24 colonne corinzie sorreggenti archi – forse per
la prima volta tra le basiliche romane – richiama i prototipi ravennati.
Dei ricchissimi mosaici che decoravano la chiesa rimane, sopra la
porta, un frammento con *iscrizione metrica a lettere d’oro in capitale
monumentale filocaliano, attribuita a Paolino da Nola, con il ricordo di
Pietro d’Illiria, costruttore della chiesa, di Celestino I, sotto il cui
pontificato fu edificata, e del concilio di Efeso (431); due figure
femminili simboleggiano a d. l’«Ecclesia ex gentibus» (di origine
pagana) e a sin. l’«Ecclesia ex circumcisione» (di origine ebraica).
NAVATA CENTRALE (soffitto ligneo del 1936). Sopra e ai lati delle arcate,
*fregio pregevolissimo in opus sectile (sec. V-VI) a specchi rossi e
verdi. Nel pavimento, lastra tombale di fra’ Muñoz di Zamora (m.
1300; 3), generale dei Domenicani. La schola cantorum (4) venne
ricomposta nel 1936 con pezzi dal sec. V al IX, come pure, nell’abside,
la cattedra episcopale (5); nel catino, Cristo assiso sul monte,
circondato dagli apostoli, affresco di Taddeo Zuccari (1560),
restaurato da Vincenzo Camuccini nel 1836, che ripete il tema
dell’antico mosaico. NAVATA DESTRA. Lungo le pareti, tracce di pitture dei
sec. V e IX e, incassata nel muro (6), colonna del preesistente edificio.
Cappella di S. Giacinto (7), affrescata da Federico Zuccari nella volta
(Trionfo) e nelle pareti (episodi della vita del santo); all’altare, Vergine
e S. Giacinto (1600) di Lavinia Fontana, prototipo per l’iconografia del
santo. Monumento funebre del cardinale Auxia (1484; 8) di scuola di
Andrea Bregno. In fondo alla navata, una scala scende a un edificio in
laterizio (sec. III) e agli avanzi di un altro a colonne di età
repubblicana. NAVATA SINISTRA. Cappella d’Elci o di S. Caterina, su
architettura di G.B. Contini (1671; 9): *Madonna del Rosario del
Sassoferrato (1643); nei pennacchi, affreschi con episodi della vita di
S. Caterina; nella volta, Trionfo della santa di Giovanni Odazzi.

L’ANNESSO CONVENTO fu fondato da S. Domenico e vi insegnò S.


Tommaso d’Aquino; ricostruito nel 1936-39, conserva la SALA
CAPITOLARE, il CHIOSTRO del sec. XIII, la CELLA DEL SANTO e la CAMERA DI S.
PIO V, trasformata in cappella.
Nell’area occupata dalla chiesa sono stati scoperti altri cospicui
resti antichi, tra cui un tratto, parallelo al Tevere e con due fasi
sovrapposte, delle mura Serviane (per l’inquadramento →). Nel I sec.
a.C. si addossarono all’interno del recinto murario abitazioni estesesi
nel I d.C. anche all’esterno; nel II alcuni ambienti furono adattati a
luogo di culto di Iside (tracce di affreschi e graffiti), trasformati
successivamente in cisterne e nel X inglobati nelle fondazioni della
fortezza dei Savelli.

S. ALESSIO. Di nuovo in via di S. Sabina, la si percorre tra villini


immersi nel verde fino a questa chiesa, più propriamente dei Ss.
Bonifacio e Alessio, testimoniata dal sec. VIII sul luogo di un
precedente edificio intitolato a S. Bonifacio; ricostruita nel 1217 da
Onorio III e restaurata nel 1582, fu rinnovata nel 1750 da Tommaso
De Marchis, che occultò i resti antichi manomettendo i mosaici
pavimentali, e restaurata nel 1852-60 dai Somaschi. Il portone al N.
23 dà accesso a un QUADRIPORTICO, che ricalca l’impianto medievale (a
d., frammento di guglia gotica con i Ss. Bonifacio e Alessio) e sul
quale si apre la neocinquecentesca facciata del De Marchis (nel
portico, a d., statua in gesso di Benedetto XIII, 1750); a d. di questa
si leva la duecentesca torre campanaria a cinque ordini.

L’INTERNO, cui si accede per un portale cosmatesco del tempo di


Onorio III, è a tre navate divise da paraste binate corinzie e con volta
a botte. Nella NAVATA DESTRA, monumento funebre di Eleonora
Boncompagni Borghese (m. 1693) su disegno di G.B. Contini. Nel
TRANSETTO DESTRO, cappella di Carlo IV di Spagna, con Madonna
duecentesca che si ritiene portata dall’Oriente da S. Alessio; nel
pavimento antistante alla cappella, lastra tombale di Pietro Savelli (m.
1288). Sull’ALTARE MAGGIORE, ciborio a cupola del De Marchis. L’ABSIDE
ospita due colonnine del tempo di Onorio III (quella d. è di Jacopo di
Lorenzo di Cosma). La sottostante CRIPTA romanica – unica a Roma –
con altare a baldacchino che racchiude le reliquie di S. Tommaso di
Canterbury, conserva pareti decorate da affreschi con Agnus Dei e
simboli degli evangelisti (sec. XII-XIII); la colonna sottostante è ritenuta
quella del martirio di S. Sebastiano. Nella NAVATA SINISTRA, al 2ª altare è
S. Girolamo Emiliani che presenta orfani alla Vergine di Jean François
De Troy; opposto a questo è un pozzo ottagono ritenuto della casa di
S. Alessio, mentre in fondo alla navata è la scenografica macchina
barocca, raffigurante la Scala Santa e il titolare S. Alessio, in stucco e
legno, di Andrea Bergondi.

IL *COMPLESSO DELL’ORDINE DEI CAVALIERI DI MALTA. Subito oltre


l’ingresso al convento di S. Alessio (N. 2), esistente dal sec. X ma
ricostruito nel ’700 e nel 1813 acquistato da Carlo IV di Spagna come
residenza estiva (è sede dal 1941 dell’Istituto di Studi romani, con
biblioteca specializzata di c. 21000 volumi), via di S. Sabina sbocca
nella piazza che prende nome dal complesso sorto nel 939 come
monastero benedettino (lo resse Oddone di Cluny) e passato a metà
sec. XII ai Templari e quindi nel 1312 ai Gerosolimitani, che a fine ’300
vi posero il priorato; quattrocentesco ma restaurato dopo il 1568 e a
fine ’600 (il cardinale Benedetto Pamphilj fece allora erigere la Coffee
House), deve l’aspetto attuale all’intervento di G.B. Piranesi, che qui
realizzò nel 1764-66, su incarico del cardinale G.B. Rezzonico (lapide),
un capolavoro di ‘microurbanistica’ neoclassica in quella che
costituisce, con la chiesa dell’ordine, la sua unica opera ‘costruita’:
l’appartato invaso è cinto da un muro a specchiature scandite da
obelischi, edicole e stele con emblemi navali e religiosi dell’ordine e
araldici dei Rezzonico; motivi analoghi sono nei fregi del portale al N.
3, in un prospetto con quattro finestre cieche (il foro nel portale
inquadra la celeberrima *veduta della cupola di S. Pietro).

L’INTERNO (visita a richiesta al Sovrano Ordine di Malta; ingresso


al N. 4) accoglie la CHIESA DI *S. MARIA DEL PRIORATO, sulla cui facciata
cinquecentista (a ordine unico spartito da lesene scanalate con ricchi
capitelli, portale sormontato da oculo e timpano triangolare) Piranesi
pose una ricca decorazione in stucco di emblemi dell’ordine e armi dei
Rezzonico (il fastigio sopra il timpano fu distrutto dai
cannoneggiamenti francesi del 1849). Nell’interno, il linguaggio
settecentesco fonde la matrice borrominiana con l’articolazione
piranesiana soprattutto nell’abside, intercapedine di luce contro cui si
staglia in penombra l’altare maggiore, bifronte manifesto della
transizione al neoclassicismo. La volta è decorata da stucchi, con al
centro la croce dell’ordine di Malta. A destra, il sepolcro di Baldassare
Spinelli utilizza in parte un sarcofago romano; cenotafio di G.B.
Piranesi di Giuseppe Angelini (1780). All’altare maggiore, Gloria di S.
Basilio, gruppo realizzato da Tommaso Righi su disegno di Piranesi.
Sarcofago scanalato utilizzato come sepolcro del Gran Maestro
Riccardo Caracciolo; altarolo del sec. IX (collocato nel 1765);
monumento funerario del cardinale Gioacchino Ferdinando
Portocarrero (m. 1760) su disegno di Luigi Salimei.
Piranesi ristrutturò anche il GIARDINO, che conserva materiali
archeologici e una vera da pozzo con la data 1244, e la VILLA, dove, al
secondo piano, sono la sala con i ritratti dei Gran Maestri e, in altro
ambiente, una Vergine col Bambino e S. Basilio di Andrea Sacchi, già
sull’altare della chiesa.
VERSO S. PRISCA. Dal lato SE della piazza si scende per via di
Porta Lavernale, séguito del «vicus Armilustri» →, incontrando subito
a d. il viale di accesso alla chiesa, in ‘stile’ romanico-lombardo, di S.
Anselmo (Ildebrando di Hemptinne e Francesco Vespignani, 1893-
1900), con facciata a finta galleria sormontata da tre monofore e
interno, di sobria imitazione romanico-paleocristiana, con soffitto a
capriate e bella decorazione a mosaico delle absidi; nel monastero,
*mosaico con scene del mito di Orfeo (sec. II-III) dalla casa di Lucilia
Pactumeia (resti nei sotterranei). Nei retrostanti giardini (non visitabili)
si trova il bastione della Colonnella, eretto da G.B. e Antonio da
Sangallo il Giovane su incarico di Paolo III.
Si giunge in piazza di S. Anselmo, dalla quale, per le vie di S.
Domenico, Latino Malabranca e del Tempio di Diana – che insistono su
resti romani (gli unici visibili sono sotto il villino al N. 4 di largo Arrigo
VII, dove si conservano, affacciati su un criptoportico, tre ambienti di
una domus del sec. I a.C., con decorazioni in stucco e pitture del
quarto stile pompeiano, attraversati da fondazioni riferibili alle Terme
Deciane) e che attraversano una zona a villini realizzati dopo che il
piano regolatore del 1931 decretò l’edificabilità del colle – si raggiunge
piazza di S. Prisca, dove, appartata nell’angolo NE, si pone la chiesa di
S. Prisca, tradizionalmente casa di Aquila e Priscilla, genitori della
martire Prisca decapitata sotto l’imperatore Claudio.

LA STORIA E L’ASPETTO ESTERNO. Primo documento di culto è un


oratorio del sec. III assorbito dalla chiesa nel V, epoca cui risale anche
la prima menzione di un «titulus Priscae»; dopo i restauri di Adriano I
nel 772 (decorazioni nei sottarchi della sagrestia e cornice dell’abside
a mensole con rilievi) e di Pasquale II, fu accorciata da Callisto III nel
1456 in seguito al crollo delle prime tre campate. Nel sec. XVII Carlo
Lambardi rifece la facciata e allargò la piazza, nel 1728 Clemente XIII
rimaneggiò l’interno, mentre i restauri degli Agostiniani titolari del
1935 rimisero in luce le tre arcate, oggi finestroni della sagrestia.
La facciata tardo-manierista, larga quanto la navata centrale, ha
quattro lesene su alto stilobate e un portale adorno di colonne romane
in granito.
L’INTERNO basilicale è scandito da sette colonne ioniche per parte
inglobate nei pilastri seicenteschi. Alle pareti della NAVATA CENTRALE,
santi e angeli con gli strumenti della Passione di Anastasio Fontebuoni.
Sull’altare maggiore, *Battesimo di S. Prisca del Passignano (c. 1600);
alle pareti, storie del martirio della santa, affreschi del Fontebuoni.
NAVATA DESTRA. Nel battistero (1948), il fonte è costituito da un capitello
di età degli Antonini; la copertura in bronzo (Battesimo di Cristo,
1947) è di Antonio Biggi. Sulla parete, Estasi di S. Rita (sec. XVII).
NAVATA SINISTRA. Sopra la porta del campanile, Annunciazione, affresco
del sec. XV. In SAGRESTIA, Immacolata e angeli attribuita a Giovanni
Odazzi.
All’inizio della navata d. è l’accesso al mitreo di S. Prisca, parte
di un complesso scavato nei 1934-66 e costituito da una casa del sec.
I con quadriportico, da un ninfeo absidato di età traianea, da un
edificio a due navate del II entro cui era il «titulus» originario e da
alcuni ambienti adattati sul finire dello stesso secolo al culto di Mitra.
Dal ninfeo si perviene alla CRIPTA della chiesa (sec. IX-X), con pianta a
«T» e affreschi (scene della vita di S. Pietro, c. 1600) del Fontebuoni;
nell’altare, reliquie di S. Prisca. Dal VESTIBOLO del mitreo, dov’è ben
conservato l’angolo per l’uccisione delle vittime, si passa alla CELLA del
santuario, con le nicchie per le statue rituali: in fondo è l’edicola con il
gruppo di Mitra che uccide il Toro e Saturno sdraiato; gli affreschi
sulle pareti raffigurano a d. i Sette gradi d’iniziazione e a sin. la
Processione in onore del dio Mitra e del Sole. Sulla sinistra sono
l’«APPARATORIUM» con resti di anfore, il «CAELUS», con la vasca per
l’acqua lustrale, e la STANZA DELLE INIZIAZIONI.

L’ALLUNGATA PIAZZA ALBANIA, cui si scende lungo via di S. Prisca,


era intitolata in precedenza alla porta Raudusculana, che qui si apriva
nelle mura Serviane (per l’inquadramento →; della cinta resta,
all’angolo con via di S. Anselmo, un *tratto, lungo m 42, che conserva
12 assise di blocchi di tufo e l’arco di una camera per artiglierie,
mentre poco oltre è un secondo tratto, lungo m 43 e conservato per
12 filari) e da cui usciva il «vicus Piscinae Publicae» (l’odierno viale
Aventino): sul fondo a d. s’individua il monumento a Giorgio Castriota
Scanderbeg (Romano Romanelli, 1940).
TESTACCIO. Dalla piazza, scendendo a d. del monumento lungo
l’alberato viale Gelsomini, si può visitare il popolare rione, istituito nel
1921 scorporandolo dal rione Ripa.

LA STORIA. Il quartiere, cui la continuità d’uso come zona


mercantile in virtù della presenza del Tevere ha conservato una
fisionomia peculiare, è racchiuso da tre elementi (l’Aventino, le mura
Aureliane e l’ansa del fiume) che formano un quadrilatero quasi
regolare e pianeggiante, salvo la collina artificiale, sorta dall’accumulo
degli scarti dei vasi di coccio («textae»), da cui deriva il nome. Il
porto, anticamente collocato nell’ansa a E dell’Isola Tiberina, fu
trasferito qui nel sec. II a.C. e in relazione con esso sorsero
l’«Emporium», grande banchina sul fiume, la retrostante «Porticus
Aemilia» e numerosi magazzini (gli «horrea Sulpicia», «Galbana»,
«Lolliana» ecc.); i cocci, il cui accumulo obbedì a regole precise,
coprono un arco di tempo che i frammenti stessi hanno fatto datare
fra il 140 a.C. e il 251 d.C., quando lo sviluppo degli «horrea» nel
porto di Ostia esaurì il ruolo annonario dello scalo tiberino e le
attrezzature divennero depositi di marmi (da cui il nome Marmorata di
uno degli assi del quartiere). La mancanza di abitazioni e le invasioni
barbariche conferirono alla piana un aspetto desolato: fino al ’700
essa fu teatro di spettacoli popolari (l’area era nota anche come «prati
del popolo romano») e di commerci, grazie alla vicinanza dello scalo di
Ripa Grande e alle cantine, ricavate ai piedi del Monte dei Cocci e
presto convertite in osterie a conferma della vocazione ludica del
luogo (numerose vedute testimoniano un paesaggio a vigne e orti
punteggiati di ruderi).
Il piano regolatore del 1873 destinò il quartiere ad «arti
clamorose, fabbricati per abitazioni di operai e grandi officine»,
modificandone l’aspetto; anche se gli insediamenti industriali si
limitarono al Mattatoio, che sostituì quello presso porta del Popolo, il
Testaccio divenne quel ‘quartiere operaio’ che nella sua omogeneità
ha conservato un raro equilibrio e la cui vivibilità ha attirato nuovi
abitanti. L’edificazione per ceti popolari, poco remunerativa, fu presto
abbandonata dai privati, che a fine ’800 realizzarono un nucleo di
abitazioni intorno a piazza Mastro Giorgio (oggi Testaccio), e a essi si
sostituì l’ICP, che nel 1905-1930 completò l’assetto edilizio della zona;
l’attuale tessuto a scacchiera ricalca in parte l’orientamento di quello
antico e i numerosi rinvenimenti archeologici, quando non cancellati
dai nuovi fabbricati, sono inglobati nelle corti e negli spazi di risulta.

I ‘MONUMENTI’ DEL RIONE. Viale Gelsomini costeggia a sin. il parco


della Resistenza dell’8 Settembre (Raffaele De Vico, 1939), all’interno
del quale si intravede l’Ufficio postale (Adalberto Libera e Mario De
Renzi, 1933-35), una delle più incisive testimonianze dell’architettura
razionalista a Roma, con pianta a «U» occupata al centro dal salone
per il pubblico coperto da tamburo vetrato. Il fronte del palazzo
affaccia su via Marmorata, dove si riconosce la curva d’angolo della
caserma dei Vigili del Fuoco (Vincenzo Fasolo, 1928-30), in cui il
rivestimento a bugnato rustico di tufo dell’esterno sottolinea l’eclettica
combinazione di stili e di funzioni, culminante nell’alta torre.
Percorrendo il segmento di sin. della via e, prima della cinta
muraria, girando a d. in via Caio Cestio, si raggiunge il Cimitero
acattolico, istituito per gli stranieri cui era vietata, per la diversa fede
religiosa, la sepoltura nei cimiteri cattolici; il luogo, la cui origine è
datata dalla tomba più antica (1738), è di indubbio fascino per la
presenza dei ruderi e per la vegetazione, che lo rese particolarmente
caro agli artisti romantici (vi riposano John Keats e Percy Shelley). Il
tratto di d. di via Marmorata annovera invece: al N. 149 un intensivo
ICP (Innocenzo Sabbatini, 1928), unica parte realizzata, assieme a
quello che lo precede, del previsto complesso di quattro blocchi
attorno a un piazza circolare, dove influenze mitteleuropee traspaiono
sull’interpretazione del repertorio classico in chiave costruttivista;
sull’altro lato l’arco di S. Lazzaro, avanzo laterizio del sec. II degli
antichi magazzini, il cui nome richiama la cappellina medievale ivi
esistente fino all’800; al termine, già in piazza dell’Emporio
(dall’«Emporium», attrezzatura portuale che fu addossata in età
traianea alla «Porticus Aemilia», enorme magazzino annonario eretto
nel 193 a.C. dai censori Lucio Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo), è la
fontana delle Anfore (Pietro Lombardi, 1926), che allude all’origine del
rione.
Da viale Gelsomini si prosegue in via Galvani, che interseca l’altro
asse del rione, via Zabaglia. Il tratto di d. di quest’ultima conduce
nella piazza che prende nome dalla chiesa di S. Maria Liberatrice,
iniziata sotto Leone XIII in forme neoromaniche da Mario Ceradini e
inaugurata nel 1908 (nel reboante interno, immagine venerata di S.
Maria Liberatrice, dalla demolita chiesa del Foro Romano); il profilo in
mattoni con inserti in travertino distingue l’isolato ICP (Quadrio Pirani,
1917) che, con le corti aperte e gli spazi verdi interni, costituisce un
notevole miglioramento rispetto alla prima edilizia del quartiere.
Via Galvani costeggia a sin. il Monte Testaccio, collina artificiale
(altezza m 50) formata dagli scarti dal vicino insediamento annonario
di età romana. Dopo il periodo classico fu adibita a coltivazioni e
pascolo, oltre che a luogo di scarico, e vi furono scavate alcune grotte,
utilizzate come cantine grazie alla circolazione dell’aria fra i cocci; fu
sede di manifestazioni popolari (ricordato dal sec. XIII come «Mons de
Palio», vi terminava il gioco della Passione, sorta di sacra
rappresentazione e Via Crucis, di cui è traccia nella croce sulla
sommità; fino al 1466 vi si festeggiò il Carnevale, poi spostato in via
del Corso), ma anche di un poligono di tiro dei bombardieri di Castel
S. Angelo. Con alcuni editti Benedetto XIV ne assicurò la salvaguardia
archeologica, ma indagini sistematiche si fecero solo nell’800 in vista
dell’urbanizzazione; nel 1931 Raffaele De Vico ne attuò una
sistemazione a parco pubblico, presto caduto in disuso, mentre le
ultime alterazioni si ebbero in seguito all’accumulo delle terre di scavo
del Circo Massimo e all’installazione di una batteria antiaerea.
Al fondo di via Galvani sono gli archi, sorretti da colonne
tuscaniche, dello stabilimento di Mattazione, l’ex Mattatoio
(Gioacchino Ersoch, 1888-91), sormontato da una scultura
raffigurante un genio che atterra un bue. Il complesso, che
rappresenta una felice sintesi tra funzionalità delle strutture e dignità
estetica ispirata ai criteri ottocenteschi di decoro urbano, sviluppa, con
l’annesso foro boario, un fronte di oltre 500 m per una superficie
complessiva di c. 10 ettari, articolata su due ampie corti frammentate
da strutture trasversali e, sul perimetro, da corpi minori per attività
accessorie. L’edificio è una sede del Museo d’Arte contemporanea -
MACRO, denominata Macro Future (t. 06671070400), destinato a
manifestazioni culturali ed eventi artistici e a luogo per la
sperimentazione culturale. Le dimensioni e l’articolazione spaziale lo
rendono particolarmente adatto per presentare alcune delle più
rilevanti espressioni artistiche internazionali e nazionali che oggi
riconfigurano i ‘territori’ della cultura visiva e della contaminazione tra
linguaggi differenti.

*S. SABA. Da piazza Albania, in prosecuzione di via di S. Prisca,


risale il «piccolo Aventino» la via cui dà nome la chiesa, dalla quale
deriva anche l’appellativo del rione istituito al pari di Testaccio nel
1921.

LA STORIA. La tradizione vuole che S. Silvia, madre di Gregorio


Magno, abbia qui avuto una casa con un oratorio e che fosse qui il
primitivo monastero dedicato a S. Saba, capo del monachesimo
orientale; il primo dato certo riguardante l’insediamento paleocristiano
è il 768, quando vi venne imprigionato il falso papa Costantino (un
resto di affresco del sec. X raffigurante monaci benedettini, rinvenuto
sotto la chiesa, induce a ritenere il complesso dipendente da
Montecassino). Il monastero, assegnato ai Cluniacensi nel XIII, passò
poi ai canonici regolari, quindi ai Cistercensi e infine fu da Gregorio
XIII affidato al Collegio Germanico Ungarico, retto dai Gesuiti;
seguirono anni di decadenza, fino ai restauri del 1932-33.

L’ESTERNO. Per un protiro (rimaneggiato) del sec. XIII si entra in


una corte, su cui prospetta la facciata: il portico e la galleria con
loggiato che a essa si sovrappongono celando quella originaria
vennero realizzati, come l’affresco dell’arco trionfale e il restauro del
tetto, nel 1463 dal cardinale Francesco Piccolomini. Pio VI sostituì gli
attuali rozzi pilastri laterizi alle primitive colonne in porfido e giallo
antico del portico (il corpo a sin., esterno al recinto e che forma
l’undicesima arcata della loggia, è anch’esso aggiunta successiva); le
quattro finestre primitive sopra il portico, due monofore e due bifore,
furono murate e sostituite da altre cinque per l’abbassamento del
pavimento della loggia. Nel portico, dove si scorgono i resti della
polifora d’ingresso dell’antico oratorio, sono reperti archeologici e
medievali, fra cui un piccolo sarcofago strigilato con la «dextrarum
iunctio» e un rilievo con Cavaliere con falcone (sec. VIII). Il portale ha
una bella cornice marmorea con decorazione musiva e iscrizione
recante data e firma dell’autore (Jacopo di Lorenzo di Cosma, 1205);
le deperite pitture superiori appartengono all’intervento di Gregorio
XIII per il giubileo del 1575.

L’INTERNO DI S. SABA, di rude semplicità, è a tre navate, spartite


da 14 colonne di spoglio e terminanti in altrettante absidi; il
pavimento cosmatesco (sec. XIII) fu ricollocato dopo il restauro del
1907. Il ciborio, l’altare maggiore e la cattedra episcopale vennero
ricostruiti secondo la descrizione di Pompeo Ugonio con pezzi antichi
reperiti a inizi ’900. Nel catino dell’abside, gli affreschi (Cristo tra i Ss.
Andrea e Saba; nella fascia sottostante, Agnello mistico e teorie di
agnelli; sotto, al centro, Vergine in trono con il Bambino e i 12 apostoli
e, più in basso, Gregorio XIII e santi), fatti eseguire per il giubileo del
1575, ripetono il soggetto della precedente decorazione, forse musiva.
Sopra la cattedra episcopale, *Crocifissione, molto ridipinta, del sec.
XIV. L’Annunciazione sulla parte alta a spiovente dell’arco del
presbiterio e la fascia lungo le pareti sotto il tetto a capriate furono
fatte eseguire dal cardinale Piccolomini (iscrizione 1463). Addossati
alla parete della navata d., resti dell’ambone e della schola cantorum,
rimossa dalla navata centrale nel 1943, con l’iscrizione «Magister
Bassalectus (Vassalletto) me fecit qui sit benedictus». La cosiddetta
quarta navata (a sin.), originariamente forse un portico, è coperta a
crociera; alle pareti, Leggenda di S. Nicola di Bari e delle tre zitelle,
Pontefice in trono fra due santi, Vergine in trono tra i Ss. Andrea e
Saba, affreschi del Maestro di S. Saba (fine XIII-inizi sec. XIV). Nel
corridoio antistante alla sagrestia, frammenti (notevole quello con volti
di tre monaci) dei pannelli votivi aggiunti nell’oratorio nel periodo
benedettino (sec. XII).

IL COMPLESSO ICP S. SABA. La retrostante piazza Bernini


costituisce il centro dell’intervento (Quadrio Pirani, 1907-1923), di alta
qualità abitativa e di livello formale insolito in edifici popolari grazie
alla bassa densità insediativa e all’adozione di tipologie contenute. La
finitura laterizia, che rimanda alle vicine mura Aureliane e alla chiesa,
unita ad altri materiali della tradizione (travertino, tufo, intonaco
grezzo, stucco), concorre alla varietà delle soluzioni di facciata, i cui
motivi decorativi sono coerenti con la struttura; il pendio SE verso
viale Giotto riduce inoltre l’incidenza volumetrica delle costruzioni, che
hanno altezze variabili e corti interne articolate, dove rampe e scale
raccordano le diverse quote.
VERSO S. BALBINA. Via Salvator Rosa, che inizia dal lato NE della
piazza, si apre a sin. in piazza Remuria, nome che ricorda l’origine
leggendaria di Roma, dalla quale discende il «piccolo Aventino» via
Aventina, dove nel 1930-40 si concentrarono alcune riuscite
realizzazioni di architettura razionalista. Al termine di via Rosa si volta
a d. in via Alberti e poi a sin. nell’ombreggiato viale Giotto, dal quale,
presso largo Fioritto, si tiene ancora a sin. per la via cui dà nome la
chiesa di S. Balbina.

LA STORIA. La prima menzione di un «titulus Sanctae Balbinae»,


figlia del martire Quirino e martire anch’essa, risale al 595, benché si
possa riferire alla chiesa, eretta dopo le invasioni barbariche su
un’aula appartenente probabilmente alla casa di Lucio Fabio Cilone
che fu console nel 204, il «titulus Tigridae» menzionato nel 499. Il
tempio, restaurato nel sec. VIII e poi da Marco Barbo, nipote di Paolo
II, nel 1489 (iscrizione sulla capriata centrale), ebbe sostituite sotto
Sisto V con pilastri le colonne del portico e affrescata nel 1599
l’abside, il cui catino a mosaico era caduto nel sec. XII; dopo i
saccheggi del ’600, fu di nuovo officiata dal 1698 e restaurata nel
1813, nel 1825 e infine nel 1927-30, quando Antonio Muñoz diresse il
radicale ripristino cui deve l’odierno aspetto, con semplice facciata
laterizia a salienti, portico a pilastri tuscanici (reperti classici e
paleocristiani) e finestre centinate.

L’INTERNO DI S. BALBINA (vi si accede dal cortile del contermine


convento, costruito nel Medioevo su strutture di età adrianea di cui
restano tracce in opus mixtum nel muro di d. entrando) consiste in
una fredda aula absidata con nicchie quadrate e semicircolari nei lati;
le finestre transennate, il pavimento (i mosaici bianchi e neri
provengono dalla necropoli scavata nel 1939 per l’apertura della via
Imperiale) e la schola cantorum sono ripristini del Muñoz, mentre le
capriate sono quattrocentesche. Sulla parete d’ingresso a d.,
monumento funebre di Stefano de Surdis (m. 1303) firmato «Johs
filius magis Cosmati fecit hoc opus», proveniente dall’antica S. Pietro
(il prospetto del giaciglio funebre è moderno). 4ª nicchia d.:
*Crocifissione, rilievo marmoreo attribuito a Mino da Fiesole e
Giovanni Dalmata. Nell’altare maggiore (1742), urna di diaspro
contenente le reliquie dei Ss. Balbina, Felicissimo e altri; nel catino,
Redentore in gloria tra i Ss. Balbina, Felicissimo e Quirino con un
pontefice, affreschi di Anastasio Fontebuoni fatti eseguire nel 1599 da
Clemente VIII, il cui stemma è sull’arco trionfale (nel lato d., restauro
1932); dietro l’altare, cathedra episcopale cosmatesca (sec. XIII). 6ª
nicchia sin.: nel pavimento, antico altare con pozzetto per le reliquie;
alla parete, affresco (Crocifissione di Pietro) assai rovinato. 3ª: cippo
con croce musiva (sec. XIV); alle pareti, affrescate su due strati,
Madonna, Bambino e apostoli e, nel catino, medaglione ad affresco
con immagine di Cristo (fine sec. XIII) di ambito di Pietro Cavallini;
nello strato più antico, Madonna e il Bambino con i Ss. Pietro e Paolo.

LA PASSEGGIATA ARCHEOLOGICA. Dal piazzale antistante alla chiesa


si scende in viale Guido Baccelli avendo di fronte un’esedra delle
terme di Caracalla (v. sotto), che si costeggiano lungo via Antonina (a
sin. sono gli impianti dello stadio delle Terme, realizzato nel 1938-39)
fino a sboccare in viale delle Terme di Caracalla, segmento urbano
della romana Via Appia → e asse portante del parco di Porta Capena:
questo sorge sull’area della passeggiata creata nel 1887-1914, per
iniziativa dell’allora ministro dell’Istruzione Guido Baccelli, con lo scopo
di collegare in un unico parco i monumenti archeologici da piazza
Venezia all’Appia Antica e impedirne la manomissione; i viali, recintati
e riservati al pubblico passeggio, furono trasformati nel 1940 in arterie
di traffico per l’apertura della via Imperiale (l’attuale Cristoforo
Colombo: →), compromettendo il carattere di parco archeologico della
zona.
LE *TERME DI CARACALLA (t. 0639967700;
www.archeorm.arti.beniculturali.it), che al viale danno nome, sono
uno dei più grandiosi e suggestivi complessi monumentali dell’antica
Roma (potevano ospitare 1600 persone), di cui impressiona ancora
oggi l’audacia delle possenti strutture murarie, spesso conservate fino
a notevole altezza. Dal 1937 vi si svolgono rappresentazioni di lirica e
danza del Teatro dell’Opera di Roma.

LA STORIA. Iniziate nel 212 da Caracalla e inaugurate nel 217,


furono terminate da Elagabalo e Severo Alessandro; dopo il restauro
di Aureliano furono in funzione sino al 537, quando i Goti di Vitige
tagliarono l’acquedotto Antoniniano →, che alimentava le cisterne
capaci di 80000 litri.

LA PLANIMETRIA segue i canoni stabiliti nel sec. II, con un grande


corpo di fabbrica centrale (m 220x114) circondato da spazi verdi
chiusi da un recinto (m 330x330), che sulla «via Nova», parallela
all’Appia, dove si apriva l’ingresso presentava un portico preceduto da
ambienti con funzione sostruttiva: sui lati ortogonali erano due ampie
esedre che includevano vari ambienti, mentre sul fondo era lo STADIO
(pianta a fronte, 18), fiancheggiato dalle BIBLIOTECHE GRECA e LATINA
(19), con le gradinate addossate alle cisterne. Al corpo centrale si
accedeva da quattro porte: lungo l’asse d’ingresso si incontrava il
FRIGIDARIUM (3), la BASILICA (7; m 58x24) coperta da tre volte a crociera,
il TEPIDARIUM (9) e infine il CALIDARIUM (10), circolare (diametro m 34) e
con cupola; ai lati di questi erano simmetricamente disposti palestre,
vestiboli, spogliatoi eccetera. Notevole interesse presentano i
vastissimi ambienti sotterranei, destinati ai servizi: in uno di essi,
presso l’esedra NO, fu adattato un MITREO (23), il più grande fra quelli
noti a Roma; della ricchissima decorazione architettonica non rimane
che qualche frammento e alcuni mosaici pavimentali, anche se gli
scavi, eseguiti soprattutto nel ’500, hanno restituito opere
famosissime, come il Toro e l’Ercole Farnese (ora al Museo
Archeologico Nazionale di Napoli), le due vasche di granito di piazza
Farnese e il mosaico con atleti (ora ai Musei Vaticani).

3.2 IL RIONE CELIO

Il rione, il cui nome è legato alla leggenda della conquista del


colle da parte dell’etrusco Celio Vibenna, corrisponde alla II regione
augustea, formata dalle alture del «Caelius» propriamente detto
(l’area del parco del Celio e di villa Celimontana), del «Caeliolus» (la
zona della chiesa dei Ss. Quattro Coronati) e della «Succusa» tra i
due. Nelle mura Serviane, delle quali si ignora il tracciato nella zona, si
aprivano le porte Celimontana (da cui partiva l’omonima via),
Querquetulana (punto d’avvio dell’antica Via Tuscolana) e Capena, che
segnava l’inizio della romana Via Appia. Il colle, alimentato da
numerosi acquedotti, fu occupato da poche ma ricche abitazioni (casa
dei Simmaci), da templi – del Divo Claudio, di Ercole Vincitore, di
Minerva Capta – ed edifici pubblici – «Macellum Magnum», «Castra
Peregrina», «Lupanaria» – alcuni con funzioni ausiliarie ai giochi che si
svolgevano nel Colosseo – i «Ludi» (caserme dei gladiatori),
l’«Armamentarium» (arsenale), il «Saniarium» (ospedale) e lo
«Spoliarium» (obitorio); la zona compresa tra le antiche Vie Appia e
Latina, inizialmente esterna al pomerio e ricca di sepolture, fu inclusa
nella città solo con l’erezione delle mura Aureliane.
Con la fine dell’Impero, e per tutto il Medioevo e il Rinascimento,
il colle si spopolò (le uniche presenze furono alcuni tra i più antichi
luoghi di culto cristiani, le ville e le cosiddette vigne, cioè piccole
tenute agricole), mantenendo fino al 1870 un aspetto quasi rurale,
mentre la fascia lungo via di S. Giovanni in Laterano, percorsa dai
cortei papali, era l’unica con aspetto ‘urbano’. Dopo tale data il Celio,
istituito come rione nel 1921, fu oggetto di mire speculative favorite
dalla disponibilità di aree relativamente vicine al centro: il primo
intervento fu la costruzione del quartiere di abitazioni lungo via di S.
Giovanni in Laterano, e la decisione (1885) di far sorgere sul colle
l’Ospedale militare pose fine alla possibilità di conservare uno degli
ambienti più suggestivi di Roma; la destinazione a parchi pubblici
permise la salvaguardia di villa Celimontana (1928) e dell’ex vigna
Cornovaglia (1929), anche se pesanti furono le manomissioni per
l’allargamento di via della Navicella (1931) e della medievale via della
Ferratella in Laterano (creazione dell’asse via Druso-via dell’Amba
Aradam, 1932), e per l’apertura della via dei Trionfi (ora di S.
Gregorio, 1933).
L’itinerario (pianta a fronte), che si sviluppa in una parte di città
non ancora totalmente snaturata dagli interventi edilizi e
compromessa dal traffico automobilistico, è scandito dalle chiese che
nel tempo si sono concentrate sul colle (tra le altre, quelle di S.
Stefano Rotondo e dei Ss. Giovanni e Paolo) e da quelle dei Ss. Nereo
e Achìlleo e di S. Giovanni a Porta Latina; ma annovera anche alcune
testimonianze di età romana, tra le quali spicca il sepolcro degli
Scipioni.

VIA CLAUDIA, che dall’angolo SE di piazza del Colosseo → risale le


pendici del Celio, lascia subito a d. l’ingresso al parco del Celio, sorto
sulla cinquecentesca vigna Cornovaglia prima del 1829 e ampliato da
Gregorio XVI. Opposto all’ex Antiquarium comunale, nato nel 1890
come Magazzino Archeologico e chiuso nel 1939 perché lesionato dai
lavori per la metropolitana, è il casino (Gaspare Salvi, 1835), che
poggia sulle sostruzioni della scala del tempio del Divo Claudio (v.
sotto). Esso è sede dell’Antiquarium comunale del Celio (t.
067001569, attualmente chiuso): un mosaico (*Nave che salpa dal
porto) da una domus di fine sec. II-inizi III scoperta sotto palazzo
Rospigliosi; alcuni affreschi (c. 130-150) da via Merulana; strumenti di
età imperiale legati all’approvvigionamento idrico; affreschi di quarto
stile da via Genova e altri (ultimo quarto sec. II) dalla zona di S.
Crisogono; giochi e giocattoli tra cui il famoso corredo funerario di
Crepereia Thryphaena, sepolta con i suoi gioielli e con una
straordinaria bambola d’avorio con arti snodabili.
Nel tratto successivo, via Claudia costeggia, sempre a d., le
sostruzioni della platea (c. m 180x200) del tempio prostilo ottastilo del
Divo Claudio o «Claudium», eretto nel 54 dalla moglie Agrippina ma
trasformato da Nerone in ninfeo annesso alla Domus Aurea e
ripristinato da Vespasiano, e a sin., in un’area in abbandono, un
complesso di edifici di età flavia, poi rimaneggiati, che affacciavano sul
«vicus Capitis Africae» e che sono stati rinvenuti nel 1984-88.
L’OSPEDALE MILITARE DEL CELIO. Al termine della salita si è in largo
della Sanità Militare, chiuso a sin. dal nosocomio che è formato da
fabbricati collegati da caratteristiche passerelle metalliche; la sua
costruzione (1885-91) comportò la distruzione della seicentesca villa
Casali, ma permise l’individuazione della «basilica Hilariana». Scavi
condotti nel 1987 hanno evidenziato anche una sede di culto di Cibele
e Attis di età antonina, una domus tardo-antica e un edificio
commerciale di età neroniana.
I SS. QUATTRO CORONATI. Costeggiando il fianco sin. dell’ospedale
lungo via Annia e, al termine di questa, piegando a sin. in via dei
Querceti e poi a d. in via dei Ss. Quattro (che ricalca l’antica Via
Tuscolana), si raggiunge uno slargo su cui si apre l’ingresso
all’omonimo monastero; in fondo al secondo cortile (nelle pareti,
colonne separanti le navate del primitivo edificio di culto) è la chiesa
dei *Ss. Quattro Coronati dedicata ai soldati Severo, Severiano,
Carpoforo e Vittorino martirizzati perché si erano rifiutati di adorare la
statua di Esculapio (un’altra versione attesta cinque scultori dalmati
uccisi da Diocleziano perché non avevano voluto scolpirla). Eretta nel
sec. IV utilizzando un’aula absidata pagana ma nota dal 595, venne
ampliata nel VII, trasformata in basilica da Leone IV (a tale periodo
risalgono la cappella di S. Barbara, la cripta semianulare, il
quadriportico e la torre campanaria) e ricostruita in dimensioni molto
minori (vennero escluse le navate laterali e la parte anteriore di quella
centrale; da quest’ultima si ricavarono le attuali navatelle) nel 1111 da
Pasquale II; dopo l’aggiunta del monastero, del chiostro e dell’oratorio
di S. Silvestro (fine sec. XII-XIII), interventi conservativi furono
effettuati nel 1912-14 da Antonio Muñoz.
L’INTERNO basilicale, diviso in tre navate da colonne antiche di
granito con capitelli corinzi e compositi, presenta in alto matronei con
colonne e capitelli ionici sormontati da pulvino e nella nave mediana
un pavimento cosmatesco; il soffitto ligneo a cassettoni (sec. XVI)
venne fatto eseguire dal cardinale Enrico del Portogallo. Sulle pareti
delle navi laterali, resti di dipinti del sec. XIV. Sull’altare della NAVATA
DESTRA (del SS. Sacramento), Adorazione dei pastori di scuola
fiamminga del XVI. Nell’ABSIDE, pregevoli affreschi (nel registro
superiore storie dei Ss. Quattro Coronati, in quello inferiore storia dei
martiri di Pannonia, nel catino Gloria di tutti i santi) di Giovanni da San
Giovanni (1630). Il presbiterio fu rialzato nel sec. IX per ricavare la
CRIPTA, con quattro arche contenenti reliquie di santi martiri; sopra
l’ingresso di d., iscrizione damasiana del sec. IV relativa ai martiri Proto
e Giacinto. Al termine del colonnato di sin. è addossato al pilastro un
*ciborio che è attribuito ad Andrea Bregno o a Luigi Capponi.
Sull’altare della NAVATA SINISTRA, S. Sebastiano curato da Lucina e Irene,
opera di Giovanni Baglione. Dalla navata sin. si passa nel *CHIOSTRO
(inizi sec. XIII), ad archetti su colonnine binate con capitelli a foglie
acquatiche: al centro è il «labrum» (fontana per abluzioni) di Pasquale
II; sulle pareti iscrizioni romane e paleocristiane; a sin., in
corrispondenza dell’antica navata sin., resti di una cappella del sec. IX.
La coeva CAPPELLA DI S. BARBARA, quadrata e triabsidata, presenta
mensole trabeate sorreggenti la volta a crociera dove sono tracce di
affreschi del sec. XII.
Dal secondo cortile esterno della chiesa si entra nella PORTINERIA
DELLE MONACHE, che conserva sulla pareti resti di un raro calendario
liturgico del sec. XIII. L’adiacente *ORATORIO DI S. SILVESTRO (chiedere la
chiave alla finestrella della «ruota»), a pianta rettangolare e
pavimento cosmatesco, fu nel 1246 decorato (alla parete d’ingresso,
Cristo in trono tra la Vergine, il Battista, gli apostoli e due angeli, uno
dei quali ripiega il firmamento e l’altro suona la tuba simbolo del
Giudizio; nella fascia sottostante, storie di Costantino, articolate da
sin. in Costantino lebbroso conforta le donne, Sogno di Costantino e
invio dei messi a papa Silvestro sul Soratte, Il papa fa venerare
all’imperatore le immagini dei Ss. Pietro e Paolo e, col battesimo, lo
guarisce dalla lebbra e Costantino, ricevuti i doni, è condotto
trionfalmente in Roma dall’imperatore) da uno o più maestri
bizantineggianti, probabilmente veneti. Sopra il fregio a foglie, la volta
ha una decorazione a stelle e croci con in mezzo cinque maioliche in
croce, unico esempio a Roma di ornamentazione di soffitto di questo
tipo; gli affreschi in fondo alla cappella sono di Raffaellino da Reggio.
L’AULA GOTICA Durante recenti restauri del complesso religioso è
stato recuperato nel monastero un importante *ciclo di affreschi,
ritenuto di fondamentale importanza per documentare l’arte gotica
romana. Il vasto ciclo pittorico, databile al quarto o quinto decennio
del XIII secolo, rappresenta un complesso programma iconografico
laico e allegorico, che configura una sorta di «summa etica» stagliata
su fondo blu realizzato con la preziosa azzurrite. Al centro della parete
nord campeggia la figura di Salomone, che fa ipotizzare la
destinazione dell’ambiente a luogo di amministrazione della giustizia.

VIA DELLA NAVICELLA, che dal largo della Sanità Militare si stacca
in direzione SE, prende nome da un modello di nave romana in
marmo, ritenuta copia di un ex voto proveniente dai «Castra
Peregrina» →, posto su un basamento con insegne di Leone X (1513)
e adattato a fontana in occasione dell’allargamento della via (1931). Al
numero 4 è un duecentesco portale marmoreo, sormontato da
edicola con mosaico (Gesù tra due schiavi liberati), opera di Jacopo e
Cosma dei Cosmati; la facciata laterizia con finestrelle in marmo e la
porta a sesto acuto in peperino sono i resti del complesso monastico e
dell’ospedale di S. Tommaso in Formis, fondato nel 1209 e distrutto
nel 1925 per la costruzione della sede dell’Istituto sperimentale per la
Nutrizione delle Piante (per la chiesa →).

I MONUMENTI LUNGO LA VIA. La chiesa di S. Maria in Domnica è


così detta dal nome «dominicum» dato ai primi luoghi di culto
cristiani; sorta forse nel sec. VII sui resti della caserma della V coorte
dei «vigiles», venne ricostruita sotto Pasquale I e restaurata nel 1513-
14 dal futuro Leone X su disegno di Andrea Sansovino, cui si deve
l’elegante portico a cinque arcate, su pilastri e lesene d’ordine
tuscanico. L’interno basilicale è diviso in tre navate da 18 colonne
antiche di granito grigio con capitelli corinzi; quella centrale, coperta
da soffitto ligneo a cassettoni decorati (simboli delle Litanie della
Madonna, 1566) sotto il quale corre un fregio con motivi araldici
medicei affrescato da Perin del Vaga su disegno di Giulio Romano, è
conclusa dall’arco trionfale, sostenuto da *colonne in porfido con
capitelli ionici, e dall’abside, entrambi decorati da *mosaici (sopra
l’arcata dell’abside, Cristo tra due angeli e gli apostoli; sotto, Mosè ed
Elia; nel catino dell’abside, Maria con il Bambino in trono tra due
schiere di angeli e Pasquale I in ginocchio) del tempo di Pasquale I.
Nel giro dell’abside, affreschi di Lazzaro Baldi. Sotto l’altare si apre la
CONFESSIONE (Ildo Avetta, 1958), recintata da una balaustra in bronzo
(presso la scala di sin., parti di decorazione riferibile a un edificio del
sec. VI a.C. rinvenuto durante gli scavi del 1958): alle pareti,
frammenti di plutei medievali. In fondo alle navi laterali, *sarcofagi
romani.
A sinistra della chiesa, un portale (1615), proveniente dalla
distrutta villa Massimo Lancellotti e qui rimontato con qualche licenza
nel 1931, immette nella villa Celimontana, acquistata nel 1553 dai
Mattei e sistemata dopo il 1581, che dal 1928 è stata adibita a parco
pubblico. In fondo al viale d’ingresso si erge il CASINO, su progetto di
Jacopo Del Duca (1581-86) ma molto rimaneggiato, che ospita dal
1926 la Società Geografica Italiana, fondata a Firenze nel 1867 (la
biblioteca, la più grande nel settore in Italia, è ricca di oltre 250000
volumi).

*S. STEFANO ROTONDO. Poco oltre l’imbocco di via della Navicella


converge da E via di S. Stefano Rotondo (la romana via Celimontana),
fiancheggiata nel primo tratto dall’acquedotto Neroniano →. Sotto una
delle arcate è l’accesso alla chiesa, la più antica (sec. V) a pianta
circolare di Roma. Due ambulacri a colonne concentrici, di cui l’esterno
intersecato dai bracci di una croce greca, circondavano in origine un
ambiente cilindrico; Innocenzo II aggiunse il portico, a cinque arcate
su colonne antiche con capitelli tuscanici, e la triplice arcata interna,
mentre Bernardo Rossellino (1453) consolidò le coperture ma eliminò
l’ambulacro esterno e tre dei quattro bracci della pianta. Dal VESTIBOLO,
che occupa parte del braccio superstite della croce greca, si accede al
vasto interno, formato da un AMBULACRO CIRCOLARE (in origine il più
interno) chiuso da un muro in cui sono inserite le 34 colonne antiche
di marmo e granito dell’ambulacro esterno, e da una PARTE CENTRALE,
separata da 22 colonne in granito con capitelli marmorei ionici di
diversa età e fattura; su esse grava un architrave continuo da cui
s’innalza la muratura cilindrica del tiburio (in alto, finestre centinate,
alcune murate altre racchiudenti bifore marmoree rinascimentali,
risalenti al restauro del Rossellino). Due pilastri e altrettante colonne
con capitelli corinzi sono disposti diametralmente nel circolo interno a
sostenere le tre arcate (quella mediana più ampia) e il muro di
appoggio per le travi del tetto. Sulle pareti del muro perimetrale,
Martirologio, 34 riquadri affrescati dal Pomarancio, da Antonio
Tempesta e da aiuti (alcuni ridipinti nell’800). Subito a sin., contro un
pilastro, seggio episcopale detto di S. Gregorio Magno, sedia
marmorea del periodo imperiale alla quale vennero scalpellati i
braccioli e il dossale. Seguono la cappella dei Ss. Primo e Feliciano,
ricavata in una parte del braccio superstite della croce greca (in
un’abside in fondo, mosaico del sec. VII raffigurante Cristo su Croce
gemmata, non crocifisso, secondo un antico schema iconografico, tra i
Ss. Primo e Feliciano) e la cappella di S. Stefano d’Ungheria, con
sepolcro d’inizi sec. XVI.
Scavi archeologici hanno rivelato la presenza, sotto la chiesa, di
un mitreo (sec. II-III), che conserva parte della ricca decorazione a
finte tarsie in marmo, e dei «Castra Peregrina», caserma degli ausiliari
provinciali.

I SS. GIOVANNI E PAOLO. Dal largo della Sanità Militare la visita


continua verso NO nella solitaria via di S. Paolo della Croce, passando
sotto l’arco di Dolabella, forse ricostruzione – in blocchi di travertino
– della primitiva porta Celimontana delle mura Serviane, che venne
riutilizzato per sostenere il condotto dell’acquedotto Neroniano →.
Lasciato al N. 10 l’ingresso alla chiesa di S. Tommaso in Formis, ex
abbazia benedettina sopraelevata nel tardo ’500 e restaurata nel 1663
e nel 1787, si prosegue avendo sullo sfondo la basilica dei *Ss.
Giovanni e Paolo.

LA STORIA. Su un «titulus» formatosi nella casa di due ufficiali di


Costantino martirizzati nel 362, il senatore Bizante e il figlio
Pammachio eressero nel 398 il nucleo della chiesa, che venne
danneggiata da Alarico nel 410 e dal terremoto del 442, e
saccheggiata dai Normanni nel 1084; sotto Pasquale II fu riedificato il
convento e iniziato il campanile, ultimato a fine sec. XII insieme al
portico che sostituì l’originario nartece. Restauri, alterazioni (nel 1715-
18 venne trasformato l’interno) e aggiunte si susseguirono fino al
1950-52, quando, per volere del cardinale Francis Spellman, venne
ripristinata la facciata paleocristiana dalla rara tipologia ‘aperta’.

IL PROSPETTO, aperto su due ordini da pentafore su snelle colonne


in marmo del sec. III, è preceduto dal PORTICO (pianta →, 1; metà sec.
XII) con architrave (iscrizione dedicatoria) poggiante su colonne
antiche; la soprastante galleria è aggiunta del 1216. All’adiacente
facciata del convento, anch’essa ripristinata nell’aspetto medievale, si
addossa lo slanciato *campanile romanico (c. 1150; restauro 1950-
52), decorato da bacini in ceramica (gli originali sono nel piccolo
antiquarium attiguo all’ingresso alle case dei martiri) e intarsi di marmi
colorati e aperto negli ultimi quattro piani da doppie bifore, che
s’imposta su arcate in opus quadratum di travertino delle sostruzioni
del tempio del Divo Claudio →.

L’INTERNO. Dal portico (nello spessore del muro, due colonne


dell’antica pentafora), un bel portale cosmatesco (nell’architrave,
aquila; nell’intradosso, fascia di stelle a mosaico; sotto i piedritti, leoni
accucciati) immette nella chiesa, divisa in tre navate da pilastri
affiancati alle antiche colonne, che ha perso l’aspetto di basilica
paleocristiana a seguito della trasformazione operata nel 1715-18, per
il cardinale Fabrizio Paolucci, da Antonio Canevari e Andrea Garagni; a
tale periodo datano i busti nel vestibolo ottagonale subito all’inizio
della nave d. (2; quelli del cardinale Paolucci e di Innocenzo XII sono
di Pietro Bracci, 1725) e le tele (al 1° altare d., S. Saturnino distrugge
l’idolo di Marco Benefial), mentre il soffitto risale al cardinale Agostino
Cusani (1598) e la cappella di S. Paolo della Croce (3) alla seconda
metà dell’800. A metà c. della navata centrale, nel pavimento, lapide
ricordante il luogo in cui i Ss. Giovanni e Paolo subirono il martirio.
Nell’abside (4), Cristo in gloria, affresco del Pomarancio (1588); sotto,
Martirio di S. Giovanni, di S. Paolo e Conversione di Terenziano di
Domenico Piastrini, Giacomo Triga e Pietro Andrea Barbieri (1726; i
coevi angeli in stucco sull’arcone sono del Bracci); l’altare maggiore
accoglie un’antica vasca in porfido con le reliquie dei santi titolari. In
fondo alla navata sin. (5), per una porticina simulata a d. dell’altare si
passa in un piccolo ambiente, che accoglie alla parete d. un dipinto
(Cristo in trono fra sei apostoli) del sec. XIII. In sagrestia, Madonna
con Bambino e i Ss. Giovanni evangelista (titolare della chiesa) e
Giovanni Battista e i Ss. Girolamo e Paolo, tavola di Antoniazzo
Romano.
In fondo alla navata d. è l’accesso ai SOTTERRANEI (visita dietro
autorizzazione dell’ufficio FEC, tel. 0667294382), dove, nel corso degli
scavi del 1887, furono individuati i resti di ambienti pertinenti ad
almeno cinque edifici databili tra il sec. I e il IV, uno dei quali, risalente
al II, venne dapprima utilizzato da una comunità cristiana, accogliendo
poi la sepoltura dei martiri all’origine della basilica. Dal NINFEO (A),
decorato da un *affresco del sec. III con figure di incerta
identificazione (Peitho e Proserpina; Dioniso e Teti in ambiente
marino), si passa agli AMBIENTI B e C, decorati a finto marmo; il VANO D
conserva resti di pitture nelle pareti (efebi, festoni, uccelli) e nella
volta (scene di vendemmia), mentre in quello E, pertinente a uno
degli edifici esterni al perimetro della chiesa, ritorna il motivo a finto
marmo. Dall’ambiente C, attraverso due stanze e la fondazione del
colonnato della chiesa, si accede all’*ORATORIO MEDIEVALE (F): sulle
pareti della scaletta scene della Passione (sec. IX), nella parete di
fondo dipinto dell’antico altare (sec. XII). Usciti dalla SALA G – decorata
a finti marmi, maschere sceniche e figure varie – una scala conduce
alla «CONFESSIO» (H), angusto ambiente con pitture del IV: sulla parete
di fondo, sotto la «fenestella confessionis» che si apriva su un pozzo
in collegamento con le sepolture dei titolari, figura di orante con due
persone prostrate ai piedi; su quelle laterali, scena di arresto di tre
persone (sin.; le figure sono generalmente identificate con Crispo,
Crispiniano e Benedetta, fedeli dei santi) e loro esecuzione (d.).

VERSO S. GREGORIO MAGNO. Dalla piazza si scende a sin. della


chiesa per il clivo di Scauro, pittoresca strada, coincidente con
l’omonimo percorso romano, sormontata da sette arcate (sec. XIII-XIV
tranne l’ultima, più alta, che risale al V) a sostegno del fianco della
basilica; subito oltre se ne intravede l’abside, con galleria ad archetti
su colonnine, unico esempio di questo tipo romanico-lombardo a
Roma. Superato a sin. (N. 3) il portale (Flaminio Ponzio, 1607) antico
ingresso agli oratorî annessi alla chiesa di S. Gregorio Magno (→; i
resti di muro laterizio e di un’aula absidata al di là dell’inferriata sono
noti come biblioteca di Agapito e risalgono ai sec. IV-VI), si vede,
ancora a sin., la chiesa di S. Gregorio Magno, sorta nel Medioevo
sul luogo della casa dove il santo aveva istituito nel 575 un monastero
dedicato a S. Andrea e rinnovata all’esterno da G.B. Soria (1629-33) e
nell’interno da Francesco Ferrari (1725-34).
In cima alla scalinata (*panorama sul Palatino) si erge la facciata,
che ripropone anche nel materiale (travertino) lo schema del
prospetto della chiesa di S. Luigi dei Francesi; l’atrio, realizzato dal
1642 su disegno del Soria, è circondato da un portico che riutilizza
pilastri e colonne binate provenienti dall’omonima struttura della
chiesa precedente (fine sec. XVI) e accoglie alcune sepolture: spicca in
fondo a d. quella dei fratelli Bonsi (Luigi Capponi, fine sec. XV-inizi XVI),
con ritratti entro nicchie circolari, fronteggiata dalla tomba del
canonico Lelio Guidiccioni (m. 1643), inserita in un monumento
funebre rinascimentale.
L’INTERNO DI S. GREGORIO MAGNO, a tre navate divise da 16
colonne antiche fiancheggianti pilastri, è decorato da stucchi del
Ferrari (c. 1725) e, nella volta, dall’affresco (Trionfo della Fede, 1727)
di Placido Costanzi; il pavimento cosmatesco è stato restaurato nel
1745. In fondo alla navata d., *ALTARE DI S. GREGORIO MAGNO: paliotto
con tre fini bassorilievi raffiguranti le cosiddette 30 Messe di S.
Gregorio Magno, opera del Capponi (fine sec. XV); nella predella, *S.
Michele arcangelo sottomette Lucifero, apostoli e i Ss. Antonio abate e
Sebastiano, coeve pitture di scuola umbra; pala (S. Gregorio Magno)
di Sisto Badalocchio (ante 1626). A destra della cappella è la STANZA DI
S. GREGORIO MAGNO, con sedile marmoreo del sec. I a. Cristo. ALTARE
MAGGIORE: Madonna con i Ss. Andrea e Gregorio di Antonio Balestra
(1734); davanti, Ss. Andrea e Gregorio Magno, statuette in pietra del
sec. XV. Dalla navata sin. si accede alla *CAPPELLA SALVIATI, su disegno di
Francesco da Volterra e completata da Carlo Maderno (1600): alla
parete d. Madonna con Bambino, antico affresco ridipinto nei sec. XIV-
XV, che secondo la tradizione avrebbe parlato a S. Gregorio Magno;
alla parete sin., *altare marmoreo di Andrea Bregno e aiuti (1469). Al
2° altare sin. della chiesa, Madonna e santi di Pompeo Batoni (1739).

GLI ORATORî. Per una cancellata a sin. della scalinata della chiesa
si accede a un pittoresco slargo con cipressi (già cimitero dei
Benedettini), in fondo al quale sono i tre luoghi di culto sistemati a
inizi ’600 dal cardinale Cesare Baronio (quelli di S. Andrea e S. Barbara
appartennero già al complesso fondato da S. Gregorio Magno).
Al centro, preceduto da un portichetto su quattro colonne
antiche, è l’oratorio di S. Andrea (sec. IV-XII), restaurato nel 1602-
1606 dal Baronio e ultimato dal cardinale Scipione Borghese (1607-
1608) con la direzione di Flaminio Ponzio. Nell’interno: *Flagellazione
del santo, affresco del Domenichino (1608); a sin., *S. Andrea
condotto al supplizio, affresco di Guido Reni (1608); all’altare
Madonna e i Ss. Andrea e Gregorio del Pomarancio (1602-1603); ai
lati S. Pietro e S. Paolo, affreschi del Reni; in controfacciata, Ss. Silvia
e Gregorio di Giovanni Lanfranco (1608).
A destra è l’oratorio di S. Silvia, madre di S. Gregorio Magno,
eretto dal Baronio nel 1602-1606 (al 1608 risale il soffitto ligneo
intagliato): nella calotta dell’abside, *Concerto d’angeli, affresco del
Reni e di Sisto Badalocchio (1608-1609); all’altare, statua di S. Silvia
di Nicolas Cordier (1603-1604); ai lati Davide e Isaia, affreschi del
Badalocchio (1608-1609).
A sinistra è l’oratorio di S. Barbara o del Triclinium, restaurato
dal Baronio (1602-1606) e poggiante su resti di un’insula romana con
tabernae (sec. II-III): sulla parete di fondo statua di S. Gregorio Magno
del Cordier (1602); al centro mensa marmorea del sec. III; alle pareti,
affreschi (Apparizione della Vergine a S. Gregorio Magno, S. Agostino
davanti a re Edelberto, Partenza di S. Agostino e degli altri monaci dal
monastero del Celio, Apparizione dell’angelo alla mensa dei poveri,
Elezione di Probo ad abate, S. Gregorio Magno dispensa le elemosine
ai pellegrini e ai poveri) di Antonio Viviani (1602); alla parete di fondo,
monocromi (Ss. Nereo, Achìlleo, Barbara e Flavia Domitilla) ancora del
Viviani.

I SS. NEREO E ACHÌLLEO. A destra della chiesa inizia la salita di S.


Gregorio, che scende verso piazza di Porta Capena costeggiando il
retro della «Vignola» (per entrambe → e 483); si piega a sin. in via
Valle delle Camene, che corre tra le alberate propaggini meridionali
del Celio e le terme di Caracalla → e che, lasciato a sin. il cancello
neoclassico ex accesso a villa Celimontana →, sbocca in viale delle
Terme di Caracalla →. Sul lato opposto della strada, dietro gli alberi, si
riconosce la chiesa dei Ss. Nereo e Achìlleo, sorta nei pressi del
«titulus fasciolae» (dalla benda caduta dal piede di S. Pietro mentre
era condotto al martirio) noto dal 377 e ricordata come «titulus
Sanctorum Nerei et Achillei» dal 595. Nell’814 Leone III spostò la
chiesa nel sito attuale e la ornò con mosaici di cui sono tracce
nell’arco trionfale; per il giubileo del 1475 Sisto IV ne ridusse le
dimensioni e sostituì le colonne fra le navate con pilastri ottagoni,
mentre alla vigilia del giubileo del 1600 il cardinale Cesare Baronio
fece rialzare l’altare maggiore e affrescare l’abside e le navate,
conferendo all’edificio l’aspetto attuale.
La facciata a salienti e le finestre tamponate distinguibili sotto
l’intonaco risalgono al restauro di Sisto IV, mentre la decorazione a
motivi architettonici, quasi svanita, è pertinente a quello del 1600,
come pure il portale fra colonne in granito sorreggenti un timpano
triangolare e la finestra sovrastante. Sui fianchi della chiesa, dove si
aprono finestre tardo-cinquecentesche, si individuano quelle sistine
tamponate e tracce della muratura del luogo di culto di Leone III, cui
vanno riferite anche le basse torri ai lati dell’abside.

L’INTERNO, a tre navate con abside semicircolare, è caratterizzato


dai quattrocenteschi pilastri in muratura (insoliti in un interno), dalla
copertura a capriate a vista e dall’esuberante decorazione, risalente
alla sistemazione voluta dal cardinale Baronio. Interessanti gli
affreschi (storie dei martiri) delle navate, tradizionalmente attribuiti a
Nicolò Circignani; nell’altare a edicola della navata d. Madonna
adorata dagli angeli di Durante Alberti, in quello della nave sin. i Ss.
Nereo, Achìlleo e Domitilla (1600). PRESBITERIO. A destra candelabro
marmoreo del sec. XV, con finissime decorazioni, da S. Paolo fuori le
Mura; a sin. ambone, con base di porfido dalle terme di Caracalla. Il
recinto del coro è ricomposto con pezzi cosmateschi (sec. XII); il
ciborio cinquecentesco poggia su pregevoli colonne; l’altare maggiore
è formato da un trittico cosmatesco. La cattedra episcopale con due
leoni stilofori è della bottega dei Vassalletto (nella nicchia del dossale
è inciso un brano della XXVIII omelia che Gregorio Magno pronunciò
sulla tomba dei martiri). Il giro dell’abside, affrescata con santi ai lati
della Croce, termina in alto con una bella cornice ricavata da
trabeazione dentellata romana. All’esterno dell’arco absidale, mosaico
con l’Annunciazione, la Trasfigurazione e la Theotokos (restauro sec.
XIX), unico resto della decorazione del tempo di Leone III.

PIAZZALE NUMA POMPILIO, nel quale poco oltre il viale si allarga, è


punto di partenza sia del tratto verso S di viale delle Terme di
Caracalla alla volta della nuova porta Ardeatina → sia, in direzione NE,
di via Druso, sistemazione di epoca fascista della medievale via della
Ferratella in Laterano.
In angolo con tale strada è la chiesa di S. Sisto Vecchio, nota
già dal sec. IV-V, ricostruita al tempo di Innocenzo III e donata nel
1219 a S. Domenico, che qui ebbe il suo primo convento romano (al
1222 risale il monastero); fu in seguito restaurata più volte (radicale
l’intervento del 1725-27 di Filippo Raguzzini). La facciata rettangolare,
del Raguzzini, presenta lesene e fasce con oculi polilobati; il campanile
romanico, a tre ordini di trifore, risale a Innocenzo III; sul fianco sin.,
portale marmoreo del 1478.

L’INTERNO a navata unica, anch’esso restaurato dal Raguzzini,


accoglie nella calotta dell’abside (Ss. Sisto e Lorenzo) e nell’ovale al
centro (SS. Trinità) dipinti del sec. XVI. Resti di un ciclo di affreschi
(scene del Nuovo Testamento e dei Vangeli apocrifi; scene della vita
di S. Caterina; Pentecoste) del XIII-XIV sono sul lato sin. del presbiterio,
nella stretta intercapedine tra l’abside di Innocenzo III e quella
quattrocentesca. Da una porta sul lato d. del presbiterio si accede a
un piccolo ambiente, su una parete del quale sono una Presentazione
al tempio e, probabilmente, un Cristo fra i dottori (sec. XIV). Lungo
una stretta scala che segue a d. la curvatura dell’abside, santi e
martiri a mezzo busto e i Ss. Domenico e Pietro martire (sec. XIV).

LUNGO VIA DI PORTA S. SEBASTIANO. Dal lato SE del piazzale, alle


spalle di un’edicola circolare (sec. XII-XIII) eretta forse su un
«compitum» che segnava il punto in cui l’antica Via Latina →
divergeva dall’Appia →, si può proseguire lungo il pittoresco tracciato
suburbano – già parte della romana Via Appia – fiancheggiato da muri
coperti di verde (si ha qui l’idea di come era Roma prima di divenire
capitale).
Poco oltre la biforcazione dalla quale si diparte a sin. via di Porta
Latina → s’incontra a d., arretrata, la chiesa di S. Cesareo de Appia,
eretta nel sec. VIII su un edificio del II e ricostruita a fine XVI, con
semplice facciata preceduta da protiro e divisa da lesene e riquadri in
stucco. Il severo interno ad aula rettangolare ha un elegante soffitto a
riquadrature dorate su fondo azzurro e insegne di Clemente VIII.
Il recinto presbiteriale, il pergamo, il paliotto d’altare e la cattedra
furono ricomposti con elementi cosmateschi di finissima fattura al
tempo di Clemente VIII, epoca cui risale il baldacchino.
Sopra la cattedra, Madonna con Bambino, affresco del sec. XV; i
mosaici nel catino absidale (Padre Eterno in gloria) e all’esterno
dell’arco trionfale (Annunciazione) sono su cartoni del Cavalier
d’Arpino, cui sono riferiti i riquadri affrescati sull’attico (storie dei Ss.
Cesareo e Ippolito). Nel sotterraneo, *pavimento musivo in bianco e
nero (scene marine; sec. II) che si stende per tutta l’ampiezza della
chiesa.
Lasciata al N. 8 la casina del cardinale Bessarione (metà sec.
XV), che, pur se alterata, conserva finestre a croce, fregio affrescato e
scala con loggia (negli ambienti interni, arredati con mobili e opere
d’arte rinascimentali, resta parte dell’originaria decorazione ad
affresco), si raggiunge al N. 9 il *sepolcro degli Scipioni
(www.comune.roma.it/sovraintendenza), monumento di eccezionale
interesse storico in quanto vi furono deposti molti esponenti di una
delle più famose famiglie dell’antica Roma, che fu scoperto già nel
1616 ma sistemato nel 1926-29.

La fronte principale, su cui apre l’ingresso, affacciava su una


strada perpendicolare all’Appia ed era costituita da un prospetto
monumentale (quasi del tutto scomparso) poggiante su un alto
basamento, che conserva resti di più strati di pitture; la facciata si
addossava al banco di tufo nel cui interno vennero scavate sei gallerie
(quattro ai lati e due, in corrispondenza degli assi, incrociantisi ad
angolo retto), mentre lungo le pareti o entro nicchie vennero posti i
sarcofagi, ricavati da un blocco di tufo o formati da lastroni. Le
iscrizioni sul fronte delle tombe hanno consentito l’identificazione dei
defunti e permesso di stabilire che le deposizioni iniziarono ai primi del
sec. III a.C. con il sarcofago di Lucio Cornelio Scipione Barbato (pianta,
1; l’originale è ai Musei Vaticani), console nel 298 a.C., con ricco
fregio dorico sulla cassa e pulvini alle estremità del coperchio; lo
precedono, fronteggiandosi, i sarcofagi di Lucio Cornelio Scipione (2),
figlio di Barbato e console nel 259 a.C., e di un figlio di Scipione
Ispallo (3). All’estremità della galleria sin. è una calcara medievale
dove venivano calcinati i marmi. Per consentire altre deposizioni venne
aperta, poco dopo il 150 a.C. e con accesso indipendente a d. di
quello principale, un’altra galleria, che accoglie, tra gli altri, il
sarcofago per due salme di Scipione Ispano (4), pretore nel 139 a.C.
(iscrizione in distici elegiaci). Su parte di questo secondo ipogeo venne
fondata nel sec. III una casa in laterizio a tre piani, visibile dall’esterno,
con resti di pavimento a mosaico e di decorazione pittorica; a d. di
essa è un breve braccio pertinente a una catacomba cristiana, mentre
opposto a questa, per una scaletta, si accede a un colombario
rettangolare (sec. I a.C.-I d.C.), le cui pareti e la cui copertura erano
traforate da piccoli loculi per le urne dei defunti.
L’adiacente parco degli Scipioni, ricavato da Raffaele De Vico
(1929) nella vigna Stantelli, nasconde il colombario di Pomponio
Hylas, scoperto nel 1831 e così chiamato da uno dei fondatori che
sono ricordati nella decorazione a mosaico di un’elegante edicola
opposta all’antica scaletta di accesso; nella cella, con volta dipinta a
motivi vegetali, sono numerosi epitaffi di età giulio claudia e flavia.
Oltre la villa Appia delle Sirene (N. 12), eretta nel ’500 sui resti di
un ipogeo romano e del supposto tempio delle Tempeste (sec. III
a.C.?), e l’ex vigna Codini già Savelli (N. 13), nella quale a metà ’800
vennero scoperti alcuni colombari, risalenti all’età di Augusto e
Tiberio, che si caratterizzano per il massimo sfruttamento dello spazio
e conservano tracce della decorazione pittorica, un pavimento a
mosaico e numerose epigrafi, si apre, preceduta dall’arco di Druso, la
porta S. Sebastiano (per entrambi →), da cui inizia la Via Appia Antica
→.

LUNGO VIA DI PORTA LATINA, che si stacca da via di Porta S.


Sebastiano poco prima della chiesa di S. Cesareo de Appia e che
ricalcando il segmento iniziale dell’antica Via Latina → corre anch’essa
tra muri di recinzione di ville, si può visitare la chiesa di *S. Giovanni
a Porta Latina, sorta nel sec. V ma più volte trasformata fino ai
restauri che hanno ripristinato le forme medievali. La facciata, aperta
in alto da tre finestre centinate, è preceduta da un portico, a cinque
arcate su colonne in marmo e granito con capitelli ionici, che ospita
frammenti romani e paleocristiani e resti di affreschi medievali; a sin.
si leva lo slanciato campanile romanico. L’interno basilicale è a tre
navate divise da antiche colonne di marmi diversi con capitelli ionici.
La nave mediana è decorata da un ciclo di dipinti (scene dell’Antico
e del Nuovo Testamento) risalente c. al 1190; il pavimento del
presbiterio, affrescato (simboli degli evangelisti e, in duplice teoria, i
24 Seniori dell’Apocalisse) nel sec. XII, è in opus sectile con marmi
colorati (ante sec. XII).
Poco prima della porta Latina → è l’oratorio di S. Giovanni in
Oleo, forse un «martyrium» sorto nel sec. V nel luogo dove il santo
sarebbe stato immerso in una caldaia di olio bollente uscendone illeso;
rinnovato al tempo di Giulio II da Baldassarre Peruzzi o da Antonio da
Sangallo il Giovane, venne restaurato nel 1658 da Francesco
Borromini e nel 1716 nell’interno, decorato con stucchi e dipinti (storie
di S. Giovanni evangelista) di Lazzaro Baldi.

3.3 IL RIONE ESQUILINO

Il primo dei rioni creati dopo il 1870 corrisponde alla parte


orientale del colle da cui prende nome: quella zona, esterna alle mura
Serviane, che costituì la V regione augustea («Esquiliae»).
L’etimologia da «ex-colere» (abitare fuori) indicò un sobborgo rispetto
al primo nucleo della città sul Palatino: da fine IX secolo a.C. e per
tutto il VII, l’area fu infatti adibita a sepolture, di cui cospicue
testimonianze emersero all’epoca della costruzione del quartiere
umbertino. Le cime occidentali del colle («Oppius», «Fagutal» e
«Cispius») fecero parte, nella fase protourbana, del primitivo
«Septimontium», venendo poi incluse nelle mura Serviane, mentre il
settore orientale dell’Esquilino continuò a restare esterno alla cinta
difensiva e per tutto il periodo repubblicano ne proseguì la
destinazione cimiteriale; solo con Augusto tale area fu annessa alla
città e trasformata in ville sontuose (basti citare gli «horti
Maecenatiani»). La V regione venne dotata di strutture pubbliche
(«macellum Liviae», le caserme degli «equites singulares») e di una
fitta viabilità – ancora in gran parte esistente – incentrata sulle porte
Esquilina e Maggiore. Le mura Aureliane tagliarono fuori gran parte
dei giardini delle ville, divenute nell’Impero proprietà demaniale,
includendone e spesso incorporandone però le costruzioni, su una
delle quali («Sessorium») sorse la basilica di S. Croce in
Gerusalemme; dentro e accanto al triangolo ideale formato da questa
chiesa e da quelle di S. Giovanni in Laterano e di S. Maria Maggiore
sorsero nel IV-V sec. alcuni tra i più antichi «tituli» (S. Eusebio, S.
Prassede, S. Bibiana, Ss. Marcellino e Pietro), cui si affiancarono nel
Medioevo istituzioni assistenziali.
Il secondo Cinquecento segnò la rinascita del colle: Gregorio XIII
iniziò la nuova via Merulana, mentre Sisto V avviò il recupero della
zona in senso classico con la propria villa e con il programma viario
incentrato sulla basilica di S. Maria Maggiore (ultimazione di via
Merulana e apertura della strada Felice). Nei secoli successivi si
svilupparono le ville patrizie che fino al 1870 costituirono l’ininterrotta
cintura verde dell’arco orientale di Roma e che vennero sacrificate per
la costruzione del quartiere, sorto in rapporto alla stazione di Termini;
l’insediamento, sviluppatosi secondo il piano regolatore del 1873, fu
destinato alla classe borghese prevalentemente impiegatizia del nuovo
Stato, come ricorda la toponomastica (intitolata ai suoi maggiori
statisti e letterati nonché ai personaggi della casa regnante) e come
evidenzia l’impianto urbanistico a scacchiera (recuperato dall’età
classica attraverso il modello torinese), che si sovrappose alla
precedente rete stradale rilevandone i principali percorsi. Dopo il 1883
l’urbanizzazione si estese a sud di viale Manzoni con la scomparsa
delle ultime ville (si salvarono la Wolkonsky e i casini della Massimo
Lancellotti e della Altieri, trasformata in scuola), mentre a inizi
Novecento, oltre ai primi esempi di edilizia popolare estensiva, sorsero
i blocchi della Cooperativa Ferrovieri lungo via di S. Croce in
Gerusalemme ed, entro il 1925, i villini attorno a via Statilia.
La decadenza del quartiere ottocentesco ha favorito, nel secondo
dopoguerra, l’edilizia di sostituzione, con forti incrementi della densità
(viale Manzoni, via di S. Croce in Gerusalemme); negli anni ’80 del
sec. XX è stato avviato un vasto programma di riqualificazione del
quartiere, a partire dalla sistemazione di piazza Vittorio Emanuele II e
delle adiacenze. Pianta dell’itinerario alle pagine 536-537.

VIA MERULANA, che da piazza di S. Giovanni in Laterano → si


stacca in direzione NO in asse con l’Obelisco Lateranense →, è il
rettifilo tardo-cinquecentesco tra le basiliche di S. Giovanni e di S.
Maria Maggiore che sostituì un omonimo tracciato di origine classica (il
nome derivava dai possedimenti dei Meruli); la nuova via, che
intersecava l’antica presso via Galilei e che, realizzata in gran parte da
Gregorio XIII per il giubileo del 1575, fu completata da Sisto V,
divenne nel piano del 1873 uno degli assi del nuovo quartiere
dell’Esquilino, anche se nell’ultimo tratto verso S. Maria Maggiore
venne sistemata solo nel 1932: nonostante i massicci livellamenti è
ancora percepibile l’andamento che discende le propaggini del Celio
risalendo poi verso una delle sommità dell’Esquilino.
Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:
sinistra, destra, sinistra e destra.
La si percorre fino all’incrocio a d. con via Aleardi, che conduce al
casino della scomparsa villa Giustiniani poi Massimo Lancellotti,
dal 1948 sede della delegazione dei Francescani di Terra Santa, al cui
interno è la più importante testimonianza dell’attività romana dei
Nazareni, i pittori germanici che si ispirarono all’arte italiana del primo
Rinascimento (ingresso al N. 16 di via Boiardo; t. 0677206308-
0670495651).

L’EDIFICIO, dei primi del ’600 e attribuito a Carlo Lambardi (le ali
intorno al giardino residuo sono però un’aggiunta del 1951), è un
tipico esempio del gusto antiquario tardo-manierista: i prospetti, dalle
semplici linee, furono arricchiti, a metà sec. XVII, da sculture antiche
(negli ovali, busti e profili a rilievo; nei riquadri, fronti di sarcofagi); le
decorazioni in stucco recano sia le aquile dei Giustiniani sia le colombe
dei Pamphilj.
Il neoclassico SALONE su via Boiardo ha nicchie con statue antiche
di imperatori e divinità. I tre ambienti verso il giardino accolgono
*affreschi, voluti del marchese Carlo Massimo, con scene tratte dai
maggiori poemi della letteratura italiana: nella STANZA DELL’ARIOSTO,
episodi dall’Orlando Furioso di Julius Schnorr von Caroesfeld (1822-
27); nella STANZA DEL TASSO, episodi della Gerusalemme Liberata di
Johann Friedrich Overbeck (1819-27) completati da Joseph von
Führich (1827-29); nella STANZA DI DANTE, alle pareti scene dell’Inferno e
del Purgatorio di Joseph Anton Koch (1825-28), al soffitto Allegoria del
Paradiso di Philip Veit (1818-24).

IL MUSEO STORICO DELLA LIBERAZIONE DI ROMA (ingresso da via


Tasso N. 145, che si raggiunge a d. del casino per via Berni; t.
067003866; www.viatasso.it), fu istituito nel 1957 nell’edificio già sede
del comando delle SS – in parte adibito nel 1944 a carcere per
detenuti politici – per rievocare i tragici avvenimenti del 1943-44.

S. ANTONIO DA PADOVA. L’isolato che su via Merulana segue via


Aleardi è occupato in parte da questa basilica, che costituisce con
palazzo Brancaccio l’opera più impegnativa di Luca Carimini (1884-87)
e la prima realizzazione monumentale nell’architettura sacra romana
dopo il 1870. La facciata, in laterizio a vista ed elementi architettonici
in travertino, si leva su una scalinata a doppia rampa; l’eclettismo
neorinascimentale dell’architetto accostò alle forme quattrocentiste
quelle sangallesche del portico a cinque arcate. Caratteristico il
campanile a cella ottagona, con cuspide in maioliche policrome e
dorate.

L’INTERNO, di un’eleganza raggelata, è a tre navate (quella


centrale con copertura a capriate lignee), suddivise da colonne di
granito rosa che si ripetono in proporzioni minori al secondo ordine
formando un matroneo che continua sulla retrofacciata. I dieci altari
laterali, su disegno del Carimini al pari di quello maggiore, accolgono
quadri che costituiscono un documento eloquente dell’arte sacra di
fine ’800, oscillante fra tardo purismo e verismo; in sagrestia,
Madonna con Bambino e santi, copia dal Parmigianino (inizi sec. XVII).
Ai piedi della scalinata è l’ingresso alla CHIESA INFERIORE, a tre
navatelle con colonne binate di granito e deambulatorio.

LA CHIESA DEI SS. MARCELLINO E PIETRO, sulla sin. al termine della


discesa e leggermente infossata in seguito alla sistemazione
ottocentesca di via Merulana, deve l’aspetto attuale alla radicale
ricostruzione, voluta da Benedetto XIV e realizzata da Girolamo
Theodoli (1750-51), del «titulus» di età costantiniana. L’esterno,
sintesi delle tendenze del barocchetto romano a metà ’700, presenta
un dado basamentale, scandito in facciata da paraste ioniche e
sormontato da timpano, di nitore quasi neoclassico, mentre la
singolare cupola a gradoni è di chiara derivazione borrominiana;
l’elegante interno, ritmato da paraste ioniche, è a croce greca, con
presbiterio absidato e quattro cappelle angolari sormontate da coretti:
all’altare maggiore Martirio dei santi titolari di Gaetano Lapis, su quello
d. Messa di S. Gregorio di Filippo Evangelisti.
Nel tratto successivo via Merulana risale l’Esquilino, costeggiando
a sin. la neorinascimentale facciata della chiesa di S. Anna, riedificata
nel 1927 (l’interno, eclettico, prende luce da una grande vetrata
aperta nel soffitto e decorata da angeli di gusto tardo-liberty), e
incrociando poco oltre a d. via Alfieri, al cui termine si apre piazza
Dante, una delle quattro previste dal piano del 1873 (occupa parte
degli «horti Lamiani» e della cinquecentesca villa Palombara) e
caratterizzata da edifici eclettici.
IL COSIDDETTO *AUDITORIUM DI MECENATE. Ancora avanti via
Merulana forma a d. largo Leopardi: nel giardinetto si trova questo
complesso (www.comune.roma.it/sovraintendenza), scoperto nel
1874.

L’EDIFICIO, semisotterraneo e costruito in opus reticulatum sul


terrapieno interno delle mura Serviane (per l’inquadramento →; se ne
vedono alcuni blocchi) e cui si accedeva da due rampe (resta quella
inferiore), è costituito da un vestibolo e da un’aula rettangolare, già
coperta da volta a botte e con grandi nicchie rettangolari alle pareti,
conclusa da un’abside a gradinata pure con nicchie; ritenuto un tempo
un auditorium, il monumento è forse un ninfeo-triclinio estivo, parte
del ricco complesso degli «horti Maecenatiani». Oltre alla particolare
tipologia architettonica, notevoli sono i resti della decorazione pittorica
(sec. I) con paesaggi e giardini, collegabili a quelli della villa «ad
Gallinas Albas».

PALAZZO BRANCACCIO, che sul lato opposto della via occupa


l’intero isolato, è l’ultimo monumentale edificio patrizio romano e
anche l’ultima e più imponente opera di Luca Carimini, che qui forzò il
proprio quattrocentismo minuto verso accenti più grandiosi e severi; è
oggi in parte sede del Museo nazionale d’Arte Orientale (v. sotto) e
dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO, l’ex IsMEO;
l’annessa biblioteca raccoglie c. 53000 volumi, 1000 periodici e
numerosi manoscritti tibetani). Commissionato da Mary Elisabeth Field
principessa Brancaccio, fu iniziato nel 1886 e completato nel 1908-
1912; un ruolo importante ebbe Francesco Gai, cui si debbono molti
particolari architettonici, decorativi e di arredo degli sfarzosi interni. Il
prospetto principale, con due ali in leggero risalto, è tripartito
orizzontalmente, con alto basamento a forte bugnato in cui si apre il
triplice portale con balcone su colonne; analoghe le testate su largo
Brancaccio e via Mecenate (in angolo è il teatro Brancaccio, realizzato
nel 1916 e ristrutturato all’interno nel 1937).
Dall’ingresso ai numeri 248-250 si accede all’ATRIO a colonne, che
ha per fondale un ninfeo neobarocco progettato dal Gai. Lo SCALONE
freddamente monumentale sulla sin. sale al *Museo nazionale
d’Arte Orientale (t. 064874415), il più importante del settore in
Italia, istituito nel 1957 e aperto l’anno successivo; accanto a opere di
proprietà statale sono esposte quelle dell’IsIAO, comprendenti i reperti
degli scavi delle missioni archeologiche italiane in Iran, Pakistan e
Afghanistan.

TRA LE SEZIONI DEL MUSEO. La PROTOSTORIA DEL VICINO E MEDIO


ORIENTE è illustrata prevalentemente da due raccolte di reperti
provenienti dagli scavi IsIAO. La maggiore è formata dai materiali del
centro urbano protostorico di Shahr-i Sokhta (c. 3200-2000 a.C.) nel
Sistan iranico: la cultura materiale è rappresentata da ceramica,
strumentario litico, oggetti metallici, frammenti di tessuto; la
lavorazione è ricostruita in tutte le fasi, mentre il commercio a lunga
distanza delle pietre semipreziose – soprattutto lapislazzuli e turchese,
ma anche agata e altre varietà di calcedonio, diaspro, steatite –
costituì una delle principali risorse economiche; un’abbondante
produzione di sigilli – soprattutto a stampo – e la presenza di cretule
con impronte a sigillo a chiusura di contenitori e magazzini attestano
l’esistenza di un’amministrazione centrale. L’altra raccolta è costituita
da reperti dallo scavo di necropoli e insediamenti nella valle del fiume
Swat nel Pakistan settentrionale (seconda metà II-prima metà I
millennio a.C.): completa è la documentazione sulle necropoli di
Butkara II, Katelai, Loebanr I (vasi e urne cinerarie in ceramica,
oggetti da toeletta, ornamenti e armi in bronzo, elementi di collana in
pietre semipreziose), connessa culturalmente con l’altopiano iranico.
Degne di nota sono una collezione di sigilli a cilindro e a stampo
vicino-orientali (fine IV-inizi I millennio a.C.) e una raccolta di armi,
monili e sigilli a stampo in bronzo dalle aree iranica e transcaucasica
(metà II-inizi I millennio a.C.).
Il PERIODO I MILLENNIO A.C.-VII SEC. D.C. NEL VICINO E MEDIO ORIENTE
illustra lo sviluppo culturale dell’Iran dal periodo del Ferro (1350 a.C.)
a quello sasanide. La produzione vascolare del I millennio a.C. è
illustrata da numerosi esemplari in ceramica grigia lucidata e rossa, fra
i quali l’olla con versatoio ornitomorfo è uno dei fossili guida di tale
periodo; particolarmente interessanti i manufatti della regione
settentrionale del Gilan, con stilizzate Grandi Madri e vasi zoomorfi. La
metallurgia – in particolare quella del Luristan, Talish e Transcaucasia
– è documentata da oggetti di uso quotidiano (situle, fibule, spilloni),
cultuale (figurine di divinità), armi ed elementi di bardatura di cavalli
(morsi, anelli passabriglie). Gli imperi achemenide, partico e sasanide
rivivono attraverso ceramiche comuni e invetriate, manufatti d’arte
suntuaria e piccola statuaria. La sezione è completata da una scelta di
manufatti siro-fenici e sud-arabici, fra cui una tavola offertoria a più
scomparti in pietra cotta di produzione minea, mentre la raccolta
numismatica mostra lo sviluppo della monetazione dal periodo
achemenide (sec. VI-IV a.C.) a quello Kushana.
Nel SETTORE TIBETO-NEPALESE è esposta a rotazione una scelta di
Thang-Ka (dipinti su tela) dal Tibet, cui si accompagnano cretule
votive (Sa. Tsha.Tsha) con raffigurazioni di divinità, immagini in
bronzo e bronzo dorato, parti di mobili, gioielli, oggetti per il culto,
frammenti di pitture murali; quanto al Nepal, elementi di maggior
rilievo sono le sculture lignee, spesso dipinte, e le decorazioni
architettoniche, anch’esse in legno.
La SEZIONE DELL’ARTE DEL GANDHA-RA, di contenuto religioso
buddhistico e stilisticamente permeata di componenti culturali indiane
e classiche, rivive attraverso i materiali della missione archeologica
italiana dell’IsIAO nello Swat (nord Pakistan; siti di Butkara I, Saidu
Sharif I, Panr); l’area sacra di Buktara I, che si sviluppava intorno a un
grande stupa centrale (III sec. a.C.-VIII d.C.), è ampiamente
documentata dalle sculture in schisto (sec. I-IV), ordinate secondo
raggruppamenti stilistici, e da alcune immagini in stucco. Sono
presenti anche rilievi narrativi da Saidu Sharif I e da Panr, ed elementi
di decorazione architettonica.
La SEZIONE ISLAMICA comprende una selezione di esemplari di
grande qualità tecnica ed estetica, ordinati cronologicamente (sec. VIII-
XIX) e geograficamente (dall’India alla Spagna). Fra le ceramiche,
soprattutto di produzione persiana, si segnalano quelle «slip-painted»,
quelle dipinte a lustro metallico, quelle con decorazione «mina’j» e
«lajvardina». I metalli documentano le tecniche decorative
dell’agemina, del niello, dello sbalzo e del traforo. Fra i tessili sono un
piviale persiano di epoca safavide, un arazzo turco ottomano e un
tessuto «souzani» centro-asiatico. Alcune miniature, soprattutto
persiane e indiane, sono legate all’arte del libro e della calligrafia.
Notevoli anche la selezione di vasi islamici e i reperti archeologici
(ceramiche, metalli, lastre marmoree ed elementi decorativi) dagli
scavi nel palazzo di Mas’ud III (sec. XI-XII) a Ghazni- in Afghanistan.
La SEZIONE INDIANA comprende sculture in pietra afferenti sia al
buddhismo sia all’induismo (Visnu e Laksnu- sul Garuda e stele con
Visnu circondato da divinità minori del sec. XI; stele con S´iva e Pa-
rvati- del IX-X; stele Pa-la-Sena databili tra il X e l’XI) e opere in bronzo:
notevoli lo S´iva danzante del IX dall’India meridionale, l’immagine
jaina datata 1450 e il gruppo di immagini di epoca Hindu Shahi dal
Pakistan, Afghanistan e Kashmir, tra cui il noto marmo Scorretti
raffigurante la dea Durga nell’atto di uccidere il demone-bufalo (sec.
VIII).
La SEZIONE DEL SUD-EST ASIATICO comprende sculture in vari materiali
provenienti da Thailandia, Cambogia, Birmania e Indonesia; vi spicca
la raccolta birmana formata nel 1870-86 da Giovanni Andreino e la
donazione Dinaro di ceramiche da tutti i Paesi dell’Asia sud-orientale.
La SEZIONE SULLA CINA nasce da un nucleo storico, dato in deposito
dall’IsIAO al museo al momento dell’istituzione, cui si affiancarono
donazioni e acquisti. L’allestimento attuale è volto a narrare la storia
della civiltà cinese, dalla preistoria alle soglie del sec. XX, attraverso
una selezione dei pezzi più interessanti, con una particolare attenzione
all’arte fusoria, documentata da opere che risalgono all’XI-X a.C.
(periodo Shang) e agli Zhou (VIII sec.), quindi alla dinastia Han (206
a.C.-220 d.C.: l’evoluzione del pensiero e l’arte della Cina arcaica
pervennero a completa maturazione, e l’impero si allargò ben oltre i
confini attuali), alla diffusione del buddhismo dal sec. VI e
all’evoluzione dell’immagine di Buddha, dal periodo Wei alla dinastia
Tang, infine alla Cina «classica» (dalla dinastia Song – 960-1279 – a
quella Qing – 1644-1911).
Nella SEZIONE GIAPPONESE sono esposti a rotazione dipinti su rotoli e
xilografie, queste ultime per illustrare la corrente pittorica «ukiyo-e».
Si segnala inoltre una piccola raccolta archeologica, ottenuta grazie a
uno scambio con il Museo Nazionale di Tokyo, comprendente
ceramiche del periodo «Jomon» e alcuni esemplari di haniwa, risalenti
al periodo cosiddetto delle Grandi Sepolture.

S. ALFONSO DE’ LIGUORI. Oltre le vie dello Statuto (destra) e Lanza


(sinistra), aperte secondo il piano del 1873 per collegare via Cavour a
piazza Vittorio Emanuele II, via Merulana, ampliata nel 1930-32 sul
lato d., incontra, arretrata rispetto al filo stradale e sopraelevata,
questa chiesa, il primo esempio pubblico di «gothic revival»
nell’architettura religiosa romana, eretta nel 1855-59 su progetto di
George Wigley nella seicentesca villa Caetani e notevolmente
modificata nel 1898-1900 da Maximilian Schmalzl. La facciata, in
mattoni e travertino, si caratterizza per il grande arco ogivale che
include il rosone ed è preceduta da un protiro a tre ingressi aggiunto
nel 1898-1900.
L’INTERNO, con endonartece, è a navata unica con sei cappelle
per lato intercomunicanti; i soprastanti matronei risalgono, al pari
della ricca decorazione in marmi policromi, stucchi e pitture (queste
ultime di Eugenio Cisterna), ai restauri di fine ’800. All’altare
maggiore, veneratissima Madonna del Perpetuo Soccorso, tavola di
scuola cretese del sec. XIV.

VIA DI S. VITO, che costeggia il fianco sin. della chiesa ricalcando


il tratto terminale del «clivus Suburanus», conduce al cosiddetto arco
di Gallieno: si tratta effettivamente della ricostruzione augustea – a
tre fornici – della porta Esquilina delle mura Serviane (resta traccia del
fornice sin.), restaurata e dedicata all’imperatore e alla moglie nel
262; presenta paraste corinzie angolari sorreggenti l’attico ed è in
blocchi di travertino e marmo. Oltre l’arco, a sin., è la simpatica
fontanella del rione Monti (Pietro Lombardi, 1926).
All’arco si è addossata a sin. la chiesa dei Ss. Vito e Modesto,
detta anticamente in Macello dal «macellum Liviae» localizzato
nell’area di piazza Vittorio Emanuele II, che è ricordata a fine sec. VIII
e che fu ricostruita da Sisto IV; i restauri del 1973-77 hanno restituito
al luogo di culto l’aspetto tardo-quattrocentesco, cancellato dagli
interventi successivi (in occasione del Giubileo del 1900 ne venne
addirittura invertito l’orientamento creando un nuovo prospetto su via
Carlo Alberto in diretto rapporto col quartiere umbertino). La semplice
facciata a capanna accoglie il portale marmoreo di Sisto IV (1477); sui
fianchi sono state ripristinate le bifore goticheggianti tipiche
dell’epoca. Nell’interno ad aula absidata, dove sono state quasi del
tutto eliminate le decorazioni otto-novecentesche, i due insoliti altari a
edicola sono del ’400 (in quello a d., Cristo nel sottarco, la Vergine col
Bambino e santi, affresco attribuito ad Antoniazzo Romano e datato
1483); accanto, dietro una grata, è la pietra scellerata, che si riteneva
usata per il martirio dei Cristiani e che in realtà è un cippo romano con
iscrizione funeraria.

*S. MARIA MAGGIORE. Via Merulana sbocca in piazza di S. Maria


Maggiore, cinta fino al 1870 da poche e basse case e oggi da palazzi
umbertini (il palazzo del Pontificio Seminario Lombardo, al N. 5, è di
Attilio Spaccarelli, 1963-65). La basilica patriarcale, che occupa la
sommità del «Cispius» e che dà nome alla piazza (al centro è la
colossale – m 14.3 – colonna corinzia scanalata di marmo imezio,
proveniente dalla basilica di Massenzio, che Paolo V fece qui erigere
da Carlo Maderno nel 1614 a ‘pendant’ dell’obelisco sistino al capo
opposto di via Merulana; la sormonta la statua bronzea della Vergine
di Guillaume Berthélot e Orazio Censore, mentre la fontana è del
Maderno), è, come dice il nome, la più importante – e forse anche la
prima – chiesa romana dedicata alla Vergine.

LA STORIA. Fondata secondo una leggenda da papa Liberio ed


eretta nel luogo di una miracolosa nevicata (5 agosto 356: da qui le
denominazioni di Basilica Liberiana e di S. Maria ad Nives), sembra
che la costruzione attuale non sia anteriore a Sisto III, che la dedicò
alla maternità divina di Maria definita dal concilio di Efeso del 431. Gli
scavi del 1966-71 hanno rimesso in luce resti di un complesso, di età
augustea o ancora più antico, che venne in gran parte ricostruito in
epoca adrianea e costantiniana e sul quale s’imposta la basilica
attuale; le pareti degli ambienti disposti attorno a un grande cortile
porticato, cui si accede in corrispondenza dell’abside, conservano un
*calendario murale di fine sec. IV con scene relative ai lavori dei
singoli mesi.
Alla basilica del sec. V – a tre navate senza transetto, con abside
centrale e nartece, e coperta a capriate – Niccolò IV ricostruì più
arretrata l’abside, creando un transetto che fu decorato da affreschi (a
tale intervento risalgono i mosaici dell’abside e della facciata), il
cardinale Guglielmo d’Estouteville (seconda metà sec. XV) aggiunse le
volte sulle navi laterali, Alessandro VI il soffitto di quella centrale,
mentre nel ’500 vennero create le cappelle; Paolo V costruì il palazzo
a d. della facciata (1605), Clemente X fece sistemare esternamente la
parte absidale e Clemente XI iniziò l’edificio a sin., poi compiuto con la
nuova facciata da Ferdinando Fuga che restaurò anche l’interno.

IL PROSPETTO PRINCIPALE. Nel fronte del complesso, in laterizio e


travertino, il Fuga armonizzò fasi di epoche diverse: il prospetto a
cinque piani di aperture inquadrate dalla partitura a lesene del corpo a
d. (Flaminio Ponzio, 1605; lo stemma di Paolo V è retto da due angeli
di Nicolas Cordier e Ambrogio Buonvicino) fu replicato puntualmente
in quello a sin., già iniziato nel 1721 e compiuto nel 1743.
Nella nuova *FACCIATA (pianta →, A) della chiesa (1741-43), che fu
anteposta a quella originaria conservandone i mosaici, l’architetto
tenne conto degli allineamenti orizzontali delle due ali, sovrapponendo
al portico architravato la loggia a tre arcate. Il risultato è
scopertamente polemico rispetto all’analogo schema del prospetto di
S. Giovanni in Laterano, al concorso per la quale il Fuga aveva
partecipato: al severo gigantismo classicista di Alessandro Galilei
contrappose le proporzioni minute di un festoso barocchetto vibrante
di aggettivazioni plastiche. Le statue di santi e pontefici del
coronamento sono, da sin., di Carlo Monaldi, Agostino Corsini,
Giuseppe Lironi (Madonna), Bernardino Ludovisi e Carlo Marchionni;
più in basso, di Francesco Queirolo e Filippo Della Valle; quelle sui
timpani del portico di Michelangelo Slodtz, G.B. Maini, Pietro Bracci e
Pieter Antoon van Verschaffelt. Il campanile, eretto nel 1375-76 su
una base del sec. XI-XII e completato nella seconda metà del ’400 (la
cuspide piramidale fu aggiunta sotto Giulio II), è l’ultima e più
monumentale (altezza m 75) derivazione dal tipico modello romanico
laziale.
IL FRONTE RETROSTANTE. Costeggiando il fianco sin. della basilica
(nelle nicchie della cappella Paolina sono le statue dei Ss. Girolamo e
Luca del Valsoldo, di S. Matteo di Francesco Mochi e dei Ss. Mattia ed
Epafra di Stefano Maderno) lungo via Liberiana (il palazzo Cassetta al
N. 17 incorpora nel cortile resti del Patriarchìo liberiano, eretto a fine
sec. XII e in parte demolito da Paolo V per l’apertura della
perpendicolare via Paolina; su questa, al N. 25, è la casa Aletti di
Giuseppe Sommaruga, 1897-98), si raggiunge il PROSPETTO POSTERIORE
(Carlo Rainaldi, 1669-75; le statue sull’abside sono di Francesco
Fancelli), posto al sommo di una monumentale scalinata e affacciato
su piazza dell’Esquilino: al centro di questa Sisto V fece erigere da
Domenico Fontana nel 1587, in asse con la prima metà del rettifilo
della strada Felice →, il piccolo obelisco (m 14.8), imitazione romana
di quelli egizi, che, con il gemello ora in piazza del Quirinale, ornava
l’ingresso del mausoleo di Augusto.

IL PORTICO (accesso da piazza di S. Maria Maggiore). A destra è la


statua bronzea di Filippo IV di Spagna (Girolamo Lucenti, 1692), al
centro il portone in bronzo di Ludovico Pogliaghi, a sin. la Porta Santa;
i rilievi sulle altre porte sono del Lironi, del Maini, del Bracci e del
Ludovisi. Per la scala a sin. si sale alla LOGGIA (B), addossata all’antica
facciata di cui resta, molto restaurata, la decorazione con due serie di
*mosaici di Filippo Rusuti (firma; fine sec. XIII): sopra Cristo
benedicente, angeli e simboli degli evangelisti, la Madonna e i Ss.
Paolo, Iacopo, Girolamo, Battista, Pietro, Andrea e Mattia; sotto, i
coevi episodi della leggenda di papa Liberio e del patrizio Giovanni. Si
trovano qui i quattro angeli in marmo e bronzo dovuti al Bracci e
rimossi nel 1932 dal coronamento del baldacchino dell’altare
maggiore. Su un ripiano della scala, statua di Paolo V, bronzo di Paolo
Sanquirico.

L’INTERNO DI S. MARIA MAGGIORE è l’unico, tra quelli delle


basiliche patriarcali, ad aver conservato un aspetto abbastanza vicino
a quello originale: le maggiori alterazioni sono costituite
dall’accecamento di metà delle finestre, dalla ricostruzione arretrata
dell’abside e dall’interruzione dei colonnati con le due arcate in
corrispondenza delle cappelle Sistina e Paolina; l’intervento del Fuga
(1746-50) mascherò irregolarità e asimmetrie. Il grandioso impianto
(lunghezza c. m 85) è suddiviso in tre navate da 36 colonne
monolitiche di marmo dell’Imetto e quattro di granito, con capitelli
ionici che sostengono direttamente la trabeazione ornata di un fregio
a mosaico (sec. V); pavimento in parte cosmatesco (metà XII),
*soffitto a cassettoni, attribuito a Giuliano da Sangallo, con emblema
del toro di Alessandro VI, dorato, secondo la tradizione, con il primo
oro giunto dall’America.
NAVATA MEDIANA (C). A destra dell’ingresso (1), monumento di
Clemente IX di Carlo Rainaldi (1671): la statua del papa è di
Domenico Guidi, la Fede (d.) di Cosimo Fancelli, la Carità (sin.) di
Ercole Ferrata. A sinistra (2), monumento di Niccolò IV di Domenico
Fontana (1574; le statue sono di Leonardo Sormani). Lungo i muri
laterali, sopra la trabeazione, 36 *riquadri a mosaico (a d. storie di
Mosè e Giosuè, a sin. storie di Abramo, Isacco e Giacobbe) del tempo
di Sisto III, che, sebbene molto restaurati nel 1593 (rifatti quelli in
controfacciata), sono un prezioso documento dell’arte del basso
Impero. Al di sopra dei mosaici, tra le finestre, scene della vita della
Vergine, affreschi tardo-manieristi commissionati nel 1593. Il
*mosaico dell’arco trionfale, raffigurante fatti della venuta e
dell’infanzia di Gesù (al sommo dell’arco, trono di Cristo; a sin.,
dall’alto, Annunciazione, Epifania, Strage degli innocenti e
Gerusalemme; a d. Presentazione al tempio, Fuga in Egitto, I Magi
davanti a Erode e Betlemme), è pure dell’epoca di Sisto III
(iscrizione). La confessione (3) fu rifatta da Virginio Vespignani (1862-
64) per custodire in un’urna d’argento (Luigi Valadier) le reliquie della
culla di Betlemme; la statua di Pio IX è di Ignazio Jacometti (1883). Il
baldacchino (4) dell’altare maggiore, del Fuga, ha quattro colonne di
porfido di quello precedente, decorate con fronde di bronzo dorato da
Giuseppe Valadier (1823). Nell’ABSIDE (5), con finestre ogivali a
strombo (uno dei primi esempi di gotico a Roma), bellissimo
*mosaico, firmato da Jacopo Torriti (1295), raffigurante
l’Incoronazione di Maria tra il cardinale Giacomo Colonna (d.) e
Niccolò IV (sin.) tra due schiere di angeli e i Ss. Giovanni Battista,
Iacopo e Antonio (d.) e i Ss. Pietro, Paolo e Francesco (sin.); nel
fondo, motivo a girali con colombe e pavoni; al di sotto degli angeli e
dei santi, il fiume Giordano con barche e cigni; più sotto, tra le
finestre, episodi della vita di Maria del Torriti; all’esterno dell’arco
absidale, i 24 Seniori dell’Apocalisse (1930). Nella parte inferiore
dell’abside sono murati quattro *bassorilievi di Mino del Reame (c.
1474) dall’antico ciborio dell’altare papale; la Natività è di Francesco
Mancini. Nel 1931, con la demolizione della volta cinquecentesca, è
stato parzialmente rimesso in luce il transetto di Niccolò IV con i coevi
affreschi di *profeti entro clipei, attribuiti a Pietro Cavallini, Cimabue
o Giotto giovane.
NAVATA DESTRA. Nel BATTISTERO (6), opera del Ponzio (1605), è un
fonte, con vasca in porfido, su disegno di Giuseppe Valadier (1825); la
statua di S. Giovanni Battista, i festoni e i cherubini sono di Adamo
Tadolini; all’altare, Assunzione della Vergine, altorilievo di Pietro
Bernini (1608-1610); volta con affreschi del Passignano; a d.
dell’ingresso alla sagrestia, monumento di Odoardo Santarelli con bel
busto di Alessandro Algardi (c. 1640); sulla parete sin., busti di
Antonio Emanuele Ne Vunda (m. 1608) di Francesco Caporale e di
Benedetto XIII del Bracci (1724). L’adiacente SAGRESTIA (7), pure del
Ponzio, accoglie sulla volta e nelle lunette affreschi del Passignano;
alle pareti dei due ambienti attigui (8 e 9) sono murati altri rilievi di
Mino del Reame (la Madonna col Bambino è firmata) dall’antico ciborio
dell’altare maggiore, mentre sulla volta è il Transito della Vergine del
Passignano. Dal battistero si accede anche, a sin., alla CAPPELLA DEISS.
MICHELE E PIETRO IN VINCOLI (10), nella cui volta sono dipinti lacunosi
(evangelisti) attribuiti un tempo a Lorenzo di Viterbo e oggi a Piero
della Francesca; da qui si passa nel CORTILE (11), dov’è la colonna
commemorativa dell’abiura di Enrico IV di Francia (1596), a forma di
cannone e sormontata da un pregevole Crocifisso bronzeo. Segue,
nella navata, la CAPPELLA DELLE RELIQUIE (12), ristrutturata dal Fuga con
10 colonne di porfido rosso (1750). 4° altare (13): Annunciazione di
Pompeo Batoni (c. 1750). CAPPELLA SISTINA o del SS. Sacramento (14),
eretta da Sisto V per opera del Fontana (1584-87): a croce greca, con
due cappelline laterali e grande cupola centrale, è rivestita di marmi
provenienti dal Settizodio e affrescata sotto la direzione di Cesare
Nebbia e Giovanni Guerra (1587-89; restauro 1871); sull’altare
centrale, monumentale ciborio bronzeo a forma di tempietto (Ludovico
Del Duca, 1590) sostenuto da quattro angeli di Sebastiano Torrigiani;
per una scaletta si scende all’oratorio del Presepio, antica cappellina
rinnovata da Arnolfo di Cambio (c. 1290; suoi i Davide e Isaia nei
pennacchi dell’arco d’ingresso, il paliotto dell’altare, il pavimento
musivo e, in una nicchia dietro l’altare, i Magi, S. Giuseppe, il bue e
l’asino, mentre la Madonna col Bambino è del Valsoldo) e qui
trasportata nel 1590 dal Fontana; sulla parete d. della cappella,
monumento di Sisto V (1588-90) su disegno del Fontana (la statua del
papa è del Valsoldo; i cinque bassorilievi con scene del pontificato
dello stesso, di Nicolò Pippi e di Gillis de la Rivière) e, ai lati, S.
Francesco di Flaminio Vacca e S. Antonio di Pietro Paolo Olivieri; nella
parete di fondo, statue dei Ss. Pietro e Paolo del Valsoldo su disegno
di Prospero Bresciano; alla parete sin., monumento di S. Pio V (1586-
88) pure su disegno del Fontana (la statua del papa è del Sormani; i
cinque bassorilievi con scene del pontificato del Pippi e del de la
Rivière) e, nelle nicchie ai lati, S. Pietro martire del Valsoldo e S.
Domenico di G.B. Della Porta. Nell’attigua SAGRESTIA (15), lavabo
attribuito a Isaia da Pisa; i Paesaggi nelle lunette sono riferiti a Paul
Brill. Nel pavimento antistante alla cappella, pietra sepolcrale della
famiglia Bernini (vi è sepolto anche il celebre Gian Lorenzo). Sulla
parete d. in fondo alla navata (16), gotica *tomba del cardinale
Consalvo Rodriguez (m. 1299) firmata da Giovanni di Cosma; sopra,
nell’arcata trilobata, mosaico (Madonna con Bambino e santi) di
ambito cavalliniano.
NAVATA SINISTRA. *CAPPELLA PAOLINA o Borghese (17), ordinata da
Paolo V al Ponzio (1605-1611), che ripeté con maggior sfarzo lo
schema architettonico adottato dal Fontana per quella opposta e la
composizione dei sepolcri papali: gli affreschi nei pennacchi della
cupola (profeti e sibille) e nel lunettone sopra l’altare (Apparizione
della Madonna e di S. Giovanni evangelista a S. Gregorio taumaturgo)
sono del Cavalier d’Arpino; nella cupola, Vergine e apostoli del Cigoli
(1612); l’*altare, ricchissimo di pietre preziose, è di Pompeo Targone
su disegno di Girolamo Rainaldi e di G.B. Crescenzi (1613): sul
frontespizio, con angeli in bronzo del Berthélot, rilievo in marmo e
bronzo dorato (papa Liberio traccia la pianta della basilica) di Stefano
Maderno, al centro una corona di angeli di Camillo Mariani circonda
una Madonna su tavola del tipo romano orientalizzante (sec. XII-XIII)
già attribuita a S. Luca, ai lati dell’altare statue di S. Giovanni
evangelista e di S. Giuseppe del Mariani e del Buonvicino; alla parete
d. sepolcro di Clemente VIII del Ponzio (la statua del papa è di
Giacomo Silla Longhi; i bassorilievi con scene del pontificato sono: del
Buonvicino e del Mariani in basso; di Ippolito Buzio, Pietro Bernini –
sue le cariatidi – e del Valsoldo in alto) e, ai lati, Aronne e S. Bernardo
del Cordier; nel lunettone e nel sottarco, affreschi (Spirito Santo, Ss.
Cirillo, Pulcheria, Gertrude, Cunegonda, Giovanni Damasceno e
Ildefonso) di Guido Reni (1613); sulla parete sin. sepolcro di Paolo V
del Ponzio (la statua del papa è del Longhi; i bassorilievi con scene del
pontificato sono: in alto del Valsoldo, del Buzio e di Cristoforo Stati, in
basso del Maderno e del Buonvicino) e, ai lati, statue di David e di S.
Atanasio del Cordier; nel lunettone e nel sottarco, affreschi (Padre
Eterno, storie di Narsete, di Eraclio e i Ss. Francesco e Domenico) del
Reni (1613); nel sottarco d’ingresso, affreschi di Giovanni Baglione.
Nella SAGRESTIA (18), bella decorazione del Passignano; nell’adiacente
SALA DEL CAPITOLO (19), Madonna col Bambino, tavola di Domenico
Beccafumi, e Andata al Calvario, tavola del Sodoma (c. 1520). Segue,
lungo la navata, la solenne e scenografica CAPPELLA SFORZA (20;
restaurata nel 2004), a pianta ellittica con volta a vela e absidi laterali
tra colonne, eretta da Tiberio Calcagni e Giacomo Della Porta (1562-
73) su disegno di Michelangelo: Assunta del Sermoneta; gli affreschi
sopra l’altare e nel lunettone sono del Nebbia. ALTARE DI S. FRANCESCO
(21), con dipinto di Placido Costanzi. Regina Pacis, statua di Guido
Galli (1918; 22). ALTARE DI S. LEONE MAGNO (23) con dipinto di
Sebastiano Ceccarini. CAPPELLA CESI (24), aperta da Guidetto Guidetti
attorno al 1550: Decollazione di S. Caterina d’Alessandria del
Sermoneta (suoi anche gli altri affreschi); i due sepolcri Cesi ai lati
sono di Guglielmo Della Porta (1565). Al termine della navata,
monumento di Agostino Favoriti (25), con sculture di Filippo Carcani
(1685). Sopra la parte interna della Porta Santa (26), sepolcri dei
cardinali Filippo ed Eustachio De Levis (1489) nello stile di Giovanni
Dalmata.

VIA CARLO ALBERTO, che in asse con la facciata della basilica


ridiscende le pendici dell’Esquilino, è il secondo tratto della strada
Felice → che, allargato e livellato, divenne l’asse coordinatore
dell’urbanizzazione tardo-ottocentesca. Subito a sin., inglobata
nell’edificio del Pontificio Collegio Russicum (Antonio Muñoz, 1928-29)
e sull’area della romana basilica di Giunio Basso eretta nel sec. IV e
trasformata nella chiesa di S. Andrea cata Barbara nel successivo (i
cospicui resti furono cancellati nel 1929-30), è la chiesa di S. Antonio
Abate, fondata nel 1308 accanto all’omonimo ospedale (1263-66) e
ricostruita sotto Sisto IV nel 1481; la facciata, rifatta dal Muñoz nel
1932, conserva il magnifico *portale romanico, probabile opera
dell’ultimo dei Vassalletto, dell’antico luogo di cura (c. 1265), mentre
la scala a due rampe fu aggiunta dopo il 1870.

L’ELEGANTE INTERNO a tre navate, frutto del rifacimento del 1730


c., si presenta adattato alle esigenze del culto orientale (la chiesa è
officiata dai Russi cattolici di rito bizantino slavo). All’inizio della
navata d. è la cappella di S. Teresa (Domenico Fontana, c. 1583), con
stucchi settecenteschi e iconostasi: gli affreschi del tamburo della
cupola sono di Nicolò Circignani (c. 1585). Nell’abside della nave
centrale Crocifissione, affresco di Giovanni Odazzi. Alla parete di quella
sin., frammenti di rilievi del sec. IX rinvenuti nel 1930 e pertinenti alla
distrutta S. Andrea cata Barbara.

L’EX ACQUARIO ROMANO. Via Cattaneo, che costeggia il fianco d.


del collegio, conduce, oltre via Napoleone III, in piazza Fanti, nel cui
giardino, oltre ai resti dell’«agger» delle mura Serviane (per
l’inquadramento →), si trova l’edificio eretto da Ettore Bernich nel
1884-85 come stabilimento-scuola di piscicoltura e struttura
espositiva. L’interessante tipologia accosta alla monumentalità
archeologizzante le novità dell’«architettura del ferro»: l’esterno è una
disinvolta contaminazione tra un ninfeo e un anfiteatro, mentre lo
spazio interno (visita in occasione di mostre) si presenta come una
scenografia ‘pompeiana’ di fine ’800, con ossatura a colonne di ghisa
su due ordini, copertura a lucernario, decorazione pittorica e ricco
pavimento musivo.

PIAZZA VITTORIO EMANUELE II, dove via Carlo Alberto esce


superati al N. 45 altri resti dell’«agger» serviano e la facciatina
eclettica della chiesa dei Ss. Vito e Modesto →, è la più vasta (m
316x174) di Roma e la più rappresentativa di quelle realizzate
dall’urbanistica umbertina secondo il modello delle «square» inglesi
(forma rettangolare, giardino centrale e, ai lati, edifici residenziali di
tono monumentale); l’unicità di questa, nota a Roma come piazza
Vittorio, è data pure dai portici colonnati che la circondano, una
tipologia architettonico-urbanistica riproposta in questo ‘quartiere
piemontese’ anche a ricordo di Torino prima capitale del regno. Sulla
piazza, prevista dal piano regolatore del 1873, convergono 13 strade,
di cui quelle del lato SE riecheggiano il tridente della tradizione
romana rinascimentale; il trasferimento (1902) del più grande mercato
della città ne avviò la decadenza, accentuatasi nel dopoguerra e
culminata con la demolizione (1971) di uno dei palazzi porticati
costruiti nel 1882-87.
Nel giardino al centro, ornato dal gruppo scultoreo (tritoni, delfino
e piovra) già sulla fontana delle Naiadi, s’individuano a sin. i trofei di
Mario, grandiosi resti in laterizio, cosi chiamati dalle panoplie
marmoree di età domizianea (ora sulla balaustra del Campidoglio) che
ne ornavano le arcate superiori, appartenenti a una fontana eretta da
Alessandro Severo nel 226 con funzione di castello di distribuzione
idrica; il monumento costituì il modello per le fontane «a facciata»
della Roma tardo-rinascimentale e barocca. A sinistra dei ruderi è
stata ricomposta la *Porta magica, curiosità ‘ermetica’ creata dal
marchese Massimiliano Di Palombara nel 1680 nella sua villa: sugli
stipiti, simboli alchemici e sentenze in ebraico e latino relativi alla
formula della fabbricazione dell’oro; ai lati della porta sono state
collocate due statue del dio Bes rinvenute negli sterri del Quirinale nel
1888.

LA CHIESA DI S. EUSEBIO, inclusa nel primo isolato sul lato NE della


piazza, è una delle più antiche di Roma (il «titulus» è ricordato dal
sec. V). La facciata, rimasta sopraelevata in seguito agli sbancamenti
per l’apertura della piazza, presenta la forma moderatamente
‘borrominiana’ conferitale nel 1711 da Carlo Stefano Fontana (il
nascosto campanile romanico a tre ordini di trifore risale al tempo di
Onorio III). L’interno conserva l’impianto della chiesa romanica
costruita nel 1238 da Gregorio IX, sebbene completamente
trasfigurato dai rifacimenti del 1600 (Onorio Longhi) e del 1759; le
navate laterali sono state pesantemente ridecorate, con l’aggiunta di
altari, tra fine ’800 e inizi ’900. Nella volta lunettata della nave
centrale, Gloria di S. Eusebio, affresco di Anton Raphael Mengs
(1759). All’altare maggiore, su disegno del Longhi, Madonna col
Bambino attribuita a Pompeo Batoni. Il coro (1600) presenta pregevoli
stalli e un leggio in noce riccamente scolpiti: alla parete d., Madonna e
santi di Baldassarre Croce. Dalla sagrestia si può vedere, dell’antico ex
convento, l’elegantissimo CHIOSTRO in laterizio, a due ordini di arcate e
con fontana centrale, ascritto a Domenico Fontana (1588).

VERSO S. BIBIANA. Dal fondo della piazza s’imbocca a sin. via


Lamarmora, che, costeggiato a d. un fianco del palazzo dell’Istituto
Poligrafico e Zecca (1911; il prospetto principale è sulla perpendicolare
via Principe Umberto), termina in piazza Pepe, qualificata dalle sei
maestose arcate in laterizio (c. 226) dell’acquedotto che alimentava i
trofei di Mario (v. sopra); a d. è la facciata del teatro Jovinelli, eretto
nel 1909 in vistose forme liberty.
Si piega a d. in via Giolitti, incontrando a sin., in un contesto
sconvolto dal terrapieno ferroviario e dagli edifici della stazione di
Termini →, la chiesa di *S. Bibiana (restauro 1961-64), minuscola
basilica paleocristiana (sec. IV-V) trasformata nei primissimi tempi del
barocco da Gian Lorenzo Bernini (1624-26; ne costituisce il debutto
architettonico). Sul portico a tre arcate tra paraste ioniche (triplicate al
centro) della facciata s’imposta la loggia centrale, inquadrata dal
nicchione rettangolare – a sua volta sormontato da timpano – e
fiancheggiata da due ali, a coronamento orizzontale con balaustra,
ognuna aperta da una finestra; la soppressione della breve scalinata
alla base, l’eliminazione dello stemma papale nel timpano e il
tamponamento della loggia ne hanno alterato l’immagine.

L’INTERNO, cui si accede dall’atrio per portali tardo-manieristi, è a


tre navate divise da otto colonne di spoglio, con capitelli corinzi e
compositi tardo-antichi sui quali corre la trabeazione; conserva
l’impianto della costruzione di Onorio III (1224), mentre a Bernini si
devono la chiusura delle finestre della navata centrale, la ricostruzione
della parte absidale e l’aggiunta delle due cappelle ai lati (le altre due
nelle navatelle furono costruite a fine ’600 – sin. – e nel 1702 – d.). A
sinistra del portale centrale è la colonna tradizionalmente ritenuta del
martirio della santa; gli angeli musicanti in controfacciata sono di
Agostino Ciampelli. Alle pareti della nave mediana, episodi della vita di
S. Bibiana del Ciampelli (d.) e di Pietro da Cortona (sin.). L’altare
maggiore, su disegno di Bernini, racchiude una preziosa vasca in
alabastro di età costantiniana che accoglierebbe i resti delle tre
martiri: nell’edicola *statua di S. Bibiana di Bernini (1624-26). La pala
(S. Dafrosa) della cappella a d. dell’abside è del da Cortona, quella (S.
Demetria) della cappella a sin. del Ciampelli.

IL COSIDDETTO *TEMPIO DI MINERVA MEDICA. Avanti in via Giolitti, si


delineano con più precisione i poderosi resti, oggi avviliti tra la ferrovia
e le case moderne, di questa straordinaria architettura tardo-antica
che per concezione spaziale e audacia strutturale annuncia gli sviluppi
bizantini e che ha costituito un modello per le strutture rinascimentali
e barocche. La grande aula, databile a inizi sec. IV e facente parte
degli «horti Liciniani» sebbene se ne discuta ancora la destinazione,
deriva il nome dal ritrovamento nei pressi di una statua della dea con
il serpente (ora ai Musei Vaticani); a pianta decagonale, con i lati che
si espandono in profonde nicchie absidate sopra le quali si aprono
finestroni ad arco, era coperta da un’ardita cupola emisferica in
calcestruzzo con ossatura di costoloni in laterizio (in gran parte
crollata nel 1828) ed era rivestita di intonaco, marmi e mosaico.
VERSO S. CROCE IN GERUSALEMME. Percorrendo via Pietro Micca,
che si stacca a d. di via Giolitti in corrispondenza del tempio (i palazzi
che vi affacciano sono un esempio di edilizia popolare estensiva di inizi
’900), e voltando a d. in via di Porta Maggiore, che riprende il tratto
urbano dell’antica via Labicana, si raggiunge viale Manzoni, concepito
con il piano regolatore del 1873, che ricalca parte del percorso di
origine classica dal Colosseo a porta Maggiore. Lungo di esso si
prosegue a sin., incrociando a sin. via Luzzatti; al N. 2B di questa è
l’accesso all’ipogeo degli Aureli (visita a richiesta alla Pontificia
Commissione di Archeologia Sacra), scoperto nel 1919: le pitture
(prima metà sec. III) che decorano l’interno sono ispirate al
sincretismo pagano-cristiano (medaglioni col Buon Pastore, Ritorno di
Ulisse a Itaca, Gerusalemme celeste ecc.).
Poco oltre viale Manzoni incrocia il rettifilo della strada Felice (→;
all’angolo d. è l’Istituto tecnico industriale Galileo Galilei, su progetto
di Marcello Piacentini): il tratto di sin., lungo il quale si continua, ha il
nome di via di S. Croce in Gerusalemme, dalla basilica cui conduce (ne
è visibile, al fondo, il portale), ed è fiancheggiato a d. dagli anonimi
intensivi che negli anni ’60 del sec. XX hanno sostituito le casette a
schiera di inizi secolo e a sin. da villini dei primi anni ’20. S’interseca
via Statilia, il cui tratto di sin. corrisponde al segmento finale
dell’antico percorso dal Colosseo a porta Maggiore: le superbe arcate
che s’innalzano nell’area verde appartengono all’acquedotto
Neroniano, costruito dall’imperatore come diramazione
dell’acquedotto Claudio → per alimentare la Domus Aurea e il ninfeo
del tempio del Divo Claudio, prolungato da Domiziano fino al Palatino
e restaurato da Settimio Severo; altri resti sono racchiusi nel giardino
di villa Wolkonsky, creata dal gusto romantico della principessa russa
Zenaide che vi abitò nel 1829-62 (nel parco è anche il colombario di
Tiberio Claudio Vitale, seconda metà sec. I; visita a richiesta
all’ambasciata britannica in via XX Settembre).
*S. CROCE IN GERUSALEMME. Lasciato a d., entro un recinto e
sotto una tettoia moderna in angolo con via Statilia, un gruppo di
sepolcri tardo-repubblicani che furono scoperti nel 1916 lungo l’antica
via Celimontana, si costeggiano sul lato opposto i blocchi uniformi
delle case della Cooperativa Ferrovieri (1905-1908), sboccando nella
piazza che prende nome dalla basilica, una delle più insigni della
Cristianità per antichità di fondazione e per le reliquie veneratevi, ma
notevole anche per la struttura architettonica che, sebbene modificata
all’interno, risale a metà sec. IV.

LA STORIA. L’area dove sorse la chiesa fu occupata nella prima


metà del sec. III da una villa imperiale, iniziata da Settimio Severo e
compiuta da Elagabalo, che comprendeva, oltre al palazzo imperiale
(«Sessorium», da «sedeo», risiedere), un piccolo anfiteatro e un circo;
agli inizi del secolo successivo il «palatium Sessorianum» fu residenza
privata dell’imperatrice Elena, madre di Costantino, che probabilmente
dedicò al culto cristiano un ambiente dell’edificio: qualche decennio
più tardi un atrio di questo fu trasformato in basilica cristiana (da qui i
nomi di Basilica Eleniana o Sessoriana). L’aula rettangolare (c. m
36.50x22), in origine aperta sui lati maggiori da archi su pilastri che
furono murati per isolarla dal complesso, fu suddivisa in tre navate
longitudinali e dotata di nartece, del campanile e di un chiostro da
Lucio II (1144-45), e modificata nel ’400 e nel ’500; il complesso ebbe
però l’aspetto definitivo solo sotto Benedetto XIV (1743), quando
Domenico Gregorini e Pietro Passalacqua trasformarono la navata
centrale e sostituirono il nartece con un atrio ellittico sul quale fu
apposto il nuovo prospetto di travertino..

LA *FACCIATA, uno dei capolavori del barocchetto romano,


esplode, tra le ali ‘neutre’ del convento, con l’impianto concavo-
convesso di ascendenza borrominiana, a ordine unico di paraste
corinzie, e culmina, oltre il timpano curvilineo, nell’aereo fastigio tra le
statue degli evangelisti, Elena e Costantino; la parte centrale s’inflette
all’esterno sotto la pressione dell’*ATRIO ellittico (pianta, 1), che è
composto da un vano centrale con cupoletta, delimitato da pilastri
affiancati dalle colonne del precedente nartece, e da un ambulacro
anulare. Sulla destra si leva il campanile romanico in laterizio, con
quattro piani di bifore accoppiate, che fu eretto al tempo di Lucio II.

L’INTERNO è suddiviso in tre navate da 12 antiche e colossali


colonne di granito, quattro delle quali furono inglobate nei pilastri
della trasformazione settecentesca; a questo intervento si debbono le
paraste che interrompono il ritmo della trabeazione, la ricca
decorazione a stucchi e il soffitto ligneo voltato a botte, nel quale si
aprono i sei lunettoni in sostituzione delle finestre originali (al centro,
la Vergine presenta S. Elena e Costantino alla Trinità, tela di Corrado
Giaquinto, 1744). Il *pavimento cosmatesco è stato restaurato nel
1933. Ai lati dell’ingresso principale, due acquasantiere marmoree di
fine sec. XV. PRESBITERIO. Ciborio settecentesco (2), con fastigio
marmoreo e angeli in bronzo dorato, posto sulle colonne di quello del
1148. Sotto l’altare maggiore, urna di basalto, con protomi leonine,
racchiudente i corpi dei Ss. Cesareo e Anastasio. Nella volta,
Apparizione della Croce del Giaquinto (c. 1744). ABSIDE. *Sepolcro del
cardinale Francesco Quiñones (1536; 3) di Jacopo Sansovino; al di
sopra, tabernacolo in marmo e bronzo dorato su disegno di Carlo
Maderno (a d. statua di David, a sin. Salomone); ai lati, affreschi del
Giaquinto (1749-51) raffiguranti Il serpente di bronzo e Mosè fa
scaturire l’acqua dalla rupe; tra quest’ultimo e il tabernacolo, sepolcro
del cardinale Bernardino Carvajal, del 1523 ma di forme
quattrocentesche. Nel semicatino, *Invenzione della Santa Croce per
opera di S. Elena e suo recupero per opera di Eraclio e, nell’alto,
Cristo benedicente tra cherubini, affresco attribuito ad Antoniazzo
Romano (c. 1492). NAVATA DESTRA. 2° altare (4): S. Bernardo umilia
l’antipapa Vittore IV a Innocenzo II di Carlo Maratta (1660-65). 3° (5):
Visione della madre di S. Roberto di Raffaello Vanni. Per una
cordonata di fine ’400 si scende alla CAPPELLA DI S. ELENA (6), di
fondazione costantiniana: nella volta, mirabile *mosaico (al centro
Gesù benedicente con attorno gli evangelisti; negli spazi tra gli ovali,
quattro storie della Croce; nei sottarchi, santi e simboli della
Passione), rifacimento rinascimentale, attribuito a Melozzo da Forlì (c.
1484) o a Baldassarre Peruzzi (c. 1510), dell’originale di Valentiniano
III. All’altare, statua romana trasformata in S. Elena con l’aggiunta
della croce e il rifacimento della testa e delle braccia. Sotto il
pavimento sarebbe sparsa la terra del Calvario, che la santa avrebbe
portato con le reliquie della passione di Gesù (da qui l’appellativo in
Gerusalemme). L’adiacente CAPPELLA GREGORIANA (7) fu costruita dal
cardinale Carvajal nel 1520: all’altare, rilievi con Pietà (inizi sec. XVII).
Per un’altra cordonata si sale nuovamente al presbiterio, dov’è
l’ingresso alla CAPPELLA DELLE RELIQUIE, inaugurata nel 1930 e completata
nel 1952: vi sono custodite le reliquie della Santa Croce (tre pezzi del
legno in un reliquiario di Giuseppe Valadier, un chiodo e parte del
titolo); in un vano adiacente un Museo racchiude gli *affreschi (metà
sec. XII) che ornavano la parte superiore delle pareti della navata
centrale, scoperti nel 1913, staccati e restaurati nel 1968, nonché una
Crocifissione di scuola giottesca e due statuette dei Ss. Pietro e Paolo
di scuola francese del ’300, codici miniati e arredi legati ai Cistercensi.
NAVATA SINISTRA. 3° altare (8): S. Silvestro e Costantino di Luigi Garzi
(1675). 1° (9): Incredulità di S. Tommaso di Giuseppe Passeri (c.
1675).

DEL VASTO CONVENTO, che venne fondato da Benedetto VII (c.


980) in parte sull’Anfiteatro Castrense → e ampliato nel ’500 dal
cardinale Carvajal e nel 1743 da Benedetto XIV, restano il bellissimo
SALONE DELLA BIBLIOTECA SESSORIANA (Sebastiano Cipriani, 1724), con
volta affrescata da Giovanni Paolo Pannini (1724-27), e il monumento
a Benedetto XIV di Carlo Marchionni (1743).

I ‘DINTORNI’ DELLA BASILICA. L’oratorio di S. Maria del Buon Aiuto,


a ridosso dell’Anfiteatro Castrense e presso i fornici aperti nelle mura
Aureliane, fu eretto da Sisto IV nel 1476; nell’interno è un affresco
riportato (Madonna col Bambino) attribuito ad Antoniazzo Romano.
L’area a sin. della basilica, espropriata dopo il 1870 e occupata
dalla caserma Principe di Piemonte, accoglie invece tre istituzioni: il
Museo storico della Fanteria (ingresso al N. 9; t. 067027971),
sistemato nel 1959, con rassegna documentaria dall’epoca preromana
al Risorgimento e alle due guerre mondiali (nel retrostante giardino
sono i grandiosi resti del cosiddetto tempio di Venere e Cupido dell’età
di Massenzio e quelli, rinvenuti nel 1959, del Circo Variano, eretto da
Elagabalo); il *Museo nazionale degli Strumenti Musicali
(ingresso al N. 9A; t. 067014796), istituito nel 1974, che raccoglie c.
3000 pezzi dall’antichità al sec. XIX in gran parte provenienti dalla
collezione di Evan Gorga (spiccano una tromba del 1461, «cornamuti
torti» del 1524, il clavicembalo costruito a Lipsia nel 1537, l’arpa
Barberini e il *pianoforte di Bartolomeo Cristofori costruito nel 1722);
il Museo storico dei Granatieri di Sardegna (t. 067028287), che
espone cimeli, ricordi e documenti storici, dipinti, sculture e armi della
brigata dal 1659 al 1945.

3.4 I RIONI CASTRO PRETORIO, SALLUSTIANO E LUDOVISI

L’arco del settore nord-orientale della città compreso tra le mura


Serviane e il recinto aureliano mantenne per più di due millenni un
carattere estensivo, contrassegnato da grandi infrastrutture e vaste
aree verdi: in età classica vi spiccavano gli «horti Sallustiani» e i
«Castra Praetoria», mentre la viabilità era assai rada, con l’asse
principale costituito dall’«Alta Semita» e dal «vicus Portae Collinae» (le
attuali vie del Quirinale e XX Settembre) da cui si staccava la via
«Salaria Nova». Nel periodo medievale l’area fu scarsamente popolata
in quanto distante dal nucleo urbano sulle sponde del Tevere, e rari
furono anche gli insediamenti religiosi; dal Cinquecento cominciarono
a sorgere le ville del patriziato (Valenti Gonzaga poi Bonaparte,
Ludovisi), sviluppatesi soprattutto nei due secoli successivi ma
cancellate dall’urbanizzazione tardo-ottocentesca, cui si accompagnò,
nel primo trentennio del Seicento, la consacrazione delle chiese di S.
Paolo (poi S. Maria della Vittoria), di S. Isidoro e di S. Maria della
Concezione.
I tre rioni che su questa area insistono furono edificati dopo il
1870 e distaccati nel 1921 dai rioni Monti, Trevi e Colonna. Il primo fu
realizzato – assieme alla nuova sede del Ministero delle Finanze in via
XX Settembre, che Quintino Sella volle come ‘asse direzionale’ della
capitale favorendovi l’insediamento di numerosi altri ministeri –
secondo le previsioni del piano regolatore del 1873, con uno schema a
scacchiera con piazza centrale affine a quello dell’Esquilino, anche se
qui agli intensivi si affiancarono i villini destinati alla medioalta
borghesia e ai corpi diplomatici; gli altri sorsero invece dal 1885 fuori
del piano del 1883 e furono prevalentemente riservati all’alta
borghesia, all’aristocrazia vecchia e nuova e, soprattutto lungo via
Veneto, al turismo di lusso, caratterizzandosi, oltre che per i villini
signorili, per i palazzi nobiliari (Boncompagni), per l’edilizia alberghiera
e, nei primi decenni del Novecento, per le sedi di rappresentanza. La
costruzione dei rioni fu conclusa ai primi del XX secolo (entro il 1930
furono riempite le ultime aree libere), mentre a seguito del piano del
1931 furono aperti i collegamenti da via Veneto e da piazza Barberini
a piazza di S. Bernardo (le odierne vie Bissolati e Barberini). Nel
secondo dopoguerra, e fino agli anni ’70, l’alto valore delle aree ha
favorito il maggior numero di sostituzioni edilizie della Roma
umbertina, a spese soprattutto dei villini, con risultati tanto più
estranei al contesto quanto più sono di alta qualità (edificio
polifunzionale in via Sardegna).
L’itinerario (pianta alle →-557) si presenta dunque come un
‘excursus’ attraverso l’architettura romana del Novecento,
rappresentata dai più affermati professionisti non solo locali, anche se
non mancano testimonianze notevoli di epoca classica («Castra
Praetoria»; «horti Sallustiani») e barocca (casino dell’Aurora; chiese di
S. Isidoro e di S. Maria della Concezione).

VIA MARSALA, che inizia dall’angolo N di piazza dei Cinquecento


→, corrisponde all’antica via di Porta S. Lorenzo o Angelica aperta da
Sisto V; costeggiava un tempo il lato E della villa del papa e oggi il
fianco sin. della stazione di Termini.

IL TEMPIO VOTIVO DEL SACRO CUORE DI GESÙ. Percorrendola per


breve tratto si raggiunge la prima nuova parrocchiale di Roma
capitale, voluta da Pio IX ma iniziata solo nel 1879 sotto Leone XIII,
che ne affidò la costruzione a don Giovanni Bosco, e compiuta nel
1887. Sulle indicazioni del prelato Francesco Vespignani modificò il
progetto iniziale prolungando la chiesa di quasi 30 m: l’architettura
neorinascimentale è concepita in forme scolastiche, soprattutto nella
facciata – tripartita e in travertino – e nel campanile, sormontato dalla
caratteristica statua del Redentore in rame dorato (1931). L’interno, a
tre navate con colonne di granito di Baveno e transetto con cupola, è
completamente rivestito di marmi, stucchi, dorature e pitture: a
Virginio Monti si debbono quelle nei soffitti lignei riccamente intagliati,
nella cupola e nei cupolini delle navi laterali; a Cesare Caroselli quelli
dei pennacchi, degli arconi e delle pareti. All’inizio della navata d.,
statua marmorea di Pio IX di Francesco Confalonieri. I tre altari
principali sono composti con elementi seicenteschi provenienti da
chiese demolite (su quello maggiore è la pala col Sacro Cuore di Franz
von Rohden); nel catino dell’abside, creata nel 1968-69 isolando il
coro (dove è conservato il S. Stefano d’Ungheria di Antonio Concioli),
affresco di Carlo Mariani. In sagrestia, Angelo custode del Borgognone
e Assunta di Orazio Borgianni.

Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:


sinistra, destra, sinistra e destra.

VERSO I «CASTRA PRAETORIA». Dallo stesso angolo di piazza dei


Cinquecento inizia via Solferino, che, assieme al suo proseguimento
(via S. Martino della Battaglia), costituisce uno dei due assi generatori
della maglia pseudo-ortogonale del rione Castro Pretorio. La strada si
allarga in piazza dell’Indipendenza, centro del quartiere umbertino,
che, disegnata dal piano del 1873, fu caratterizzata dalla tipologia a
villini nelle consuete forme dell’eclettismo; le sostituzioni, effettuate
soprattutto nel secondo dopoguerra, l’hanno pesantemente
trasformata: nell’ambito di tali interventi si colloca il palazzo della
Federconsorzi (Aldo Della Rocca, Ignazio Guidi, Enrico Lenti e Giulio
Sterbini, 1952-57) qualificato dal *fregio bronzeo (Lavoro dei campi)
di Pericle Fazzini, mentre della precedente edilizia resta il villino
Monteverde (numeri 8-10).
Si prosegue lungo via S. Martino della Battaglia, che costeggia a
d. un prospetto in tufo e travertino, di accigliato stile littorio, del
cosiddetto palazzo dei Marescialli (c. 1930) e, in angolo con via
Palestro, il coevo edificio razionalista dell’Istituto tecnico commerciale
Duca degli Abruzzi.
I «CASTRA PRAETORIA». Al termine si sbocca in viale Castro
Pretorio, che ha tagliato la parte O del vasto rettangolo (m 440x380)
della caserma costruita da Tiberio (21-23) tra le antiche Vie
Nomentana e Tiburtina per concentrarvi la guardia permanente
dell’imperatore.

L’ORGANIZZAZIONE DEL COMPLESSO E IL SUO ‘RIUTILIZZO’. All’interno


dell’area, cui si accedeva da quattro aperture (una su ciascun lato; tre
di esse furono poi inglobate nelle mura Aureliane), le differenti
strutture erano disposte secondo un impianto ortogonale intorno alla
sede del comando («Praetorium»); alle esercitazioni militari era
destinato il «campus» tra il recinto e le mura Serviane, oggi occupato
dal moderno quartiere.
Nel recinto, coperto da vigne nel Medioevo e nel ’700 sede della
villa del Noviziato dei Gesuiti, venne eretta nel 1862-65 la caserma
Macao, poi passata allo Stato italiano. Sulla zona restante è stata
costruita (1965-75) la nuova sede della Biblioteca nazionale
centrale Vittorio Emanuele II, concepita da Massimo Castellazzi,
Tullio Dell’Anese e Annibale Vitellozzi secondo un rigoroso
funzionalismo e nel linguaggio dell’«international style»; l’istituzione,
fondata nel 1875 con il materiale della biblioteca del Collegio Romano
e di quelle di 69 congregazioni religiose, possiede il diritto di stampa
per tutto il territorio nazionale: da ciò derivano gli oltre 4500000
volumi (numerosi i fondi) e opuscoli, 6500 manoscritti, 1935
incunaboli, 27000 periodici (8500 correnti e 2000 giornali).

VERSO VIA XX SETTEMBRE. Si percorre il segmento di sin. di viale


Castro Pretorio, la cui quinta edilizia è composta dal palazzo del
Consorzio nazionale per il Credito Agrario di Miglioramento di
Clemente Busiri Vici (N. 118; 1950) e, oltre via Gaeta, dal
monumentalistico palazzo già della società Pirelli (1939-46). S’imbocca
ancora a sin. via Gaeta, una delle strade del rione che meglio ne
rappresenta il carattere ‘misto’ (il lato d. è a villini, quello sin. a
intensivi). All’incrocio con via Palestro, si prende quest’ultima in
direzione NO e si lascia a sin. via Cernaia, su cui affaccia in angolo con
via Castelfidardo l’eclettica chiesa del SS. Rosario di Pompei (Pio
Piacentini, 1889-98) con singolare trattamento ‘decorativo’ dei laterizi
esterni. Si sbocca in via XX Settembre (per l’inquadramento storico
→), avendo di fronte villa Bonaparte, più nota come Paolina dalla
sorella di Napoleone che l’acquistò nel 1816. Di origine
cinquecentesca, fu trasformata a metà ’700 dal cardinale Silvio Valenti
Gonzaga (venne allora eretto il CASINO, attribuito a Paolo Posi e
decorato da Giovanni Paolo Pannini) e mutilata di buona parte del
parco dalle lottizzazioni otto-novecentesche.

IL PALAZZO DELL’AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA (Basil Spence,


1968-71) si dispone sul breve tratto della via verso porta Pia →,
occupando l’area dell’ex villa Torlonia già Costaguti. La forte presenza
dell’architettura michelangiolesca della porta e la peculiarità del tema
hanno spinto verso una soluzione ‘monumentale’, del tutto inusuale
per quegli anni, che intende reinterpretare in chiave moderna i canoni
del manierismo: il blocco stereometrico sospeso su pilastri, con
scalone esterno a due rampe e cortile centrale, si qualifica per il
progressivo aggetto dei piani e del coronamento, cui corrisponde un
intensificarsi dei ritmi dei pieni (rivestiti di travertino) e dei vuoti delle
aperture arretrate.

IL PALAZZO DEI MINISTERI DEL TESORO E DEL BILANCIO. Via XX


Settembre si dirige verso il centro e, oltre l’incrocio a d. con via Piave,
che ricalca l’antica via di Porta Salaria (sulla d. è la neogotica chiesa
del Sacro Cuore di Gesù, che Aristide Leonori realizzò nel 1914-16 con
anomala facciata-portico e interno a tre navate con matronei
sontuosamente decorato), è segnata sul lato opposto dal palazzo dei
Ministeri del Tesoro e del Bilancio, il primo di Roma capitale
costruito ex novo (Raffaele Canevari, 1872-78) come sede del
Ministero delle Finanze, che si articola in un corpo principale e in due
lunghe ali, arretrate rispetto al fronte e concluse da quattro ‘torri’
angolari sormontate da altane; all’imponenza delle dimensioni si
unisce una programmatica austerità di forme e di materiali, con un
limitato impiego di travertino. Il frontone sulla via reca un gruppo
allegorico di Pietro Costa, mentre quello ‘gemello’ sulla retrostante via
Cernaia → è decorato da un gruppo (Agricoltura e Industria) di Ercole
Rosa; su questo lato sono anche i monumenti a Quintino Sella (Ettore
Ferrari, 1893) e a Silvio Spaventa (Giulio Tadolini, 1898).

INTERNO. Le sale furono decorate da alcuni dei migliori pittori


dell’epoca (la SALA GIALLA ha affreschi di Cesare Mariani). Al piano terra
è stato allestito nel 1961 il Museo numismatico della Zecca Italiana
(ingresso al N. 97 di via XX Settembre; t. 0647613317;
www.museozecca.ipzs.it): nel VESTIBOLO sono illustrate le tecniche di
coniazione antiche e moderne (in un ambiente a d. è una selezione di
medaglie dei più noti artisti dei sec. XIX e XX), il SALONE è suddiviso in
due gallerie che accolgono le medaglie annuali pontificie da Martino V
a oggi e la collezione di monete italiane dal 1861 all’epoca
contemporanea, cui si accompagnano c. 400 cere di Camillo Pistrucci.

GLI «HORTI SALLUSTIANI». In asse con l’ingresso al ministero su via


XX Settembre si stacca via Sella, che, tra tipici edifici otto-
novecenteschi, giunge a intersecare via Sallustiana. Il tratto di d. di
quest’ultima porta in piazza Sallustio, al centro della quale, dalla
profondità di 14 m che dà l’idea dell’innalzamento di livello della zona
dopo l’età classica, sorgono i grandiosi resti, molto ben conservati,
degli «horti» appartenuti a Cesare e a Caio Sallustio Crispo e passati
con Tiberio al demanio imperiale. Le costruzioni, in gran parte rifatte
sotto Adriano e restaurate da Aureliano, furono assai danneggiate
dall’invasione di Alarico: se ne riconosce la *SALA CIRCOLARE, forse una
«coenatio» estiva (la singolare cupola interna è a spicchi piani e
concavi alternati) circondata da ambienti con tracce di pitture e
mosaici (c. 130).
Proseguendo invece per via Sella oltre via Sallustiana, si possono
osservare due significativi esempi contemporanei (1903) dell’edilizia
signorile che contraddistingue la zona: ai numeri 63-65 il villino
Bencini di Giulio Podesti; al N. 60 il villino di Rudinì, di Ernesto Basile,
dalla raffinata decorazione liberty.

IL «QUARTIERE DELLE REGIONI». Si prosegue per via XX Settembre


sino all’incrocio a sin. con via Pastrengo, dove è il palazzo già dei
Magazzini CIM più noto come «Palazzo di vetro», versione razionalista
(1939-42) della tipologia del palazzo della Rinascente in largo Chigi.
Sul lato opposto di via XX Settembre (il cui tratto successivo è
descritto da →) è il palazzo del Ministero dell’Agricoltura e Foreste
(1908-1914), a d. del quale scende via Salandra. Oltre lo sbocco di
questa in via Carducci (all’epoca dell’apertura della strada risale il
rinvenimento e il taglio del tratto di mura Serviane – per
l’inquadramento → – riferibile alla fase più antica della costruzione,
oggi inglobato negli edifici), si continua in via Piemonte, una delle più
rappresentative del signorile «quartiere delle Regioni», che offre un
campionario completo degli stili architettonici adottati dall’eclettismo.
Si lascia a d. la neoromanica chiesa di S. Camillo de Lellis (Tullio
Passarelli, 1906-1910) e tra lussuosi villini tra ’800 e ’900 si sale a
intersecare via Boncompagni, uno degli assi del rione Ludovisi che
venne lottizzato a scacchiera irregolare sull’area dell’omonima villa →
dal 1885.

LA QUINTA ARCHITETTONICA DI VIA BONCOMPAGNI è composta da


un’edilizia mista (palazzi e villini), prevalentemente di gusto sei-
settecentesco, opera dei professionisti più in voga a cavallo dei due
secoli. Nel tratto di sin. è la chiesa di S. Patrizio (Aristide Leonori,
1908-1911), con facciata che vuole rievocare un romanico ‘nordico’
(nell’interno, Madonna delle Grazie, affresco staccato del sec. XIII); nel
tratto di d. spiccano, al N. 18, il villino Boncompagni, raffinata
rievocazione del barocchetto romano di G.B. Giovenale (1901-1903),
oggi sede museale (v. sotto), e il palazzo già dell’Italcasse, concepito
da Maurizio Vitale e collaboratori (1971-78) in aperta polemica col
circostante eclettismo.

MUSEO BONCOMPAGNI LUDOVISI PER LE ARTI DECORATIVE, COSTUME E


MODA. Il museo (t. 0642824074, www.gnam.arti.beniculturali.it),
allestito all’interno del villino Boncompagni e di competenza della
Soprintendenza Speciale per l’Arte Contemporanea, è dedicato
all’esposizione di preziosi arredi antichi, oggetti d’arte decorativa
(firmati da Ernesto Basile, Galileo Chini, Duilio Cambellotti, Felice
Casorati, Leoncillo), di abiti di alta moda (disegnati da Sorelle
Fontana, Gattinoni, Galitzine, Lancetti, Sarli, Valentino) e di costumi
datati tra la fine del Settecento e il Novecento.

VERSO VIA VENETO. Si sale ancora per via Piemonte fino a via
Sicilia, dove si volta a sin. incontrando (numeri 57-59) il razionalista
palazzo del Consiglio nazionale degli Ordini e Collegi professionali
(Carlo Broggi, 1935-36), che include il teatro delle Arti opera dello
stesso. Sul lato opposto è la chiesa Evangelica Luterana (Franz
Schwechten, 1910-1922), con facciata a capanna tra due torri-
campanile e grande fornice d’ingresso, che si distingue per l’asciutto
rigore formale e l’integrale rivestimento di travertino.
Costeggiandone il fianco sin. lungo via Toscana si è in via
Sardegna, dove, al N. 79, è la Biblioteca dell’Istituto Archeologico
Germanico, la più importante del settore a Roma.

LUNGO IL TRATTO D. DI VIA SARDEGNA si possono raggiungere, oltre


via Abruzzi (al N. 4 è il *villino Florio, la migliore delle opere romane di
Ernesto Basile – 1902 – nella quale l’impianto tradizionale del
palazzetto turrito è riscattato dalla raffinatissima decorazione liberty),
la chiesetta neoromanica di S. Maria Regina dei Cuori (Tullio
Passarelli, 1903-1913) e l’edificio polifunzionale di Vincenzo,
Fausto, Lucio Passarelli e collaboratori (1963-65), una delle più
interessanti architetture italiane del secondo dopoguerra: sul piano
terra, arretrato e destinato a negozi, s’imposta il prisma trapezoidale
degli uffici, a superfici interamente specchianti, che segue i contorni
del lotto e al di sopra del quale si articola la ‘neoplastica’ struttura a
pilastri e piastre dei quattro piani di appartamenti terrazzati.

LA STRADA DELLA «DOLCE VITA». Il tratto di sin. di via Sardegna


sbocca in via Vittorio Veneto, nota come *via Veneto, la strada più
celebre della Roma moderna (venne aperta nel 1886-89) per gli
alberghi, i caffè e i negozi di lusso; ma anche quella urbanisticamente
più felice per l’ampiezza e l’arredo verde del tracciato, e soprattutto
per lo snodarsi in discesa, da porta Pinciana a piazza Barberini, con
due ampie curve in corrispondenza delle quali si collocano gli episodi
architettonici più significativi. Avendo alle spalle porta Pinciana →, si
scende fino all’incrocio a d. con via Lombardia.

IL *CASINO DELL’AURORA. Seguendo via Lombardia si raggiunge,


oltre il palazzo oggi della Banca Nazionale del Lavoro (Vincenzo,
Fausto, Lucio Passarelli e Maurizio Vitale, 1957-60), il muraglione che
racchiude questo edificio – il più rilevante artisticamente assieme al
Palazzo grande incorporato nell’ambasciata degli Stati Uniti d’America
(v. sotto) – che è l’unico resto della villa Ludovisi creata dal cardinale
Ludovico nel 1621-23 sugli «horti Sallustiani» → e ampliata dai
Boncompagni Ludovisi nel 1825 e 1851. Il casino (visita a richiesta
all’amministrazione Boncompagni) è una palazzina cinquecentesca, a
pianta cruciforme, cui venne aggiunto nel 1858 un avancorpo su
ognuno dei bracci. La SALA D’INGRESSO ha la volta decorata a grottesche
(metà sec. XVI), mentre quella della *SALA DELL’AURORA è dipinta a
tempera con il Carro dell’Aurora, capolavoro del Guercino (sue
l’Allegoria del Giorno nella lunetta sin. e l’Allegoria della Notte in quella
d.; le decorazioni architettoniche ad affresco sono di Agostino Tassi,
1621); nella SALA DEL CAMINO o DEI PAESI, Paesaggi del Guercino (d.), di
Paul Brill (sulla parete opposta all’ingresso), di G.B. Viola (sin.) e del
Domenichino (sull’ingresso), mentre al centro del soffitto è una Danza
di putti attribuita ad Antonio Circignani. Al piano nobile, sul soffitto
della saletta dopo l’ingresso è un dipinto a olio su muro (*Gli Elementi
e l’Universo con segni zodiacali) riferito a Caravaggio (c. 1597);
l’adiacente sala prende nome dalla Fama realizzata sul soffitto dal
Guercino e dal Tassi.
LA PRIMA CURVA DI VIA VENETO. Oltre l’incrocio a sin. con via
Boncompagni →, dove spicca l’appariscente soluzione d’angolo in
curva sormontata da cupola dell’albergo Excelsior (Otto Maraini, 1905-
1908; allo stesso si deve, al N. 48 di via Ludovisi, la coeva neobarocca
villa Maraini oggi sede dell’Istituto svizzero di Roma, la cui biblioteca,
specializzata in scienze umanistiche classiche, annovera c. 30000
volumi e c. 10000 riviste), s’individua a sin. il nuovo palazzo
Boncompagni o Piombino, noto anche come palazzo Margherita in
quanto fu residenza della regina madre, che oggi ospita l’ambasciata
degli Stati Uniti d’America: Gaetano Koch, del cui cinquecentismo è
l’opera più emblematica, lo eresse (1886-90) per il principe Rodolfo
Boncompagni Ludovisi in sostituzione del palazzo Piombino in piazza
Colonna, di cui riprese, in forme più auliche e ‘corrette’, l’impostazione
e lo stile, con la principale variante dell’ingresso unico, a triplice arcata
e balcone su colonne (il fregio con gli elementi araldici della famiglia è
stato manomesso con l’apertura delle finestrelle; al centro del grande
salone è una *Venere nuda del Giambologna). Addossato
posteriormente all’edificio resta, alquanto alterato, il Palazzo grande di
villa Ludovisi (lo si vede dalla retrostante via Friuli), attribuito a Carlo
Maderno o al Domenichino (inizi sec. XVII).
La curva di via Veneto è qui assecondata dal prospetto, che
annuncia il passaggio dal déco al «Novecento» monumentale,
dell’albergo Ambasciatori (Marcello Piacentini, 1924-26; gli affreschi
nel salone sono di Guido Cadorin), opposto al quale si stacca via
Bissolati, collegamento con piazza di S. Bernardo e la stazione di
Termini realizzato nel 1933 su progetto di Piacentini (fu nominata via
XXIII Marzo).

LA QUINTA ARCHITETTONICA DELLA VIA, oggi sede di uffici di


rappresentanza di compagnie aeree e marittime, si caratterizza per
due edifici di Piacentini: all’angolo con via Veneto (N. 199) il palazzo
della Banca Nazionale del Lavoro (1936), solido e severo secondo
l’ultimo stile littorio, e il palazzo dell’INA (N. 23; 1936-44), a sin. del
quale, con facciata su via Sallustiana, è il palazzo della sede centrale
dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (Ugo Giovannozzi, 1923-27),
in un fastoso neobarocco con richiami classicisti.
IL TRATTO SUCCESSIVO DELL’ALBERATA VIA VENETO è qualificato
dall’ex albergo Palace (N. 62; Carlo Busiri Vici, 1900-1902),
classicheggiante ma con sentori liberty nel loggiato centrale, e dal
neobarocco, ma stilizzato, palazzo dell’INA di Carlo Broggi (N. 89;
1925-28), cui segue il palazzo del Ministero dell’Industria,
Commercio e Artigianato, già delle Corporazioni, che Marcello
Piacentini e Giuseppe Vaccaro realizzarono nel 1928-32 in tufo e
travertino con un massiccio aspetto militaresco: il grande portale
bronzeo (Giovanni Prini) in angolo con via Molise è sormontato da un
balcone scolpito da Antonio Maraini; l’interno è ricco di opere d’arte e
di artigianato di Mario Sironi, Ferruccio Ferrazzi, Romano Romanelli,
Pio e Silvio Eroli, Gio Ponti, Attilio Selva, Fortunato Depero, Francesco
Messina, Enrico Prampolini, Roberto Melli, Francesco Trombadori,
Luciano Minguzzi, Piero Marussig, Fausto Pirandello.
Alla fine dell’isolato occupato dall’albergo Majestic (N. 50;
Gaetano Koch, 1896), risale le pendici sud del Pincio la scalinata di via
di S. Isidoro.

S. ISIDORO. Percorrendola si arriva in via degli Artisti, su cui


prospetta, oltre un giardino, la chiesa, iniziata su progetto di Antonio
Felice Casoni nel 1622 dai Francescani spagnoli, continuata dal 1625
per i Francescani irlandesi con interventi di Domenico Castelli e
terminata nel 1672; una nuova decorazione pittorica venne realizzata
nei restauri del 1856 e 1947-49. Sopra una scalinata a doppia rampa
si leva la facciata-portico a due ordini di paraste, su disegno di
Francesco Carlo Bizzaccheri (1704-1705): condizionata dalla struttura
del Castelli, si qualifica per la decorazione di gusto borrominiano.
L’interno è a navata unica con volta a botte e due cappelle per lato,
transetto con cupola schiacciata e due cappelle ai lati del presbiterio;
nel soffitto Gloria di S. Isidoro di Charles-André Van Loo (1729), in
controfacciata coro ligneo su disegno del Castelli (1641). La 1ª
cappella d. (Alaleona) fu interamente dipinta (scene della vita di S.
Giuseppe) da Carlo Maratta (1650-52), la 2ª da Pietro Paolo Naldini
(c. 1657; scene della vita di S. Anna). *Cappella Da Sylva, su disegno
di Gian Lorenzo Bernini (1663): Immacolata Concezione e tre affreschi
del Maratta; alle pareti, monumenti funebri Da Sylva e quattro Virtù
attribuiti a Bernini o al figlio Paolo. Altare maggiore, su disegno di
Mario Arconio (1630): S. Isidoro e la Vergine di Andrea Sacchi (1622).
2ª cappella sin.: S. Antonio di Giovanni Domenico Cerrini (1680) e
lunette di Gilles Hallet. 1ª: cupola e lunette affrescate dal Maratta
(1657).
Adiacenti alla chiesa sono il CHIOSTRO SPAGNOLO, eretto nel 1622-26
su disegno del Casoni e coperto nel 1948, e il CHIOSTRO DI WADDING
(1630), con affreschi del 1701-1706 (l’Aula maxima conserva
interessanti affreschi di fra’ Emanuele da Como del 1672).

S. MARIA DELLA CONCEZIONE. Quasi al termine di via Veneto, a


sin., è la chiesa, detta dei Cappuccini, che venne eretta nel 1626-30
su progetto di Antonio Felice Casoni e che in seguito all’apertura della
strada ha perduto il suo contesto di carattere suburbano. Una
moderna scalinata a doppia rampa sale alla modestissima facciata, in
laterizio a due ordini di lesene con raccordi a quarto di cerchio, che
nel 1925-26 è stata ‘arricchita’ col parziale rivestimento di travertino e
l’apertura del finestrone.

L’INTERNO è a navata unica, con cinque cappelle intercomunicanti


per lato, presbiterio e profondo coro. Nella volta, Assunta di Liborio
Coccetti (1796). 1ª cappella d.: *S. Michele arcangelo di Guido Reni
(c. 1635); alla parete sin., Cristo deriso di Gherardo Delle Notti. 2ª:
Trasfigurazione di Mario Balassi; alla parete sin., Natività di Giovanni
Lanfranco (c. 1632). 3ª: S. Francesco stigmatizzato del Domenichino
(sua la Morte del santo alla parete sin.). 4ª: Orazione nell’orto di
Baccio Ciarpi (c. 1632). 5ª: S. Antonio di Andrea Sacchi (1635).
Davanti all’altare maggiore (nel retrostante coro, Assunta di Terenzio
Terenzi, 1578), tomba del cardinale Antonio Barberini (m. 1646; a sue
spese venne eretta la chiesa) con la famosa iscrizione «hic iacet
pulvis, cinis et nihil» (qui è deposta polvere, cenere e niente altro); a
sin. dell’altare maggiore, monumento di Alessandro Sobieski (m.
1714) di Camillo Rusconi. 5ª cappella sin.: Apparizione della Vergine a
S. Bonaventura del Sacchi (1645). 3ª: Deposizione di Andrea
Camassei; alla parete sin., S. Francesco stigmatizzato di Girolamo
Muziano (c. 1570). 2ª: S. Felice da Cantalice di Alessandro Turchi (il
sottostante sarcofago del sec. III contiene le spoglie del santo). 1ª:
Anania ridà la vista a S. Paolo di Pietro da Cortona (c. 1631). Nel
convento, *S. Francesco di Caravaggio (1603) e Nazareno di Palma il
Giovane. Contiguo alla chiesa è il cimitero dei Cappuccini, le cui cinque
cappelle sono interamente decorate e ‘arredate’ con i resti di c. 4000
frati morti tra il 1528 e il 1870.
Lasciato al N. 7 il palazzo ultima opera di Gino Coppedè (1925-27;
lo ornano iscrizioni latine e un’altana a colonne), via Veneto termina in
piazza Barberini →.
4 LA CITTÀ ENTRO LE MURA: I RIONI A OVEST DEL TEVERE

In ogni città fluviale la sponda opposta a quella dove sorse il


nucleo originario ha avuto un’urbanizzazione più tardiva e lenta, quale
sobborgo della città stessa. Il «trans Tiberim», l’ultima delle regioni
augustee, si sviluppò solo in età imperiale e le mura Aureliane
inclusero una porzione molto limitata del Trastevere attuale; il
Vaticano – dove erano presenti solo strutture particolari (circo) e
sepolture monumentali (mausoleo di Adriano) – ne restò invece
escluso. Eppure fu proprio lì che la Roma cristiana, quasi
contrapponendosi a quella pagana, ebbe sin dalle origini il polo
cultuale e ideologico destinato a un’importanza sempre maggiore, sino
a identificarsi con il luogo della presenza fisica del capo della Chiesa;
attorno a esso si raccolsero nell’alto Medioevo i nuclei dei
rappresentanti dell’Europa settentrionale cristianizzata (Sassoni,
Franchi, Frisoni, Longobardi): il «burg», il sobborgo appunto. Anche
nella suddivisione della città medievale e moderna, Trastevere fu a
lungo l’ultimo rione, fino all’istituzione del quattordicesimo, Borgo
(1586).
Alla separazione di Trastevere e Borgo dal resto della città hanno
corrisposto per secoli peculiarità di usanze, di costumi e persino di
dialetto e una rivalità (si ricordi l’etimo di questo termine) per la quale
fu celebre, fino al sec. XIX, la sassaiola fra Trasteverini e Monticiani (i
rappresentanti del rione numero uno), che si svolgeva periodicamente
nel ‘campo neutro’ dell’antico Foro Romano. Anche le ristrutturazioni
urbanistiche in questo settore furono limitate per numero e incidenza
(mentre non mancarono episodi architettonici di grande rilevanza,
soprattutto nei periodi rinascimentale e barocco): a ciò si deve il fatto
che questa parte del centro storico, nonostante le mutilazioni otto-
novecentesche (costruzione degli argini del Tevere, realizzazione del
viale di Trastevere e, più grave di tutte, apertura di via della
Conciliazione), abbia mantenuto in larga misura il carattere, il ‘colore’
e l’atmosfera della Roma papale.

4.1 IL RIONE TRASTEVERE

Il «trans Tiberim» (l’«oltre Tevere»), urbanizzato dalla fine


dell’età repubblicana soprattutto con strutture a carattere mercantile e
commerciale legate al porto sulla riva opposta del fiume, fu fino ad
Augusto fuori della città, anche se il Gianicolo costituì, da Anco Marcio,
una testa di ponte difensiva. La XIV regione augustea comprendeva
una vasta area dal Vaticano e dal Gianicolo al Tevere, con l’Isola
Tiberina; la parte a sud, corrispondente all’ansa del fiume, fu poi
inclusa nelle mura Aureliane. Il collegamento con la zona est della
città avveniva tramite i ponti «Sublicius» ed «Aemilius», i due
dell’Isola Tiberina e quelli, più tardi, di Agrippa e di Probo. Dal «pons
Aemilius», sul quale probabilmente passava l’Acqua Claudia che
alimentava la regione, si dipartivano due importanti strade: l’«Aurelia
Vetus» (il cui primo tratto fino a piazza di S. Maria in Trastevere
corrisponde alla cinquecentesca via della Lungaretta), che portava al
Gianicolo e alla porta Aurelia (oggi di S. Pancrazio), e la Via
Portuense-Campana (attuali vie dei Vascellari-di S. Cecilia-di S.
Michele) che conduceva, attraverso la porta Portuense, agli scali
marittimi di Claudio e di Traiano.
La regione comprendeva un quartiere a carattere popolare e
commerciale nell’ansa del Tevere – con luoghi religiosi influenzati dalla
presenza di numerosi stranieri, soprattutto orientali, che introdussero i
culti dei paesi d’origine – mentre le zone alte e parte delle rive del
fiume erano occupate da ville e giardini, tra i quali quelli di Clodia e di
Cesare. Si ha memoria della naumachia di Augusto nell’area di S.
Cosimato, ma scarse sono le tracce archeologiche: i resti
dell’«excubitorium» della VII coorte dei «vigiles», deputata alle regioni
IX e XIV, e del Santuario Siriaco. Forse per la presenza fin dall’epoca
repubblicana di una numerosa colonia ebraica, precoce fu la diffusione
del Cristianesimo, con la fondazione nei secoli IV-V dei «tituli» di
Callisto (S. Maria in Trastevere) e di Crisogono lungo l’«Aurelia Vetus»
e di quello di Cecilia vicino alla Portuense, intorno ai quali, dall’alto
Medioevo, si contrasse il rione. Una ripresa edilizia si ebbe fra i secoli
XI e XIII (si costruirono, o ricostruirono, complessi religiosi come S.
Cosimato e chiese con le caratteristiche torri campanarie romaniche),
ma tutto si arrestò con l’esilio dei papi ad Avignone. Gli insediamenti
ebraici con i relativi servizi (delle numerose sinagoghe qui testimoniate
una è stata individuata in vicolo dell’Atleta) fiorirono per tutto il
Medioevo, finché la comunità cominciò a trasferirsi dal secolo XIII nel
Campo Marzio e nella Suburra, per essere dal 1555 segregata nel
Ghetto.
A FINE DUECENTO il borgo di Trastevere divenne il XIII rione di
Roma, passando dalla diretta giurisdizione del papa, che controllava le
aree al di là del Tevere, all’amministrazione interna della città. I
collegamenti con i rioni Ripa e S. Angelo erano garantiti dal ponte S.
Maria (l’«Aemilius», ricostruito più volte dopo le piene del fiume e poi
definitivamente «rotto» nel 1598), e dai ponti Fabricio e Cestio
attraverso l’Isola Tiberina; con l’edificazione di ponte Sisto (1473-75) e
con l’apertura dell’asse di via dei Pettinari, entrambe a opera di Sisto
IV, Trastevere risultò direttamente collegato anche con i rioni Regola,
Parione e Ponte. Il ponte Sisto divenne parte dell’anello viario, voluto
da Giulio II e realizzato da Bramante, costituito da due lunghe strade,
parallele e rettilinee sulle rive opposte del fiume, via Giulia e via della
Lungara, e dal progettato ponte Giulio, all’altra estremità, mai
costruito. Questo intervento (1508-1512) mirava a riorganizzare la
città stabilendo rapidi collegamenti tra le diverse parti e tra queste e il
Vaticano; in particolare via della Lungara («via sub Janiculo» o «via
Sancta», perché percorsa dai pellegrini), rettificando un tracciato
precedente, attraversava per circa un chilometro la piana non
fortificata sotto il Gianicolo, dalla ricostruita porta Settimiana del
circuito aureliano a porta S. Spirito, collegando Trastevere a Borgo, e
si allineava agli assi dei due rioni (via della Scala e via de’
Penitenzieri). La Lungara mantenne a lungo il carattere di percorso
suburbano tra ville (Chigi-Farnesina, Riario-Corsini) e l’urbanizzazione
proseguì lentamente con l’apertura dei vicoli ortogonali alla strada
lungo le pendici del Gianicolo; sul colle vennero innalzati tra Quattro e
Cinquecento pochi edifici isolati – villa Lante, villa Sciarra, villa
Farnese-Aurelia, S. Onofrio e, voluto da Sisto IV, S. Pietro in Montorio
– che non ne modificarono il carattere ‘naturale’.
IL SEICENTO E IL SETTECENTO. Due gli interventi importanti sotto
Paolo V: la costruzione dell’acquedotto Paolo, che riportò nel rione
l’antica Acqua Traiana, e l’apertura della via di S. Francesco a Ripa,
che trasformò la tradizionale struttura a «V» di via della Lungaretta-
via dei Vascellari, convergente verso il ponte S. Maria, in un triangolo,
collegando i vertici segnati dalle chiese di S. Francesco a Ripa e di S.
Callisto, riedificate per fungere da scenografici fondali. I confini ovest
e sud furono ridefiniti dalle mura gianicolensi, realizzate da Urbano
VIII (1642-44) per saldare il nucleo fortificato di Vaticano-Borgo-
Castel S. Angelo con quello di Trastevere, delimitato nella zona
dell’ansa del Tevere dalle mura Aureliane ma punto debole della difesa
della città durante il Sacco del 1527. Aumentò così l’estensione del
rione che incluse, oltre all’area di più antica urbanizzazione e a via
della Lungara, un’ampia fascia verde a ridosso della cinta fortificata.
Quei secoli videro importanti realizzazioni architettoniche (l’ospedale di
S. Gallicano e l’imponente complesso assistenziale e produttivo di S.
Michele a Ripa Grande che, per ampliamenti successivi, assunse
l’unitarietà e le dimensioni di un intervento a scala urbana).
ALLA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO datano iniziative che
modificarono profondamente la morfologia di Trastevere
completandone l’urbanizzazione. A Pio IX risalgono la costruzione della
manifattura dei Tabacchi e del «quartiere Mastai» tra S. Maria
dell’Orto e via di S. Francesco a Ripa, con residenze e servizi per gli
operai, e la sistemazione dell’attuale via Garibaldi (1867) che rese più
agevole la salita al Gianicolo dal versante sud. Con Roma capitale
venne aperta la panoramica passeggiata di Gianicolo (prevista dai
piani regolatori del 1873 e 1883), furono realizzati i muraglioni e il
lungotevere che risolsero drasticamente il secolare problema delle
alluvioni interrompendo – con la cancellazione di chiese e del giardino
della Farnesina – quella continuità tra rione e fiume resa ancora più
sentita dalle tradizionali attività portuali (porto di Ripa Grande, porto
Leonino), e si costruirono i ponti Palatino, Garibaldi e Mazzini. Il
secondo divenne poi, con il viale del Re (oggi di Trastevere) aperto nel
1888 seguendo una variante al piano regolatore, parte della direttrice
che collegava il centro alla stazione di Trastevere, costruita fuori delle
mura di Urbano VIII. L’asse alberato, su modello dei boulevard
parigino-piemontesi, lacerava l’antico tessuto edilizio e serviva le
pendici sud-est del Gianicolo; vi fu realizzato il monumentale Ministero
della Pubblica Istruzione.

Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:


sinistra, destra, sinistra e destra.

La sostituzione della popolazione autoctona, iniziata negli anni ’60


del sec. XX, ha in parte snaturato il carattere popolare e artigianale del
rione, che ancora si anima a luglio, ma con motivazioni ormai quasi
esclusivamente profane, per la tradizionale festa de’ Noantri.
LA VISITA si articola in tre itinerari (pianta). Il primo si snoda nel
tranquillo cuore del rione (l’ansa del fiume), dal tessuto minuto e
irregolare, seguendo i tre tracciati che lo strutturano dopo gli
interventi urbanistici cinque-seicenteschi; caratterizzante è, in
particolare, la visita delle chiese di S. Crisogono, S. Maria in
Trastevere e S. Cecilia. Il secondo si svolge inizialmente a nord-ovest
di S. Maria in Trastevere, con digressioni nella maglia di vie e vicoli
medievali e rinascimentali, prosegue poi lungo via della Lungara –
introdotta dalla porta Settimiana e scandita dalle nobili architetture del
palazzo Corsini con l’Orto Botanico e della villa Farnesina – e sul
Gianicolo, dove prevale l’aspetto naturale e panoramico, per
concludersi presso S. Pietro in Montorio con il celebrato tempietto di
Bramante. L’ultimo percorre la parte di urbanizzazione più recente,
avendo come asse viale di Trastevere e arrampicandosi infine sul
versante meridionale del Gianicolo, che è punteggiato di gradevoli
architetture residenziali.

DA PIAZZA CASTELLANI A S. CECILIA IN TRASTEVERE

PIAZZA CASTELLANI, aperta sul lungotevere degli Alberteschi –


all’altezza del ponte Palatino e, in riva sin., di piazza della Bocca della
Verità → – è l’imbocco del tratto residuo dell’appartata via della
Lungarina, delimitata a sin. (numeri 63-65) dal tardobarocco palazzo
Nuñes, che ingloba strutture più antiche. A destra, prospetta su piazza
in Piscinula il palazzo Mattei, articolato complesso di più corpi di
fabbrica tre-quattrocenteschi, restaurato ‘in stile’ nel 1926-27 da
Lorenzo Corrado Cesanelli, che ricostruì il fronte sul lungotevere. Sul
lato opposto della piazza, la chiesetta di S. Benedetto in Piscinula
deve la modesta facciata, che riprende lo schema neoclassico del S.
Pantaleo di Giuseppe Valadier, a Pietro Camporese il Giovane (1844);
il piccolo campanile romanico ha due ordini di bifore.

La costruzione (fine sec. XI-inizi XII) fu condizionata dal nucleo


originario, identificabile con la cella di S. Benedetto (parte, secondo la
tradizione, della casa degli Anici, la famiglia del santo), e da altre
strutture preesistenti. Tra XII e XIII vennero aggiunti il campanile e
l’oratorio; rifatta la facciata una prima volta nel 1678, furono
promosse modifiche strutturali (1676-1718) e restauri nel 1844 (dal
Camporese il Giovane) e nel 1939-41.

INTERNO. Nel vestibolo (antico nartece), memorie epigrafiche e


resti di affreschi (S. Benedetto, fine sec. XIII). A sinistra, una porta con
mostra cosmatesca e architrave su colonne di cipollino immette nella
piccola CAPPELLA DELLA MADONNA, un tempo rivestita di mosaici, coperta
da una crociera sorretta da quattro colonne antiche e decorata nel
1844 con pavimento cosmatesco del sec. XII; sull’altare, Madonna col
Bambino, affresco trecentesco riportato su tela; sulla d., l’angusta
cella del santo.
L’interno della chiesa ha una planimetria irregolare a tre navate –
la mediana assai più larga – divise da otto colonne di spoglio con
capitelli in parte classici in parte medievali. Le pareti d’ingresso e
absidali sono alterate dagli interventi sei-settecenteschi; il pregevole
pavimento cosmatesco (sec. XII) si conserva solo in parte della nave
maggiore. A destra dell’abside, S. Anna, Madonna col Bambino e
committente, affresco del XV; sull’altare maggiore: S. Benedetto,
tavola a fondo oro (sec. XV) molto ritoccata.

S. MARIA DELLA LUCE. Imboccata via della Lungaretta, la


cinquecentesca «via Transtiberina» che ripristinò il tratto iniziale
dell’«Aurelia Vetus», s’incontra a sin. via della Luce, sulla quale
prospetta, a d., la facciata ottocentesca della chiesa (obliqua rispetto
all’asse del luogo di culto). Forse del sec. III o IV (S. Salvatore della
Corte), fu ristrutturata nel XII, con pianta basilicale tripartita e
transetto absidato (visibile da vicolo del Buco). Nel 1730, a seguito del
‘prodigio’ da cui deriva il nome attuale, lo spazio interno venne
completamente riorganizzato da Gabriele Valvassori.

ALL’INTERNO, riutilizzando in gran parte le strutture murarie


preesistenti, il Valvassori ridefinì la gerarchia degli spazi: per
trasformare l’unidirezionalità medievale in spazialità tardobarocca
dilatò, con due cappelle a metà percorso, la navata centrale e ridusse
le laterali a corridoi. L’elegante decorazione a stucchi è del 1768.
All’altare della cappella d., Transito di S. Giuseppe di Giovanni Conca
(1754); sul successivo, pala di Pietro Labruzzi (1753). Gli affreschi nel
catino absidale sono di Sebastiano Conca, che dipinse anche il
Salvatore sul tabernacolo e restaurò l’immagine della Madonna della
Luce (sec. XVI) sull’altare maggiore. Nel transetto sin., S. Francesco di
Paola di Onofrio Avellino; all’altare della cappella sin., tela di Giovanni
Conca (1752).

PIAZZA SONNINO. Si supera sulla d., all’angolo tra via della


Lungaretta e vicolo della Luce, un raro esempio di casa del sec. XIV
con archetti gotici su mensole e scala esterna. Costeggiando a d. un
fianco del palazzetto Anguillara (v. sotto), si è nella trafficata piazza,
dalla quale si stacca in direzione SO viale di Trastevere →, mentre
verso il fiume è aperta sulla contigua piazza Giuseppe Gioacchino Belli
(con, al centro, il monumento al poeta romanesco, opera di Michele
Tripisciano del 1913). Il palazzetto Anguillara e la torre che lo sovrasta
nell’angolo NO risalgono al sec. XIII e furono ricostruiti, e forse
ingranditi, nel 1455 dal conte Everso. Il restauro del 1893-1902,
conseguente all’apertura del viale di Trastevere, ne comportò
l’isolamento eliminando il tessuto limitrofo, ma, mentre la torre ha
sostanzialmente mantenuto le caratteristiche originarie, il pesante
intervento sull’edificio ne ha ridelimitato i lati N e O, assumendo a
modello il fronte quattrocentesco su via della Lungaretta, pure
parzialmente modificato. Dal 1914 vi ha sede la Casa di Dante,
promotrice di studi sul poeta, con biblioteca specializzata.
LA CHIESA DI *S. CRISOGONO, sull’angolo opposto di piazza
Sonnino, fu costruita nel 1123-29 dal cardinale Giovanni da Crema che
distrusse e interrò la preesistente basilica (sec. V), completamente
restaurata da G.B. Soria (1620-26) per conto del cardinale Scipione
Caffarelli Borghese, e ancora nel 1863-66. La semplice facciata a
timpano (1626) è preceduta da un portico d’ordine tuscanico, con
quattro colonne in granito (già del portico medievale), fra due corpi
laterali a lesene; sull’attico, i draghi e le aquile dei Borghese. Il fianco
d., con il campanile (1124) coronato da cuspide seicentesca, conserva,
come l’abside, i lineamenti romanici; il convento annesso fu
ricostruito, dopo l’apertura del viale di Trastevere, da Raffaele Ojetti
(1897-1925).

L’INTERNO, reinterpretazione delle basiliche paleocristiane come


tipico delle chiese romane del sec. XII, è a tre navate suddivise da 22
colonne di spoglio in granito architravate, con pavimento cosmatesco
(sec. XIII), arco trionfale su grandi colonne di porfido e una sola
abside. L’intervento del Soria, una delle prime trasformazioni
seicentesche di basiliche medievali, non ha modificato sostanzialmente
le proporzioni generali dell’edificio preesistente, limitandosi alla
decorazione in stucco (capitelli ionici a volute espanse, fregio con
stemmi e simboli dei Borghese), al bel soffitto ligneo a lacunari
(navata centrale e transetto) e alle volte a botte nelle navate laterali.
Al centro del soffitto, Gloria di S. Crisogono, copia dal Guercino
(l’originale, trafugato nel 1808, è a Londra, Stafford House). A sinistra
dell’ingresso, monumento del cardinale Giovanni Jacopo Millo (m.
1757) di Carlo Marchionni e Pietro Bracci. Nella NAVATA D. si allineano i
rovinati olî su muro delle Ss. Barbara e Caterina attribuito a Paolo
Guidotti; dei Tre arcangeli assegnato a Giovanni da S. Giovanni; di S.
Francesca Romana e della Crocifissione del Guidotti. Alla testata,
CAPPELLA DEL SS. SACRAMENTO, già Poli, attribuita a Gian Lorenzo Bernini
(1641): nella volta, Trinità e angeli di Giacinto Gimignani; sull’altare,
l’Angelo custode di Ludovico Gimignani è coperto da altro dipinto
settecentesco; ai lati, monumenti funerari di monsignor Gaudenzio e
del cardinale Fausto Poli, con busti di Giuseppe Mazzuoli (c. 1680). Nel
PRESBITERIO (sul soffitto, Beata Vergine del Cavalier d’Arpino), l’altare
maggiore è sormontato dal monumentale baldacchino tardo-
manierista del Soria sorretto da quattro colonne d’alabastro dell’antico
ciborio. Nel catino dell’abside, stucchi dorati con scene della vita di S.
Crisogono (sec. XVII); in basso, Madonna col Bambino tra i Ss.
Crisogono e Giacomo, mosaico riportato di ambito cavalliniano (c.
1290).
Dalla sagrestia (presso la porta, prezioso tabernacolo
cosmatesco) si scende ai resti della BASILICA paleocristiana e
altomedievale, parallela – ma spostata verso sin. – a quella odierna.
La scaletta conduce in prossimità della zona absidale del «titulus
Chrysogoni», eretto nel sec. V sui resti di un edificio di età imperiale, a
navata unica, preceduto da un portico. Dell’ampia abside rimane il
muro perimetrale con frammenti di decorazione a losanghe e clipei
(sec. VIII); all’interno Gregorio III ricavò la confessione a ferro di
cavallo (in un andito, resti di figure di santi dell’VIII). Le fondazioni
della chiesa superiore e del convento hanno occupato la parte centrale
della navata, lasciando liberi due spazi ai lati dell’abside: in quello di
d., resti delle storie dei Ss. Benedetto e Silvestro, inquadrate da
colonne tortili e su doppio registro (il superiore tagliato dal pavimento
della chiesa attuale), importanti affreschi del sec. XI (nel fondo, ormai
illeggibili, sono alcune figure gigantesche del IX o X); quello di sin.,
affrescato con riquadri e medaglioni clipeati di santi e martiri dei sec.
VIII e X, è collegato al supposto battistero, con vasca circolare.

LA CHIESA DI S. AGATA (Giacomo Onorato Recalcati) fronteggia il


fianco d. di S. Crisogono, in largo S. Giovanni de’ Matha, con la
facciata (1710) caratterizzata dal leggero aggetto della parte centrale
e dall’inserimento di elementi borrominiani. Già esistente a inizi sec.
XII, fu ricostruita in più fasi nel 1671-1711 e restaurata nel 1820-21.

ALL’INTERNO, lo spazio unitario rettangolare è scandito da un


ordine corinzio e da archi con strombi pseudoprospettici ed è coperto
da una volta a botte lunettata decorata da Girolamo Troppa, autore
anche dell’affresco nel catino absidale. 3ª cappella d.: Madonna del
Rosario di Biagio Puccini, cui si deve anche la pala (Martirio di S.
Agata) nell’abside e la Crocifissione nella 3ª cappella sinistra. Presso
l’altare maggiore, a sin., la popolare immagine della Madonna de’
Noantri, patrona del rione festeggiata nel mese di luglio (festa de’
Noantri).

L’OSPEDALE E LA CHIESA DEI SS. MARIA E GALLICANO. Ripresa via


della Lungaretta, si lascia a sin. via di S. Gallicano, con il prospetto del
complesso di Filippo Raguzzini (1724-29) modello per l’architettura
ospedaliera del tempo. Lo sviluppo longitudinale, a semplici superfici
scompartite da pilastri, specchiature e ballatoio continuo, è
movimentato al centro dal volume della chiesa che, con eleganti e
misurati aggetti, è ripartito da paraste e lesene su un alto basamento;
il Raguzzini tenne presente anche il punto di vista frontale da vicolo di
Mazzamurelli, che isola l’edificio sacro dal resto del complesso.

I DUE ELEMENTI DEL NOSOCOMIO. L’OSPEDALE, costituito da due


lunghe corsie (per uomini e per donne) separate al centro dal tempio,
venne ampliato da Benedetto XIV con una sala per i ragazzi (1754) e
da Leone XII con un Teatro anatomico (1826) a due emicicli con
cupola a quattro vele, decorato di un fregio a stucco con la Leggenda
del serpente di Esculapio e dell’Isola Tiberina e ritratti di medici celebri
di Ignazio Sarti.
La CHIESA è a croce greca, con pilastri che sostengono la calotta
ribassata e separano le quattro absidi schiacciate: su due di queste si
aprono finestre ad arco che permettevano ai malati di assistere alle
funzioni dalle corsie. La pala (S. Gallicano raccomanda gli infermi alla
Vergine) e le due lunette laterali sono di Marco Benefial.

VERSO PIAZZA DI S. MARIA IN TRASTEVERE. Oltre piazza Tavani


Arquati – l’antica piazza Romana, alterata dalle demolizioni degli edifici
che la delimitavano verso il Tevere – sull’incrocio a d. tra via della
Lungaretta e vicolo di S. Rufina si leva il campanile (sec. XII) a tre
piani di bifore della chiesa delle Ss. Rufina e Seconda, restaurata nel
XVII e chiusa all’interno dell’omonimo convento (sec. XVII-XVIII). Se ne
costeggia il fronte, seguito dal fianco della chiesa di S. Margherita,
fondata da Niccolò IV (1288) e prospettante su piazza di S. Apollonia
dopo che il cardinale Girolamo Gastaldi la fece ricostruire da Carlo
Fontana (1678-80) con orientamento ruotato di 90°. La facciata è una
trascrizione impoverita dello schema cinquecentesco a due ordini
sovrapposti. L’interno a una navata con due cappelle (una terza fu
aggiunta sul lato d. nel 1892) presenta una piatta partitura di lesene
con quattro coretti, volta a botte, abside semicircolare. Altare
maggiore: S. Margherita in carcere di Giacinto Brandi; ai lati, due ovali
di Giuseppe Ghezzi. Cappella sinistra: Immacolata fra i Ss. Francesco e
Chiara del Baciccia.
PIAZZA DI S. MARIA IN TRASTEVERE, il cuore del rione, fu definita ai
primi del ’600, con al centro una grande fontana a vasca ottagonale di
Carlo Fontana (1692, restauri integrali del 1873); la chiude sul fondo
la basilica di *S. Maria in Trastevere, forse la prima chiesa di Roma
aperta ufficialmente al culto.

LA STORIA. Fondata secondo la tradizione da papa S. Callisto


(«titulus Callisti»), sulla «taberna meritoria» dove sarebbe avvenuta
(38 a.C.) una prodigiosa eruzione di olio dalla terra – probabilmente
petrolio – poi interpretata come annuncio della venuta del Messia, fu
costruita in forma basilicale da Giulio I (337-352) e modificata nei sec.
VIII e IX. La struttura attuale risale alla ricostruzione, con materiale
proveniente dalle terme di Caracalla, voluta da Innocenzo II nel 1138-
48. Sotto il cardinale Marco Sittico Altemps furono realizzate la
cappella della Madonna della Clemenza e alcune di quelle laterali su
progetto di Martino Longhi il Vecchio (1580-85). Nel 1702 Clemente XI
fece riedificare il portico e modificare la facciata su disegno di Carlo
Fontana e, sotto Pio IX, Virginio Vespignani eseguì un restauro
‘stilistico’ (1866-77).

LA FACCIATA a salienti del sec. XII ha tre grandi finestre centinate


(aperte dal Vespignani) e coronamento orizzontale a sguscio
sormontato da timpano. Del sec. XIII è il mosaico della Madonna in
trono con due donatori e due teorie di figure femminili, erroneamente
ritenute le Vergini savie e le Vergini stolte (le prime e le ultime tre
sono di inizi sec. XIV). La parte inferiore è preceduta dal portico del
Fontana (1702), a cinque arcate inquadrate da un freddo ordine
ionico; sulla balaustra, statue di pontefici dovute, da sin., a Jean-
Baptiste Théodon, Michel Maille, Lorenzo Ottoni e Vincenzo Felici. Sul
robusto campanile romanico, in una edicoletta, Madonna col Bambino
a mosaico (sec. XVII).

SOTTO IL PORTICO (pianta →, 1) è una raccolta di epigrafi pagane


e cristiane, di marmi e sculture (plutei e sarcofagi) della basilica o
recuperati dalle catacombe nel sec. XVIII dal canonico Marcantonio
Baldetti. Le magnifiche cornici marmoree delle tre porte sono di media
età imperiale (quelle laterali sono sormontate da statuine trecentesche
provenienti dalla tomba del cardinale Filippo d’Alençon); notevoli
anche il rilievo con i pavoni che bevono da un vaso (sec. IX) e
l’affresco quattrocentesco dell’Annunciazione.
L’INTERNO basilicale è una delle più riuscite architetture del sec.
XII, permeata di rinnovato classicismo che le aggiunte cinque-
seicentesche (cappelle laterali e soffitti lignei) e ottocentesche
(partitura a lesene della navata) non hanno sostanzialmente
modificato. Le navate sono divise da un vero e proprio ordine
architravato: le 22 colonne antiche di granito, di vario diametro, con
basi e capitelli ionici e corinzi sostengono una trabeazione costituita da
frammenti antichi che continua sulla controfacciata, collegando i due
colonnati secondo un criterio di unità compositiva; l’arco trionfale,
retto da due colonne di granito con capitelli corinzi e trabeazione
classica, inquadra il transetto notevolmente rialzato. Il pavimento
cosmatesco è stato quasi completamente rifatto dal Vespignani;
ricchissimo il *soffitto ligneo (A) a lacunari disegnato dal Domenichino
(1617), che nell’ottagono centrale dipinse l’Assunta. Alle pareti della
navata, affreschi (santi martiri) coevi a quelli sul fronte dell’arco
trionfale (1870). All’inizio della navata centrale, *tabernacolo
marmoreo (2) firmato da Mino del Reame, con fine bassorilievo
prospettico a stiacciato (sec. XV). NAVATA DESTRA. All’inizio, Madonna col
Bambino, affresco del 1452. 1ª cappella d. (3), su disegno di Giacomo
Onorato Recalcati (1721-27): S. Francesca Romana di Giacomo Zoboli;
ai lati, monumenti della famiglia Bussi su disegno di Francesco Ferrari.
2ª (4), su progetto di Filippo Raguzzini (1739): Natività di Étienne
Parrocel. 3ª (5): Crocifisso ligneo (sec. XV). Tra la 4ª e l’uscita laterale
(6): a sin., cenotafio del cardinale Pietro Marcellino Corradini con
busto di Filippo Della Valle (1745). Dopo l’ingresso laterale (7), con bel
portale romanico, nicchia con pesi e catene che la tradizione riferisce
al supplizio dei martiri. TRANSETTO DESTRO: alla testata (8), cenotafio del
cardinale Francesco Armellini attribuibile ad Andrea Sansovino o a
Michelangelo Senese (1524). Cappella del coro d’inverno (9), su
progetto del Domenichino (1625): Madonna di Strada Cupa attribuita
a Perin del Vaga; a sin., Fuga in Egitto di Carlo Maratta. Il PRESBITERIO
poggia su un alto basamento con transenne e plutei cosmateschi, in
parte rifatti dal Vespignani; la «fons olei» segna il punto dal quale
sarebbe scaturito l’olio. Il ciborio (10), con quattro colonne di porfido,
è stato ricomposto dal Vespignani in parte con elementi antichi; il
candelabro pasquale è della bottega dei Vassalletto. L’ABSIDE (11) è
decorata dai celebri *mosaici realizzati dopo la morte di Innocenzo II
(1140-43), raffigurato nel catino, a sin., con il modellino della chiesa.
Sull’arco: i profeti Geremia e Isaia, i simboli degli evangelisti, i sette
candelabri dell’Apocalisse. Nella semicalotta, al centro, Cristo incorona
la Vergine; a d., i Ss. Pietro, Cornelio, Giulio e Calepodio; a sin., i Ss.
Callisto, Lorenzo e papa Innocenzo II, sopra i quali è il Padiglione
dell’empireo con la mano dell’Eterno che incorona il figlio; sotto è una
fascia con al centro l’Agnello mistico, cui convergono 12 pecorelle (gli
apostoli) dalle città sante simboleggianti la Chiesa. All’altezza delle
finestre, gli importanti mosaici con *storie della Vergine di Pietro
Cavallini (1291), commissionati da Bertoldo Stefaneschi, che è
raffigurato nel riquadro centrale più basso con la Madonna e i Ss.
Pietro e Paolo; sopra gli stalli del coro, angeli con i simboli dei misteri
di Maria, affreschi di Agostino Ciampelli (c. 1600). La cattedra
marmorea, con grifi e schienale a disco, è del sec. XII. A sinistra
dell’abside, sepolcro di Roberto Altemps (m. 1586), con busto
attribuito a Nicolò Pippi e statue sul timpano dovute al Valsoldo.
Segue la CAPPELLA ALTEMPS (12), eretta per il cardinale Marco Sittico
Altemps, nipote di Pio IV, da Martino Longhi il Vecchio (1584-85), in
continuità prospettica con la navata sin.; ha pianta quadrangolare,
superfici scandite da lesene, volta a padiglione riccamente ornata di
stucchi e di affreschi di Pasquale Cati, autore anche di quelli laterali (Il
Concilio di Trento e Approvazione degli atti, 1588). All’altare è la
celebre *Madonna della Clemenza, preziosa tavola a encausto
romana del sec. VI-VII. TRANSETTO SINISTRO (13): a d., monumento del
cardinale Pietro Stefaneschi (m. 1417), firmato da un «magister
Paulus»; altare con edicola gotica che già accoglieva la statua
giacente del cardinale Filippo d’Alençon (m. 1397) e la sottostante
Dormitio Virginis, ora nel monumento a sin. (il Martirio dei Ss. Filippo
e Giacomo, che l’ha sostituito, è attribuito a Palma il Giovane). Dalla
navata sin. si entra nel VESTIBOLO (14) della sagrestia: due frammenti
di mosaici del sec. I con uccelli acquatici e scena fluviale provenienti
da Palestrina; Risurrezione dei morti, modello di Niccolò Sale per il
rilievo del monumento Raymondi in S. Pietro in Montorio (1636). In
SAGRESTIA (15), ricostruita nel 1483 e rinnovata da Francesco Carlo
Bizzaccheri, Madonna coi Ss. Rocco e Sebastiano di scuola umbra del
’500. NAVATA SINISTRA. *Cappella Avila (16): la fantasiosa cupola
(circondata da balaustra, dove quattro angeli sorreggono la base
anulare di un lanternino con colonne, incluso in un secondo cupolino)
è di Antonio Gherardi (1680) che adottò un linguaggio plastico,
borrominiano, per modellare le superfici in funzione della luce; la pala
(S. Girolamo, 1686) è dello stesso. Tra la 4ª e la 3ª cappella, tomba di
Innocenzo II (17), eretta dal Vespignani nel 1869 per volere di Pio IX.
3ª cappella (18): pala d’altare, lunette e bel soffitto di Ferraù
Fenzone. 1ª (battistero, 19), su disegno di Filippo Raguzzini (1741):
sotto il pavimento nel 1920 fu rinvenuto l’ambiente di una domus
romana.

LA QUINTA ARCHITETTONICA DELLA PIAZZA. Al fianco d. della basilica


appoggia la settecentesca casa dei Canonici. A quello sin., il palazzo di
S. Callisto, in origine monastero benedettino annesso all’omonima
chiesa (v. sotto), ricostruito da Orazio Torriani (c. 1618) e restaurato
nel 1854 e nel 1934-37; sullo stesso lato della piazza, il
cinquecentesco palazzo Cavalieri (o Leopardi) è caratterizzato nella
parte inferiore da muri a scarpa, spigoli bugnati e dal portale con
decorazioni barocche.

A PIAZZA DI S. CALISTO, che si raggiunge passando fra i due


edifici, dà nome la chiesa di S. Callisto, con facciata a due ordini
tardo-rinascimentale. Eretta da Gregorio III (741) sul luogo del
martirio del santo e ricostruita, come il citato palazzo, da Orazio
Torriani (1610), subì analoghi restauri. Nella cappella d., due angeli,
attribuiti a Gian Lorenzo Bernini (c. 1657), sostengono la pala (S.
Mauro abate) di Pier Leone Ghezzi; sull’altare maggiore, S. Callisto e
altri adorano la Vergine di Avanzino Nucci; nella cappella sin., S.
Callisto gettato nel pozzo di Giovanni Bilivert.
Affacciano sulla piazza il palazzo Farinacci (numeri 4-7; sec. XVI-
XVII), collegato al palazzo Cavalieri da un cavalcavia noto come arco di
S. Calisto (al N. 42 della via che da questo prende nome, minuscola
casetta a due piani con scala esterna), e il palazzo Dal Pozzo (N. 9;
inizi ’600).

L’EX MONASTERO DI S. COSIMATO. Per via di S. Cosimato, sulla


quale incombe il palazzo già delle Sacre Congregazioni Romane
(Giuseppe Momo, 1936), si giunge nell’omonima piazza, definita da
ottocenteschi edifici popolari. Al termine del lato sin., sulla contermine
via Roma Libera, l’ex complesso benedettino di S. Cosimato (oggi
ospedale nuovo Regina Margherita) affaccia con il protiro (sec. XII) su
due colonne antiche con capitelli compositi, già accesso all’atrio
scoperto e all’edificio di culto. La sede monastica sorse a metà sec. X e
la chiesa, intitolata ai Ss. Cosma, Damiano, Benedetto ed
Emerenziana, fu consacrata nel 1069; dopo un restauro nel 1246
(quando probabilmente si costruì il primo chiostro), nel 1475-85 Sisto
IV rinnovò la prima, riedificando, insieme alla seconda, il refettorio e
l’aula capitolare, aggiungendo un nuovo chiostro. Destinato nel 1891 a
ospizio, è stato ristrutturato con l’edificazione di nuovi corpi per
adeguarlo alla funzione.
Dal numero 76 si accede al PRIMO CHIOSTRO romanico (c. 1246), a
pianta quadrangolare con arcate su pilastri che includono una serie di
quattro arcatelle sorrette da colonnine binate. L’ordine superiore, pure
ad arcate (tamponate) su pilastrini ottagonali e dell’epoca di Sisto IV,
si conserva solo sul lato N, ornato di frammenti scultorei e
architettonici appartenuti alla struttura medievale; esso è contermine
(a E) al SECONDO CHIOSTRO, del tempo di Sisto IV, con doppio ordine di
pilastri ottagonali. L’estremità opposta del lato N del primo chiostro dà
accesso all’ATRIO SCOPERTO (vasca romana in granito trasformata in
fontana nel 1731) e alla chiesa di S. Cosimato. La facciata
rinascimentale a capanna ha timpano rialzato con coronamento ad
archetti goticizzante e bel portale quattrocentesco riccamente scolpito;
le altre aperture sono state modificate nei restauri ottocenteschi. Il
semplice interno rettangolare è stato ridecorato nel 1871. Sulla parete
di fondo, a sin., affresco (Madonna in trono tra i Ss. Francesco e
Chiara) di Antonio del Massaro; all’altare maggiore (1639), Madonna
col Bambino di fine sec. XIII dalla primitiva basilica di S. Pietro; a sin.,
cappella di S. Severa con volta a crociera ribassata; l’altare è costituito
da elementi del monumento del cardinale Lorenzo Cybo, della cerchia
di Gian Cristoforo Romano, già in S. Maria del Popolo. In un ambiente
annesso alla sagrestia si conservano sette tele provenienti dall’oratorio
di S. Angelo in Pescheria, di Giuseppe Ghezzi, Lazzaro Baldi e del
Borgognone.

VIA DI S. FRANCESCO A RIPA, che s’imbocca da piazza di S. Calisto,


fu aperta da Paolo V (1610-1611) tra i poli religiosi di S. Maria in
Trastevere e di S. Francesco a Ripa, che ne costituisce lo sbocco
scenografico. L’incrocio con via delle Fratte di Trastevere-via Manara
(alla seconda fa da fondale la fontana del Prigione – cosiddetta per la
statua che l’adornava – di Domenico Fontana, c. 1580, proveniente
dalla villa Peretti Montalto) è segnato dalla chiesa di S. Pasquale
Baylon, denominata anche dei Ss. Quaranta Martiri o delle Zitelle.
Esistente nel 1123, fu riedificata nel 1486 e restaurata nel 1608;
passata agli Alcantarini, Giuseppe Sardi la ricostruì, quasi
contemporaneamente all’attiguo convento (1736-39), nel 1744-47.
Opera armoniosa e compiuta, ha i due ordini della facciata semplificati
in specchiature e fasce.
L’INTERNO a sala, a spigoli arrotondati di tipologia borrominiana,
con tre cappelle per lato, è preceduto da un vestibolo e seguito da un
transetto coperto da cupola emisferica e lanternino. Sul soffitto della
navata, Gloria di S. Pietro d’Alcantara, affresco di Matteo Pannaria, cui
si deve pure, sulla cupola, la Gloria di S. Pasquale (c. 1754); all’altare
maggiore, Martirio dei quaranta martiri di Sebaste attribuito ad Arturo
Tosi; nella 1ª cappella sin., Sacra famiglia di Francisco Preciado de la
Vega. In sagrestia, Crocifissione affrescata dal Pannaria.

S. FRANCESCO A RIPA. Oltrepassata a sin. via Cardinale Merry del


Val (inquadrata dai «propilei» ormai decontestualizzati del «quartiere
Mastai», →), si attraversa viale di Trastevere →, che segna una netta
cesura nel tessuto storico, raggiungendo la chiesa con l’annesso
convento. La facciata di Mattia De Rossi è scandita da due ordini:
nell’inferiore prevale lo sviluppo orizzontale e la rigida partitura
architettonica; nel superiore gli elementi curvilinei del frontone e delle
‘volute’ che individuano le navate laterali e costituiscono quasi un
timpano spezzato.

LA STORIA. Il complesso sorge dove erano la chiesa di S. Biagio e


un monastero benedettino (sec. X) che avrebbe ospitato Francesco
d’Assisi. Passato nel 1229 ai frati minori, il convento venne ampliato in
fasi successive (fine ’500-inizi ’700) e trasformato in gran parte in
caserma dal 1873 al 1943. La chiesa, dopo un progetto di modifica di
Baldassarre Peruzzi (c. 1535) non eseguito, fu ampliata nel coro da
Onorio Longhi (1603) mentre Mattia De Rossi (1681-85) demolì e
ricostruì le tre navate, ed edificò le tre cappelle sul lato d.,
simmetriche a quelle di sin. del 1530-40, e la facciata.

INTERNO. 1ª cappella d.: volta e pennacchi con santi di fra’


Emanuele da Como; alla parete sin., monumento del cardinale
Michelangelo Ricci (m. 1682), con busto attribuito a Domenico Guidi.
2ª: storie della vita di S. Giovanni da Capestrano di Domenico Maria
Muratori (c. 1725). 3ª: pala di Stefano Maria Legnani (1685). Il
transetto d. prosegue spazialmente nella CAPPELLA ROSPIGLIOSI-
PALLAVICINI di Nicola Michetti, completata da Ludovico Rusconi Sassi
(1710-1725), elegante creazione del barocchetto romano; la pala (Ss.
Pietro d’Alcantara e Pasquale Baylon) è di Giuseppe Chiari, gli ovali
della volta (Allegorie di Virtù) di Tommaso Chiari; ai lati, monumenti
funebri di Stefano e Lazzaro Pallavicini e di Maria Camilla e G.B.
Rospigliosi, su disegno del Michetti, con sculture allegoriche e ritratti
di Giuseppe Mazzuoli (1713-19). Sull’altare maggiore (1746): statua di
S. Francesco attribuita a fra’ Diego da Careri (ante 1588); rivolta verso
il coro, Trinità e santi di Paris Nogari. Nel transetto sin. si apre la
CAPPELLA PALUZZI-ALBERTONI di Giacomo Mola (1622-25), dove si ammira
uno dei capolavori di Gian Lorenzo Bernini: la *Beata Ludovica
Albertoni, collocata senza modificare l’architettura preesistente, ma
arretrando la parete di fondo e utilizzando un’illuminazione teatrale
(1671-74); dietro la statua fu posto un dipinto (S. Anna e la Vergine)
del Baciccia. Tra questa cappella e la successiva, monumento a Giulia
Ricci Paravicini (1662) con busto di Ercole Ferrata. 3ª cappella sin.:
alla parete sin., busto di Laura Frangipani di Andrea Bolgi (1637); a
d., busto di Orazio Mattei attribuito a Lorenzo Ottoni. 2ª: affreschi di
G.B. Ricci; Annunciazione di Francesco Salviati (c. 1534); all’esterno,
tomba di Giuseppe Paravicini (m. 1695) con busto di Camillo Rusconi.
1ª: Concezione di Marten de Vos (c. 1555); a d., Assunzione di
Antonio della Cornia; a sin., Natività della Vergine di Simon Vouet (c.
1620). Nei pennacchi, sibille attribuite alla scuola del Vouet, poco
leggibili. Dalla sagrestia (1696), un frate accompagna alla visita della
CAPPELLA DI S. FRANCESCO, unico resto dell’antico ospizio con lo
scenografico armadio delle reliquie (1696), con al centro la copia della
tavola attribuita a Margaritone d’Arezzo, considerata uno dei veri
ritratti del santo, alla Pinacoteca Vaticana.

S. MARIA DELL’ORTO. Per via Anicia, a sin., ci si addentra in una


zona dal tono più dimesso, incontrando sul lato sin. questa chiesa, che
ha avuto origine da una cappella eretta nel 1492 per venerare
l’omonima immagine della Madonna.

L’edificio attuale, iniziato nel 1495, fu lentamente condotto a


termine dalla confraternita omonima con un impianto a croce greca
attribuito a ignoto bramantesco o a Giulio Romano, completamente
rimaneggiato e trasformato in forma basilicale da Guidetto Guidetti
(1554-60). Nel 1566-68 il Vignola costruì la parte inferiore della
facciata, conclusa, in forme semplificate, da Francesco da Volterra
(1576-77). Dopo gli interventi settecenteschi nell’interno, nel 1825 fu
restaurata e fu eretto il nuovo campanile.

LA FACCIATA a due ordini fu pensata come scenografico fondale


(oggi svilito dai nuovi edifici della manifattura dei Tabacchi, →) per la
via omonima, che si stacca dirimpetto e il cui cono visivo inquadra
parte del prospetto dell’ex ospizio apostolico di S. Michele a Ripa
Grande →. Il fronte della chiesa rivela la partizione degli spazi interni
ed è caratterizzato dalla disparità di sviluppo orizzontale tra l’ordine
inferiore e il superiore, dall’evidenza plastica del pronao, dalla
scansione ritmica delle membrature che si concludono con obelischi.

NELL’INTERNO, a tre navate con altrettante cappelle per lato, la


terminazione triabsidata, resto dell’originario impianto centrale,
costituisce il transetto e l’abside. Gli interventi decorativi
settecenteschi, ideati da Luigi Barattoni e altri (transetto, presbiterio e
navate minori) e poi da Gabriele Valvassori (navata centrale e disegno
del pavimento), hanno dato alla struttura continuità plastica e
cromatica, modificando completamente gli equilibri spaziali
cinquecenteschi.
Sulla volta della navata centrale, Assunzione della Vergine,
affresco di Giacinto Calandrucci (1706). NAVATA DESTRA. Le volte con i
santi titolari delle cappelle corrispondenti sono state affrescate da
Giuseppe e Andrea Orazi (1708). 1ª cappella: Annunciazione, affresco
di Taddeo Zuccari (1561). 2ª: Nozze mistiche di S. Caterina di Filippo
Zucchetti (1711). 3ª: Madonna e santi di Giovanni Baglione, autore
anche dei laterali (1630). TRANSETTO DESTRO: alle pareti, storie della
Passione di Nicolò Martinelli; nella volta, Risurrezione di Giacinto
Calandrucci; sopra la porta d’accesso all’aula del vestiario (v. sotto),
Discesa dello Spirito Santo, affresco di Andrea Procaccini. PRESBITERIO.
All’altare maggiore (su disegno del Valvassori, metà sec. XVIII),
l’immagine venerata della Madonna col Bambino staccata dal muro di
un orto (metà sec. XV); nella volta della crociera, tra festoni e
ghirlande in stucco, Immacolata Concezione affrescata da Giuseppe e
Andrea Orazi. Nell’abside, affreschi (storie della Vergine) di Taddeo e
Federico Zuccari (c. 1560); le pareti laterali furono affrescate nel 1598
dal Baglione; belle grottesche in stucco (fine sec. XVI). TRANSETTO
SINISTRO: alle pareti, storie di S. Francesco del Martinelli; sopra la porta
d’accesso alla sagrestia, affresco (Ss. Anna e Gioacchino) di Andrea
Procaccini. NAVATA SINISTRA: le volte davanti alle cappelle con i santi
titolari corrispondenti sono affrescate da G.B. Parodi (1706). 3ª
cappella: Madonna col Bambino e santi del Baglione (1641), al quale
si devono anche i più deboli dipinti delle pareti. 2ª: Battesimo di Gesù
di Corrado Giaquinto (1750). 1ª: S. Sebastiano curato dagli angeli
ancora del Baglione (1624, autore anche dei laterali); acquasantiera di
inizi sec. XVI.
La porta alla testata della navata d. si apre su un locale,
affrescato con finte lapidi a ricordo dei benefattori, che precede l’AULA
DEL VESTIARIO DELL’ARCICONFRATERNITA (la promozione a questo rango
avvenne sotto Sisto V), ancora attiva e nata come espressione delle
università di arti e mestieri («vermicellari», «pollaroli», «pizzicaroli»
ecc.) legate alla chiesa, all’interno della quale avevano i propri altari.
Da qui si accede all’ORATORIO, costruito nel 1563 e riccamente decorato
nel 1702-1706 di stucchi e affreschi alla maniera di Giacinto
Calandrucci, riferiti in parte a Giovanni Odazzi.
Nei locali sopra la chiesa è stato creato nel 1981 il Centro studi
Luigi Huetter sulle confraternite e le università di arti e mestieri di
Roma, corredato di una biblioteca e di un piccolo museo
sull’argomento.

L’EX OSPEDALE DI S. GIOVANNI BATTISTA DEI GENOVESI. Si continua


in via Anicia, costeggiando il muro di cinta del complesso di S. Cecilia
(→; se ne individuano l’abside e il campanile) e incontrando sul lato
opposto l’ex nosocomio e l’omonima chiesa (t. 065812416;
www.sgbg.interfree.it), fondati nel 1482-83 – su disposizione
testamentaria del nobile genovese Meliaduce Cicala – in prossimità del
porto di Ripa Grande, per i marinai malati o bisognosi di assistenza.
L’edificio del ricovero, completamente rifatto all’esterno, conserva –
sui fronti principale e laterale – finestre a croce guelfa e il *CHIOSTRO
tardo-quattrocentesco, attribuito a Baccio Pontelli, o all’ambiente
fiorentino, per l’uso dei pilastri ottagonali nel portico ad archi e nella
loggia architravata e per la semplicità e il ritmo delle proporzioni.
La chiesa fu rifatta nel 1737 (costruzione della nuova facciata, del
campanile e della cappella di S. Caterina; aggiunta dell’abside,
decorazione della volta) e nel 1843-76, con riedificazione della facciata
(1864) a due ordini con coronamento a timpano.

INTERNO. Altare destro (con due colonne antiche di porfido), S.


Giorgio di Filippo Zucchetti (1696). Segue il bel monumento funebre di
Meliaduce Cicala (m. 1481) della scuola di Andrea Bregno. Altare
maggiore (pure con due antiche colonne di porfido): Battesimo di
Cristo attribuito a Nicolas Régnier (c. 1625); a sin., tabernacolo degli
olî santi, opera fiorentina di fine ’400. Altare sinistro: Apparizione della
Vergine di Savona di Giovanni Odazzi.

Nell’ORATORIO, dei sec. XVI-XVII, i restauri del 1975 hanno messo in


luce resti di affreschi di inizi ’600.

VERSO S. CECILIA IN TRASTEVERE. Chiude la prospettiva di via


Anicia il rimaneggiato arco dei Tolomei, di origine medievale, che ha
nome dalla famiglia senese qui residente dal sec. XIV. Presa a d. via
dei Genovesi, s’incontra (numeri 9-10) una casa rinascimentale che
fronteggia l’imbocco del pittoresco e irregolare vicolo dell’Atleta
(cosiddetto per il ritrovamento nel 1844 della statua dell’Apoxyomenos
ora ai Musei Vaticani), sul quale affacciano: al N. 14, una *casa
medievale (sec. XIII-XIV) con loggia e arcate su colonne e coronamento
ad archetti ogivali su mensole di pietra, identificata come l’unica
sinagoga antica degli Ebrei romani rimasta (iscrizione a caratteri
ebraici sulla colonna centrale); i numeri 2 e 3-4 corrispondono a due
case rinascimentali.
Proseguimento di via dei Genovesi, via Jandolo è chiusa dalla
chiesa di S. Maria in Cappella, cui è annesso l’omonimo ospedale dei
Cronici. Consacrata nel 1090 (lapide all’interno), era a tre navate;
caduta in abbandono, dopo un intervento a fine ’700, un radicale
restauro stilistico fu affidato ad Andrea Busiri Vici, che nel 1880-92
rifece la facciata e ripristinò le navate, scandite da colonne di spoglio
(il piccolo campanile romanico, a due ordini di bifore, è del sec. XII); al
Busiri Vici si deve anche l’ospedale, ricostruito nel 1857-75 sul sito
dell’originario, fondato nel 1391.
Dal quadrivio al termine di via dei Genovesi, per via di S. Cecilia si
giunge nella piazza omonima, dominata, sulla d., dal monumentale
ingresso al complesso del convento e della basilica di *S. Cecilia in
Trastevere.

LA STORIA. Un luogo di culto («titulus Caeciliae») esisteva prima


del sec. V nella casa romana ritenuta di S. Valeriano, marito della
santa martirizzata sotto Marco Aurelio; Pasquale I edificò l’attuale
basilica alla quale furono aggiunti il portico, il campanile e l’ala d. del
convento con il chiostro (fine sec. XII-inizi XIII); restauri si ebbero
intorno al 1540 (costruzione del coro, con l’occultamento degli
affreschi di Pietro Cavallini) e nel 1600 (sistemazione della
confessione, rialzamento del presbiterio, altari laterali), che furono
seguiti da quello radicale del 1724 realizzato per il cardinale Francesco
Acquaviva da Domenico Paradisi e Luigi Barattoni (volta, coretti,
decorazioni a stucco, nartece e facciata); al 1741-42 risale il prospetto
del convento sulla piazza. Nel 1823, su incarico del cardinale Giacomo
Doria, furono inglobate, per ragioni statiche, le colonne delle navate in
pilastri; a fine ’800 fu rifatta la cripta.

L’INGRESSO monumentale attribuito a Ferdinando Fuga (1741-42)


dà accesso a un vasto CORTILE piantato a giardino (pianta, 1), al centro
del quale è un bacino rettangolare con un antico càntaro marmoreo
(sistemazione del 1929). La facciata della chiesa, rimaneggiata nel
’700 (sulla d., campanile romanico di metà sec. XII), è preceduta da un
PORTICO (2) che conserva le colonne antiche e l’originario architrave
con fregio musivo (sec. XII), pietre tombali e frammenti medievali; a
d., il sontuoso monumento al cardinale Paolo Emilio Sfondrati (m.
1618), su progetto di Girolamo Rainaldi, con rilievi marmorei che
ricordano la ricognizione del corpo di S. Cecilia voluta dal cardinale
(1599).
L’INTERNO, preceduto da vestibolo, è a tre navate; la maggiore,
absidata e con volta a botte ribassata, è separata dalle laterali da
pilastri che inglobano le colonne antiche.
Nel VESTIBOLO (3): a d., tomba del cardinale di Hartford (m. 1398;
Paolo Taccone?); a sin., monumento del cardinale Nicolò Forteguerri
(m. 1473) attribuito a Mino da Fiesole, ricomposto nel 1895. Alla
parete d. del vestibolo si addossa una CAPPELLA (4) con un Crocifisso
fra la Madonna e S. Giovanni evangelista, affresco staccato del tardo
sec. XIV, e altro, quattrocentesco, sulla parete sin., della Madonna in
trono e santi.
L’ampia e luminosa navata centrale conserva il vivace carattere
settecentesco; nella volta, affresco (Apoteosi di S. Cecilia) di
Sebastiano Conca (c. 1727). Dalla navata d., attraverso un corridoio
(5) affrescato (paesaggi e santi) di Paul Brill (in fondo, statua di S.
Sebastiano della prima metà del sec. XVI attribuita a Lorenzetto; a sin.,
Ss. Valeriano e Cecilia di Guido Reni), si accede alla cappella del
bagno, il CALIDARIUM (6) dove secondo la tradizione la santa restò tre
giorni esposta ai vapori prima del martirio (visibili le antiche
condutture termali); decorato da affreschi attribuiti ad Andrea Lilli, ha
sull’altare una Decollazione della santa del Reni (c. 1603). Sulla navata
d. si apre anche la quattrocentesca CAPPELLA DEI PONZIANI (7), con volta
a crociera decorata di un Dio Padre tra gli evangelisti di Antonio del
Massaro, autore anche degli affreschi alle pareti (c. 1470); altare con
paliotto cosmatesco. Fra questa cappella e la successiva, altare di S.
Benedetto con tela di Giuseppe Ghezzi. Alla CAPPELLA DELLE RELIQUIE (8)
– su disegno di Luigi Vanvitelli che eseguì anche la pala e l’affresco
della volta – è adiacente un piccolo ambiente (9) con il monumento
del cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, teatrale composizione di
Enrico Quattrini (1929). Alla parete d. della testata della navata (10),
affresco quasi illeggibile (S. Cecilia appare a Pasquale I, sec. XII)
staccato dal portico.
Nel presbiterio: al centro *ciborio (11), capolavoro di
architettura e scultura gotica di Arnolfo di Cambio (firma; 1293), su
quattro colonne di marmo nero e bianco, con archi trilobi, timpani e
cuspidi, decorato con rilievi e statuette di angeli, santi, profeti ed
evangelisti; sotto l’altare, sepolcro in marmi e bronzi dorati (12) con la
celebre *S. Cecilia di Stefano Maderno (1600; restaurata nel 2001),
che ritrasse il corpo della santa come fu visto all’atto della ricognizione
(1599). Nel catino, mosaico (c. 820) del *Redentore benedicente
con, a sin., i Ss. Paolo, Cecilia e Pasquale I (che reca il nimbo
quadrato dei viventi e il modellino della chiesa) e, a d., i Ss. Pietro,
Valeriano e Agata; intorno, simboli cristiani; nella fascia inferiore,
Agnello mistico e due teorie di agnelli. Ai lati dell’abside, entro nicchie,
busti di Clemente XI e di Innocenzo XII attribuiti a Giuseppe Mazzuoli
(1723-25). Alla testata della navata sin., Ss. Pietro e Paolo di Giovanni
Baglione; seguono, in successione sugli altari, S. Agata di Paolo
Guidotti, S. Andrea del Baglione e i Ss. Stefano e Lorenzo di Giuseppe
Ghezzi.
Dalla navata sin. si viene accompagnati nel CHIOSTRO (sec. XII) che,
scandito da pilastri e caratterizzato da archetti su colonnine
(fortemente contrastante è la chiusura moderna a finestre), è stato
alterato dall’inserimento di un muro, con arcate rette da capitelli e
colonne antiche, costruito nel 1559 per sostenere il refettorio del
convento. Su una parete, una lunetta di Francesco Vanni (Morte di S.
Cecilia) e altre due del Baglione. Una scala dà accesso al CORO DELLE
MONACHE, addossato alla controfacciata della chiesa su cui sussiste il
*Giudizio universale, capolavoro di Pietro Cavallini (1289-93 c.);
riscoperta nel 1900, l’opera più significativa della pittura pregiottesca
romana illustra, in alto, Gesù tra la Madonna, il Battista e gli apostoli,
in basso (al di sotto del piano degli stalli), gli angeli che suonano le
trombe e le schiere dei beati e dei reprobi. L’Annunciazione, a lato
dell’ingresso, e il Sogno di Giacobbe e l’Inganno d’Isacco, sulla parete
opposta, sono parte del ciclo cavalliniano.

IL COMPLESSO ARCHEOLOGICO nei sotterranei è stato rimesso in luce


per lo più negli scavi del 1899; di non facile lettura, è costituito da una
serie di costruzioni succedutesi dall’età tardo-repubblicana ai sec. II e
IV, di cui rimangono i pavimenti in opus signatum e a mosaico bianco
e nero, un ambiente termale, una stanza con otto silos circolari e vari
frammenti di rilievi. L’ultimo ambiente è la cripta, opera
bizantineggiante di G.B. Giovenale (1899-1901), eseguita a spese del
cardinale Rampolla modificando ambienti preesistenti (dalla
«fenestella confessionis» si vedono i sarcofagi dei Ss. Cecilia,
Valeriano, Tiburzio e Massimo e dei papi Lucio e Urbano).
Indagini eseguite nel 1988 sotto la cappella delle Reliquie e
l’attiguo convento delle Francescane hanno individuato una vasca
battesimale circolare in laterizio, risalente forse al V sec. e
sopraelevata nel Medioevo, testimonianza, rarissima in Roma, del
battesimo per immersione, collocata in una stanza perfettamente
conservata (ricavata da un ambiente del sec. II) con alle pareti resti
notevoli della decorazione pittorica a velari.

L’EX OSPIZIO APOSTOLICO DI S. MICHELE A RIPA GRANDE. Di fronte al


convento di S. Cecilia, in angolo con piazza de’ Mercanti che si
presenta con un aspetto tipicamente trasteverino, al N. 19 è una casa
medievale che è stata restaurata intorno al 1960. Imboccata via di S.
Michele, si costeggia l’omonimo complesso che si sviluppa per 334 m
a ridosso del Tevere, dov’era il porto di Ripa Grande →.

LA STORIA. Il primo nucleo del conservatorio per ragazzi, istituito


da monsignor Tommaso Odescalchi, sorse verso piazza di Porta
Portese forse per opera di Mattia De Rossi e Carlo Fontana (1686-89).
Dopo l’acquisto nel 1693, Innocenzo XII affidò al Fontana la
costruzione del lanificio (1693-1701) su via di S. Michele e la
definizione del cortile dei ragazzi, dando avvio alla realizzazione della
principale istituzione cittadina a carattere rieducativo e assistenziale.
Su incarico di Clemente XI, sempre al Fontana si devono: la casa di
correzione modello per i ragazzi (1701-1704) su via di S. Michele; la
caserma dei doganieri (1706-1709) tra piazza di Porta Portese e il
Tevere; un fabbricato di collegamento tra la caserma e il nucleo
originario per ospitare una serie di servizi compresa l’arazzeria e la
chiesetta della Madonna del Buon Viaggio (1710-1714); l’ospizio dei
vecchi (1708-1713), con il cortile dei vecchi e quello delle carrette; la
chiesa di S. Michele (1710-1715) interrotta per la mancata
acquisizione dell’area necessaria, poi conclusa con un’abside da Luigi
Poletti (1831-35). Di Nicola Michetti, subentrato nella direzione della
fabbrica, sono parte del conservatorio delle Zitelle (1719-29,
completato da Nicolò Forti nel 1790-97), e le sopraelevazioni che
caratterizzano il prospetto sul Tevere forse su progetto del Fontana
(1714-15). Clemente XII fece costruire da Ferdinando Fuga (1734-35)
il carcere femminile su piazza di Porta Portese; sotto Clemente XIII e
Pio VI, Nicolò Forti completò il complesso, di cui l’ala sull’angolo tra via
di S. Michele e via del Porto fu ricostruita nel 1958. Nel 1938 l’istituto
fu trasferito a Tormarancia, mentre il carcere continuò a funzionare
fino al 1972.

TRA I CORPI DI FABBRICA, di particolare interesse l’architettura della


CASA DI CORREZIONE DEI RAGAZZI, determinata da un’attenta analisi delle
funzioni leggibile anche nella partitura del prospetto su via di S.
Michele: lo spazio vuoto del vasto ambiente centrale terminante in
cappella, dove si svolgevano le attività comunitarie, contrasta con le
piccole aperture delle celle, che all’interno affacciano su due ordini di
ballatoi. A esso s’ispirò Ferdinando Fuga per il CARCERE FEMMINILE: le
celle sono disposte solo sul lato del cortile e il grande ambiente
collettivo prospetta su piazza di Porta Portese con una facciata a due
ordini di finestre (la partitura verticale è stata modificata con
l’ampliamento del 1760). Ai criteri di semplicità e funzionalità adottati
dal Fontana s’ispira anche il prospetto sul lungotevere, costituito da
una serie omogenea di finestre e ritmato dai corpi di fabbrica
sopraelevati. In occasione di mostre e convegni, attraverso i cortili dei
ragazzi e dei vecchi (dove è allestita un’esposizione permanente sulla
storia del complesso), si può accedere alla CHIESA DI S. MICHELE e,
all’ultimo piano, alla SALA DELLO STENDITOIO (ristrutturazione di Franco
Minissi e Gaetano Miarelli Mariani).

VIA DELLA LUNGARA E IL GIANICOLO

IL ‘POLO’ DI S. EGIDIO. Da piazza di S. Maria in Trastevere → ci


s’inoltra per via della Paglia nella zona più caratteristica del rione (ne è
esempio vicolo del Piede che si incontra subito a d., con il prospetto
barocco dell’ex oratorio del SS. Sacramento – 1675 – oggi ristorante).
A sinistra si apre largo Fumasoni Biondi, delimitato da un lato dal
transetto con il campanile di S. Maria in Trastevere, dall’altro (numeri
4-5) dal prospetto ‘borrominiano’ della Canonica della chiesa
(attribuito a Giacomo Onorato Recalcati, c. 1720), a due piani con
coronamento mistilineo.
A destra si allunga la piazza triangolare che prende nome dalla
chiesa di S. Egidio, eretta nel 1630 con facciata a ordine unico di
paraste corinzie. Nell’interno, a una sola navata, a sin. dell’ingresso,
monumento funebre di Veronica Rondinini Origo su disegno di Carlo
Fontana; all’altare maggiore, Madonna del Carmine e S. Simone Stock
di Andrea Camassei (c. 1630) e bel ciborio seicentesco; nella cappella
di sin., S. Egidio del Pomarancio; nel coro, Vergine e Ss. Teresa e
Giuseppe di Andrea Pozzo.
Adiacente alla chiesa e fronteggiato dal quattrocentesco palazzo
Velli (N. 9), il convento, di cui Paolo V ratificò l’erezione nel 1611,
ospita dal 1976 il Museo del Folklore e dei Poeti romaneschi oggi
Museo di Roma in Trastevere. Nel nuovo allestimento l’istituzione
documenta la capitale dall’800 ai giorni nostri usando per la parte
antica le immagini storiche e oleografiche e per l’oggi le indagini
condotte dal dipartimento per lo Studio della Società di Roma sui
cambiamenti sociali, economici e culturali dell’Urbe.

LE COLLEZIONI. Sezione del Museo di Roma (t. 065816563,


www.comune.roma.it/ museodiroma.trastevere), comprende in
prevalenza una raccolta di dipinti, acquerelli, stampe e disegni che
illustrano aspetti della vita sociale a Roma da fine Settecento
all’Ottocento. I temi maggiormente rappresentati sono i costumi, le
danze popolari, la vita religiosa, le vedute della campagna romana e di
Roma, le feste e le girandole. Inoltre il Museo conserva una
significativa parte del corpus di acquerelli della serie Roma sparita
realizzati da Ettore Roesler Franz, raffiguranti piazze, palazzi, cortili,
rive del Tevere, luoghi e aspetti della vita popolare romana che
andavano scomparendo a seguito del nuovo assetto urbanistico di
Roma capitale dopo il 1870. Nucleo storico sono le Scene romane,
scenografie che riproducono a grandezza naturale aspetti della vita
popolare romana dell’Ottocento. Fanno inoltre parte delle collezioni i
materiali appartenuti al poeta Trilussa (1871-1950), donati dopo la
sua morte al Comune di Roma.

LA CARATTERISTICA IRREGOLARITÀ DEL TESSUTO URBANO di questa


zona del rione è ben esemplificata dal dedalo di vie e di vicoli,
delimitati da edilizia minore, compresi tra piazza di S. Egidio e il
lungotevere. Via della Pelliccia, che si stacca presso il palazzo Velli, ha
andamento a gomito: il primo tratto sbocca davanti al vicolo del
Cinque, poi piega verso piazza de’ Renzi dove è una casa medievale a
due piani. Vicolo del Cinque è omonimo al palazzo cinquecentesco (ma
rimaneggiato) che vi sorge al N. 32, fronteggiato (N. 30) da un altro
edificio coevo.

S. MARIA DELLA SCALA. Da piazza di S. Egidio s’imbocca via della


Scala (subito a sin., al N. 35 di vicolo del Cedro, è una casa
settecentesca con curiose finestre ‘borrominiane’), che costeggia
l’omonima piazza sulla quale sorgono questa chiesa e l’annesso
convento dei Carmelitani. La prima, iniziata nel 1593 da Francesco
Capriani per un’immagine della Madonna ritenuta miracolosa, fu
completata nel 1610 e restaurata nel 1851. La facciata, ultimata nel
1624 su progetto del Capriani secondo il tipo codificato nella seconda
metà del ’500 a Roma, è costituita da un doppio ordine sovrapposto di
paraste con la parte centrale in leggero aggetto. Sopra il portale,
entro nicchia, statua della Madonna col Bambino (1633).

LO SPAZIO INTERNO è una riformulazione della chiesa del Gesù. 1ª


cappella d.: *Decollazione del Battista di Gherardo delle Notti (1619).
2ª: pala di Antiveduto Grammatica. 3ª: sulla cupola, affresco (Gloria
di S. Giuseppe) di Giovanni Odazzi; pala d’altare (Sacra famiglia) di
Giuseppe Ghezzi; a d., Sogno di Giuseppe dell’Odazzi; a sin.,
Sposalizio di Maria di Antonio David. Nel transetto, la cappella di S.
Teresa d’Avila, disegnata da Giovanni Paolo Pannini, ha un ricco altare
con pala di Francesco Mancini; ovali laterali in marmo di Filippo Della
Valle (sin.) e Michelangelo Slodtz (d.). Nel presbiterio, il complesso
dell’altare maggiore di Carlo Rainaldi (1647) reca al centro il prezioso
ciborio, modello in scala di un tempietto a pianta centrale, con
colonne in alabastro di Sicilia e cupola in bronzo. Alle pareti del catino,
grandi tele di Lucas de la Haye; al centro, Madonna col Bambino del
Cavalier d’Arpino (1612). Nel transetto sin., la cappella della Madonna
della Scala reca, sull’altare classicheggiante di Alessandro Algardi,
l’immagine legata alla fondazione della chiesa; sulla d., monumento
funebre di Prospero Santacroce con busto dell’Algardi. 3ª cappella
sin.: gruppo marmoreo con Crocifisso e S. Giovanni della Croce di
Francesco Papaleo. 2ª (disegnata da Girolamo Rainaldi): Transito della
Vergine di Carlo Saraceni, che sostituì il dipinto di Caravaggio di
analogo soggetto (ora al Louvre) non accettato dai frati; ai lati, tele di
Giovanni Conca. 1ª: Madonna che porge lo scapolare a S. Simone
Stock del Pomarancio, autore anche del Padre Eterno nel timpano.

IL CONVENTO, costruito a inizi ’600, è in parte attribuito a Matteo


da Città di Castello (chiostro grande) e in parte a Ottaviano
Mascherino (edificio che costeggia la strada e chiostro piccolo). Al
secondo piano si trova la «speziaria», farmacia perfettamente
conservata con gli arredi del sec. XVII.

PORTA SETTIMIANA, che via della Scala raggiunge, fu ricostruita da


Alessandro VI (1498) in luogo di una pusterla delle mura Aureliane e
restaurata da Pio VI (1798); ha un semplice fornice ed è coronata da
una merlatura ghibellina con beccatelli. La precedono, a sin., la salita
alberata di via Garibaldi → e, a d., via di S. Dorotea dove (numeri
19A-20) è la cosiddetta casa della Fornarina, quattrocentesca con
preesistenze medievali e colonne di spoglio, che la tradizione collega
alla donna del celebre ritratto di Raffaello.
La segue il prospetto settecentesco concavo, a ordine unico
corinzio, della chiesa di S. Dorotea. Già esistente agli inizi del sec. XII e
restaurata a fine XV, fu ricostruita da G.B. Nolli (1751-56) mantenendo
la parte absidale preesistente, in forme che preludono al
neoclassicismo; in due sale attigue alla sagrestia, S. Giuseppe
Calasanzio fondò nel 1597 la prima scuola gratuita d’Europa.

ADDENTRANDOSI NUOVAMENTE NEL RETICOLO VIARIO che costituisce


l’ossatura storica del rione, si lascia a sin. il rinascimentale palazzo
Moroni (trasformato in teatro), posto al N. 30 dell’omonimo vicolo
chiuso sul fondo da un tratto, rimaneggiato e parzialmente
trasformato in abitazione, delle mura Aureliane. Via di S. Dorotea
sbocca nella piazzetta che prende nome dalla chiesa di S. Giovanni
della Malva (ricostruita da Giacomo Monaldi nel 1845-51); vi si
dipartono: a d., via Benedetta (ai numeri 19-21, due caratteristiche
case a schiera tardo-quattrocentesche a due piani, con bottega al
piano terra e, al piano nobile, finestre con cornici derivate dal palazzo
della Cancelleria); a sin., via di Ponte Sisto, che raggiunge piazza
Trilussa, creata a fine ’800.
A sinistra è il monumento a Trilussa – pseudonimo del poeta
romanesco Carlo Alberto Salustri (1871-1950) – con busto in bronzo di
Lorenzo Ferri (1954), mentre al centro è la fontana dell’Acqua Paola
(popolarmente chiamata «fontanone di ponte Sisto») eretta, per
volontà di Paolo V, sulla riva opposta in fondo a via Giulia (Giovanni
Vasanzio in collaborazione con Giovanni Fontana, 1613) e qui
trasferita nel 1898 per l’apertura del lungotevere.

VIA DELLA LUNGARA, che ha inizio da porta Settimiana, è il lungo


asse rinascimentale voluto da Giulio II (1508-1512) che costituiva con
via Giulia →, aperta dallo stesso pontefice sulla sponda gemella del
Tevere con andamento quasi parallelo, un sistema viario unitario
progettato da Bramante; il carattere aulico dei prospetti, dato dalla
presenza di ville, palazzi e chiese eretti dal ’500 al ’700, è stato in
parte svilito dall’innalzamento dei muraglioni del lungotevere, che ha
comportato la distruzione di metà del fronte d. della via. A sinistra, il
cinquecentesco palazzo Torlonia, già sede del Museo Torlonia, è oggi
lottizzato in appartamenti, mentre l’importantissima raccolta di oltre
600 pezzi di scultura classica è ammassata in magazzini.

IL MUSEO venne fondato da Alessandro Torlonia nel 1859 e – per


l’acquisto di collezioni private (Giustiniani, Pietro Vitali, Bartolomeo
Cavaceppi) e gli scavi nelle proprietà di famiglia, in particolare nella
tenuta di Porto – annovera, con altre opere: una replica della Figura
muliebre del gruppo di Menelao; un’Afrodite Anadiomene; una Statua
muliebre seduta con cane molosso, tra gli esemplari più significativi di
tali raffigurazioni neoattiche. Si segnalano inoltre: la collezione di 107
busti imperiali tra cui notevolissimi esempi del tardo Impero; il rilievo
del porto di Roma, rappresentante con vivo realismo la vita
commerciale e le navi dell’epoca; un ex voto greco ad alcune divinità
di Atene del sec. V a. Cristo.

L’ORTO BOTANICO (t. 0649917107; www.uniroma1.it/musei), a


sin. al fondo di via Corsini, occupa i giardini del palazzo Corsini (v.
oltre) e dal 1983 costituisce la struttura museale del Dipartimento di
Biologia vegetale dell’Università di Roma La Sapienza. L’istituzione di
un orto botanico a Roma si fa risalire al 1278, quando Niccolò III creò,
all’interno delle mura Leonine, un «pomarium»; solo più tardi esso
assunse l’aspetto di una raccolta organica, con la coltivazione delle
piante medicinali (i «semplici»). Dopo un periodo di totale abbandono,
venne trasferito sul Gianicolo (1660), occupò poi, nel 1820, il giardino
abbandonato di palazzo Salviati, quindi fu nel convento di S. Lorenzo
in via Panisperna (1876), per avere nel 1883 la collocazione attuale.
Con circa 3500 specie, occupa una superficie di 12000 m2. La zona
pianeggiante rispecchia, almeno in parte, l’antico assetto del giardino
di palazzo Corsini; nell’aiuola antistante all’emiciclo dell’Accademia
nazionale dei Lincei, unitamente alla zona a dasylirion, sono stati
ricostruiti alcuni ambienti desertici particolari (californiano e
messicano); in prossimità dell’aranciera è il piccolo lago artificiale con
le serie acquatiche e ripariali. Nella parte mediana si può ammirare
una collezione di bambù e una raccolta di rose storiche. La zona alta,
oltre a essere sede di ampie collezioni appartenenti alle famiglie delle
conifere, juglandacee, rosacee, fagacee, presenta una pregevole
vegetazione mediterranea a leccio; qui è stato realizzato un ‘giardino
roccioso’ – caratterizzato da una cascata, un fiume e un laghetto –
sulle sponde del quale sono una collezione di piante endemiche
dell’Etna e una di iris. Lungo la recinzione alta è situato il giardino
giapponese. Tra le collezioni in serra da ricordare quelle di piante
grasse e succulente ospitate nella SERRA CORSINI (inizi ’800); di orchidee
ed euforbiacee raccolte nella SERRA STORICA (1877); di specie tropicali.
Nella zona detta Orticello è stato realizzato un «giardino dei semplici»
con piante utili e medicinali; confinante con via Garibaldi, la ricca
collezione della valletta delle felci.

PALAZZO CORSINI. Il fronte sin. di via della Lungara prosegue con


la lunga quinta prospettica dell’edificio (N. 10) di Ferdinando Fuga, la
cui partitura architettonica appena accennata, scandita dal ritmo delle
finestre (soluzione in parte condizionata dal preesistente palazzo
Riario), costituisce un’anticipazione neoclassica. Proprietà dello Stato
italiano dal 1883, è sede dell’Accademia nazionale dei Lincei e della
Galleria Corsini.

LA STORIA. Costruito dal cardinale Raffaele Riario, nipote di Sisto


IV, nel 1510-1512 c., ospitò nel ’600 Cristina di Svezia che vi fondò
un’accademia da cui derivò quella dell’Arcadia. Acquistato dai Corsini
(1736) per sistemare la galleria dei dipinti e la biblioteca di famiglia, fu
trasformato e ampliato dal Fuga in varie fasi: restauro del palazzo
Riario (1738); edificazione dell’ala della biblioteca, simmetrica al
palazzo esistente (1744-47); collegamento tra i due corpi di fabbrica
(1749-53) e completamento della parte posteriore (1755-58). A metà
’800 furono ristrutturate le sale, eliminando i mezzanini affacciati su
via Corsini, decorando le nuove volte a motivi floreali e rifacendo i
pavimenti alla veneziana.

DELL’EDIFICIO, in un’ambientazione rimasta quella originaria, il


fronte uniforme contrasta con l’insieme scenografico, tipicamente
barocco, degli spazi interni costituiti dal vestibolo tripartito, dalla scala
a due rampe ai lati della galleria che conduce al giardino e dai cortili
laterali; l’articolato prospetto sul giardino è esempio di
compenetrazione tra architettura e spazi verdi.
La *Galleria Corsini (t. 0668802323; www.galleriaborghese.it)
è stata ricostituita come quadreria storica nell’ala riservatale fin
dall’origine.

LA FORMAZIONE DELLA RACCOLTA. Voluta dal cardinale Neri, nipote di


Clemente XII, è l’unica collezione settecentesca romana conservatasi
intatta e documenta un momento delicato della cultura figurativa
cittadina, profondamente segnato dalle tendenze classicistiche e
antibarocche propugnate nella prima metà del sec. XVIII dall’erudito e
storico dell’arte Giovanni Gaetano Bottari. Ultima delle grandi
quadrerie fedecommissarie, essa chiude il ciclo più felice e fervido
della stagione romana, e si può dire italiana, durata oltre due secoli e
mezzo, ma documenta anche i programmi e i meriti del decennio di
governo di papa Corsini: difesa del patrimonio culturale accumulato
nei secoli con la creazione di grandi istituti pubblici; individuazione e
documentazione del filone considerato più vitale dell’arte italiana
(quello classicistico).

TRA I CAPOLAVORI DEL MUSEO. Un vasto ATRIO con un sarcofago


romano precede il solenne e luminoso SCALONE a doppia rampa, le cui
finestre si aprono sul giardino, con palmizi e monumentale recinto a
pilastri ornato di vasi, e sul Gianicolo; nei ripiani, sarcofagi, nel
corridoio di accesso alla galleria busti antichi.
Nel VESTIBOLO sono in allestimento, dopo la cessione alla Galleria
nazionale d’Arte moderna di un gruppo di statue ottocentesche della
collezione Torlonia, alcune statue antiche già nella sala della
Biblioteca, assieme al *Fauno danzante e alla Cleopatra di Pietro Paolo
Olivieri.
SALA I. Alcuni grandi quadri di canonizzazione, tra cui Visione di S.
Caterina da Genova di Marco Benefial; Presepe di Pompeo Batoni;
Ninfe e satiri di Francesco Trevisani; Adorazione dei Magi di
Sebastiano Conca; Ruderi con terme di Giovanni Paolo Panini; due
piccoli Paesaggi di Paolo Anesi; busto di Clemente XII di Pietro Bracci
e una copia di Agostino Masucci del S. Andrea di Guido Reni
conservato presso la Galleria Corsini di Firenze.
SALA II. All’inizio, una piccola collezione di ‘primitivi’ acquistati dai
Corsini nell’800: *anconetta di Giovanni da Milano; Incoronazione
della Vergine di Andrea di Cione; *S. Giorgio e il drago di Francesco
Francia e l’unico dipinto quattrocentesco acquistato nel ’700, un
*trittico del Beato Angelico. Seguono alcuni fiorentini del ’500 –
*Sacra famiglia di fra’ Bartolomeo; Madonna col Bambino di Andrea
del Sarto; Madonna del Franciabigio – e inoltre: *Presepe di Jacopo
Bassano; ritratto di Filippo II di scuola di Tiziano; Risurrezione di
Lazzaro del Cavalier d’Arpino. Tra gli stranieri: *S. Sebastiano curato
dagli angeli di Pieter Paul Rubens; *Madonna della Paglia di Antonie
Van Dyck; *Madonna col Bambino di Bartolomé Esteban Murillo;
*Lepre di Hans Hoffmann; Il riscatto di Christoph van der Lamen;
Festa campestre di Marten van Cleef. Interessante un gruppo di
ritratti italiani e stranieri, tra cui quelli *di Bernardo Clesio di Joos van
Cleve, di Wolfgang Tanvelder di Hans Maler, di gentiluomo in nero di
Paulus Moreelse e il Ritratto virile di Frans II Pourbus il Giovane. Tra i
bronzetti: *Battesimo di Gesù e Faunetti su capra con pappagalli di
Alessandro Algardi; *Plutone rapisce Proserpina di G.B. Foggini.
SALA III. *S. Giovanni Battista di Caravaggio. Opere di
caravaggeschi: *Madonna col Bambino di Orazio Gentileschi; Giuditta
con la testa di Oloferne di Gérard Seghers; Vanità di Angelo Caroselli;
Erodiade di Simon Vouet; Concerto di Theodor Rombouts; *Negazione
di Pietro del Maestro del Giudizio di Salomone; *Sinite parvulos di
Nicolas Tournier. Inoltre, *Cacciatori di Philips Wouwerman e alcuni
dipinti di Michelangelo Cerquozzi. Nella vetrina, *coppa Corsini (sec. I
a.C.).
SALA IV (paesaggi). Vari dipinti di Gaspard Dughet, tra cui uno dei
suoi capolavori, *Erminia e Tancredi; opere di Jan Frans van Bloemen
e Andrea Locatelli; due grandi tele di Josse de Momper e alcuni
interessanti paesaggi fiamminghi di Jan Baptist van der Meiren, Lucas
van Uder, Aert van der Neer; *Festoni di frutta e ortaggi di Abraham
Brueghel.
SALA V (dell’alcova o della regina Cristina di Svezia), uno degli
ambienti superstiti del palazzo Riario, con volta affrescata dalla scuola
degli Zuccari. Alcune splendide e note *Nature morte di Christian
Berentz; vari dipinti di bamboccianti e un gruppo notevole di bronzetti,
tra i quali Il Tempo rapisce la Giovinezza di G.B. Foggini, Adone di
Antonio Montauti, Ganimede di Giuseppe Piamontini.
SALA VI. Ben rappresentato Carlo Maratta (giudicato da Giovanni
Gaetano Bottari il pittore romano più importante della sua epoca):
Madonna col Bambino, S. Giovannino e angeli, Trinità, Martirio di S.
Andrea, *Rebecca alla fonte, Fuga in Egitto e, tra gli altri, il ritratto
della figlia Faustina. Inoltre: *Trionfo di Ovidio di Nicolas Poussin;
Omero di Pier Francesco Mola; Pietà di Francesco Cozza; Sacra
famiglia di Francesco Mancini; *Giuditta di G.B. Piazzetta; *quattro bei
pastelli di Rosalba Carriera. Al centro della sala, *trono Corsini (sec. I
a.C.).
SALA VII. Sono esposte, tra le altre: *Salomè con la testa del
Battista, S. Giuseppe e Cristo incoronato di spine di Guido Reni;
Ritratto di Agostino Carracci; S. Francesco di Annibale Carracci; S.
Pietro cura S. Agata in carcere e *Tamar e Giuda di Giovanni
Lanfranco; Sacra famiglia e S. Giovannino di Bartolomeo Schedoni;
Cristo incoronato di spine del Guercino; due Madonne del
Sassoferrato; Transito della Maddalena di Marcantonio Franceschini;
Adorazione dei Magi e *Visione di Giacobbe di Donato Creti; Sacra
famiglia di Simone Cantarini.
SALA VIII. Considerevole la presenza di pittori napoletani: *Natura
morta con pesci di Marco de Caro; vari dipinti di Salvatore Rosa, tra
cui Prometeo e Marina con faro; *Venere e Adone morto dello
Spagnoletto; Madonna della Rosa di Massimo Stanzione; S. Pietro
liberato dall’angelo di Johann Heinrich Schönfeld; *I Maccaronari di
Domenico Gargiulo; Tributo della moneta e S. Bartolomeo di Mattia
Preti; *Cristo fra i dottori e Ingresso di Cristo a Gerusalemme di Luca
Giordano.

L’ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI (così chiamata dalla lince che


figura sul suo stemma) venne fondata dal principe Federico Cesi nel
1603 ed è oggi il massimo organismo culturale italiano. All’accademia
sono annessi il Centro linceo interdisciplinare Beniamino Segre e la
fondazione Leone Caetani che ha lo scopo di promuovere la
conoscenza del mondo musulmano. La biblioteca consta di tre SEZIONI
principali: la CORSINIANA fondata nel 1754 da monsignor Lorenzo Corsini
con preziose raccolte di incunaboli e manoscritti autografi;
l’ACCADEMICA, formatasi nel 1848 nella vecchia sede lincea del
Campidoglio e qui trasferita nel 1885; l’ORIENTALE (o della fondazione
Leone Caetani), ricca di opere di cultura araba e musulmana.

*VILLA FARNESINA (t. 06680271; www.lincei.it), che fronteggia


palazzo Corsini, riassume, sia nell’architettura sia nell’eccezionale
apparato decorativo interno, i principi di equilibrio, armonia e
proporzione propri del classicismo romano del primo ’500. Attualmente
è sede di rappresentanza dell’Accademia nazionale dei Lincei e ospita
il Gabinetto nazionale delle Stampe.

LA STORIA. Voluta dal banchiere senese Agostino Chigi, che affidò


l’incarico al concittadino Baldassarre Peruzzi (1506-1510, con
interventi protrattisi fino al 1520), dopo la sua morte (1520) decadde
e fu depauperata degli arredi e delle opere d’arte; nel 1590 passò ai
Farnese (da cui prese il nome attuale), nel 1714 ai Borbone di Napoli
e nel 1861 all’ambasciatore Bermudez de Castro che due anni dopo la
fece pesantemente restaurare. Nel 1884 l’apertura del lungotevere
comportò la distruzione di parte dei giardini e della loggia sul fiume
forse opera di Raffaello. Lo Stato italiano, divenutone proprietario nel
1927, ha eseguito restauri nel 1929-42 e, a più riprese, nel 1969-83.

ESTERNO. È uno dei primi esempi di villa a blocco centrale, con


loggia a cinque arcate, serrata tra due avancorpi laterali.
Organicamente inserita nel verde, è articolata in superfici scandite da
due ordini sovrapposti di paraste doriche coronate da un alto fregio
scolpito a putti e festoni. La chiusura a vetrate delle arcate della
loggia, necessaria per la protezione degli affreschi, ha modificato
l’originaria percezione dei pieni e dei vuoti.

INTERNO. Dall’ATRIO, creato nell’800, si passa nella *LOGGIA DI


PSICHE: nella volta i celebri affreschi relativi alla *favola di Psiche,
tratta dall’«Asino d’Oro» di Apuleio, eseguiti su cartoni di Raffaello
quasi interamente dagli allievi Giulio Romano, Giovanni Francesco
Penni, Raffaellino del Colle e Giovanni da Udine (autore dei festoni),
compiuti nel 1517 e ripassati da Carlo Maratta nel 1693-94. Al centro
del complesso sistema figurativo, Il concilio degli Dei e Il convito
nuziale, entro finti arazzi tesi tra festoni; nei peducci, vari episodi della
favola; nelle vele delle lunette, geni con gli attributi delle varie
divinità. A sinistra, nella SALA DEL FREGIO, le belle raffigurazioni
mitologiche furono affrescate al sommo delle pareti da Baldassarre
Peruzzi. Dalla loggia si accede alla *SALA DI GALATEA, i cui archi aperti
sul giardino furono chiusi nel 1650. I dipinti, in gran parte ritoccati nel
1863, sono stati restaurati nel 1969-73. Il soffitto del Peruzzi (c. 1511)
si articola in spazi geometrici divisi dall’architettura dipinta che si
raccorda alle pareti; i temi mitologici e astrologici compongono
l’oroscopo di Agostino Chigi. Sulla parete grande, il celebre affresco di
Raffaello (1513-14) mostra *Galatea su un cocchio tirato da delfini,
con le creature marine del corteggio. A sinistra di questa, Polifemo di
Sebastiano del Piombo (1512-13), al quale si devono anche le lunette
che rivelano il vivace cromatismo della cultura veneziana dell’artista e
illustrano le «Metamorfosi» di Ovidio (1511-12): i miti di Teseo, di
Filomele, di Agraulo ed Erse, di Dedalo e Icaro; la Caduta di Fetonte;
Giunone sul carro alato; Scilla; Orizia. Al Peruzzi va attribuita la testa
monocroma tradizionalmente assegnata a Michelangelo; le grottesche
delle paraste sono state riferite a Domenico Beccafumi; i paesaggi
degli altri riquadri sono del 1650.
PIANO SUPERIORE. Il *SALONE DELLE PROSPETTIVE, affrescato dal Peruzzi
e da aiuti (1518-19), completamente ridipinto nel 1863 e ripristinato
dai restauri del 1976-83, è interessante per l’impianto prospettico
delle finte logge che affacciano su vedute di Roma. Sopra il camino, la
Fucina di Vulcano; al sommo delle pareti, scene mitologiche. In questa
sala tenne il banchetto nuziale Agostino Chigi nel 1519; alle nozze
allude la decorazione della sala attigua, già CAMERA DA LETTO, affrescata
dal Sodoma (1517) con le Nozze di Alessandro e Rossane, Alessandro
e la famiglia di Dario, la Fucina di Vulcano e Alessandro e Bucefalo;
ritoccati da Carlo Maratta, sono stati restaurati nel 1974-76.

IL GABINETTO NAZIONALE DELLE STAMPE, che è confluito nel 1975


nell’Istituto nazionale per la Grafica e del quale è in atto il
trasferimento in palazzo Poli vicino alla Calcografia (→; riapertura
prevista entro il 2008), fu fondato nel 1895 per conservare una parte
dei disegni e delle stampe della Biblioteca corsiniana donata nel 1883
dal principe Tommaso Corsini all’Accademia nazionale dei Lincei. Gli
iniziali c. 6400 disegni e 60000 stampe sono cresciuti, attraverso
acquisti e donazioni, fino agli attuali 21000 disegni c. e alle 110000
stampe; considerata la più ricca collezione di grafica italiana (le opere
spaziano dal sec. XV al XIX), annovera importanti nuclei di disegni del
barocco romano, della scuola fiorentina dal ’400 e ’600, e della scuola
napoletana. Tra le scuole straniere, notevoli i disegni degli artisti
olandesi, fiamminghi e di scuola francese. Una ricca sezione
documenta la storia della città e dei suoi mutamenti topografici.

VERSO REGINA COELI. All’esterno del muro di cinta della Farnesina,


in angolo con la salita del Buon Pastore, rimane la parte basamentale
delle scuderie Chigi (1514-20 c.), attribuite a Raffaello per l’uso binato
di paraste dorico-tuscaniche su alti basamenti e demolite nel 1808.
Sull’altro lato della via è la chiesa di S. Croce delle Scalette, detta
anche del Buon Pastore, del 1619 e restaurata nel 1924. Sul fronte d.,
la chiesa di S. Giacomo in Settignano, fondata nel sec. IX, con
campanile romanico (sec. XIII; visibile dal lungotevere, è l’unico
monoforo a Roma di quel periodo). Il tempio originario, a tre navate,
fu completamente ristrutturato per il cardinale Francesco Barberini da
Luigi Arrigucci (1643) e restaurato nel 1901. Nell’interno a navata
unica, all’altare maggiore S. Giacomo attribuito a Giovanni Francesco
Romanelli; nel presbiterio, a d., il ‘macabro’ monumento funebre di
Ippolito Merenda di Gian Lorenzo Bernini.
In asse con la facciata della chiesa, scorcio del Gianicolo con villa
Lante →.
IL CARCERE GIUDIZIARIO REGINA COELI, che avanti restringe
assieme ai muraglioni del lungotevere via della Lungara, fu realizzato
da Carlo Morgini nel 1881-1900 trasformando e completando il vasto
isolato già occupato dai complessi conventuali seicenteschi di S. Maria
Regina Coeli (1643-55) e di S. Maria della Visitazione (1669). Del
secondo, al termine di via delle Mantellate che costeggia il fianco d.
del carcere (e cosiddetta per la presenza – 1803-1884 – all’interno del
convento della Visitazione, delle religiose che diedero nome anche al
Carcere femminile che occupava il fronte d. della via), sussiste (di
competenza del penitenziario) la chiesa di S. Maria della Visitazione e
di S. Francesco di Sales (G.B. Contini, c. 1671).
S. GIUSEPPE ALLA LUNGARA. Ai numeri 43-45 sono il convento e la
chiesa, che con il palazzetto simmetrico (numeri 46-49) costituiscono
un unico insieme architettonico. La chiesa, eretta su progetto di
Ludovico Rusconi Sassi (1730-34), fu restaurata nel 1858-61 da
Antonio Cipolla; nel 1872 ne fu ricostruita la cupola crollata.

L’INTERNO, d’impianto centrale, è una sensibile reinterpretazione


del S. Carlino borrominiano, in cui prevale la stretta connessione tra la
cupola ellittica su pennacchi e la parte basamentale caratterizzata dal
movimento di superfici piane e convesse. All’altare maggiore, Sogno di
S. Giuseppe di Mariano Rossi (1774), di cui sono pure i laterali;
all’altare d., Deposizione dalla croce di Nicolò Ricciolini; a quello sin.,
Vergine con i Ss. Anna e Gioacchino di Girolamo Pesci (1735). Sul
fronte della cantoria, apostoli del Rossi (1764). In sagrestia, Trionfo
della Chiesa del Rossi.
L’attiguo convento dei padri pii operai venne edificato nel 1760-
64 da Giovanni Francesco Fiori; nella cappella al primo piano, tutti i
dipinti sono di Mariano Rossi.

PALAZZO SALVIATI (numeri 82-83), già Adimari e caratterizzato


dall’articolazione plastica delle superfici, è una delle maggiori opere
giovanili di Giulio Romano (1520-27). Iniziato per Filippo Adimari,
camerario segreto di Leone X, era costituito da un semplice corpo di
fabbrica su via della Lungara con basamento bugnato e un ordine al
piano nobile (ora coperto di bugne) ripartito in cinque parti (la
centrale e le laterali in leggero aggetto); il fronte verso il giardino
presentava una partitura asimmetrica con una loggia sulla sinistra. Nel
1552 l’edificio passò al cardinale Salviati che ne affidò la continuazione
a Nanni di Baccio Bigio; a quest’ultimo si devono l’ampliamento sul
retro, che determinò una planimetria a «C» aperta a SE sul giardino, e
il completamento dell’alzato nelle forme attuali. Nel 1794 divenne dei
Borghese, nel 1840 del governo pontificio; dal 1870 proprietà dello
Stato italiano, ospita enti e istituti militari. Una nuova ala, a chiusura
del cortile, fu realizzata nel 1933, quando fu restaurata al primo piano
anche la CAPPELLA (non si visita), su disegno di Giulio Romano
conforme ai prototipi bramanteschi; le storie degli apostoli sono la
prima opera romana di Santi di Tito, autore anche degli ovali
(evangelisti) e della Crocifissione sopra l’altare.
IL GIANICOLO. Via della Lungara termina in piazza Della Rovere
→, di fronte all’ospedale di S. Spirito in Sassia con l’omonima porta
→. A sinistra convergono la galleria Principe Amedeo Savoia Aosta che
sottopassa il Gianicolo – realizzata nel 1938-42 per raccordare le
nuove zone di espansione intorno alla Via Aurelia con il centro – e via
del Gianicolo, sul cui lato sin., seminascosto, è l’imbocco della salita di
S. Onofrio. Questa, aperta nel 1446 in asse con la chiesa omonima (v.
sotto), sistemata nel 1588 da Sisto V e lastricata nel ’600 da Clemente
VIII, si arrampica sul colle Gianicolo m 82.

LE MURA DI URBANO VIII. La prominenza, cesura naturale a O


dell’abitato, con splendidi scorci panoramici, deriva il nome dal culto di
Giano che doveva avere qui il suo centro. Racchiusa in piccola parte
nella cerchia aureliana, venne compresa interamente solo nella cortina
difensiva di Urbano VIII (1642-44) che da porta Cavalleggeri →
raggiungeva la punta sporgente delle mura Aureliane (la porta S.
Pancrazio che venne restaurata) e, inclusa villa Sciarra, piegava a E
per raggiungere il fiume a Ripa Grande, dove porta Portese sostituì
l’antica porta Portuense. Il circuito fu collaudato solo nel 1849, contro
le truppe francesi del generale Nicolas Charles Victor Oudinot, per la
difesa della Repubblica romana guidata da Garibaldi, al cui ricordo è
storicamente legato il colle.

S. ONOFRIO AL GIANICOLO. Al numero 38 della salita di S. Onofrio


è l’Istituto di S. Dorotea, costituito da tre distinti corpi di fabbrica
seicenteschi – i palazzi Giori, Borromeo e Bonelli – ristrutturati
nell’800. Al termine della salita si ha di fronte la scalinata della chiesa,
preceduta da un sagrato delimitato su due lati da un portico
rinascimentale con archi a tutto sesto su colonne antiche. Fu costruita
nel 1439 sul sito dell’oratorio fondato nel 1419 dal beato Nicola da
Forca Palena e completata nel sec. XVI, venendo restaurata nel 1946
assieme al convento. Sotto il portico: tre lunette (storie della vita di S.
Gerolamo) del Domenichino (1605). A destra, la CAPPELLA DELLA MADONNA
DEL ROSARIO con facciatina barocca riccamente ornata (1620) e
decorata, sopra la porta, da sibille di Agostino Tassi. Nella lunetta del
portale della chiesa, Madonna col Bambino affrescata da Claudio
Ridolfi (1600).

L’INTERNO è a una navata con volte a crociera, fiancheggiata da


cinque cappelle e terminante in un’abside poligonale, d’aspetto
prevalentemente rinascimentale ma di struttura ancora gotica. 1ª
cappella d.: Annunciazione di Antoniazzo Romano in due vele della
volta; il Padre Eterno nel tondo è attribuito a Baldassarre Peruzzi. 2ª
(1605): ricca decorazione a stucchi e affreschi di G.B. Ricci; all’altare,
Madonna di Loreto ascritta alla scuola di Annibale Carracci. Presso
l’altare maggiore, monumento di Giovanni Sacco della scuola di
Andrea Bregno, con affrescata nella lunetta S. Anna che insegna a
leggere a Maria di scuola umbra o romana. Segue la porta della
sagrestia, con volta affrescata da Girolamo Pesci (ante 1724); alla
parete d., Beato Pietro da Pisa di Francesco Trevisani. Nell’abside della
chiesa, affreschi (*storie di Maria) opera giovanile del Peruzzi
(secondo Giorgio Vasari) oppure di Jacopo Ripanda in collaborazione
con pittori lombardi. 3ª cappella sin.: a d., monumento funebre del
cardinale Filippo Sega, con ritratto del Domenichino. 2ª: nella volta,
Trinità del Trevisani. 1ª: a d., monumento funebre di Torquato Tasso
di Giuseppe Fabris (1857); lampada votiva su disegno di Duilio
Cambellotti (1928); a sin., monumento al Tasso (1608) commissionato
dal cardinale Bonifacio Bevilacqua. Accanto alla porta, acquasantiera
di scultore lombardo di fine sec. XV.

IL CONVENTO. Da un atrio a d. del portico si accede al CHIOSTRO


(metà sec. XV), con portico ad arcate a tutto sesto su colonne (i
capitelli sono in parte di riutilizzo) e loggia, con pilastrini ottagonali,
riaperta nei restauri del 1946; le lunette con storie di S. Onofrio sono
di Vespasiano Strada, del Cavalier d’Arpino e di Claudio Ridolfi (1600).
Nel convento, dove morì Torquato Tasso (25 aprile 1595) poco
prima di ricevere la corona d’alloro in Campidoglio, il Museo
Tassiano (presso l’ordine equestre del S. Sepolcro di Gerusalemme, t.
066828121; www.oessg-gm.net) conserva manoscritti e antiche
edizioni delle sue opere. Nel corridoio, lunetta (*Madonna col Bambino
e offerente) su fondo a finto mosaico attribuita a Giovanni Antonio
Boltraffio (1513).

GLI ISTITUTI PONTIFICI SUL COLLE. Lungo la discesa a d. della


chiesa, dopo l’incombente ospedale pediatrico del Bambino Gesù, si
dispongono, al N. 14 di via del Gianicolo, il Pontificio Collegio
Americano del Nord (Enrico Pietro Galeazzi, 1949-53; nella cappella,
opere di Francesco Nagni, Bruno Saetti, Pericle Fazzini, Giovanni Prini,
Francesco Messina, Giorgio Quaroni) e, ai numeri 15 e 16 di via
Urbano VIII, il Collegio Urbano di Propaganda Fide (istituito da Urbano
VIII nel 1627 con sede nell’omonimo palazzo borrominiano) e
l’Università Urbaniana (Clemente Busiri Vici, 1929-31), che include la
Pontificia Biblioteca Missionaria ricca di 300000 volumi (tra i fondi
antichi, notevole quello di Stefano Borgia).

LA *PASSEGGIATA DI GIANICOLO fu aperta nel 1880-84 attraverso il


colle sopra i bastioni delle mura di Urbano VIII. Dal tornante che
appare chiuso dal Pontificio Collegio Ucraino di S. Giosafat (Giuseppe
Momo, 1929-32) e dominato dalla chiesa di rito bizantino
dell’Annunziata (Giuseppe Momo, 1930), una scaletta sale al faro
(Manfredo Manfredi, 1911), donato a Roma dagli Italiani d’Argentina e
circondato da uno slargo che offre il più completo *panorama di
Roma.
Avanti, fronteggia il monumento equestre di Anita Garibaldi
(Mario Rutelli, 1932; alla base è la tomba di Anita) la villa Lante,
costruita sui resti della villa di Marziale da Giulio Romano (1518-27)
per Baldassarre Turini. La struttura segue il declivio del terreno,
ritmata da una partitura architettonica costituita da un ordine
tuscanico, da un ordine ionico decorativo al primo piano e da un attico
con semplici riquadri; una loggia-belvedere dall’originale disegno (tre
serliane su colonne e paraste agli estremi) si apre verso la città. Al
prospetto a valle si addossa la biblioteca aggiunta nell’800.

LA STORIA. La villa passò nel 1551 ai Lante, nel 1817 ai Borghese


che fecero restaurare i piani superiori da Luigi Canina, nel 1837
all’Istituto del Sacro Cuore (in questa occasione vennero staccati gli
affreschi di Polidoro da Caravaggio e Giulio Romano, considerati
inadatti alla sede del noviziato, ora a palazzo Zuccari) e nel 1909 agli
Helbig; dal 1950 è proprietà dello Stato finlandese e ospita sia
l’ambasciata di quella nazione presso la Santa Sede sia l’Istituto
romano di Finlandia, con biblioteca specializzata in antichistica (c.
13000 volumi).

TUTTI GLI AMBIENTI – in particolare il salone, asimmetrico rispetto


all’asse principale, e la loggia, che ne è il punto di arrivo – sono
spazialmente proporzionati e presentano un’organica connessione tra
architettura, pittura e scultura. Il VESTIBOLO voltato a botte comunica
con il salone, ornato di un Trionfo di Roma di Valentin de Boulogne e,
sopra le porte, di altorilievi di Antonio Canova. Due sale furono
affrescate da Vincenzo Tamagni (1525-27), forse su disegno di Giulio
Romano, con copie dei ritratti celebri di Raffaello (la Fornarina, la
Velata, la Gravida), muse e uomini illustri. Nel *LOGGIATO, raffinati
stucchi attribuiti a Giovanni da Udine.

VERSO LA FONTANA DELL’ACQUA PAOLA. Il viale, fiancheggiato da


busti marmorei di garibaldini, raggiunge il piazzale dedicato all’eroe
dei due mondi, dal quale si gode un’altra bella vista sulla città; al
centro si leva il realistico monumento equestre a Giuseppe Garibaldi di
Emilio Gallori (1895).
Dove la passeggiata si sdoppia, seguendo il ramo di sin. si scende
direttamente alla fontana, costeggiando la villa Aurelia già Savorelli,
edificata dal cardinale Gerolamo Farnese nel 1650 su una torre delle
mura Aureliane e ricostruita nel 1856 dopo i danni del 1849.

PORTA S. PANCRAZIO. Quasi al termine del segmento di d. è stata


ricostruita nel 1941 la cosiddetta casa di Michelangelo che riprende,
con alcune varianti, la partitura architettonica del prospetto sul cortile
di una casa del ’500, ritenuta di Michelangelo, già a Macel de’ Corvi.
Oltrepassato il cancello che chiude il viale, si ha a sin. la porta S.
Pancrazio, che sostituì quella Aurelia del tratto trasteverino delle
mura Aureliane quando Urbano VIII innalzò la cerchia fortificata a
difesa del Gianicolo. Eretta da Marcantonio De Rossi nel 1644, fu
restaurata in forme neoclassiche da Virginio Vespignani dopo i
cannoneggiamenti francesi dell’aprile-giugno 1849; ospita il Museo
Garibaldino (www.garibaldini.it) che raccoglie testimonianze
dell’epopea garibaldina dal 1849 (tra cui cimeli dell’eroe e dei suoi
familiari e fedeli) e della Divisione Italiana Partigiana Garibaldi.
Percorrendo via Garibaldi ci si ricongiunge al tratto di sin. della
passeggiata di Gianicolo.

LA *FONTANA DELL’ACQUA PAOLA, il cui semicerchio è assecondato


da un’ampia terrazza panoramica, fu eretta sotto Paolo V, quale
mostra dell’acquedotto Traiano da lui riattivato, da Flaminio Ponzio
con la collaborazione di Giovanni Fontana (1608-1612); il bacino
semicircolare le fu aggiunto da Carlo Fontana nel 1690. Il volume
compatto, ispirato agli archi trionfali romani, aperto da tre arcate e
alleggerito dal coronamento mistilineo (gli angeli reggistemma sono di
Ippolito Buzio), è un elemento scenografico della città barocca che si
inserisce perfettamente nel paesaggio del Gianicolo.
La fronteggia la settecentesca villa Giraud, poi Ruspoli: a sviluppo
longitudinale e caratterizzata da un avancorpo centrale convesso cui
corrispondono ambienti a pianta ellittica, è stata modificata
volumetricamente nel 1925.
S. PIETRO IN MONTORIO. Via Garibaldi (1867) supera a d. il
Mausoleo Ossario Gianicolense (Giovanni Jacobucci, 1941), dedicato ai
caduti per Roma capitale (1849-70), e scende alla panoramica piazza
di S. Pietro in Montorio, sistemata nel 1605 da Filippo III di Spagna; il
toponimo Montorio deriva da «Mons Aureus», il nome dato al
Gianicolo per la marna gialla che lo costituisce.
*S. Pietro in Montorio è formato dal convento (con il celebre
tempietto di Bramante) e dalla chiesa, eretta forse nel IX sec. sul
luogo dove un’infondata tradizione riteneva fosse stato crocifisso S.
Pietro. Completamente riedificata tra il 1481 e il 1500 per incarico di
Ferdinando II d’Aragona – con attribuzione incerta nell’ambito del
tardo ’400 (Baccio Pontelli?) – fu restaurata dopo i danni del 1849 (il
campanile del sec. XV è stato parzialmente ricostruito) e ancora nel
1953-57 e nel 1962-63. L’elegante facciata rinascimentale a timpano
(scuola di Andrea Bregno?) è a due ordini sovrapposti della stessa
ampiezza, con rosone gotico e scala d’accesso a due rampe (1605);
dal fianco sin., scandito dai contrafforti, sporgono le cappelle (le
maggiori sono seicentesche).

L’INTERNO è a navata unica con tre campate: le prime due con


volte a crociera, cui corrispondono due cappelle semicircolari per lato
(in parte modificate nel ’600); la terza, coperta a vela, si apre con due
nicchioni che accennano a un transetto; profonda l’abside poligonale.
1ª cappella d. (pianta, 1): *Flagellazione di Gesù con, ai lati, i Ss.
Francesco e Pietro, olio su muro di Sebastiano del Piombo (1518,
forse su disegno di Michelangelo); l’Ascensione (catino) e i due profeti
all’esterno dell’arco sono dello stesso (1516). 2ª (2): Madonna della
Lettera, affresco già attribuito a Nicolò Circignani e ora a G.B.
Lombardelli; l’Incoronazione di Maria (volta) e le quattro Virtù
all’esterno sono di un pittore pinturicchiesco. 3ª (3): Presentazione al
tempio, Immacolata e Annunciazione di Michelangelo Cerruti; le sibille
dell’arco esterno sono attribuite a Baldassarre Peruzzi. 5ª (4): su
progetto di Giorgio Vasari (1552), che dipinse la pala con la
Conversione di S. Paolo (nel personaggio vestito di nero a sin. se ne
individua l’autoritratto); ai lati, i monumenti funebri di Antonio e di
Fabiano Del Monte (1550-55), con figure giacenti dei defunti, e statue
della Giustizia e della Religione di Bartolomeo Ammannati (sua è
anche la balaustra con coppie di putti). Abside (5): originariamente
ornata della Trasfigurazione di Raffaello, dal 1809 alla Pinacoteca
Vaticana, ha ora una copia di Vincenzo Camuccini della Crocifissione di
S. Pietro di Guido Reni (pure presso la Pinacoteca Vaticana). 5ª
cappella sin. (6), con architettura di Daniele da Volterra: a Giulio
Mazzoni sono attribuiti la pala (Battesimo di Gesù, 1568), gli affreschi
e gli stucchi; nelle nicchie, S. Pietro e S. Paolo di Leonardo Sormani,
autore anche della balaustrata. 4ª (7): Deposizione di Dirk van
Baburen (1617); a d., Cristo portacroce dello stesso e, nella lunetta
sovrastante, Cristo deriso di David de Haen; a sin., Disputa tra i
dottori (sec. XVII) e, nella lunetta sovrastante, Orazione nell’orto del de
Haen; stucchi di Stefano Maderno. 3ª (8): S. Anna in trono con la
Vergine e il Bambino di seguace di Antoniazzo Romano. 2ª (9):
realizzata da Gian Lorenzo Bernini (c. 1640) per il marchese Marcello
Raymondi, è uno spazio scenografico unitario costituito da un vano
coperto a crociera e da un’abside al centro della quale è il bel
bassorilievo (Estasi di S. Francesco) di Francesco Baratta illuminato da
luce radente. 1ª (10): interamente dipinta da Giovanni De Vecchi
(1594; alla parete, Stimmate di S. Francesco; nel catino, Funerali del
cardinale Dolera; ai lati, S. Nicola e S. Caterina). A sinistra
dell’ingresso (11), monumento di Giuliano da Volterra (m. 1510) di
seguace di Andrea Bregno.
IL *TEMPIETTO DI BRAMANTE. Il convento, ricostruito nella seconda
metà del sec. XVI, si articola intorno a due chiostri. Nel primo, a d.
della chiesa, è questo monumento (pianta a fronte, 12), la più
compiuta realizzazione della ricerca rinascimentale sulla pianta
centrale, investita qui, nel luogo in cui si riteneva fosse stato crocifisso
S. Pietro, di motivazioni storico-commemorative e simboliche. La
centralità, l’uso degli elementi classici (per la prima volta venne
utilizzato correttamente l’ordine dorico-tuscanico), il valore plastico-
volumetrico, l’equilibrio proporzionale sperimentato su piccole
dimensioni ne fecero un modello per l’architettura del primo ’500 a
Roma. Realizzato probabilmente nel 1502-1507 (ma la datazione è
molto discussa), nel 1605 ne fu modificata la copertura e nel 1628
Bernini creò l’accesso alla cripta.
Il tema del «martyrium» e la memoria dell’antico (tempio
periptero rotondo) suggerirono a Bramante la scelta della pianta
circolare. Ne è derivata una struttura articolata in una peristasi di
colonne tuscaniche, avvolgente un corpo cilindrico che non si arresta
alla trabeazione ma emerge scandito da paraste e nicchie, contornato
da una balaustra e coronato da una cupola emisferica con lanternino.
Il peribolo e la balaustra mettono in comunicazione lo spazio interno
con quello esterno, rapporto che, secondo il pensiero di Bramante
tramandatoci da Sebastiano Serlio, avrebbe dovuto essere
ulteriormente amplificato da un loggiato concentrico, in sostituzione
dell’attuale cortile.

ALL’INTERNO, il pavimento è di tipo cosmatesco. Sull’altare, la


statua di S. Pietro è opera di un lombardo del sec. XVI.
Per la doppia rampa di scale berniniana si scende nella CRIPTA: al
centro il foro dove sarebbe stata conficcata la croce del martirio; la
bella decorazione a stucco (storie della vita di S. Pietro) è di Giovanni
Francesco Rossi.

L’ACCADEMIA SPAGNOLA DI STORIA, ARCHEOLOGIA E BELLE ARTI


occupa un’ala del convento ceduta alla Spagna nel 1876;
nell’interessante chiostro, con portico rinascimentale sormontato da
un loggiato, le lunette (episodi della vita di S. Francesco) sono
attribuite a Nicolò Circignani; nell’atrio, affreschi staccati di inizi sec.
XVII.

IL RITORNO A PORTA SETTIMIANA. Discendendo il colle, s’incontra


dopo un buon tratto, sulla sin., la rampa che sale al cancello del bosco
Parrasio, allestito, grazie a una donazione del re del Portogallo
Giovanni V, per le riunioni dell’Accademia dell’Arcadia. Questa, fondata
nel 1690 da Giovanni Maria Crescimbeni, vide subito l’adesione di
molti letterati, frequentatori del salotto della regina Cristina di Svezia;
con l’intento di «sterminare il cattivo gusto» e di ripulire dalla
«barbarie» la poesia italiana, esercitò, nella prima metà del ’700, una
profonda influenza, soprattutto attraverso l’opera di Metastasio;
diminuita la sua importanza, nel 1926 fu trasformata in Accademia
letteraria italiana. L’impianto del bosco (visita a richiesta al direttore
dell’accademia presso la Biblioteca Angelica), progettato da Antonio
Canevari nel 1725, si sviluppa, per la pendenza del terreno, su tre
ripiani collegati da rampe simmetriche, l’ultimo dei quali è costituito da
un piccolo anfiteatro per le riunioni. Funge da scenario la facciata
concava, scandita da colonne ‘egizie’ e nicchie, della palazzina
neoclassica realizzata da Francesco Azzurri (1850), che reca sui fianchi
le tavole marmoree delle leggi dell’accademia.
In corrispondenza della curva, al N. 27, è il complesso
conventuale delle Oblate Agostiniane con la chiesa di *S. Maria dei
Sette Dolori, realizzata da Francesco Borromini per iniziativa di
Camilla Virginia Savelli Farnese. Il convento – eretto in più tempi nel
1643-67 da Francesco Contini – include la facciata, rimasta al rustico,
di Borromini (1643-46); i due corpi convessi verticali ampliano e
concludono la grande superficie articolata, alla ricerca di un effetto di
chiusura ispirato alla stretta clausura dell’ordine. La parte realizzata da
Borromini (1643-49) consiste nel sistema spaziale cappella-vestibolo,
dove quest’ultimo (cui corrisponde all’esterno l’aggetto concavo
centrale) è a pianta mistilinea, ispirata alla «diaeta» della Piazza d’Oro
di Villa Adriana a Tìvoli, e media l’ingresso alla chiesa organizzata
intorno a un asse longitudinale parallelo alla facciata. L’interno del
luogo di culto ha pianta rettangolare, con angoli arrotondati e due
cappelle laterali che accennano a una croce atrofizzata; le pareti sono
scandite da un ordine di colonne con alta trabeazione continua che si
modella sugli archi delle cappelle laterali e del sacello e si spezza in
due volute in corrispondenza dell’ingresso. Completamente ridipinto
nei restauri del 1845 alterando il senso della decorazione
architettonica borrominiana, conserva, all’altare sin., S. Agostino di
Carlo Maratta e, nel sottoquadro, Madonna del Patrocinio, copia di un
dipinto del sec. XV già conservato nel convento.
L’ultimo tratto della discesa di via Garibaldi è più movimentato,
accompagnato ai numeri 41-45 dal lungo prospetto della ex fabbrica
del Tabacco (Luigi Vanvitelli, 1744) che, dopo vari rifacimenti e
cambiamenti d’uso, è divenuta sede della Scuola Ufficiali dei
Carabinieri. Al termine della via si è presso porta Settimiana →.

IL VIALE DI TRASTEVERE

È il lungo boulevard alberato, con inizio da piazza Sonnino →,


aperto nel 1888 col nome di viale del Re; pensato per il collegamento
con la primitiva stazione ferroviaria di Trastevere, costruita nel 1889 e
ancora conservata in piazza Nievo, fu realizzato sventrando il
preesistente tessuto edilizio. Sul lato sin. (con accesso da via della VII
Corte N. 9; visita a richiesta alla Soprintendenza per i Beni culturali del
Comune di Roma) sussiste l’«excubitorium» della VII coorte dei
«vigiles» che, scoperto a 8 m di profondità negli scavi del 1865-66, è
costituito da un edificio privato adattato, a fine sec. II, a corpo di
guardia degli addetti alla prevenzione ed estinzione degli incendi e alla
pubblica sicurezza nella IX e XIV regione augustea. Nel lungo periodo
d’abbandono successivo alla scoperta ha perduto gran parte della
decorazione e il magnifico mosaico pavimentale. Si visita un’aula sulla
quale affacciavano ambienti minori: al centro, una fontana esagonale
a lati concavi; sul fondo, un’edicola rettangolare adibita a «lararium»
con ingresso ad arco inquadrato da paraste, timpano in cotto e resti di
pitture all’interno.
IL «QUARTIERE MASTAI». Lasciati a d., in successione, la facciata
della chiesa dei Ss. Maria e Gallicano, al fondo del vicolo di
Mazzamurelli, e il fronte diagonale dell’ospedale che le è annesso (per
entrambi →), il viale si allarga a sin. in piazza Mastai, in origine al
centro del quartiere di cui l’apertura dell’asse stradale ha distrutto il
carattere unitario. Dovuto ad Andrea Busiri Vici (1863-75), fu forse il
più interessante intervento urbanistico della Roma di Pio IX che,
consequenziale all’apertura della manifattura dei Tabacchi, prevedeva
residenze operaie e servizi.
Sulla piazza (con al centro una fontana del Busiri Vici, 1863)
prospetta l’ex manifattura dei Tabacchi tardo-neoclassica (Antonio
Sarti, 1860-63), caratterizzata da un corpo centrale a timpano con
otto semicolonne su basamento bugnato; nel 1927 fu ristrutturata per
ospitare la direzione generale dei Monopoli di Stato e nel 1958 le ali
furono demolite e sostituite da brutti fabbricati. Delle residenze a essa
connesse rimane, lungo l’emiciclo d. della piazza, un vasto casamento
popolare (Andrea Busiri Vici, 1875); al tessuto viario originale
appartiene, a d. del viale di Trastevere, via Merry del Val (già via
Mastai), che ne costituiva la strada principale quasi in asse con il
prospetto della manifattura, segnata, sull’angolo con via di S.
Francesco a Ripa →, dai «propilei» che davano accesso al quartiere.
IL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE. Viale di Trastevere
supera via di S. Francesco a Ripa, chiusa sul fondo del tratto di sin.
dall’omonima chiesa →, e incontra, sempre a sin. in angolo con via
Tavolacci, il palazzo degli Esami, costruito nel 1912 in forme liberty
come sede dei concorsi di stato. (Ne fronteggia il fianco d. l’ex casa
della Gioventù italiana del Littorio, opera giovanile di Luigi Moretti in
stile razionalista del 1933-36, destinata dal regime alle attività ginnico-
sportive.) Sul lato opposto del viale troneggia il monumentale edificio
ministeriale (1914-28), il cui prospetto principale ha un corpo centrale
in forte aggetto, sormontato da un attico con statue (la Scienza è di
Publio Morbiducci, la Filosofia di Bernardo Morescalchi). All’interno, un
ampio ATRIO tripartito da colonne in granito di Baveno conduce al
CORTILE D’ONORE con 12 cariatidi del Morbiducci e del Morescalchi, che
scandiscono le superfici e sostengono l’ordine superiore. Nel SALONE
DELLE RIUNIONI, pitture di Antonino Calcagnadoro.
IL SANTUARIO SIRIACO. Sul fianco sin. del ministero, viale Glorioso
si addentra in un’area urbanizzata nel 1885-91 in concomitanza con
l’apertura del viale di Trastevere ed edificata – prevalentemente negli
anni ’20 e ’30 del sec. XX – con palazzine e villini immersi nel verde. Ai
piedi della scalea del Tamburino (dedicata nel 1891 al tamburino di
Garibaldi) s’imbocca a sin. via Casini, sul cui fronte d. si allineano: al
N. 6, un edificio di abitazione con pianta a «C» (Mario Marchi, 1930)
di un monumentale stile «Novecento»; ai numeri 16-22 quattro
palazzine ICP (Innocenzo Sabbatini, 1924-25); ai numeri 58-60, in
angolo con via Dandolo, una palazzina eclettica di Camillo Palmerini
(1924). Prendendo a d. la salita di via Dandolo si incontra il
Santuario Siriaco (N. 47; visita a richiesta alla Soprintendenza
archeologica di Roma), scoperto nel 1906.

LA STORIA E LE STRUTTURE VISIBILI. Scavi nell’area erano già stati


condotti nel 1720 dal cardinale Pietro Ottoboni e nel 1803 da Carlo
Fea; dopo quelli sistematici del 1908-1909, altri sono stati eseguiti nel
1981-82. Sul sito occupato in antico dal bosco sacro di Furrina
(divinità legata alle acque; vi si suicidò Caio Gracco nel 121 a.C.) era
un piccolo santuario dedicato alle divinità siriache, fondato nel sec. I e
più volte rifatto; al IV risale quanto attualmente visibile: un CORTILE
rettangolare fiancheggiato sui lati brevi da due AMBIENTI, uno a tre
navate con abside preceduto da nartece, l’altro a pianta mistilinea.

VILLA SCIARRA. Oltre il villino Sabbatini (N. 78; Innocenzo


Sabbatini, 1925), in stile déco con motivo decorativo a fontane sulla
facciata, a sin. si sale per via Calandrelli all’ingresso principale della
residenza, che si apre sul vasto giardino romantico con statue,
fontane, un tempietto, il belvedere e finti ruderi. Quando venne
inclusa nel perimetro della città con le mura di Urbano VIII, l’area era
suddivisa in due nuclei principali (la proprietà Malvasia poi Barberini e
quella Vaini) unificati nel 1687. I Barberini Colonna di Sciarra
l’ampliarono a metà ’800 verso l’attuale via Dandolo, ma nel 1866 fu
in gran parte lottizzata. Passata nel 1902 a George Wurts che abbellì il
giardino con fontane e statue provenienti da una villa lombarda
(stemma del biscione visconteo), fu donata allo Stato italiano nel
1930. Nel CASINO, ricostruito dopo i danni del 1849 e ristrutturato nel
1932 da Alberto Calza Bini e Mario De Renzi, è ospitato l’Istituto
italiano di Studi germanici, con biblioteca specializzata in germanistica
e scandinavistica (60000 volumi).

UNA PIACEVOLE EDILIZIA otto-novecentesca, circondata dal verde,


caratterizza le pendici del Gianicolo a ridosso della villa. Su via XXX
Aprile – perpendicolare a via Fabrizi – si segnalano: al N. 33, la
palazzina del 1926 dove ha sede l’Istituto di Norvegia (biblioteca di
archeologia classica e della tarda antichità, con c. 20000 volumi); al N.
6, la Pontificia Facoltà Teologica Marianum che, ospitata nel collegio S.
Alessio Falconieri (1927-28), comprende l’archivio generalizio dei Servi
di Maria e un’importante biblioteca specializzata in mariologia con oltre
95000 volumi, 1285 manoscritti, 23 incunaboli e 355 cinquecentine. In
via Masina, proseguimento di via XXX Aprile che sale a porta S.
Pancrazio →, al N. 5 è il palazzo dell’Accademia Americana, costruito
da Charles Follen Mac Kim, Rotherford William Mead e Stantford White
(1912-14) secondo i modi dello storicismo eclettico americano. Ospita
una biblioteca di c. 110000 volumi concernenti l’antichistica e la storia
dell’arte; vi ha sede anche l’Archivio fototeca di Architettura e
Topografia dell’Impero romano.
4.2 IL RIONE BORGO

Il rione occupa parte del romano «ager Vaticanus», il territorio


suburbano la cui viabilità antica, con la via Cornelia, presentava, come
l’odierna, un orientamento est-ovest. Vi ebbe vasti possedimenti
Agrippina, alla cui villa era forse annesso il circo (costruito dal figlio
Caligola e completato da Nerone) dove subì il martirio S. Pietro (su
questa sepoltura Costantino iniziò intorno al 320 la costruzione della
Basilica Vaticana). Il mausoleo di Adriano (poi Castel S. Angelo),
ultimato nel 139, divenne con il ponte annesso l’altro polo destinato a
condizionare lo sviluppo del rione e della città stessa.
Nonostante l’area fosse esterna alle mura Aureliane, i
pellegrinaggi sempre più numerosi sulla tomba dell’apostolo
determinarono la nascita di un insediamento stabile, cui diedero
impulso le colonie di pellegrini nordici organizzate tra VII e VIII sec. in
comunità autonome, dette «scholae» (le maggiori furono quelle dei
Sassoni, dei Longobardi, dei Franchi e dei Frisoni), che convogliavano
le offerte dai paesi d’origine, garantivano protezione agli edifici sacri,
avevano proprie chiese, cimiteri e ambienti per l’assistenza dei
connazionali; del loro contributo alla formazione di Borgo,
configuratosi come abitato a sé stante, rimane traccia nel toponimo,
derivato dal gotico «burg». Dopo che S. Pietro fu saccheggiata
nell’846 dai Saraceni, Leone IV recinse la basilica e l’agglomerato con
una cinta muraria compiuta nell’852, delimitando la Città Leonina.
Nel Medioevo era già consolidato un tessuto urbano strutturato
intorno a due arterie principali: un lungo porticato («Portica») che da
ponte S. Angelo conduceva a S. Pietro ricalcando la romana via
Cornelia e, più a sud, il borgo dei Sassoni (poi S. Spirito). Dopo la
cattività avignonese e il definitivo stabilirsi dei pontefici in Vaticano,
iniziò la formazione di una cittadella papale adeguatamente
rappresentativa e militarmente protetta da Castel S. Angelo. Niccolò V
(metà Quattrocento), insieme al rifacimento della basilica di S. Pietro,
progettò un generale riassetto di Borgo, ma solo con Alessandro VI,
per il giubileo del 1500, venne aperta una nuova strada in asse con
l’ingresso al Palazzo Vaticano, borgo Alessandrino (poi detto Nuovo,
mentre la «Portica» divenne borgo Vecchio); entrambi i pontefici
restaurarono le mura Leonine. Fu il periodo di massimo splendore, che
vide sorgere ricche dimore cardinalizie. Dopo il sacco di Roma del
1527 e la minaccia di invasioni turche, Paolo III iniziò il rafforzamento
della cinta muraria (in particolare dalla «porta Turrionis» – poi porta
Cavalleggeri, demolita per aprire l’odierno, omonimo largo – al
Tevere), proseguito dai successori e in particolare da Pio IV che
ampliò la Città Leonina con un nuovo recinto a nord, creando il borgo
Pio.
Divenuto nel 1586 il XIV rione di Roma (con amministrazione
tuttavia dipendente dalla Camera Apostolica), dopo le demolizioni di
metà Seicento per la realizzazione del porticato di S. Pietro e dello
slargo antistante, Borgo non subì altri rilevanti interventi urbanistici
per oltre due secoli. A fine Ottocento, con l’edificazione del quartiere
Prati scomparvero le mura di Pio IV a nord, ma il tessuto del rione
rimase intatto fino al secondo quarto del Novecento, quando
demolizioni e rifacimenti a più riprese sconvolsero circa metà della sua
superficie e in particolare l’area della Città Leonina per l’apertura di via
della Conciliazione.
Momento centrale dell’itinerario (pianta a fronte) è la splendida
architettura e il museo di Castel S. Angelo, ma non mancano altri
aspetti interessanti ed eterogenei: l’ospedale di S. Spirito in Sassia,
testimonianza delle «scholae» altomedievali; la retorica via della
Conciliazione dove permangono, seppur in vario modo ‘manomessi’,
importanti edifici rinascimentali; il raccolto e popolare borgo Pio.

PIAZZA DELLA ROVERE, prevista dal piano regolatore del 1931


insieme alla galleria Principe Amedeo Savoia Aosta → in asse con
l’omonimo ponte →, ha interrotto il cinquecentesco rettifilo di via della
Lungara →, che oggi vi confluisce da SE, nel luogo in cui dal 1728
sorgeva il manicomio di S. Maria della Pietà (ora al Trionfale, →). Da
un lato è stretta dalle pendici N del Gianicolo →; dall’altro dai corpi di
fabbrica novecenteschi dell’ospedale di S. Spirito in Sassia → e da un
possente bastione completato da Pio IV nel 1564, uno degli interventi
di potenziamento delle mura Leonine → iniziati da Paolo III.
Tra questi due blocchi murari si apre la breve via cui dà nome la
solenne porta S. Spirito (pianta →, 10) che, cominciata da Antonio
da Sangallo il Giovane nel 1543, fu interrotta l’anno seguente a causa
dei contrasti con Michelangelo sul disegno delle fortificazioni vaticane,
rimanendo incompiuta. L’architettura, in conci di travertino, è di
evidente ispirazione classica, con quattro colonne giganti che
stringono il grande arcone centrale e le due nicchie laterali; il potente
effetto plastico è accentuato dalla concavità della pianta.
*S. SPIRITO IN SASSIA. Varcato l’arco si è in via de’ Penitenzieri,
sulla quale affaccia, subito a d. al N. 13, un portale barocco (iscrizione
di Alessandro VII, 1664) dell’ospedale di S. Spirito in Sassia. Al vasto
complesso appartiene l’omonima chiesa (pianta →, 9), che prospetta
sulla via con il fianco d. dagli eleganti portali e con il campanile
(attribuito a Baccio Pontelli, 1471), diversamente orientato e con
quattro ordini di bifore tra due di lesene, mentre la facciata è su borgo
S. Spirito.

LA STORIA. All’interno della «schola Saxonum» (dei Sassoni, da cui


l’appellativo in Sassia) esisteva sin dall’VIII sec. una chiesa dedicata
alla Vergine (S. Maria in Sassia) che fu ricostruita nel XII, poi
nuovamente, insieme all’ospedale, sotto Sisto IV per il giubileo del
1475 (il campanile è proprio di questa fase), e infine nel 1538-45 da
Paolo III che ne affidò il disegno ad Antonio da Sangallo il Giovane.
L’alta facciata, scandita da due ordini di lesene, fu completata sotto
Sisto V (suo lo stemma sopra l’occhialone centrale) da Ottaviano
Mascherino.

L’ARMONIOSO INTERNO di sobrie linee rinascimentali è vivacizzato


dalla policromia delle decorazioni aggiunte nell’ultimo quarto del ’500.
A navata unica con profondo presbiterio, ha cinque cappelle absidate
per lato, divise da lesene che al di sopra della trabeazione proseguono
in un secondo ordine, fino alla cornice del ricco soffitto ligneo a
lacunari del tempo di Paolo III, restaurato da Pio IX. In controfacciata,
ai lati del portale, Visitazione di Marco Pino (1545) e Conversione di S.
Paolo di Francesco Ruviale, iniziata da Francesco Salviati. Nella 1ª
cappella d., con altare a colonne in marmo africano, Pentecoste
(1588), laterali e affreschi della volta di Jacopo Zucchi, entro ricche
cornici a stucco. Nella 2ª, Assunzione di Livio Agresti; alla parete d.,
Circoncisione di Paris Nogari; a quella sin., Natività della Vergine di
G.B. Lombardelli. Nella 3ª cappella si apre l’ingresso laterale
sormontato da cantoria e organo con stemma di Paolo III (1547),
delle stesse maestranze del soffitto. Nella 4ª, all’altare, un’immagine
devozionale copre la Trinità dell’Agresti, autore anche degli affreschi
alle pareti (Guarigione del cieco e del paralitico). La decorazione della
5ª è di Giuseppe Valeriano (iniziata nel 1592): nei pennacchi esterni
dell’arco, Annunciazione; ai lati e nel catino dell’abside, affreschi
(apostoli Giacomo e Filippo e Pentecoste); sull’altare, Ascensione
(1570). La SAGRESTIA è decorata con storie della «schola Saxonum» di
Guidobaldo Abbatini. Nell’abside affreschi di Jacopo e Francesco
Zucchi del 1583: Gesù tra il Battista e S. Pietro (catino); Pentecoste
(pareti). 5ª cappella sin., decorata nel sec. XV: Martirio di S. Giovanni
evangelista di Marcello Venusti. 4ª: Deposizione di Pompeo Cesura;
affreschi dell’Agresti. 3ª: Crocifisso (sec. XVI); alle pareti, storie della
Passione dell’Agresti; a d., tomba di Antonio Foderato (m. 1548) con
rilievo della Pietà di Jacopo Del Duca su probabile disegno di
Michelangelo. 2ª: Incoronazione di Maria di Cesare Nebbia. La
decorazione della 1ª è del Nebbia.

IL TRATTO DI SIN. DI BORGO S. SPIRITO – chiuso sul fondo da un


bello scorcio della cupola di S. Pietro – ha perso gran parte del
carattere con le trasformazioni novecentesche. Al numero 4 è il
palazzo della Curia generalizia della Compagnia di Gesù, con una
biblioteca privata che dalla fondazione dell’ordine raccoglie i testi
redatti o editi da esponenti della compagnia (c. 200000 volumi); vi
hanno sede anche l’Istituto storico della Compagnia di Gesù, cui è
annessa una biblioteca privata specializzata di c. 60000 volumi, e
l’Archivium Romanum Societatis Jesu, che documenta la storia e il
Governo della compagnia dal 1538.
Lasciata a d. l’abside della chiesa di S. Lorenzo in Piscibus
(ricordata dal sec. XII, ma ripristinata nel 1950 e infelicemente
racchiusa in un cortile), si incontra a sin., tra i numeri 14 e 15, il
portale della «Scala santa» della chiesa dei Ss. Michele e Magno,
raggiungibile salendo la ripida scalinata sotto l’arco del N. 21. Già
esistente nell’854 (quando era intitolata solo al primo) all’interno della
«schola» dei Frisoni, fu riedificata nel sec. XII e ristrutturata a metà
XVIII da Carlo Murena. Ha interno a tre navate diviso da pilastri
rettangolari che inglobano le antiche colonne (le mostrano le nicchie
sul lato interno), con rosone cosmatesco al centro del pavimento.
Sull’altare maggiore, l’Arcangelo Michele appare ai Ss. Magno e
Gregorio di Nicolò Ricciolini; nella navata sin., tomba di Anton Raphael
Mengs (m. 1779) di Vincenzo Pacetti e, all’altare, i Ss. Pietro e Paolo
di Ludovico Stern; presso il portale (dove è un’iscrizione sepolcrale del
frisone Hebi, 1004), la provveditoria dell’arciconfraternita del SS.
Sacramento conserva un dipinto (S. Leone IV, 1770) di Antonio
Concioli.
Per via Paolo VI, costeggiando il colonnato di S. Pietro →, si
giunge nella piazza dominata dal palazzo del S. Uffizio, eretto da Pio V
(stemma sull’angolo). Dopo l’apertura della piazza, l’edificio ebbe nel
1925 la facciata attuale; il fronte verso S. Pietro, compiuto nel 1869
da Pio IX (epigrafe), prospetta sullo slargo ricavato dalla demolizione
del Museo Petriano e chiuso dalla cancellata di accesso alla Città del
Vaticano presso l’aula delle Udienze pontificie. Il palazzo, che conserva
il cortile cinquecentesco con portico e loggiato, è sede della
Congregazione per la Dottrina della Fede, già del S. Uffizio; costituita
da Paolo III nel 1542 in seguito al diffondersi del protestantesimo, fu
rinnovata ed ebbe la denominazione attuale da Paolo VI nel 1965.
A sinistra del palazzo sporge l’abside dell’oratorio di S. Pietro, già
denominato S. Salvatore de Ossibus (per l’annesso cimitero di
pellegrini) o in Terrione, dalla vicina «porta Turrionis» delle mura
Leonine → che, rifatta da Niccolò V, prese poi il nome di porta
Cavalleggeri e fu demolita con il taglio delle mura (1904; ne resta
l’arco bugnato – con stemmi di Alessandro VI – murato presso
l’angolo sul largo omonimo). Restaurato sotto Niccolò V, l’oratorio fu
ripristinato nel 1923 e conserva un interno (non si visita), decorato di
affreschi del ’400, con coeva tavola della Madonna col Bambino e santi
firmata da un maestro Francesco.

IL PALAZZO DEL COMMENDATORE (N. 3; pianta →, 8), sede del


presidente dell’ospedale di S. Spirito in Sassia, è raccordato alla chiesa
di S. Spirito in Sassia da una breve parete con bella finestra serliana e,
iniziato nel 1567 forse su disegno di Nanni di Baccio Bigio, fu ultimato
nel 1571 probabilmente da Ottaviano Mascherino. La severa facciata è
ornata solo del ricco cornicione e del portale bugnato.

INTERNO. Sull’ampio *CORTILE, a due ordini di arcate su colonne


con capitelli dorici e ionici (il curioso orologio a forma di cappello
cardinalizio è del 1827; la fontana sul fondo, del 1614, venne
trasportata dai Palazzi Vaticani nel 1667), affacciano la SPEZIERIA (a sin.
dell’ingresso) e l’Accademia Lancisiana (a d.), fondata nel 1714
dall’archiatra pontificio Giovanni Maria Lancisi insieme alla Biblioteca
Lancisiana, importante per lo studio della storia della medicina, che,
con i c. 17000 volumi, trova posto al piano superiore; qui, intorno alla
loggia, corre un fregio cinquecentesco e una grande sala è decorata di
affreschi (finti arazzi e festoni di fiori e frutta con stemmi degli
Aldovrandi, di Jacopo e Francesco Zucchi; fregio con paesaggi, figure
simboliche e stemmi papali).

L’OSPEDALE DI S. SPIRITO IN SASSIA. Fronteggiato dalla


cinquecentesca facciata di palazzo Alicorni (N. 78), che è stata qui
ricostruita dopo lo sventramento di piazza Rusticucci per la
realizzazione di via della Conciliazione →, il palazzo del
Commendatore è contiguo alla più antica istituzione ospedaliera della
città – le sue origini si fondono con quelle stesse di Borgo – che copre
l’intera area compresa tra via de’ Penitenzieri, borgo S. Spirito e
lungotevere in Sassia.

LA STORIA. Decaduta la «schola Saxonum» sorta nel 727 a opera


di Ina, re dei Sassoni, per l’assistenza ai pellegrini connazionali,
Innocenzo III costruì un nuovo ospedale, già funzionante nel 1204 e
affidato all’ordine di S. Spirito fondato in Francia da Guido di
Montpellier; il nosocomio, concepito come istituzione cittadina per la
cura degli infermi, dell’infanzia abbandonata e dei poveri, era
finanziariamente autonomo e soggetto solo all’autorità papale, con
numerose filiazioni in Europa già dal sec. XIII; il più antico regolamento
ospedaliero che si conosca (il «Liber Regulae») ne fissava il
funzionamento. Dopo il periodo avignonese ebbe nuovo impulso da
Eugenio IV e, nel 1473-78, Sisto IV lo ricostruì interamente
ingrandendolo; Alessandro VII, Benedetto XIV e Pio VI aggiunsero
altre fabbriche. Proprietario, grazie alle donazioni, di numerosi
immobili cittadini (contraddistinti dall’emblema a croce binata) e di
vaste tenute con coltivazioni di erbe medicinali, godette anche dei
proventi del banco di S. Spirito (fondato nel 1605) e, consolidatosi da
inizi sec. XVIII (anche per merito delle istituzioni promosse da Giovanni
Maria Lancisi) come centro d’insegnamento e ricerca, vide
successivamente l’attivazione di scuole di medicina e chirurgia.

L’ESTERNO. Su borgo S. Spirito l’ospedale prospetta con la *CORSIA


SISTINA (pianta →), costruita forse da Baccio Pontelli nel 1473-78;
lunga c. 120 m, con cortina in laterizio e porticato a pilastri ottagonali
murato sotto Benedetto XIV, riveste un notevole interesse come
esempio di architettura civile. A metà si leva il tiburio ottagonale, in
cui grandi bifore si alternano a trifore affiancate da maioliche
ottocentesche con stemmi papali. L’arco d’ingresso (N. 2, già accesso,
attraverso il vestibolo, alle due ali della corsia, v. oltre) di Gian
Lorenzo Bernini (1664) reca lo stemma di Alessandro VII e nasconde il
*portale di fine ’400 attribuito ad Andrea Bregno, inquadrato da
lesene scanalate, con capitelli compositi, e dalla trabeazione, con
motivo di grifi nel fregio; nella lunetta, stemma di Sisto IV retto da
amorini. A sinistra dell’arco esterno, ruota degli esposti per l’affido
anonimo dei neonati e buca per le elemosine; sul quart’ultimo pilastro
del porticato, una lapide ricorda il livello dell’inondazione del Tevere
del 1598.
La facciata verso il fiume, aperta da quattro bifore architravate e
da un portico (sotto il quale è un altro portale marmoreo attribuito alla
scuola del Bregno), è stata ripristinata nel 1926-28, a seguito della
demolizione, per l’apertura del lungotevere, del prolungamento della
Corsia Sistina realizzato da Ferdinando Fuga nel 1742-44 sotto
Benedetto XIV; le forme quattrocentesche s’ispirano ai pochi elementi
superstiti e alla riproduzione fattane da Sandro Botticelli nell’affresco
con la Purificazione del lebbroso e le Tentazioni di Cristo della
Cappella Sistina. Al 1927-33 risalgono le strutture classicheggianti che
prospettano sul lungotevere in Sassia, da dove (N. 1) si accede al
complesso.

L’INTERNO. Percorso l’androne d’accesso, si sottopassa a sin. un


portale marmoreo sormontato da stemma che immette nel CORTILE DI
S. TECLA (pianta →, 1), alle spalle, grandi portali di Pio V; a sin., il
cinquecentesco conservatorio delle Zitelle, con il bel CORTILE DEL POZZO
(3) a due ordini di arcate (le superiori murate) su colonne in travertino
e, alle pareti, stemmi, epigrafi e sarcofagi; di fronte, una fontana
ottocentesca individua le fabbriche sistine. Al termine della discesa, a
sin., è il CORTILE DELLE SUORE (4), a due ordini di arcate su colonne
(alcune di recupero), bella fontana con vasca su delfini, portali e
finestre col nome di Sisto IV; a d. è il piccolo CORTILE DEI FRATI (5), pure
con fontana, portico, e loggia su pilastrini laterizi ottagonali. Dal
cortile, ove sono stemmi, epigrafi, frammenti classici e un busto di
Clemente XII, si raggiunge (seguendo l’indicazione per le sale Baglivi e
Lancisi) lo splendido *VESTIBOLO (6) della Corsia Sistina, a grandi
arcate, coperto dal tiburio ottagonale. Tra le pareti affrescate
troneggia il baldacchino dell’altare di S. Giobbe (pala di Carlo
Maratta), ricomposto sotto Clemente VIII e attribuito a Palladio (c.
1546). Le due ali della Corsia Sistina, la SALA BAGLIVI e la SALA LANCISI (la
prima ancora utilizzata per le degenze), sono decorate da c. 1000 m2
di affreschi del sec. XV molto anneriti (Origini leggendarie dell’ospedale
dal sogno di Innocenzo III ed episodi della vita di Sisto IV) e
riconducibili a più artisti in parte di provenienza umbra (alcune storie
sono state ridipinte nel ’500).
Dal lato del cortile dei Frati opposto a quello che immette nel
vestibolo, si raggiunge la facciata della Sala Alessandrina, ad arcate su
pilastri laterizi, innestata perpendicolarmente alla corsia nel 1665-67 e
ripristinata nel 1931; è occupata, insieme ad altri ambienti al piano
superiore, dal Museo storico nazionale dell’Arte sanitaria (7; t.
066833262; www.utenti.quipo.it/asas), con biblioteca specializzata;
spiccano le sette tavole anatomiche eseguite sotto la direzione di
Paolo Mascagni, i modelli in cera eseguiti dallo scultore Luigi (?)
Manfredini, un teschio proveniente dal sito archeologico di Boscoreale,
strumenti chirurgici arabi e romani (sec. XV-XIX).

S. MARIA ANNUNZIATA. Della confraternita di S. Spirito era questa


chiesa, detta dell’Annunziatina, che fu trasportata nel 1950 sul
lungotevere Vaticano, prospiciente alla facciata verso il fiume
dell’ospedale, a seguito dell’apertura di via della Conciliazione;
l’infelice contesto attuale non corrisponde a quello originario su borgo
S. Spirito, dove era stata eretta nel 1744 da Pietro Passalacqua con
una graziosa facciata tripartita a doppio coronamento mistilineo.
Nell’interno, ultimato a fine ’700, alla parete sin., lunetta (Apparizione
di S. Michele arcangelo a S. Gregorio Magno) affrescata da G.B.
Montano, dalla chiesa demolita di S. Angelo ai Corridori; in una
nicchia, Madonna col Bambino della bottega di Antoniazzo Romano.
*CASTEL S. ANGELO. Si procede sul lungotevere Vaticano lasciando
a sin. largo Giovanni XXIII con l’imbocco di via della Conciliazione → e
avendo di fronte la mole imponente del grandioso «Hadrianeum»,
voluto e probabilmente ideato da Adriano come tomba per se stesso e
per i suoi successori, la cui realizzazione fu forse affidata all’architetto
Demetriano. Iniziato intorno al 123 e terminato un anno dopo la
morte dell’imperatore da Antonino Pio, accolse le sepolture dei
membri della famiglia imperiale fino a Caracalla, ucciso nel 217; per
accedervi Adriano fece erigere il «pons Aelius», poi S. Angelo →, che
ne fronteggia l’ingresso. Pur alterato da oltre un millennio e mezzo di
storia, il monumento è ancora abbastanza leggibile nelle sue forme
originarie (sezione qui sotto) ed è sede del *Museo nazionale di
Castel S. Angelo (t. 066819111-0639967600;
www.galleriaborghese.it).
LA STORIA. Il mausoleo era costituito da un basamento quadrato
in opus latericium (con lati di 86.3 m, corrispondente all’attuale muro
di cinta) sul quale poggiava una costruzione cilindrica (64 m di
diametro) in opus caementicium rivestito di blocchi di tufo e
travertino, forse coperta sulla sommità da un tumulo di terra di tipo
etrusco – con folta vegetazione arborea, sull’esempio del mausoleo di
Augusto – e sormontata al centro da un cilindro di diametro inferiore.
Agli angoli del basamento si ergevano gruppi statuari, e anche le
paraste del corpo circolare erano probabilmente sormontate da
statue; il fastigio era costituito da una quadriga in bronzo, forse
guidata da una statua dell’imperatore in figura di Sole. All’interno
erano tre grandi aule sovrapposte, ancora esistenti, per le tombe
imperiali e una doppia rampa elicoidale tuttora percorribile nel primo
tratto.
Aureliano, costruita nel 271 la cerchia muraria a difesa della città,
fece del mausoleo imperiale un avamposto fortificato, recingendolo di
mura turrite; la porta che si apriva in questa cinta fu detta poi porta S.
Pietro e fu unita alla basilica mediante la «Portica», che nel Medioevo
adduceva i pellegrini alla tomba dell’apostolo. Teodorico fu il primo a
farne un carcere, che mantenne però anche il carattere di fortezza
consentendo, nella guerra gotica, il controllo della città in mano a
Belisario da parte di Totila. Cessato il dominio bizantino e stabilitosi a
Roma il potere temporale del pontefice e dei suoi alleati imperiali, fu
caposaldo difensivo di Borgo cinto dalle mura Leonine, per diventare,
con lo sgretolamento del potere imperiale (fine sec. IX), centro delle
contese armate. Come condizione fondamentale per il ritorno
dall’esilio avignonese, Urbano V pose la consegna delle chiavi del
castello, unica garanzia del controllo su Roma; affidato a una
guarnigione francese, fu rioccupato nell’aprile 1379 dai Romani in
rivolta, che tentarono di raderlo al suolo. Bonifacio IX e l’architetto
Niccolò Lamberti lo trasformarono in caposaldo imprendibile del
potere temporale dei papi, che non di rado vi dimorarono
nell’appartamento ampliato a metà ’500 da Paolo III e che qui
custodirono il loro archivio più segreto e il tesoro della Chiesa. Niccolò
V fece costruire tre bastioni angolari, più tardi ingranditi da Alessandro
VI che ne aggiunse un quarto (di S. Matteo) e un torrione rotondo a
controllo del ponte, poi abbattuto da Urbano VIII; con Pio IV i bastioni
furono rialzati e venne eretta la cinta pentagonale, mentre a Urbano
VIII risale il completamento delle fortificazioni esterne.
L’attuale configurazione del complesso prese forma con i restauri
iniziati a fine ’800, quando l’innalzamento degli argini del fiume e del
lungotevere ne spezzarono il rapporto con il corso d’acqua e con il
ponte. Nel 1933-34 furono demolite le casermette costruite da Urbano
VIII e ripristinati i fossati e i bastioni di Pio IV; la sistemazione a
giardino della zona tra il perimetro quadrato e quello pentagonale ha
tuttavia mutilato l’articolazione fortificata.

OGGI LA MOLE si presenta con una cinta quadrata in basso,


rafforzata agli angoli dai bastioni (pianta I a fronte) di S. Giovanni, a
d., e di S. Matteo, a sin. (entrambi parzialmente abbattuti e riedificati,
secondo l’aspetto avuto sotto Alessandro VI e Pio IV, in occasione
della realizzazione del lungotevere); ai vertici opposti, i bastioni di S.
Luca e di S. Marco; lungo la cortina tra i bastioni di S. Giovanni e di S.
Luca è stato ricostruito il portale d’ingresso del castello che, eseguito
nel 1556 da Giovanni Sallustio Peruzzi per Paolo IV, fu spostato da
Urbano VIII nel 1628 sul corpo di guardia esterno, pure demolito
(1892) per l’apertura del lungotevere. Il corpo cilindrico romano
termina con il bel paramento in cotto ultimato sotto Alessandro VI e
scandito da beccatelli, ed è sormontato dalla torre quadrata che
ingloba l’originario coronamento circolare, alla quale si addossano i
rinascimentali appartamenti papali aperti verso il Tevere dalla loggia
marmorea di Giulio II; al piano superiore le stanze settecentesche
riservate al vicecastellano e, sulla grande terrazza, la statua bronzea
dell’arcangelo Michele che rinfodera la spada.
L’INTERNO E IL PERCORSO MUSEALE. Dal lungotevere (si osservino,
sulla cinta del castello, i grandi stemmi papali in parte scalpellati,
come quasi tutti quelli presenti all’interno, durante l’occupazione
francese del 1798-99), giunti al portone (pianta I, A) che fronteggia il
ponte, si piega a d. e costeggiando le mura si raggiunge il portone
detto del Peruzzi (B) sul lato orientale. Superata la biglietteria, si
incontrano a sin. due delle celle radiali romane nelle quali sono
esposte una raccolta di epigrafi e di marmi medievali e moderni e tre
plastici didattici che riproducono il castello ai tempi di Alessandro VI,
di Urbano VIII e nella prima metà del sec. XX. Proseguendo
nell’AMBULACRO (C), ricavato da Bonifacio IX tra il cilindro romano e la
cinta quadrata tagliando i setti radiali del mausoleo che
originariamente si addossavano alla mole circolare a formare
l’ossatura del basamento e che ancora sono visibili a un livello più
basso dell’attuale, si ritorna in corrispondenza del portone d’ingresso
sul lungotevere e si scende a d. di c. 3 m per una scala moderna,
raggiungendo, al livello originario del mausoleo, il grandioso DROMOS (1
e 2) con volta a botte che termina in un vestibolo concluso da una
grande nicchia dove era la statua gigantesca di Adriano. Alle pareti, i
fori per le grappe testimoniano l’originaria presenza di un rivestimento
marmoreo. Al centro del dromos altri due plastici: il primo è
un’ipotetica ricostruzione del mausoleo imperiale sulla base delle
indagini archeologiche condotte nei primi anni del sec. XX; il secondo
evidenzia quanto rimane dell’originario edificio togliendo tutte le
aggiunte architettoniche. A destra ha inizio la RAMPA ELICOIDALE (3),
riscoperta solo nell’800 e liberata del riempimento che la ostruiva dal
tardo Medioevo, le cui pareti presentano un apparato murario di
tecnica raffinata; sotto il pavimento, decorato originariamente di un
mosaico a piccole tessere bianche (se ne conservano solo brevi tratti),
è un complesso e ingegnoso sistema di smaltimento delle acque
piovane. Lunga m 125.5, la rampa sale con lieve pendenza,
compiendo un intero giro perimetrale del grande corpo cilindrico e
superando un dislivello di m 12; le davano aria e luce quattro sfiatatoi
che si aprivano sul tetto del cilindro, il penultimo dei quali fu
trasformato in prigione. Poco prima di arrivare al termine della rampa
si incontra a d. la tromba dell’ascensore settecentesco che conduceva
dall’atrio romano alla cappella di Leone X (v. oltre). Terminata quella
elicoidale, si imbocca a sin. la RAMPA DIAMETRIALE (pianta II a fronte, 4),
una cordonata ricavata in rottura nell’intera mole cilindrica quando fu
interrata la rampa elicoidale (per alcuni già a fine sec. XIV, per altri un
secolo dopo al tempo di Alessandro VI) per consentire l’accesso alla
parte centrale della fortezza solo attraverso un PONTE levatoio;
percorrendola si attraversa, grazie a un ponte costruito da Giuseppe
Valadier nel 1822, la SALA DELLE URNE CINERARIE, tradizionalmente
ritenuta quella nella quale furono deposte le spoglie dell’imperatore
Adriano, e si raggiunge poi un PIANEROTTOLO (5) illuminato da un
occhialone. Piegando a sin. e percorrendo un altro tratto di rampa (6),
realizzato al tempo di Paolo III probabilmente su disegno di Raffaello
da Montelupo, si giunge al CORTILE D’ONORE (pianta III →, 7), detto
anche dell’Angelo per la presenza della statua marmorea
dell’arcangelo Michele che rinfodera la spada, scolpita dallo stesso
artista nel 1544 per essere collocata sulla sommità del Castello, ove
rimase fino alla sostituzione nel 1752 con l’attuale statua in bronzo.
Sul lato opposto del cortile sono la RAMPA cordonata DI URBANO VIII (8;
si noti all’inizio il globo marmoreo con le api Barberini) e l’edicola della
cappella (vi si accede dall’interno, v. oltre) realizzata sotto Leone X su
disegno di Michelangelo. Lungo il fianco d. del cortile sono alcuni
ambienti che ospitavano l’ARMERIA ANTICA, su quello di sin. si aprono le
SALE dette DI CLEMENTE VIII dallo stemma del pontefice dipinto nella
volta della prima (16), ornata di un monumentale camino del tempo di
Urbano VIII proveniente dal demolito corpo di guardia all’ingresso del
Castello; le porte e i sovrapporta in stucco con stemma Altieri
appartenevano all’armeria di Clemente X situata nel corpo di fabbrica
che si addossa al bastione di S. Matteo. Sempre sul fianco sin. si apre
la SALA DETTA D’APOLLO (18), già parte dell’appartamento papale
quattrocentesco; fu decorata dal 1547 da Perin del Vaga, che morì
poco dopo l’inizio dei lavori, e dalla sua bottega con grottesche e
storie riferibili al mito del dio Apollo. Da questa si può visitare la SALA
DELLA GIUSTIZIA (17) – la seconda delle tre grandi aule sovrapposte
dell’«Hadrianeum» – così chiamata per l’affresco raffigurante l’angelo
della Giustizia attribuito allo Zaga.
Nella CAPPELLA DI LEONE X (19), cui si accede dalla sala d’Apollo, si
conservano, sull’altare, un altorilievo in marmo della Madonna col
Bambino (secondo quarto del ’500), tradizionalmente attribuito a
Raffaello da Montelupo e, in alto, lo stemma di Leone X dipinto su
pietra.
Contigue alla sala d’Apollo sono le due SALE dette DI CLEMENTE VII.
Alle pareti della prima (20; ornata da un pregevole fregio a girali
d’acanto con putti che sorreggono cartigli con il nome del pontefice
(l’opera è datata 1533), e da un coevo soffitto a cassettoni: S.
Sebastiano e S. Giovanni Battista di Niccolò di Liberatore; profeti di
lombardo del sec. XV; S. Girolamo nel deserto di Lorenzo Lotto;
Redentore e S. Onofrio, tavolette di Carlo Crivelli; Madonna col
Bambino e santi, di scuola toscana del ’400; Madonna col Bambino,
polittico degli Zavattari. Nella seconda (21), con fregio e soffitto del
tempo di Innocenzo X: Cupido di Girolamo di Benvenuto; Circoncisione
di Marcello Fogolino; S. Nicola di Bari e S. Francesco di Pier Francesco
Bissolo; Madonna col Bambino e santi, grande tavola di Luca
Signorelli; Cristo portacroce e Cristo deriso del Giampietrino; Madonna
col Bambino di Bartolomeo Montagna.
Attraverso un corridoio si esce a d. nel CORTILE DEL POZZO (22), così
chiamato per il bel puteale in marmo di Alessandro VI, cui
corrisponde, al di sotto del piano di calpestio, una cisterna. Il cortile è
delimitato da un lato da una costruzione semicircolare a due piani
(quello inferiore, del tempo di Alessandro VI, fu adibito a prigione;
quello superiore risale a Pio IV) con resti di figure mitologiche ad
affresco della seconda metà del ’500, mentre il fianco meridionale è
chiuso da un corpo di fabbrica edificato all’inizio del sec. XVI per
ospitare la stufa di Clemente VII. Una scaletta a d. dell’ingresso al
cortile sale alla STANZA DA BAGNO, elegantemente decorata con stucchi e
affreschi attribuiti a Giovanni da Udine; più in alto è un piccolo locale
(spogliatoio?) comunicante con l’appartamento pontificio superiore.
Dall’androne della scaletta si passa nel CORTILE DI LEONE X (23), con
casamatta di fine sec. XV sormontata dalla loggia di Leone X (v. oltre);
attiguo è un altro CORTILETTO (24), a pianta triangolare, da dove una
scala conduce in una cameretta ove si riscaldavano l’acqua per il
bagno, i cui vapori circolavano nello spessore delle pareti come nelle
terme dell’età classica.
Dal cortile del Pozzo, per una porta (25) si accede alle cosiddette
PRIGIONI STORICHE: una rampa scende in uno STANZONE SOTTERRANEO
(pianta II →, 26) in fondo al quale, oltre un vestibolo, si stacca a sin.
un corridoio diretto alle piccole e tetre CELLE (27-31). Dal cortile del
Pozzo un’altra SCALA (pianta III a fronte, 32) scende alle OLIARE (pianta
II →, 33-34), due vasti locali sotterranei con 84 orci per l’olio (c.
22000 litri), provvista alimentare del presidio; le cinque aperture sul
lato d. corrispondono ad altrettanti ambienti rotondi a silos (35-39) nei
quali si immagazzinava il grano (c. 3500 quintali): alcuni furono
convertiti in prigioni. Ancora dal cortile del Pozzo si sale la SCALA
(pianta III a fronte, 40) che raggiunge la LOGGIA DI PAOLO III (pianta IV
→, 41), attribuita ad Antonio da Sangallo il Giovane, con stucchi e
grottesche del Sermoneta (1543), da dove si ha la visione completa di
tutta l’imponente cinta bastionata pentagonale e del fossato esterno.
Si percorre a d. la GALLERIA SEMICIRCOLARE o «GIRETTO DI PIO» IV (42)
sulla quale affacciano le piccole CAMERE (43-53) usate dapprima come
abitazioni dei familiari della corte papale, poi come prigioni militari, e,
attraversata la LOGGIA DI LEONE X (54), si giunge in quella DI GIULIO II
(55), con belle colonne marmoree, realizzata su disegno di Giuliano da
Sangallo (1504) e prospiciente ponte S. Angelo. Lasciata a d. la rampa
cordonata per l’appartamento di Paolo III (v. sotto) e continuando nel
giretto, qui scoperto e rialzato da Alessandro VII (1656), si incontrano
quattro sale dove sono esposte armi antiche (bella veduta su S. Pietro
e sul «Passetto» che lo unisce al Castello).
Ritornati alla loggia di Giulio II, si sale al piccolo vestibolo a
nicchie, progettato da Antonio da Sangallo il Giovane, che immette
nell’appartamento papale voluto da Paolo III – è uno dei più
importanti episodi del manierismo romano – e compiuto tra il 1542 e il
1549. La SALA PAOLINA (56) era il grande salone di rappresentanza; il
progetto decorativo si deve, come in tutta l’ala S dell’appartamento, a
Perin del Vaga, la cui numerosa bottega – all’interno della quale si
distingue per il vigoroso michelangiolismo Pellegrino Tibaldi, autore
certamente dell’arcangelo Michele – eseguì l’intero ciclo (1546-48).
Nella volta a riquadri: sei storie di Alessandro Magno di Marco Pino; ai
quattro angoli, le imprese farnesiane del giglio di giustizia e del delfino
con la salamandra; al centro, stemma di Paolo III tra due riquadri che
recano un’iscrizione in greco e bassorilievi in stucco con creature
marine e trionfo di Galatea; gli stucchi sono attribuiti a Gugliemo Della
Porta. Nel basamento lungo le quattro pareti, monocromi con Lotta tra
creature marine. Lato S: sopra la porta d’accesso dalla loggia di Giulio
II, Abbondanza e Carità; sulla porta a d., Venere celeste e Speranza;
al centro della parete, l’imperatore Adriano; nei due tondi, Martirio di
S. Paolo e Sacrificio a Listra. Lato E: nei tre monocromi, storie di
Alessandro; nelle due finte nicchie: Prudenza e Temperanza; sopra le
porte, quattro muse; nei due tondi, Accecamento di Elima e S. Paolo
predica ai pagani. Lato N: sopra le due porte, Chiesa e Concordia,
Fede e Religione; al centro, l’arcangelo Michele; nei due tondi, S.
Paolo predica agli Ebrei e Conversione di S. Paolo. Lato O: nei
monocromi, Alessandro consacra i dodici altari e Alessandro mette
pace tra due commilitoni; nelle nicchie, Giustizia e Forza; nei tre
celetti delle finestre, storie di Alessandro. Al centro del pavimento,
grande stemma in commesso marmoreo di Innocenzo XIII (1722), che
restaurò la sala; sulle ante delle porte, decorazione settecentesca a
trompe-l’oeil. CAMERA DEL PERSEO (57), cosiddetta dal magnifico fregio
con storie di Perseo e Andromeda di Perin del Vaga, che disegnò
anche il bel soffitto ligneo con al centro l’arcangelo Gabriele; tra gli
arredi della sala, tronetto del sec. XVI. Alle pareti: Compianto su Cristo
morto di scuola ferrarese; Cristo portacroce di Paris Bordon; arazzi
fiamminghi seicenteschi. CAMERA DI AMORE E PSICHE (58), che deriva
anch’essa il nome dal soggetto del fregio di Perin del Vaga, con ricco
soffitto dorato sempre del tempo di Paolo III. Il grande letto con
stemmi di Paolo III è pervenuto al Museo nel ’900. Alle pareti: Donna
con liocorno di Luca Longhi; Pietà di scuola bresciana; Apparizione a
Mosè di ignoto del sec. XVI; Cristo portacroce della bottega di
Sebastiano del Piombo. Alla parete di fondo, arpicordo del XVI.
Si ritorna nella sala Paolina e, per un CORRIDOIO (59) affrescato a
grottesche dalla bottega di Perin del Vaga, si passa nella SALA DELLA
BIBLIOTECA (60), ambiente di rappresentanza dell’ala N
dell’appartamento. La grande volta è affrescata con storie romane ed
episodi della vita dell’imperatore Adriano, su disegno di Luzio Luzi
(1544), circondate da grottesche; alle pareti, fregio in stucco coevo.
Tra gli arredi, notevole armadio quattrocentesco fronteggiato da un
grande camino in marmo su disegno di Raffaello da Montelupo.
CAMERA DELL’ADRIANEO (61), cosiddetta per la presenza di una
raffigurazione ideale del mausoleo di Adriano nel fregio (1545) i cui
otto riquadri, intercalati da cariatidi, raffigurano scene mitologiche e i
monumenti dell’«ager Vaticanus» (oltre all’edificio descritto sulla
parete di fondo, compaiono da sin.: la Naumachia, la «Meta Romuli»,
il Circo di Nerone). Alle pareti: Ecce Homo di Giovanni Baglione;
Baccanale di Dosso Dossi; Educazione di Bacco della scuola di Pieter
Paul Rubens; Festino degli dei (dal dipinto di Giovanni Bellini e Tiziano
ora a Washington) attribuito a Nicolas Poussin; tondo con protome
leonina di scuola robbiana. CAMERA detta DEI FESTONI (62) per i motivi
del fregio (1545). Alle pareti (da sin.): Cortile del Belvedere e fanciulla
con liocorno, affresco staccato attribuito a Prospero Fontana; Il
cardinale Gozzadini riceve a Imola Giacomo III Stuart di Antonio
Gionima (1717). Una scaletta sale alla cosiddetta CAGLIOSTRA (63), la
camera, già loggia superiore dell’appartamento, dove fu tenuto
prigioniero il celebre avventuriero Giuseppe Balsamo detto Cagliostro:
alle pareti, affreschi a grottesche su disegno del Luzi (1544). Ai lati
due GABINETTI, DEL DELFINO O DEL CAMALEONTE (64) e DELLA SALAMANDRA
(65), dagli stucchi al centro della volta con emblemi farnesiani.

Ritornati nella sala della Biblioteca, si vede la CAMERA DEL TESORO


(66), terza aula del mausoleo romano; alle pareti, armadi in noce che
servivano per l’archivio istituito da Paolo III; al centro, grandi forzieri
di Giulio II e di Sisto V per custodire il tesoro della Chiesa. Dal
vestibolo, una scaletta di età romana raggiunge la SALA ROTONDA
(pianta V, 67), parte terminale del monumento imperiale; al centro,
armatura settecentesca in ferro che sorreggeva la statua bronzea
dell’arcangelo posta in cima al Castello. Nella SALA DELLE COLONNE (68) e
nelle due CAMERETTE attigue (69, 70; la decorazione a tempera delle
volte è di Duilio Cambellotti, 1926) sono raccolte sculture medievali,
rinascimentali e barocche (la visita inizia da sin. nella sala delle
Colonne e prosegue negli ambienti laterali): Leone, dell’ambiente dei
Vassalletto (sec. XIII); vera da pozzo del XIV; Madonna col Bambino del
primo quarto del XIV; santo francescano di Jacopo della Quercia;
Compianto su Cristo morto di scuola piemontese del XV; Pietà coeva di
scuola emiliana; testa di Paolo IV Carafa di scuola toscana del XVI;
Salvatore di Michel Maille (1695); ciborio in marmi policromi, su
disegno di Carlo Rainaldi, proveniente dalla chiesa di S. Lorenzo in
Lucina; angelo ligneo di Pietro Bracci (1736).
Ritornati nella Sala rotonda, si riprende la scala romana per salire
sulla TERRAZZA (*panorama), ai piedi dell’arcangelo Michele, statua
bronzea di Pieter Antoon van Verschaffelt (1752); esso allude alla
visione che avrebbe avuto Gregorio Magno di un angelo apparso
sull’alto della mole nell’atto di rinfoderare la spada per annunciare la
fine della pestilenza che infieriva su Roma. A sinistra, la campana della
Misericordia (1758) annunciava le esecuzioni capitali. Dal lato opposto
rispetto all’accesso si scende una breve scaletta che immette nel
corridoio sul piombetto e, tramite un’altra rampa, si è nell’APPARTAMENTO
DEL VICECASTELLANO, eretto e affrescato a metà ’700.

VIA DELLA CONCILIAZIONE. Da Castel S. Angelo, costeggiato il


bastione di S. Matteo (vista sulla cortina muraria e sul retrostante
bastione di S. Marco) si ritorna (a d., nei giardini, monumento a S.
Caterina da Siena, con quattro bassorilievi, espressiva opera in marmo
di Francesco Messina del 1961) in largo Giovanni XXIII, dove è
l’imbocco, sullo sfondo della basilica di S. Pietro, della strada (1936-
50); essa è il risultato, di fredda e retorica monumentalità, dello
sventramento dell’area tra i borghi S. Spirito e S. Angelo – il tessuto
composito è stato sostituito dai volumi uniformi dei nuovi, aulici
palazzi – delle ambigue ricostruzioni degli edifici demoliti, delle
emergenze monumentali decontestualizzate. La pianta alle pagine
624-625 visualizza gli interventi operati.

LA STORIA. In precedenza si giungeva a S. Pietro da due strette


vie, borgo Vecchio e borgo Nuovo (corrispondenti al lato sin. e d.
dell’asse attuale), divise da una fila di edifici, la «spina dei borghi»,
che si apriva c. a metà in piazza Scossacavalli e terminava in piazza
Rusticucci dove, improvvisamente, appariva la visione angolata della
basilica e del colonnato di Gian Lorenzo Bernini. Il problema di un
accesso agevole e monumentale a S. Pietro, posto più volte da metà
’400 e al quale si aggiunse, dopo il completamento della facciata, la
richiesta di rendere visibile la cupola michelangiolesca, fu più volte
affrontato (progetti furono redatti, tra gli altri, da Carlo Fontana nel
1694, da Cosimo Morelli nel 1776 e da Giuseppe Valadier nel 1812),
ma solo dopo il Concordato del 1929 se ne diede soluzione, con la
proposta presentata da Marcello Piacentini e Attilio Spaccarelli che, in
deroga al piano regolatore del 1931, prevedeva l’abbattimento della
«spina». Avendo le demolizioni, avviate prima della definizione della
chiusura prospettica della strada (che avrebbe dovuto evidenziare a
distanza la cupola e rendere visibile la facciata solo una volta sboccati
nella piazza), ricavato uno spazio irregolare mentre si voleva un’arteria
a lati paralleli centrata sulla basilica, fu avanzato il fronte di borgo
Nuovo, ma solo parzialmente per rispettare palazzo Torlonia e la
chiesa di S. Maria in Traspontina (il tratto fra questi edifici ha ancora
oggi l’allineamento originario); allo scopo di mimetizzare le irregolarità
residue del tracciato furono installati, su disegno del Piacentini, i
singolari obelischi-lampioni (1950).
Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:
sinistra, destra, sinistra e destra.

S. MARIA IN TRASPONTINA. Via della Conciliazione è inquadrata


dalle testate monumentali, con fontane (1957) e stemmi di Pio XII e
del comune di Roma, di due edifici (Marcello Piacentini e Attilio
Spaccarelli, 1948 e 1943) eretti in sostituzione dei corpi neoclassici di
Luigi Poletti che affiancavano la «spina»; quello di d. ospita
l’auditorium dei concerti sinfonici dell’Accademia nazionale di S.
Cecilia. Sempre a d. è la chiesa di S. Maria in Traspontina, che, già
presso Castel S. Angelo dove fu demolita nel 1564 per realizzare le
fortificazioni pentagonali, fu qui ricostruita dal 1566 su disegno di
Giovanni Sallustio Peruzzi, con apporti di Ottaviano Mascherino (1581-
87) e Francesco Peparelli (a quest’ultimo si deve il campanile del 1637
che affaccia sull’omonimo vicolo). Sulla demolita «spina di Borgo» la
fronteggiava il cinquecentesco palazzo del Governatore o delle Prigioni
(al N. 15 ne è stato ricostruito il tetro portale). Nell’alta facciata della
chiesa, in travertino a due ordini di lesene, animata da finestre cieche
e dal finestrone centrale, si aprono, nella parte centrale aggettante e
coronata da timpano triangolare, tre portali, di cui il maggiore, con
coronamento spezzato, è sormontato da una Madonna col Bambino in
stucco del sec. XVIII.
L’INTERNO, a una navata coperta da volta a botte e con cinque
cappelle per lato, è su disegno del Peruzzi fino alla 4ª cappella, del
Mascherino sino ai pilastri anteriori della cupola (sporgenti per ridurne
il diametro, e quindi l’altezza, affinché non intralciasse il tiro delle
artiglierie da Castel S. Angelo), nel transetto e nella parte retrostante
del Peparelli che ne riprese i lavori nel 1635; la cupola fu ultimata su
suo disegno nel 1668. 1ª cappella d. (dedicata a S. Barbara dalla
compagnia dei Bombardieri di Castello): S. Barbara del Cavalier
d’Arpino (c. 1597) e storie della vita della santa affrescate, su cartoni
dello stesso, da Cesare Rossetti (1610-1620). 2ª: Estasi di S. Canuto
di Daniele Seyter (1686), volta e lunette di Alessandro Francesi
(1686). 4ª: Crocifisso ligneo (inizi sec. XVI); ai lati, la Madonna e S.
Giovanni evangelista sono stati affrescati da Cesare Conti (1587); alle
pareti, storie della Passione di Bernardino Gagliardi (1649). 5ª: S.
Alberto e storie del santo di Antonio Circignani. Crociera destra:
Apparizione della Trinità a tre santi di Giovanni Domenico Cerrini
(1639). Nei pennacchi della cupola, santi di Pietro Paolo Baldini.
All’*altare maggiore – su disegno di Carlo Fontana (1674), con
baldacchino a corona illusionisticamente sorretta da angeli in stucco di
Leonardo Retti – icona della Vergine portata dalla Terra Santa a
Roma, forse nel 1216, dai Carmelitani; ai lati dell’altare, statue di
Alessandro Rondoni, Giacomo Antonio Lavaggi, Vincenzo Felici e
Michele Maille (1695). Nel coro, tele di Angelo Papi (1760). Crociera
sinistra: volta affrescata da Biagio Puccini (1697) e S. Andrea Corsini
di Giovanni Paolo Melchiorri. 5ª cappella sin.: Predica di S. Angelo
martire e storie del santo di G.B. Ricci (c. 1612). 4ª: architettura
(1698) ed Estasi di S. Teresa di Antonio Gherardi. 3ª: Flagellazione dei
Ss. Pietro e Paolo e storie dei due santi del Ricci; Crocifisso, lavoro di
oreficeria del sec. XIV; ai lati dell’altare, due fusti di colonne ai quali,
secondo la tradizione, sarebbero stati legati i due santi. 2ª: S. Elia tra
S. Antonio abate e il beato Franco da Siena e tele laterali di Giacinto
Calandrucci. 1ª (battistero): Pietà in terracotta (sec. XV) e angeli lignei
della scuola di Ercole Ferrata.
Il piccolo ORATORIO DELLA DOTTRINA CRISTIANA (Nicola Michetti, 1715),
a sin. della facciata, conserva, sulla volta, un affresco (Madonna col
Bambino e santi carmelitani, 1715) di Giovanni Conca (suoi anche i
dipinti della parete d.) e l’Insegnamento di Gesù di Luigi Garzi. Tra le
opere del convento si ricordano bozzetti dei dipinti di Angelo Papi per
il coro e una Glorificazione di S. Alberto di Carlo Maratta.
A sinistra della chiesa, in vicolo del Campanile, la facciata della
casa con portale a bugnato è decorata da graffiti attribuiti a Virgilio
Romano o a Polidoro da Caravaggio, del 1520 c. e restaurati nel 1936
ma ora scarsamente leggibili.

*PALAZZO TORLONIA. Sul lato d. di via della Conciliazione, dopo il


palazzo Latmiral (1887), affaccia (N. 30) l’elegante prospetto in conci
di travertino dell’edificio, iniziato nel 1500 c. dal cardinale Adriano
Castellesi da Corneto forse su un primo progetto di Bramante; il
disegno definitivo della costruzione, protrattasi per tutto il secondo
decennio del secolo, è attribuito ad Andrea Bregno. Donato ancora
incompiuto a Enrico VIII, fu prima residenza dell’ambasciatore
d’Inghilterra, poi dei Giraud e, dal 1820, dei Torlonia che lo
restaurarono ed edificarono l’ala posteriore. Due ordini di lesene
accoppiate, poggianti sul semplice basamento del piano terreno,
scandiscono la fronte, derivata dal palazzo della Cancelleria, con
grandi finestre centinate al primo piano; il portale settecentesco di
Antonio Valeri si apre sul CORTILE porticato, ornato, nella parete di
fondo, di due grandi fontane ottocentesche.
L’AREA DELL’EX PIAZZA SCOSSACAVALLI. Prima della creazione di via
della Conciliazione l’edificio prospettava su tale largo, assieme al
palazzo dei Convertendi – eretto nella seconda metà del ’500
inglobando il palazzo Caprini di Bramante, dove morì Raffaello – che è
stato ricostruito ai numeri 32-36 come palazzo della Congregazione
per le Chiese orientali, e all’antistante palazzo dei Penitenzieri,
iniziato nel 1480 c. dal cardinale Domenico Della Rovere e attribuito a
Baccio Pontelli; oggi adibito ad albergo e a sede dell’ordine equestre
del S. Sepolcro di Gerusalemme, deriva il nome dai confessori con
particolari facoltà di assoluzione qui trasferiti da Alessandro VII.
L’imponente facciata ripete il tipo del palazzo di Venezia, con torre a
sin. (la sommità è di ripristino), finestre crociate col nome del
fondatore, al primo piano, e rettangolari col suo motto, al secondo; le
due fontanelle ai lati del basamento recano il drago araldico di Paolo
V, mentre lo stemma al centro è di Clemente XIV.

INTERNO. Il CORTILE ha una singolare disposizione su due livelli:


quello inferiore ha portici laterali su pilastri ottagonali e pozzo, quello
superiore è a giardino, chiuso da un muro; le pareti sono affrescate a
finte architetture. Al piano nobile del cortile, nell’ala sin., bella galleria
con affreschi cinquecenteschi; nell’ala d. (visita a richiesta all’ordine
equestre del S. Sepolcro di Gerusalemme), il SALONE ha un soffitto a
lacunari dipinti, su fondo in pergamena, con figure mitologiche
attribuite al Pinturicchio; la CAPPELLA è coperta da volta a botte a
riquadri, con insegne dei Della Rovere e degli Alicorni.
Il fianco sin. dell’edificio prospetta su via Scossacavalli, dove, al
N. 1A, è il palazzo Serristori, eretto nel 1555 per Averardo,
ambasciatore di Toscana presso Pio IV, poi caserma pontificia – nei
moti insurrezionali del 1867 vi ebbe luogo l’attentato dei congiurati
Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti – e dell’esercito italiano, e
ritornato alla Santa Sede nel 1929.

ALLE SOGLIE DELLA CITTÀ DEL VATICANO. Si continua lungo il fronte


sin. di via della Conciliazione dove, al N. 51, è il palazzo Cesi che,
costruito a inizi ’500 per il cardinale Francesco Armellini e passato ai
Cesi che lo fecero completamente ristrutturare da Martino Longhi il
Vecchio (1570-77), ha, sull’elegante facciata laterizia con basamento a
bugnato, spartita da paraste e da fasce in rilievo, un bel portale
inquadrato da lesene e dalla trabeazione dorica; all’angolo d., antica
protome leonina. Sul lato opposto, al N. 44 è stato
approssimativamente ricostruito il palazzo Rusticucci (1585), che dava
nome alla piazza in cui confluivano borgo Vecchio e borgo Nuovo. Al di
là dei moderni propilei (Marcello Piacentini e Attilio Spaccarelli, 1950)
si è in piazza Pio XII, avendo di fronte la spettacolare prospettiva della
Basilica Vaticana e della piazza antistante →.
LE MURA LEONINE. Costeggiando esternamente a d. il colonnato di
S. Pietro, si raggiunge il tratto N della cinta, cosiddetta da papa Leone
IV che la eresse nell’847-852; a esse nel sec. XIII Niccolò III aggiunse
un passaggio coperto, detto «Corridoio» o «Passetto», per rifugiarsi
rapidamente dal Palazzo Vaticano in Castel S. Angelo, ristrutturato da
Alessandro VI. Concluse da una merlatura su beccatelli, hanno una
struttura eterogenea per i molteplici rifacimenti (vi si notano stemmi
papali di Alessandro VI, Pio IV, Pio V e Clemente VII), con arcate di
sostegno tamponate e feritoie, resti di torri e fornici aperti da Pio IV
per il collegamento con borgo Pio da lui fondato.
Si segue a d. via dei Corridori (il nome deriva dal «Corridoio» che
la sovrasta), oltrepassando sul lato d. via Rusticucci, dove al N. 14 è
stata ricostruita, non del tutto fedelmente, la facciata (in origine su
borgo Nuovo) del palazzo di Jacopo da Brescia, medico di Leone
X, ultimato prima del 1520 e attribuito a Raffaello; sull’alto basamento
bugnato poggiano lesene polistili in peperino con trabeazione dorica –
riprese da fasce nell’attico – che scandiscono riquadri in laterizio in cui
si aprono finestre con frontoni triangolari e curvilinei alternati.
Anch’essa trasportata da borgo Nuovo e appartenuta al medico della
corte di Paolo III, la casa di Febo Brigotti (iscrizione sul portale) è al
N. 44 di via dei Corridori.
Si continua in borgo S. Angelo, riordinato da Sisto IV, le cui case,
addossate alle mura, furono demolite nel 1938. Prima di sboccare in
piazza Pia (delimitata a sin. dall’ultimo tratto del «Passetto» che
scavalca su robuste arcate i fossati di Castel S. Angelo congiungendosi
al bastione di S. Marco), si varcano le mura – dei due passaggi, uno
reca lo stemma di Pio IV e l’altro sorge in corrispondenza della
demolita chiesa di S. Angelo ai Corridori – in un tratto con alla base
blocchi di tufo forse risalenti alle forticazioni di Totila (547); si è in via
di Porta Castello.
BORGO PIO, subito a sin., ha conservato le originarie
caratteristiche di unitaria addizione cinquecentesca e un ambiente
raccolto, ricco di presenze artigianali. Sul fronte sin. prospetta un
gruppo di edifici di impianto cinquecentesco e, all’angolo con vicolo
del Campanile, è dipinta una graziosa immagine mariana del sec. XVIII;
dal lato opposto si stacca via dei Tre Pupazzi, che deriva il nome da
un frammento di sarcofago murato al N. 15. A una palazzina liberty
del 1909 (N. 51) seguono, a sin., il vicolo delle Palline (dalle palle dello
stemma di Pio IV sul «Passetto») e, all’angolo di borgo Pio con via del
Falco (N. 18), un edificio del 1743 di gusto borrominiano, la cui
facciata, scandita da lesene giganti includenti il secondo piano, ha
belle finestre a timpani triangolari e curvilinei alternati, decorati da
conchiglie; mosso il coronamento di quelle dell’attico, balconate.
I BORGHI VITTORIO E ANGELICO. Avendo sul fondo il cancello di S.
Anna della Città del Vaticano, si piega a d. in via del Mascherino
(allargata nel 1940 insieme alla parallela via di Porta Angelica,
demolendo gli isolati tra esse compresi che furono ricostruiti arretrati,
con tipologia estranea al contesto), incrociando in successione borgo
Vittorio (in onore della vittoria di Lèpanto del 1571), completato sotto
Pio V e d’aspetto otto-novecentesco, e borgo Angelico, lungo il quale
correvano le mura erette da Pio IV per ampliare il recinto leonino e
demolite a fine ’800 con la costruzione del rione Prati. Il tratto di sin.
di borgo Angelico termina in via di Porta Angelica (l’edicola sull’angolo
ricorda il sito della chiesa di S. Maria delle Grazie, demolita dopo il
1936 e ricostruita al Trionfale, →), che sbocca a d. in piazza del
Risorgimento →; su questa prospetta il tratto superstite delle mura di
Pio IV con un grande stemma di Pio XI sullo spigolo e i frammenti
murati della Porta Angelica (due angeli, uno stemma, un’iscrizione)
intitolata allo stesso Pio IV (Giovanni Angelo de’ Medici).
5 LA CITTÀ DEL VATICANO

Stesa sulla destra del Tevere, tra le ultime propaggini di Monte


Mario a N e del Gianicolo a S, sull’area dell’antico «ager Vaticanus», la
Città del Vaticano è, in quanto sede del capo della Chiesa cattolica e
perché vi sorge il maggior tempio della Cristianità, meta di
pellegrinaggio per i cattolici di tutto il mondo; costituisce inoltre, quale
eccezionale concentrazione di capolavori d’arte e d’antichità, una delle
maggiori attrazioni turistiche e culturali di Roma e d’Italia.

Non sono soltanto i tesori che vi sono racchiusi a fare del


Vaticano il più sensazionale compendio di quanto le arti hanno
prodotto sul suolo italiano dall’epoca etrusca ai nostri giorni: gli stessi
contenitori di quelle raccolte, configuratisi attraverso una successione
quasi ininterrotta di interventi iniziati col periodo imperiale,
riassumono le concezioni architettoniche degli ultimi cinque secoli, con
‘modelli’ memorabili dovuti ad artisti come Bramante, Raffaello,
Michelangelo, Gian Lorenzo Bernini. Le motivazioni ideologiche che
assieme a quelle funzionali hanno ispirato ogni fase costruttiva, dalla
fondazione della basilica costantiniana alla crescita dei palazzi
pontifici, dai giardini – metafora del paradiso – alla cinta muraria che
protegge e isola il complesso, testimoniano la continuità del disegno di
realizzare la residenza del vicario di Cristo come cittadella della fede,
della sapienza, della bellezza (e anche della «fortezza»), proiezione
terrena della città celeste. Una «città sacra» che, pur pensata e
attuata come autonoma, ha avuto inevitabili riflessi sulla «città degli
uomini», condizionando in particolare la nascita, la crescita e le
trasformazioni di Borgo, vera emanazione del ‘sistema’ vaticano,
inclusa tra questo e la sua minacciosa proiezione secolare, la fortezza
di Castel S. Angelo.

SIN DALLE ORIGINI DI ROMA, l’«ager Vaticanus» rivestì un carattere


sacro (il nome è di probabile origine etrusca: suggestiva l’etimologia
da «vaticinium» proposta da Aulo Gellio); nella zona – emarginata e
insalubre, bonificata nel sec. I e divenuta proprietà imperiale –
Caligola eresse un circo privato che, compiuto da Nerone, vide il
martirio di Pietro. Pochi anni dopo l’editto che sanciva la libertà di
culto del Cristianesimo, lo stesso Costantino fondava, in
ringraziamento per la vittoria su Massenzio, la basilica cemeteriale
sulla tomba dell’apostolo (la data, incerta, oscilla intorno al 320). Gli
imponenti lavori di livellamento del colle seppellirono la necropoli
pagano-cristiana sviluppatasi tra il I e il IV sec.: dunque il tempio,
compiuto da Costante nel 349, s’impostò materialmente sui resti del
mondo classico, costituendo un centro spirituale, il luogo della
memoria del primo pontefice e il simbolo della legittimazione della
fede cristiana da parte del potere imperiale.
A PARTIRE DA CARLO MAGNO, a questo iniziale significato religioso
si sovrappose quello politico: il rifondatore dell’Impero d’Occidente
legittimava il potere temporale del papato e la nascita dello stato della
Chiesa. Non in S. Giovanni in Laterano – la Cattedrale di Roma, il
centro dell’autorità pontificia – ma sulla tomba di Pietro – pietra sia
della Chiesa sia del nuovo impero – Carlo fu incoronato da Leone III
nel Natale dell’800. Nei pressi era già sorta la «schola Francorum», al
termine della «ruga Francigena» che dalla Francia conduceva i
pellegrini a Roma. Il saccheggio della basilica operato dai Saraceni
(846) fu l’altro evento decisivo del periodo carolingio, in seguito al
quale Leone IV, riprendendo l’idea dell’omonimo predecessore, innalzò
la cinta a difesa del quartiere oltre Tevere, rimasto all’esterno delle
mura Aureliane, costituendo una cittadella fortificata, la «Civitas
Leonina». Si creavano così i presupposti di una residenza pontificia,
ruolo che il Laterano conservò però per altri cinque secoli.
Nel Duecento il complesso consolidò la duplice vocazione di
residenza e cittadella, arricchendosi di strutture e di due addizioni
fortificate alla cinta leonina: Innocenzo III costruì nuove fabbriche per
la curia e i servizi; Niccolò III nel 1277-78, con la partecipazione dei
frati Sisto e Ristoro architetti domenicani, aggiunse nuove sale di
rappresentanza, la Cappella palatina (dove sorgerà poi la Sistina), le
logge (sostituite da quelle bramantesche) e un giardino recintato,
primo nucleo del palazzo-villa (dove Innocenzo VIII erigerà la sua
villa-belvedere). Risale a questo stesso periodo il collegamento del
palazzo con Castel S. Angelo tramite il «Passetto» o «Corridoio»
impostato sulle mura Leonine.
CON IL RITORNO DEI PAPI (1377) dopo la lunga stasi dell’esilio
avignonese, il Vaticano fu eletto a residenza pontificia definitiva,
soppiantando il Laterano, ma solo dalla metà del secolo successivo si
ebbe la ripresa su grande scala dei lavori che ne fecero il polo
ideologico, politico e culturale della città e del mondo cristiano. Con
Niccolò V, il primo papa rinascimentale, la Chiesa acquisiva una
mentalità ‘imperiale’: iniziava il periodo d’oro del potere temporale,
dell’espansione e dell’affermazione dell’‘immagine’, a cominciare dal
polo vaticano. Fu concepita la liquidazione della vecchia basilica, ma il
progetto di Bernardo Rossellino – emblematico della nuova cultura –
di un organismo a croce latina con cupola (dove al simbolo cristiano si
sovrapponeva l’immagine e la proporzione del corpo umano, «misura
di tutte le cose») si arrestò alla fondazione della tribuna.
Contemporaneamente il papa rafforzò il sistema difensivo: ai restauri
delle mura Aureliane e ai nuovi bastioni di Castel S. Angelo avrebbero
dovuto aggiungersi nuove fortificazioni del palazzo, ma fu realizzato il
solo torrione Nicolino.
IL PROGRAMMA AMBIZIOSO DI RIPROGETTAZIONE DELL’INTERA CITTÀ
come capitale di uno stato moderno, realizzato da Niccolò V solo in
minima parte, conteneva indicazioni che furono riprese e sviluppate
dai successori, come le tre strade rettilinee attraverso Borgo
(rimodellato come quartiere della corte papale) e la piazza porticata,
con al centro l’obelisco, davanti alla basilica. A Sisto IV si debbono,
oltre agli importanti interventi in Borgo, due opere di capitale
importanza per la nuova immagine della città della fede e della
sapienza: l’istituzione (con bolla del 1475) della Biblioteca Apostolica
Vaticana e la realizzazione della Cappella Sistina. Dedicata nel 1484,
venne concepita anch’essa, esternamente, come torre munita (è stata
attribuita a Baccio Pontelli, architetto militare), mentre l’interno
riprende le dimensioni e le proporzioni del tempio di Salomone; il ciclo
pittorico – summa dell’arte umanistica – svolge il programma
propagandistico del primato della Chiesa di Roma. Innocenzo VIII
costruì il palazzetto-villa-belvedere, la cui tipologia sarà reinterpretata
con spirito assolutamente nuovo da Bramante; Alessandro VI portò
avanti le esigenze di «ordine» e «fortezza» del piano di Niccolò V
soprattutto con i lavori alle mura, a Castel S. Angelo e in Borgo, e con
la torre Borgia in Vaticano. Con Giulio II toccò il culmine l’ideologia
‘imperiale’ del papato, con l’identificazione tra potere spirituale e
temporale: nel 1506 Bramante dava avvio alla ricostruzione della
basilica col sacrificio totale dell’edificio costantiniano; i modelli, come è
noto, furono desunti da due dei massimi monumenti dell’antichità (il
Pantheon e il «tempio della Pace», cioè la basilica di Massenzio),
accresciuti dagli archetipi della «Gerusalemme celeste» (tempio
quadrato e piazza-recinto) e del mausoleo – il sepolcro per
antonomasia – destinato al pontefice e pensato da Michelangelo sopra
quello di Pietro. L’organismo bramantesco è stato interpretato anche
come sintesi dei simboli del cielo (la cupola) e della terra (il
basamento cubico, anche ‘pietra angolare’ – come Pietro – della
Chiesa). Giulio II fece proprio anche il sogno di Niccolò III e di Niccolò
V del «palazzo in forma di città»: lo stesso Bramante, nel cortile del
Belvedere, creò il prototipo del palazzo contemporaneamente «antico»
e «moderno», con evidenti riferimenti alla sede imperiale del Palatino
(era insieme un teatro-circo, un museo, un giardino integrato con
l’architettura; come il Settizodio, la testata sul cortile di S. Damaso ha
uno scenografico fronte a loggiati sovrapposti) ed esso stesso modello
per le ville del manierismo e del barocco.
DOPO IL SACCO DEL 1527 furono ripresi i lavori del cortile e della
basilica, già interrotti alla morte del papa. Il primo fu completato in
varie fasi col decisivo contributo di Pirro Ligorio, che sotto Pio IV
realizzò nella parte inferiore il primo teatro all’antica in pietra e
trasformò in monumentale nicchione, di derivazione classica, l’esedra
superiore. Alla cultura profana dello stesso architetto si deve la ripresa
dell’idea niccolina del giardino-paradiso, con la creazione della
stupenda casina di Pio IV, ipotetica ricostruzione di una dimora antica,
al tempo stesso accademia e museo, rievocazione del Parnaso
pagano. Allo stesso pontefice si debbono le nuove cinte bastionate del
Vaticano (iniziata da Paolo III e includente quella leonina) e di Castel
S. Angelo, nonché l’addizione a Borgo della «Civitas Pia».
ENTRO IL PRIMO QUARTO DEL SEICENTO furono sostanzialmente
completate sia la basilica sia la residenza papale, sacrificando alla
funzionalità le concezioni spaziali di Michelangelo e di Bramante. Sisto
V voltò la cupola, trasportò l’obelisco nel sito attuale, costruì il Palazzo
nuovo (con la tipologia ‘moderna’ a blocco, prospettante verso i
borghi) e il braccio della biblioteca trasversale al cortile del Belvedere
(la seconda interruzione dello spazio bramantesco avverrà con
l’edificazione del Braccio Nuovo del Museo Chiaramonti). Paolo V fece
prolungare da Carlo Maderno la basilica – optando definitivamente per
la croce latina – ed eresse la facciata, arricchendo inoltre i giardini di
costruzioni e fontane. Urbano VIII, servendosi di Gian Lorenzo Bernini,
iniziò il fastoso allestimento in chiave barocca dell’interno di S. Pietro
(da lui consacrata nel 1626), poi completata dallo stesso artista sotto
Innocenzo X e Alessandro VII. A quest’ultimo si deve la più clamorosa
manifestazione del trionfalismo e della spettacolarità barocca: la
grande piazza porticata di introduzione alla basilica, cerniera tra il
complesso sacro e la città, con il doppio colonnato a prolungamento
dei borghi Vecchio e Nuovo (poi sventrati per aprire via della
Conciliazione), che conduce, nel braccio destro, all’accesso del portone
di Bronzo, culminando nell’apoteosi della Scala regia. L’invaso della
piazza fu concepito, tipologicamente e ideologicamente, come l’ultimo
dei Fori Imperiali, il «Foro Cristiano». Molteplici i significati che la
creazione berniniana riveste: oltre a quello, evidente nel simbolico
‘abbraccio’ del colonnato, di rifugio nel seno della Chiesa – madre e
prefigurazione della comune patria celeste – c’è quello di «theatrum»:
sia della città (la forma ellittica deriva dal Colosseo, con l’obelisco
sull’asse maggiore come nei circhi), sia del mondo (con riferimento
alle orbite ellittiche dei pianeti, secondo la nuova concezione
copernicana) e, naturalmente, della Chiesa (con la partecipazione, in
effigie marmorea, di Cristo, degli apostoli e dei numerosissimi santi);
sia, infine, dell’Universo, al cui centro l’obelisco – simbolo solare –
misura il tempo e lo spazio ed esalta il pontefice committente, sovrano
«solare» al pari del re di Francia.
DAL SETTECENTO A OGGI. Con la sagrestia di Carlo Marchionni si
completava la sostituzione della nuova basilica all’antica, ma gli
interventi dei sec. XVIII e XIX furono soprattutto rivolti alla raccolta, alla
conservazione e alla fruizione delle opere d’arte, con la riconversione
di gran parte dei palazzi alle nuove esigenze della museografia e la
creazione di altri spazi appositamente progettati (per la storia dei
Musei Vaticani, →): realizzazioni che non costituiscono più ‘modelli’
ma documenti, anche nobilissimi, dell’evoluzione del gusto
architettonico, dal barocchetto al neoclassicismo, fino all’eclettismo
storicista. Tra gli interventi novecenteschi – quantitativamente assai
rilevanti – che hanno arricchito tanto le strutture museografiche
quanto quelle funzionali e di servizio, spiccano l’aula delle Udienze
pontificie (1964-71) e la nuova ala che accoglie i musei ex Lateranensi
(1966-70).

LO STATO

Per il trattato del Laterano (la «Conciliazione» o Patti


Lateranensi), stipulato tra la Santa Sede e l’Italia l’11 febbraio 1929, la
Città del Vaticano è uno stato indipendente, sotto la sovranità del
papa o sommo pontefice. Ha una popolazione di c. 890 abitanti e un
territorio di km2 0.44, limitato dal colonnato di S. Pietro, via di Porta
Angelica, piazza del Risorgimento, viale dei Bastioni di Michelangelo,
viale Vaticano, via della Stazione vaticana, largo di Porta Cavalleggeri,
piazza del S. Uffizio e via Paolo VI. Per lo stesso trattato godono
inoltre della extraterritorialità le basiliche di S. Giovanni in Laterano, di
S. Maria Maggiore e di S. Paolo fuori le Mura, i palazzi del Laterano,
della Cancelleria, di Propaganda Fide, dell’ex Vicariato, l’ospedale
pediatrico del Bambino Gesù e il Palazzo pontificio di Castel Gandolfo,
con la villa Cybo e la villa Barberini. In base alla legge fondamentale
dello Stato della Città del Vaticano, entrata in vigore il 22 febbraio
2001 in sostituzione della precedente emanata da Pio XI il 7 giugno
1929, il sommo pontefice ha la pienezza dei poteri legislativo,
esecutivo e giudiziario, che vengono esercitati dai relativi organi
competenti; rappresenta lo Stato del Vaticano nei rapporti
internazionali, tramite la Segreteria di Stato; nomina direttamente il
delegato speciale che amministra la Città del Vaticano. Lo Stato della
Città del Vaticano stampa propri francobolli, batte propria moneta
(euro del Vaticano), che ha libera circolazione nella Repubblica
italiana, possiede una stazione radio e una stazione ferroviaria,
collegata alla rete ferroviaria italiana, stampa un proprio quotidiano,
«L’Osservatore Romano». Nella Città del Vaticano e negli edifici
extraterritoriali il servizio d’ordine e di polizia è assolto dal corpo della
Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano e dalla Guardia
svizzera, fondata nel 1506 e che indossa le ben note divise di allora,
secondo la tradizione disegnate da Michelangelo.
IL PAPA E I CARDINALI. Il sommo pontefice è il vescovo di Roma, il
successore di S. Pietro, e come tale capo della Chiesa cattolica
apostolica romana e vicario di Cristo. Egli gode del «primatus
jurisdictionis», cioè della piena e suprema potestà di giurisdizione su
tutta la Chiesa. Nell’esercitarne il governo il papa è assistito dal Sacro
Collegio dei Cardinali e dalla Curia romana. Il Sacro Collegio
cardinalizio (fino al 1958 era composto di 70 membri, ma attualmente
il loro numero non è limitato) si divide nei tre ordini di cardinali
vescovi (delle sedi suburbicarie), preti e diaconi. La Curia romana
comprende le congregazioni (sorta di ministeri collegiali, presieduti dal
papa stesso o da un cardinale), i tribunali, i segretariati, le
commissioni e gli offici.
IL CONCLAVE (dal latino «cum» = con e «clavis» = chiave, luogo
chiuso con chiave). Alla morte del pontefice i cardinali si radunano in
clausura per l’elezione del nuovo papa (abitualmente nella Cappella
Sistina), annunciata dalla fumata che esce da uno sfogatoio: bianca,
quando la votazione ha portato alla proclamazione del successore di S.
Pietro (e vengono bruciate solo le schede); nera, quando l’esito è
negativo (e alle schede si mescola paglia umida).
LA CORTE PONTIFICIA. La Corte papale è composta dalla Cappella
pontificia e dalla Famiglia pontificia; la prima comprende tutti coloro
che prendono posto nel corteggio del pontefice in occasione di
funzioni pubbliche; della seconda fanno parte coloro che hanno
mansioni nel Palazzo Vaticano.
L’ANNO SANTO è stato bandito per la prima volta il 22 febbraio
1300 da Bonifacio VIII. Ebbe frequenza varia: prima 50 anni, poi 33,
quindi 25, ma fu indetto anche per altre ricorrenze. L’inizio dell’anno
giubilare ha luogo con l’apertura della Porta Santa, che si trova in
ciascuna delle quattro basiliche patriarcali (S. Giovanni in Laterano, S.
Pietro, S. Paolo fuori le Mura e S. Maria Maggiore) e torna poi a
restare murata fino al successivo.
UDIENZE PAPALI. Per partecipare a un’udienza pontificia, o per
assistere alla messa del papa, occorre fare domanda o presentarsi alla
prefettura della Casa pontificia. Per le udienze comuni e nelle udienze
accordate ai grandi pellegrinaggi qualsiasi vestito decente è ammesso.
Il papa celebra la messa nelle maggiori festività in S. Pietro, ove pure
proclama la canonizzazione dei santi; di queste funzioni, famose per la
solennità con cui si svolgono, particolarmente celebri sono quelle della
Settimana Santa e di Pasqua.
ACCESSO. Per la basilica di S. Pietro e i Musei Vaticani non occorre
alcuna formalità, ma l’ingresso alla basilica e alla Città del Vaticano è
consentito solo alle persone decorosamente vestite (non sono
ammessi pantaloncini corti, minigonne, canottiere ecc.).

5.1 LA BASILICA DI S. PIETRO IN VATICANO

I pellegrini che nel Medioevo affrontavano migliaia di chilometri a


piedi da ogni angolo del mondo allora noto per osservare almeno una
volta nella vita il sommo pontefice e pregare presso la tomba di Pietro
(i Romei, cui tanta letteratura anche turistica è stata dedicata) sono
diventati, oggi, le schiere di turisti che ogni giorno si affollano nel
colonnato berniniano, pronti ad affrontare la tappa principe del
proprio Grand Tour nella capitale. Nonostante quindi l’inevitabile
affollamento, il primo tempio della Cristianità conserva un fascino
quasi carismatico sia sui credenti sia su chi vede la basilica più come
uno straordinario scrigno d’arte, espressione di un mecenatismo
papale che ancora oggi non conosce confini.
La visita (per informazioni, t. 0669881662; www.vatican.va)
interessa dapprima la piazza dell’abbraccio berniniano, per poi
addentrarsi nella basilica stessa e nelle Sacre Grotte Vaticane,
culminando nella salita sulla cupola.

*PIAZZA S. PIETRO, capolavoro d’architettura scenografica di Gian


Lorenzo Bernini (1656-67), è un’immensa ellisse di 240 m di
larghezza, su cui, nel fondo, al di là di un grandioso sagrato
trapezoidale, prospetta la facciata della basilica dominata dalla cupola
michelangiolesca. I due emicicli laterali sono costituiti da imponenti
porticati a quadruplice fila di colonne tuscaniche, convergenti ai due
centri dell’ellisse e delimitanti tre corsie, di cui la mediana più larga: in
tutto, 284 colonne e 88 pilastri. La trabeazione è coronata da 140
statue di santi e da grandi stemmi di Alessandro VII. In fondo al
portico di d. è il portone di Bronzo del Palazzo Vaticano.
Al centro della piazza, tra due grandiose fontane, si leva
l’Obelisco Vaticano, senza geroglifici (alto m 25.5), posato sul dorso
di quattro leoni di bronzo, dovuti a Prospero Antichi, agli angoli
dell’alto piedistallo; è la leggendaria aguglia del Medioevo, quando si
credeva che al vertice, in un globo bronzeo, fossero deposte le ceneri
di Cesare; attualmente, in alto, dov’è l’emblema bronzeo con i monti e
la stella dei Peretti Montalto, è racchiusa una reliquia della S. Croce (la
sommità della croce è a c. 41 m dal suolo). Dopo essere stato
impiegato per decorare il «forum Iulii» di Alessandria d’Egitto, fu
trasportato da Caligola, nel 37, per ornare il circo detto poi di Nerone,
e si trovò così sempre eretto a lato della basilica, fino a che Sisto V
(aprile-settembre 1586) lo fece spostare – con un’impresa colossale –
da Domenico Fontana nel sito attuale (in questa occasione fu rimosso
anche il globo sulla sommità, ora nelle collezioni capitoline).

Attorno, è segnata sul pavimento una rosa dei venti. Avanzando


dal mezzo verso l’una o l’altra delle due fontane, al di là del cerchio di
paracarri che circondano l’obelisco, si trova, tra i quadrelli del selciato,
una pietra circolare (circondata da una corona di cerchio in marmo),
dalla quale il colonnato appare composto di una sola fila di colonne.

*S. PIETRO. Oltre le due fontane (quella a d. eretta nel 1613 da


Carlo Maderno per volere di Paolo V; l’altra collocata nel 1677 da Carlo
Fontana), si è davanti alla basilica.

LA STORIA. La prima basilica, iniziata intorno al 320 per volere


dell’imperatore Costantino là dove si trovava la tomba dell’apostolo
Pietro (presso il Circo Neroniano, nel quale fu martirizzato nel 64-67),
fu consacrata da papa Silvestro I nel 326 e compiuta nel 349; di
grandezza paragonabile all’attuale, era a cinque navate divise da
colonne, preceduta da un vasto atrio a quadriportico con il
«cantharus» (vasca per le abluzioni) nel mezzo. Continuamente
arricchita nei secoli successivi (parecchi resti sono ora nelle Sacre
Grotte Vaticane), dopo più di mille anni di vita minacciava di rovinare.
Papa Niccolò V, su parere di Leon Battista Alberti, decise allora il
rifacimento e l’ampliamento di tutta la zona absidale, affidandone il
progetto a Bernardo Rossellino (1452); morto il pontefice nel 1455, i
lavori furono sospesi per quasi mezzo secolo, salvo una breve ripresa
sotto Paolo II. A decidere la ricostruzione totale della basilica fu Giulio
II, che pensava anche di racchiudervi il suo mausoleo: ne incaricò
Bramante, che cominciò col demolire per oltre metà la parte N
dell’antica chiesa, senza riguardo per le preesistenze, attirandosi così il
nomignolo di Mastro Ruinante.
I lavori per la nuova basilica furono iniziati il 18 aprile 1506. Il
progetto bramantesco, a croce greca, era ispirato all’idea di «innalzare
il Pantheon sulla basilica di Costantino». Ma Giulio II e Bramante
morirono agli inizi dell’opera e Raffaello, chiamato a dirigere i lavori in
collaborazione con fra’ Giocondo e Giuliano da Sangallo, ideò invece
un maestoso progetto a croce latina; dopo di lui tornò alla croce greca
Baldassarre Peruzzi, di nuovo alla latina Antonio da Sangallo il Giovane
e dal 1546 ancora alla greca Michelangelo, che, pur rifacendosi alla
concezione di Bramante, ne modificò il progetto, ipotizzando un
edificio – troneggiante al centro di una piazza – più semplice ma più
grandioso e slanciato, anche se di dimensioni minori, coperto da una
cupola completamente nuova che doveva costituire l’elemento
dominante dell’insieme. Michelangelo condusse molto avanti i lavori
che, morto lui, furono seguiti dal Vignola e da Pirro Ligorio, poi,
specialmente nella cupola, da Giacomo Della Porta (1572) e Domenico
Fontana (1585). Papa Paolo V, per ragioni liturgiche e per coprire lo
spazio già occupato dalla prima basilica, tornò all’idea della croce
latina: Carlo Maderno aggiunse così tre cappelle per lato, portando in
avanti le navate fino alla facciata attuale, che terminò nel 1614 (ma
nel fregio si legge la data 1612).
Il 18 novembre 1626 Urbano VIII celebrò la consacrazione del
nuovo tempio, nel 1300° anniversario della prima. Bernini, successo al
Maderno nel 1629, voleva completare il fronte con l’aggiunta di due
campanili laterali, idea che era stata prima del Maderno, ma l’unico
realizzato (1641) fu demolito cinque anni dopo per le lesioni apparse
nei muri sottostanti.
LE DIMENSIONI DELLA BASILICA, citatissime ancorché
approssimative, sono: 22067 m2 di superficie e 186 m di lunghezza
(compreso lo spessore dei muri si arriva a 194, e aggiungendovi il
portico a 218.7); il portico è largo 71 m, profondo 13.5, alto 20; la
facciata è larga 114.69 m e alta 47.3; la nave mediana,
rispettivamente, 26 e 46.1, mentre il transetto misura 154.8 m di
lunghezza; il diametro della cupola è di 42.56 m, con un’altezza fino
alla sommità della croce di m 136.57.

LA *CUPOLA. Dall’ellisse berniniana lo sguardo abbraccia


interamente l’immensa copertura ideata da Michelangelo, che diresse
la costruzione di tutta la parte basamentale fino al tamburo, quasi
ultimato alla sua morte. Il basamento è suddiviso da 16 potenti
contrafforti, ravvivati da colonne binate di ordine corinzio, tra i quali si
aprono i finestroni a timpano. Dall’attico del tamburo si slancia la
calotta, a doppio guscio, divisa da nervature in 16 spicchi aperti da tre
ordini di finestre o occhi; fu eretta in 22 mesi (1588-89) da Giacomo
Della Porta e Domenico Fontana e in altri sette mesi fu compiuta la
lanterna cuspidata.
Ai lati emergono due cupole minori, sormontanti le cappelle
Gregoriana e Clementina: dovute al Vignola, sono puramente
decorative e non hanno corrispondenza con l’interno.
LA FACCIATA, eretta da Carlo Maderno nel 1607-1614 (lo
spostamento in avanti del prospetto – dovuto all’aggiunta delle
cappelle anteriori – ha sminuito l’effetto ascensionale della cupola
venendo a mascherare il tamburo; restaurata per il Giubileo del 2000
ripristinando i colori del Maderno), è preceduta da una SCALINATA a tre
ripiani, realizzata da Gian Lorenzo Bernini, con ai lati le colossali statue
di S. Paolo (Adamo Tadolini) e di S. Pietro (Giuseppe De Fabris),
collocate nel 1847 in sostituzione di quelle scolpite nel 1461-62 da
Paolo Taccone e da Mino del Reame. Un unico ordine di colonne e di
lesene corinzie abbraccia tutta la fronte, appena animata da modesti
aggetti nel mezzo e ai lati, sui quali, secondo il primitivo progetto,
avrebbero dovuto innalzarsi due campanili. Tale ripartizione
architettonica include, in basso, un portico centrale e due arcate alle
estremità (quella di sin. è l’arco delle Campane, che serve di accesso
alla Città del Vaticano, sorvegliato dalle Guardie svizzere) e, in alto,
nove balconi. Da quello mediano, detto loggia delle Benedizioni, si
affaccia il papa per le benedizioni solenni e viene annunciata l’elezione
del pontefice; sotto di esso è un altorilievo (Consegna delle Chiavi, c.
1614) di Ambrogio Buonvicino. La facciata termina con un grande
attico ripartito da lesene, fra le quali sono finestre di varia forma, e
coronato da una balaustrata, su cui si profilano contro il cielo le 13
alte statue (m 5.70) del Redentore, del Battista e degli apostoli, meno
S. Pietro; ai lati, due orologi aggiunti da Giuseppe Valadier.
AL PORTICO si accede da cinque ingressi, cui fanno da sfondo
laterale, a d., dietro la porta che dà accesso al vestibolo della Scala
regia, la *statua equestre di Costantino (Gian Lorenzo Bernini, 1670),
dall’accentuato movimento, contro un drappo in stucco a imitazione
del damasco intessuto d’oro; a sin., la statua equestre di Carlo Magno
di Agostino Cornacchini (1725). La volta è riccamente decorata di
pregevoli stucchi (nei riquadri, atti degli apostoli, ideati da Martino
Ferrabosco ed eseguiti da Ambrogio Buonvicino e G.B. Ricci, e stemmi
di Paolo V); 32 statue di pontefici canonizzati, pure in stucco (del
Buonvicino), stanno sedute ai lati delle lunette.
LE PORTE. L’ultima a d. è la Porta Santa, che si apre soltanto negli
anni giubilari (si noti in alto a sin. l’epigrafe originale con la bolla di
indizione del primo giubileo di Bonifacio VIII, 1300); la ornano scene
del Vecchio e Nuovo Testamento di Vico Consorti. La porta mediana
(pianta →, 1) ha grandiose *imposte di bronzo, già nell’antica
basilica ed eseguite dal Filarete (1439-45) per incarico di Eugenio IV.

LA DECORAZIONE consta di sei riquadri, separati da quattro fasce


orizzontali con storie del pontificato di Eugenio IV e incorniciati da una
larga fascia a girali. Nei rettangoli superiori, la Vergine e il Salvatore;
nei riquadri mediani, a d., S. Pietro consegna le chiavi al papa
inginocchiato e, a sin., S. Paolo con la spada e il vaso mistico ai piedi
(«vas electionis»); nei riquadri in basso, Supplizio di S. Pietro, con
interessanti raffigurazioni di Roma antica, e Giudizio e decollazione di
S. Paolo e S. Paolo che appare a Plautilla. Nella fascia a girali sono
innumerevoli piccole figure, scene tratte dalla mitologia greca e
romana, dalle «Metamorfosi» di Ovidio e dalle «Favole» di Esopo,
nonché animali, ritratti di imperatori e di personaggi del tempo. Si
notino, nella parte inferiore e superiore dei battenti, le aggiunte del
tempo di Paolo V per adattarli alle dimensioni del portale della nuova
basilica.
Sopra la porta è un rilievo (Gesù affida a S. Pietro il gregge
cristiano) di Gian Lorenzo Bernini e aiuti (1633-44). Lo fronteggia,
sopra l’ingresso mediano del portico, il celebre mosaico della Navicella
(con Gesù, Pietro e gli altri apostoli), in realtà rifacimento seicentesco
dell’originale di Giotto, perduto, che ornava il quadriportico dell’antica
basilica.

LE ALTRE PORTE. A destra della mediana, quella detta dei


Sacramenti è di Venanzio Crocetti; a sin., la porta del Bene e del Male
è di Luciano Minguzzi, cui segue la *porta della Morte (Deposizione
dalla croce di Gesù e Morte di Maria e, sul retro, rilievo con Giovanni
XXIII che accoglie cardinali e vescovi del Concilio Vaticano II) di
Giacomo Manzù.
INTERNO di dimensioni grandiose, percepibili tuttavia solo
gradatamente, via via che si osservano da vicino i particolari (ne sono
esempio i giganteschi putti che sorreggono le conche delle
acquasantiere, del 1725).
La NAVATA MEDIANA si presenta nella tipica struttura delle chiese
della Controriforma: un solo ordine di altissime lesene corinzie
abbinate e addossate a pilastri, fra i quali si aprono le arcate di 13 m
di larghezza e 23 d’altezza di accesso alle navi minori e alle cappelle
laterali; le prime tre arcate corrispondono al prolungamento di Carlo
Maderno, che le innestò sull’organismo michelangiolesco a croce
greca. Sopra la trabeazione s’incurva l’enorme volta a botte
cassettonata (alta m 44), con ricca decorazione fatta eseguire da Pio
VI (1780). Lungo la linea assiale della navata sono segnate sul
pavimento, a partire dall’abside, le lunghezze delle più grandi chiese
del mondo, ma con qualche inesattezza; sul grande disco di porfido
(già presso l’altare maggiore), la notte di Natale dell’anno 800, Carlo
Magno si prostrò per ricevere da Leone III il crisma e la corona
imperiale.
Sulla faccia interna del battente sin. della porta mediana, in
basso, è la scenetta in bassorilievo che il Filarete lasciò come firma. Le
grandi figure allegoriche di stucco che ornano i mistilinei fra le arcate
e la trabeazione, e così il rivestimento in marmi colorati delle facce
interne dei pilastri, con i medaglioni dei primi papi sostenuti da putti e
le colombe dello stemma di Innocenzo X, sono su disegno di Gian
Lorenzo Bernini; nelle nicchie aperte in basso e in alto fra le lesene,
lungo la navata mediana e i bracci del transetto, le grandi statue dei
fondatori di ordini religiosi furono poste dal 1706. La 1ª a d., S.
Teresa, è di Filippo Della Valle; la 1ª a sin, S. Pietro d’Alcantara, di
Francisco Vergara; la 2ª a d., S. Vincenzo de’ Paoli, di Pietro Bracci; la
2ª a sin., S. Camillo, di Pietro Pacilli; la 3ª a d., S. Filippo Neri, di G.B.
Maini; la 3ª a sin., S. Ignazio, di Camillo e Giuseppe Rusconi; la 4ª a
sin., S. Francesco di Paola, del Maini. All’ultimo pilastro di d., su
cattedra marmorea, è la *statua bronzea di S. Pietro (2), seduto e
benedicente, creduta a lungo opera del V sec. ma da ritenersi invece
lavoro duecentesco, probabilmente di Arnolfo di Cambio; la devozione
secolare ha ‘consumato’ il piede d. dell’apostolo. Davanti alla statua,
due candelabri in bronzo di Egidio Giaroli (1971). Il medaglione
musivo di Pio IX che è sopra la statua, collocato nel 1871, ricorda la
tradizione per la quale nessun papa avrebbe raggiunto i leggendari 25
anni di pontificato di Pietro, a eccezione, appunto, di Pio IX.
LA *CUPOLA, inondata di luce e percettivamente emozionante
anche all’interno, è impostata su quattro grandiose arcate voltate su
altrettanti piloni a sezione pentagonale, di m 71 di perimetro. Nei
pennacchi sono gli evangelisti, a mosaico (S. Marco e S. Matteo su
disegno di Cesare Nebbia; S. Giovanni e S. Luca di Giovanni De
Vecchi). Un’iscrizione latina, in mosaico su fondo dorato, si svolge nel
fregio della possente trabeazione che gira attorno alla chiesa (se ne
legge un tratto in greco nella tribuna); all’imposta della cupola sono
scritte le parole con le quali Gesù istituì la Chiesa. Di qui si leva il
tamburo, con 16 finestre fra coppie di paraste che sorreggono il
cornicione terminale, sopra cui s’incurva la calotta. Questa è divisa da
16 costoloni, fra i quali la decorazione a mosaico (su cartoni del
Cavalier d’Arpino, eseguita nel 1605 sotto Clemente VIII) si svolge su
sei registri.
Nelle quattro grandi nicchie alla base dei pilastri della cupola,
sono altrettante statue alte 5 m, volute da Urbano VIII (1643): *S.
Longino (3) di Gian Lorenzo Bernini (1639); S. Elena imperatrice (4) di
Andrea Bolgi (1646); *S. Veronica (5) di Francesco Mochi (1632); S.
Andrea (6) di François Duquesnoy (1640). Sopra esse, quattro
ornatissime balconate di Bernini, ciascuna con due colonne vitinee
provenienti dall’iconostasi dell’antica basilica, servono a esporre le più
insigni reliquie della Chiesa. Nel mezzo, sopra l’altare papale, è il
*baldacchino (7) in bronzo, capolavoro di Bernini, iniziato prima del
1624 e inaugurato il 28 giugno 1633 da Urbano VIII.

L’OPERA si inserisce armonicamente nel grandioso spazio


michelangiolesco, non ricorrendo a una composizione architettonica
lineare ma affidandosi a un ampio movimento plastico sottolineato
dall’uso ‘pittorico’ del materiale, e lascia libero lo sguardo verso il
fondo dell’abside, dove trionfa la fantastica «macchina» della cattedra.
Le alte colonne tortili, che ripetono la forma di quelle dell’antico
ciborio, sostengono una cornice da cui scendono i pendagli di un
drappo a somiglianza di quelli dei baldacchini portatili; in alto, agli
angoli, quattro angeli reggono festoni; il coronamento è formato da
quattro volute che si riuniscono alla sommità per sostenere un globo
dorato con la croce. Per la sua realizzazione Bernini ebbe numerosi
collaboratori, fra cui, per le parti figurate, il Duquesnoy e Giuliano
Finelli; per quelle architettonico-ornamentali, Francesco Borromini.
Il sottostante altare papale affaccia sulla confessione (Carlo
Maderno), ricca di marmi a intarsio; 99 lampade perenni, poste sulla
balaustrata, illuminano la «tomba di Pietro».
NAVATA DESTRA. All’inizio, sopra la Porta Santa, murata, è un
mosaico (S. Pietro) su cartone forse di Ciro Ferri (1675); l’apparato
decorativo delle cappelle comprende – qui come nella navata sin. e
nel transetto – copie musive settecentesche di opere cinque-
seicentesche, che sostituiscono le pale d’altare trasferite dal 1727 in S.
Maria degli Angeli. 1ª cappella (della Pietà, 8): dietro un cristallo di
protezione, *Pietà, celebre gruppo di marmo eseguito da
Michelangelo ventitreenne nel 1498-99, per il cardinale francese Jean
de Bilhères de Lagraulas, legato di Carlo VIII presso Alessandro VI; è
l’unica opera che rechi la firma dell’artista, sulla fascia che attraversa il
petto della Madonna. Nella volta, Trionfo della Croce, affresco di
Giovanni Lanfranco. Nel primo passaggio, a d. (9), statua di Leone
XII, fredda opera di Giuseppe De Fabris (1836). (Sotto il monumento
si apre l’ellittica cappella berniniana delle Reliquie, o del Crocifisso:
prezioso Crocifisso ligneo attribuito a Pietro Cavallini.) A sinistra (10),
monumento di Cristina di Svezia di Carlo Fontana; il bassorilievo, di
Jean-Baptiste Théodon (c. 1702), rappresenta l’abiura della regina al
protestantesimo. 2ª cappella (di S. Sebastiano, 11): monumento di Pio
XI di Francesco Nagni; a sin., monumento di Pio XII di Francesco
Messina. Nel secondo passaggio, a d. (12), sepolcro di Innocenzo XII,
su disegno di Ferdinando Fuga, con statua del pontefice fra la Carità e
la Giustizia di Filippo Della Valle (1746). A sinistra (13), monumento
della contessa Matilde di Canossa, su disegno di Gian Lorenzo Bernini;
il bassorilievo sulla fronte dell’urna (Enrico IV a Canossa) è di Stefano
Speranza (1635). La grande cappella del SS. Sacramento (14) è
ornata di stucchi dorati e chiusa da un cancello in ferro disegnato da
Francesco Borromini; ricco *ciborio di bronzo dorato (Bernini, 1674),
ispirato al tempietto di Bramante in S. Pietro in Montorio e
fiancheggiato da due angeli adoranti in ginocchio; dietro, la Trinità,
pala di Pietro da Cortona. Nel terzo passaggio, a d. (15), *monumento
di Gregorio XIII, con statue della Religione e della Fortezza, di Camillo
Rusconi (1720-23), derivato dal monumento di Leone XI di Alessandro
Algardi; il bassorilievo sul sarcofago, da sotto il quale sbuca il drago
dei Boncompagni, allude alla riforma del calendario di Giulio Cesare
fatta da Gregorio XIII nel 1582. A sinistra (16), tomba di Gregorio XIV
(m. 1591) con statue della Religione e della Giustizia di Prospero
Antichi.

Si è nel grandioso ambulacro michelangiolesco che gira attorno ai


quattro pilastri della cupola, formando un quadrato; agli angoli sono
quattro grandi cappelle, aperte e coperte da cupola; qui si vedono in
opera, nei passaggi e ai lati degli altari, antiche colonne provenienti
dalla basilica demolita; ricchissime le volte decorate di stucchi dorati.

Si passa a d. nella cappella Gregoriana (17), compiuta da


Giacomo Della Porta nel 1583, sotto Gregorio XIII, fitta di marmi e
mosaici, questi rifatti nel ’700. Sotto l’altare di S. Girolamo è collocata
l’urna di cristallo con il corpo del beato papa Giovanni XXIII, qui
traslato dalle Grotte Vaticane nel 2001. Sull’altare (18), piccola
immagine della Madonna del Soccorso (sec. XI), già nella prima
basilica; a d. (19), fredda tomba di Gregorio XVI di Luigi Amici (1854).
Nel passaggio al transetto, tomba di Benedetto XIV (20), ideata da
Pietro Bracci (1759; sue le statue del pontefice e della Sapienza).
NEL TRANSETTO DESTRO, le statue nelle nicchie seguitano la serie
dei fondatori di ordini religiosi: a d., S. Girolamo Emiliani del Bracci
(1756); a sin., S. Giuseppe Calasanzio di Innocenzo Spinazzi (1755);
nel passaggio alla confessione, S. Gaetano di Carlo Monaldi (1730) e,
nel pilastro della cupola, *S. Brunone di Michelangelo Slodtz (1744).
Nel passaggio alla cappella di S. Michele, a d. (21), *monumento di
Clemente XIII, una delle opere più celebri di Antonio Canova (1784-
92), con la bella statua del papa inginocchiato e assorto in preghiera.
Dalla cappella di S. Michele (22), nel passaggio alla tribuna, a d. (23),
tomba di Clemente X, disegnata da Mattia De Rossi (1684) ed
eseguita da diversi artisti di fine ’600.
ABSIDE O TRIBUNA. Fra le due grandi lesene di fondo, si sviluppa la
scenografica *cattedra di S. Pietro (24), trionfale fantasia barocca
di Gian Lorenzo Bernini (1656-65), eseguita in bronzo, in gran parte
dorato, sotto il pontificato di Alessandro VII.

L’antica cattedra lignea, che una tarda leggenda voleva usata da


S. Pietro, è in realtà un trono di Carlo il Calvo (sec. IX), con ricche
decorazioni in avorio, divenuto poi cattedra papale; essa è racchiusa
in quella berniniana, bronzea, sorretta da quattro colossali statue di
dottori della Chiesa (S. Agostino e S. Ambrogio della Chiesa latina,
davanti; S. Atanasio e S. Giovanni Crisostomo della greca, più
indietro); due angeli sono ai lati della cattedra; due putti sostengono
sulla spalliera le chiavi e il triregno; una raggiante gloria di stucco
dorato, popolata di angeli e di putti fra le nubi, circonda, nella luce del
finestrone, il simbolo dello Spirito Santo.

Due tombe papali fiancheggiano la tribuna entro grandi nicchie. A


destra (25) è il *monumento di Urbano VIII (Gian Lorenzo
Bernini, 1627-47), con gruppi marmorei raffiguranti la Carità e la
Giustizia e la statua bronzea del pontefice (notare le api barberiniane
posate qua e là prima di disperdersi in volo); a sin. (26), il
*monumento di Paolo III (Guglielmo Della Porta, 1551-75), con le
figure marmoree della Giustizia e della Prudenza (che si vuole
ritraggano, rispettivamente, le sembianze di Giulia Farnese, sorella del
papa, e della madre Giovannella Caetani).
Nelle nicchie del lato d., tra l’abside e la confessione, S. Domenico
di Pierre Legros (1706) e il profeta Elia di Agostino Cornacchini
(1727); in quelle del lato sin., S. Francesco di Carlo Monaldi (1720) e
S. Benedetto di Antonio Montauti (1735). Nel passaggio seguente,
ricco sepolcro di Alessandro VIII (27), su progetto di Carlo Arrigo di
San Martino; la statua bronzea del pontefice è di Giuseppe Bertosi,
quelle della Religione e della Prudenza e il bassorilievo
(Canonizzazione di cinque santi) di Angelo De Rossi (1706-1715).
CAPPELLA DELLA COLONNA (28). A destra, l’altare (29) con le reliquie
di S. Leone Magno è dominato dalla grandiosa pala marmorea di
Alessandro Algardi, raffigurante *Leone Magno che incontra Attila, al
quale appaiono minacciosi gli apostoli Pietro e Paolo (1646-50).
Sull’altare di fronte (30), immagine della Madonna (sec. XV?) già nella
primitiva basilica. Nel passaggio al transetto sin., *tomba di
Alessandro VII (31), fastosa composizione dell’ultimo periodo di
attività di Bernini (1672-78), che si valse della collaborazione di vari
discepoli: Giuseppe Mazzuoli, Francesco Baratta, Giulio Cartari,
Lazzaro Morelli e altri.
TRANSETTO SINISTRO. Nelle nicchie, a d., S. Norberto di Bartolomeo
Cavaceppi (1757) e, a sin., S. Pietro Nolasco di Pietro Paolo Campi;
nei pilastri della cupola, a d., S. Giuliana Falconieri del Campi; a sin.,
S. Giovanni di Dio di Filippo Della Valle (1744). Nel passaggio alla
successiva cappella Clementina, a d. (35), ingresso alla sagrestia (v.
oltre), inserito nel monumento di Pio VIII (Pietro Tenerani, 1853-66).
CAPPELLA CLEMENTINA (33), condotta a termine da Giacomo Della
Porta sotto Clemente VIII: sotto l’altare (34) sono i resti di S. Gregorio
Magno (raffigurato nel mosaico, da un originale di Andrea Sacchi); di
fronte (35), tomba di Pio VII, opera neoclassica di Bertel Thorvaldsen
(1823) commissionata dal cardinale Consalvi, che suscitò polemiche
anche per essere il danese l’unico artista protestante che avesse
operato in S. Pietro.
NAVATA SINISTRA. All’altare di testata (36) è una copia musiva
della Trasfigurazione di Raffaello. Nel passaggio a d., lato d. (37),
*monumento di Leone XI (Alessandro Algardi, 1634-52), con figure
allegoriche della Maestà e della Liberalità dovute a Ercole Ferrata e a
Giuseppe Peroni. A sinistra (38), monumento di Innocenzo XI, su
disegno di Carlo Maratta (1697-1704), con figure allegoriche della
Religione e della Giustizia di Pierre-Étienne Monnot. La ricchissima
cappella del Coro (39) è su disegno di Carlo Maderno: gli stucchi
dorati della volta sono attribuiti a Carlo Maratta; all’altare, mosaico
(Immacolata Concezione) da cartone di Pietro Bianchi. Nel passaggio
seguente, a d. (40), monumento di S. Pio X, con sculture di Pier
Enrico Astorri (1923); a sin. (41), *tomba di Innocenzo VIII del
Pollaiolo (1498), in bronzo parzialmente dorato, trasferita dall’antica
basilica nel 1621 invertendo il rapporto tra le due raffigurazioni (in
trono e giacente) del papa. Cappella della Presentazione (42): a d.,
monumento di Giovanni XXIII di Emilio Greco; sotto l’altare sono le
spoglie di S. Pio X; a sin., monumento di Benedetto XV di Pietro
Canonica. Nel passaggio alla 1ª cappella, a d. (43), monumento di
Maria Clementina Sobieski, moglie di Giacomo III Stuart, eseguito su
disegno di Filippo Barigioni. A sinistra (44), monumento degli ultimi
Stuart, realizzato da Antonio Canova nel 1817-19, a forma di stele,
con i ritratti a mezzo busto di Giacomo III e dei figli Carlo Edoardo ed
Enrico duca di York; *due geni in rilievo con le faci rovesciate stanno
ai lati della porta. Battistero (45): la conca del fonte è formata dal
coperchio di un antico sarcofago in porfido, probabilmente
appartenuto al sepolcro dell’imperatore Adriano, quindi utilizzato quale
tomba dell’imperatore Ottone II; nel 1695 ebbe l’attuale sistemazione
da Carlo Fontana, cui si deve il disegno della copertura in bronzo.
LA SAGRESTIA (ingresso sotto il monumento di Pio VIII; 32) fu
eretta da Carlo Marchionni (1776-84) per ordine di Pio VI ed è formata
da un edificio a sé stante, collegato alla chiesa da due cavalcavia. Nel
vestibolo a colonne: a d., elenco dei 147 papi sepolti nella basilica (da
S. Pietro a Giovanni Paolo I); di fronte, statua di S. Andrea del sec.
XVI; segue un corridoio con iscrizioni e busti.

GLI AMBIENTI VICINI. A sinistra, un vano di passaggio precede la


SAGRESTIA COMUNE (non visitabile), ottagonale, con otto colonne
scanalate di bigio antico provenienti da villa Adriana a Tìvoli e alta
cupola; sull’altare di fondo, Deposizione di Gesù, mosaico dall’originale
di Caravaggio. A sinistra comunica con la SAGRESTIA DEI CANONICI (sulla
porta d’accesso, Gloria di santi di Federico Zuccari), adiacente alla
CAPPELLA che annovera: sull’altare, Madonna col Bambino, S. Anna e i
Ss. Pietro e Paolo di Giovanni Francesco Penni; dirimpetto, Madonna
col Bambino e il Battista di Giulio Romano; sopra la finestra e sopra la
porta, storie di S. Pietro di Antonio Cavallucci. Di qui è il passaggio alla
SALA CAPITOLARE, in cui sono: S. Andrea, Miracolo di S. Gregorio, S.
Longino, S. Veronica e S. Elena di Andrea Sacchi.

IL *MUSEO STORICO ARTISTICO-TESORO DI S. PIETRO (t.


0669881840), nel quale si passa dal corridoio della sagrestia a d.,
espone il tesoro, ricostituito dopo il saccheggio perpetrato dai
Saraceni nell’846, nuovamente spogliato nel sacco di Roma del 1527 e
ancora assottigliato da Napoleone con il trattato di Tolentino del 1797;
quanto è sopravvissuto, arricchito con nuovi apporti, è in massima
parte di alto valore.

LE OPERE ESPOSTE. SALA I: Colonna tortile vitinea appartenuta alle


strutture decorative della tomba di Pietro posteriori a Costantino; gallo
in metallo dorato del sec. IX, già in cima al campanile della vecchia
basilica di S. Pietro. SALA II, già sagrestia dei Chierici Beneficiati:
bellissima *dalmatica detta di Carlo Magno, in realtà «sáccos»
patriarcale bizantino (sec. XIV?), nel quale sono raffigurate a ricamo la
Trasfigurazione e l’Adorazione del Redentore circondato dalla
Madonna, dal Battista e da angeli e santi; stauroteca minore, lavoro
bizantino del VI-VII; *croce greco-bizantina, donata dall’imperatore
d’Oriente Romano II all’imperatore tedesco Filippo (sec. X-XI);
frammenti di dittici bizantini in avorio (sec. XI-XIV); *Crux vaticana
(sec. VI) dono dell’imperatore d’Oriente Giustino II alla città di Roma.
Si passa a d. nella cappella dei Chierici Beneficiati: all’altare, Consegna
delle chiavi di Girolamo Muziano; dirimpetto, *ciborio di Donatello
(1432), con gruppi di angeli ai lati e, in alto, bassorilievo
(Deposizione); la Madonna, attribuita a Lippo Memmi, è l’antica e
venerata Madonna della Febbre; di fronte all’ingresso, un calco della
Pietà di Michelangelo (1933-34) utilizzato per il restauro degli anni ’70
del sec. XX; sopra la finestra e sopra la porta, storie di S. Pietro di
Antonio Cavallucci (1752-95). SALA III: *monumento di Sisto IV, in
bronzo, capolavoro del Pollaiolo (firma; 1493, lo stesso anno in cui
l’artista fiorentino giunse a Roma) assai rappresentativo della cultura
rinascimentale. È concepito in forma di catafalco, avente i lati concavi
spartiti da volute di foglie d’acanto, fra le quali sono sedute figure
muliebri rappresentanti la Retorica, la Grammatica, la Prospettiva, la
Musica, la Geometria, la Teologia, la Filosofia, l’Aritmetica, l’Astrologia,
la Dialettica; la figura supina del pontefice è circondata da una fascia
divisa in riquadri con le personificazioni delle Virtù cardinali e teologali,
epigrafe e stemmi rovereschi. Nel passaggio alla sala successiva:
cornice della Veronica di tarda età romanica; Ss. Pietro e Paolo, tavola
trasportata su rame del sec. XIV; Crocifisso ligneo forse trecentesco.
SALA IV. Nelle vetrine, tra gli altri: croce in cristallo di rocca del sec.
XVIII; anello piscatorio di Sisto IV (sec. XV); reliquiario di S. Biagio (sec.
XIV); reliquiario di S. Sebastiano (sec. XV); busto di S. Luca (sec. XIV).
SALA V: croce e candelieri in bronzo di Sebastiano Torrigiani (1585);
due *candelieri del sec. XVI attribuiti tradizionalmente a Benvenuto
Cellini; croce con lapislazzuli e candelieri in argento dorato, e
decorazioni in cristallo di rocca, di Antonio Gentili (1582). SALA VI.
Nelle vetrine: statue di S. Pietro e S. Paolo in bronzo dorato, attribuite
al Torrigiani (1585); croce detta di Palazzo, in cristallo di rocca del
sec. XV; reliquiari e ostensori del XVII-XVIII; grande modello in creta di
*angelo, originale di Gian Lorenzo Bernini (1673), che servì per la
fusione di uno degli angeli che fiancheggiano il ciborio della cappella
del Sacramento. SALE VII-VIII. Nelle vetrine: vasi sacri, calici,
ostensori, pissidi e altri oggetti, dono di fedeli, di regnanti e capi di
stato ai papi (dal sec. XVIII); *croce in cristallo di rocca del XIII;
paramenti sacri e ricami, tra cui paliotto del sec. XVIII e tiara coeva che
nelle festività si suole imporre sulla statua di S. Pietro nella basilica.
SALA IX: *sarcofago di Giunio Basso, prefetto di Roma nel 359,
anno in cui si convertì al Cristianesimo; scoperto nel 1595 presso la
confessione della basilica, ha la fronte divisa da due ordini di
colonnine in 10 scomparti con scene dell’Antico e del Nuovo
Testamento.

LE SACRE GROTTE VATICANE


Si stendono sotto la navata centrale della basilica, dal baldacchino
berniniano a c. metà della navata stessa, occupando lo spazio
interposto tra il piano dell’attuale e quello dell’antica basilica
costantiniana. Oltre alle tombe di vari pontefici e regnanti, vi sono
raccolti sarcofagi paleocristiani, frammenti architettonici e ornamentali
e monumenti vari provenienti dalla vecchia basilica. Vi si accede per
un passaggio alla base del pilastro di S. Longino (t. 0669881662).

LA STORIA. Una parte di esse, già chiamate «Grotte Nuove» (non


perché più recenti delle altre, ma perché sistemate in epoca
posteriore), fu creata quando, iniziata la nuova fabbrica, fu rialzato il
pavimento; si sviluppano a semicerchio e hanno al centro la cappella
di S. Pietro, costruita sopra il sepolcro dell’apostolo. Successivamente
vi furono aggiunte le diramazioni a raggiera, che portano ai quattro
oratorî ricavati nei piloni della cupola (di S. Veronica, S. Elena, S.
Longino e S. Andrea), e cinque cappelle. Nel 1606, quando Paolo V
ordinò l’abbattimento della parte anteriore dell’antica basilica, furono
create le «Grotte Vecchie», costituite da tre navate a volte ribassate
su massicci pilastri, che si stendono sotto la navata mediana per una
lunghezza di c. 50 m; vi furono trasportati monumenti sepolcrali,
altari, sculture, mosaici e affreschi dell’antica S. Pietro.
Nel 1940-57 furono condotti, per iniziativa di Pio XII, importanti
lavori di scavo e di sistemazione: abbassato il pavimento di quasi un
metro, fu creato un nuovo ingresso e si aggiunsero 10 nuove sale (sei
sono comprese nella visita alla Necropoli precostantiniana) per la
custodia delle opere d’arte già esposte nel soppresso Museo Petriano
o rinvenute negli ultimi scavi; nel corso di questi fu messo in luce il
piano della basilica costantiniana, che risultò fondata non sui resti del
circo di Caligola e di Nerone, né sulle antiche Vie Aurelia o Cornelia,
come si riteneva, ma direttamente sul terreno vergine del pendio del
colle, dov’era una necropoli (la Necropoli precostantiniana, →).

LA VISITA. L’ingresso tradizionale è dal PILASTRO DI S. LONGINO


(pianta →, 1), dove scende una scala ai piedi della quale s’incontra la
cappella di S. Longino. Un breve corridoio immette nel PERIBOLO
CLEMENTINO (2), realizzato per volontà di Clemente VIII (1592-1605),
nel quale recenti restauri hanno riportato in luce affreschi dell’epoca;
lungo il perimetro, in corrispondenza degli altri tre pilastri che
sostengono la cupola, si aprono altrettanti corridoi con le cappelline
settecentesche dedicate ai santi raffigurati nelle statue poste nei
pilastri stessi (la loro collocazione era in origine differente). A destra si
apre la CAPPELLA DEI SANTI PATRONI D’EUROPA (3; del 1981) – i Ss.
Benedetto, Cirillo e Metodio – con la Madonna in trono e angeli dalla
«porta Iudicii» dell’antica basilica, della scuola di Jacopo Torriti (fine
sec. XIII). Dopo la CAPPELLA POLACCA (4), dedicata alla Madonna di
Cze¸stochowa (1958), e quella irlandese (5), o di S. COLOMBANO (1951),
alla parete frammento del reliquiario marmoreo che Pio II (1458-64)
aveva commissionato per la reliquia di S. Andrea. Segue il corridoio
che porta alla CAPPELLA DI S. ELENA (6). Al centro del Peribolo è situata la
CAPPELLA FUNERARIA DI PIO XII (7), ai lati della quale sono nicchie con le
statue degli Apostoli (un tempo dorate), attribuite a Matteo del
Pollaiolo, Giovanni Dalmata e Mino da Fiesole, già sul ciborio fatto
erigere da Sisto IV sull’altare papale (le nicchie di S. Matteo, S. Filippo,
S. Andrea e S. Giovanni sono vuote). Dì fronte si apre la CAPPELIA
CLEMENTINA (8) o di S. Pietro, ricavata da Clemente VIII nell’antica
cripta semianulare (9) voluta da S. Gregorìo Magno (590-604); l’altare
della cappella, in lapislazzuli, malachite e porfido, è stato realizzato
dopo gli scavi (1940-50) e presenta al centro una finestrella che
permette di vedere la struttura muraria dell’altare del VI sec. chiamato
«ad caput» (presso la testa) perché sopra al luogo della sepoltura
corrispondente, secondo la tradizione, alla posizione della testa di san
Pietro. Dalla grata si vedono i marmi che coprono il «muro rosso»
della necropoli costantiniana →. Gli stucchi dorati delle volte,
recentemente restaurati, sono di G.B. Maini. Continuando nei Peribolo
si incontra il corridoio che porta alla CAPPELLA DELLA VERONICA (10), cui
segue la CAPPELLA DELLA MADONNA DELLA BOCCIATA (11), che prende nome
dall’affresco della Madonna col Bambino della scuola di Pietro Cavallini
già facente parte della decorazione pittorica del porticato della vecchia
Basilica. Secondo la leggenda, durante il Sacco di Roma l’immagine
sacra sarebbe stata colpita da un soldato con una boccia e avrebbe
versato alcune gocce di sangue (le pietre macchiate sono conservate
nella cappella dietro grate di ferro).

Sulla destra si apre la CAPPELLA DELLA MADONNA DELLE PARTORIENTI


(12), dalla denominazione del frammento di affresco sull’altare,
attribuito a Melozzo da Forlì; alla parete sin. sono murati due
frammenti di mosaico dell’Angelo di Giotto (il primo è una copia, il
secondo è l’originale, molto restaurato). L’angelo faceva parte dei
mosaico della «Navicella», eseguito su disegno del maestro sulla
facciata dell’antica Basilica di S. Pietro (1320-30). Alla parete destra,
busto di Bonifacio VIII di Arnolfo di Cambio e, entro nicchia, una
statua della Madonna con Bambino attribuita a Isaia da Pisa (1463).
Sulle pareti del Peribolo sono affissi alcuni elementi decorativi
provenienti dalla vecchia Basilica, tra cui un mosaico della Madonna
con Bambino ritenuto parte della decorazione del tabernacolo dei
Volto Santo nell’oratorio di Giovanni VII. Seguono la CAPPELLA LITUANA
(13), dedicata alla Mater Miscricordiae (1970), e la cappella di S.
Andrea.
Uscendo dal Peribolo si giunge alla parte più vasta delle Grotte,
suddivisa in tre navate da due file di pilastri cruciformi. A sinistra si
apre l’ultimo sacello realizzato nelle grotte, la cappella Messicana (14),
dedicata a Nostra Signora di Guadalupe nel 1992. Dopo la cappella, al
centro, il muro è stato tagliato per collocare la grande vetrata (15)
attraverso la quale si può vedere la Confessione (16) e il monumento
sulla «tomba di Pietro». Qui è la NICCHIA DEI PALLII (17; il «pallium» è
un paramento un tempo esclusivo del pontefice), decorata con un
mosaico del IX secolo raffigurante Cristo benedicente (più volte
restaurato), sotto la quale è la «tomba di Pietro». La nicchia è la
sistemazione operata da Carlo Maderno del primo monumento
costruito sulla tomba, il famoso «Trofeo» ricordato alla fine del II
secolo e riportato in luce nel 1940-50.
Ai lati della vetrata, in alto, due angeli marmorei che
appartenevano al monumento funebre di Bonifacio VIII (v. oltre),
opera di Arnolfo di Cambio; in basso, due leoni scolpiti per la tomba di
Urbano VI o di Benedetto XII. Dopo la rimozione dell’altare di Cristo
Re (1979), nella navata centrale è stata creata una cappella con
l’altare della Tomba (18), opera di Floriano Bodini (2000), che poggia
su un frammento di colonna con capitello corinzio. Dopo la vetrata si
apre la CAPPELLA DELLA MADONNA DEGLI ORSINI (19), così detta per il
grande rilievo marmoreo (Madonna in trono col Bambino tra i Ss.
Pietro e Paolo e le figurette oranti di Eugenio IV e del nipote Pietro
Barbo futuro Paolo II) attribuito a Isaia da Pisa. A sin., tomba di Pio VI
(20), semplice sarcofago paleocristiano sormontato da coperchio (sec.
IV) con le raffigurazioni di Giuseppe venduto e dell’Adorazione dei
Magi.
Nella NAVATA SINISTRA (o sud): sepolcro di Pio XI (21), di marmo di
Candoglia, con figura giacente di Giannino Castiglioni; tomba del
cardinale Merry del Val (22); tomba degli ultimi Stuart (23); tomba di
Innocenzo XIII (24) con sarcofago antico strigilato; tomba di Urbano
VI (25), sarcofago paleocristiano riscolpito. Quindi, un cancello dà
accesso agli ambienti che fungono da ANTIQUARIUM che conserva, tra
l’altro, il superbo altorilievo marmoreo del *Cristo Re scolpito da
Giovanni Dalmata per il monumento funebre di Niccolò V. Inoltre,
lastra tombale di Pietro Raimondo Zacosta, gran maestro dei
Giovanniti (m. 1467) con le mani sull’elsa della spada; mezza figura di
Benedetto XII, opera firmata di Paolo da Siena; lastre tombali del
cardinale Jean de Bilhères de Lagraulas (che commissionò a
Michelangelo la Pietà vaticana) e del cardinale Francesco Todeschini
Piccolomini, nel 1503 papa Pio III, scolpita lui vivente e quindi priva
della data di morte; tombe di cardinali e altre sculture, tra cui figure
giacenti del cardinale Pietro Fonseca (m. 1422) di Paolo Taccone e del
cardinale Berardo Eroli (m. 1479), del Dalmata; sarcofagi
paleocristiani tra cui il *sarcofago di Anicio Petronio Probo (m. fra 383
e 395). Alcuni plastici riproducono la sistemazione della tomba di S.
Pietro e della basilica antica a partire dal II secolo.
Segue, nella navata, il sarcofago paleocristiano (26; sec. V) già
usato per la tomba di Pio III; tomba di Adriano IV (27), bel sarcofago
con coperchio di granito rosso (sec. III); tomba di Gregorio V (28),
sarcofago paleocristiano del IV secolo. Al principio della navata,
sarcofago strigilato dell’imperatore Ottone II (m. 983), sopra il quale è
collocato il grande mosaico con Cristo tra i Ss. Pietro e Paolo (sec. X,
alterato da restauri). Sulla stessa parete, a destra i frammenti di
un’iscrizione del 1102 con il testo della donazione della contessa
Matilde alla Santa Sede, a sin. quella del 1267 che ricorda le reliquie
traslate nella Basilica Vaticana. Nella navata mediana, statua di Pio VI
orante (29), opera di Antonio Canova finita, per la morte dell’artista,
dall’allievo Adamo Tadolini.
Nella NAVATA DESTRA (nord), CAPPELLA FUNEBRE DI GIOVANNI PAOLO II
(30; già di Giovanni XXIII, traslato in S. Pietro nel 2001 dopo la
beatificazione), con altorilievo (Madonna col Bambino) attribuito a
Luigi Capponi; tomba della regina Cristina di Svezia (31; m. 1689);
tomba di Carlotta di Savoia Lusignano regina di Cipro (32; m. 1487),
seguita dalla tomba di Benedetto XV con la figura giacente, bronzo di
Giulio Barbieri; la fronteggia la tomba di Innocenzo IX. Seguono la
tomba di Marcello II (33), sarcofago paleocristiano del IV sec. con il
Salvatore tra i Ss. Pietro e Paolo e ai lati le figure dei coniugi che vi
erano sepolti; la tomba di Giovanni Paolo I (34); la tomba di Paolo VI
(35) con lastra tombale nel pavimento e, alla parete, Madonna col
Bambino e due angeli di maniera donatelliana. Si apre quindi la
GALLERIA dove sono collocati alcuni frammenti di mosaico provenienti
dalla basilica costantiniana e dall’oratorio di Giovanni VII, iscrizioni ed
elementi architettonici; da notare i *frammenti di un portale dell’antica
basilica, detto di S. Apollinare. Dalla galleria si accede alla CAPPELLA
UNGHERESE (36), dedicata a S. Stefano primo re di Ungheria,
inaugurata nel 1980.
Di nuovo nella navata nord seguono: la tomba di Paolo II (37;
1464-71) il cui monumento funebre, smembrato e disperso, era opera
di Mino da Fiesole e Giovanni Dalmata; la tomba di Niccolò V (38;
1447-55) e quella di Innocenzo VII (1404-1406); il sarcofago
paleocristiano con rilievi non finiti di Niccolò III (1277-80) e la *tomba
di Bonifacio VIII (39) per il quale Arnolfo di Cambio aveva creato un
sontuoso monumento funebre di cui, oggi, rimangono solo il sarcofago
e i due angeli ai lati della vetrata (v. sopra). Sulla parete di fondo della
navata è stato recentemente sistemato un tabernacolo rinascimentale
(40), con iscrizione del 1486, nel quale è stata inserita una copia della
Mater Dolorosa di Lippo Memmi (l’originale fu danneggiato da una
scheggia di bomba che colpì il Vaticano nel 1944). Ai lati del
tabernacolo sono collocati due rilievi con i quattro Dottori della Chiesa
latina della maniera di Isaia da Pisa.
Nel corridoio d’uscita (41), aperto nel 1980, due basi di colonne
ricordano la suddivisione in navate del lato nord dell’edificio
costantiniano; fra di esse, un residuo del muro fatto costruire da Paolo
III per separare il cantiere della nuova fabbrica dalla parte di Basilica
dove ancora si officiava. Di fronte, tomba vuota di Callisto III e, alla
parete, rilievi marmorei provenienti dal suo sontuoso monumento
funebre. Più avanti, i resti del muro perimetrale nord della vecchia
Basilica, con mattoni a vista. In fondo, statua di S. Pietro in cattedra,
originale del sec. III di un filosofo o retore, rilavorata nel XVI secolo;
vicino, *lastre marmoree del sec. I con decorazione di foglie d’acanto
e floreale racchiudente graziose figurine e animali, provenienti
dall’oratorio di Giovanni VII dell’antica Basilica.

*NECROPOLI PRECOSTANTINIANA. È un’area cemeteriale pagana


ipogea, sviluppatasi tra fine I e IV sec., all’estremità O della quale si
trova la «tomba di S. Pietro», qui sotterrato prima della formazione
della necropoli stessa, nella quale sono presenti alcune sepolture
cristiane. È costituita da un seguito di mausolei in muratura,
ottimamente conservati, allineati lungo un «iter» o piccola strada,
ciascuno appartenente a una famiglia, il nome della quale è in molti
casi ricordato dalla lapide dedicatoria posta sopra la porta di ingresso;
gli interni sono vivamente decorati con affreschi e stucchi e recano
alle pareti nicchie per le urne delle ceneri e arcosoli per la sepoltura.
Tra i mausolei più notevoli: quello dei Caetennii; quello dei Giulii,
trasformato da pagano in cristiano, con una decorazione musiva, in
buona parte intatta, nella quale è rappresentato Cristo-Helios (dio
Sole), il Buon Pastore, Giona riportato a terra dal mostro marino, il
Pescatore allusivo a S. Pietro. Numerosi i sarcofagi del II, III e IV sec.
con scene varie, nelle quali predomina la figura di Dioniso-Bacco. In
corrispondenza del sito su cui sorge l’attuale altare della confessione
della basilica, si apre un modesto spiazzo, detto «Campo P», limitato a
O da un muro con intonaco rosso. Addossato a questo muro si trova
un semplice monumento formato da due nicchie sovrapposte,
separate da una lastra di marmo sorretta da colonnine; risale al sec.
II, ma fu abbellito nel III e nel IV e segna il luogo individuato come
sepoltura originaria di S. Pietro.

LA SALITA ALLA CUPOLA DI S. PIETRO. All’uscita ci si trova sul fianco


d. della chiesa, dove, girando a sin., si può accedere alla saletta che
precede l’ascensore per la salita al capolavoro michelangiolesco.

Nella saletta: frammenti di mosaici tra cui alcuni dall’abside


dell’antica basilica, restaurata nel sec. XIII sotto Innocenzo III
(Lavanda del Bambino Gesù, Cristo nimbato benedicente, S. Pietro
predica ai Romani); un altro, Giovanni VII col nimbo quadrato,
proviene dall’oratorio eretto da questo pontefice (sec. VIII) nella
basilica antica; angelo a mezzo busto entro clipeo, già appartenente al
mosaico della Navicella di Giotto; testa di S. Pietro del V da S. Paolo
fuori le Mura; testa di S. Bernardo da Chiaravalle e testa di cherubino,
dalla cappella di S. Michele, forse di Melozzo da Forlì.
L’ascensore sale alla copertura a terrazza della basilica, dalla
quale si può osservare il superbo slancio della cupola e si ha una
*veduta sulla piazza e sulla città. Una scala (330 scalini) conduce nel
tamburo della cupola in un corridoio in curva, dal quale a d. si passa
alla 1ª galleria sull’interno, posta a 53 m d’altezza: vista da vicino dei
mosaici della cupola. La lunga spirale detta «lumaca di S. Andrea»
sale alla 2ª galleria (chiusa al pubblico) sopra il cornicione del
tamburo, a 73 m, con un’impressionante *veduta della crociera. Una
salita meno agevole raggiunge la sommità della lanterna, poi una
stretta scala a chiocciola la panoramica galleria esterna (537 scalini
dal basso) che offre una splendida *vista sulla città e i territori
circostanti.

L’ARCHIVIO DELLA FABBRICA, sistemato negli «Ottagoni»


sovrastanti il transetto della basilica, contiene un’importante
documentazione sulla storia dell’edificio (consultazione concessa agli
studiosi con speciale permesso). Ne è in progetto la sistemazione per
accogliere il materiale più prezioso del Museo Petriano, cioè il modello
in legno della basilica di Antonio da Sangallo il Giovane, altri modelli
per la sagrestia e, di particolare rilievo, il *monumento di Paolo II,
eretto nell’antica basilica dal cardinale Marco Barbo e frutto del lavoro
di un decennio di Giovanni Dalmata e Mino da Fiesole: il sarcofago con
la figura giacente del pontefice (e, sulla fronte, la cartella con
l’epigrafe sostenuta da due angioletti) è di Giovanni, come l’Eterno in
gloria, la *Speranza, la Creazione di Eva, il Peccato originale (solo il
fondo, le figure sono perdute), la Risurrezione di Cristo e gli
evangelisti Matteo e Marco; di Mino sono la grande lunetta col Giudizio
universale, la *Carità, la *Fede e gli evangelisti Luca e Giovanni.
Rilevante, inoltre, è anche il ciborio marmoreo, eretto da Pio II e
abbellito da Sisto IV dopo il 1474, già sopra l’altare maggiore della
vecchia basilica: lo adornano altorilievi (attribuiti non concordemente a
Simone del Pollaiolo) raffiguranti la Consegna delle chiavi, S. Pietro
che guarisce lo storpio, Martirio di S. Paolo, Caduta di Simon Mago e
la Crocifissione di S. Pietro.

5.2 I PALAZZI E I MUSEI VATICANI

Nel Medioevo i papi abitavano nel palazzo del Laterano, mentre


presso la primitiva basilica di S. Pietro era una modesta residenza del
tempo di papa Simmaco, che però nei sec. IX e X doveva avere una
certa importanza, avendo ospitato Carlo Magno (800) e Ottone I
(980). Minacciando rovina nel sec. XII, l’edificio fu restaurato da
Eugenio III (1150) e da Celestino III e ingrandito da Innocenzo III
per farne la sede permanente del papato; al ritorno dei papi da
Avignone, e precisamente nel 1378, alla morte di Gregorio XI, vi si
tenne il primo conclave. I successori restaurarono, ingrandirono,
munirono a difesa e abbellirono il palazzo. Niccolò V cominciò nel
1450 ad attuare il progetto di una grandiosa dimora, con un palazzo
quadrato (Palazzo Vaticano) avente al centro il cortile del Pappagallo e
aggregandovi fabbricati preesistenti della seconda metà del sec. XIII;
Sisto IV fece innalzare nel 1473 la cappella che prese il suo nome; a
Innocenzo VIII si deve, nella parte più alta della valle del Belvedere, il
palazzetto (Giacomo da Pietrasanta, 1484-92) che rimase poi
incorporato nelle successive costruzioni di Bramante e in quelle erette
in seguito da Pio VI per il Museo Pio-Clementino; Alessandro VI
aggiunse al palazzo di Niccolò V una torre, detta Borgia dal nome di
famiglia.
Sotto Giulio II, Bramante unì il palazzetto di Innocenzo VIII al
Palazzo Vaticano, mediante piani sovrapposti di corridoi ad arcate (tre
nella parte bassa dell’avvallamento del Belvedere, due nella mediana,
uno in quella alta) le cui strutture disegnano il lato E del cortile del
Belvedere; per Leone X progettò, a ridosso del fronte E del Palazzo
Vaticano, i tre piani di logge dette di S. Damaso (quella dell’ordine
centrale prende nome da Raffaello, che la completò); Paolo III fece
innalzare da Antonio da Sangallo il Giovane la cappella Paolina e
ornare la Sala regia; Pio IV, Pio V e Gregorio XIII fecero eseguire
ampliamenti da Pirro Ligorio; Gregorio XIII aggiunse alle logge di S.
Damaso l’ala che, nel cortile omonimo, volge ad angolo retto verso
levante; Sisto V fece innalzare da Domenico Fontana i corpi di fabbrica
che prospettano verso i borghi e su piazza S. Pietro e quello della
biblioteca che divise a metà il cortile del Belvedere (compiuti da Paolo
V); Urbano VIII cominciò la Scala regia, su disegno di Gian Lorenzo
Bernini, che fu compiuta da Alessandro VII.
I *Musei Vaticani costituiscono un complesso di eccezionale
importanza per la ricchezza e il pregio delle opere che vi sono riunite e
per la sontuosità degli ambienti che le ospitano. Oltre a conservare un
patrimonio pittorico unico, vi è allestita la più grande raccolta di
antichità esistente, che prese avvio con il collezionismo dei papi del
Rinascimento e fu collocata inizialmente nel Cortile ottagono, nel
cortile del Belvedere e nella casina di Pio IV all’interno dei Giardini
Vaticani; in gran parte dispersa durante la Controriforma, fu
riorganizzata e ampliata specialmente dai papi dei secoli XVIII e XIX.
Con Clemente XIV e la trasformazione del palazzetto d’Innocenzo
VIII in museo – il cui nome è derivato da lui e da Pio VI che lo fece
ingrandire da Michelangelo Simonetti – ebbe inizio infatti la storia
dell’utilizzo museografico dei palazzi: Pio VII eresse il Braccio Nuovo,
su disegno di Raffaele Stern; Gregorio XVI fondò i Musei Egizio ed
Etrusco (che da lui presero nome); Pio IX aggiunse un portico sul
terzo lato del cortile di S. Damaso e aprì la scala Pia; Leone XIII fece
restaurare e riaprire al pubblico l’appartamento Borgia; a Pio XI si
devono il palazzo della pinacoteca e il monumentale ingresso ai
musei; Giovanni XXIII e Paolo VI fecero erigere il nuovo edificio
destinato a ospitare i musei già nel Palazzo Lateranense. La visita qui
di seguito descritta corrisponde al più lungo e completo dei quattro
percorsi suggeriti, che sono contrassegnati da altrettanti colori diversi.
Non di rado, per problemi di affluenza, la successione dei vari
ambienti può essere variata. Per informazioni generali sulle modalità
di visita della Città del Vaticano ci si può rivolgere all’Ufficio
informazioni turistiche, t. 0669881662. Le visite guidate alla Basilica di
S. Pietro, ai Musei Vaticani e ai Giardini Vaticani possono essere
prenotate al t. 0669884676. Per ulteriori informazioni si consiglia di
consultare il sito Internet www.mv.vatican.va o contattare l’Ufficio
stampa dei Musei Vaticani, t. 0669883041.
DA PIAZZA S. PIETRO AI MUSEI VATICANI. Si costeggia l’emiciclo d.
di piazza S. Pietro – incontrando una graziosa fontanina con quattro
tiare di Pietro Lombardi, 1927 – e si attraversa, per uno dei due fornici
(uno aperto nel 1563 da Pio IV, l’altro nel 1933), il «Corridoio» o
«Passetto» delle mura Leonine →. Si tiene a sin. in via di Porta
Angelica, costeggiando un tratto moderno delle mura vaticane e il
cancello di S. Anna, a ridosso dell’omonima chiesa →, con colonne
binate sormontate da aquile; in piazza del Risorgimento si volta a sin.
rasentando lo sperone con i frammenti della porta Angelica → e si
sale prima per viale dei Bastioni di Michelangelo poi, ancora a sin., per
viale Vaticano fino ai *Musei Vaticani.
Il nuovo ingresso, inaugurato nel 2000, è nato dall’esigenza di far
fronte all’aumento di visitatori passati negli ultimi venti anni da un
milione e mezzo di presenze annue a circa tre milioni. L’imponente
intervento edilizio ha interessato il confine settentrionale dello Stato
del Vaticano nello spazio compreso tra le strutture settecentesche del
Museo Pio-Clementino e le antiche mura cinquecentesche, in
prossimità del precedente ingresso. Nel corso dei lavori è stata
asportata la parte del colle racchiusa dalle mura (poi ripristinata) e
sono stati costruiti quattro piani e nuove superfici. I primi due piani
sono stati destinati all’accoglienza e ai servizi per il pubblico. Una
grande rampa elicoidale ad asse inclinato conduce il visitatore alle
aree espositive attraverso il vecchio cortile delle Corazze (pianta
alle pagine 656-657, 1), appositamente coperto da una struttura in
vetro e metallo. Al terzo piano è stata realizzata una vasta sala
polifunzionale, destinata a esposizioni temporanee e a convegni.
L’ultimo piano, infine, è destinato ai servizi interni ai Musei. L’ingresso
è arricchito da diverse opere d’arte. Tra quelle di arte antica, notare il
grande mosaico policromo del I sec. a.C., proveniente da una villa di
via Ardeatina e già servito come pavimento di una delle stanze di
Raffaello; nella rappresentazione della lunga fila di navi si deve forse
riconoscere il porto tiberino di Roma. Dalla terrazza adiacente, vista
della cupola di S. Pietro e dei Giardini Vaticani. Al centro della terrazza
è posta la *base della colonna di Antonino Pio (161), eretta a
Montecitorio dai figli Marco Aurelio e Lucio Vero, trovata nel 1703
presso via della Missione e fatta restaurare più volte, specialmente
nell’800 da Gregorio XVI che ne incaricò Giuseppe Fabris. Sulle fronti:
iscrizione commemorativa; Apoteosi di Antonino Pio e Faustina
Maggiore che un genio alato porta in cielo preceduti dalla aquile e in
presenza della dea Roma seduta e della personificazione del Campo
Marzio; parata di cavalieri («decursio») in occasione dei funerali.
LA *PINACOTECA VATICANA (2) è un’eccezionale raccolta di dipinti,
per la maggior parte a soggetto sacro, la cui fondazione risale a Pio VI
che riunì quadri provenienti dai palazzi pontifici. Col trattato di
Tolentino (1797) le opere migliori passarono in Francia e solo in parte
(77 quadri) furono recuperate nel 1816, grazie soprattutto all’azione di
Antonio Canova. La collezione, passata in varie sedi, è stata
definitivamente sistemata nell’attuale palazzo, fatto erigere (1932) da
Pio XI su disegno di Luca Beltrami. La primitiva raccolta è stata poi
accresciuta di nuove opere: 270 provengono dalla vecchia pinacoteca
e 183 dai magazzini, dalla sagrestia di S. Pietro, dagli appartamenti
del Vaticano, dal Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo. Secondo la
nuova numerazione delle opere, va aggiunta la cifra 40000 ai numeri
d’inventario qui riportati.

TRA I CAPOLAVORI DELLA PINACOTECA. VESTIBOLO: busto di Pio XI di


Enrico Quattrini. SALA I (primitivi): 16, S. Giacomo di Antonio
Veneziano; 18, Funerali di S. Francesco dello Pseudo Jacopino di
Francesco (secondo quarto sec. XIV); 19, Maria Maddalena del
Veneziano; 40017, Madonna col Bambino di Vitale da Bologna (firma);
20, Cristo giudice di scuola romana del sec. XII; 23, S. Francesco e
storie della sua vita della scuola di Giunta Pisano; 526, *Giudizio
universale, tavola di scuola benedettino-romana firmata da Giovanni e
Nicolò (fine sec. XI-inizi XII); 508 e 513, i profeti Mosè e Amos di
scuola romana del XII; 2, S. Francesco d’Assisi di Margaritone da
Arezzo (firma); 40185, L’angelo custode e il piccolo Battista del
Maestro della Vita del Battista (prima metà XIV); 40211, Madonna del
Latte di Francescuccio Ghissi; 40209, Madonna col Bambino e santi di
Allegretto di Nuzio; 40175, Crocifisso e santi dello Pseudo Baronzio
(sec. XIV); 204, Madonna col Bambino e i Ss. Michele e Orsola di
Allegretto di Nuzio (firma; 1365); 40210, Cristo morto dello stesso;
40014, Madonna col Bambino e santi di Giovanni del Biondo; 147-150
e 158-161, *storie di S. Stefano di Bernardo Daddi.
SALA II (Giotto, giotteschi e tardogotici). Nel mezzo, 120,
*trittico Stefaneschi, eseguito a Roma da Giotto e aiuti, per
incarico del cardinale Jacopo Stefaneschi e destinato all’altare della
confessione dell’antica basilica di S. Pietro. Alle pareti: 40179,
Madonna col Bambino di Jacopo del Casentino; 40168, 40166, 40163,
*Cristo davanti a Pilato, S. Giovanni Battista, S. Pietro, di Pietro
Lorenzetti; 165, *Il Redentore di Simone Martini; 40170, Regina
virginum di Puccio Capanna; 174, *Madonna del Magnificat del Daddi;
102, 40097, 101, Natività, S. Nicola libera tre cavalieri, Annunciazione,
di Mariotto di Nardo; 40520, La Vergine madre delle Virtù di scuola
fiorentina (seconda metà sec. XIV); 40169, Transito della Vergine di
Taddeo di Bartolo; 40136, 40138, tavolette di Sano di Pietro; 40132,
*Natività di Giovanni di Paolo; 234, *Visione di S. Tommaso d’Aquino
del Sassetta; 193, storie di S. Benedetto di Lorenzo Monaco; 247-250,
storie di S. Nicola da Bari di Gentile da Fabriano; 42139, *Madonna col
Bambino del Sassetta; 40263, Madonna col Bambino di Francesco di
Gentile.
Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:
sinistra, destra, sinistra e destra.

SALA III (Beato Angelico, Filippo Lippi, Benozzo Gozzoli): 260,


245, Crocifissione, Transito della Vergine, di Masolino da Panicale;
251, 252, *storie di S. Nicola da Bari del Beato Angelico; 253,
Madonna col Bambino in trono, angeli e i Ss. Domenico e Caterina
d’Alessandria del Beato Angelico; 255, 256, storie della vita di Cristo
dello Pseudo Domenico di Michelino; 258, Stimmate di S. Francesco
del Beato Angelico; 243, *Incoronazione di Maria, angeli, monaci e
due devoti, trittico di Filippo Lippi; 262, Madonna che porge la cintola
a S. Tommaso e predella con storie della Vergine di Benozzo Gozzoli;
241, Vergine e S. Anna di Lorenzo d’Alessandro; 233, Storie di un
santo del Vecchietta.
SALA IV (Melozzo e Palmezzano). Sulla parete a sin., 269A-269O,
14 *frammenti dell’affresco che decorava l’abside della chiesa dei
Ss. Apostoli, rappresentante l’Ascensione, eseguito da Melozzo da Forlì
e distrutto nel 1711; sulla parete di fondo, 270, *Sisto IV che
nomina Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, prefetto della
Biblioteca Vaticana, grande affresco di Melozzo (1477), trasportato
su tela al tempo di Leone XII, che era già nella primitiva sede della
biblioteca; sulla parete d., 619, 274, 272, 273, Madonna col Bambino
e santi, Sacra famiglia, Annunciazione, Madonna col Bambino in trono,
i Ss. Giovanni Battista e Girolamo e angelo musicante, tutti di Marco
Palmezzano.
SALA V (quattrocentisti): 620, Adorazione dei Magi di Bernardino
di Mariotto; 286, quattro *miracoli di S. Vincenzo Ferreri di Ercole de
Roberti; 280, Madonna col Bambino e S. Giovannino di Marco Basaiti;
275, Pietà di Lucas Cranach il Vecchio; 294, Madonna col Bambino e
santi di G.B. Bertucci; 278, Madonna col Bambino di Bartolomeo
Montagna.
SALA VI (polittici). Da sinistra: 297, Madonna col Bambino di Carlo
Crivelli (firma; 1482); 298, Madonna col Bambino e santi, pentittico di
Vittore Crivelli (1481); 299, Cristo crocifisso, le Marie, S. Giovanni
evangelista e i Ss. Venanzio, Pietro, Giovanni Battista, Porfirio,
polittico di Niccolò di Liberatore; 300, *Pietà di Carlo Crivelli; 303, S.
Antonio abate, otto santi e Cristo uscente dal sepolcro, polittico di
Antonio Vivarini (firma; 1464); 307, Incoronazione di Maria e dodici
santi, polittico di Niccolò di Liberatore (1466).
SALA VII (scuola umbra del Quattrocento): 312, Incoronazione di
Maria, apostoli e santi del Pinturicchio (ma l’esecuzione è quasi tutta
dello scolaro G.B. Caporali); 310, Madonna col Bambino dell’Ingegno;
311, Madonna e santi dello Spagna; 313, Madonna col Bambino e S.
Giovanni, tavoletta di ignoto umbro; 316, Adorazione dei Magi dello
Spagna; 317, *Madonna col Bambino e quattro santi del Perugino;
319, 320, 321, *S. Benedetto, S. Flavia, S. Placido, resti di una
predella, dello stesso; 326, S. Girolamo in trono di Giovanni Santi,
padre di Raffaello; 325, Sacra famiglia del Papacello; 323, Assunta, S.
Girolamo, Messa di S. Gregorio di Antonio da Viterbo.
SALA VIII: la più ampia e solenne della pinacoteca, con opere di
Raffaello fra cui i celebri *10 arazzi e alcuni dei suoi dipinti più
famosi. I cartoni degli arazzi forniti da Raffaello (1515-16) furono
subito spediti a Bruxelles per essere tessuti da Pieter van Aelst, sotto
la direzione di Bernart van Orley. Nel dicembre 1519 furono esposti
per la prima volta nella Cappella Sistina, collocati lungo la parte
inferiore delle pareti. Esistono altri esemplari, inferiori anche se
all’incirca coevi, nel Palazzo Ducale di Mantova, nel Museo della S.
Casa di Loreto, negli Staatliche Museen di Berlino, nel Palazzo Reale di
Hampton Court (Londra); dei 10 cartoni originali ne sono rimasti 7,
che si conservano al Victoria and Albert Museum di Londra, ma
qualcuno li ritiene copie del sec. XVII. Raffigurano, da sin.:
Accecamento di Elima (tagliato a metà durante il sacco di Roma);
Conversione di S. Paolo; Lapidazione di S. Stefano; S. Pietro guarisce
uno storpio; Morte di Anania; Consegna delle chiavi; La pesca
miracolosa; S. Paolo predica ad Atene; Sacrificio di Lystra; S. Paolo in
carcere. Il grande arazzo di manifattura fiamminga, raffigurante
l’Ultima Cena di Leonardo, fu donato da Francesco I a Clemente VII.
Alla parete di fondo, al centro, la grande tavola, 333, della
*Trasfigurazione, che fu commessa a Raffaello nel 1517 dal
cardinale Giulio de’ Medici (futuro Clemente VII); rimasta incompiuta
nella metà inferiore per la morte del maestro, fu ultimata da Giulio
Romano con l’aiuto di Giovanni Francesco Penni. Era destinata alla
cattedrale di Narbona, di cui era titolare Giulio de’ Medici.
Contemporaneamente a Raffaello, Sebastiano del Piombo lavorava, in
concorrenza, a un’altra tavola con la Risurrezione di Lazzaro, e fu
questa, in luogo della Trasfigurazione rimasta incompiuta, che fu
mandata in Francia (da dove passò alla National Gallery di Londra). Il
capolavoro di Raffaello, dopo ultimato, fu collocato in S. Pietro in
Montorio, dove rimase fino al 1797, per subire le vicende di numerose
altre opere inviate in Francia a seguito del trattato di Tolentino. La
composizione è bipartita ma le due parti sono strettamente collegate
fra loro da effetti luministici e cromatici; pacata e solenne la scena
della Trasfigurazione, con il Cristo fiancheggiato da Mosè e da Elia
avvolti in un nembo di luce; concitata e drammatica quella inferiore,
nel movimento vorticoso delle braccia degli astanti violentemente
illuminati dalla luce che piove dall’alto.
La *Madonna di Foligno, a sin., 329, (già su tavola, trasportata
su tela nel 1800), fu dipinta da Raffaello nel 1512-13 come ex voto di
Sigismondo Conti, letterato folignate e segretario domestico di Giulio
II. Il dipinto, che ha nel fondo la veduta di Foligno, fu dapprima
collocato nella chiesa dell’Aracoeli di Roma e nel 1565 nel convento di
S. Anna di Foligno; stette a Parigi dal 1797 al 1816 e fu quindi
riportato a Roma. Le tre tavolette a chiaroscuro, 330-332, con
*Speranza, Carità, Fede, costituivano la predella della Deposizione
(1507) ora alla Galleria Borghese.
A destra, 334, *Incoronazione di Maria, prima grande
composizione di Raffaello, dipinta nel 1503, cioè a 20 anni e ancora
sotto l’influsso del Perugino, per Maddalena Oddi di Perugia e ivi
collocata nella chiesa di S. Francesco (dal 1797 al 1816 stette a Parigi,
ove fu dalla tavola trasportata su tela); la predella, 335, con
*Annunciazione, Epifania e Presentazione di Gesù al tempio, fu
anch’essa trasportata su tela.
SALA IX (Leonardo e i cinquecentisti): 762, Orazione nell’orto della
scuola di Correggio; 652, Andata al Calvario di Polidoro da
Caravaggio; 337, *S. Girolamo di Leonardo da Vinci (c. 1480),
monocromia di bruni su bruni, preparazione di una tavola non finita,
poco più che un abbozzo. Appartenuta ad Angelika Kauffmann e
andata dispersa al principio dell’800, fu più tardi ritrovata tagliata in
due parti: la testa, nella bottega di un calzolaio, e il resto presso un
antiquario. 446, Francesco Sforza di Bernardino De Conti (1496); 338,
Madonna col Bambino di Girolamo del Pacchia (?); 340, Madonna che
allatta il Bambino di Lorenzo di Credi; 290, *Pietà di Giovanni Bellini
(cimasa di una grande pala dipinta per la chiesa di S. Francesco in
Pesaro, ora nella pinacoteca di quella città).
SALA X (Tiziano e veneti del ’500): 347, Madonna col Bambino in
trono e i Ss. Girolamo, Giovanni Battista, Lorenzo e Domenico di
Girolamo Genga; 985, Sacra famiglia con S. Anna e S. Giovannino di
Pieter de Witte; 349, Madonna col Bambino in trono e i Ss.
Bartolomeo e Girolamo del Moretto da Brescia; 445, *ritratto del doge
Nicolò Marcello di Tiziano; 351, *Madonna col Bambino e i Ss.
Sebastiano, Francesco, Antonio di Padova, Pietro, Nicolò e Caterina,
firmata da Tiziano, già nella chiesa di S. Nicoletto dei Frari al Lido di
Venezia; 352, S. Elena del Veronese; 353, Sacra famiglia e santi di
Bonifacio Veronese; 354, *S. Giorgio uccide il drago di Paris Bordon;
355, Apparizione della Madonna ad Augusto e alla sibilla del Garofalo
(1544); 346, Allegoria del Veronese; 358, Sacra famiglia del Garofalo;
359, «La Madonna di Monteluce» (Incoronazione di Maria) di Giulio
Romano e Giovanni Francesco Penni, tavola per il convento di
Monteluce presso Perugia, commessa a Raffaello nel 1505, ma
eseguita dopo la morte del maestro, su suoi disegni; 360, Madonna
col Bambino e S. Girolamo di Jacopo Boatieri; 361, Circoncisione di
Pier Francesco Bissolo.
SALA XI (il tardo ’500): 363, Lapidazione di S. Stefano di Giorgio
Vasari; 669, Sacrificio di Isacco attribuito a Ludovico Carracci; 1249,
SS. Trinità con Cristo morto del Carracci; 365, Annunciazione del
Cavalier d’Arpino (firma; 1606); 366, Visitazione dello Scarsellino; 367-
371, Santo eremita, Risurrezione di Lazzaro (firmata), S. Girolamo, S.
Francesco che riceve le stimmate, S. Francesco, di Girolamo Muziano;
374, 2157, Processione di S. Gregorio e Miracolo della neve di Jacopo
Zucchi; 373, Sposalizio di S. Caterina di Innocenzo da Imola; 350, S.
Bernardo di Marcello Venusti; 375-378 e 380, Testa della Madonna,
Annunciazione, Riposo nella fuga in Egitto (la «Madonna delle
Ciliegie», 1573), Beata Michelina, S. Francesco che riceve le stimmate,
di Federico Barocci. Al centro della sala: 742, Cosimo il Vecchio
scaccia i vizi da Pisa, rilievo di Pierino da Vinci.
SALA XII (il barocco; bel panorama sui Giardini Vaticani): 381,
Martirio dei Ss. Processo e Martiniano del Valentin de Boulogne; 382,
Visione di S. Romualdo di Andrea Sacchi; 383, Incredulità di S.
Tommaso del Guercino; 384, *Comunione di S. Girolamo del
Domenichino (firma; 1614); 385, S. Pietro nega Cristo della scuola di
Caravaggio (forse copia di opera perduta); 386, *Deposizione di
Caravaggio (1602-1604), proveniente dalla Chiesa Nuova; 387,
*Crocifissione di S. Pietro di Guido Reni; 389, Madonna col Bambino e
i Ss. Tommaso e Girolamo dello stesso; 391-393, Maddalena, S.
Margherita da Cortona, S. Giovanni Battista, del Guercino; 394,
Martirio di S. Erasmo firmato da Nicolas Poussin; 395, S. Matteo del
Reni.
SALA XIII (il Seicento): 414, 405, 410, David uccide Golia, La
Madonna appare a S. Francesco, David e il leone, di Pietro da
Cortona; 1059, Giuditta di Orazio Gentileschi; 815, Vittoria di Gedeone
sui Madianiti di Nicolas Poussin; 775, S. Francesco Saverio di Antonie
Van Dyck; 784, Apoteosi di Vincenzo I Gonzaga della bottega di Pieter
Paul Rubens; 1931, 390, 403, Visione di S. Bruno, Santo anacoreta, S.
Girolamo, di Pier Francesco Mola; 653, La Fortuna di Guido Reni.
SALA XIV (’600 e ’700): 891, Armida e Rinaldo di Giovanni Bonatti;
443, 416, Ecce Homo, Madonna, di Daniel Seghers ed Erasmus II
Quellin in ‘cornici’ di fiori; 462, Ritratto di un attore (?) di Pietro
Paolini; 460, Clemente IX di Carlo Maratta; 396, Madonna col Bambino
del Sassoferrato; 424, Fiori e frutta di Andrea Belvedere; 427, Mandria
di cavalli di Pieter van Bloemen. Al centro della sala: 1489, S.
Francesco Saverio morente, bozzetto del Baciccia; 752, Angeli
musicanti dello stesso; 447, Ritratto di filosofo di Pieter Meert; 820,
Battesimo dei Ss. Processo e Martiniano di Andrea Camassei; 746,
Martirio di S. Pietro d’Arbues di Bartolomé Esteban Murillo; 451,
Vecchio di David Teniers il Giovane.
SALA XV (il Settecento): 836, Miracolo di S. Toribio di Sebastiano
Conca; 40407, 40409, Il trionfo della Religione (bozzetto), Morte di S.
Andrea Avellino, di Gaetano Gandolfi; 779, 774, Cristo nell’orto,
Deposizione, del Conca; 415, 455, La Madonna appare a S. Giovanni
Nepomuceno, Pio VI, di Pompeo Batoni; 448, *Giorgio IV d’Inghilterra
di Thomas Lawrence; 400, S. Michele abbatte Lucifero di Corrado
Giaquinto; 458, *Benedetto XIV di Giuseppe Maria Crespi; 1265,
Madonna dell’ambito di Sebastiano Conca; 2018, Cristo e la
Samaritana di Francesco Trevisani. Nel centro della sala: 388, Sacra
famiglia del Crespi; 748, 398, Satiro domato da Cupido, *Riposo in
Egitto, di Francesco Mancini; 432-439, Osservazioni astronomiche di
Donato Creti.
Le SALE XVI, XVII e XVIII radunano, rispettivamente: opere
dell’animalista boemo-austriaco Wenzel Peter; modelli di Gian Lorenzo
Bernini; icone e altri esempi di arte sacra di ambito bizantino, slavo,
greco, russo.

IL *MUSEO GREGORIANO PROFANO (3), al quale si accede dalla


pinacoteca ritornando verso il vestibolo d’ingresso, riunisce reperti di
età greca e romana. Fondato nel 1844 da Gregorio XVI nel palazzo del
Laterano, fu qui trasferito, per volontà di Giovanni XXIII, nella nuova
ala eretta da Fausto e Lucio Passarelli e collaboratori inaugurata nel
1970. Il materiale, proveniente in gran parte da scavi e ritrovamenti
fatti nell’antico Stato pontificio, si accrebbe alla fine del XIX sec. della
collezione epigrafica pagana.

LE COLLEZIONI. Nel vestibolo, a d., mosaico del sec. II con cesto di


fiori. Oltrepassato l’ingresso, a d., sono i busti di Gregorio XVI, in
marmo, e di Pio IX, in ghisa.
SEZIONE I: ORIGINALI GRECI. Assai importanti, 559, *stele del
Palestrita, rilievo sepolcrale attico di metà sec. V a.C., e alcuni
*frammenti di sculture dal Partenone: 1016, testa del cavallo di
Athena (dal frontone occidentale del tempio); 1014, testa di fanciullo
con cesto; 1013, testa barbata. Inoltre: 10133, testa di mulo (inizi
sec. IV a.C.); 905, *testa di Athena (sulle tempie si scorgono i fori
per l’applicazione di un elmo), vicina stilisticamente alle opere della
Magna Grecia (metà V a.C.); 1684, frammento di rilievo con cavaliere,
parte di monumento funebre (arte beotica, c. 440-430 a.C.); 9984, tre
Figure maschili (due eroi e l’offerente), fine V a.C.; 1900, rilievo con
*cavaliere (arte attica, c. 400 a.C.); 739, rilievo votivo con Asclepio,
Igea e i figli di Asclepio, arte attica del IV a.C.; 3300, rilievo votivo con
scena di banchetto, sec. III a.C.; 886, Figura femminile, coronamento
di stele funeraria, sec. III a.C.; altri rilievi (1346, 1348, 799, 1558,
2050, 9561, 1345) dalla fine del sec. V al II a. Cristo.
SEZIONE II: COPIE E RIELABORAZIONI ROMANE DA ORIGINALI GRECI. A sinistra,
a d. e sul fondo, teste e torsi efebici da originali greci del sec. V-IV a.
Cristo. Al centro, 9974, *statua di Marsia, 9975, torso di Marsia, 9970,
testa di Athena, copie del celebre gruppo bronzeo di Athena e Marsia
di Mirone (460 a.C.), collocato all’ingresso dell’Acropoli ateniese. Sul
fondo, nel gruppo di teste, si distingue, 10134, la testa in basalto del
cosiddetto Idolino, copia di una statua onoraria policletea (c. 440 a.C.)
di un giovane atleta vincitore nei giochi di Olimpia o di Delfi. Si passa
a d. in una zona dedicata a ritratti di personaggi greci: a sin., 9973,
*statua di Sofocle, replica della statua bronzea commessa da Licurgo
nel 340-330 a.C. ai figli di Prassitele, Cefisodoto e Timarco, e posta
nel teatro di Dioniso in Atene. Sul traliccio a sin.: 4563, ritratto di
Anacreonte, da originale di Fidia (c. 440 a.C.); 7112, erma di Omero,
da originale del 460 circa a.C.; 4528, testa di Sofocle, dal ritratto del
tragico ordinato dal figlio Iofonte. Per un vano (dove è un rilievo,
9983, di Medea e le peliadi, copia neoattica del sec. I a.C., da originale
del V a.C., facente parte di una serie di rilievi coregici – riferentisi,
cioè, a vittorie ottenute nelle rappresentazioni di drammi – sparsi in
vari musei) si passa a d. nella sala posta alle spalle dello spazio
riservato agli originali greci: 9987, *base triangolare con rilievi
bacchici, opera neoattica del sec. I a.C., ispirata a originale greco del
IV a.C.; 10315, *statua colossale di Nettuno, replica di un originale in
bronzo del IV a.C. (forse il Poseidon Isthmios di Lisippo a Corinto);
9980, 5330, 10292, figure dionisiache, repliche del satiro in riposo di
Prassitele; 9985, rilievo con *Menandro e la Commedia (il poeta è
rappresentato nel suo camerino con le maschere in atto di parlare alla
musa), arte ellenistica del sec. I a.C.; al centro, mosaico
rappresentante il pavimento di una sala da pranzo non spazzata
(«asàroton»), copia firmata da Eraclito di un celebre mosaico
ellenistico di Soso di Pergamo. Ritornati dove è la statua di Sofocle, si
aggira la ricostruzione ideale del sepolcro da Vicovaro (c. 30-40
d.C.), a pianta rotonda, con 21 blocchi del rivestimento marmoreo,
decorato all’esterno di bucrani e festoni a rilievo. La sala che si apre a
d. raccoglie statue femminili: 9833, parte superiore di una statua di
Artemide, copia romana da originale in stile severo; 9569, statuetta
acefala di donna con peplo, da originale greco del sec. V a.C.; 5377,
torso di statua di Athena, da originale greco del IV a.C.; 10313, testa
femminile di stile severo; 15046, 15047, due statue di Aurae,
personificazioni delle brezze, opere neoattico-ellenistiche del I a.C., da
originali del 400 circa a.C.; 1035, *Niobide Chiaramonti,
probabilmente derivata dal gruppo delle niobidi morenti dovuto a
Skopas o Prassitele; 9969, graziosa testa di musa, copia da originale
prassitelico del sec. IV a.C.; 9567, torso di statua di Diana, da originale
greco del IV a. Cristo.
SEZIONE III: SCULTURA ROMANA DEL I E INIZI II SECOLO. Vi accompagna
una serie di ritratti romani di età tardo-repubblicana e della prima età
imperiale. 10162, 10163, due ritratti creduti di Virgilio; 10490, 10491,
10464, tre rilievi funerari con ritratti di liberti della gens Numenia,
della gens Servilia e della gens Furia (sec. I a.C.); 10455, ara rotonda
dedicata alla Pietas, con ghirlande di frutta e attributi di Vulcano (sec.
I). All’interno dell’emiciclo del sepolcro da Vicovaro, sculture del sec. I,
rinvenute nel teatro romano di Cervèteri: 9942, *rilievo con le
personificazioni delle città etrusche di Tarquinia, Vulci e Vetulonia,
raffigurate rispettivamente da Tarchon (il mitico fondatore di
Tarquinia), da una donna velata seduta in trono, da un uomo in piedi
sotto un pino con un remo sulla spalla; 9950, statua colossale di
Claudio con corona di quercia; 9953, colossale testa di Augusto; 9961,
colossale *statua di Tiberio con corona di quercia; 9952, Statua
femminile panneggiata (da originale greco del sec. V a.C.) con testa-
ritratto di Agrippina minore, moglie di Claudio. Davanti alle sculture
del teatro di Cervèteri, 1156, 1157, rilievo dell’*ara detta dei
Vicomagistri (c. 30-40 d.C.), raffigurante un corteo sacrificale con
tre tori, vittimari, musici, littori, quattro assistenti che recano le statue
dei Lari e del Genio dell’imperatore, e quattro Vicomagistri, funzionari
sacerdotali addetti al culto dei Lari «compitali», cioè dei crocicchi
(rinvenuta nell’area del palazzo della Cancelleria). A destra, sul
traliccio, ritratti d’età giulio-claudia. Dietro la parete dell’ara dei
Vicomagistri, urne e are funerarie del sec. I, per la maggior parte
provenienti dal colombario dei Volusii sulla Via Appia Antica. 9836,
9830, ara funeraria e rilievo funerario di Claudius Dionisius (metà sec.
I). Nel passaggio di d.: 9788, base di colonna, dalla «basilica Giulia»
del Foro; sul traliccio a d., 10112-10117, rilievi decorativi con scenette
bacchiche. Nella zona successiva sono esposti due grandi rilievi
rinvenuti sotto il palazzo della Cancelleria, rappresentanti, a sin.,
13392-13395, l’adventus dell’imperatore Vespasiano, cioè il suo arrivo
a Roma nel 70 accolto dal figlio Domiziano, e, di fronte, 13389-13391,
la profectio dell’imperatore Domiziano (la testa, rilavorata, è un
ritratto dell’imperatore Nerva), cioè la sua partenza da Roma per una
spedizione militare. Nel vano successivo sono riuniti i 39 frammenti
provenienti dal sepolcro degli Haterii, rinvenuto sull’antica Via
Labicana, presso Centocelle, tra cui: 10025, 10026, due edicole con
*busti di uomo e di donna e, 9998, *rilievo con un edificio
funerario e una gru a ruota. Nel vano-finestra a d., 10210, busto di
Lucius Iulius Ursus. Su un traliccio isolato, 9506, *corteo di magistrati
davanti a un tempio, rilievo del sec. I che si compone di due
frammenti, di cui il superiore, qui in calco, si trova al Museo Nazionale
Romano. Nel secondo vano-finestra a d.: 9556, rilievo sepolcrale con
corse circensi; 10528, frammento di frontone col busto di Claudia
Semne sorretto da eroti (dalla Via Appia). Nel successivo emiciclo:
10534, colossale statua di Dace prigioniero (sec. II); 9508, insegna
militare della legione XII Fulminata (sec. II-III).
SEZIONE IV: SARCOFAGI. A sinistra, 10404, fronte di sarcofago con
l’uccisione del cinghiale calidonio; 10409, sarcofago col mito di Adone
(c. 220) e, 10408, coperchio con la saga di Edipo (non pertinente).
Dietro il pilastro, 9559, lastra di sarcofago col mito di Adone (c. 300);
10400, sarcofago col mito di Fedra e Ippolito (c. 220). Seguono,
10437, 10443, 10450, tre sarcofagi da una tomba presso la porta
Viminalis, del 132-134, con la *strage dei niobidi, con maschere
gorgoniche e festoni di frutta e col mito di Oreste. Nel vano
successivo: 9558, lastra di sarcofago con i miti di Marte e Rea Silvia e
di Selene e Endimione (c. 250); 10425, sarcofago con scena bacchica
(sec. II). Segue una serie di sarcofagi con eroti, tra cui, 10435, uno
con scene di vendemmia e, 10411, altro con le stagioni (sec. III). Nel
vano che segue: 9504, fronte di grande sarcofago con filosofi (c.
270); in fondo alla sezione, 9495, sarcofago di bambino con atleti (c.
210). Da una porta a vetri è visibile il calco del gruppo del Laocoonte,
quale era prima del restauro del 1957-60.
LA SEZIONE V: SCULTURA ROMANA DEL II E III SECOLO ha inizio presso i
sarcofagi con eroti. Sul traliccio, 9805, statua di Antinoo come
Vertumno (testa moderna); 10478, 10480, 10481, 10483, frammenti
di statue togate in porfido e, 10482, torso di *statua loricata in
porfido, forse Traiano o Adriano. Tra le due finestre, otto ritratti
romani di metà sec. III. Segue una serie di ritratti romani del sec. III;
10493, statua togata di Dogmatius (il ritratto di Dogmatius, del 330 c.,
fu inserito in una statua del sec. II). Sala del gruppo di Mitra: 9978,
omphalos avvolto da bende, attributo dell’Apollo delfico; 9967, base
triangolare di candelabro con le figure di Posidone, Plutone e di dea
con peplo e scettro, di bottega neoattica di età imperiale; 9933,
gruppo di Mitra che uccide il toro (sec. III); 9811, altare con le fatiche
di Ercole (sec. I).
La vetrata affaccia su un cortile semicircolare, dove è stato
sistemato un mosaico pavimentale, con rozze figure di atleti e giudici
di gara entro riquadri, proveniente da un’esedra delle terme di
Caracalla (vista d’insieme dall’atrio del Museo Pio Cristiano).

IL MUSEO PIO CRISTIANO (3), nel quale si entra a sin. al termine


del Museo Gregoriano Profano, fu fondato da Pio IX nel 1854 e
raccoglie materiale proveniente dalle catacombe romane e dalle
antiche basiliche, esposto fino al 1963 nel Palazzo Lateranense e
riallestito sempre per volontà di papa Giovanni XXIII. Consta di una
sezione dedicata a monumenti architettonici, scultorei e musivi, e di
una relativa a materiale epigrafico (ingresso a d., alla base della
scalinata; visita a richiesta alla Direzione Generale).

TRA LE OPERE. Si inizia con un gruppo di iscrizioni ebraiche in gran


parte dalla catacomba di Monteverde. Dal «belvedere», veduta del
citato mosaico con figure di atleti e giudici di gara, e bello scorcio sui
Giardini Vaticani con il blocco laterizio della pinacoteca a sin. e la
cupola di S. Pietro sullo sfondo. Seguono: 31534 (177A), fronte di
sarcofago con Cristo tra gli apostoli (375-400) e, dove il corridoio si
apre in un vano rettangolare, sulla sin., il celebre frammento, 32095,
dell’iscrizione del cippo di Abercio, vescovo di Ierapoli (Frigia), del
tempo di Marco Aurelio, scoperto da sir William Ramsay e donato nel
1892 dal sultano a Leone XIII. L’iscrizione in greco era divisa in tre
parti (in questo frammento è conservata la seconda e più importante):
il testo intero è noto per tradizione letteraria e l’interpretazione
cristiana, già discussa, è oggi comunemente ammessa; si tratterebbe
quindi della più antica epigrafe cristiana di contenuto eucaristico. A
sinistra del frammento, ricostruzione in gesso dell’intero cippo.
Proseguendo, si notino: 28590 (103), il Buon Pastore, scultura del III-
IV sec. ricavata dalla rilavorazione di un sarcofago; 31554 (191A),
sarcofago con il Buon Pastore e la vigna simbolica (seconda metà IV);
31485 (150), sarcofago con coperchio del sec. III-IV, con tracce di
policromia e doratura (scene di caccia e pastorali). Nell’ambiente a
caposala: 31427 (104), grande sarcofago (325-50), detto dogmatico,
con episodi biblici; 31456 (184), fronte di sarcofago con scene bibliche
e medaglione dei due coniugi (primo terzo sec. IV); 31535 (178),
fronte di sarcofago con scene del Nuovo e Vecchio Testamento (metà
IV); 31532 (175), fronte di sarcofago con scene del Nuovo e Vecchio
Testamento (primo ventennio sec. IV).
Scendendo la scala si ha, a sin., 31489 (152), un sarcofago di
metà sec. IV, dei coniugi Agapene e Crescenziano (Sacrificio di
Abramo; Mosè sul Sinai; Guarigione del cieco-nato; Negazione di
Pietro; L’emorroissa; Moltiplicazione dei pani; Mosè fa scaturire l’acqua
dalla rupe). Nella rientranza a sin., sul fondo: 28591 (164), sarcofago
di metà sec. IV (nelle nicchie: al centro, raffigurazione simbolica della
Risurrezione; Abele e Caino; Cattura di S. Pietro; S. Paolo condotto al
martirio; Giobbe confortato dagli amici). Nel corridoio ai piedi degli
scalini: 31434 (111), sarcofago con il passaggio del Mar Rosso (fine
IV). Al termine, sulla d.: 31459 (124), 31552 (190), 31548 (185),
frammenti di sarcofagi raffiguranti la nascita del Messia.

IL MUSEO GREGORIANO EGIZIO. Usciti dal Museo Pio Cristiano, si


arriva all’ATRIO DEI QUATTRO CANCELLI (4), che è situato in un alto edificio
neoclassico di Giuseppe Camporese occupato al piano superiore dalla
sala della Biga → e coperto a cupola. Avendo di fronte il cortile della
Pigna → e a d. l’uscita dalla biblioteca, si sale a sin. per la SCALA
SIMONETTI, cosiddetta dal nome del suo costruttore, al piano dove, a
d., è l’ingresso al *Museo Gregoriano Egizio (5). Fondato nel 1839
da Gregorio XVI (ma già Pio VII, nel primo ventennio del secolo,
aveva raccolto antichità egizie in Vaticano), fu ordinato dapprima da
Luigi Maria Ungarelli, seguace di Jean-François Champollion, e poi
accresciuto con acquisti e doni. La sistemazione attuale, frutto di un
completo riordinamento curato dall’egittologo francese Jean-Claude
Grenier, è tesa a contestualizzare storicamente i singoli reperti
distinguendo le epoche e le dinastie della civiltà sul Nilo.

I MATERIALI DEL MUSEO. SALA I: collezione epigrafica costituita da


stele e statue che vanno dall’Antico Egitto (2600 a.C.) all’epoca
cristiano-copta (sec. VI). A sinistra dell’ingresso, stele funeraria di Iry,
amministratore delle necropoli collegate alla piramide del faraone
Cheope (c. 2600 a.C.); entro nicchia, stele commemorativa della
consacrazione al dio Ammone di un monumento della città di Tebe da
parte della regina Hatshepsut e del faraone Thutmosis III durante la
loro coreggenza (1475-1458 a.C.); in una vetrina, scarabeo ‘storico’, a
ricordo dello scavo di un lago artificiale nell’anno XI del regno di
Amenophis III (c. 1380 a.C.); *statua acefala di Udya-hor-res-ne,
sacerdote e medico, con iscrizione autobiografica che ricorda il suo
ruolo politico durante l’invasione del persiano Cambise (fine sec. VI
a.C.). Al centro della sala, trono in granito nero di una statua del
faraone Ramsses II (1279-1213 a.C.).
SALA II: documenti del costume funerario degli Egizi. Alle pareti,
sarcofagi antropoidi, e parti di sarcofago, in pietra o legno di età
saitica (sec. VI-IV a.C.). Nella vetrina centrale: cassa per mummia
dipinta all’esterno e all’interno, da Tebe (c. 1000 a.C.); casse dipinte
di mummie e loro coperchi, pure dalla necropoli di Tebe; due
esemplari di mummie; vasi canopi in alabastro, nei quali erano
conservate alcune parti del corpo del defunto che venivano
mummificate separatamente. Nelle vetrine lungo le pareti: mobilio
funerario con, al centro, statuetta cava di Osiris nella quale è stato
rinvenuto il papiro sovrastante che riporta alcuni capitoli del «Libro dei
morti»; parure della mummia (gioielli e ornamenti erano cuciti sulle
bende o inseriti nella fasciatura; al centro, uccello a testa umana in
smalto, immagine dell’anima); ushebti, statuette disposte nella tomba
quali ‘operai’ che nell’aldilà sostituivano il defunto nei lavori di
manutenzione dei canali di irrigazione; oggetti appartenenti al defunto
o evocanti la vita sulla terra, deposti nella tomba per essere adoperati
nell’aldilà; tra gli ornamenti funerari di epoca romana, maschera
dorata (sec. I a.C.), Ritratto femminile in gesso dipinto (sec. I-II) e tela
funeraria dipinta (sec. III).
SALA III, dedicata al Canopo della villa Adriana di Tìvoli, da cui
provengono le sculture qui sistemate in maniera da rievocare
l’architettura di questa parte della villa che l’imperatore aveva fatto
costruire al ritorno dal suo viaggio in Egitto (130-131); la
composizione architettonico-scultorea voleva rappresentare una pianta
monumentale dell’Egitto, celebrando allo stesso tempo il dio
alessandrino Serapide, la piena del Nilo apportatrice di fecondità e il
culto di Antinoo, favorito di Adriano e da lui divinizzato. Al centro della
sala, la cerimonia rituale del risveglio solare di Osiris-Apis (Serapide),
emergente da un fiore di loto e suscitato da due sacerdotesse e un
sacerdote; da notare: busto colossale di Iside-Sothis-Demeter; statua
in marmo bianco di Antinoo-Osiris.
SALA IV: statuaria egittizzante di epoca imperiale romana. Statua
di Hapy, genio della piena del Nilo (sec. I); statua giacente del Nilo
(fine sec. I); rilievo in terracotta policroma con paesaggio nilotico (sec.
II); statua del dio Anubis con gli attributi di Mercurio (sec. I-II).
SALA V (EMICICLO): significativi esempi di statuaria egizia. A destra
entrando: *testa di statua in arenaria dipinta del faraone Monthuhotep
II (c. 2060-2040 a.C.); varie statue della dea leonessa Sekhmet (1360
a.C.); statua colossale della regina Tuya, moglie di Sethi I e madre di
Ramsses II (c. 1250 a.C.), già nel «Ramesseum» di Tebe (fu portata a
Roma da Caligola, come le altre due che sono citate in successione,
per adornare un padiglione ‘egizio’ negli «horti Sallustiani»); statua
colossale di Tolomeo Filadelfo (284-246 a.C.) e della sposa e sorella
Arsinoe, già a Heliopolis; statua colossale di Drusilla Arsinoe (c. 40
d.C.), sorella di Caligola, scolpita a Roma a imitazione della statua di
Arsinoe; busto di Serapide, in basanite (sec. II).
La TERRAZZA dell’emiciclo (lungo la quale sono disposte alcune
statue della dea Sekhmet, datate tra il 1403 e il 1365 a.C.) si inserisce
nel nicchione detto del Bramante, fondale del cortile della Pigna (v.
sotto) del quale si ammira qui, oltre alla monumentale scultura da cui
prende nome, una bella visuale d’insieme. Nel cosiddetto nicchione del
Bramante o della Pigna sono collocati anche tre sarcofagi. Quello di
sinistra appartiene al sacerdote di Amon, Psammetico, ed era chiuso
dal coperchio la cui maschera è conservata all’ingresso della sala II. Il
sarcofago di destra appartiene al sacerdote Nakht-Hor-em-hab,
mentre quello al centro del Nicchione all’amministratore Iuf-âa. Tutti e
tre i sarcofagi si datano alla XXVI dinastia (attorno al 650 a.Cristo). Ai
piedi delle due scalinate che danno accesso alla terrazza sono disposte
simmetricamente due statue di leoni accosciati del faraone Nectanebo
I.
Le SALE VI e VII sono dedicate a una raccolta di piccoli bronzi e
alla collezione Grassi (la donò a Pio XII la vedova del collezionista
Carlo Grassi) formata da oggetti appartenenti a varie epoche,
dall’Antico Egitto al periodo copto e all’Egitto musulmano, tra cui varie
ceramiche islamiche dei sec. XI-XV; notevole, nella VI, l’*incensiere in
bronzo a forma di braccio teso. Nella SALA VIII, esempi di alcune
tipologie di vasellame prodotto nel Vicino Oriente antico (dal 4000 a.C.
all’epoca imperiale romana); sulla d., tavolette cuneiformi e sigilli
mesopotamici provenienti dalla collezione del Pontificio Istituto Biblico.
Nella SALA IX, rilievi assiri che rivestivano le pareti dei palazzi reali di
Nimrud e Ninive (sec. IX-VII a.C.; alcuni recano tracce dell’incendio che
distrusse Ninive nel 626). Inoltre, sono rilievi e iscrizioni neoassiri – a
soggetti mitico-simbolici, cerimoniali, militari e civili – che
costituiscono la più ricca collezione del genere in Italia.
Al fine di esporre il lascito testamentario di Federico Zeri, è stata
allestita la nuova SEZIONE PER LE ANTICHITÀ DEL VICINO ORIENTE, che
comprende un’importante serie di rilievi funerari (I-III sec. d.C.)
provenienti dalla città di Palmira in Siria. Per questo gruppo di
manufatti è stata ricostruita idealmente la nicchia di una tomba, in
modo da rendere comprensibile la disposizione originaria dei rilievi. Da
notare il ritratto di giovane proveniente dalla necropoli romana del
Fayyum (IV sec. d.C.), realizzato con l’antica tecnica pittorica
dell’encausto (i colori erano sciolti nella cera e riscaldati prima
dell’uso); inoltre, prezioso e raro lenzuolo funebre di lino con il ritratto
di una giovane donna, detto Dama del Vaticano (metà III sec. d.C.),
proveniente da Antinoe, che è stato oggetto negli anni 1996-99 di un
complesso restauro.
Le antichità di Siria, Palestina, Israele, Giordania, Libano, Iraq,
Iran e Turchia comprendono vasellame, armi e oggetti di lusso. Si
segnalano in particolare una statuetta della Dea Madre (circa 5600
a.C.) e un’antica spada in ferro da Gerusalemme (X sec. a. Cristo).
Dalla Mesopotamia proviene una ricca selezione di tavolette
cuneiformi, tra le quali degno di rilievo è un cilindro iscritto di
Nabucodonosor II di Babilonia (605-562 a.C.); infine è esposto un
elemento decorativo invetriato (fine XIV sec. a.C.) dell’Iran sud-
occidentale.

IL CORTILE DELLA PIGNA. Lasciato a sin. l’ingresso al Museo Pio-


Clementino →, si scende per una scala verso il Museo Chiaramonti,
uscendo però a d., prima di visitarlo, nello spazio che costituisce la
parte N del bramantesco cortile del Belvedere, dominato dal solenne
*nicchione detto del Bramante. Quest’ultimo aveva progettato
l’enorme cortile del Belvedere, steso per c. 300 m fra il palazzetto di
Innocenzo VIII (a N) e il Palazzo Vaticano (a S) e racchiuso fra lunghi
corridoi di raccordo, distanziati 70 m e scanditi in tre terrazze
digradanti. Per la testata della terrazza superiore ideò un fondale
architettonico con nel mezzo un’esedra a gradinate; su questa, più
tardi, Pirro Ligorio elevò il nicchione (i pagamenti testimoniati datano
dal 1562 al 1565), erroneamente ritenuto di Bramante, sistemato poi
da Clemente XI che vi appose il proprio stemma. Nel 1587-88 il cortile
fu interrotto a metà dall’ala longitudinale della biblioteca, eretta da
Domenico Fontana per volere di Sisto V; sotto Pio VII, nel 1816-22,
Raffaele Stern costruì, parallelo alla testata del nicchione, il Braccio
Nuovo dei musei, cosicché lo spazio risultò diviso in tre parti: una
meridionale che conserva il nome di cortile del Belvedere →, una
intermedia detta cortile della Biblioteca e quella più elevata detta
cortile della Pigna.
Il cortile prende nome dalla colossale *pigna di bronzo, collocata
sul ripiano della scalinata che si svolge a doppia rampa davanti al
nicchione e posata su un grande *capitello con l’Incoronazione di un
atleta vittorioso (dalle Terme Neroniano-Alessandrine; sec. III). La
pigna, opera romana trovata presso le terme d’Agrippa e firmata da
un Publio Cincio Salvio, decorava probabilmente una fontana presso il
tempio di Iside e Serapide e gettava acqua dalle punte; nel Medioevo
dette il nome al rione Pigna e più tardi venne collocata nell’atrio
dell’antica basilica di S. Pietro, dove alimentava il «cantharus». La
fiancheggiano le riproduzioni di due pavoni in bronzo (gli originali si
trovano nel Braccio Nuovo) che si ritengono provenienti dal mausoleo
di Adriano; sotto, due leoni accovacciati, in basalto, sul cui basamento
è il nome del faraone Nectanebo I (378-360 a.C.). Sul lato che
costeggia il Museo Chiaramonti si trova una colossale testa,
considerata un ritratto postumo dell’imperatore Augusto, che
apparteneva, prima del suo ingresso nei Musei Vaticani nel 1802, alla
collezione Mattei.
IL MUSEO CHIARAMONTI, pure di antichità, fu fondato da Pio VII
(Barnaba Chiaramonti) nel 1808 e si divide in tre parti: il Museo
Chiaramonti propriamente detto, la Galleria Lapidaria e il Braccio
Nuovo. Ordinato secondo i criteri dettati da Antonio Canova, è
interessante per abbondanza, varietà e, in parte, rarità delle opere.
Il MUSEO CHIARAMONTI (6) propriamente detto occupa poco meno
della metà della lunghissima galleria (c. 300 m) che, progettata da
Bramante e in parte da lui stesso eseguita, si sviluppa continua tra il
palazzetto di Innocenzo VIII e il Palazzo Vaticano. Il tratto occupato
dal museo ha le pareti scandite da paraste in 30 scomparti per lato
indicati con numeri romani (i dispari a sin., i pari a d.); i numeri arabi
(qui come in tutti i Musei d’Antichità) sono quelli di posizione dei pezzi.
Le lunette in alto furono affrescate in stile neoclassico dal 1817, tra gli
altri da Francesco Hayez, con allegorie esaltanti il pontificato di Pio
VII.

LE OPERE. SCOMPARTO I: 3, sarcofago di Gaius Iunius Euhodus e


della consorte Metilia Acte (161-170; il rilievo rappresenta il mito di
Alcesti; in Alcesti e Admeto sono ritratti i due defunti). SCOMPARTO II:
15, erma di Efesto; la testa è forse una copia romana da Alkamenes
(421-416 a.C.). SCOMPARTO IV: 3, statua di Igea (replica della prima età
imperiale: la testa da originale di fine sec. V a.C.; il torso da originale
del III a.C.). SCOMPARTO V: 3, statua loricata di Antonino Pio (torso della
seconda metà del sec. II; testa non pertinente). SCOMPARTO VII: 2,
frammenti di rilievo con le cosiddette Aglauridi, copia adrianea di
un’opera neoattica da modelli databili tra l’ultimo quarto del sec. V a.C.
e la seconda metà del IV a. Cristo. SCOMPARTO IX: 3, gruppo di Ercole
col figlio Telefo, rielaborazione romana da un prototipo del sec. IV a.
Cristo. SCOMPARTO X: 26, ollario di Publius Nonius Zethus e dei suoi
parenti, blocco marmoreo squadrato su cui superiormente sono
praticate otto cavità coniche, destinate ad accogliere i vasi cinerari;
l’iscrizione sepolcrale è fiancheggiata da due rilievi rappresentanti un
mulino girato da un asinello e arnesi per la lavorazione della farina
(sec. I). SCOMPARTO XI: 12, testa erroneamente ritenuta di Cicerone
(sec. II). SCOMPARTO XII: 3, statua funeraria di Cornutus come Saturno
(fine sec. III); 4, rilievo di sarcofago con raffigurazione di un mulino
(sec. III). SCOMPARTO XIII: 1, statua restaurata come di Hermes (testa
da originale greco di fine sec. V a.C.; torso da originale della metà
dello stesso); 4, gruppo di Ganimede con l’aquila di Giove,
rielaborazione romana di età adrianea di un tipo della prima età
ellenistica. SCOMPARTO XVI: 3, testa di Athena, copia di età adrianea da
originale greco della cerchia fidiaca (terzo quarto sec. V a.C.).
SCOMPARTO XVII: 3, statua di sileno con pantera, replica da originale
ellenistico del sec. III a. Cristo. SCOMPARTO XIX: 13, *Ritratto di romano
della seconda metà del sec. I a.C.; 12, Ritratto di un sacerdote di
Iside, cosiddetto «Scipione Africano» (sono segni caratteristici di
questo sacerdozio la testa rasata e la piccola cicatrice quasi cruciforme
sulla fronte; sec. II). SCOMPARTO XX: 5, statua di Athena, da originale
greco della cerchia di Mirone (tardo sec. V a.C.). SCOMPARTO XXI: 1,
statua di Eros che tende l’arco, replica della nota statua di Lisippo.
SCOMPARTO XXXI: 2, rilievo con le tre Charites, copia di un originale di
Sokrates (c. 470 a.C.) dall’Acropoli ateniese. SCOMPARTO XXXII: 3,
statua di Dace prigioniero, di età traianea. SCOMPARTO XXXV: 17,
Ritratto virile col capo velato secondo il rituale dei sacrifici, arte
romana del sec. I a. Cristo. SCOMPARTO XXXVI: 3, statua di atleta in
riposo, rielaborazione romana eclettica (sec. I a.C.; il corpo imita
l’Apollo liceo prassitelico). SCOMPARTO XXXVII: 3, statua di Ercole con la
clava, da modelli greci del sec. IV a. Cristo. SCOMPARTO XL: 1, statuetta
di musa, cosiddetta Polimnia, copia romana da originale ellenistico del
sec. II a.C. che potrebbe riconoscersi nel gruppo scolpito da Philiskos
di Rodi; 3, statua di Artemide cacciatrice, da due originali: torso
analogo al tipo dell’Artemide Colonna, testa da originale di fine sec. V
a.C.; 4, cippo del «magister fabrum» Gaius Vedennius Moderatus (età
di Domiziano, sec. I), con rappresentazione di due macchine e attrezzi
bellici. SCOMPARTO XLIII: 18, statuetta di Ulisse, parte di un gruppo
ispirato a originale greco della seconda metà del sec. II a. Cristo.
SCOMPARTO XLVII: 14, Ritratto femminile di tarda età tiberiana; 16,
Ritratto di ignoto (terzo quarto sec. I a.C.). SCOMPARTO LVIII: 8,
l’Inverno, figura femminile sdraiata lungo un rivo ove pesci e uccelli
acquatici vengono catturati da eroti, opera romana d’età antonina.
SCOMPARTO LIX: 7, l’Autunno, figura femminile con eroti vendemmianti
(età antonina).

La GALLERIA LAPIDARIA (7), che occupa la parte più lunga della


galleria bramantesca (visita a richiesta alla Direzione Generale) e che
si trova al di là di un cancello, è una collezione epigrafica iniziata da
Clemente XIV, arricchita da Pio VI e Pio VII, ordinata e classificata dal
celebre epigrafista Gaetano Marini. Delle 4125 iscrizioni, quelle pagane
(le sepolcrali provengono dalle necropoli esterne alle mura) si
dispongono sul lato sin.; le cristiane (in massima parte dalle
catacombe) a destra. Custodisce anche cippi, sarcofagi e frammenti
vari. Tra le SEZIONI XLIII e XLI: cippo di Atimeto, coltellinaio, con
rappresentazione della bottega e dell’officina (sec. I). XLI: 1,
iscrizione, già a lettere di bronzo, in onore di Traiano e Plotina,
proveniente dal tempio del Divo Traiano nel foro omonimo. XXXVII:
iscrizione posta per decreto del Senato a Gaius Vibius Pansa, uno dei
due consoli romani caduti nella battaglia di Modena (43 a.C.). XXXI:
lapidi di «equites singulares», guardie imperiali a cavallo (dal loro
sepolcreto sull’antica via Labicana). I A: 18, iscrizione di un bagno
pubblico nel «fundus» di Aurelia Faustiniana sull’antica Via
Nomentana. In fondo, tra i due cancelli, iscrizione relativa ai lavori di
livellamento del «clivus Martis» all’inizio della Via Appia Antica. A
destra, dietro il cancello, celebre PROSPETTIVA di Angelo Toselli (1814),
che finge una falsa loggia la quale raddoppia simmetricamente la
prima loggia del cortile di S. Damaso.
Il BRACCIO NUOVO (8), che precede il cancello, è la terza e ultima
sezione del museo Chiaramonti; venne costruito da Raffaele Stern
(1817-22) attraverso il cortile del Belvedere e fu così detto per
distinguerlo dal braccio più antico della biblioteca. È una luminosa
galleria di m 70x8, con volta a botte, fiancheggiata da una serie
continua di nicchie contenenti le statue e da una doppia sfilata di busti
su rocchi di colonne e su mensole; a metà è interrotta da una sala
absidata, con colonne antiche di marmi diversi e di granito; nel
pavimento, mosaici antichi (il primo raffigura Ulisse e le sirene, da una
villa del sec. II a Tor Marancia; quello al centro, Diana d’Efeso).

LE OPERE. Si incomincia seguendo il lato destro. 5, *cariatide di


tipo attico del sec. V a.C. (replica di cariatide dell’Eretteo sull’Acropoli
di Atene; la testa è di Bertel Thorvaldsen). 11, *sileno con Dioniso
fanciullo sulle braccia, da originale della scuola di Lisippo. 14,
*Augusto di Prima Porta, copia – trovata nel 1863 nella villa «ad
Gallinas Albas» – da una statua onoraria in bronzo, rappresentazione
dell’imperatore in età di c. 40 anni e in atto di parlare. La corazza è
finemente decorata in rilievo: sotto, le divinità del Cielo, Apollo e
Artemide, e, circondato dalle figurazioni del Mare e della Terra, Tiberio
che riceve da Fraate, re dei Parti, le insegne tolte a Crasso nel 53 a.C.
e allora (20 a.C.) recuperate. Ai piedi dell’imperatore, un amorino
cavalcante un delfino, simbolo di Venere, dea genitrice della gens
Julia. 23, cosiddetta *Pudicizia, dalla villa Mattei (potrebbe essere
invece Mnemosine madre delle muse, replica di un’opera di Philiskos
di Rodi, sec. II). 24, testa di giovane, forse divinità fluviale, copia
romana del II da modello fidiaco di metà V a.C. (il busto è moderno).
27, 33, 86, 107 (calco), agli angoli della sala absidata, teste di
Medusa, provenienti dal tempio di Venere e Roma (sec. II). Al centro
della nicchia rettangolare: 30i, busto con testa moderna di Giulio
Cesare; ai lati, in basso, cinque blocchi di pietra con iscrizioni di
membri della gens Julia e uno di un membro della gens Flavia,
dall’«ustrinum» prossimo al mausoleo di Augusto; ai lati, in alto, 30d e
30c, due pavoni in bronzo dorato, probabilmente dal mausoleo di
Adriano. Continuando lungo la galleria: 40, cariatide, opera di Kriton e
Nikolaos ateniesi (c. 160; dal Pago Triopio di Erode Attico sull’Appia
Antica); 43, statua di Selene (copia di età adrianea da originale
ellenistico); 53, *Ritratto di romano, di età flavia. Giunti alla testata
della galleria (busto di Pio VII, di Antonio Canova; oltre la cancellata la
sala Alessandrina della biblioteca, →), la si ripercorre a ritroso. 64,
*statua di Demostene, replica dell’originale in bronzo di Polieucto (280
a.C.); 67, *amazzone ferita (braccia e piedi aggiunti da Thorvaldsen),
copia da una delle statue efesine di Kresilas (sec. V a.C.); 74, busto di
Adriano; 76, statua di Giunone, del tipo della Giunone Borghese di
Copenaghen attribuito ad Alkamenes (seconda metà V a.C.); 79,
Fortuna, da originale greco del IV a.C.; 85, *statua di Artemide (tipo
detto Colonna), da originale greco del 325 a.C. circa. Nell’emiciclo, al
centro, 106, *il Nilo, opera romana del sec. I, forse da originale
ellenistico, collocata nel tempio di Iside e Serapide e trovata nel 1513
presso S. Maria sopra Minerva (gli faceva riscontro il Tevere, oggi al
Louvre). La figura del fiume è adagiata presso una sfinge e ha una
grande cornucopia; sul corpo gigantesco si arrampicano 16 putti
(molto restaurati) che scherzano fra loro; sul retro e ai lati della base,
rilievi di scene comiche di vita nilotica: pigmei che combattono contro
coccodrilli e ippopotami, questi fra loro, e ibis contro i coccodrilli.
Lungo l’emiciclo, in una nicchia alle pareti, 89, *busto di fine sec. I o
inizi II; 105, statua di Diana (testa originale alessandrina).
Continuando nella galleria: 111, *Athena Giustiniani, statua in marmo
di Paro, la copia minore (di età antonina) di un originale in bronzo da
alcuni attribuito a Cefisodoto o a Eufranore (principio sec. IV a.C.);
112, ritratto ritenuto del console Gneo Domizio Enobardo, capitano
nella Gallia e partigiano d’Antonio, poi d’Ottaviano; 117, *satiro in
riposo, dalla celebre statua di Prassitele; 120, *atleta con testa di
Lucio Vero, copia romana da originale di Mirone; 123, *Doriforo, dal
bronzo di Policleto; 126, statua loricata di Domiziano (testa forse non
pertinente).

AL *MUSEO PIO-CLEMENTINO (9) si accede attraverso il cosiddetto


vestibolo quadrato, dopo essere ritornati all’ingresso del Museo
Chiaramonti e aver risalito la scala già percorsa. Comprendente
soprattutto opere di scultura greca e romana, deriva il nome da papa
Clemente XIV, cui si deve la prima fondazione (1771), e dal suo
successore Pio VI, che arricchirono la raccolta di sculture già esistente
dal Rinascimento nel Cortile ottagono (Antiquario delle statue),
adattando allo scopo alcuni locali del palazzetto di Innocenzo VIII e
aggiungendone di nuovi. In questi lavori si perdettero parte degli
affreschi del Pinturicchio e la cappella di S. Giovanni Battista
affrescata da Andrea Mantegna.

LE COLLEZIONI. Nel VESTIBOLO QUADRATO (decorazione di Daniele da


Volterra, voluta da Giulio III che aveva fatto della stanza un ninfeo,
abolito da Clemente XIV): presso la finestra, busto di Clemente XIV; lo
fronteggia il *sarcofago in peperino di Lucio Cornelio Scipione
Barbato, console nel 298 a.C., trovato nel sepolcro degli Scipioni sulla
Via Appia Antica. Da qui si passa nel VESTIBOLO ROTONDO, al centro del
quale, grande tazza di pavonazzetto e intorno quattro frammenti di
statue. (Dal balcone, notare la singolare *fontana della Galera – 10 –,
costituita dal modello in piombo di un galeone seicentesco,
ornatissimo, armato con cannoni che gettano acqua; la nave sembra
galleggiare sull’ampia peschiera addossata alle strutture del corridoio
di Bramante, che collegano il Palazzo Vaticano al palazzetto di
Innocenzo VIII.)
Il GABINETTO DELL’APOXYOMENOS è contiguo al vestibolo rotondo: nel
mezzo, l’*Apoxyomenos, dall’originale in bronzo di Lisippo (340-320
a.C.), raffigurante un atleta vincitore nel momento in cui, con lo
strigile, si deterge il sudore e la polvere mista all’olio di cui era
cosparso prima della lotta; la statua – scoperta in Trastevere nel 1849
– è l’unica replica che si conosca del capolavoro lisippeo il cui valore
eccezionale sta nel superamento del punto di vista frontale a favore
della tridimensionalità della visione e nella resa plastica della figura
umana. Presso la finestra, l’ara Casali, con rappresentazioni relative
alle origini di Roma (sec. II-III). Alle pareti: a d., in alto, iscrizione del
console Lucius Mummius, il conquistatore della Grecia, menzionante
un suo voto fatto durante la guerra del 146 a.C.; a sin., iscrizioni
latine arcaiche, provenienti dal sepolcro degli Scipioni. Dall’ambiente
alle spalle del gabinetto dell’Apoxyomenos – rilievo con nave da
guerra (da Palestrina), monumento funerario del sec. I a foggia di
nicchia (da Todi), tre mosaici con scene del circo – si vede la *scala
di Bramante, dei primi del ’500, a rampa elicoidale su cinque piani,
con colonne di granito nei quattro ordini: tuscanico, dorico, ionico,
corinzio; è ricavata nel vano di una torre quadrangolare addossata al
palazzetto di Innocenzo VIII.
Il CORTILE OTTAGONO (11) si trova a sin. tornando nel vestibolo
rotondo; venne costruito da Giacomo da Pietrasanta su disegno di
Bramante e trasformato da Michelangelo Simonetti (1773), che vi
aggiunse l’elegante portico ottagonale di ordine ionico formato da
edicole ornate nei timpani di maschere sceniche e collegate da
passaggi; quelle agli angoli sono i cosiddetti gabinetti, che contengono
sculture di eccezionale interesse.
Passando nel portico a sin. si entra nel GABINETTO DELL’APOLLO, con
l’*Apollo del Belvedere, da originale forse bronzeo del sec. IV a.C.
concordemente attribuito a Leocare: il giovane dio teneva nella mano
sin. l’arco e nella d. un ramoscello d’alloro avvolto in bende, simbolo
del suo potere risanatore; opera tra le più affascinanti della statuaria
antica, fu rinvenuta a fine ’400 probabilmente nei pressi di S. Pietro in
Vincoli.
Nel portico seguente, al centro, è ricostruita sommariamente una
delle fontane situate nel ’500 agli angoli del cortile: statua di Fiume,
del sec. II, con testa integrata nel XVI da uno scultore della cerchia di
Michelangelo; sotto, sarcofago con amazzonomachia.
Si entra nel GABINETTO DEL LAOCOONTE, in cui è il famoso gruppo del
*Laocoonte, in marmo greco, copia (eseguita da Agesandro e dai
figli Atenodoro e Polidoro, scultori di Rodi del sec. I, da un originale
bronzeo ellenistico) che, trovata nel 1506 nella Domus Aurea, esercitò
una grande influenza sull’arte del Rinascimento maturo. La
rappresentazione (dell’episodio di Laocoonte che, avendo messo in
guardia i Troiani contro l’insidia del cavallo di legno costruito dai Greci,
venne soffocato insieme ai figli da due serpenti che Athena aveva
fatto uscire dal mare) fu sempre definita di virtuosità straordinaria. Nel
’500 Giovanni Angelo Montorsoli completò erroneamente il gruppo
(mutilo del braccio d. del sacerdote e di quello, pure d., del figlio
minore), alterandone il profilo che in origine era raccolto entro uno
schema piramidale; liberato nel 1957-60 dalle aggiunte di restauro, è
stato in parte ripristinato con l’inserimento di un frammento originale,
avente il braccio ripiegato anziché disteso, detto «braccio Pollak»
(dall’archeologo che ne rivendicò l’appartenenza al gruppo e lo donò).
Dietro lo zoccolo è infisso il braccio, pure ripiegato, scolpito, per
integrare la mutilazione della scultura, secondo il progetto del seguace
di Michelangelo Montorsoli (c. 1507-1563).
Dopo il portico che custodisce due molossi (copie del sec. III da
originali di arte pergamena) e che immette nella sala degli Animali (v.
oltre), si entra nel GABINETTO DELL’HERMES, con *Hermes (già detto
Antinoo del Belvedere), replica forse di età adrianea di un originale di
arte prassitelica del IV a.C., probabilmente raffigurante l’Hermes
psychopompos (conduttore delle anime all’Ade).
Nel portico seguente: entro nicchia, gruppo di Venere Felice e
Amore (il corpo è replica dell’Afrodite Cnidia di Prassitele, mentre la
testa è un ritratto di dama romana del sec. II); a sin., addossato alla
parete è un grande sarcofago con amazzonomachia e Achille con
Pentesilea (sec. III).
Il successivo GABINETTO prende nome dal *Perseo di Antonio
Canova (1800), elegante creazione visibilmente influenzata dall’Apollo
del Belvedere; ai lati, i due pugilatori Creugante e Damosseno, dello
stesso. Le tre sculture furono qui collocate per colmare in qualche
modo la perdita di buona parte dei capolavori dell’arte classica
asportati dal cortile e trasferiti in Francia in seguito alle clausole del
trattato di Tolentino (1797).
Segue il portico con un grande sarcofago dalle testate curve,
protomi leonine e rilievo con corteo bacchico; sopra, un fronte di
sarcofago (metà sec. III) con probabile raffigurazione del porto di
Ostia; a d., bella colonna decorata con motivi vegetali.
La SALA DEGLI ANIMALI, cui si accede dopo aver attraversato il
cortile, è un lungo ambiente rettangolare che si apre sulla galleria
delle Statue (v. sotto) e sulla sala delle Muse → ed è diviso in due
parti da un passaggio con colonne di granito; realizzata in parte al
tempo di Pio IV, fu duplicata in lunghezza da Michelangelo Simonetti
(c. 1776) per ospitare sculture di animali modellate o restaurate da
Francesco Antonio Franzoni. Nel pavimento del passaggio mediano,
mosaico a tessere bianche e nere con un Falco che divora una lepre
fra motivi ornamentali e uccelli palustri; nelle sezioni laterali, due
mosaici a colori con *nature morte entro riquadri (sec. IV). Nell’ala
sin.: 40, *statua di Meleagro con cane e testa del cinghiale ucciso,
replica romana del 150 c. da originale di Skopas del sec. IV a.C.; a d.,
sotto la finestra, 25, testa colossale di cammello, già bocca di fontana,
replica da originale ellenistico del II a.C.; a sin., 62, centauro marino
con nereide e amorini, forse originale del tardo ellenismo; 68, torso
del minotauro, molto probabilmente da un gruppo (con Teseo) replica
da originale greco del V a. Cristo. Nell’ala d.: 150, gruppo di Mitra che
uccide il toro, opera romana del sec. II; sulla parete, ai lati, 152 e 138,
due piccoli *mosaici a tessere minute raffiguranti tori assaliti da un
leone e paesaggio con capre (dalla villa Adriana, sec. II); 121,
granchio in raro porfido verde.
La GALLERIA DELLE STATUE, che si apre al fondo dell’ala d., è per due
terzi ricavata nel palazzetto di Innocenzo VIII (qui, nella galleria dei
Busti e nel gabinetto delle Maschere si segnalano anche i numeri
d’inventario dei pezzi); a c. un terzo del pavimento, l’iscrizione di Pio
VI indica il punto di sutura con le nuove costruzioni: da qui in avanti le
volte sono contrassegnate da stemmi di Innocenzo VIII, mentre le
pareti sono scandite da paraste decorate da candelabre della scuola di
Pinturicchio, resti di paesaggi (molto rovinati) e di festoni, lunette con
putti. La metà anteriore della volta fu affrescata durante il pontificato
di Pio VI da Cristoforo Unterberger, con tondi e finti bassorilievi a
grisaille che imitano la sezione più antica della volta. Da destra: 85
(769), *Eros di Centocelle o genio del Vaticano, più probabilmente
statua di Thanatos, da originale del sec. IV a.C.; 82 (767), atleta, con
testa non pertinente, della scuola di Policleto; 80 (765), *busto di
tritone o centauro marino, di arte ellenistica (sec. II a.C.); 67 (754), la
cosiddetta Penelope, forse immagine sepolcrale, di stile severo, con
testa riportata; 62 (750), *Apollo sauroctono, replica romana da
originale in bronzo di Prassitele; 59 (748), *amazzone dalla villa Mattei
(una delle amazzoni efesie; mal restaurata, si ritiene derivata da
quella di Fidia, ma non manca chi vi riconosce l’amazzone di Cresila; la
testa non è pertinente); 53 (743), musa, della stessa serie delle muse
trovate a Tìvoli (mal restaurata come Urania; le altre sono esposte
nella sala delle Muse, v. oltre); 51 (735), *Posidippo (poeta comico,
sec. III a.C.) e, 50 (588), preteso Menandro, copie romane di due
statue greche. Si continua il giro riprendendolo dall’inizio. Lato
sinistro: 41 (579), Apollo citaredo, da originale del tardo arcaismo
greco, forse di arte peloponnesiaca (inizi sec. V a.C.); 39 (577),
Narciso, statua romana di tipo alessandrino; 35 (573), Opellio
Macrino, l’unico ritratto autentico dell’imperatore; 33 (571), Esculapio
e Igea, di stile ellenistico (da Palestrina); 29 (567), frammento di un
gruppo di due niobidi, della serie dei niobidi di Firenze, da originale del
sec. III a.C.; 22 (561), *satiro in riposo, replica dall’originale di
Prassitele. Nel mezzo della testata di sin. della galleria, 11 (548),
*Arianna dormiente, da originale di arte ellenistica (II a.C.); ai lati, 10
(547) e 13 (551), i *candelabri Barberini (in quello di d.,
bassorilievo con Marte, Minerva e Venere; nel sin., Giove, Giunone e
Mercurio; sec. II, dalla villa Adriana); 5 (544), *Hermes Ingenui
(cosiddetto probabilmente dal nome dello scultore), elaborazione
romana del sec. II a.C.; 1 (541), statua loricata di Lucio Vero.
Alla GALLERIA DEI BUSTI si accede dal fondo della galleria delle
Statue; venne realizzata sotto Clemente XIV con l’unione, mediante
arcate su colonne, di quattro ambienti del palazzetto di Innocenzo
VIII. SALETTA 1 (volta a riquadri con figure e due pavoni, recanti il
motto «Leauté passe tout», dipinta forse da Pier Matteo da Amelia;
nelle lunette, putti con stemmi di Innocenzo VIII e mezze figure, forse
di filosofi, in coppia): da d., in alto, 120 (711), *Caracalla; 123 (714),
*Ottaviano giovanetto; 122 (713), *Giulio Cesare. SALETTA 2 (con volta
come quella precedente e lunette con mezze figure, forse di filosofi).
Da destra: 106 (698), Saturno, da originale di transizione dal sec. V al
IV a.C.; 103 (695), testa di guerriero, da uno dei donari di re Attalo,
scuola pergamena; 102 (694), Menelao, testa dal gruppo di Menelao
sostenente il corpo di Patroclo. Nel mezzo della saletta, 111 (783),
base rettangolare con rilievi neoattici, raffiguranti la visita di Dioniso a
Icario, Eros e Thanatos che bruciano un’anima (in forma di farfalla)
nel mezzo di un corteo bacchico e, nei lati minori, scene campestri con
Ercole e una dea. SALETTA 3: soffitto con pitture allegoriche delle
Quattro Stagioni di Cristoforo Unterberger; nella nicchia, 77 (671),
*statua seduta di Giove detto Verospi (dall’omonimo palazzo); davanti
alla statua, 91 (784), globo celeste con zodiaco e stelle. Si ritorna
nella saletta 2 e si passa a d. nel CAMERINO 4; nell’arco di passaggio, a
d., in alto, 58 (641), maschera di Giove Ammone, divinità greco-
egizia, da prototipo del principio del sec. IV a.C.; 52 (637), statua di
donna orante, detta Pietà, forse ritratto di Livia, moglie di Augusto; 41
(626), testa di Giunone, da originale greco del sec. V a. Cristo. Nella
lunetta sopra il passaggio, affresco con cantori (sec. XV).
Nel GABINETTO DELLE MASCHERE si entra da un piccolo vestibolo che
fronteggia l’ingresso alla galleria delle Statue; è una saletta quadrata,
con colonne di alabastro, eretta da Pio VI con frammenti architettonici
in parte antichi. Sul soffitto, Giudizio di Paride, Diana ed Endimione,
Bacco e Arianna, Venere e Adone, tele di Domenico De Angelis (1791-
92); nel pavimento, quattro piccoli *mosaici a colori (dalla villa
Adriana), tre con maschere sceniche e uno con paesaggio (sec. II). Da
destra: 41 (815), statuetta di Venere al bagno, una delle molte
repliche (ridotta) del celebre originale di Doidalsas di Bitinia (seconda
metà sec. III a.C.); 37 (812), *Venere di Cnido, importante replica
della celebre Afrodite di Prassitele (sec. IV a.C.); 35 (810), le tre
Grazie, copia da originale di età ellenistica; inoltre, alle pareti, scene
delle fatiche di Ercole a bassorilievo. A destra è l’accesso alla LOGGIA
SCOPERTA che unisce il gabinetto delle Maschere al camerino 4 dei
busti.
Si torna indietro fino alla sala degli Animali, il cui passaggio
mediano si allarga nella SALA DELLE MUSE (Michelangelo Simonetti,
1782), che consta di uno spazio ottagonale (con volta decorata di
affreschi e tele di Tommaso Conca) preceduto e seguito da vestiboli,
con 16 colonne corinzie in marmo di Carrara. Nel mezzo, il famoso
*torso del Belvedere, ritenuto dai più Ercole o altro gigante della
mitologia, seduto sopra una pelle ferina; firmato da Apollonios di
Nestor ateniese, della corrente neoattica, vivente a Roma verso la fine
della Repubblica, fu rinvenuto ai primi del sec. XV e destò in seguito
grande ammirazione negli artisti del Rinascimento, primo fra tutti
Michelangelo che vi si ispirò in particolare per le figure degli «ignudi»
nella volta della Cappella Sistina. Nel 1° vestibolo, a d. in alto, 66,
rilievo con *danza pirrica, copia romana di età tardo-repubblicana,
ispirata a un rilievo attico del sec. IV a.C.; 68, Sofocle, da originale del
IV a. Cristo. Alle pareti dello spazio centrale sono addossate le statue
delle nove muse e di Apollo musagete, dalla villa di Cassio presso
Tìvoli, datate al sec. II (non appartengono a questo nucleo, 9,
Euterpe, musa della lirica, e, 57, Urania, dell’astronomia). Inoltre,
notevole serie di erme di poeti, filosofi, dei Sette Savi e altri
personaggi, repliche romane di originali greci per lo più del IV, una
parte delle quali fu trovata insieme al gruppo delle muse; quella, 11,
di Platone è copia di una statua di Silanion. Nel 2° vestibolo, le erme
con iscritti i nomi di Aspasia (47) e di Pericle (44) sono copie da
originali greci del sec. V a.C. (la seconda da un’opera di Kresilas);
quelle con i nomi di Periandro (29) e di Biante (32), da opere del IV a.
Cristo.
La SALA ROTONDA, a nicchie tra alte lesene composite, coperta da
cupola imitante quelle degli edifici romani, è opera del Simonetti (c.
1782). Nel pavimento, grande *mosaico delle terme di Otrìcoli, a
colori e diviso in scomparti con lotte di Greci contro centauri e gruppi
con divinità marine e fluviali. Nel mezzo, enorme tazza monolitica di
porfido (dalla Domus Aurea). Nel giro esterno, mosaico in bianco e
nero (pure da Otrìcoli e dal territorio di Sacrofano). Da destra: 3,
*Giove di Otrìcoli, copia del sec. I d.C. dalla nota immagine greca
del IV a.C.; 6, *statua di divinità femminile (restaurata come
Demetra), vestita di peplo, da originale greco del V a.C. della cerchia
di Fidia; 8, statua colossale di Ercole, in bronzo dorato (alta m 3.8),
opera romana (fine sec. II) da tipi greci del IV a.C., sepolta presso il
teatro di Pompeo perché colpita da un fulmine; 10, statua di dea detta
«Hera Barberini», replica romana di un originale greco del V a.C.; 15,
busto di Serapide, replica del sec. II di un originale greco del IV a.C.;
19, statua di Giunone Sospita (venerata a «Lanuvium»), creazione
romana del sec. II, con influssi arcaicizzanti e classici.
Si giunge nella SALA A CROCE GRECA, armonioso ambiente neoclassico
del Simonetti. Ai lati della porta d’accesso dalla sala rotonda, 6 e 8,
due telamoni di imitazione egizia, di età adrianea (da Tìvoli). Spiccano
due grandi sarcofagi in porfido: a d., 71, *sarcofago di Costantina,
figlia di Costantino (sec. IV), con figure simboliche cristiane, tratte dal
repertorio tradizionale pagano, e girali di acanto (dal mausoleo di S.
Costanza); a sin., 72, *sarcofago di S. Elena, madre di Costantino
(forse preparato per il marito Costanzo Cloro), con figure in altorilievo
(sec. IV; da Tor Pignattara). Nel pavimento, al centro della sala,
mosaico a colori rappresentante uno scudo con busto di Minerva e le
fasi della luna (sec. III, da «Tùsculum»); ai piedi delle colonne sul
fondo, 35 e 36, due sfingi in granito di età imperiale (sec. I-III);
inoltre, entro nicchie lungo la parete d., 10, statua di Augusto e, 17,
statua di Lucio Vero giovane.

*MUSEO GREGORIANO ETRUSCO. Dalla sala a croce greca si sale per


una delle due rampe laterali della scala Simonetti e, oltre il piano dove
si aprono la sala della Biga e la galleria dei Candelabri (v. pagine 656-
657), si continua fino all’ingresso di questa istituzione (5, 9),
preceduta da un grande cratere in basanite con maschere (ai lati, due
rilievi raffiguranti una Provincia conquistata e Demetra in trono). La
fondazione del museo (Gregorio XVI, 1837), uno dei più importanti nel
settore, ospita anche una raccolta di vasi greci e italioti e antichità
romane provenienti da Roma e dal Lazio, va collegata allo sviluppo
che le ricerche e gli studi di etruscologia ebbero nella prima metà
dell’800. Contiene, infatti, soprattutto le suppellettili provenienti dagli
scavi privati fatti nell’Etruria meridionale su licenza del governo
pontificio e acquistate in forza dei diritti di prelazione sanciti dall’editto
Pacca del 1820 a favore delle raccolte pubbliche; dopo il 1870 si
arricchì ancora per acquisti e donazioni. Alcune delle sale che lo
ospitano hanno notevoli decorazioni del sec. XVI.

LE COLLEZIONI. SALA 1ª. La prima età del Ferro etrusco-laziale (sec.


IX-VIII a.C.) è documentata da un cospicuo numero di ossuari biconici
(rinvenuti a fine ’700 nella necropoli di Vulci), a una sola ansa e
decorati con motivi geometrici incisi. Vi si accompagnano le prime
produzioni locali di ceramica in argilla di ispirazione euboico-cicladica,
mentre la cultura laziale è ben testimoniata da alcuni corredi tombali
del sec. IX a.C. provenienti da Castel Gandolfo e contraddistinti dalla
tipica urna a capanna.
SALA 2ª. Nel fregio in alto, fatti di Mosè, Aronne e il faraone,
affreschi di Federico Barocci e Taddeo Zuccari (1563). Contiene una
selezione del materiale ritrovato negli scavi del 1836-37 nella
necropoli del Sorbo, vicino a Cervèteri, da Vincenzo Galassi e
Alessandro Regolini; a esso si aggiunge quello ritrovato da Giovanni
Pinza nel 1906 nella tomba Giulimondi. Oltre alle suppellettili che
individuano ciascun sepolto, il corredo funerario, per la maggior parte
decorato in stile orientalizzante, annovera lebeti, tripodi, piatti
baccellati, alari, spiedi, un letto in bronzo, un carro, avanzi di una
biga, vasi e figurine in bucchero; fra gli oggetti d’oro e di elettro, le
fibule di cui alcune decorate a granulazione, con figurine di animali
(spiccano – vetrina A – la fibula da parata a disco con leoni e il
pettorale d’oro con figurine a sbalzo); fra gli oggetti d’argento e
d’argento dorato, tazze e coppe tra cui quelle fenicie, in argento
sbalzato, decorate con serie di cacce e con processione di animali e di
guerrieri ispirata a iconografie di origine egizia e assira. Nella vetrina
B, insieme al corredo della tomba Giulimondi, è esposto un grande
cratere corinzio e la ceramica attica a figure nere e rosse proveniente
dalle tombe «periferiche» del tumulo Regolini-Galassi. Nella vetrina C,
con il corredo del tumulo Calabresi caratterizzato da una serie di vasi
in bucchero decorati a rilievo (tra cui spicca la splendida ampolla
figurata con auriga e coppia di cavalli), ha trovato posto l’*urna
Calabresi, cinerario d’impasto rosso sovradipinto (seconda metà sec.
VII a.C.).
La SALA 3ª (dei bronzi) ha il soffitto a cassettoni e grande fregio in
stucco con figure e stemmi di Pio IV e storie della vita di
Nabucodonosor, affreschi di Nicolò Circignani e Santi di Tito. Al centro
è posto il celeberrimo *Marte di Todi, una delle opere maggiori del
museo. Si tratta di una statua di guerriero in bronzo di fine sec. V a.C.,
a grandezza quasi naturale, offerta in dono a un santuario
extraurbano di Todi da un facoltoso personaggio, di origine celta,
menzionato nell’iscrizione in lingua umbra sul bordo della corazza:
«Ahal Trutitis dunum dede» (Ahala Trutizio diede in dono). Nelle
vetrine (organizzate in ordine cronologico e tipologico) spiccano: nella
vetrina A, borchie con teste di Acheloo e di leone da Tarquinia, tripode
vulcente, anse del cratere donato da Giuseppe Micali a Gregorio XVI
nel 1837; nella vetrina B, la statuetta di aruspice e lo specchio di
Calcante introducono il visitatore alla disciplina religiosa etrusca; nella
vetrina C, dedicata alle armi e alle armature, la panoplia (ricomposta:
elmo, scudo e schinieri) rinvenuta nel sec. XIX in una tomba di
Bomarzo, i finimenti equini ritrovati nel 1864 nella necropoli di
Pozzuolo a Veio e la curiosa tromba proveniente da Vulci; nella vetrina
D (dedicata al mondo muliebre etrusco), le collezioni di specchi e di
ciste in lamina di bronzo, tra cui una splendida *cista ovale con una
convulsa lotta tra divinità e giganti realizzata in rilievo sulle pareti;
nella vetrina E, candelabri e thymiateria, provenienti soprattutto dagli
scavi ottocenteschi eseguiti a Vulci e Orte; infine, al centro della
vetrina F, suddiviso su tre piani, un corredo funerario in bronzo
proveniente dalla tomba di Laris Harenies di Bolsena, formato da un
servizio completo da banchetto del sec. IV a. Cristo.
SALA 4ª (dei monumenti in pietra). Si segnalano: tre sarcofagi in
tufo (due da Tuscania, l’altro da Tarquinia) e uno in travertino
alabastrino (dalla tomba dei Sarcofagi di Cervèteri), decorati, i primi
con saghe mitologiche, quello proveniente da Cervèteri di un corteo
funebre scolpito a bassorilievo sulla cassa. Completano l’allestimento:
due protomi di cavallo e due leoni ringhianti in nenfro, da Vulci, una
Statuetta femminile dall’area chiusina e la stele bilingue da Todi.
SALE 5ª e 6ª (delle terrecotte architettoniche e votive): vi sono
conservate terrecotte di varia provenienza che vogliono dare un’idea il
più possibile precisa del loro antico utilizzo. Fra quelle votive si
segnalano le riproduzioni di piccoli simulacri di culto, parti del corpo
umano (teste, arti, organi), di alimenti e di animali sacrificati. Fra
quelle architettoniche troviamo antefisse, parti di fregio e la
ricostruzione parziale di un timpano con altorilievi, trovato a Tìvoli, che
doveva adornare il frontone di un edificio sacro.
Le SALE 7ª e 8ª (degli ori) raccolgono oggetti preziosi per
ornamento muliebre, dalle più antiche testimonianze del sec. VII a.C.
sino all’età imperiale romana, fra cui due corredi funebri (vetrine D, E
e G): il primo (metà sec. IV a.C.) rinvenuto a Vulci, l’altro (seconda
metà sec. II) trovato ad Artena.
SALA 9ª (collezione Guglielmi): la raccolta, formatasi nell’800 in
seguito agli scavi condotti nelle tenute di Sant’Agostino e Camposcala
vicino Vulci, venne divisa a inizi ’900 in due parti tra i fratelli Giulio e
Giacinto. La parte del marchese Giulio, ereditata dal figlio Benedetto,
fu donata a Pio XI nel 1937 e da allora esposta nei Musei Vaticani.
L’altra parte, altrettanto importante, è stata acquistata dai Musei nel
1987, permettendo il ricongiungimento dell’intera collezione. Si
compone di c. 800 pezzi, fra bronzi, ceramica etrusca e greca
(quest’ultima importata essenzialmente dall’Attica) e cronologicamente
si estende dall’età villanoviana sino alla produzione di età ellenistica.
SALE 10ª e 11ª (urne cinerarie di età ellenistica): le splendide urne
cinerarie in alabastro di produzione chiusina e volterrana sono ornate
con fregi in altorilievo a soggetto mitologico; si segnalano le quattro
rinvenute in una tomba a camera a Castiglione del Lago (famiglia
Ceicna).
SALA 12ª (collezione Falcioni): il fregio attorno alle pareti e parte
della decorazione del tempo di Giulio III (1550-55) furono eseguiti da
Daniele da Volterra e altri. È esposto il nucleo principale della
collezione ottocentesca di Bonifacio Falcioni di Viterbo, acquistata da
Leone XIII nel 1898, che si compone di reperti etruschi e romani in
ceramica e bronzo in gran parte provenienti da centri etruschi nel
Viterbese. SALA 13ª: sarcofagi in terracotta da Tuscania prodotti nel
sec. II a. Cristo. Nelle SALE 14ª-16ª (Antiquarium Romano, sorto dai
lavori di ristrutturazione del Gregoriano Etrusco nel 1955-57, per
selezionare il materiale archeologico prettamente romano) sono
esposti frammenti di grandi statue in bronzo, parti di mobilio pure in
bronzo, terrecotte architettoniche, vetri, stucchi architettonici, urne
cinerarie e reperti fittili. Nella sala 16a una sezione è dedicata alle
scoperte effettuate nell’area del Vaticano.
Le sale 17ª-22ª sono dedicate all’importante collezione di vasi
dipinti, tranne la 20ª in cui è esposta la collezione Astarita. La
collezione dei vasi greci e italioti iniziò in Vaticano già nel ’700 presso
la Biblioteca Apostolica, sinché nel 1837 passarono tutti nel
costituendo Museo Gregoriano Etrusco; fra di esse si segnalano le
collezioni Bargagli, Gualtieri, Falzacappa e Candelori. Il secondo
grande nucleo venne invece dagli scavi Campanari a Vulci del 1835-
37. Numerosissimi sono i capolavori nella sala 17ª: 16592, Kylix di
fabbrica spartana (metà sec. VI a.C) con Prometeo e Atlante; 16596,
Kylix attica del Pittore di Phrynos con Aiace e il corpo di Achille. SALA
18ª: 17771, oinochoe attica a figure nere del Pittore di Amasis e
diverse idriai dovute ai Pittori di Acheloo (16449) e di Eucharides
(17729). SALA 19ª (emiciclo inferiore): sulle pareti affreschi del 1780
attribuiti a Bernardino Nocchi e raffiguranti opere compiute sotto il
pontificato di Pio VI. Vi è esposta ceramica attica a figure nere o
rosse, fra cui, 16757, la celebre *anfora a figure nere firmate da
Exekìas, con Achille e Aiace che giocano alla «morra», Castore e
Polluce con i genitori Leda e Tindaro, donata dalla famiglia Candelori a
Gregorio XVI. SALA 20ª (collezione Astarita): nel fregio attorno alle
pareti, affreschi allegorici eseguiti sotto il pontificato di Pio IV (1559-
65). Fra i pezzi della collezione, donata da Mario Astarita a Paolo VI
nel 1967, si segnala, 35525, il grande cratere a colonnette tardo-
corinzio raffigurante Achille e Menelao a Troia che chiedono la
restituzione di Elena. SALA 21ª, della Meridiana (la sala prende il nome
dagli strumenti astronomici appartenuti al cardinale bibliotecario
Saverio de Zelada, che aveva l’appartamento in queste sale): vasi del
Pittore di Berlino e del suo allievo, il Pittore di Achille. SALA 22ª
(emiciclo superiore), dedicata alla collezione dei vasi italioti. Vi sono
raccolti vasi a figure rosse prodotti sia in Magna Grecia sia in Etruria
tra la seconda metà del V e l’inizio del sec. III a. Cristo.

LA SALA DELLA BIGA. Tornando al piano sottostante, si esce dal


museo attraverso la sala della Meridiana e si scende al secondo piano
della scala Simonetti. Qui è l’ingresso alla SALA DELLA BIGA (4), eretta da
Giuseppe Camporese in marmo di Carrara, a pianta circolare e coperta
da cupola, con semicolonne corinzie tra le quali si aprono le nicchie
delle finestre e quattro nicchie con statue. Al centro, *biga composta
dallo scultore Francesco Antonio Franzoni (1788) utilizzando pezzi
antichi: la cassa, forse appartenuta a un carro votivo del sec. I e già
usata come cattedra episcopale nella chiesa di S. Marco, e il cavallo di
destra.

ATTORNO ALLA SALA, da d.: nella 1ª nicchia, *statua di Dioniso


barbato (l’iscrizione greca sull’orlo del manto, che lo indica come
Sardanapalo, è di epoca posteriore), opera del sec. I da originale della
cerchia di Prassitele; nella 2ª, *statua togata di vecchio romano
sacrificante, di artista greco di età adrianea (testa romana non
pertinente, sec. I a.C.); precede la 3ª, *discobolo in atto di misurare il
terreno a passi, copia attica degli inizi dell’Impero dal bronzo di
Naucide, figlio di Policleto (sec. V a.C.); nella 3ª, statua di Hermes, da
originale del V a.C., con testa (non pertinente) replica di un ritratto di
stratega greco (fine V-inizi IV a.C.), cosiddetto Focione; a sin. della 3ª,
*discobolo in azione, una delle copie, di età adrianea, del celebre
bronzo di Mirone; nella 4ª, cosiddetto Sesto di Cheronea, stoico e
maestro di Marco Aurelio (la scultura è replica di un originale greco
del sec. IV a.C.; testa non pertinente); sotto, sarcofago con
bassorilievo raffigurante la gara fra Enomao e Pelope (c. 160).

LA GALLERIA DEI CANDELABRI (12) è lunga c. 80 m e divisa in sei


sezioni da arcate a serliana; le volte furono decorate da Domenico
Torti e Annibale Angelini (prime tre campate) e da Ludovico Seitz
(1883-87) per la parte rimanente, con soggetti relativi al pontificato di
Leone XIII; ha nome da coppie di candelabri marmorei posti in
corrispondenza delle arcate.
LE OPERE LUNGO LA GALLERIA. SEZIONE I. 18, fanciullo che gioca alle
noci, copia di statuina ellenistica di genere del sec. III a.C.; 56, *satiro
addormentato, in basalto. SEZIONE II. Da destra: 9, Pan estrae una
spina dal piede di un satiro, replica di originale ellenistico del sec. II
a.C.; 22, *Artemide Efesina, simbolo della natura feconda (sec. II); 28,
*sarcofago con scene del mito d’Oreste (seconda metà sec. II); nelle
arcate, *candelabri (da S. Costanza), di arte romana del II; 83,
Ganimede rapito dall’aquila di Giove, copia di età antonina del celebre
capolavoro di Leocare (sec. IV a.C.). SEZIONE III. Alle pareti, 10
frammenti di affreschi, da Tor Marancia, rappresentanti ciascuno una
figura volante di satiro o di ninfa. Da destra: 12, mosaico con natura
morta (da Tor Marancia, sec. II); 13, Apollo, statua arcaicizzante del
tempo degli Antonini (forse da un originale in bronzo della Magna
Grecia della prima metà del V a.C.); 24, 25, *candelabri (da S.
Agnese) del sec. II; 33, Hypnos, dio del Sonno, o Thanatos, genio
della Morte. SEZIONE IV. Da destra: 37, 40, satiretti che si guardano la
coda, da originale ellenistico; 38, *statua di vecchio pescatore, copia
romana del sec. II da originale del III a.C.; sotto la finestra, 49, *Tyche
di Antiochia sull’Oronte, da originale di Eutichide (ai piedi della dea, un
giovane nuotatore, simbolo del fiume Oronte); 85, *sarcofago con
l’eccidio dei niobidi (150-160). SEZIONE V. Da destra: nella prima
nicchia, 5, *fanciulla che corre, copia romana da originale greco del
460 a.C.; 25, satiretto flautista, dalla villa di Domiziano al Circeo; 24,
*candelabro, da Otrìcoli, con divinità nella base e gruppo di due
colombe nel fusto tortile; 32, piccolo schiavo negro con gli oggetti
della toletta; 42, statua di Pan, copia romana da originale di stile
policleteo. SEZIONE VI. Da destra: 1, *statua di Diana (il corpo è copia
romana da originale greco del sec. V a.C. forse di Cefisodoto il
Vecchio, la testa risale all’inizio dell’Impero da originale del V a.C. della
cerchia di Fidia); 5, *statuetta probabilmente di Persefone, restaurata
come Cerere; 24, niobide (qui è raffigurato il più giovane dei figli di
Niobe; copia di età adrianea da originale ellenistico); 27, miliario del V
miglio della Via Appia Antica, collocato da Massenzio; 35, sarcofago
col ratto delle leucippidi (sec. II); 32 (sul sarcofago), *Persiano
combattente, copia da originale ellenistico pergameno.
ALLE GALLERIE DEGLI ARAZZI E DELLE CARTE GEOGRAFICHE (13) si
accede direttamente dalla Galleria dei Candelabri. Nella prima erano
esposti i dieci arazzi di Raffaello, detti della «Scuola Vecchia», ora
nella pinacoteca. Al loro posto si vedono altri arazzi, detti della
«Scuola Nuova», tessuti a Bruxelles da Pieter van Aelst dopo la morte
di Raffaello, su cartoni dei suoi discepoli; furono utilizzati la prima
volta nel 1531, nella Cappella Sistina, e degli originari 12 ne
rimangono 11, di cui 9 esposti.

GLI ARAZZI. Alla parete di fronte alle finestre: Adorazione dei


pastori, da cartone attribuito a Tommaso Vincidor; Adorazione dei
Magi, da cartone attribuito a Bernart van Orley; tre episodi della
Strage degli innocenti, su cartoni attribuiti al Vincidor; Gesù appare
alla Maddalena, Risurrezione, Cena in Emmaus (tutti della «Scuola
Nuova»); il Centurione Cornelio (manifattura di Vigevano?, sec. XVI) e
Morte di Giulio Cesare di manifattura fiamminga (1549). Alla parete
tra le finestre: sei arazzi illustranti fatti della vita di Urbano VIII e uno
con La contessa Matilde che dona i suoi possedimenti alla Santa Sede,
della manifattura Barberini in Roma (sec. XVII). Di recente
ricollocazione è la Presentazione al Tempio.

LA *GALLERIA DELLE CARTE GEOGRAFICHE (lunga m 120, con bella


vista a d. sui Giardini Vaticani con la casina di Pio IV e la fontana
dell’Aquilone – → – mentre a sin. si affaccia sul cortile del Belvedere)
prende nome dalle carte geografiche d’Italia dipinte lungo le pareti da
Antonio Danti (1580-83) su indicazione del fratello, il domenicano
Egnazio (Pellegrino) Danti da Perugia, matematico, cosmografo e
architetto; sono disegnate con sufficiente esattezza (molte con il nord
in basso), la più parte reca vedute panoramiche e piante di città
(indicate tra parentesi) e in diverse sono segnati i luoghi di famose
battaglie. Nel loro insieme costituiscono un documento importante
della civiltà del sec. XVI, ragguardevole anche per il significato, che
nella città di Roma venivano ad assumere, di unità geografica e
culturale dell’intera regione italiana.

LE CARTE GEOGRAFICHE. Sulla parete d’ingresso: Isole Curzolari (con


la battaglia di Lèpanto e l’isola di Malta con La Valletta). Da destra a
sin., alternativamente (l’ordine è invertito rispetto al percorso
originario): Isole Trèmiti (porto di Fiumicino); Isola d’Elba (porto di
Claudio); Penisola salentina; Territorio di Avignone (Avignone);
Gargano e Tavoliere; Sicilia (Palermo, Siracusa, Messina); Abruzzo
(L’Aquila); Sardegna; Marca d’Ancona (Loreto); Corsica; Piceno
(Macerata); Calabria ulteriore; Ducato di Urbino (Urbino e Pesaro);
Calabria citeriore; Flaminia da Cattòlica alle valli di Comacchio
(Rimini); Lucania; Contado di Bologna (panorama e pianta di
Bologna); Principato di Salerno (Montevérgine); Ducato di Ferrara
(Ferrara e Comacchio); Campania (Napoli); Ducato di Mantova
(Mantova); Lazio e Sabina (Roma); Ducato di Parma e Piacenza
(Parma, Piacenza); Umbria (Spoleto); Friùli da Venezia a Pola;
Patrimonio di S. Pietro (Orvieto, Viterbo); Transpadana-Veneto
(Vicenza, Padova); Agro perugino (Perugia); Ducato di Milano
(Milano); Etruria (Siena, Firenze, San Miniato); Piemonte e Monferrato
(Torino); Liguria; Italia Antica; Italia Nova; Ancona; Venezia; Genova;
Civitavecchia.
Ricchissima la volta, decorata a stucchi e pitture eseguite, sotto la
direzione di Girolamo Muziano, da Cesare Nebbia e altri manieristi.
Riprendendo il senso iniziale, episodi della vita dei Ss. Giovanni
Battista, Paolo, Silvestro I, Leone Magno, Benedetto, Severo,
Romualdo, Bernardo, Pier Damiani, Celestino V con scene sacre e
simbologie che hanno attinenza con le località presenti nelle
sottostanti carte geografiche.

LA GALLERIA DI S. PIO V si trova all’inizio dell’omonimo


appartamento – articolato in altre due sale e nella cappella – chiuso
tra la galleria appena percorsa e il piano superiore della torre Borgia
(le successive sale Sobieski e dell’Immacolata); alla parete sin. sono
due grandi arazzi fiamminghi della manifattura di Tournai (fine sec.
XV), mentre quelli alla parete d. raffigurano l’Incoronazione di Maria
(su cartone di scuola raffaellesca) e La Religione, la Giustizia e la
Carità (della manifattura di Pieter van Aelst, 1525).

LE SALETTE DI S. PIO V, cui si accede a sin., hanno bei soffitti


intagliati e dipinti, opera di Ventura Salimbeni e Ferraù Fenzone, e
fregi di artisti fiamminghi; alle pareti, arazzi della serie delle Arti
liberali, della manifattura di Bruges (metà sec. XVII), e della serie di
Cefalo e Procri (manifattura fiamminga della prima metà del ’500). Dal
1997, nella prima delle due sale è esposta la Collezione di
Ceramiche medievali e rinascimentali: residui di antiche
pavimentazioni dei Palazzi Apostolici fra i sec. XIV-XVIII, boccali
medievali decorati a smalto con elementi geometrici e ceramiche
rinascimentali di varia tipologia. Nella seconda sala è invece visibile la
Collezione di Mosaici minuti proveniente da un’importante raccolta
romana. I mosaici minuti prendono nome dalla piccolezza estrema
delle tessere a smalti colorati che li compongono, secondo una tecnica
messa apunto a Roma nella seconda metà del ’700; servivano a
decorare gioielli, scatole, tavolini, ma anche a formare piccoli quadri, e
per il loro squisito valore decorativo furono molto in voga quali
souvenir romani, tanto da essere imitati da altre corti europee, come
la Russia e il granducato di Toscana. Tra le opere esposte si
segnalano deliziosi soggetti animalistici, floreali e vedute di Roma di
Antonio Aguatti, Giacomo Raffaeli, Michelangelo Barberi. Due dipinti
settecenteschi di Wenzel Peter (Il gallo la chioccia e i pulcini, Il
tacchino) mostrano la diretta dipendenza dei mosaici minuti da pitture
famose.

VERSO LE STANZE DI RAFFAELLO. In fondo alla galleria di S. Pio V,


l’omonima CAPPELLA è la superiore di tre sovrapposte; degli affreschi
originali rimangono quelli della cupola, opera di Giorgio Vasari con la
collaborazione di Jacopo Zucchi. Si passa a sin. nella SALA SOBIESKI,
cosiddetta dalla grande tela di Jan Alois Mateiko (1883) raffigurante
Giovanni Sobieski vincitore dei Turchi alle porte di Vienna, e si
continua nella SALA DELL’IMMACOLATA, le cui pareti furono affrescate da
Francesco Podesti (1858) con la Definizione e la Proclamazione del
dogma dell’Immacolata (8 dicembre 1854) da parte di Pio IX; il
pavimento è in mosaico a colori del sec. III (da Ostia), mentre al
centro della sala una grande vetrina raccoglie i volumi con il testo, in
tutte le lingue, della bolla relativa al dogma.
DALLE STANZE DI RAFFAELLO ALLA CAPPELLA SISTINA
LE *STANZE DI RAFFAELLO (14), nelle quali si entra in fondo alla
sala dell’Immacolata a d. per uno stretto passaggio, sono così dette
perché l’artista ne curò, dal 1509 al 1517, l’apparato decorativo,
creazione tra le più famose e rappresentative della pittura italiana.

LA STORIA. Costruite sotto Niccolò V, furono dapprima decorate da


Benedetto Bonfigli, Andrea del Castagno e Piero della Francesca; nel
1508 Giulio II fece riprendere la decorazione da uno stuolo di artisti
scelti da Bramante, tra i quali Perugino, Sodoma, Bramantino,
Baldassarre Peruzzi e Lorenzo Lotto. Quando però, dietro
suggerimento di Bramante, il papa ebbe messo alla prova il giovane
Raffaello, chiamato da Firenze, gli affidò tutta la decorazione delle
«stanze» e licenziò gli altri artisti.
La descrizione segue l’ordine topografico attuale, che è l’opposto
di quello originario, perché presentemente funziona, in prevalenza, il
senso unico di visita che utilizza un balcone cinquecentesco affacciato
sul cortile del Belvedere; nei mesi invernali – o quando minore è
l’affluenza – la visita si svolge invece seguendo la successione
originale: stanza dell’Incendio di Borgo, stanza della Segnatura, stanza
di Eliodoro, sala di Costantino, sala dei Palafrenieri, cappella di Niccolò
V, loggia di Raffaello e ritorno fino alla stanza dell’Incendio di Borgo.

IL CORTILE DEL BELVEDERE, sul quale affacciano a S le stanze, è il


più vasto dei cortili vaticani (oggi impropriamente utilizzato come
parcheggio), chiuso nei due lati lunghi dalle costruzioni di Bramante e
di Pio IV e sul fondo dal braccio sistino della biblioteca, mentre al
centro è una fontana con grande coppa di epoca romana; verso NE
prospettano invece sul cortile del Pappagallo (20), cosiddetto da un
fregio ormai sbiadito.

SALA DI COSTANTINO: quasi tutta decorata sotto Clemente VII,


dopo la morte di Raffaello, da Giulio Romano – con l’aiuto di Giovanni
Francesco Penni e Raffaellino del Colle – in base alle direttive già
fissate al tempo di Leone X, venne terminata nel 1525. Sulla parete
che comunica con la stanza di Eliodoro, il Battesimo di Costantino, del
Penni, che vi ha rappresentato l’interno del battistero del Laterano e
ha dato a S. Silvestro i tratti di Clemente VII. Sulla lunga parete di
fronte alle finestre, la Vittoria di Costantino su Massenzio a ponte
Milvio, per la quale Raffaello aveva lasciato un abbozzo; l’esecuzione è
di Giulio Romano. Sulla parete seguente, Apparizione della Croce a
Costantino, pure di Giulio Romano. Sulla parete delle finestre,
Donazione di Costantino, del Penni, simboleggiata dalla consegna di
una statuetta dorata di Roma: la cerimonia si compie nell’interno della
vecchia basilica di S. Pietro e S. Silvestro I ha i tratti di Clemente VII.

Tra queste vaste composizioni sono interposte figure di pontefici


seduti in trono e di Virtù, e precisamente, dall’angolo dove si apre la
porta sulla stanza di Eliodoro verso sin.: la Verità, S. Leone Magno,
l’Innocenza, la Pace, S. Damaso I, la Prudenza, la Carità, S. Urbano I,
la Giustizia, la Religione, S. Silvestro I (in realtà, probabilmente,
Alessandro I), la Fede, la Mansuetudine, S. Clemente I, la
Moderazione, l’Eternità, S. Pietro, la Chiesa, S. Gregorio Magno, S.
Silvestro I, la Fortezza. Nella zoccolatura, altre scene della vita di
Costantino; nella volta, Trionfo del Cristianesimo (il Crocifisso al posto
di un idolo infranto) e figure delle Regioni italiane, di Tommaso
Laureti. Nel pavimento, grande mosaico a colori del sec. III, con teste
delle Stagioni, proveniente dal Laterano.

La *LOGGIA DI RAFFAELLO (15; visita a richiesta alla Direzione


Generale), cui si accede dalla sala di Costantino, è posta al secondo
piano (ala occidentale) dei tre che circondano il cortile di S. Damaso;
Raffaello ne continuò la costruzione, durata forse dal 1512 al 1518,
avviata in precedenza da Bramante. La pavimentazione era formata
da piastrelle maiolicate della bottega dei Della Robbia (1518) e fu
sostituita con lastre di marmo nel 1869 (pochi resti sono stati
ricomposti in una cappella della chiesa di S. Silvestro al Quirinale).
Consta di 13 campate, con volte a padiglione. Le prime 12 sono
decorate ciascuna con scene del Vecchio Testamento, entro quattro
riquadri, l’ultima (a sin. entrando) con scene del Nuovo Testamento;
in tutto, 52 episodi la cui esecuzione fu affidata a discepoli: Giovanni
da Udine (per le grottesche e gli stucchi), Giulio Romano, Giovanni
Francesco Penni, Perin del Vaga, Polidoro da Caravaggio e altri.
Quanto alla composizione, si ritiene che Raffaello abbia dato, oltre allo
schema generale di tutta l’opera, anche gli abbozzi delle scene
figurate, almeno per le prime otto campate; ma il suo influsso è
evidente fino alla decima. Gli intradossi delle arcate longitudinali e
trasversali sono ornati di finissimi stucchi, mentre su volte, lunette,
pilastri e lesene si stende una minuta, fantastica decorazione pittorica
e plastica (fiori e frutta, animali reali e fantastici, arabeschi,
candelabre, architetture fantastiche, ghirlande e festoni, figurette
mitologiche ecc.) che trae spunto da quelle che venivano alla luce
negli scavi di antichi edifici (per lo più sepolti e quindi chiamati
«grotte»; da ciò il nome di «grottesche» dato a questo genere, che
ebbe particolare impulso dopo la scoperta di alcuni ambienti della
Domus Aurea di Nerone).
Le storie cominciano dal fondo della galleria e vengono descritte
seguendo la successione degli episodi testamentari. I: Separazione
della luce dalle tenebre; Separazione della terra dalle acque;
Creazione del sole e della luna; Creazione degli animali. II: Creazione
di Eva; Peccato originale; Cacciata dal Paradiso; Adamo ed Eva al
lavoro. III: Costruzione dell’arca; Diluvio; Uscita dall’arca; Sacrificio di
Noè. IV: Abramo e Melchisedech; Dio predice ad Abramo una lunga
posterità; Abramo e i tre angeli; Incendio di Sodoma. V: Dio appare a
Isacco; Abimelech spia Isacco e Rebecca; Isacco benedice Giacobbe;
Isacco ed Esaù. VI: Sogno di Giacobbe; Giacobbe e Rachele al pozzo;
Giacobbe rimprovera Labano; Viaggio di Giacobbe. VII: Giuseppe
racconta i sogni ai fratelli; Giuseppe venduto dai fratelli; Giuseppe e la
moglie di Putifarre; Giuseppe spiega i sogni del faraone. VIII: Mosè
salvato dalle acque; Il roveto ardente; Il faraone inghiottito dal mar
Rosso; Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia. IX: Mosè riceve le tavole
della Legge; Adorazione del vitello d’oro; Mosè e la colonna di fuoco;
Mosè mostra al popolo le tavole della Legge. X: Passaggio del
Giordano; Presa di Gerico; Giosuè ferma il sole; Giosuè ed Eleazar
dividono la Palestina tra le dodici tribù. XI: Samuele consacra Davide;
Davide e Golia; Trionfo di Davide; Davide e Betsabea. XII: Salomone
consacratore; Giudizio di Salomone; Salomone e la regina di Saba;
Costruzione del tempio. XIII: Presepio; Epifania; Battesimo di Gesù;
Ultima cena.

La SALA DEI PALAFRENIERI, detta anche dei Chiaroscuri, è divisa da


pilastri in due parti ed era stata decorata da Raffaello nel 1517; in
seguito alle modifiche volute da Paolo IV, gli affreschi furono distrutti
e successivamente sostituiti da altri ordinati da Gregorio XIII (1582).
La parte decorativa è dovuta a Giovanni e Cherubino Alberti; le figure
degli apostoli e di altri santi sono di Taddeo e Federico Zuccari;
soffitto intagliato e dorato, con emblemi medicei. Al centro, *gruppo
scultoreo ligneo della Flagellazione, di arte umbra dei secoli XIV-XV.
La *CAPPELLA DI NICCOLÒ V, cui si accede per una porta in fondo a
d., è decorata di *affreschi del Beato Angelico (1448-50), che
narrano le storie dei due protomartiri Stefano e Lorenzo; un ornato
con foglie d’alloro e fiori divide gli affreschi in due registri. Dalla parete
con finestre verso d.: nel registro inferiore, sei episodi della vita di S.
Lorenzo (Sisto II – ritratto di Niccolò V – conferisce il diaconato a S.
Lorenzo; il papa consegna a Lorenzo i tesori della Chiesa; Lorenzo li
dispensa ai poveri; Lorenzo davanti all’imperatore Decio; sua
prigionia; suo martirio, in gran parte rifatto sotto Gregorio XIII); nel
registro superiore, in grandi lunette, episodi della vita di S. Stefano (il
santo riceve i vasi sacri da S. Pietro e fa elemosina ai poveri; il santo
predica e disputa con i suoi giudici; il santo viene condotto fuori delle
mura di Roma e lapidato). Nella volta azzurra e stellata, gli evangelisti
seduti sulle nubi. Nel sottarco dal lato dell’altare: i Ss. Atanasio, Leone
Magno, Gregorio Magno, Crisostomo; nel sottarco dal lato della porta,
i Ss. Tommaso d’Aquino, Ambrogio, Agostino e Bonaventura (in realtà
S. Girolamo).
La *STANZA DI ELIODORO, cui si accede per un ambiente di
passaggio, fu dipinta da Raffaello nel 1512-14, con soggetti
probabilmente indicati quasi tutti da Giulio II e rappresentanti
miracolosi interventi di Dio a protezione della Chiesa.
Nella volta (dal riquadro presso la parete che comunica con la
sala di Costantino verso d.): Il Padre Eterno appare a Noè, Sacrificio
d’Isacco, L’Eterno appare a Mosè, Sogno di Giacobbe, affreschi molto
rovinati probabilmente di Guillame de Marcillat, su disegno di
Raffaello.
Sulla parete che divide questa dalla stanza della Segnatura,
*Leone Magno ferma l’invasione di Attila, forse un’allusione alla
battaglia di Ravenna (11 aprile 1512), cui Leone X assistette da
cardinale e dopo la quale i Francesi abbandonarono l’Italia. Raffaello
trasferisce l’incontro nei dintorni di Roma: nel fondo a sin. si scorgono
rovine di acquedotti, una basilica, il Colosseo, mentre a d. l’incendio e
l’uragano annunciano la marcia dei barbari. In primo piano a sin.
avanza Leone Magno, coi lineamenti di Leone X, cavalcando una
chinea o mula bianca, seguito da due cardinali a cavallo. Il ritratto di
Leone X ha sostituito quello, originariamente ideato da Raffaello, di
Giulio II, morto nel frattempo. Quasi al centro della composizione,
Attila colpito da terrore alla vista dei Ss. Pietro e Paolo che appaiono
in cielo sopra il papa con le spade in pugno. Nell’esecuzione
intervennero Giulio Romano e Giovanni Francesco Penni.
Sulla parete a d., in corrispondenza della finestra verso il cortile
del Pappagallo, la *Messa di Bolsena, forse il primo affresco di
Raffaello in questa stanza. Rappresenta il miracolo che – avvenuto
secondo la tradizione nel 1263, durante la celebrazione di una messa
a Bolsena – dette luogo alla bolla di Urbano IV dell’11 agosto 1264
che istituiva la festa del Corpus Domini. L’allusione è al voto fatto da
Giulio II quando, nella sua prima spedizione contro Bologna, si
trattenne nel 1506 a Orvieto e vi adorò il Sacro Corporale. Raffaello
adattò la composizione alla forma irregolare del lunettone, in parte
occupato dal vano della finestra. Eccezionale la qualità dei ritratti: di
Giulio II, orante e inginocchiato di fronte all’officiante, del cardinale
Raffaele Riario con le mani incrociate al petto e del cardinale di S.
Giorgio con le mani giunte. In basso a d., *cinque sediari
inginocchiati, in splendidi costumi.
Nella parete di fronte all’Attila, la *Cacciata d’Eliodoro (1514),
allusiva alla crociata di Giulio II contro gli stranieri in Italia o forse
anche alla vittoria del papa sui nemici della Chiesa. Secondo quanto si
legge nel II libro dei Maccabei, Eliodoro, tesoriere di Seleuco
Filopatore re di Siria, ebbe da questo l’ordine di impossessarsi del
tesoro del tempio di Gerusalemme e vi riuscì con l’aiuto di numerose
guardie; ma, mentre usciva, fu assalito da un cavaliere e da due
giovani armati di verghe, i quali lo atterrarono, ponendo in fuga il suo
seguito. Il personaggio in lungo abito nero a lato della sedia gestatoria
sulla quale sta Giulio II è Raffaello; nei due sediari sarebbero
raffigurati l’incisore Marcantonio Raimondi e Giulio Romano (o
Baldassarre Peruzzi). Nell’esecuzione dell’affresco Raffaello ebbe
l’aiuto di Giulio Romano e di Giovanni da Udine.
Sull’ultima parete, la *Liberazione di S. Pietro, forse allusiva
alla liberazione di Leone X, quando era ancora cardinale, dalla
prigionia sofferta dopo la battaglia di Ravenna. La scena si svolge nel
pieno della notte: nel mezzo, visto attraverso un’inferriata, l’interno
del carcere, dove l’angelo liberatore sveglia S. Pietro, in catene fra due
guardie in piena armatura che dormono in piedi. Questo affresco è
celebre per l’illuminazione ‘a effetto’ della scena, affidata alla luce
lunare, a quella della fiaccola e all’alone abbagliante dell’angelo; vi
collaborò Giulio Romano.
La *STANZA DELLA SEGNATURA era così chiamata perché destinata alla
firma (da «signare») degli atti ufficiali. Gli affreschi, salvo la partizione
della volta con le piccole storie e il riquadro ottagonale nel centro ai
quali stavano già attendendo Sodoma e Bramantino, furono tutti
eseguiti da Raffaello (1509-1511) e sono tra i suoi capolavori. Sulla
parete verso la stanza dell’Incendio di Borgo, la *Disputa del
Sacramento, il primo affresco eseguito a Roma da Raffaello, che
rappresenta la gloria dell’Eucarestia e, anziché l’improprio titolo di
«disputa», potrebbe portare quello di Glorificazione del Cattolicesimo.
La scena è divisa in due: il Cielo in alto, la Terra in basso. Nel cielo
vaporoso, in una gloria di cherubini immersi nella luce di raggi dorati,
sta il Padre Eterno, con ai lati due schiere di angeli. Sotto, centro della
composizione celeste, Cristo assiso sulle nubi, fra la Madre e il
Battista; ai piedi, tra quattro angioletti recanti i Vangeli, la colomba
dello Spirito Santo, i cui raggi discendono fino all’ostia sull’altare. Dal
gruppo mediano s’incurvano due schiere degli eletti del Cielo, cioè
patriarchi e profeti del Vecchio Testamento, alternati agli apostoli e ai
primi confessori del Nuovo. Nella parte inferiore dell’affresco, nel
mezzo, un altare con sopra l’ostensorio, centro prospettico di tutta la
composizione. Ai lati, variamente raggruppati, numerosi personaggi,
non tutti riconoscibili: S. Gregorio Magno col triregno e S. Girolamo;
un vecchio (Bramante?) che accenna a una sentenza del libro che
legge; tra vari volti caratterizzati, quello del Beato Angelico al margine
sin.; a d. dell’altare, un vecchio si volge a S. Ambrogio seduto, che
leva il capo e le mani; davanti a lui, pure seduto, sta S. Agostino, che
completa il numero dei quattro dottori della Chiesa latina; seguono, S.
Tommaso d’Aquino, papa Sisto IV e l’austero profilo di Dante laureato.
Nella zoccolatura, entro riquadri fra cariatidi in chiaroscuro, da d.: La
Sibilla Tiburtina mostra la Vergine ad Augusto, S. Agostino e il
fanciullo sulla riva del mare, Sacrificio pagano, di Perin del Vaga.
Nella parete seguente, a sin., attorno alla finestra che dà verso il
cortile del Pappagallo, nella lunetta: la Fortezza, la Prudenza e la
Temperanza, di Raffaello; a d. della finestra, Gregorio IX (ritratto
di Giulio II) riceve da S. Raimondo da Peñafort le Decretali (la
Legge canonica; i personaggi che circondano il papa sono
contemporanei di Raffaello: a sin., in avanti, Giovanni de’ Medici,
futuro Leone X, poi il cardinale Antonio Del Monte e Alessandro
Farnese, futuro Paolo III), attribuito alla bottega di Raffaello; nello
zoccolo, Mosè che porta agli Ebrei le tavole della Legge, di Perin del
Vaga; a sin. della finestra, Giustiniano consegna a Treboniano le
Pandette (il Diritto civile), attribuito a Guillame de Marcillat; nello
zoccolo, Solone arringa il popolo ateniese, di Perin del Vaga. Nella
parete di fronte alla Disputa, la *Scuola d’Atene, cioè il trionfo della
Filosofia che fa riscontro al trionfo della Teologia. Nella
rappresentazione, dal basso una scalinata porta a un ampio vestibolo
che immette nel tempio della Scienza, grandiosa concezione
architettonica rinascimentale, di cui Vasari attribuisce il disegno a
Bramante. I grandi filosofi e i sapienti dell’antichità, i principi e gli
artisti del Rinascimento fanno cerchio attorno ai due grandi maestri:
Platone e Aristotele. Questi avanzano, discutendo, dal fondo della
scena, tra due ali di discepoli. Platone (ritratto di Leonardo da Vinci?),
vecchio con la barba bianca, tiene nella sin. il libro del «Timeo» e
accenna al Cielo; Aristotele, che tiene nella mano sin. la sua «Etica»,
accenna alla Terra con la destra aperta. Gli altri filosofi sono divisi in
gruppi, secondo il sistema filosofico che seguirono o la scienza che
coltivarono. Nel gruppo a sin. di Platone si riconosce facilmente
Socrate, che, contando sulle dita, svolge i suoi sillogismi; tra gli
ascoltatori si vogliono riconoscere Eschine, Senofonte e Alcibiade,
mentre l’uomo dietro quest’ultimo sarebbe Crisippo. In primo piano,
nell’angolo sin., si vede di profilo la testa di un vecchio (Zenone?);
presso di lui, con la testa coronata di pampini, Epicuro che sta
leggendo un libro e, alla sua d., la leggiadra testa ricciuta che si
ritiene del piccolo Federico Gonzaga. Nel gruppo adiacente, seduto e
colto di profilo, Pitagora, mentre alle sue spalle si chinano Averroè, in
piedi e con turbante, ed Empedocle seduto. Il bel giovane in piedi
sarebbe, secondo una tradizione non fondata, Francesco Maria Della
Rovere duca d’Urbino; più a d., un uomo ritto indica nel libro una
dimostrazione (si è molto discusso sulla sua identità: Anassagora,
Senocrate, Aristosseno, Parmenide). Accanto, seduto, è Eraclito (coi
tratti fisiognomici di Michelangelo), che nel cartone originale non
figura. Verso il centro sta Diogene, sdraiato sui gradini, seminudo e
sdegnoso. Sulla destra è un altro gruppo, in cui si vede Archimede o,
meglio, Euclide (coi lineamenti di Bramante) profondamente chinato,
nell’atto di spiegare una figura di geometria. Verso il margine d., un
ultimo gruppo di quattro persone in piedi: volge il dorso, tenendo
nella sin. la sfera terrestre, Tolomeo (Raffaello, seguendo l’opinione
del tempo che lo confondeva con uno dei re d’Egitto dello stesso
nome, gli ha posto in capo una corona); lo fronteggia, tenendo nella
d. la sfera celeste, Zoroastro (secondo Vasari, sarebbe il ritratto di
Baldassarre Castiglione); volto per tre quarti è l’autoritratto di
Raffaello, facilmente riconoscibile, alla cui d. è il Sodoma.
Nello zoccolo, da d.: Morte d’Archimede e Assedio di Siracusa, I
Magi discutono sulla sfera celeste, Filosofia, di Perin del Vaga. Nella
parete della finestra verso il cortile del Belvedere, il *Parnaso, altra
stupenda creazione di Raffaello (nell’architrave della finestra, la data
1511). Sulla vetta del monte, dove scaturisce la fonte d’Ippocrene,
Apollo suona la lira da braccio, seduto nel mezzo, all’ombra dei lauri e
assorto nell’estasi musicale. Attorno a lui le muse ascoltano, in diverse
pose, e fanno corona i poeti. Non tutte le figure sono identificate con
sicurezza. A sinistra, seduta presso il dio, la musa Calliope; dietro di lei
in gruppo, Euterpe, Clio e Talia. A sinistra, tra i poeti, si riconoscono il
cieco Omero, di cui un giovanetto, Ennio, raccoglie il canto e, alle sue
spalle, a d. Virgilio, a sin. Dante. In basso, da sin., Alceo, Corinna,
Petrarca, Anacreonte e Saffo, seduta. A destra di Apollo, pure seduta,
Erato, e, dietro di lei, il gruppo di Urania, Melpomene, Tersicore e
Polimnia; quindi, tra i poeti, Ariosto, Ovidio, Catullo, Tibullo, Properzio,
il Tebaldeo e, in basso, Orazio, il Sannazzaro e Pindaro, seduto. Sotto,
a chiaroscuro, due scene raffiguranti Augusto che impedisce agli amici
di Virgilio di bruciare l’Eneide e Alessandro che fa deporre nella tomba
di Achille i poemi omerici. Sotto i chiaroscuri, tarsie dipinte, a
imitazione di dossali.
Nella volta, entro grandi medaglioni, Raffaello dipinse le
figurazioni delle Scienze e delle Arti, quasi a riassunto e commento di
quanto rappresentato negli affreschi delle pareti sottostanti. Sopra la
Disputa, la Teologia o scienza del Divino («divinarum rerum notitia»),
con velo bianco, manto verde e veste rossa – i colori delle tre Virtù
teologali – che tiene nella sinistra un libro e con la destra accenna ai
campioni della tradizione e della scienza divina raccolti nella scena
sottostante. Girando verso sin., al di sopra della Giustizia spirituale
(Gregorio IX) e della Giustizia temporale (Giustiniano), la Giustizia
(«ius suum unicuique tribuit»), tra quattro genietti, che regge la
spada e la bilancia. Quindi, al disopra della Scuola d’Atene, la
Filosofia («causarum cognitio»), con due volumi in cui sono segnate
le parole «moralis» e «naturalis»; l’abito della donna, coi colori e i
ricami, simboleggia i quattro elementi: in alto, azzurro con stelle
(aria), poi rosso con salamandre (fuoco), verdemare con pesci
(acqua), lionato con piante (terra). Al di sopra del Parnaso, la Poesia
(«numine afflatur») che tiene nella destra un libro, nella sinistra la lira
e che, con la veste azzurra, il nastro seminato di stelle e le ali, indica il
volo dell’immaginazione.
In corrispondenza degli angoli della volta, si alternano ai
medaglioni quattro riquadri rettangolari con figurazioni simboliche: tra
la Teologia e la Giustizia, il Peccato originale; tra la Giustizia e la
Filosofia, il Giudizio di Salomone; tra la Filosofia e la Poesia,
l’Astronomia, che contempla un globo celeste; tra la Poesia e la
Teologia, Apollo e Marsia. Il resto della decorazione, con piccole
scene e le insegne roveresche di Giulio II, è opera di altri. Nel
pavimento, gli emblemi di Niccolò V e di Leone X e il nome di Giulio II.
La STANZA DELL’INCENDIO è l’ultima delle stanze di Raffaello (o la
prima, se le si visita secondo il percorso originario; 1514-17), con
volta dipinta dal Perugino: i quattro tondi (da quello in corrispondenza
della Vittoria navale di Leone IV sui Saraceni presso Ostia – v. sotto –
verso d.), tra ricche grottesche a fondo d’oro, raffigurano: il Padre
Eterno tra angeli, Cristo tra angeli e due santi, Cristo e gli apostoli col
Padre Eterno e lo Spirito Santo, Cristo giudice (1508). Gli affreschi alle
pareti furono eseguiti in gran parte dagli allievi di Raffaello, che ne
fornì i cartoni o i disegni. Nella parete di fronte alla finestra è l’affresco
principale che ha dato il nome alla stanza: l’*Incendio di Borgo,
ispirato a un passo del «Liber Pontificalis», nel quale si narra di un
incendio sviluppatosi nell’847 in Borgo ed estinto da Leone IV col
segno della croce. Nel fondo, le fiamme minacciano la vecchia basilica
di S. Pietro, di cui si scorge la facciata ancora esistente al tempo
dell’affresco; un poco a d., la loggia del Palazzo Vaticano da cui
appare il papa benedicente. All’estremità sin. è un episodio
dall’«Eneide»: non è Borgo che arde, ma è Troia che brucia e da uno
squarcio delle sue mura fuggono seminudi Enea col padre Anchise
sulle spalle, il figlioletto Ascanio e la moglie Creusa. La composizione è
di Raffaello, influenzato dagli affreschi michelangioleschi della volta
della Cappella Sistina; l’esecuzione è quasi tutta, nella parte anteriore,
di Giulio Romano; nel fondo, del Penni.
Alla parete d., l’Incoronazione di Carlo Magno da parte di Leone
III, con i tratti, rispettivamente, di Francesco I re di Francia e di Leone
X, probabilmente riferita all’alleanza stretta fra i due nell’ottobre 1515.
Questo affresco è ritenuto di mano del Penni, con l’aiuto di Giulio
Romano. Alla parete sin., la Vittoria navale di Leone IV sui
Saraceni presso Ostia (849), allusiva all’idea della crociata contro i
Turchi che occupò vivamente Leone X. Leone IV è rappresentato a
sin., coi tratti di Leone X, in atto di ringraziare per la vittoria; alle sue
spalle sono i ritratti del cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena e di
Giulio de’ Medici; nel fondo, il porto di Ostia e la battaglia navale.
Gran parte della composizione e dell’esecuzione è di Giulio Romano.
Alla parete della finestra, il Giuramento di Leone III, col quale
il pontefice, «non forzato e da nessuno giudicato», il 23 dicembre 800
si purificò in S. Pietro di false accuse; è allusivo al Concilio
Lateranense tenuto da Leone X. Alla scena assiste Carlo Magno, il
personaggio con catena d’oro, a sinistra. Attribuito a Giulio Romano, è
riferito da altri a Perin del Vaga.
L’APPARTAMENTO BORGIA (14). Dalla stanza dell’Incendio, per la
porta al centro della parete dell’Incoronazione, si accede alla piccola
CAPPELLA DI URBANO VIII, decorata con stucchi dorati e affreschi di Pietro
da Cortona, con bozzetti in gesso e terracotta di Antonio Canova. Da
qui si scende all’Appartamento Borgia, interessante per gli
*affreschi, quasi tutti eseguiti (con aiuti) dal Pinturicchio (fine 1492-
fine 1495), e per le opere della Collezione d’Arte religiosa
moderna (14) che vi sono allestite.

LA STORIA DELLA RESIDENZA BORGIA E DELLA COLLEZIONE.


L’appartamento è situato sotto le stanze di Raffaello e fu compiuto e
fatto decorare da Alessandro VI Borgia che lo abitò; in seguito fu
abitato anche, fino al 1507, da Giulio II, che poi si trasferì al piano
superiore; nel sec. XIX le sale furono adibite a contenere la pinacoteca
e poi le opere a stampa della biblioteca, ma solo con Leone XIII (che
le fece restaurare da Ludovico Seitz, 1889-97) furono aperte al
pubblico. Sono in tutto sei: le prime tre sono entro la quadrilatera
torre Borgia, fatta costruire da Alessandro VI (sopra, in
corrispondenza, è la sala dell’Immacolata); le altre nel fabbricato di
Niccolò V.
La Collezione d’Arte religiosa moderna, voluta da Paolo VI e
inaugurata nel 1973, è costituita da oltre 800 opere di pittura, scultura
e grafica (se ne fornisce una selezione), donate alla Santa Sede da
oltre 250 artisti di tutte le nazionalità e tendenze e da collezionisti;
occupa complessivamente 55 sale, su più piani.

LE OPERE NEGLI AMBIENTI DELL’APPARTAMENTO BORGIA. SALA I, delle


Sibille, molto severa nella decorazione. Ha 12 lunette con sibille e
profeti, che reggono cartigli svolazzanti con le profezie sulla venuta
del Messia, e, al disopra, 8 piccole storie (7 riferite ai simboli
astrologici, l’ottava con una sfera armillare sotto la quale è una
discussione di astronomi), di scolari del Pinturicchio (probabilmente
Antonio da Viterbo). Alle pareti, tra gli altri: dipinti di Ottone Rosai,
Armando Spadini, Felice Carena, Primo Conti, Ardengo Soffici; sculture
di Auguste Rodin, Ernst Barlach, Lello Scorzelli. Nella SALA II, priva di
affreschi, opere di Matisse, Piccio, Goya, Rodin. SALA III, del Credo,
pure di decorazione molto austera. Nelle lunette, 12 coppie di profeti
e di apostoli, che reggono cartigli con i versetti del «Credo»
(composto, secondo la tradizione, dagli apostoli, prima di separarsi),
dipinti da Pier Matteo da Amelia, seguace del Pinturicchio; pregevoli le
decorazioni negli strombi delle finestre. Sono esposte opere di Bruno
Cassinari, Domenico Purificato, Aldo Carpi, Virgilio Guidi, Felice
Casorati, Domenico Cantatore, Bruno Saetti, Adolfo Wildt. SALA IV,
delle Arti liberali, con due volte a crociera ornate di grottesche,
riquadri con scene ad affresco e decorazione a stucco dorato con
emblemi araldici dei Borgia (il toro e la corona radiata). Nelle lunette,
dipinte in gran parte da Antonio da Viterbo, le Arti del Trivio
(grammatica, dialettica, retorica) e del Quadrivio (geometria,
aritmetica, musica, astronomia); l’arco che separa le due crociere è
detto della Giustizia, dal soggetto dei dipinti che lo ornano.
Probabilmente studio di Alessandro VI, conserva un magnifico camino
marmoreo del sec. XVI, forse di Simone Mosca, su disegno di Jacopo
Sansovino; nel pavimento, resti delle primitive mattonelle maiolicate.
Le sculture sono di Alfredo Biagini, Luciano Minguzzi, Antonio Berti. La
*SALA V, dei Santi, di straordinaria ricchezza decorativa, è l’opera
maggiore del Pinturicchio. È divisa in due campate con volte a
crociera, decorate con fregi in stucco dorato e con rappresentazioni
dei miti di Iside, di Osiride, di Io e del bue Api, allusione quest’ultimo
al toro dello stemma borgiano. Nelle lunette, da sopra l’ingresso verso
sin.: Visitazione; S. Paolo eremita e S. Antonio abate nella Tebaide;
*Disputa di S. Caterina d’Alessandria coi filosofi davanti all’imperatore
Massimiano (nel fondo è un arco a imitazione di quello di Costantino;
in primo piano, quasi nel mezzo, è la santa; più a sin. è l’imperatore in
trono e, presso di lui, in costume orientale, Andrea Paleologo;
all’estremità sin. il pittore ha ritratto se stesso; a d. è il gruppo dei
filosofi che disputano; l’orientale a cavallo è il principe turco Djem);
Leggenda di S. Barbara; Leggenda della casta Susanna; Martirio di S.
Sebastiano. Sopra la porta d’uscita, tondo con Madonna col Bambino e
cherubini. I dipinti sono di Carlo Carrà e Mario Sironi; le sculture di
Francesco Messina. SALA VI, dei Misteri della Fede (restaurata nel
2006), simile nella forma alla precedente e decorata dal Pinturicchio,
aiutato in parte da alunni, forse Tiberio d’Assisi e Bartolomeo di
Giovanni. Nella volta, stucchi e pitture (Davide, Salomone, Isaia,
Geremia, Malachia, Sofonia, Michea, Gioele). Nelle lunette, da d.:
Risurrezione (con, a sin. in basso, il sontuoso *ritratto di Alessandro
VI inginocchiato e in abito pontificale); Epifania; Natività;
Annunciazione; Ascensione; Pentecoste; Assunzione. Raccoglie una
selezione di opere di Marino Marini. SALA VII, dei Pontefici, la più vasta
e destinata alle cerimonie papali ufficiali. La volta attuale fu rifatta per
ordine di Leone X dopo il crollo del 1500 e decorata con stucchi e
affreschi di Giovanni da Udine e Perin del Vaga. I dipinti sono di Aligi
Sassu; le sculture di Emilio Greco e Lucio Fontana. Le SALE VIII-XII
raccolgono dipinti di Bruno Saetti, Alberto Salietti, Maurice Denis;
Gaetano Previati (Via Crucis); Aldo Carpi, Silvio Consadori, Luigi
Filocamo; Remo Brindisi, Mario Radice, Francisco Corzas, Jean
Guitton. Si ritorna nella sala IV, per passare nei locali privati di
Alessandro VI. La SALA XIII ha dipinti di Fausto Pirandello, Franco
Gentilini, Renato Guttuso, Luigi Bartolini, Carlo Levi. La SALA XIV, al
piano superiore, è dedicata a Giacomo Manzù, la XV a Georges
Rouault. La visita prosegue attraverso una fuga di ambienti disposti su
due piani, appendice dell’antico appartamento papale, che conservano
tracce della loro origine e soffitti decorati nel sec. XVI. Sono le SALE
XVI-XXVII con opere di Salvador Dalí, Foujita, Marc Chagall, Vincent
Van Gogh, Paul Gauguin; Maurice Denis, Félix Vallotton, Émile
Bernard, Maurice Utrillo, Odilon Redon, Ossip Zadkine; Giorgio
Morandi, Filippo De Pisis; Edvard Munch, Graham Sutherland, James
Ensor, Le Corbusier, Vasilij Kandinskij, Paul Klee, Georges Braque,
Otto Dix, Ben Nicholson, Henry Moore, Amedeo Modigliani; Virgilio
Guidi, Pio Semeghini, Felice Casorati, Anselmo Bucci; Maurice de
Vlaminck, Corrado Cagli, Carlo Carrà, Pericle Fazzini; Umberto
Boccioni, Giacomo Balla, Giovanni Omiccioli, Fiorenzo Tomea, Achille
Funi; Sante Monachesi, Trento Longaretti, Luigi Spazzapan, Carlo Levi,
Fabrizio Clerici; Felice Carena, Giorgio De Chirico, Ennio Morlotti;
Mario Sironi, Arturo Martini; Ottone Rosai, Ardengo Soffici, Lorenzo
Viani, Arturo Tosi, Gianfilippo Usellini, Giovanni Prini. Dalla sala XXVIII
una scalinata scende alle SALE XXIX-LV, che accompagnano il percorso
verso la Cappella Sistina, al di sotto della quale sono state ricavate. Vi
sono esposte opere di: Domenico Cantatore, Ewald Mataré, Giuseppe
Mazzullo; Fernand Léger; Jacques Villon, Roger Bissière; Bernard
Buffet, Heinrich Campendonck, Lucio Fontana, Floriano Bodini,
Umberto Mastroianni, Ivan Mes•trovic•, Arturo Martini, Mirko
Basaldella, Jean Lurçat; Ben Shahn; Philip Evergood, John Sloan,
Lyonel Feininger, Leonard Baskin; Max Weber, Jack Levine, Jacques
Lipchitz; Gino Severini, Alfred Manessier; Primo Conti; James Ensor,
Max Ernst, Max Beckmann; Oskar Kokoschka, Karl Schmidt-Rottluff,
Christian Rohlfs, Emil Nolde; Paula Modersohn-Becker, Otto Dix,
Gabriele Münter, Erich Heckel; Graham Sutherland, Francis Bacon,
ceramiche di Pablo Picasso; Rufino Tamayo, Diego Rivera, David
Alfaro Siqueiros, José Clemente Orozco, Francesco Somaini; Fernando
Botero, Jean Fautrier; Georges Rouault; Jean-René Bazaine; Giuseppe
Capogrossi; Ernst Günter Hansing ed Juantegue Eduardo Chillida.

LA *CAPPELLA SISTINA (16). Al termine della Collezione d’Arte


religiosa moderna, salendo la scala di Sisto V, si passa nell’aula che –
anche per i conclavi e le cerimonie solenni di cui è stata ed è sede, ma
soprattutto per le pitture che l’adornano, segnatamente quelle,
conosciutissime, di Michelangelo – ha maggior fama al mondo.

LA STORIA. La Sistina è un ambiente rettangolare di m 40.5x13.2,


alto m 20.7, illuminato da sei grandi finestre centinate su ciascuno dei
lati lunghi e coperto da volta a botte ribassata. Fu eretta da
Giovannino de’ Dolci (1475-81) per volere di Sisto IV su disegno di
Baccio Pontelli. Il pavimento del sec. XV è a imitazione dell’opus
alexandrinum, analogo ai pavimenti cosmateschi. Un’elegante
*transenna marmorea, con parapetto, pilastri e candelabri
squisitamente decorati, dovuta alla collaborazione di Mino da Fiesole,
Andrea Bregno e Giovanni Dalmata, divide la cappella in due parti
disuguali, di cui la maggiore, con l’altare, è adibita alle cerimonie
propriamente religiose. Agli stessi artisti si deve la balaustrata
marmorea della *cantoria.

IL RESTAURO. Con la pulitura degli affreschi delle pareti laterali, dei


sottostanti finti tendaggi nonché delle opere marmoree si è nel 1999
concluso il restauro dell’intera Cappella Sistina, iniziato alla fine del
1979. Quest’ultima fase ha interessato il recupero delle parti
quattrocentesche, testimonianza del programma decorativo voluto da
Sisto IV e Francesco della Rovere, prima che gli interventi
michelangioleschi modificassero l’aspetto originario della cappella.
L’attento esame delle tecniche esecutive ha permesso di riconoscere
con maggiore certezza l’intervento di ciascuno dei principali artisti
coinvolti nell’impresa e di definire l’organizzazione del grande cantiere
che vide, tra il 1481 e il 1482, lavorare a stretto contatto maestranze
provenienti da botteghe diverse. Il restauro ha chiarito, inoltre, la
cronologia delle fasi di esecuzione e ha portato a ipotizzare un ruolo
pressoché paritario dei quattro pittori firmatari del contratto: Pietro
Perugino, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio e Cosimo Rosselli.

Gli affreschi, che ricoprono quasi interamente le pareti e la volta


(la luce più favorevole per osservarli è al mattino), ne fanno uno dei
massimi documenti dell’arte pittorica. Essi vanno considerati nei tre
diversi periodi della loro esecuzione: dal 1481 al 1483, a opera di
maestri toscani e umbri, per gli affreschi delle pareti (esclusa quella di
fondo), fino all’imposta degli archi delle finestre; dal 1508 al 1512, per
la decorazione michelangiolesca della volta e dei lunettoni sopra le
finestre; dal 1536 al 1541, per il Giudizio universale. Nel loro
complesso essi offrono uno straordinario panorama della pittura
rinascimentale italiana, dalla fase matura a quella estrema (sempreché
il Giudizio, come è stato osservato, non sia già espressione
drammatica della ‘crisi’ manierista).
GLI *AFFRESCHI ALLE PARETI LATERALI E DI FRONTE ALL’ALTARE furono
eseguiti sotto Sisto IV. Nella zona inferiore sono dipinti finti cortinaggi,
sopra i quali si applicavano un tempo, per le grandi cerimonie, gli
arazzi di Raffaello. Nel registro mediano si susseguono due serie di
grandi composizioni, divise da lesene decorate da candelabre e dovute
a vari artisti. La serie del lato d. (dando le spalle all’altare), con
episodi della vita di Mosè, ha inizio verso la parete del Giudizio
universale (i numeri arabi scandiscono i riquadri): 1, Mosè con la
moglie Sefora in Egitto, Circoncisione dei loro figli, del Perugino e del
Pinturicchio; 2, *Il roveto ardente, Mosè uccide l’Egiziano e scaccia i
Madianiti dalla fontana, Le figlie di Jetro, di Sandro Botticelli; 3,
Passaggio del mar Rosso di Biagio d’Antonio, con riferimento alla
vittoria papale di Campomorto (1482; vi figurano i condottieri Roberto
Malatesta e Virginio Orsini e il nipote del papa Girolamo Riario); 4,
Mosè sul Sinai e Adorazione del vitello d’oro del Rosselli; 5, *Punizione
di Core, Dathan e Abiron, di Botticelli (nel fondo, l’arco di Costantino e
avanzi del Settizodio, che al tempo dell’artista era ancora in piedi); 6,
*Mosè consegna la verga a Giosuè e Morte di Mosè di Luca Signorelli
e Bartolomeo della Gatta. La serie del lato sin., con episodi della vita
di Cristo, si sviluppa nello stesso senso: 1, Battesimo di Gesù
(Perugino e Pinturicchio, con firma del primo); 2, *Purificazione del
lebbroso e Tentazione di Cristo (nel fondo, la facciata dell’ospedale di
S. Spirito in Sassia) di Botticelli; 3, *Vocazione di Pietro e Andrea di
Domenico Ghirlandaio; 4, Discorso della montagna e Guarigione del
lebbroso del Rosselli in collaborazione con Piero di Cosimo; 5,
*Consegna delle chiavi, una delle maggiori composizioni del Perugino
(il quinto personaggio da d. è l’autoritratto dell’artista), con l’aiuto del
Signorelli; 6, Ultima cena di Cosimo Rosselli e Biagio d’Antonio. Lato di
fronte all’altare: Risurrezione di Cristo, S. Michele protegge il corpo di
Mosè, rifacimenti di Hendrick van der Broek e di Matteo da Lecce (c.
1570) di analoghi soggetti, rispettivamente, del Ghirlandaio e del
Signorelli.
Nella zona superiore, tra le finestre, sono dipinti a due a due,
entro nicchie conchigliate, 24 ritratti di papi a figura intera, che sono
dovuti a fra’ Diamante, Domenico Ghirlandaio, Botticelli e Cosimo
Rosselli.
LA *VOLTA. Quando Giulio II, nel 1506, risolse di completare la
decorazione della cappella (la volta era soltanto tinteggiata d’azzurro
con stelle dorate), ne diede l’incarico a Michelangelo, che iniziò il
lavoro il 10 maggio 1508 e lo terminò il 31 ottobre 1512. Per una
superficie così vasta (c. 800 m2), egli pensò a una grandiosa
composizione affrescata che abbracciasse tutta la volta e che non
risultasse limitata ai ‘quadri’ incorniciati dalle architetture dipinte, ma
fosse popolata da figure d’ogni grandezza. Ne risultò un’inedita
fusione di elementi architettonici, plastici e pittorici, retta da uno
straordinario equilibrio e illuminata dalla ricca gamma di accordi
cromatici rivelata dal restauro del 1981-90. Un dossale marmoreo è
dipinto lungo l’incurvatura della volta, e in esso si contano tante
cattedre quanti sono i pennacchi d’imposta: 12 gigantesche figure di
sibille e di profeti vi siedono assistite da putti. Incominciando dal lato
d., presso la parete del Giudizio, e continuando poi sul lato opposto:
Geremia; la Sibilla Persica; Ezechiele; la Sibilla Eritrea; Gioele;
Zaccaria; la Sibilla Delfica; Isaia; la Sibilla Cumana; Daniele; la Sibilla
Libica; Giona. A coronamento delle cattedre e quasi a reggere il peso
degli archi che le fiancheggiano, stanno le eleganti figure degli
«ignudi», che a coppie sostengono festoni e medaglioni istoriati di
finto bronzo. Negli spazi rettangolari fra arco e arco, al sommo della
volta, sono 9 quadri raffiguranti le fasi della Genesi (incominciando da
sopra l’altare): Dio separa la luce dalle tenebre; Dio crea il sole e la
luna e le piante sulla Terra; Dio spartisce le acque e crea i pesci e gli
uccelli; La creazione del primo uomo; La creazione di Eva dalla
costola di Adamo. Seguono gli episodi del Vecchio Testamento: Il
Peccato originale e la cacciata dal Paradiso terrestre; Il sacrificio di
Noè; Il Diluvio universale; L’ebbrezza di Noè. Negli spicchi triangolari
agli angoli della volta, altri episodi biblici (da presso l’altare,
cominciando dal lato d.): Il serpente di bronzo; Assuero, Ester e
Amman; Davide e Golia; Giuditta e Oloferne. Infine, nei lunettoni delle
finestre e nei soprastanti spicchi a vela, si svolge la lunga teoria degli
antenati di Cristo in attesa dell’Evento. La composizione è completata
da figure ornamentali a chiaroscuro.
L’intera PARETE DI FONDO è coperta dal *Giudizio universale,
affresco celebrato e universalmente conosciuto dipinto da
Michelangelo un quarto di secolo dopo la volta (1536-41) e restaurato
nel 1990-94. Per la sua esecuzione furono murate due finestre e
cancellati due affreschi del Perugino e due lunette che lo stesso
Michelangelo vi aveva già dipinto. L’incarico di ultimare la decorazione
della Sistina fu dato a Michelangelo da Clemente VII nel 1534, poco
prima di morire, e fu subito confermato dal suo successore Paolo III.
In questo affresco Michelangelo interpretò pittoricamente la terribilità
del «Dies irae»: tutta la grandiosa scena è in movimento, ma la
moltitudine di figure segue un rigoroso ordinamento compositivo che
ne rende chiaro il significato, espresso tuttavia «sconvolgendo tanto
l’iconografia tradizionale del tema, quanto i rapporti proporzionali e
prospettici dell’arte rinascimentale». Nel mezzo, in alto, in figura
apollinea ma col gesto di un Giove fulminante, domina Cristo
supremo giudice e a lui si accosta la figura della Vergine. Intorno,
santi, patriarchi e martiri affollano il Paradiso, mentre alla d. di Gesù
gli eletti salgono al cielo sostenuti da angeli, invano trattenuti da
demoni; a sin., i dannati vengono precipitati in basso: li attendono
Caronte con la sua barca e, nell’angolo d., Minosse (che sarebbe,
secondo il racconto di Vasari, il ritratto di Biagio da Cesena, maestro
di cerimonie di Paolo III, che aveva criticato la composizione a causa
dei nudi). In basso, a sin., è la Risurrezione dei morti e, nel mezzo, un
poco al disopra di Caronte, è il gruppo degli angeli che suonano le
trombe del Giudizio. Ai piedi di Gesù sta S. Bartolomeo, che mostra la
propria pelle (autoritratto di Michelangelo); nello spazio delle due
lunette, schiere di angeli con i simboli della Passione. Pio IV fece
coprire le nudità, ritenute scandalose, da Daniele da Volterra, che si
guadagnò così il nomignolo di «Braghettone»; alcune delle «braghe»
più recenti sono state tolte in corso di restauro, mantenendo solo
quelle più antiche.

GLI AMBIENTI PRESSO LA CAPPELLA SISTINA. La parete opposta al


Giudizio universale si apre sulla sontuosa Sala regia (visita con
permesso speciale), cominciata da Antonio da Sangallo il Giovane nel
1540, compiuta solo nel 1573 e destinata in origine al ricevimento dei
sovrani. La volta a botte ha un ricco cassettonato a stucchi, di Perin
del Vaga; gli stucchi alle pareti sono di Daniele da Volterra. I grandi
affreschi storici sono di Giorgio Vasari (1572-73), Lorenzo Sabatini,
Francesco Salviati e degli Zuccari; i quadri più piccoli si devono invece
a Orazio Sammachini, Marco Pino, Livio Agresti. Accanto, è l’AULA DELLE
BENEDIZIONI, vasta come l’atrio di S. Pietro (sopra il quale è situata) e
che ha nome dal finestrone mediano.
La Sala ducale (visita con permesso speciale) è formata da due
ambienti contigui e originariamente separati, che Gian Lorenzo Bernini
riunì abilmente in uno solo mediante un’arcata dissimulata da un
grandioso panneggio sostenuto da angioletti; decorata nella volta di
grottesche di Marco Pino e alle pareti di paesaggi di Paul Brill, ha, in
qualche lunetta e sulle pareti, affreschi moderni.
Nella cappella Paolina (nel 2008 ne è in corso il restauro), pure
del Sangallo (1540), è conservata l’ultima opera pittorica di
Michelangelo (1542-49), i due drammatici affreschi della *Conversione
di S. Paolo e della *Crocifissione di S. Pietro.

LA SALA DEGLI INDIRIZZI DI PIO IX. Da una porta nella parete delle
storie di Cristo, oltre la transenna, si esce dalla Cappella Sistina; per
un corridoio (che corre lungo un lato del cortile della Sentinella) e una
scala si raggiunge il piano della Biblioteca Apostolica Vaticana
sboccando nella sala. In una vetrina, oggetti rinvenuti in uno scavo
effettuato a Pompei durante la visita di Pio IX (1849); notevole
bassorilievo marmoreo greco raffigurante un *cavaliere (sec. IV a.C.).
Segue la CAPPELLA DI S. PIO V, decorata di affreschi con storie della
vita di S. Pietro martire di Jacopo Zucchi su disegni di Giorgio Vasari.
Nella vetrina a muro, oggetti (dal sec. IV-V all’XI) del tesoro del «Sancta
Sanctorum».
SALA DEGLI INDIRIZZI: negli armadi, raccolta di vetri romani e
paleocristiani e oggetti d’arte sacra in avorio, smalto e metalli preziosi
dal Medioevo ai tempi moderni. Notare nella vetrina subito a sin., il
bicchiere con incrostazioni a forma di animali marini, eseguito a
Colonia nel sec. IV; nella vetrina davanti alla finestra: disco con la più
antica raffigurazione dei Ss. Pietro e Paolo; nella 8ª vetrina di d.,
storie di Cristo, smalti di Limoges del sec. XIII, dalla vecchia basilica di
S. Pietro; nella 11ª, dittico di Rambona (Crocifissione e Madonna in
trono con angeli e santi; Italia centrale, c. sec. X) e pisside eburnea da
Milano (sec. VI).

LA SALA DELLE NOZZE ALDOBRANDINE, (17) cui si accede da sin., è


decorata nella parete di fondo dalle famose *Nozze Aldobrandine,
affresco trovato nel 1605 presso l’arco di Gallieno sull’Esquilino,
conservato da principio in uno dei padiglioni della villa Aldobrandini a
Magnanapoli e dal 1818 in Vaticano; è una delle più belle e meglio
conservate pitture dell’antichità, per alcuni creazione neoattica di età
augustea, per altri copia da un originale del sec. IV a. Cristo. L’opera
rappresenterebbe i preparativi per le nozze di Alessandro Magno con
Rossane, e vi si possono riconoscere anche personaggi mitologici,
come Peithos o Afrodite stessa nella confortatrice.
Lungo le pareti, in alto *paesaggi dell’Odissea, già formanti il
fregio di una stanza scoperta nel 1848 sull’Esquilino (sec. I a.C.); nave
frumentaria (sec. III, affresco rinvenuto a Ostia nel 1865); le eroine di
Tor Marancia, pitture trovate in questa tenuta sull’antica Via Ardeatina
(1816), nei ruderi di una villa del sec. III, e rappresentanti ciascuna la
protagonista di una tragedia greca (Pasifae, Mirra, Canace, Fedra,
Scilla) nel momento culminante dell’azione; *processioni di bambini
(sec. III, affreschi reperiti a Ostia nel 1868); due mosaici, uno con
festoni di foglie e frutti, rinvenuto nella villa Adriana a Tìvoli, l’altro
con paesaggio e animali, trovato sull’Aventino. Nel pavimento, Achille
trascina il corpo di Ettore, mosaico del sec. III. Nel soffitto, affreschi di
Guido Reni (storie di Sansone).

LA SALA DEI PAPIRI, che segue a quella degli Indirizzi, è cosiddetta


perché destinata a contenere i papiri di Ravenna, di cui sono state
esposte riproduzioni in luogo degli originali; nel soffitto sono
conservate pitture di soggetto allegorico di Anton Raphael Mengs
(1774) con la collaborazione di Cristoforo Unterberger per la parte
ornamentale.
MUSEO SACRO (13). La sala, destinata da Benedetto XIV nel 1756
a raccogliere preziose antichità cristiane, fu affrescata nella volta da
Stefano Pozzi. Il museo è stato riallestito nel 2006.

Nelle vetrine e negli armadi (alternativamente a d. e a sin.) sono


racchiusi: amuleti, anelli romani, sigilli e pesi bizantini; rilievi in
steatite e pietra dura bizantini (sec. XI-XIII), un *mosaico bizantino con
S. Teodoro (metà XIV); una custodia del capo di S. Sebastiano (sec.
IX), già nella chiesa dei Ss. Quattro Coronati, e un tondo argenteo con
scene di caccia (sec. V); un acquamanile in stile orientale (sec. VIII-IX)
del quale secondo la leggenda si sarebbe servito S. Lorenzo per
battezzare, un reliquiario d’Algeria (sec. VI); stoffe paleocristiane e
copte e «lenzuola dei sette martiri greci» (sec. VIII-IX), seguite da una
ricca collezione di lampade e ceramiche (sec. I-IV) con simboli pagani,
ebraici e cristiani; oggetti di vetro soffiato o fuso dal sec. I al IV, tra i
quali vasi, balsamari, tazze e bottigliette, e inoltre vetri provenienti da
Ostia (sec. IV), frammenti di «millefiori» del sec. II o III e una parte
della più ricca collezione di vetri dorati, alcuni del sec. III, altri, più
numerosi, del IV.

LA *BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA (12), la cui lunga galleria ha


qui inizio, fu fondata – sebbene fin dai primi secoli della Chiesa i
pontefici romani possedessero raccolte librarie e archivistiche – nel
1451 (Niccolò V) e ‘ufficializzata’ dalla bolla di Sisto IV del 1475.

LA STORIA DELLA BIBLIOTECA E LE SUE COLLEZIONI. I codici che erano


stati radunati dai predecessori, in particolare lo stesso Niccolò V,
salirono subito a 2527, mentre Sisto IV allestiva nuovamente la sede,
già stabilita da Niccolò V al piano terreno del suo palazzo con ingresso
sul cortile del Pappagallo e prospettiva sul cortile del Belvedere.
L’abbellirono Melozzo da Forlì (il suo grande affresco rappresentante
l’inaugurazione della biblioteca è ora nella pinacoteca), Antoniazzo
Romano, Domenico e Davide Ghirlandaio. Nel sec. XVI continuò
l’incremento, tanto che Sisto V fece erigere da Domenico Fontana, tra
gli anni 1587 e 1589, l’edificio che ancora oggi accoglie l’istituzione e
che, innalzato sopra le scalinate divisorie del cortile del Belvedere, lo
interruppe trasversalmente; il Salone Sistino, incluso nel percorso di
visita dei Musei Vaticani, è al piano superiore del fabbricato. Collezioni
di manoscritti e di testi a stampa si sono aggregate, nel corso dei
secoli, a quelle proprie della biblioteca, mantenendo la struttura di
fondi autonomi: la Palatina (1622), cosiddetta dall’elettore palatino di
Heidelberg; l’Urbinate (1658), raccolta da Federico duca d’Urbino; la
Reginense, già della regina Cristina di Svezia (1689-91); la
Capponiana, legata dal marchese Alessandro Gregorio Capponi
(1746); l’Ottoboniana (1748); la Borghesiana (1891), con parti della
biblioteca papale di Avignone; la Barberiniana (1902); la Borgiana
della congregazione «De Propaganda fide» (1902); la Rossiana
(1921), depositata dai Gesuiti che da Roma l’avevano trasferita a
Vienna nel 1873; la Chigiana, donata dallo Stato italiano (1923), che
nel 1918 l’aveva acquistata dai Chigi col loro palazzo; la Ferrajoli
(1926); la Patetta (1945); la De Luca (1975). Altre collezioni e gruppi
minori, di varia origine, sono stati ordinariamente inseriti nei fondi
della biblioteca; da essa, sotto Paolo V, fu distaccata la parte
propriamente documentaria, per dare origine all’Archivio Segreto
Vaticano. Attualmente la biblioteca possiede oltre 75000 volumi
manoscritti e 70000 volumi archivistici, ai quali si aggiungono più di
100000 autografi separati, c. 8200 incunaboli, c. 800000 volumi a
stampa, 100000 incisioni e carte geografiche.
La biblioteca di studio (riservata ai docenti universitari, previa
autorizzazione) ha ingresso sul cortile del Belvedere; vi è annessa una
Scuola di Biblioteconomia istituita nel 1934. Presso l’Archivio Vaticano
(con ingresso autonomo dallo stesso cortile) fu aperta nel 1884 la
nota Scuola vaticana di Paleografia e Diplomatica ed è in funzione una
Scuola di Archivistica.

ALLA GALLERIA DI URBANO VIII, con decorazione iniziata da


Giovanni Paolo Schor e ripresa nel 1756 (notare i planisferi: uno del
1529 di Giovanni da Verrazzano, l’altro, dello stesso anno, di Diego
Ribera), seguono le due SALE SISTINE (nelle lunette, episodi del
pontificato di Sisto V) e la BIBLIOTECA DI SISTO V (piccola galleria), ove
sono esposti il più grande e il più piccolo codice dell’Apostolica
Vaticana: la Bibbia ebraica dell’Urbinate, finita nel novembre 1295, e
le Messe di S. Francesco e di S. Anna, miniate nel sec. XVI.
Il *Salone Sistino (18), che qui si innesta, fu costruito da
Domenico Fontana (1587-89) come una grandiosa aula (c. m 80x16) a
due navate divise da grossi pilastri e coperte da volte a crociera. La
ricchissima decorazione, diretta da Giovanni Guerra e Cesare Nebbia,
ebbe a esecutori Paul Brill, Ventura Salimbeni, G.B. Ricci, Andrea Lilio,
Orazio Gentileschi, G.B. Pozzo, Avanzino Nucci e altri. Le volte sono
affrescate a grottesche e hanno al sommo riquadri cruciformi con
allegorie e, nei peducci, riquadri con angeli; alla base delle vele e nelle
lunette alle testate delle navate, vedute di Roma con i più famosi
monumenti, importante documentazione degli interventi urbanistici
operati da Sisto V negli anni 1585-90. Tra le finestre, composizioni
esaltanti Il libro attraverso i secoli e altre con la Glorificazione del
pontificato di Sisto V; sui pilastri, ritratti ideali di personaggi storici. Gli
armadi lignei verniciati (1645), che corrono lungo le pareti e i pilastri,
contenevano un tempo manoscritti, secondo le indicazioni esterne che
ancora si leggono.

GLI AMBIENTI PRESSO LA BIBLIOTECA. Dalla biblioteca di Sisto V


l’infilata di stanze continua nelle due SALE PAOLINE, decorate da G.B.
Ricci (1620) con episodi della vita di Paolo V che ne promosse la
realizzazione (nella prima, la macchina per improntare le bolle
pontificie, inventata da Bramante); quindi, con la SALA ALESSANDRINA,
sulla quale si innesta il Braccio Nuovo →, formata sotto Alessandro
VIII (1690) e decorata con affreschi raffiguranti episodi della vita di
Pio VI (notare il piviale, lungo m 3.10, in seta rossa con finissimi
ricami, uno tra i migliori esemplari inglesi, di fine sec. XIII). Da ultimo,
la GALLERIA CLEMENTINA, realizzata da Clemente XII (1732), divisa in
cinque sezioni da Pio VI e affrescata con episodi della vita di Pio VII;
sulle colonne in porfido all’uscita dalla 4ª sezione, in alto, sono scolpiti
due imperatori in atto d’abbracciarsi (opera del basso Impero), nella
5ª si devono a Gian Lorenzo Bernini i bozzetti della Carità, del profeta
Abacuc e di Daniele nella fossa dei leoni, mentre ai lati dell’uscita sono
due statue di divinità del culto di Mitra (sec. II-III).

IL MUSEO PROFANO (12) è costituito da una sala che conserva


l’aspetto conferitole negli ultimi anni del sec. XVIII, quando, destinata a
contenere il medagliere vaticano, ebbe i quattro eleganti mobili in
legno del Brasile disegnati da Luigi Valadier. Cominciata sotto
Clemente XIII (1767), fu condotta a termine sotto Pio VI; sulla volta,
Minerva e il tempo di Stefano Pozzi. Gli oggetti esposti provengono in
parte da collezioni del sec. XVIII, quali la Carpegna e l’Albani, e in parte
da scavi degli anni 1809-1815.

I REPERTI. Alla parete d’ingresso, nelle nicchie: a sin., testa in


bronzo di Settimio Severo; a d., testa in bronzo di Caelius Balbinus.
Negli armadi, oggetti di diversa materia, di epoca etrusca, romana e
medievale. A destra, nel primo, mosaico romano, dalla villa Adriana,
con figure di cervo e uccelli, del sec. II, e avori vari; nell’ultimo, agli
sportelli, lastre in bronzo con iscrizioni, nell’interno, statuette pure
bronzee di arte romana (sec. I-III). A sinistra, nel primo, sculture in
avorio di epoca romana; testa e braccio di una statua di Athena,
crisoelefantina; nell’ultimo, statuette bronzee etrusche (sec. VI-III a.C.)
e, negli sportelli, avori romani. Alla parete di fondo: nella nicchia a d.,
testa di Nerone in bronzo; in quella a sin., testa di Augusto pure in
bronzo.

IL MUSEO MISSIONARIO-ETNOLOGICO (3). All’uscita, una scala


scende al livello di questo museo, che si trova nella stessa ala
costruita durante il pontificato di Paolo VI; istituito nel 1926 da Pio XI
nel palazzo del Laterano e qui trasferito per volontà di Giovanni XXIII
è interessante per la completezza geografica (civiltà extraeuropee) e
per la varietà dei pezzi esposti; inaugurato nel 1970, comprende i
materiali della Mostra missionaria del Giubileo del 1925 affiancati da
donazioni di congregazioni missionarie e di privati. Vi sono allestiti
oggetti, ricostruzioni, testi relativi alle religioni locali, al culto dei morti,
all’introduzione del Cristianesimo nelle varie regioni del mondo nonché
alla vita quotidiana, all’organizzazione sociale e alle diverse espressioni
artistiche. Nel 2006 è stato inaugurato il primo settore di un nuovo
allestimento, tuttora in corso.

LE OPERE PIÙ SIGNIFICATIVE. CINA: altare taoista con emblemi e vasi


per sacrifici; riproduzione dell’altare del tempio di Confucio a Kufu con
la statua del filosofo e un tavolo sacrificatorio con i vasi sacri; statua
lignea della Kwanyn, antica divinità della fertilità, poi uno dei
Bodhisattva più invocati. GIAPPONE: grande bruciaprofumi in metallo
con scene e statuine mitologiche dello shintoismo (sec. XVIII); due
butsudan o altarini domestici con vasi per sacrifici, statue di divinità,
buddiste e shintoiste, tavolette degli antenati. TIBET-MONGOLIA: modello
del monastero lamaistico di Tch’uo-yang-Hien nella Mongolia orientale,
fondato nel ’700. INDOCINA: portantina in legno dorato del 1846 usata
per la processione della Madonna del Rosario nel Vietnam.
SUBCONTINENTE INDIANO: due altarini domestici con Vishnu al centro e le
sue varie incarnazioni (sec. XVII); statue della Madonna e di santi dei
sec. XVII e XVIII. INDONESIA E FILIPPINE: vasi di uso comune nel Borneo, a
Giava e nelle Isole Filippine, connessi all’islamismo (la religione più
diffusa nell’Indonesia moderna); due statue in legno del dio Tu,
capolavori dell’arte polinesiana. MELANESIA: grandi sculture lignee degli
spiriti protettori della casa; «tambaran» o capanna degli spiriti, centro
spirituale e sociale dei villaggi della Nuova Guinea. AUSTRALIA: pali
tombali, dipinti e scolpiti con animali totemici. AFRICA SETTENTRIONALE:
frammenti di vasi in terracotta colorata dall’Egitto (sec. IX-XVI);
statuine in terracotta dipinta di sacerdoti, divinità e antenati. AFRICA
CENTRALE: statuine in legno di antenati e spiriti protettori. AFRICA
MERIDIONALE: statuette in argilla rivestite di perline raffiguranti antenati
venerati dalle donne per propiziarsi la fertilità (dal Basutoland).
AMERICA CENTRALE: bella scultura in pietra rossastra di Quetzalcoatl, dio
del vento. ARTE CRISTIANA AMERICANA: portamessale in legno e
madreperla, lavoro indigeno dei Caraibi, appartenuto al cappellano di
Cristoforo Colombo, frate Bartolomeo de Las Heras. AMERICA
SETTENTRIONALE: sculture di Ferdinando Pettrich da lui donate a Pio IX,
con scene della vita delle tribù indiane Sioux, Sauks-Foxes, Winnebago
e Creeks; statue e busti di capotribù, consiglieri e sacerdoti. PERSIA:
maioliche persiane e orientali della collezione La Farina di Palermo.

LA SEZIONE DISTACCATA DEL MUSEO STORICO VATICANO (19; le altre


trovano posto nel Palazzo Lateranense) è sistemata in un vasto locale
costruito sotto il cosiddetto «Giardino quadrato». Raccoglie i mezzi di
trasporto papali, dalla portantina in damasco rosso donata a Leone
XIII (c. 1888) alle carrozze da viaggio per lunghi percorsi, alla berlina
di gran gala, costruita dal carrozziere Gaetano Peroni per Leone XII
(era trainata da sei cavalli di cui sono esposte le bardature), fino alle
automobili.

All’uscita dal Museo Missionario-Etnologico si arriva alla scala


elicoidale a doppia rampa, adorna di bassorilievi, opera di Giuseppe
Momo (1932) al pari del grande portale, sormontato dalle statue di
Raffaello e Michelangelo.

VISITA EXTRAMUSEALE DELLA CITTÀ DEL VATICANO


L’ACCESSO. Per ragioni di riservatezza e sicurezza, l’accesso per
finalità turistiche alle aree extramuseali è consentito soltanto previa
prenotazione presso l’Ufficio rilascio permessi, t. 0669883759. Per
informazioni più dettagliate ci si può rivolgere all’Ufficio turistico della
Città del Vaticano, t. 0669881662.

IL COLLEGIO E IL CAMPOSANTO TEUTONICO. A ridosso dell’arco delle


Campane è piazza dei Protomartiri Romani, ove a sin. sorgono le due
istituzioni, fondate nel 799, con terra portata, secondo la leggenda,
dal Calvario. Il primo è sede di un istituto di studi archeologico-storici
e comprende un piccolo museo (frammenti di sculture ed epigrafi, e
antichità cristiane) e una biblioteca archeologica e di storia
ecclesiastica di 45000 volumi.

L’*AULA DELLE UDIENZE PONTIFICIE, racchiusa nell’edificio dietro il


Collegio, fu inaugurata nel 1971 e poi intitolata a Paolo VI. Capace di
12000 persone, è opera di Pier Luigi Nervi, a forma di conchiglia, con
immensa volta e platea concava collegate strutturalmente; la
Risurrezione è di Pericle Fazzini.

PIAZZA DI S. MARTA. Oltre gli archi del cavalcavia che unisce la


basilica alla sagrestia (dinanzi al primo, sul selciato, un’epigrafe
ricorda che qui, fino al 1586, si alzava l’Obelisco Vaticano), è dominata
a d. dalla maestosa architettura michelangiolesca del transetto sin. di
S. Pietro, a sin. dal palazzo S. Carlo e dalla palazzina dell’Arciprete di
S. Pietro, sul fondo dal palazzo di Giustizia. Prospiciente l’abside della
Basilica Vaticana, la chiesetta di S. Stefano degli Abissini, eretta da
Leone III col titolo di S. Stefano Maggiore e concessa nel 1479 da
Sisto IV a monaci copti, fu quasi del tutto rifatta a inizi sec. XVIII da
Clemente XI. L’interessante portale (sec. XII) è intagliato a meandri e
a fogliami (in alto, nel mezzo, l’Agnello con la croce).
A destra della chiesa, una vasta scalinata sale all’imponente
edificio del palazzo del Governatorato (1931), ove hanno sede i vari
servizi civili; nell’area a sin., il basso edificio dello Studio del mosaico
(fondato per provvedere alla decorazione musiva di S. Pietro) e la
piccola stazione ferroviaria, che un breve raccordo collega alla linea
Roma-Viterbo.
I *GIARDINI VATICANI. Dietro il palazzo del Governatorato, viale
dell’Osservatorio entra nel cuore dell’area verde, che si stende alle
falde del Monte Vaticano e ha il carattere di giardini italiani del sec.
XVI, a prati e boschetti, sparsi di grotte artificiali, chioschi, fontane.

LE EMERGENZE DEL PARCO. Sulla sommità O si dispone, preceduto


lungo le pendici dal Collegio etiopico, un tratto delle mura Leonine →,
nel quale s’innestano un torrione – già osservatorio astronomico –
oggi sede della Radio Vaticana, e la torre di S. Giovanni, adibita un
tempo a residenza papale estiva e ora ad alloggio di ospiti illustri (nei
pressi, il primo edificio della Radio Vaticana, progettato da Guglielmo
Marconi nel 1931, e l’eliporto).
A ridosso dell’estremità E del segmento di mura Leonine, la
fontana dell’Aquilone (Giovanni Vasanzio) è un vasto bacino decorato
di tritoni e draghi, sormontato, al sommo della scogliera che lo chiude
da una parte, da una colossale aquila di pietra tufacea.

LA CASINA DI PIO IV. Nell’avvallamento a NE, i cui contorni sono


visivamente segnati dalla mole della Pinacoteca Vaticana e dal muro
laterizio del cortile del Belvedere, la palazzina fatta erigere da Pio XI
per ospitare la Pontificia Accademia delle Scienze è a ridosso della
*casina di Pio IV, il complesso architettonico più suggestivo.

LA STORIA E L’ARCHITETTURA. A dispetto della denominazione,


l’elegante fabbricato fu iniziato da Paolo IV, il quale ne affidò la
costruzione (1558) a Pirro Ligorio che (con la collaborazione di
Giovanni Sallustio Peruzzi, figlio di Baldassarre) ultimò l’opera nel
1561.
È formato da due distinti edifici e da altrettanti padiglioni laterali.
L’edificio minore, circondato da una fontana, è ornato di mosaici nel
basamento ed è aperto superiormente da una loggia dorica; il
maggiore ha la fronte decorata di stucchi ornamentali e figurati, nel
gusto affermatosi con la villa Medici e più tardi largamente seguito in
costruzioni analoghe (l’interno conserva affreschi di Federico Barocci,
Santi di Tito e Federico Zuccari).

A valle, addossata al fronte posteriore del palazzo della Zecca


(fondato nel 1661 e ricostruito da Pio VI), si trova la fontana del
Sacramento, di Giovanni Vasanzio.

LE INFRASTRUTTURE E LE ‘ATTIVITÀ PRODUTTIVE’ DEL PICCOLO STATO si


concentrano nell’area all’estremità E della Città del Vaticano, compresa
tra il blocco longitudinale dei cortili del Palazzo Vaticano e la cinta
muraria affacciata su via di Porta Angelica; qui, nel corso della
costruzione dell’autoparco è venuta alla luce una necropoli romana
che costeggiava l’antica Via Trionfale.
Lungo via del Belvedere si susseguono l’Ufficio postale e
telegrafico e la Tipografia poliglotta, l’Elemosineria apostolica; la
trasversale e animata via del Pellegrino allinea i magazzini
dell’Annona, la Casa parrocchiale, il Laboratorio per il restauro degli
arazzi, la ripristinata chiesa di S. Pellegrino, la sede dell’Osservatore
Romano e, al termine, le Officine meccaniche cui fa seguito la
Centrale termica. Via del Belvedere continua in via S. Anna con la
caserma degli Svizzeri e la chiesa di S. Anna dei Palafrenieri,
parrocchiale della Città del Vaticano, che, iniziata nel 1572 dal Vignola
per la confraternita dei Palafrenieri della Corte papale, fu ultimata
dopo la sua morte dal figlio Giacinto Barozzi. La facciata, di gusto
barocco, è posteriore; l’interno armonioso, con due cappelle laterali, è
fra i primi in Roma a pianta ellittica. A ridosso, il cancello di S. Anna si
apre su via di Porta Angelica.

NECROPOLI ROMANA DELLA VIA TRIUMPHALIS. Nel 2006 è stato


inaugurato questo settore archeologico (www.vatican.va) scoperto
durante i lavori per la realizzazione del parcheggio di Santa Rosa; esso
costituisce la prosecuzione di quello scoperto negli anni ’50 del
Novecento durante la costruzione dell’autoparco →. Il complesso
cimiteriale rappresenta, assieme a quello lungo la Via Cornelia, una
delle più complete e documentate necropoli della Roma imperiale. Lo
scavo ha messo in luce circa 40 edifici sepolcrali e più di 200 sepolture
singole disposte su diversi livelli e segnalate da cippi, stele, altari e
lastre, spesso dotate di iscrizioni: tale apparato epigrafico risulta di
eccezionale interesse storico-sociale poiché nei testi vengono
specificati il mestiere o il luogo d’origine dei defunti, offrendo un
interessantissimo spaccato di vita quotidiana. La maggior parte delle
tombe si trova in ottimo stato di conservazione ed è databile tra la
fine del I sec. a.C. e gli inizi del IV sec. d.C. Alcuni edifici conservano
interessanti decorazioni parietali ad affresco e a stucco e pavimenti a
mosaico. Di particolare interesse è il sarcofago del giovane «equites»
Publius Caesilius Victorinus (270-290 d.C.), che presenta la figura di
un’orante accanto a un albero con sopra un uccello: tale iconografia
sembra riportare il defunto in ambito cristiano, in un periodo
precedente alla pace costantiniana (313 d.C.).
6 LE MURA AURELIANE

Tra le capitali europee Roma è l’unica che conservi, in misura


considerevole, le mura urbane del periodo classico: un capolavoro di
architettura militare rimasto in efficienza grazie alla costante cura dei
papi – con restauri e ricostruzioni anche molto estese, come per
l’intero settore sulla riva destra del Tevere – per ben 16 secoli, fino
alla storica «breccia» di porta Pia. Il circuito aureliano è stato uno
degli insiemi più ammirati, studiati e riprodotti della città, soprattutto
negli episodi monumentali delle porte, tanto quelle antiche (Tiburtina,
Maggiore, Asinaria, Latina, di S. Sebastiano, di S. Paolo) quanto quelle
di età moderna dovute a esponenti di primo piano dell’architettura
rinascimentale e barocca: da Michelangelo a Jacopo Del Duca, da
Antonio da Sangallo il Giovane a Gian Lorenzo Bernini. L’importanza
storica, architettonica e topografica di questa cinta ne ha imposto la
conservazione (sia pure a prezzo di numerose brecce) contrariamente
ai principi ‘progressivi’ dell’urbanistica ottocentesca, ai quali furono
sacrificate le mura di tante città europee – prime fra tutte Parigi e
Vienna – e italiane.

LA STORIA. L’imperatore Aureliano avviò nel 271 la costruzione


delle mura che da lui presero il nome, quando la minaccia sempre più
vicina di invasioni barbariche (egli stesso aveva respinto i Barbari sul
fiume Metauro) rese indispensabile la realizzazione di una nuova
cerchia per proteggere Roma. Cresciuta ben oltre i limiti della primitiva
cinta serviana e delle mura erette dal 378 a.C. dopo l’incendio dei
Galli, la città era rimasta ‘indifesa’ dalla fine dell’età repubblicana,
benché non fossero mancati altri tipi di recinto urbano (il pomerio
rituale, più volte ampliato da Silla, Claudio e Vespasiano; una cinta
daziaria di età flavia). L’inclusione nelle mura di molti edifici
preesistenti prova la necessità di ridurre i tempi di costruzione, mentre
di altri, demoliti lungo il percorso, furono riutilizzati i materiali; i lavori,
realizzati per l’essenziale alla morte di Aureliano (275), furono
terminati durante il regno (276-282) di Probo.
LA STRUTTURA DELL’OPERA DIFENSIVA. La cerchia, che si conserva
‘integralmente’ sulla riva sin. del Tevere, accompagnava il profilo delle
colline e aveva originariamente il carattere dimesso di un muro in
mattoni alto 6 m e dello spessore di c. 3.5, munito ogni 100 piedi
(29.6 m) di una torre quadrata con camera superiore per macchine da
guerra. Le porte maggiori avevano due archi d’ingresso gemelli in
travertino, inquadrati da altrettante torri semicircolari, ridotti a uno
nelle porte minori; le più modeste, prive di torri, erano al centro dei
tratti compresi fra due torri quadrate. Con capolinea settentrionale a
porta Flaminia, il circuito, che oggi in prossimità del fiume si
interrompe al termine di viale del Campo Boario, proseguiva in origine
verso N, parallelo al corso d’acqua, per c. un chilometro, e passava poi
sulla sponda opposta. Qui le mura Aureliane, di cui rimangono
scarsissimi resti, racchiudevano una zona di forma all’incirca
triangolare: a S si apriva la porta Portuense (più meridionale
dell’odierna porta Portese); al vertice del triangolo, sul Gianicolo, era
la porta Aurelia (presso l’attuale S. Pancrazio), dalla quale la cinta
ridiscendeva fino a porta Settimiana. Di nuovo alla sinistra del fiume,
le fortificazioni correvano a questo parallele fino a porta Cornelia,
prospiciente il «pone Aelius» (l’attuale S. Angelo) e il mausoleo di
Adriano (che inglobarono solo in epoca onoriana), e quindi
proseguivano sempre lungo la sponda sinistra, per staccarsene
ritornando verso la porta Flaminia.
Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:
sinistra, destra, sinistra e destra.

LE OPERE DI CONSERVAZIONE. L’affrettata esecuzione della cerchia


richiese ben presto restauri: al primo sotto Massenzio, con tecnica
muraria in opus listatum, seguì quello più consistente di Onorio e
Arcadio per fronteggiare l’attacco dei Goti nel 401-402, in occasione
del quale venne raddoppiata l’altezza del muro e realizzato un nuovo
cammino di ronda merlato sulla sommità (quello originale fu
trasformato in galleria coperta), alcune porte furono dotate di
controporte interne, mentre gli archi d’ingresso vennero in taluni casi
unificati, e rinforzate e sopraelevate le torri esterne. Nel V sec. le mura
annoveravano 383 torri, 7020 propugnacoli o merli, 116 corpi di
guardia con relativi «necessaria» (latrine). Altri restauri furono
condotti nel VI da Belisario e quindi, fino al XIX, dai pontefici. Dopo il
crollo del 2001 nella zona del bastione Ardeatino, è stato varato un
vasto programma di riqualificazione delle mura e degli acquedotti
romani. Il ripristino sarà accompagnato dal restauro conservativo
dell’intero tratto e la valorizzazione del monumento, che a lavori
conclusi costituirà un museo a cielo aperto e disporrà di percorsi
interni di visita per il pubblico e di spazi da destinare a usi civici.
L’itinerario automobilistico (pianta alle pagine 708-709) si svolge
sulla sponda sinistra del Tevere da porta del Popolo a porta S. Paolo
(per la discontinuità delle mura papali sulla riva opposta, si è invece
preferito descriverne i singoli tratti all’interno degli itinerari del capitolo
2), sempre dappresso alla cerchia dalla quale si allontana solo a causa
della viabilità, e offre squarci suggestivi nei punti in cui le mura si
sono conservate sostanzialmente intatte, intercalati da rifacimenti,
brecce e tagli realizzati fino agli anni ’60 del ’900 – soprattutto in
vicinanza delle porte – per facilitare la circolazione. La visita a piedi è
consigliata soprattutto nei giorni festivi molto meno disturbati
dall’assalto del traffico: suddivisa in più tappe, consente, tra l’altro, di
valutare l’entità degli interventi pontifici (denunciati dai rispettivi
stemmi) e di osservare i tratti più integri dei camminamenti interni.

PORTA DEL POPOLO. Piazzale Flaminio (dove è l’accesso a villa


Borghese, →) è collegato a piazza del Popolo → da questo passaggio,
per un millennio e mezzo il principale ingresso N alla città, che mostra
oggi un prospetto alterato dai lavori del 1877-79, quando furono
demolite le due torri quattrocentesche per aprire i fornici laterali. La
porta Flaminia delle mura Aureliane, dalla quale usciva l’omonima via
consolare (→ e, per la storia, →), venne eretta in asse con la porta
del recinto serviano ai piedi del Campidoglio (Ratumena o Fontinalis) e
nel sec. X prese il nome di S. Valentino dalla basilica e dalle
catacombe omonime → cui adduceva, per assumere poi l’attuale dalla
chiesa di S. Maria del Popolo; le due torri volute da Sisto IV furono
distrutte nell’800.
La facciata esterna è di Nanni di Baccio Bigio, che la realizzò per
Pio IV (1561-62), derivandola dall’arco di Tito, a un fornice tra due
coppie di colonne tuscaniche su alto stilobate, con trabeazione dorica,
iscrizione commemorativa e stemma papale tra due cornucopie; a
coronamento, la singolare merlatura a busti corazzati, rielaborazione
di quella michelangiolesca sulla contemporanea porta Pia. Il prospetto
su piazza del Popolo fu sistemato da Gian Lorenzo Bernini per incarico
di Alessandro VII, in occasione del trionfale ingresso in città (23
dicembre 1655) di Cristina di Svezia, giunta a Roma dopo l’abiura del
protestantesimo e l’abdicazione (a tale avvenimento si riferisce
l’iscrizione «Felici faustoque ingressui»). Parafrasa in chiave barocca il
fronte esterno, sostituendo alle colonne le paraste, alle cornucopie i
mezzi sesti inflessi (ripresi da porta Pia), al festone di frutti quello con
le fronde di quercia e di spighe (emblemi araldici rispettivamente del
papa e della regina), allo scudo un fastigio mistilineo con i monti e la
stella dei Chigi.
VERSO PORTA PIA. Da porta del Popolo ha inizio un tratto molto
restaurato della cerchia (la prima parte, sul fianco sin. della chiesa di
S. Maria del Popolo, è interamente moderna), che racchiude il Pincio
con un alto seguito di archi continui (sostruzioni degli «horti Aciliani»);
è costeggiato dal viale del Muro Torto, attrezzato per lo scorrimento
veloce nel 1960, che prende nome dal masso informe in opus
reticulatum («Murus Ruptus») incombente sulla strada, descritto in
rovina già da Procopio (sec. VI). Dopo il masso, sottopassato il
cavalcavia che congiunge il Pincio a villa Borghese, si costeggia un
segmento di mura molto rimaneggiato, con le torri trasformate in
padiglioni dei giardini di villa Medici → e di villa Malta. Superato a d.
l’ingresso al parcheggio sotterraneo di villa Borghese, per un
sottopasso veicolare realizzato nel 1960 si lascia in superficie piazzale
Brasile, sul quale insiste la porta Pinciana, uno degli accessi minori fra
due torri cilindriche merlate, da dove si dipartiva la via «Salaria
Vetus».
L’arteria a scorrimento veloce di corso d’Italia → è in
corrispondenza di uno dei tratti delle mura in apparenza più poderosi
– ma storicamente, al contrario, il più debole – e meglio conservati
(anche se interrotto da frequenti varchi veicolari), munito ancora di 18
torri e in parte adibito ad abitazione. Risaliti dal secondo sottopasso, si
tiene subito a d. varcando le mura e si prosegue in via Lucania, per
deviare poi a sin. in via Calabria. Allo sbocco su via Piave si ha a sin.
piazza Fiume, dove era la porta Salaria, che faceva riscontro alla porta
Collina del recinto serviano e segnava l’inizio della Via Salaria →.

LA PORTA SALARIA, abbattuta nel cannoneggiamento del 1870, fu


ricostruita da Virginio Vespignani e poi ancora demolita nel 1921 per
lasciare spazio alla viabilità; la distruzione delle torri cilindriche (il cui
perimetro è stato segnato a sampietrini sulla pavimentazione stradale)
rivelò i monumenti sepolcrali del fanciullo Quinto Sulpicio Massimo e di
Cornelia, figlia di Lucio Scipione; il primo è ricomposto in copia
(l’originale è ai Musei Capitolini) all’imbocco dell’omonima via.

PORTA PIA. Attraversata via Piave, per via Sulpicio Massimo si


ritorna su corso d’Italia. Assai restaurato è il tratto che si costeggia,
dove una colonna commemorativa (Cesare Aureli, 1895), sormontata
da una Vittoria (Giuseppe Guastalla), segna il punto, oggi rivestito di
epigrafi in marmo (Adolfo Apolloni, 1920), della storica «breccia»,
che venne aperta nelle mura il 20 settembre 1870 per la presa di
Roma.
Poco oltre, fronteggiante la Via Nomentana →, si erge, isolata e
monumentale, la *porta Pia, struttura fortificata articolata intorno a
una corte, che deve la facciata esterna, a forma di arco trionfale a un
fornice, a Virginio Vespignani (1853-69; le statue di S. Alessandro e di
S. Agnese nelle nicchie sono di Francesco Amadori), mentre quella
interna, su disegno di Michelangelo (1561-64), fu voluta da Pio IV
come fondale della strada Pia, l’odierna via XX Settembre →. Opera di
transizione al barocco, la caratterizza una libertà inventiva che innova
il tema della porta urbana già nell’insolito rivolgersi all’interno. In
mattoni a vista, è aperta dal grandioso portale in travertino con lesene
scanalate e frontone composito, fiancheggiato da finestroni a
timpano; la licenza innovatrice della decorazione araldicamente
allusiva (i merli con le palle medicee, le patere con i nastri penduli,
che rinviano all’Arte dei chirurghi e dei barbieri da cui provenivano i
Medici) alleggerisce la mole militare. La mostra sulla sommità, con
l’arme di Pio IV (Jacopo Del Duca) fiancheggiata da due angeli (Nardo
De’ Rossi, 1564), rovinò parzialmente nell’ultimo quarto del sec. XVI e
fu ricostruita, con il frontone neobarocco e lo stemma di Pio IX, dal
Vespignani.

IL MUSEO STORICO DEI BERSAGLIERI. Al corpo dei Bersaglieri, cui è


legata la memoria della «breccia», è dedicato lo spazio interno della
corte (ornata dei busti di Goffredo Mameli, Luciano Manara,
Alessandro La Marmora, Giacomo Pagliari e del monumento a Enrico
Toti), dove nel 1932 è stata allestita questa istituzione (t. 064857223;
www.esercito.difesa.it), che raccoglie cimeli e ricordi dell’Arma
dall’istituzione («proposizione» di La Marmora a Carlo Alberto per la
costituzione del corpo), attraverso le guerre d’indipendenza, coloniali e
mondiali.

L’ACQUEDOTTO FELICE. Avanti, su viale del Policlinico è l’antica


porta Nomentana, murata da Pio IV (in alto, stemma) e segnata dalla
mozza torre cilindrica di destra. Lasciato a d. viale Castro Pretorio,
viale del Policlinico ricalca due lati dei «Castra Praetoria» →,
incorporati nel circuito aureliano e rialzati da Massenzio. All’incrocio si
segue a d. viale dell’Università e quindi a sin. viale Pretoriano,
costeggiando un settore delle mura tagliato in più punti e conservato
solo parzialmente, per lo più nelle parti inferiori, fino a piazzale Sisto
V, segnato dalle arcate dell’acquedotto Felice. Riutilizzando le
sorgenti, presso Colonna, della romana «Aqua Alexandrina» (condotta
in città da Alessandro Severo nel 226), fu avviato da Gregorio XIII
(1583) e realizzato da Matteo da Città di Castello e da Giovanni
Fontana sotto Sisto V (1585-89); si presenta come un arco a tre
fornici in peperino e travertino, detto di Sisto V o delle pere (dagli
elementi araldici del papa, Peretti) e, mutilo delle arcate successive
demolite per la costruzione della stazione di Termini, si conclude nella
monumentale mostra di piazza di S. Bernardo →.

Tra l’acquedotto e la cerchia difensiva s’incunea il residuo della


settecentesca villa Gentili Dominici, in gran parte sacrificata per la
sistemazione delle strade adiacenti tra ’800 e ’900 (il CASINO, del 1745
c. e attribuito a Filippo Raguzzini, ingloba una torre delle mura).
PORTA TIBURTINA. Si piega a sin. per imboccare il tratto di d. di
viale di Porta Tiburtina, dove, in un caratteristico tratto di mura, si
apre l’omonimo passaggio, abbassato dall’interrimento del suolo. Su
questo lato prospetta il fornice addossato da Aureliano all’arco
monumentale – con fronte sulla parallela via di Porta S. Lorenzo –
eretto da Augusto (5 a.C.) per permettere lo scavalcamento dell’antica
Via Tiburtina a un gruppo di acquedotti: l’Acqua Marcia, captata
dall’Aniene nella valle di Àrsoli, su iniziativa di Quintus Marcius Rex
(144 a.C.); l’Acqua Tepula, condotta da Cneo Servilio Cepione e Lucio
Cassio Longino nel 125 a.C., dalla zona dei Colli Albani, presso Marino;
l’Acqua Iulia, imbrigliata da una sorgente nel territorio di Tùscolo, per
volontà di Agrippa (33 a.C.). L’arco augusteo ha pilastri tuscanici,
chiave di volta con bucrani e triplice attico, attraversato dagli spechi
degli acquedotti, con iscrizioni: una di Augusto e una di Tito (79 d.C.).
*PORTA MAGGIORE. Da piazzale Tiburtino si prende a sin. la Via
Tiburtina →, seguendola per breve tratto. Attraverso il quartiere di S.
Lorenzo →, si piega a d. in via dei Sardi e ancora a d. in viale Scalo S.
Lorenzo che, sottopassata la ferrovia, raggiunge la piazza cui dà nome
questo altro grandioso passaggio. Le porte erano in realtà due, da cui
uscivano le Vie Prenestina → e Labicana (poi Casilina, →); erano state
ricavate da altrettanti archi degli acquedotti Claudio e dell’«Anio
Novus», entrambi iniziati da Caligola nel 38 e terminati da Claudio nel
52: il primo alimentato dalle sorgenti Cerulea e Curzia lungo l’antica
via Sublacense, il secondo captato dall’Aniene poco più a monte.
Di poderosa architettura in opus quadratum di travertino, la porta
ha due fornici che sono fiancheggiati da edicole con semicolonne
corinzie aperte da archi minori e sono sormontati da un imponente
attico, contrastante per la superficie liscia, dove – sul fronte
prospiciente piazzale Labicano – sono scolpite le iscrizioni di Claudio
(52) e dei restauratori degli acquedotti, gli imperatori Vespasiano (71)
e Tito (81).
A ridosso dell’edicola centrale è il sepolcro tardo-repubblicano
del fornaio Eurisace e di sua moglie Atinia, rimesso in luce nel
1838; in travertino, usa in funzione decorativa le parti più
caratteristiche del forno (sacchi e bocche di doli), mentre nel fregio
sono scene della lavorazione e della vendita del pane.
ALL’ANFITEATRO CASTRENSE. Contermine a piazza di porta
Maggiore è piazzale Labicano, dal quale s’imbocca la Via Casilina →,
seguendo le mura che, dirigendosi verso SE, riutilizzano, fino
all’altezza della sopraelevata di viale Castrense, gli archi dell’«Aqua
Claudia» (v. sopra). Per un raccordo a d. si sale a viale Castrense, che
sottopassa le arcate dell’acquedotto Felice. La cerchia forma un
angolo in cui era incluso il «Sessorium» → e procede, dopo un tratto
munito di belle torri quadrate, verso SO, per innestarsi nella curva
dell’Anfiteatro Castrense, presso S. Croce in Gerusalemme →. Di
età severiana (quindi di pochi decenni precedente alle mura), è uno
dei monumenti più importanti e imponenti (m 88x75) incorporati nella
cinta, fatto cui deve la parziale conservazione (nel sec. XVI per ragioni
difensive venne ridotto al solo primo piano, dai tre conservatisi fino ad
allora); la struttura, interamente in laterizio, è mossa da arcate
inquadrate da semicolonne corinzie (i pochi resti del secondo ordine
sono scanditi da lesene).
PORTA S. GIOVANNI. La chiusura al traffico del secondo tratto di
viale Castrense, lungo il quale la cortina originaria presenta consistenti
integrazioni moderne, obbliga a un percorso segnalato per via S.
Severo e via La Spezia fino a piazzale Appio, dove si apre porta S.
Giovanni, sullo sfondo dell’omonima basilica. Punto di partenza della
Via Appia Nuova →, fu eretta da Jacopo Del Duca per Gregorio XIII
nel 1574 e ha un aspetto poderoso sottolineato dalle paraste a
bugnatura dentata, con una testa di moro nella chiave dell’arco; il
restauro degli anni ’70 del sec. XX ha ripristinato i balaustri ai lati
dell’iscrizione.

LA PIÙ ANTICA PORTA ASINARIA, che da questa fu sostituita, si


scorge a sin. a un livello sensibilmente più basso, segnata da due
torrioni semicilindrici; in origine era un ingresso secondario, privo di
torri, da cui usciva la romana via Asinaria, cui Onorio aggiunse la
controporta e le due torri, a due piani di monofore. Chiusa e
parzialmente interrata nel 1409, è stata liberata e restaurata nel 1954.

ALLA PORTA LATINA. All’altezza di piazzale Appio la viabilità


moderna si allontana dalla cerchia muraria. Per via Magna Grecia e poi
a d. in via Gallia, si scende in piazzale Metronio. I fornici moderni
sostituiscono l’antica porta Metronia (già Metrovia), in realtà una
semplice postierla ancora riconoscibile sul fronte esterno delle mura,
con l’arco di passaggio murato a un livello più basso del piano stradale
e un’iscrizione del 1157 che ne ricorda il restauro.
Lungo viale Metronio si costeggia uno dei settori più suggestivi e
meglio conservati, anche sotto il profilo ambientale, di tutto il circuito,
con numerose torri e cortine intatte che si levano direttamente dal
manto erboso fino alla *porta Latina. All’imbocco dell’omonima via
(→ e, per la storia, →), è una delle più belle e integre, con i caratteri
originali romani perfettamente conservati (arco del fornice in conci
radiali di travertino, finestrelle della camera di manovra centinate,
cornice modanata, merli cuspidati) salvo le misure del fornice, che
venne ristretto, per ragioni difensive, in epoca imprecisata.
ALLA PORTA S. SEBASTIANO. Prendendo a sin. la Via Latina e subito
a d. via Cameria, si sbocca in viale delle Mura Latine, che si segue a
sinistra. Le fortificazioni mostrano qui un tratto assai interessante e
ben conservato, nonostante gli ampi rimaneggiamenti medievali e
moderni, testimoniati dagli stemmi papali. Si raggiunge *porta S.
Sebastiano, la più grande e preservata della cerchia aureliana, che
ospita il Museo delle Mura di Roma. Il nome attuale, che sostituì
l’antica denominazione di porta Appia derivato dalla Via Appia Antica
→ che ne usciva, è dovuto alla basilica omonima cui la strada
consolare conduce. Eretta da Aureliano a due fornici sulla direttrice
della porta Capena delle mura Serviane, fu ricostruita da Onorio che la
ridusse a un solo fornice e restaurata da Belisario e Narsete con
marmi tolti ai monumenti che fiancheggiavano la strada consolare.
L’arco d’entrata, sormontato da due gallerie coperte e da un
cammino di ronda scoperto e merlato, è fiancheggiato da due
imponenti torri, pure merlate, quadrangolari nel basamento e
semicilindriche nella parte alta, con ordini sovrapposti di finestre
centinate. Sul piedritto sin. è una raffigurazione dell’arcangelo
Gabriele, con un’iscrizione che ricorda la sconfitta delle truppe di
Roberto d’Angiò nel 1327; sulla chiave di volta all’interno è una sigla
in greco e una croce entro un cerchio.
IL COSIDDETTO ARCO DI DRUSO, riutilizzato come controporta a
delimitare la corte fortificata, fu in realtà costruito nel 211-216 come
fornice monumentale per il passaggio sull’Appia Antica dell’acquedotto
che alimentava le terme di Caracalla (l’Acqua Antoniniana,
diramazione dell’Acqua Marcia, →); sul fronte esterno è adorno di due
colonne di giallo antico, di ordine composito.

IL MUSEO DELLE MURA DI ROMA (t. 0670475284; ingresso da via di


Porta S. Sebastiano N. 18), allestito nei locali della prima e seconda
galleria e nei due torrioni di porta S. Sebastiano, racconta con
struttura didattica la storia della difesa di Roma dalla cinta serviana ai
forti eretti dopo l’Unità; sono inoltre illustrate le vicende della Via
Appia e del parco dell’Appia Antica, insieme all’esposizione dei plastici
dei settori più interessanti delle mura e del bastione del Sangallo.
Dal museo si può accedere alla *passeggiata sulle mura,
completamente immersa nel verde, che permette di percorrere il
cammino di ronda fino ai fornici moderni della nuova porta Ardeatina
(v. sotto) e di avere un’idea del paesaggio urbano prima
dell’espansione edilizia post-unitaria.

IL *BASTIONE ARDEATINO. Si prosegue da porta S. Sebastiano


lungo viale di Porta Ardeatina fino ai quattro fornici della nuova porta
Ardeatina, aperta nel 1939 come accesso trionfale per la direttrice di
Roma verso il mare, l’allora via Imperiale e attuale Cristoforo Colombo
→. Subito oltre s’innesta il grande bastione, detto anche del Sangallo
da Antonio il Giovane che lo eresse nel 1536; caratterizzato dagli alti
muri laterizi a scarpa, con cordone in pietra, fu l’unica opera realizzata
di un ambizioso programma di adeguamento della cinta
all’introduzione della polvere da sparo, intrapreso da Paolo III
all’indomani del sacco di Roma e interrotto per carenza di fondi.
ALLA PORTA S. PAOLO. Il circuito riprende l’andamento alternante
torri e cortine, per un tratto assai restaurato ma ancora piuttosto
appartato. Dopo la salita all’Aventino, che costeggia il moderno
complesso ICP S. Saba →, scende fittamente turrito fino al piazzale
Ostiense, dove, isolata per le necessità del traffico, *porta S. Paolo
segna l’inizio della Via Ostiense →, dalla quale derivò il nome
originario mentre l’attuale denuncia la vicinanza della basilica di S.
Paolo fuori le Mura. Sorta in relazione alla porta Raudusculana del
recinto serviano, è inquadrata da torri semicircolari e conserva – sul
fronte interno – i due fornici originari, dai quali si dipartivano la Via
Ostiense e l’antica Via Laurentina (→; sopra, un affresco di S. Pietro
entro edicola medievale), unificati all’esterno da Onorio.

IL MUSEO DELLA VIA OSTIENSE (t. 065743193;


www.archeologia.beniculturali.it), che nella porta è allestito, raccoglie
due plastici che ricostruiscono Ostia antica in età imperiale e i porti di
Claudio e di Traiano, calchi di iscrizioni e rilievi relativi al percorso e ai
monumenti della via, oltre a tre lunette dipinte appartenenti a una
tomba di età severiana rinvenuta nei pressi di S. Paolo fuori le Mura, a
numerose stampe di G.B. Piranesi e a quadri e olî raffiguranti la strada
e i suoi monumenti.

LA *PIRAMIDE DI CAIO CESTIO, separata da un varco aperto nel


corso dei combattimenti del 10 settembre 1943, è una delle più
caratteristiche testimonianze di Roma antica, già inglobata nella
cerchia muraria. Monumento sepolcrale di Caio Cestio Epulone (m. nel
12 a.C.), fu eretta dai suoi eredi per legato testamentario – come si
legge nell’iscrizione sulla facciata rivolta al piazzale – in soli 330 giorni.
Con dimensioni sminuite dall’innalzamento del suolo (c. 36 m in
altezza e 29.6 – 100 piedi – di larghezza alla base), consta di un
nucleo cementizio rivestito in blocchi di marmo, che racchiude una
cella funeraria affrescata (non visitabile) di cui s’ignora l’accesso
originale (la porticella nel lato O è moderna). A sinistra del fronte
iscritto della piramide, si trovano i resti, integrati, di una postierla,
relativa al tracciato più antico della Via Ostiense.

Con un tratto ben conservato, le mura proseguono lungo viale del


Campo Boario; la parte prossima al Tevere è inclusa nel recinto dell’ex
Mattatoio →, nel rione Testaccio.
7 IL CORSO URBANO DEL TEVERE

La più imponente impresa ingegneristica e urbanistica di Roma


capitale fu la realizzazione degli argini del Tevere (i muraglioni) e delle
romantiche passeggiate alberate sui lungofiume, la cui forza
suggestiva è oggi banalizzata dalla loro trasformazione in convulsi assi
di scorrimento. Perduta irrimediabilmente la millenaria, fascinosa
sequenza di edifici e giardini affacciati sulle acque con scorci
straordinariamente pittoreschi e monumentali, e modificati – spesso
drasticamente – gli antichi ponti, le sponde del fiume si propongono
come un percorso riassuntivo dell’immagine della città, inquadrata e
messa a fuoco attraverso la lente della cultura urbanistica del secondo
Ottocento.

LA VITA E LE CARATTERISTICHE DEL FIUME TEVERE sono strettamente


connesse agli Appennini settentrionale e centrale, dai quali capta le
acque seguendone la morfologia. Maggiore corso d’acqua dell’Italia
peninsulare, si forma nell’Appennino Tosco-Emiliano da due piccole
sorgenti (le Vene) sulle pendici del M. Fumaiolo (a un’altezza di m
1268) e, dopo un breve tratto a carattere torrentizio quasi
perpendicolare ai principali assi strutturali della catena montuosa, si
pone a questa parallelo lungo la valle Tiberina e scorre – attraverso
l’estremità centro-orientale della Toscana, l’Umbria e il Lazio
settentrionale – entro zone ribassate e pianeggianti fino alla Pianura
Pontina. Avuto come unico importante affluente di destra il fiume
Paglia, entra nel Lazio presso Orte, ove riceve le acque del fiume Nera
(maggiore tributario) e, divenuto ormai fiume con un alveo largo fino
a m 200, scorre nel territorio della regione per c. 200 km e raccoglie
alla periferia di Roma le acque del fiume Aniene. Attraversa la città
lambendo l’Isola Tiberina e si biforca a Capo due Rami (a sinistra la
Fiumara costituisce la vera foce, mentre a destra le acque alimentano
il canale di Fiumicino), abbracciando la piana dell’Isola Sacra. Dei 405
km di lunghezza complessiva, solo gli ultimi 34 (dalla riva Ostiense alla
foce) sono navigabili.
ROMA E IL TEVERE. Sia le leggende sia la moderna storiografia
legano la nascita della città al corso d’acqua – chiamato prima
«Albula», «Serra», «Tarentum», «Coluber», «Rumon» (da
quest’ultimo derivarono forse i nomi di Romolo e della città) e poi
«Tiberis» – che, per la presenza del guado naturale dell’Isola Tiberina
all’incrocio tra la via che dall’interno andava al mare e quella che
collegava la Campania all’Etruria, divenne polo di aggregazione
‘urbana’. A ridosso dell’ansa del Tevere che abbraccia a NE l’Isola
Tiberina, la piana acquitrinosa del Velabro (mitico approdo della cesta
di Romolo e Remo) ospitò, in corrispondenza del punto di traghetto, il
mercato del bestiame (Foro Boario) e degli ortaggi (Foro Olitorio);
nuove strutture portuali vennero realizzate nel sec. II a.C., allineate
nella pianura a SO dell’Aventino, dov’è l’odierno rione Testaccio. Via
d’acqua che garantiva l’approvvigionamento quotidiano della città e
confine naturale tangente alle mura, il Tevere, già sorvegliato dai
«Curatores Alvei Tiberi» creati da Augusto e poi dai «Comites Riparum
et Alvei Tiberis» istituiti nel sec. VI, cadde con l’alto Medioevo in
progressivo abbandono: degli otto ponti ne rimasero cinque e quelli
distrutti furono sostituiti con «barche traiettizie» fino al 1847 (quando
fu decisa la costruzione di quattro nuovi passaggi in ferro), mentre
detriti e case restrinsero l’alveo già invaso dai mulini galleggianti, dalle
«passonate» (che su di essi convogliavano le acque) e dalle peschiere,
accentuando il millenario problema delle alluvioni. Nonostante la
creazione dell’Officio comunale per i porti di Ripa e Ripetta e della
Magistratura delle Ripe nel sec. XIV, cui seguirono la Presidenza delle
Ripe (istituita da Giulio II e abolita nel 1829) e la Prefettura generale
di Acque e Strade (soppressa nel 1847), e i numerosi progetti
impostati per lo più sulla rettifica del corso del fiume, le piene si
susseguirono e disastrose risultarono quelle del 1598 e del 1870;
lapidi e ‘manine’ vennero affisse per indicarne il livello, solitamente sui
muri di S. Maria sopra Minerva, di Castel S. Angelo e del porto di Ripa
Grande (la più antica però è quella sotto l’arco dei Banchi). Alla
soluzione si pervenne, nell’ambito del progetto generale di
sistemazione del Tevere elaborato da Raffaele Canevari (1876-1900)
dopo l’alluvione del 1870, con la costruzione dei muraglioni d’argine,
che decretarono una cesura definitiva nel rapporto fra la città e il
corso d’acqua, acuita dall’attuale gravissimo livello d’inquinamento.
Impensabile appare oggi quanto in passato era la norma: la vendita a
domicilio dell’acqua del fiume, potabile e ritenuta salutare, da parte di
«acquaroli» o «facchini», e la frequentazione degli stabilimenti
balneari allineatisi da fine Ottocento lungo le rive pescose.

Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:


sinistra, destra, sinistra e destra.

Il percorso automobilistico (pianta →) si svolge lungo la riva d.


nel tratto tra ponte Milvio e ponte Sublicio, con brevi puntate sulla
sponda opposta da effettuarsi a piedi a causa dei sensi della viabilità,
e comprende la visita dell’Isola Tiberina, ‘oasi’ suggestiva nonostante
le ristrutturazioni otto-novecentesche. L’alternativa pedonale è
piacevole specie per il tratto tra ponte S. Angelo e l’isola, mentre da
ponte Flaminio a ponte Risorgimento è stata attrezzata una pista
ciclabile. Fra tarda primavera e inizi autunno è attivo un servizio di
navigazione (per informazioni tel. 064463481) tra ponte del Foro
Italico e ponte Umberto I.

*PONTE MILVIO, che dà nome all’omonimo piazzale →, fu


ricostruito lungo la Via Flaminia nel 109 a.C. dal censore Marco Emilio
Scauro, in sostituzione di un collegamento ligneo già esistente a fine
sec. III a. Cristo. Chiamato in origine «Mulvius» e poi «Milvius», si
corruppe nel Medioevo in «Molbius» e «Mole», fino a «Molle» ancora
presente nell’uso popolare; chiuso al traffico automobilistico, ha
conservato, attraverso i numerosi riadattamenti, scarse tracce della
struttura romana.

LA STORIA. In tufo e pietra sperone, aveva quattro grandi archi


con ghiere in travertino (ne rimangono due verso la sponda sin.) e
due arcatelle sulle testate, presto sostituite da passerelle mobili in
legno. Dei torrioni che lo rinforzarono alle estremità, il più antico a N –
riedificato da Belisario (537) e successivamente ampliato inglobando
un pilone nel basamento – è forse da identificarsi con la medievale
torre del Tripizone (secondo altri questa era invece una struttura
difensiva esterna al ponte, distrutta sotto Niccolò V). Dopo ripetute
distruzioni e lavori di ripristino, nel 1805 Giuseppe Valadier progettò,
in occasione del ritorno a Roma di Pio VII, l’attuale sistemazione,
collegando le sponde con due nuove arcatelle, trasformando il torrione
quadrato N in porta fortificata e ornando la testata della sponda
opposta con basamenti per statue (su quella di sin., S. Giovanni
Nepomuceno di Agostino Cornacchini, del 1731, e Immacolata del
1840). Fatto saltare parzialmente dai garibaldini nel 1849 per
ostacolare l’avanzata dei Francesi, fu restaurato nel 1850 e poi nel
1871 da Francesco Azzurri.

IL PONTE FLAMINIO. Raggiunto a piedi il centro di ponte Milvio, si


individua a monte questo altro passaggio, già XXVIII Ottobre e poi
della Libertà: concepito da Armando Brasini (1938-43) come retorico e
monumentale ingresso alla città da N, in alternativa a quello storico da
ponte Milvio, fu ultimato nel 1951 e richiese subito restauri (1952-64).

IL PONTE DEL FORO ITALICO. Da piazzale di Ponte Milvio s’imbocca


in direzione SO il lungotevere Maresciallo Diaz, che, con il successivo
intitolato al Maresciallo Cadorna, costituisce l’asse di supporto al Foro
Italico →; ne è parte l’omonimo passaggio sul Tevere, già Duca
d’Aosta, di Vincenzo Fasolo (1936-39; sui piloni di testata, rilievi con
episodi della prima guerra mondiale di Vico Consorti, Ercole Drei,
Domenico Ponzi, Oddo Valenti). Un altro ponte mai realizzato avrebbe
dovuto attestarsi sulla sponda opposta all’altezza di piazza Gentile da
Fabriano →, fulcro del tridente previsto dal piano regolatore del 1909;
sempre sulla riva sin. prospetta sul lungotevere Flaminio l’elegante
palazzina Furmanik (N. 18; Mario De Renzi, 1941).
IL PONTE DEL RISORGIMENTO. Per il lungotevere Maresciallo
Cadorna si raggiunge piazza Maresciallo Giardino e, percorsi i
lungotevere della Vittoria (segnato dall’Istituto storico e di cultura
dell’Arma del Genio, →) e Oberdan, si è in piazza Monte Grappa. Vi
sbocca questo ponte progettato da François Hennebique e realizzato
nel 1909-1911 per collegare le due zone dell’Esposizione
internazionale del 1911 (il viale delle Belle Arti, →, e il quartiere della
Vittoria, →); il primo cittadino in cemento armato, rivestito in finto
travertino, ha una struttura per l’epoca assai ardita, ad arcata unica
con luce di m 100. Alla testata opposta, su piazzale delle Belle Arti,
sorge (N. 3) un edificio di Giulio Gra (1929-30), con ‘citazioni
deformate’ dal repertorio barocco.
IL PONTE MATTEOTTI. Si continua sul lungotevere delle Armi,
fiancheggiato dai villini del concorso del 1911 →, fino a piazza delle
Cinque Giornate, dove si stacca questo passaggio, già Littorio, opera
di Augusto Antonelli del 1924-29; in tufo rivestito di mattoni, con
fasce, cornici e armille in travertino, si ispira ai manufatti romani.

SULLA SPONDA OPPOSTA, dominata dalla mole del Ministero della


Marina →, a d., sotto il lungotevere Arnaldo da Brescia, è lo scalo
Francesco De Pinedo (l’aviatore vi approdò nel 1925 in idrovolante),
che ripropone lo schema del distrutto porto di Ripetta (v. sotto). Lo
sovrasta la stele a Giacomo Matteotti (Iorio Vivarelli, 1974) qui
sequestrato nel 1924.

LA ZONA DEL PORTO DI RIPETTA. Il lungotevere Michelangelo


sottopassa la testata del ponte Pietro Nenni (Luigi Moretti, 1965-72),
su cui la linea A della metropolitana supera il Tevere; interamente in
cemento armato, è costituito da un’esile piastra poggiata su piloni a
forcella. In corrispondenza del sottopassaggio di piazza della Libertà
→ sbocca il ponte Regina Margherita (Angelo Vescovali, 1886-91),
sull’asse viario che unisce il Pincio al Vaticano, a tre arcate in
muratura rivestita in travertino. Il successivo è il ponte Cavour, pure
del Vescovali (1896-1901), che, costruito sulla direttrice di espansione
prevista dal piano regolatore del 1873 tra via del Corso e piazza del
Risorgimento, sostituì, con le cinque arcate in laterizio rivestite in
travertino, la passerella in ferro del ponte di Ripetta, infrastruttura
d’avvio all’edificazione del rione Prati.

AL CAPO OPPOSTO DEL PONTE CAVOUR, i prospetti delle chiese di S.


Rocco e di S. Girolamo degli Illirici → fanno da sfondo alla piazza che
ricorda il porto di Ripetta, sacrificato per la costruzione degli argini.
Detto «della Posterula» e utilizzato per l’attracco di piccole barche
provenienti dall’Umbria e dalla Toscana con merci e legna, fu ampliato
su un’area più a monte («Nuova Ripetta») per volontà di Paolo V da
Giovanni Vasanzio e Carlo Maderno (1614), e ricostruito sotto
Clemente XI da Alessandro Specchi (1703-1704) con una struttura a
rampe che configurava un’esedra aperta verso via di Ripetta →. Si
trattò di uno dei più importanti interventi architettonici della Roma
settecentesca, in uso fino alla realizzazione dell’omonima passerella
metallica (v. sopra); ne resta oggi, a d. della testata del ponte, la
fontana parzialmente rimontata (c. 1940) fra due colonne-idrometro
con i livelli di piena.
Verso nord-ovest (sempre in riva sin.) il lungotevere in Augusta,
sovrastato dall’Ara Pacis →, è fiancheggiato a un livello inferiore dalla
passeggiata di Ripetta, studiata da Giuseppe Valadier (1811-14) e
aperta e alberata sotto Gregorio XVI (c. 1840). Vi affacciano il retro
dell’Accademia di Belle Arti →, nell’area del primitivo attracco della
legna, e al N. 45 lo châlet del Circolo Canottieri Aniene (Cesare
Bazzani, 1897) d’ispirazione liberty.

PONTE S. ANGELO. Allo sbocco di un tratto sotterraneo, sul


lungotevere Prati si incontrano la neogotica chiesa del Sacro Cuore del
Suffragio → e, in asse con l’imponente mole del palazzo di Giustizia
→, il ponte Umberto I (Angelo Vescovali, 1885-95), in muratura
rivestita di travertino e pietra di Subiaco. Oltre la casa madre dei
Mutilati →, la splendida architettura di Castel S. Angelo → è
fronteggiata dal *ponte S. Angelo, il «pons Aelius» gettato da
Adriano per collegare il suo mausoleo alla riva sin., e poi trasformato
in uno dei più scenografici complessi del barocco romano grazie alla
parata di dieci *statue di angeli con i simboli della Passione,
ideata da Gian Lorenzo Bernini.
Della struttura imperiale (133-134) restano solo le tre arcate
centrali. Clemente VII fece porre nel 1534, sulla testata opposta al
mausoleo, le statue di S. Pietro (del Lorenzetto) e di S. Paolo (di Paolo
Taccone); nel 1668 vi furono aggiunte due arcate alle estremità (poi
ricostruite e ingrandite per il raccordo con i muraglioni del
lungotevere, 1892-94), quindi, per cura di Clemente IX, furono
collocate le figure di angeli, scolpite da allievi e seguaci di Bernini che
ne fornì i bozzetti e ne diresse l’esecuzione. Di Antonio Giorgetti è
l’angelo con la spugna, di Domenico Guidi quello con la lancia; l’angelo
con cartiglio è una copia di Giulio Cartari di un originale di Bernini oggi
in S. Andrea delle Fratte; l’angelo con la croce è di Ercole Ferrata, di
Pietro Paolo Naldini quello con la veste e i dadi e di Girolamo Lucenti
quello con i chiodi. La vicenda dell’angelo con la corona di spine, pure
del Naldini, è analoga a quella del precedente con cartiglio, mentre
quello con il Volto Santo è di Cosimo Fancelli; di Lazzaro Morelli è
quello con il flagello, di Ercole Antonio Raggi quello con la colonna.
IL PONTE VITTORIO EMANUELE II. Il lungotevere Vaticano – dal
quale si scorge, al fondo di via della Conciliazione →, la basilica di S.
Pietro → – termina in corrispondenza del passaggio sorto nel 1886-
1911 per raccordare l’omonimo corso a Borgo. Inaugurato per il
cinquantenario del Regno d’Italia, a tre arcate in muratura su piloni a
forte bugnato, è ornato di quattro gruppi scultorei in travertino
(l’Oppressione vinta, l’Unità d’Italia, la Fedeltà allo Statuto e la
Libertà) e, alle testate, da colonne sormontate da Vittorie alate
bronzee.

IL COSIDDETTO «PONS NERONIANUS», che a valle sorgeva (resti dei


piloni), collegava il Campo Marzio con l’area vaticana e fu
probabilmente distrutto nel sec. VI. In sostituzione doveva sorgere,
nelle intenzioni di Giulio II, il ponte Giulio, a chiusura dell’anello
bramantesco dell’omonima via → e di via della Lungara →.

IL PONTE PRINCIPE AMEDEO SAVOIA AOSTA. Affiancando il


complesso dell’ospedale di S. Spirito in Sassia → si perviene in piazza
Della Rovere, con il passaggio (1939-42) da una parte e, in asse
dall’altra, l’omonimo traforo → sotto il Gianicolo. In muratura rivestita
di travertino, è a tre arcate, con luci secondarie nei piloni; sotto
l’arcata d. sono i resti di una banchina d’epoca romana. Per la
costruzione degli argini scomparve il porto Leonino, piccolo scalo a
servizio di Borgo, allestito da Leone XII (1827-28).
IL PONTE MAZZINI. L’apertura del successivo lungotevere
Gianicolense ha isolato la rinascimentale via della Lungara, della quale
si individuano i prospetti di palazzo Salviati, affiancato da un ingresso
con l’insegna dell’Orto Botanico qui ospitato dal 1820 al 1876, della
chiesa di S. Giuseppe alla Lungara e del carcere di Regina Coeli (per
tutti v. pagine 594-595) in asse con ponte Mazzini (1904-1908); in
muratura rivestita in travertino, è decorato con fanali in bronzo con
teste di arieti e rostri di navi.
Il lungotevere della Farnesina, che ha mutilato i giardini
dell’omonima villa (→; nel tratto di fiume che la fronteggia vennero
alla luce nel 1888 resti di fondazioni ritenute da alcuni del ponte di
Agrippa, da altri dello sbarramento fluviale in corrispondenza delle
testate sul Tevere delle mura Aureliane), conduce in piazza Trilussa
con la fontana dell’Acqua Paola →.
*PONTE SISTO, sulla direttrice della fontana, è l’unico tra quelli
cittadini eretto dopo l’età classica e prima dell’800. Il primo nucleo
potrebbe essere stato il ponte di Agrippa, attribuito a Vipsanio Agrippa
(ante 12 a.C.), oppure il ponte Aurelio, ascritto ad Antonino Pio (147)
o a Marco Aurelio Antonino (Caracalla) e detto anche «di Antonino».
Restaurato dal prefetto Lucio Aurelio Aviano Simmaco (366-367) sotto
Valentiniano, prese il nome dell’imperatore e lo conservò fino al crollo
avvenuto probabilmente per la piena del 589, quando divenne
«Tremulo» o «Rotto» o ancora «Gianicolense».
La struttura attuale – edificata per Sisto IV come collegamento fra
Trastevere e i rioni Regola e Parione, forse da Baccio Pontelli (1473-
75), inglobando parte di un arco del manufatto romano – ha quattro
arcate in tufo e travertino, decorate con modanature ispirate a ponte
S. Angelo, e un «occhialone» di deflusso sul pilone centrale per secoli
utilizzato come idrometro di guardia. Le passerelle metalliche sono un
ampliamento del 1877 circa.
PONTE GARIBALDI. Il lungotevere Raffaello Sanzio porta in piazza
Belli, dove questo passaggio (Angelo Vescovali, 1884-88) s’innesta su
viale di Trastevere →. Le due campate metalliche originarie, poggiate
su un pilone centrale e su due spalle rivestite in travertino, furono
allargate e ricostruite in cemento armato da Giulio Krall (1955-57);
sulla sponda sin. era la spiaggia della Renella («Arenula», da cui il
nome del rione Regola), con i caratteristici stabilimenti balneari.
PONTE CESTIO, che collega l’Isola Tiberina alla riva d. attestandosi
sul lungotevere degli Anguillara, è il risultato di un totale rifacimento
tardo-ottocentesco che ha risparmiato del passaggio antico solo
l’arcata centrale. Costruito nel 46 a.C. da Lucio Cestio, con una grande
arcata e due archi minori alle estremità, fu ristrutturato nel 370 dagli
imperatori Valentiniano, Valente e Graziano (e perciò detto «di
Graziano») e da Benedetto Carissimi nel 1191-93 (le iscrizioni
commemorative dei due restauri sono al centro della spalletta a
monte). Chiamato nel tardo ’400 «di S. Bartolomeo» (dalla chiesa
sull’isola) e nel ’700-’800 «ponte ferrato», fu parzialmente demolito
(1888) e ricostruito (1892) aggiungendo all’arco centrale due grandi
arcate laterali che però, dopo la piena del 1900, furono ‘imbrigliate’
(1901) per ripristinare l’antico flusso.
L’*ISOLA TIBERINA (pianta →), cui si accede a piedi per il ponte (a
valle si distinguono i ruderi del ponte Rotto, →), è detta anche «dei
due ponti» (il Fabricio la collega alla riva sin.), «Licaonia» nel
Medioevo e «di S. Bartolomeo» (’600-’700).
LA STORIA. Dovuta, secondo la leggenda, all’accumulo di fango
sulle messi di Tarquinio il Superbo gettate nel Tevere dai Romani
quando lo cacciarono, è in realtà tufacea, come i vicini colli. Guado
naturale, fu determinante per il costituirsi di insediamenti stabili sulle
alture circostanti e venne collegata alla terraferma da due ponti
verosimilmente dapprima lignei e poi (sec. I) in muratura, uniti da una
via («vicus Censorii»). Luogo di culto per varie divinità, fu dedicata
principalmente al dio della medicina, Esculapio, il cui serpente, portato
a Roma da Epidauro per debellare la peste del 293 a.C., saltando dalla
nave che lo trasportava avrebbe indicato il sito del tempio. La
leggenda e il profilo dell’isola suggerirono la sistemazione del
perimetro esterno in forma di nave da guerra, con arginature a
terrapieno attrezzate per gli ormeggi e forse con un obelisco come
albero maestro. Nel Medioevo lo spoglio e il generale degrado del
fiume ne alterarono la fisionomia con la formazione per distacco di un
isolotto verso monte – rinsaldato nel 1791 – ma a fine ’500 la
tradizione sanitaria dell’isola, favorita anche dalla presenza di una
fonte d’acqua ritenuta salutare, fu rinverdita con la costruzione del
primo nucleo dell’ospedale e tutta l’area divenne lazzaretto durante la
peste del 1656. Profondamente alterata dalla sistemazione degli argini
a fine ’800 (quando se ne ipotizzò l’eliminazione), dalla manomissione
del ponte Cestio e dalla ricostruzione dell’ospedale, ha però
mantenuto il carattere di appartato luogo di cura e di culto.
LA VISITA DELL’ISOLA. Preceduta da una pittoresca piazzetta con al
centro una guglia in marmo (Ignazio Jacometti, 1869), la chiesa di S.
Bartolomeo all’Isola fu eretta da Ottone III, sulle rovine del tempio
di Esculapio, in onore del vescovo di Praga Adalberto martirizzato nel
998, per assumere la dedicazione attuale dopo l’accoglienza delle
reliquie del santo. Già restaurata (da Pasquale II nel 1113, quando fu
innalzato il campanile; da Alessandro III nel 1180 c., cui risale il
frammento di mosaico sulla parte superiore della facciata), rovinò per
la piena del 1557 e venne ripristinata nel 1583-85 forse da Martino
Longhi il Vecchio e profondamente rinnovata nel 1623-24. Nel 1639 fu
aggiunto l’edificio a sin. del prospetto, e altri restauri furono eseguiti
nel 1739, nel 1852 e nel 1973-76. La facciata (attribuita a Orazio
Torriani o a Martino Longhi il Giovane), a due ordini con la parte
centrale rientrante, ripete schemi cinquecenteschi arricchiti da
elementi barocchi ed è segnata dal vigoroso risalto delle colonne del
portico inferiore. L’interno è a tre navate con colonne forse
provenienti dall’antico tempio, tre cappelle per lato, abside e transetto
rialzati; del pavimento del sec. XII rimangono tre frammenti. Al centro
della gradinata del presbiterio poggia una vera marmorea medievale –
un puteale? – ritenuta di Nicolò di Angelo o di Pietro Vassalletto,
ricavata dal rocchio di una colonna antica e forse già del pozzo
dell’acqua salutare, con le figure del Salvatore, di S. Adalberto, di S.
Bartolomeo e di Ottone III.
Fronteggia la chiesa l’ospedale Fatebenefratelli, fondato dai
seguaci di S. Giovanni di Dio (il nome deriva dal ritornello di questua)
nel 1582-84 e completamente rimodernato da Cesare Bazzani nel
1930-34. Gli è annessa sulla d. la chiesa di S. Giovanni Calibita, sorta
nell’area del tempio di Iuppiter Iurarius e dedicata intorno all’870, con
facciata di Luigi Barattoni (1640) completata da Romano Carapecchia
nel 1711 (il campanile è del Bazzani) e interno a una navata
radicalmente rinnovato nel 1736-42 (il ricco apparato decorativo si
deve a Corrado Giaquinto).
Dalla piazzetta d’ingresso all’ospedale, una scala scende alla
banchina che consente il periplo dell’isola (sul lato della punta a valle
lambito dal ramo sin. del fiume, parte della prua e della fiancata della
‘nave’ in travertino con resti della figura di Esculapio, riconoscibile per
il bastone con il serpente, e una testa di toro, forse una bitta
d’ormeggio).
La torre Caetani (già parte di una rocca medievale) sorveglia
l’accesso dal *ponte Fabricio, detto popolarmente «dei Quattro
Capi» per le due erme romane quadrifronti sui parapetti. Costruito da
Lucio Fabricio (62 a.C.), si è conservato quasi integro, a due arcate
con estradosso in travertino (iscrizioni del costruttore) e arco minore
sul pilone centrale (cui corrispondevano due aperture minori sulle
spalle laterali murate nell’alto Medioevo) con epigrafi del collaudo. Più
volte restaurato per le piene del fiume (il rivestimento originale in
travertino dei blocchi di tufo e peperino fu sostituito dal sec. II con
cortine in mattoni), fu detto nel Medioevo «pons Judaeorum» per la
prossimità del Ghetto.

IL PONTE ROTTO. Prosecuzione del lungotevere degli Anguillara è


quello degli Alberteschi, dal quale si scorge l’arcata superstite di
questo passaggio, l’antico «pons Aemilius» – il primo in pietra – eretto
in due fasi (nel 181-179 a.C. Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio
Nobiliore innalzarono i pilastri che sostenevano una passerella in
legno, sostituita nel 142 a.C. con arcate da Publio Scipione Emiliano e
Lucio Mummio), più volte restaurato e ricostruito (cambiando
denominazione, tra cui quella «di S. Maria») per la turbolenza del
Tevere in questo tratto. Allo sfortunato intervento di Michelangelo
(1548-49) proseguito da Nanni di Baccio Bigio (1551), seguì l’ultima
ricostruzione di Matteo da Città di Castello (1573-75; sul rudere,
insegna araldica del drago di Gregorio XIII), utilizzata da Sisto V per il
passaggio dell’Acqua Felice in Trastevere e rovinata nel 1598. Delle tre
arcate rimaste, due furono abbattute per erigere a valle, quasi rasente
alla superstite, il ponte Palatino (Angelo Vescovali, 1886).

SULLA SPONDA OPPOSTA, in un grande vano arcuato ricavato nel


muraglione d’argine è visibile lo sbocco della «Cloaca Maxima» → e,
poco più a valle, in un piccolo arco a conci di tufo si apre quello della
cloaca del Circo Massimo, riutilizzata nel Medioevo per le acque del
fosso dell’Acqua Mariana. Allo sbocco sulla riva sin. del ponte Palatino
si trova, in corrispondenza di piazza della Bocca della Verità, uno degli
angoli più caratteristici di Roma, con i templi di Vesta e della Fortuna
Virile e la chiesa di S. Maria in Cosmedin →; vi incombe, a sin., il
massiccio palazzo dell’Anagrafe →, sull’antica area portuale prossima
ai Fori Boario e Olitorio che si stendeva dal «pons Aemilius» al «pons
Sublicius».

IL «PONS SUBLICIUS». Da piazza Castellani si prosegue sulla


sponda chiamata dal sec. XI «Ripa romea» perché vi approdavano i
«romaei» (pellegrini) diretti a S. Pietro, costeggiando il muro di cinta
dell’ospedale dei Cronici →, fronteggiato, fino al 1878, dai resti delle
pile del primo ponte di Roma, costruito subito fuori della porta
Trigemina delle mura Serviane. Realizzato in legno al tempo di Tullo
Ostilio e terminato da Anco Marcio (da altri è interamente attribuito a
quest’ultimo e datato al sec. VII a.C.), era ritenuto sacro (vi si svolgeva
il rito degli Argei e per la sua cura fu creata la magistratura religiosa
dei «pontifices») ed entrò nella leggenda per il mitico episodio di
Orazio Coclite che lo difese mentre i compagni alle sue spalle lo
distruggevano, salvando la città dagli Etruschi di Porsenna.
AL PORTO DI RIPA GRANDE, il maggiore della città e le cui rampe
sono dominate dal lungo fianco dell’ex ospizio apostolico di S. Michele
a Ripa Grande →, approdavano le imbarcazioni provenienti dal mare.
Distrutto con la costruzione dei muraglioni e in origine più a valle, fu
spostato quando vennero erette le mura di Urbano VIII →,
conservando però le vecchie attrezzature fuori porta Portese. L’argine
antistante – sul quale corre il lungotevere Aventino, già Marmorata
dallo scalo dei marmi attrezzato ai piedi e a valle dell’Aventino – ha
avuto una sistemazione monumentale intorno al 1926 (Vincenzo
Fasolo), come base prospettica per il colle sovrastante e ingresso
fluviale, insieme ai resti del porto, alla città.
Con il ponte Sublicio, gettato in muratura da Marcello Piacentini
(1914-18), termina il tratto più fittamente urbanizzato delle sponde.

VERSO LA PERIFERIA. Varcato il ponte, si sbocca in piazza


dell’Emporio →, nell’area in cui nel sec. II a.C. furono trasferite le
strutture portuali (sull’altra sponda si individua l’arsenale pontificio del
porto di Ripa Grande). Il successivo ponte Testaccio (modificato da
Giulio Krall nel 1937-47) collega con una sola arcata in cemento
armato l’omonimo lungotevere al quartiere Portuense. Avanti, il ponte
S. Paolo (1907-1910) ha sostituito come transito ferroviario il ponte
dell’Industria (1862-63), in ferro, in origine con la campata centrale
mobile, rimodernato nel 1924; la loro costruzione è legata allo
sviluppo di una zona industriale sulle due rive del Tevere (→ e →),
servita da un porto fluviale.
8 LA CITTÀ OLTRE LE MURA

Ancora cento, centoventi anni fa la città di Roma era largamente


contenuta entro il perimetro delle mura, cinta dalla doppia corona di
aree verdi (orti, giardini, ville) sia ‘urbane’ sia ‘suburbane’. Subito oltre
iniziava la sconfinata Campagna romana, la leggendaria pianura
solcata dalle vie consolari che si dirigevano ai confini della penisola e
dalle strade di collegamento con le principali località della provincia
che davano loro nome. La segnavano le rovine maestose e solitarie di
sepolcri, ville, luoghi di culto e infrastrutture dell’epoca imperiale; la
nobilitavano le più antiche basiliche cristiane erette sulle tombe dei
primi martiri (e perciò extramuranee) con i loro monasteri; la
punteggiavano torri, castelli, casali, cappelle e santuari
dell’organizzazione difensiva, agricola e propagandistica dello Stato
pontificio. L’eccezionale fascino di quei luoghi, celebrato da secoli di
produzione artistica e letteraria, consisteva nella fusione quasi perfetta
di natura e storia in un paesaggio inevitabilmente ‘classico’ – e come
tale fonte d’ispirazione ininterrotta dal Rinascimento all’età neoclassica
– ma con momenti di una bellezza desolata o selvaggia tanto esaltati
dalla cultura romantica. Questo straordinario contesto, dal quale
emergeva, ben circoscritta dalla cerchia muraria, la più strepitosa
concentrazione di storia e d’arte del mondo occidentale, si conservò
inalterato, anche a causa del ritardo tecnico e sociale dell’economia
pontificia, fino all’Unità.
AL PROPRIO SVILUPPO la capitale sacrificò subito le aree libere
interne, che furono occupate dagli ultimi rioni; contemporaneamente,
con la realizzazione dei primi quartieri (quello borghese di Prati,
denominato ufficialmente ancora rione ma sorto fuori dell’antica porta
Angelica, e quello industriale e operaio di S. Lorenzo) si avviò
l’inarrestabile trasformazione del territorio, accentuata dai piani
regolatori dal 1909 in poi, che troppo spesso ha comportato, oltre alla
perdita di preziose testimonianze di vicende millenarie, l’obliterazione
degli stessi caratteri morfologici senza la contropartita di un’immagine
di città nuova da contrapporre dignitosamente a quella storica.
Pregiudiziale indispensabile a qualunque ulteriore sviluppo dovrà
essere la realizzazione – rinviata da oltre trent’anni – del Sistema
Direzionale Orientale (SDO) con la concentrazione di attività terziarie e
servizi a livello urbano prevista nel settore est, tra le Vie Nomentana e
Cristoforo Colombo.
LA ‘DENSITÀ TURISTICA’ DEI QUARTIERI – cioè il rapporto tra
superficie e momenti o ‘oggetti’ meritevoli di segnalazione per il loro
valore (storico, ambientale, urbanistico, architettonico o artistico) – è
ovviamente ben diversa da quella dei rioni (scontata eccezione, la Via
Appia Antica). L’esplorazione della vastissima area suburbana e del
territorio comunale – il più esteso d’Italia (km2 1507.6) – è stata
condotta lungo le radiali degli assi che ricalcano o hanno sostituito gli
antichi tracciati, e sui quali si allineano gli episodi più notevoli; le
deviazioni sono limitate agli esempi più significativi tra le ancora
numerose ‘reliquie’del passato e tra le realizzazioni del secolo. Alcuni
dei percorsi sono seguiti nella loro interezza, mentre la maggior parte
degli altri lo è fino ai confini comunali.

8.1 PRATI, IL QUARTIERE


DELLA VITTORIA E IL FORO ITALICO

Tra le varie zone proposte dopo il 1870 per l’ampliamento della


città, quella dei Prati di Castello fu dapprima esclusa per la presunta
insalubrità, la possibilità di inondazioni e l’assenza di ponti, ma già il
piano regolatore del 1873, pur non includendola nei suoi confini, ne
prevedeva l’edificazione con un disegno affine a quello poi realizzato,
in cui un tessuto a scacchiera è tagliato diagonalmente dagli assi
congiungenti piazza del Risorgimento a piazza del Popolo (l’attuale via
Cola di Rienzo con il ponte Regina Margherita) e a Trinità dei Monti (le
odierne vie Crescenzio e Vittoria Colonna con il ponte Cavour). Dopo
l’avvio della costruzione dei muraglioni del Tevere (1876) – e
realizzato nel 1878 un ponte provvisorio in asse con via Tomacelli –
nessuno ostacolo si frapponeva più all’urbanizzazione dell’area, di cui il
piano regolatore del 1883 stabilì il disegno definitivo incentrato su
piazza Cavour, dove venne ubicato il palazzo di Giustizia come
decretato dalla legge N. 209 del 1881 che prevedeva anche la
costruzione delle caserme lungo il limite N (l’odierno viale delle
Milizie), oltre il quale sarebbe sorto il quartiere della Vittoria.
L’edificazione ebbe una prima intensa fase negli anni precedenti
la crisi edilizia del 1889, investendo soprattutto le aree tra piazza
Cavour e il Tevere e, con caratteristiche più popolari, quelle al di là di
piazza del Risorgimento, per essere pressoché completata intorno al
1910. La tipologia prevalente era costituita da edifici di quattro o
cinque piani per la media borghesia, derivati dalle case d’affitto
romane del Sei-Settecento e nobilitati con forme del repertorio
classico; non mancava una zona a villini verso il Tevere, che offriva
maggiori opportunità all’eclettismo dell’epoca. Negli ultimi decenni la
posizione centrale del rione ne ha favorito la progressiva
terziarizzazione e, sul finire degli anni ’60 del sec. XX, un processo di
sostituzione del tessuto edilizio, ora arrestatosi, ha portato, oltre a
negativi riflessi urbanistici, a prodotti spesso privi di qualità formali,
che hanno rischiato di comprometterne il carattere.
La visita (pianta qui sopra) si allarga quindi al quartiere della
Vittoria che, urbanisticamente più felice, costituisce con Prati una delle
più unitarie espansioni di Roma moderna, consentendo così una
panoramica sulle architetture di maggiore interesse eseguite nella
capitale nel 1890-1935. Da piazza Mazzini, fulcro del quartiere,
l’itinerario prosegue fino al complesso del Foro Italico, su lunghe
distanze che consigliano l’uso di una delle numerose linee di autobus.

A PIAZZA DEL RISORGIMENTO fanno da quinta a sud le mura di Pio


IV →, dominate dalla cupola di S. Pietro e dal lato nord di essa si
stacca la commerciale via Ottaviano, che venne edificata nel
penultimo decennio dell’800 e che corrisponde al primo tratto
dell’antica via suburbana di Porta Angelica. La palazzina tardo-
ottocentesca al N. 46 della piazza, modificata da Scipione Tadolini nel
1937, ospita il Museo storico dell’Arma dei Carabinieri (t.
066896696; www.carabinieri.it), cui allude il fregio d’armi e cartigli
sulla facciata.

LE COLLEZIONI. Istituito nel 1925, raccoglie cimeli, documenti e


opere d’arte che narrano la storia della prima arma dell’esercito dal
1814, anno della sua costituzione, e comprende un salone d’Onore
con annesso sacrario, la biblioteca e l’archivio storico e fotografico.
Nelle sale, ordinate cronologicamente, si susseguono materiali
riguardanti l’origine dell’Arma (con le Regie Patenti del 13 luglio 1814
firmate da Vittorio Emanuele I e la coeva uniforme affiancata da una
carabina dalla quale derivò, al suo portatore, il nome di Carabiniere),
le guerre d’indipendenza (tra gli altri dipinti, Carica dei Carabinieri a
Pastrengo di Sebastiano De Albertis), il Regno d’Italia, le armi e le
uniformi adottate, la prima guerra mondiale (con autografi di Gabriele
D’Annunzio) e le guerre coloniali, la guerra d’Etiopia, la seconda
guerra mondiale con la campagna di Russia e la guerra di liberazione,
l’epoca contemporanea, i Corazzieri, le specialità dell’Arma, la banda e
il corpo sportivo.

IL PALAZZACCIO. Costeggia il fianco d. del museo, in direzione E,


via Crescenzio, che conserva quasi inalterato l’aspetto dei primi del
’900. La si imbocca superando la casa Roy (N. 38; 1910), ispirata nella
torretta cupolata d’angolo a soluzioni parigine, e la neorinascimentale
villa Robertini (N. 14; Arturo Pazzi, 1909), per raggiungere, lasciato a
d. Castel S. Angelo →, piazza Cavour, sistemata ad aiuole di palmizi
secondo modi tipicamente tardo-ottocenteschi. Con al centro il
monumento bronzeo a Cavour (Stefano Galletti, 1895), ornato di
figure allegoriche sul basamento (Italia e Roma; sui laterali, l’Azione e
il Pensiero), è dominata verso il Tevere dal prospetto posteriore del
palazzo di Giustizia (Guglielmo Calderini, 1888-1911), tra le
maggiori realizzazioni di Roma capitale e sede della Corte Suprema di
Cassazione. Esternamente tutto in travertino, è ispirato a motivi
cinquecenteschi e barocchi; le enormi dimensioni (m 170x155, escluse
le rampe), le tormentate linee architettoniche – appesantite specie nel
secondo e nel terzo ordine dall’eccesso di decorazione – e la
destinazione stessa dell’edificio spiegano il soprannome Palazzaccio.
Mostra sulla sommità di questo lato lo stemma Savoia di Paolo
Bartolini, mentre il prospetto principale, affacciato sul fiume, è
preceduto dalle colossali statue di giureconsulti di Ubaldo Pizzichelli,
Silvio Sbricoli, Mauro Benini, Arturo Dazzi, Luigi De Luca, Augusto
Rivalta, Ernesto Biondi, Emilio Gallori ed è coronato da una quadriga
bronzea di Ettore Ximenes (1907, collocata nel 1925); il grande
portale centrale è sormontato dal gruppo della Giustizia tra la Forza e
la Legge di Enrico Quattrini. Il CORTILE D’ONORE, ad arcate, ha un
avancorpo preceduto da scalee con altre statue di giureconsulti del
Benini e di Michele Tripisciano; al centro, la Legge del Quattrini. Nel
SALONE D’ONORE, affreschi (storia del diritto) di Cesare Maccari e allievi.

ATTORNO AL PALAZZACCIO. La casa madre dei Mutilati (Marcello


Piacentini, 1928-36), sul lungotevere a sin. del palazzo di Giustizia e
tutta in tufo e travertino, si avvale di motivi classici stilizzati, come i
finestroni ad arco inquadrato dall’ordine dorico, con motti latini sugli
architravi, inseriti in un disegno generale ispirato all’architettura
militare. Il portale verso il Tevere, di maggiore retorica, si apre sul
CORTILE DELLE VITTORIE, con affreschi di Cipriano Efisio Oppo e Antonio
Giuseppe Santagata e, al centro, Vittoria di Guido Galletti. L’ingresso
principale al N. 3 di piazza Adriana – sormontato da un gruppo
bronzeo portabandiera con Vittorie di Giovanni Prini – dà accesso allo
SCALONE D’ONORE; in alto, nicchia con S. Sebastiano di Arturo Dazzi. Una
porta bronzea (Passione del fante del Prini) conduce all’AULA MAGNA a
croce greca, con volta a cassettoni traforati, colonne incassate
sormontate da teste di militi, pure del Prini, e porte bronzee laterali di
Publio Morbiducci; nei lunettoni, Partenza, Assalto e Ritorno del
soldato e, nell’abside, la Vittoria tra la Sentinella e il Combattente, tutti
affreschi del Santagata. Al primo piano, nella CAPPELLA, Deposizione di
Romano Romanelli; in una sala, affreschi di Mario Sironi inneggianti al
duce e alla monarchia.
Su via Ulpiano, che costeggia il fianco NE del palazzo di Giustizia,
affaccia il palazzo neorinascimentale del Dipartimento della Protezione
Civile (Gaetano Koch, 1892). Nel contermine lungotevere Prati,
Giuseppe Gualandi eresse nel 1894-1917 la neogotica chiesa del Sacro
Cuore del Suffragio, con facciata in cemento irta di guglie e interno, a
tre navate con pilastri a fascio, notevole per la cura dei dettagli e degli
arredi, tutti disegnati dal Gualandi. Alla chiesa è annesso il singolare
Museo delle Anime del Purgatorio (t. 0668806517), dedicato alla vita
ultraterrena.

LA QUINTA ARCHITETTONICA DI PIAZZA CAVOUR annovera (N. 34) il


palazzo De Parente (Gaetano Koch, 1891-92), seguito dalla chiesa
Valdese (1911-14), che palesa nella facciata forme ‘bizantino-
ottoniane’ adottate per differenziarla dai templi cattolici e per
risolvere, tramite le torri cilindriche angolari, il collegamento con i
fabbricati retrostanti. Sul retro (via Cossa N. 42) è la Facoltà valdese
di Teologia (Giulio Magni, 1907-1909), con biblioteca di c. 71000
volumi. Continuando a costeggiare la piazza si incontra il teatro
Adriano (Luigi Rolland, 1898).
PIAZZA E VIA COLA DI RIENZO. S’imbocca via Cicerone, alterata da
numerose sostituzioni edilizie, che termina in piazza Cola di Rienzo,
disposta lungo la direttrice SO-NE dell’omonima arteria commerciale
completata nei primi del ’900.

SU PIAZZA DELLA LIBERTÀ, al fondo del tratto di d. di via Cola di


Rienzo, al N. 20 è la casa de’ Salvi (Pietro Aschieri, 1930), una delle
prime palazzine moderne di Roma; d’angolo, l’eclettico villino
Cagiati, notevole per la qualità delle decorazioni (maioliche di Galileo
Chini, affreschi di Silvio Galimberti, ferri di Alessandro Mazzucotelli), è
di Garibaldi Burba (1903), come il neoromanico villino Brunialti,
sempre sul fianco sin. della via, al N. 19.

S. GIOACCHINO. Da piazza Cola di Rienzo, l’asse di via Cicerone


prosegue con il nome di via Marcantonio Colonna, che incrocia via
Pompeo Magno. Nel segmento di sin. di questa sorge la chiesa eretta
da Raffaele Ingami (1891-98) in occasione del giubileo sacerdotale di
Leone XIII; d’impianto classicista, è resa ibrida dall’eterogeneità
dell’apparato decorativo che impiega anche ornamenti in metallo
(frontone e cupola) e mosaici (sul portico, Adorazione riparatrice del
mondo cattolico di Virginio Monti). L’interno, a tre navate divise da
colonne in granito con capitelli bronzei, ha matronei laterali e, tra gli
archi, medaglioni scolpiti (apostoli) di Michele Tripisciano; delle 14
cappelle di altrettante nazioni cattoliche, la maggiore, della Spagna, a
d. dell’abside, è di Carlo Busiri Vici (1908).
IL QUARTIERE DELLA VITTORIA. Da via Marcantonio Colonna,
attraversato viale Giulio Cesare, si continua in via Lepanto tra le
grandi caserme costruite nel penultimo decennio dell’800 (quella di
sin. ospita dal 1970 il Tribunale Civile), oltre le quali era la vasta area
della piazza d’armi su cui è sorto tale quartiere, detto anche Mazzini
dalla denominazione della piazza principale.

LA FORMAZIONE. Il piano regolatore del 1909, restituita al comune


la disponibilità della piazza d’armi per l’ampliamento della zona
abitabile, vi prevedeva un’edificazione prevalentemente a grandi
fabbricati residenziali, con un sistema viario stellare ispirato
all’urbanistica francese. Per l’Esposizione internazionale del 1911,
l’area ospitò i padiglioni della mostra etnografica e regionale e un
concorso nazionale di architettura; le case d’affitto e i villini realizzati
in quell’occasione tra le attuali vie Avezzana e Menotti, il lungotevere
delle Armi e viale Mazzini, in parte ancora esistenti, furono le prime
costruzioni del quartiere, edificato poi negli anni ’20 e ’30 sulla base
del piano definitivo di Joseph Stübben. La lungimirante impostazione
urbanistica, con ampie strade alberate, ha consentito l’adattamento al
cresciuto traffico di attraversamento e l’insediamento di attività
direzionali e terziarie.

L’EDILIZIA DEL QUARTIERE. Attraversato viale delle Milizie (nel


segmento di sin., al N. 30, è il liceo Terenzio Mamiani, eretto da
Vincenzo Fasolo nel 1922 in garbate linee neobarocche), si prosegue
in via Giuseppe Ferrari. Prendendo a d. via Ricciotti si nota, sul lato
sin., un isolato d’affitto di Quadrio Pirani, con fregio affrescato,
gemello di quello affacciato su piazza Mazzini. Superata piazza Martiri
di Belfiore, per via Menotti si sbocca sul lungotevere delle Armi, che si
prende a sin.; vi affacciano ancora diversi villini del concorso del 1911:
al N. 20, il villino Campos (G.B. Milani) e, al N. 22, il villino Brasini
(Giuseppe Astorri e Armando Brasini), entrambi di gusto neobarocco;
al N. 24, il villino Rossellini, in stile rinascimento toscano.
Il lungotevere si apre in piazza Monte Grappa dove, al N. 4, è un
edificio per uffici di Gio Ponti (1961-63), oggi sede RAI, che affaccia
col fianco sin. su viale Mazzini, la principale arteria del quartiere. Al
numero 14 è il palazzo della Direzione generale della RAI (Francesco
Berarducci e Alessandro Fioroni, 1963-65), che articola i grandi volumi
vetrati abbandonando la tipologia a corte chiusa e a filo del lotto;
l’effetto è diminuito dalla cancellata, aggiunta successivamente come
le scale di sicurezza a copertura conica. A sinistra dell’ingresso,
Cavallo morente, bronzo di Francesco Messina (1966).
La sede RAI è fronteggiata da una casa d’affitto (N. 11) di G.B.
Milani per il concorso del 1911 e seguita dal blocco della chiesa di
Cristo Re (Marcello Piacentini, 1924-34), che, iniziata come tempio
della Pace in forme derivate dal barocco, fu ripresa nel 1931 nei modi
semplificati del gusto novecentista. La facciata, solenne nelle
proporzioni dei nitidi volumi, è a fasce laterizie di differente rilievo,
con sottili cornici terminali in travertino; il corpo centrale, aggettante
tra le due alte torri campanarie, ha tre portali in profonde nicchie
arcuate rievocanti il motivo dell’arco trionfale. Sul maggiore, Sacro
Cuore di Cristo Re di Arturo Martini (1933).

L’INTERNO, con pianta a metà tra la croce greca e la latina, è


dominato dalla calotta centrale, sovrastante la crociera. Nell’abside e
nei pilastri, affreschi di Achille Funi; all’altare d., S. Giuseppe e angeli
dello stesso; sull’altare maggiore e sul fonte battesimale, bronzi di
Corrado Vigni; Via Crucis bronzea di Alfredo Biagini.

VERSO VILLA MADAMA. Il viale si apre in piazza Mazzini, con


giardino e vasca di Raffaele De Vico (1927), sulla quale convergono a
raggiera otto strade; tra i grandi isolati si distinguono quello tra le vie
Settembrini e Giuseppe Ferrari di Quadrio Pirani (1924) e quello di
Mario De Renzi (1928) tra via Brofferio e la prosecuzione di viale
Mazzini. Quest’ultima, limitata da costruzioni più recenti, sbocca in
piazzale Clodio, dominato dal profilo di Monte Mario sulla cui sommità
si staglia l’Osservatorio Astronomico e Meteorologico →; in basso a
sin., la mole grigia delle Preture →, mentre al centro sorgono, divisi
dal viale Cavalieri di Vittorio Veneto, i due casali Strozzi (quello di d. di
fine ’400; l’altro, attribuito a Jacopo Del Duca, della seconda metà del
’500).
*VILLA MADAMA. Preferibilmente utilizzando un mezzo pubblico,
per la circonvallazione Clodia si raggiunge verso N piazzale Maresciallo
Giardino: in alto a sin., sotto l’Osservatorio, si scorge l’ottocentesca
villa Mazzanti. Sempre a sin. si stacca via di Villa Madama che conduce
all’omonima residenza (non si visita), il cui progetto – ideato da
Raffaello e solo parzialmente realizzato – fu celebrato già dai
contemporanei e costituisce un maturo esempio di villa suburbana
rinascimentale, ove confluiscono precedenti esperienze toscane,
richiami all’antico – in particolare agli ambienti termali romani – e
suggestioni letterarie.

LA STORIA. Venne iniziata nel 1518 per il cardinale Giulio de’


Medici – ma dei lavori s’interessò direttamente il cugino, papa Leone X
– da Raffaello e, portata avanti alla sua morte da Antonio da Sangallo
il Giovane e da Giulio Romano, fu proseguita ancora per pochi anni
dopo l’elezione a pontefice del promotore col nome di Clemente VII.
Incompiuta (fu realizzata solo la metà N dell’edificio, che doveva
disporsi intorno a una corte circolare divenuta l’attuale ingresso), deve
il nome a madama Margherita di Parma, moglie di Alessandro de’
Medici. Dopo un lungo periodo di decadenza e spoliazione, dal 1913,
sotto la direzione di Pio Piacentini, ebbe consistenti restauri che
inclusero il completamento della metà d. dell’emiciclo col corpo
retrostante, secondo il presunto programma originario del prospetto
verso il fiume rinforzato da due arconi già nel ’700.
NELL’INTERNO, la LOGGIA a tre campate – la centrale con volta
emisferica, le laterali con crociere – è mossa da absidi e nicchie tra
lesene e decorata di stucchi e grottesche di Giovanni da Udine e di
pitture di Giulio Romano. Si apre su un terrazzamento a giardino,
sotto il quale sono le arcate della peschiera; in una camera, fregio con
amorini di Giulio Romano.
L’ISTITUTO STORICO E DI CULTURA DELL’ARMA DEL GENIO. Da piazzale
Maresciallo Giardino si staccano due rami del lungotevere. Su quello a
valle, della Vittoria, sorge al N. 31, preceduto dal monumento ai
Caduti dell’Arma del Genio (Eugenio Maccagnani, 1925), il palazzo
(1937-40) sede di questa istituzione (t. 063725446;
www.esercito.difesa.it).

LA FORMAZIONE E IL PATRIMONIO. Le origini dell’istituto risalgono al


1906 quando, per volontà di Vittorio Emanuele III, il maggiore
Mariano Borgatti ideò in Castel S. Angelo il Museo dell’Ingegneria
militare, divenuto nel 1911 Museo storico dell’Arma del Genio; fuso nel
1934 con l’Istituto di Architettura militare, nel 1940 fu trasferito nella
sede attuale. Oltre a una biblioteca specializzata, con 24000 volumi
dal sec. XVII, lo affiancano gli archivi storico e iconografico (20000 tra
carte e stampe dal ’300), storico-documentale (15000 documenti, dal
sec. XVIII) e fotografico (20000 lastre).
L’ATRIO, con rilievi illustranti le specialità dell’Arma, si apre
sull’esedra del CORTILE DI S. BARBARA, patrona dei genieri, dove,
preceduta da un vestibolo, prospetta la CAPPELLA-SACRARIO (vetrate di
Duilio Cambellotti); lateralmente, due porticati immettono nel cortile
delle Armi, a d., e delle Guerre, a sinistra.
Il Museo storico dell’Arma del Genio, finalizzato a
sottolineare le interrelazioni con la società civile, ne evidenzia i
compiti, le specialità e il ruolo nelle campagne di guerra. Tra gli
oggetti sono cimeli delle personalità eminenti che vi appartennero,
uniformi e armi dall’antichità a oggi e, per la specialità aeronautica, il
monoplano Bleriot XI che fu utilizzato per la prima ricognizione aerea
in guerra. Le campagne militari sono documentate dalla Repubblica
romana al primo conflitto mondiale; curiosa la raccolta di 112
interpretazioni iconografiche di S. Barbara, mentre per tracciare lo
sviluppo delle trasmissioni sono presenti anche alcuni apparecchi
costruiti da Guglielmo Marconi durante il servizio come capitano del
Genio. Il museo ospita anche la «Mostra genieri e trasmettitori per il
paese» che illustra gli interventi in tempo di pace.
Il Museo dell’Architettura militare ripercorre, tramite plastici,
l’evoluzione delle fortificazioni e dell’assedio, dai nuraghi sardi alle
moderne opere del vallo alpino; molto particolareggiati quelli di Castel
S. Angelo.

LA CASA DELLE ARMI. Dal segmento di lungotevere intitolato al


Maresciallo Cadorna, che da piazzale Maresciallo Giardino segue verso
N l’ansa del fiume, si stacca a sin. via Morra di Lavriano per incrociare
subito a d. viale delle Olimpiadi. Vi sorge, a sin., la casa delle Armi,
detta anche della Scherma, propaggine del Foro Italico (v. oltre) e tra
le realizzazioni più interessanti dell’insieme per l’eleganza della
composizione esterna e l’originalità e funzionalità delle soluzioni
interne. È opera di Luigi Moretti (1935-36), articolata in due corpi
ortogonali collegati da un passaggio pensile: quello parallelo al viale
ospitava la palestra, nell’altro – con mosaico parietale esterno di
Angelo Canevari – erano la sala di ricevimento e la biblioteca, mentre
nell’angolo posteriore fa da cerniera tra i due corpi la sporgenza
ellittica del salone d’Onore, con superfici marmoree plasticamente
piegate. Nella sala ellittica, recenti restauri (2004) hanno fatto
emergere mosaici pavimentali disegnati dallo stesso Moretti.
Fronteggia l’edificio la Foresteria sud, utilizzata come ostello della
Gioventù, opera razionalista di Enrico Del Debbio (1933).
IL *FORO ITALICO. Al termine del lungotevere Maresciallo Cadorna,
su piazza De Bosis si apre l’ingresso monumentale all’ex Foro
Mussolini (pianta), vasto complesso di edifici e impianti sportivi
immerso nel verde delle pendici di Monte Mario, uno dei principali
interventi a scala urbana del regime fascista, significativo per l’intento
di riunire attività sportiva e formazione ideologica. Le diverse
costruzioni testimoniano l’oscillare della cultura architettonica del
periodo tra classicismo stilizzato e deciso razionalismo, e l’aspirazione
all’unità delle arti figurative, tra le quali venne recuperata la tecnica
del mosaico per ampie decorazioni parietali e pavimentali.

LA FORMAZIONE. Il Piano regolatore generale di Enrico Del Debbio,


che lo elaborò e realizzò dal 1928 al 1933 e dal 1956 al 1960, si
caratterizzava per la particolare attenzione al rispetto ambientale (i
principali impianti, anche per motivi economici, sfruttavano le
depressioni del terreno); il progetto definitivo prevedeva l’edificazione,
rimasta inattuata, di un secondo ponte, oltre a quello realizzato
intitolato al duca d’Aosta →, che avrebbe dovuto inserirsi, sulla
sponda opposta, nel tridente viario di piazza Gentile da Fabriano.

LE EMERGENZE DEL FORO ITALICO. Sulla piazza, l’obelisco dedicato a


Mussolini (Costantino Costantini, 1932), in marmo di Carrara, si leva
per m 36.3 con monolite superiore di m 17.4. A sinistra, l’ex
Accademia di Musica – oggi palazzo dell’ISEF e sede dell’auditorium
della RAI – e, ancora più a sin., la Piscina coperta (già palazzo delle
Terme), entrambe del Costantini e risalenti al 1937 (nella seconda,
mosaici pavimentali di Giulio Rosso e parietali di Angelo Canevari,
castello per i tuffi di Pier Luigi Nervi per le Olimpiadi del 1960; al
primo piano, l’ex PALESTRA DEL DUCE, di Luigi Moretti, ora sala riunioni,
con mosaici di Gino Severini e statue in bronzo dorato di Silvio
Canevari). A destra, la sede del CONI, l’ex Accademia di Educazione
fisica di Enrico Del Debbio (1927-32), costituita da due ali collegate da
un corpo di fabbrica pensile (il passaggio sottostante, ora vetrato,
inquadra lo stadio dei Marmi, v. sotto), adorne sulle testate di statue
di atleti del Canevari e di Carlo De Veroli.
Alle spalle dell’obelisco si stende il viale centrale del Foro Italico,
già aperto da Enrico Del Debbio nel primo piano del 1928; Luigi
Moretti realizzò nel 1937 l’arredo urbano inserendo i grandi blocchi di
marmo che ai lati recano incise le date fondamentali dell’«Impero»
(cui il viale fu dedicato) insieme a quelle del regime; sugli ultimi a sin.
sono state aggiunte quelle della proclamazione della Repubblica e
dell’entrata in vigore della Costituzione. Nelle corsie laterali, mosaici su
cartoni di Gino Severini, Angelo Canevari, Achille Capizzano, Giulio
Rosso. Al centro del piazzale del Foro Italico, la fontana della Sfera,
monolite di 3 m di diametro (Mario Paniconi e Giulio Pediconi, 1933-
34) circondato da mosaici su cartoni di Giulio Rosso.
Sul fondo si staglia lo stadio Olimpico, nato come stadio dei
Cipressi nel 1928-32 a opera di Enrico Del Debbio; realizzato
dall’autore sino al primo anello murario, venne così inaugurato nel
1932. La progettazione venne ripresa nel 1937 dagli ingegneri Angelo
Frisa e Achille Pintonello, ma l’esecuzione non fu mai terminata. Nel
1952 lo stadio venne riprogettato, sulla base già realizzata dello stadio
dei Cipressi, da Annibale Vitellozzi, Carlo Roccatelli e Cesare Valle, con
una capienza di 80 000 posti. Nel 1990, in occasione del Campionato
del mondo di calcio, venne adeguata la capienza aumentandone le
gradinate e inserendo una copertura su struttura reticolare ad anello
che ha arrecato indubbio danno all’insieme ambientale e
monumentale. A destra, lo stadio dei Marmi (Enrico Del Debbio,
1928-32), contornato da 60 statue di atleti, dono di altrettante città
italiane, che furono ultimate nel 1932-33; nella tribuna centrale, due
gruppi in bronzo di Lottatori di Aroldo Bellini, autore anche delle due
grandi figure bronzee all’ingresso della pista.

Da piazzale del Foro Italico, la breve via del Giavellotto raggiunge


verso S largo Giacomo De Martino, da dove parte il già citato viale
delle Olimpiadi che costeggia a d. i campi da tennis (già stadio della
Pallacorda di Costantino Costantini, 1933-34, con statue di Eugenio
Baroni) e a sin. lo stadio olimpico del Nuoto, costruito per le Olimpiadi
del 1960 da Enrico Del Debbio e Annibale Vitellozzi, con criteri di
rispetto ambientale (le gradonate non emergono dal piano della
campagna).

LA FARNESINA. Contermine a piazza De Bosis, si apre sul


lungotevere Maresciallo Diaz l’omonimo piazzale, chiuso dalla casa
internazionale dello Studente (Enrico Del Debbio e Piero Maria Lugli,
1960). Costeggiandone il fianco sin., per viale Boselli si raggiunge la
mole inerte del Ministero per gli Affari Esteri, detto La Farnesina dal
nome della località che fu dei Farnese e preceduto dalla fontana
(opera di Enrico Del Debbio) con Grande Sfera di Arnaldo Pomodoro
(1968); iniziato nel 1938 come palazzo del Littorio da Del Debbio,
Arnaldo Foschini e Vittorio Ballio Morpurgo, contraddicendo le scelte di
rispetto ambientale adottate nel foro, fu interrotto per la guerra e
compiuto solo nel 1956. Chiude a NE l’allungato piazzale della
Farnesina l’omonimo stadio per l’atletica leggera, cui fa da sfondo il
corpo a «L» della Foresteria nord (Costantino Costantini, 1935-36),
già sede della Gioventù Italiana del Littorio.

8.2 LA VIA FLAMINIA, VILLA BORGHESE


E I PARIOLI

Aperta nel 223-219 a.C. dal censore Caio Flaminio e finalizzata


alla colonizzazione dell’«ager Gallicus», la strada, che raggiungeva il
mare Adriatico a «Fanum» (Fano) e terminava ad «Ariminum»
(Rimini), costituì il principale asse di collegamento con lsettentrionale;
nel segmento fino a ponte Milvio il tracciato moderno corrisponde al
percorso antico, che iniziava dalla porta Ratumena o Fontinalis nel
recinto serviano e da quella Flaminia (l’odierna porta del Popolo) nelle
mura Aureliane, mentre oltre il Tevere corre più a ovest della via
romana, che costeggiava la riva destra del fiume, attraversava i prati
di Tor di Quinto e proseguiva rettilinea fino a Prima Porta.
Dopo la decadenza medievale, con la costruzione della villa di
Giulio III (metà Cinquecento) iniziarono ad attestarsi, tra porta del
Popolo e ponte Milvio, numerosi complessi patrizi (casina Vagnuzzi,
villa Balestra), secondo un processo che ebbe il momento più alto
nell’edificazione del casino Borghese con l’annesso parco e che durò
fino all’Ottocento, quando l’area si configurò come un tessuto
omogeneo nel quale si insediarono anche piccole industrie (Legnare,
1775-79; Foro Boario, 1800-1829). Le prime speculazioni, favorite
dall’apertura di viali e passeggiate, portarono dopo il 1870 alla
distruzione delle ville, e la prima lottizzazione, prevista dal piano
regolatore del 1883, all’abbattimento delle Legnare e del mattatoio
(1906), sostituiti da edilizia a blocco di tipo ottocentesco.
L’urbanizzazione dell’area Flaminia e dei Monti Parioli ebbe inizio con il
piano del 1909 che destinava la prima a fabbricati e i secondi a
giardini: la maglia di urbanizzazione del Flaminio restò ancora a
scacchiera ma l’ansa del Tevere venne risolta con un tridente
convergente su un ponte mai realizzato. Con l’Esposizione del 1911 e
l’apertura di viale delle Belle Arti venne ribaltata la struttura
urbanistica basata sull’assialità della Flaminia; nel 1918-24 iniziò la
crescita del quartiere altoborghese dei Parioli, definito dal piano
regolatore del 1931 – risale a questo periodo l’‘operazione palazzina’
di cui la zona offre un campionario significativo – che favorì al
Flaminio la trasformazione dei fabbricati in intensivi. La realizzazione
delle attrezzature e delle residenze per le Olimpiadi del 1960 delineò
in maniera definitiva l’assetto dell’area.
Un’urbanizzazione più recente caratterizza il tratto di Flaminia
oltre piazzale di Ponte Milvio. La via attraversa un paesaggio
lievemente ondulato, e spesso punteggiato di pini, sul quale la logica
speculativa, l’abusivismo edilizio e, negli ultimi anni, la ‘fame’ di aree
industriali sono stati esercitati forse in maniera meno esasperata che
altrove (il tracciato della consolare in territorio comunale non è stato
ancora totalmente urbanizzato), anche se pesanti sono stati gli
interventi sulla viabilità legati al Campionato del mondo di calcio del
1990.
L’itinerario, da percorrersi a piedi (carta alle pagine 742-743),
attraversa dapprima Villa Borghese – momento tra i più significativi
della visita – poi l’area dell’Esposizione del 1911 e, dopo l’‘esplosione’
manierista di villa Giulia, tocca alcuni notevoli esempi di architettura
contemporanea (stadio Flaminio; palazzo dello Sport; Villaggio
olimpico; Auditorium); una lunga deviazione, anch’essa a piedi,
permette di addentrarsi nel quartiere dei Parioli, mentre l’ausilio di
un’autovettura consente di raggiungere, oltre piazzale di Ponte Milvio,
la famosa villa «ad Gallinas Albas» e il casale di Malborghetto.

PIAZZALE FLAMINIO, su cui prospetta la facciata N di porta del


Popolo →, è delimitato dalle mura Aureliane, dall’ingresso
monumentale di Villa Borghese (v. sotto) e dalle quinte edilizie che
inquadrano la Via Flaminia →.
L’attuale conformazione dello slargo deriva dal progressivo
sfrangiamento della testata della strada in seguito al progetto di
ampliamento della stessa (1881), che comportò la demolizione del
seicentesco palazzetto Altemps (la facciata è stata rimontata sul
Campidoglio: →); il collegamento del piazzale con il ponte Regina
Margherita →, l’apertura della stazione ferroviaria Roma-Viterbo
(1932) e la realizzazione del «sistema veloce» del Muro Torto → ne
hanno accentuato il declassamento a nodo stradale.

*VILLA BORGHESE
Sul lato E di piazzale Flaminio, i monumentali propilei greci
(1827), l’opera di maggior impegno di Luigi Canina (una cancellata,
realizzata nel 1831, raccorda quattro elementi simmetrici: due a
doppia fronte con colonne ioniche e frontone triangolare, e due,
ortogonali ai precedenti, simili a piccoli templi «in antis»), danno
accesso al vasto parco pubblico, il cui verde è disseminato di
monumenti a famosi personaggi stranieri.
Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:
sinistra, destra, sinistra e destra.

LA STORIA. Scipione Borghese Caffarelli, nipote di Paolo V, affidò


nel 1608 a Flaminio Ponzio l’incarico di erigere, su un’area di proprietà
della famiglia, una villa suburbana da destinarsi soprattutto a museo;
il progetto originario, proseguito tra gli altri da Giovanni Vasanzio e
ultimato da Girolamo Rainaldi, comprendeva anche un giardino di
modello rinascimentale fuso con il paesaggio circostante e suddiviso in
tre recinti: il «giardino boschereccio» formato da riquadri alberati, il
«giardino delle prospettive» arricchito da opere d’arte antiche, e il
parco, di aspetto rustico e naturale. Un primo rinnovamento della villa
fu attuato nel 1766-93 per Marcantonio IV Borghese, e a esso si deve
la combinazione di elementi neoclassici di derivazione francese con
spunti architettonici d’ispirazione rovinista; il giardino venne invece
riorganizzato seguendo la concezione inglese e il percorso principale
disegnato secondo una linea spezzata, con fondali architettonici e
paesaggistici sempre mutanti.
Estesasi la proprietà fino a piazza del Popolo, Luigi Canina ne curò
il progetto di ampliamento (1822) unendo con soluzioni
architettoniche originali (l’Arco Romano e i propilei) le due parti della
villa, venduta nel 1901 allo Stato italiano che la cedette al comune di
Roma con il nome di villa Umberto I (1903).

VERSO IL CASINO BORGHESE. Viale Washington risale il colle


sboccando in piazzale del Fiocco, occupato dalla fontana di Esculapio
(Luigi Canina, 1830-34): l’edicola con la statua del dio sovrasta una
base naturalistica di gusto settecentesco. In rapida successione lungo
il vicino viale Lubin, prosecuzione di viale Madama Letizia, sono la
Casetta (N. 4), edificio cinquecentesco trasformato in foresteria dal
Canina (c. 1830), e la villa Lubin (N. 2), concepita in forme
neobarocche e liberty da Pompeo Passerini (1906-1908).
Da piazzale del Fiocco, attraversati i propilei egizi (Luigi Canina,
1827), si percorre viale Fiorello La Guardia incontrando a sin.
l’Aranciera (dal 2006 sede del Museo Carlo Bilotti, vedi sotto), già
casino del Muro Torto, ricostruzione non fedele di un edificio adibito
(1776-78) a residenza padronale e a magazzini per agrumi; avanti,
sempre a sin., è il portico dei Leoni, ideato da Mario e Antonio
Asprucci in veste neoclassica (il giardino e i quattro leoni sono del
Canina).

MUSEO CARLO BILOTTI. L’Aranciera, sottoposta a importanti


restauri, è dal 2006 sede di questo museo (www.museocarlobilotti.it),
che ordina le opere di arte contemporanea (dipinti, disegni e sculture)
donate dal collezionista Carlo Bilotti alla città di Roma. Nella raccolta
spicca il nucleo di lavori di Giorgio De Chirico, affiancato da opere di
Gino Severini, Andy Warhol, Larry Rivers e Giacomo Manzù. Spazi
appositi sono destinati a esposizioni temporanee, che intendono
presentare gli artisti più significativi dell’età contemporanea con la
collaborazione di istituzioni pubbliche e private.

Orna il lato sin. di piazzale delle Canestre, sul quale converge da


d. viale delle Magnolie (1908) collegamento con il Pincio, la mostra
dell’Acqua Felice, terminale dell’acquedotto della villa realizzato da
Giovanni Fontana nel 1610 e distrutto nel 1849. Il successivo viale S.
Paolo del Brasile, lambito a d. il galoppatoio e a sin. il monumento a
Goethe (Gustav Eberlein, 1904) e la casina delle Rose (già villetta
Bernini), sbocca in piazzale Brasile, delimitato da porta Pinciana →,
dove furono collocati nel 1935 i piloni dei propilei del Muro Torto
opera degli Asprucci (1790).
IL CASINO BORGHESE. Viale del Museo Borghese, che punta a NE,
conduce all’omonimo piazzale, delimitato da una balaustrata in
travertino copia (1895) dell’originale (1618-19), su cui prospetta
questo edificio, progettato da Flaminio Ponzio nel 1608-1613 ma
completato da Giovanni Vasanzio (c. 1617). La compatta facciata,
decorata come quelle laterali da sculture antiche, è costituita da due
corpi uniti da un portico coperto a terrazza (la loggia tergale, decorata
da Giovanni Lanfranco nel 1624-25, fu chiusa nel 1795), dal quale
s’innalza su due piani il blocco centrale più arretrato; il più recente
restauro ha ripristinato la scala a due rampe, sostituita nel 1793 con
una scalinata. L’aspetto attuale dell’interno, con due appartamenti
simmetrici rispetto alla sala centrale, è quello del rinnovamento voluto
dal cardinale Marcantonio IV Borghese negli ultimi decenni del sec.
XVIII e affidato ad Antonio Asprucci, che si avvalse dell’opera di una
fitta schiera di artisti allora presenti a Roma (Francesco Massimiliano
Laboureur, Vincenzo Pacetti, Cristoforo Unterberger).
Nel palazzo hanno sede, rispettivamente al pianterreno e al primo
piano, il *Museo Borghese e la *Galleria Borghese (t. 068413979
- 068417645; www.galleriaborghese.it; prenotazione obbligatoria dei
biglietti, t. 0632810), definiti «la regina delle raccolte private del
mondo».

LA STORIA DEL MUSEO BORGHESE, che ospita le collezioni di


antichità, ha inizio con il cardinale Scipione, che nel 1608 acquistò le
statue di palazzo Ceoli (oggi Sacchetti) e nell’anno successivo la
raccolta di G.B. Della Porta, ricevendo da Paolo V, in occasione dei
lavori per la facciata di S. Pietro, le sculture che si trovavano nell’atrio
della precedente basilica. L’eccezionale complesso di opere,
arricchitosi a fine ’700 quando venne disposto nelle sale del palazzo
ispirandone l’ornamento e la decorazione, fu ceduto dal principe
Camillo alla Francia nel 1807 e non più recuperato (costituisce tuttora
il nucleo principale della sezione di arte classica del Louvre). La
collezione attuale, pure di grande respiro, è frutto del recupero degli
esemplari superstiti dell’edificio e delle sculture sparse nel parco o
ospitate nel palazzo Borghese in Campo Marzio e nelle ville
extraurbane; la sua disposizione, che risale ancora alla morte del
principe Camillo, esprime la fase scientifica della cultura neoclassica:
alcuni pezzi sono parte integrante della struttura architettonica (lastre
di sarcofago e rilievi sono murati presso le finestre per accogliere la
luce radente o lungo l’asse centrale delle pareti fino a due ordini
sovrapposti per accentuare l’altezza e la simmetria dei vani), mentre
numerose sculture appoggiano con la base sul pavimento (la maggior
parte delle statue è posta lungo i muri, su antichi cippi funerari o su
plinti moderni) senza compromettere la funzionalità degli ambienti. Gli
accostamenti rivelano un eccellente gusto proporzionale e distributivo
sia nella dimensione del supporto rispetto alla figura sia per la
posizione della singola opera rispetto ai membri architettonici (porte,
finestre, paraste, colonne e nicchie): i busti sono prevalentemente
entro nicchie o su mensole, le statue davanti alle lesene (la sequenza
pausata ne favorisce la godibilità, che verte ancora sulla lettura
frontale privilegiata dall’estetica del tempo), controluce i pezzi
decorativi lavorati a giorno, mentre i mosaici sono inseriti nei
pavimenti.

I CAPOLAVORI DEL MUSEO. L’arredo antico del PORTICO è concepito


secondo la tradizione cinquecentesca come un affascinante accumulo
di sculture romane, anche se la sua attuale sistemazione è quella
operata da Luigi Canina. Notevoli: VII, XXV, frammenti del rilievo
traianeo con guerre daciche (le lastre Borghese rappresentano un
discorso dell’imperatore all’esercito); XIX, fronte di sarcofago con
battaglia di Romani e Barbari settentrionali proveniente dall’atrio della
basilica di S. Pietro; VI, lastre di sarcofago con muse (c. 240); sui lati
brevi, in alto, la Leda col cigno e il Prometeo incatenato sono rilievi del
’500 su disegni di Michelangelo.
SALONE. Sopra le porte e le finestre, nicchie con 12 busti di
imperatori in marmi colorati (G.B. Della Porta, sec. XVI); sopra la porta
opposta a quella d’ingresso, Marco Curzio a cavallo (l’equino è del I-II;
il cavaliere è aggiunta di Pietro Bernini, c. 1618); nella volta, Camillo
rompe le trattative con Brenno e Allegorie della Gloria di Mariano Rossi
(1775-78). Nel pavimento, *scene di lotte di gladiatori e belve (310-
320), sezioni e frammenti di mosaico da una villa dei Borghese a
Torrenova; ai lati della porta d’ingresso, due copie (LII, età adrianea;
XXXIII, 140) dell’Artemide tipo Colonna, da originale peloponnesiaco
del IV a.C. (teste non pertinenti); XXXVI, statua colossale di satiro
combattente da originale ellenistico tarantino; XXXVII, testa colossale
di Giunone, opera romana simile alla Era del tipo Farnese; XXIX,
statua di Claudio come Giove (la testa di Tiberio e l’aquila sono di
Francesco Massimiliano Laboureur, 1820-22); XLI, statua-ritratto di
Augusto come pontefice massimo; XLIX, statua colossale di Bacco
(solo il torso è antico) dalla collezione Ceoli (nella base, parte di un
rilievo con scena del culto di Dionisio, I a.C.); L, testa colossale di
Antonino Pio.
SALA I GIÀ DEL VASO. Le quadrature sono di G.B. Marchetti, le tele
con al centro il Giudizio di Paride e i fatti di Enea di Domenico De
Angelis; alle pareti, episodi della guerra troiana, bassorilievi di
Vincenzo Pacetti; nel mezzo della sala, *Venere vincitrice di Antonio
Canova (1805), che rappresentò Paolina Bonaparte, sorella di
Napoleone e moglie di Camillo Borghese, riscattando con il raffinato
virtuosismo, la sensibilità e la grazia duttile del modellato la freddezza
del modulo classico. LVIII, la statua detta di Elettra, del tipo Colonna,
elaborazione del sec. I da originale dell’ultimo ellenismo; LXXV, lastre
di sarcofago con Apollo circondato dalle muse; LXII, gruppo di Leda
col cigno, composizione del ’700 (la testa è del 35 d.C.); LXIV, Aiace
che rapisce Cassandra, rilievo neoattico da iconografia tarantina del V
a.C.; ritratto in marmo bigio di Bassiano (195); CCLXXII, busto di
Clemente XII di Pietro Bracci; LXXII, Venere al bagno con amorino,
composizione del ’700 con pezzi del sec. II.
SALA II O DEL SOLE: nella volta, Caduta di Fetonte, tela di
Francesco Caccianiga; quadrature di G.B. Marchetti; nel mezzo,
*Davide, che Gian Lorenzo Bernini (il volto ne è l’autoritratto) eseguì
nel 1623-24 per il cardinale Scipione Borghese. LXXVIII, erma di Pan
da originale di scuola peloponnesiaca; LXXIX e XCV, faccia anteriore e
posteriore di sarcofago a colonne con le fatiche di Ercole (età
antonina; sopra le fronti, sarcofago con tiaso marino e defunta come
Venere nella conchiglia – 140-150 – e rilievo con scene al culto di
Dioniso – 140); LXXXIII, erma con tipo ellenistico di Ercole ammantato
nella pelle di leone (età antonina); LXXXIX, fregio di coperchio di
sarcofago con la triade capitolina, i Dioscuri, il Sole sulla quadriga,
Oceano, Luna ed Espero (c. 140); XCIV, fregio di coperchio di
sarcofago con nascita di Apollo e Artemide (età antonina). Natura
morta con uccelli e Natura morta con lucertole di pittore caravaggesco
(1602-1607); Sansone in carcere di Annibale Carracci (c. 1595).
SALA III DELL’APOLLO E DAFNE: nella volta, Metamorfosi di Dafne
di Pietro Angeletti; decorazioni di G.B. Marchetti; al centro, *Apollo e
Dafne, capolavoro di Gian Lorenzo Bernini (1624) che rappresentò
l’attimo in cui il dio inseguitore sta per afferrare Dafne e questa si
trasforma in alloro. CVI, statua di fanciullo con anatra da originale
ellenistico della collezione di G.B. Della Porta; CVIII, Afrodite con erote
sul delfino; CVII, gruppo di fontana con pescatore, pastori e
personificazioni del mare e di un fiume, c. 210 da originale ellenistico;
CXVI, cratere neoattico (Pan e ninfe; sec. I a.C.), su base di
candelabro coeva; CXVII, statua arcaistica di Apollo da archetipo
ellenistico di scuola rodia; CXX, testa colossale di Apollo citaredo da
originale del sec. IV a. Cristo. Paesaggi fantastici di Paul Brill e aiuto
(c. 1595); *Apollo e Dafne di Dosso Dossi (c. 1522); *Maga Circe o
Melissa del Dossi.
LA CAPPELLA è l’unico ambiente che ha conservato pitture murali
dell’epoca del cardinale Scipione Borghese. A destra, oltre un altarino
di Guglielmo Della Porta (c. 1565; la cornice è di inizi sec. XVII), il
modello in gesso di S. Giovanni Battista (Jean-Antoine Houdon, 1766-
67) è nella nicchia ornata da un’Assunta di Claude Deruet (1617-18); il
successivo altarolo in argento e palissandro è di Mathias Wallbaum
(fine sec. XVI). Sulla parete opposta: S. Giovanni Battista del Cavalier
d’Arpino (c. 1602-1607); Madonna col Bambino di Ventura Salimbeni;
Cristo morto tra angeli di Federico Zuccari (c. 1567); Fuga in Egitto
(post 1595) e Decollazione del Battista (c. 1602-1610) del d’Arpino.
GALLERIA DEGLI IMPERATORI, così chiamata per i 18 busti di
imperatori in porfido e alabastro (sec. XVIII) disposti lungo le pareti:
nella volta, storie di Galatea di Domenico De Angelis; decorazione di
G.B. Marchetti; alle pareti, bassorilievi in marmo e stucco e mosaici di
Cesare Aguatti, Pietro Rudiez, Agostino Penna, Vincenzo Pacetti,
Tommaso Righi, Francesco Carradori e Francesco Massimiliano
Laboureur; al centro, Ratto di Proserpina, opera giovanile (1622) di
Gian Lorenzo Bernini. CXXVI, statua di Diana del tipo Dresda,
restaurata come musa dal Laboureur (testa e maschera non pertinenti
all’originale di Prassitele); CXXIX, statua di Artemide, arte imperiale da
originale ellenistico (c. 200 a.C.); CXXXIV, statua di Dioniso, copia
travisata nei restauri dell’originale di Prassitele; CXXXVII, Artemide
detta Borghese da modello del sec. IV a.C.; CXXXXIII, statua di
Dionisio con pantera (sec. II da originale del IV a.C.); quattro vasi a
forma di kantharos con raffigurazioni delle stagioni (1784-85), del
Laboureur e di Lorenzo Cardelli.
SALA DELL’ERMAFRODITO: nella volta, storie di Ermafrodito e
Salmace di Nicola Buonvicini; decorazione di G.B. Marchetti; sopra le
porte, Paesaggi in parte di Paul Brill. Nel pavimento, sezioni di
mosaico romano con scene di pesca; CLXXXI, testa di divinità
femminile, da probabile originale di stile severo dalla Magna Grecia
(480-470 a.C.); CCXXXX, statua-ritratto di età antonina riutilizzata per
scolpirvi i tratti di Severina moglie di Aureliano; CLXXII, Ermafrodito
dormiente dall’originale in bronzo di Policle (c. 150 a.C.; materasso e
testa integrate da Andrea Bergondi).
SALA DEL GLADIATORE: nella volta, Concilio degli Dei di Lorenzo
Pécheux; decorazione di G.B. Marchetti e rilievi in stucco di Vincenzo
Pacetti; al centro, *Enea e Anchise, gruppo marmoreo di Pietro e Gian
Lorenzo Bernini. CLXXXIII, statua di Atena da originale prassitelico;
CIXC, Ninfa con bacino (sec. II); CIC, coevo gruppo di Asclepio con
Telesforo; CVC, statua-ritratto di fanciulla (età neroniana); CXCVI,
frammento di coperchio di sarcofago con defunto (200-220), sopra
fronte di sarcofago con tiaso marino e ritratto di defunto (c. 225);
CVIIC, statua di Leda col cigno da Timotheus. *La Verità svelata dal
Tempo di Gian Lorenzo Bernini (c. 1652); Cacciatore e Baccanale di
Putti di Giovanni Campi; Minerva in atto di abbigliarsi di Luigi Fontana
(1613); Morte della Vergine di Giovanni Maria Morandi; Amore e
Psiche di Jacopo Zucchi (1589).
SALA EGIZIA: nella volta, Cibele versa i suoi doni sull’Egitto di
Tommaso Conca (suoi anche i dipinti nel fregio); decorazione a motivi
egizi di G.B. Marchetti. Nel pavimento, sezioni di un mosaico con
mascheroni di Oceano e altre personificazioni marine e pannello con
scena relativa al mese di marzo da un mosaico con calendario (c.
240); CC, gruppo di giovane satiro a cavallo di un delfino di età
ellenistica; CCII, statua di sacerdotessa di Iside (sec. I su modelli del V
a.C.); CCIII, statua di Paride da Eufranore; CCIX, statua di Iside
Pelagia (c. 150-160 da originale alessandrino); CCVII, CXI, sfingi
(quella di sin. è di età imperiale, quella di d. è imitazione
commissionata da Luigi Canina nel 1828); CCXV, statua di Afrodite del
tipo Landolina di Siracusa; CCXVI, *statua di peplophora (le braccia
sono aggiunta di Antonio d’Este, 1827); CCXVII, statua dell’Atena
Efestia, copia da Alcamene.
SALA DEL SILENO: nella volta, Sacrificio a Sileno di Tommaso
Conca; decorazione di G.B. Marchetti; al centro, CCXXV, *sileno
danzante, copia di età antonina da un bronzo attribuito a Lisippo;
CCXXXII, statua di satiro in riposo da Prassitele; CCXXVII, imperatore
seduto (Claudio?) restaurato come Mercurio (40-50); CXXX, Ritratto di
poeta (pseudo-Seneca) di età ellenistica; CCXXXVI, statua-ritratto di
donna con pettinatura di Orbiana, moglie ripudiata di Alessandro
Severo; CCXXXVII, statua di letterato seduto (da un ritratto greco di
fine IV a.C. e da una testa originale coeva); CCXXXVIII, statua-ritratto
di donna, simile a Etruscilla moglie di Decio; CCXXXXIV, ritratto di
Faustina maggiore moglie di Antonino Pio (138-141); CCXXXXIII,
ritratto di Domizia Lucilla madre di Marco Aurelio, che ha come
modello il precedente; CLXXV, ritratto idealizzato di Tiberio (13-17).
Giuditta e Oloferne di Giovanni Baglione (1608); Il ratto d’Europa del
Cavalier d’Arpino (1602-1603); Diana e Atteone di Bernardino Cesari;
*Ragazzo col canestro di frutta di Caravaggio (c. 1593-95);
Cattura di Cristo di Dirk van Baburen (1616-17); S. Giovanni Battista
(1609-1610) e *S. Girolamo (1605-1606) di Caravaggio; Il giudizio di
Salomone del Maestro del Giudizio di Salomone (1615-20); Giuseppe e
la moglie di Putifarre del Cigoli (1610); Andromeda liberata da Perseo
di Rutilio Manetti; La cattura di Cristo del d’Arpino (1598); Sacra
famiglia attribuita ad Annibale Carracci; *Bacchino malato (1592-95) e
*Madonna dei Palafrenieri (1605) di Caravaggio.

I CAPOLAVORI DELLA GALLERIA BORGHESE. Anche la collezione di


pittura qui esposta fu iniziata dal cardinale Scipione, che raccolse
dipinti di Caravaggio, Raffaello, Tiziano e di pittori ferraresi (Dosso
Dossi); nel nucleo primitivo andarono poi confluendo importanti
collezioni tra cui quella di Olimpia Aldobrandini (sposa di Paolo
Borghese), che riuniva le raccolte di Lucrezia d’Este e del cardinale
Salviati. Vi si accede dal seminterrato, dove tra l’altro sono un
bookshop e una caffetteria.
VESTIBOLO: Ritratto di Paolo V (1621); Orfeo (1618); Madonna
con Bambino (c. 1620); Veduta di Villa Borghese di Abraham Van
Cuylenborch; ritratto di papa Paolo V Borghese (inizi sec. XVII);
CCLVII, testa di donna velata (sec. I); La Madonna come lavandaia e
Maddalena penitente di maestranze toscane del ’600; Fiori di Jan
Brueghel il Vecchio (1595); Orfeo di seguace di Brueghel il Vecchio
(fine sec. XVI-inizi XVII); Fiori e Farfalle di Willem Van Aelst; Sacrificio di
Isacco e La terra promessa di maestranze toscane di inizi ’600.
SALA DI DIDONE, già delle Tre Grazie: nella volta, Suicidio di
Didone di Anton von Maron (1783-85); *camino in marmo bianco e
ametista con bassorilievo (Borea rapisce Orizia) in marmo rosso di
Vincenzo Pacetti. Psiche trasportata all’Olimpo (c. 1540); Madonna col
Bambino attribuita a Perin del Vaga (c. 1540), autore della Sacra
famiglia con S. Giovannino e S. Anna (secondo quarto sec. XVI);
Madonna col Bambino e S. Giovannino di Raffaellino del Colle (c.
1530); La Vergine col Bambino e S. Giovannino di Giulio Romano (c.
1523); *Ritratto d’uomo di Raffaello (1502-1504); Sacra famiglia di
Pedro Machuca (c. 1518); Donna con liocorno di Raffaello (c. 1506);
Sacra famiglia del del Vaga (c. 1540); Ritratto di giovane di Michele di
Ridolfo del Ghirlandaio (inizi sec. XVI); ritratto di papa Giulio II, copia
da Raffaello (sec. XVI); *Deposizione di Cristo di Raffaello (1507);
Madonna col Bambino, copia da Raffaello (prima metà ’500); Madonna
col Bambino del Perugino (primo quarto sec. XVI); S. Sebastiano
attribuito al Perugino (post 1490); Adorazione del Bambino di Fra’
Bartolomeo (c. 1495); Adorazione del Bambino di Piero di Cosimo
(post 1510); Pietà coi Ss. Giovanni evangelista, Maria Maddalena,
Apollonia, Antonio di Padova, Elisabetta d’Ungheria e Margherita di
Andrea del Sarto (c. 1507-1509); Madonna col Bambino e S.
Giovannino di Lorenzo di Credi (1488-95); Ritratto d’uomo (1505).
SALA DI ERCOLE O DEL SONNO: nella volta, Fatiche di Ercole, tele di
Cristoforo Unterberger (1786); camino in marmo bianco e porfido
rosso di Vincenzo Pacetti. Leda di Michele di Ridolfo del Ghirlandaio (c.
1560-70); *Venere e Amore che reca il favo di miele di Lucas Cranach
il Vecchio (c. 1531); Ritratto di giovane donna in veste di S. Caterina e
Venere tra due amorini (1525) del Brescianino; Tobiolo e l’angelo di
Pier Francesco Foschi (c. 1545); Lucrezia di Michele di Ridolfo del
Ghirlandaio (c. 1560-70); *S. Giovanni Battista del Bronzino (c. 1525);
*Madonna col Bambino e S. Giovannino di Andrea del Sarto (1517-
18); Ritratto di giovinetto di seguace del Parmigianino (terzo decennio
sec. XVI); Ritratto d’uomo del Parmigianino (1528-30); Il giudizio di
Salomone attribuito a Pier Francesco Foschi (prima metà XVI);
*Danae del Correggio (1530-31); Ritratto di donna di Niccolò
dell’Abate (metà sec. XVI); I Ss. Cecilia e Valeriano di Lelio Orsi; Un
profeta e due angeli ascritto a Ludovico Carracci; Ritratto d’uomo con i
guanti in mano di Girolamo da Carpi (c. metà sec. XVI); Paesaggio con
corteo magico attribuito allo stesso (c. 1525); Venere e Amore sul
mare di Luca Cambiaso (1560-65); Paesaggio con figure di dame e
cavalieri del dell’Abate (1550-52); Amore in riposo del Cambiaso
(1560-65); Davide con la testa di Golia e un paggio di seguace di
Dosso Dossi; Ritratto di donna di Innocenzo da Imola (c. 1530).
SALA XI: nella volta, storie di Ganimede, pittura murale di
Vincenzo Berrettini. La strage degli innocenti (fine sec. XVI-inizi XVII) e
Salmace ed Ermafrodito (c. 1585) dello Scarsellino; Sacra famiglia del
Garofalo (prima metà sec. XVI); Vergine col Bambino ascritta allo
stesso (c. 1517); La Flagellazione di Cristo (c. 1540), Conversione di
S. Paolo (1545), Adorazione dei pastori (c. dopo 1510), Pianto sul
Cristo deposto (c. 1531) e Gesù chiama S. Pietro del Garofalo;
Adorazione dei Magi del Mazzolino (c. 1522); Madonna col Bambino e i
Ss. Pietro e Paolo del Garofalo (c. 1520); Cristo e la Samaritana al
pozzo di seguace del Garofalo (metà sec. XVI); Cristo e l’adultera del
Mazzolino (1527); Le nozze di Cana del Garofalo (c. 1520);
*Deposizione dalla croce dell’Ortolano (c. 1520); Incredulità di S.
Tommaso (1520-21) e Presepe (1506-1510) del Mazzolino; La Vergine
col Bambino, S. Michele e altri santi del Garofalo (1530-32); Cena in
casa di Simone Fariseo (1590-95) e Il bagno di Venere (ante 1585)
dello Scarsellino.
SALA XII O DELLE BACCANTI: nella volta, Baccanti, tempera di
Felice Giani. Pietà del Sodoma (c. 1540); Testa di giovane, disegno di
Domenico Beccafumi (1530-35); Sacra famiglia del Sodoma (1525-
30); Madonna col Bambino attribuita a Bartolomeo Vivarini (seconda
metà sec. XV); Cristo benedicente di Marco d’Oggiono (c. 1500);
Ritratto di donna di Giovanni Antonio Boltraffio (inizi XVI); L’Addolorata
(1543) ed Ecce Homo (1543); Madonna in atto di allattare il Bambino
del Giampietrino (metà sec. XVI); ritratto di Mercurio Bua di Lorenzo
Lotto (c. 1535); Ritratto di donna di Bernardino Licinio; ritratto di
Ludovico X duca di Baviera di bottega di Beham Barthel (1532);
ritratto di Fernando Alvarez di Toledo (seconda metà sec. XVI); Testa
femminile, disegno del Maestro della Pala Sforzesca (primo decennio
sec. XVI); Ritratto d’uomo attribuito a Giovanni Mansueti; S. Girolamo
di maestro lombardo di inizi ’500; Leda, copia da Leonardo (primo
quarto sec. XVI).
SALA XIII: nella volta, Fama, tempera di Felice Giani. Le storie di
Giuseppe ebreo del Bachiacca (1515-16); Le storie di Giuseppe:
Giacobbe apprende la notizia della presunta morte di Giuseppe
attribuito ad Antonio di Donnino del Mazziere (c. 1523); Madonna col
Bambino e i Ss. Antonio abate e Caterina di Jacopo Boatieri; Sacra
famiglia del Puligo (c. 1526); Madonna col Bambino, S. Giuseppe e S.
Giovannino del Maestro dei Paesaggi Kress (c. 1515); Madonna col
Bambino, S. Giovannino e S. Elisabetta di Alonso Berruguete (1508-
1514); Cristo benedicente attribuito a fra’ Bartolomeo (c. 1505); Sacra
famiglia con S. Giovannino di fra’ Bartolomeo e Mariotto Albertinelli
(1511); ritratto del Petrarca, rielaborazione da Francesco Bonsignore
(fine sec. XVI); Comunione di S. Caterina da Siena di Bernardino
Fungai (fine sec. XV); Cristo alla colonna di Lorenzo Costa (ante 1492);
S. Francesco di Francesco Francia (c. 1510); La Vergine col Bambino e
due angeli del Puligo (1512-15); Madonna col Bambino (c. 1510) e S.
Stefano (1475) del Francia; La Maddalena del Puligo (c. 1526);
Madonna col Bambino e S. Giovannino (1518).
SALA XIV O GALLERIA DEL LANFRANCO: nella volta, Concilio degli
dei, affresco di Giovanni Lanfranco (1624) largamente restaurato da
Domenico Corvi. CXVIII, *La capra Amaltea (c. 1615), CCXLVIII,
busto di papa Paolo V (c. 1618), CCLXV-CCLXVI, due ritratti del
cardinale Scipione Borghese (c. 1632), CCLXIX, *bozzetto per statua
equestre di Luigi XIV (1669-70), tutti di Gian Lorenzo Bernini; CCXLV,
gruppo di amazzone con barbaro e greco (160-180); CXCII, Eros
dormiente (sec. II); CVIIIC, Cervo (sec. II); CLX, Il Sonno di
Alessandro Algardi (c. 1635); CCLX, busto di fanciullo (sec. I-II). Tondi
delle Quattro stagioni di Francesco Albani (1616-17); Mosé con le
tavole della Legge di Guido Reni (inizi sec. XVII); Paesaggio con
battesimo di Cristo e predica del Battista (c. 1597) e Uccisione di S.
Pietro martire (c. 1597) di Paul Brill; Autoritratto in età matura (c.
1630-35), Autoritratto giovanile (c. 1623) e Ritratto di fanciullo (c.
1638) di Bernini; Paesaggio di G.B. Viola (1613); Concerto di Gherardo
delle Notti (1620-27); Paesaggio con scena sotto una tenda (c. 1678),
Paesaggio con pescatori (c. 1678), Paesaggio con cascata (c. 1678) e
Paesaggio con predica di S. Giovanni Battista (c. 1678) di Giovanni
Francesco Grimaldi; Concerto di Lionello Spada (c. 1615); Il figliol
prodigo del Guercino (c. 1627-28); Giuditta (c. 1612); Cristo nel
sepolcro (1616-17), Cristo morto con la Maddalena e angeli (c. 1617)
e Risurrezione di Lazzaro (1615-17) di Alessandro Turchi; Sacra
famiglia con angeli del Pomarancio (1602-1605); Cristo deposto di
Marcantonio Bassetti (1613-16); Risurrezione di Lazzaro di Pasquale
Ottino (c. 1614); Sansone porge il favo di miele del Guercino (c.
1626); S. Pietro liberato dal carcere attribuito a Pier Francesco Mola
(c. 1640-50); Paesaggio con S. Francesco della bottega del Brill (c.
1595); Sacra famiglia attribuito al Pomarancio (c. 1580); Battaglia di
Tullio Ostilio contro i Veienti del Cavalier d’Arpino (c. 1600); S.
Francesco orante di Cristoforo Allori (c. 1610).
SALA XV O DELL’AURORA: nella volta, Allegoria dell’Aurora di
Domenico Corvi. Ultima cena di Jacopo Bassano (1546-47); Diana e
Calisto (fine terzo decennio sec. XVI), I Ss. Cosma e Damiano (c. 1534)
e Adorazione del Bambino (c. 1520) di Dosso Dossi; Sacra famiglia
con S. Giovannino e angelo (poco dopo 1510); Madonna col Bambino
(c. 1525) e Gige e Candaule (c. 1515) del Dossi; Presepe (c. 1530);
Cristo con i discepoli sulla via di Emmaus (c. 1590) e Venere e Adone
dello Scarsellino; Pecora e agnello (c. 1560) e Adorazione dei pastori
del Bassano; Figura di giovane (c. 1530) e *Tobiolo e l’angelo (c.
1530) di Gerolamo Savoldo; Ritratto della famiglia del fratello di
Bernardino Licinio (post 1535).
Nel passaggio alla sala XVI, Cavaspina del sec. XVI ispirato allo
Spinario nel palazzo dei Conservatori, e Tobiolo e l’angelo di
Raffaellino da Reggio.
SALA XVI O DI FLORA: nel soffitto, motivi decorativi di G.B.
Marchetti; al centro, Flora, tela di Domenico De Angelis; camino
settecentesco con maioliche di Luigi e Giuseppe Valadier. Ritratto di
Cosimo I de’ Medici copia di Alessandro Allori da Bronzino (dopo
1560); Lucrezia di maniera di Jacopino del Conte (seconda metà sec.
XVI); Un apostolo (S. Pietro) attribuito a Marco Pino (inizi sesto
decennio sec. XVI); Risurrezione di Cristo dello stesso (1569-76);
Apostolo (S. Paolo) ascritto al Sermoneta; Flagellazione di Cristo di
Sebastiano del Piombo; Allegoria della scoperta dell’America (c. 1585)
e Allegoria del creato (1585) di Jacopo Zucchi; ritratto del cardinale
Marcello Cervini degli Spannocchi ascritto a Jacopino del Conte;
Natività di Giorgio Vasari (1546); Adorazione del bambino di Pellegrino
Tibaldi (1548); Cristo deposto con la Madonna e due angeli di Marcello
Venusti (c. 1560-70); ritratto di Vittoria Farnese del del Conte
(seconda metà sec. XVI); Cleopatra attribuita allo stesso (secondo
quarto sec. XVI).
SALA XVII O DELLA STORIA DEL CONTE DI ANGERS: nella volta, storia
di Gualtiero d’Angers, tela di Giuseppe Cades. Un ballo di Nicolas
Lancret (c. 1720); Il Colosseo (1742-45) e La basilica di Massenzio
(1742-45) attribuiti al Canaletto; Autoritratto di Gaspare Landi (1806);
Annunciazione di Corrado Giaquinto (c. 1753); Vergine col Bambino e
S. Giovanni Nepomuceno di Sebastiano Conca (poco prima del 1732);
Madonna col Bambino di Pompeo Batoni (c. 1742); ritratto di Antonio
Canova del Landi (1806); Madonna col Bambino del Sassoferrato
(metà sec. XVII); Madonna col Bambino di Carlo Dolci (metà sec. XVII);
I bevitori di David Teniers il Giovane II; Interno con flautista di Pieter
De Hooch (c. 1670); Uomo con lucerna (1645-50) e Due uomini nello
studio (1645-50) di Wolfgang Heimbach; La galleria di un antiquario di
Frans Francken il Giovane (c. 1615-20); Corpo di guardia di Pieter
Codde (c. 1635-39); Interno di osteria di Gillis Van Tilborgh (c. 1650);
due Bambocciate (c. 1640) di Michelangelo Cerquozzi; Il bagno di
Diana di Abraham van Cuylenborch (1646).
SALA XVIII O DI GIOVE E CALLIOPE: nella volta, Giove e Calliope,
tela di Bénigne Gagneraux. Gesù Crocifisso di maniera di Antonie Van
Dyck (prima metà sec. XVII); La sepoltura di Cristo attribuita a Sisto
Badalocchio (primo decennio sec. XVII); S. Giovanni Battista di Simone
Cantarini; *ritratto di Marcello Sacchetti di Pietro da Cortona (c.
1626); Susanna e i vecchioni (1605-1607) e Pianto sul Cristo morto (c.
1602) di Pieter Paul Rubens; La Visitazione di Marten Mandekens (c.
1638); *ritratto di monsignor Clemente Merlini di Andrea Sacchi
(1630-31).
SALA XIX O DI PARIDE ED ELENA: nella volta, storie di Paride, tela
di Gavin Hamilton; i quattro rilievi sopra le porte e il camino sono di
Vincenzo Pacetti. *La caccia di Diana del Domenichino (1616-17);
ritratto di Felice Zacchia Rondinini di Domenico Guidi (c. 1660);
*Sibilla cumana del Domenichino (1616-17); Giuseppe e la moglie di
Putifarre di Giovanni Lanfranco; Giovane mora con fanciullo e cane,
gruppo attribuito a Nicolas Cordier e a G.B. Della Porta; Norandino e
Lucina sorpresi dall’orco del Lanfranco (1619-25); Testa di satiro
coronata di pampini di Pietro Paolo Bonzi (prima metà sec. XVII);
Giuditta con la testa di Oloferne di Fede Galizia (1601); Testa di
giovane di Lavinia Fontana (1606); Testa di giovane ridente di
Annibale Carracci (1583-85); Battaglia di Furio Camillo di Gaspare
Celio (post 1612); busto del cardinale Domenico Gimasi di Giuliano
Finelli (c. 1639); Giove e Giunone di Antonio Carracci (c. 1612);
Susanna e i vecchioni di Gherardo delle Notti (1655); S. Girolamo di
Federico Barocci (c. 1598); Estasi di S. Caterina di Agostino Carracci
(fine sec. XVI); Sibilla di Giovanni Francesco Romanelli (1640-50);
Sacra famiglia con S. Giovannino di Simone Cantarini (c. 1642);
Zingarella, statua del Cordier ricomposta su un frammento antico.
SALA XX O DI PSICHE, già del Centauro: nella volta, favola di
Amore e Psiche, tele di Pietro Antonio Novelli; camino in marmo
bianco di Agostino Penna (1782). Al centro, statua in bronzo di
fanciullo (Geta?; fine sec. II) dalla collezione di G.B. Della Porta.
*Madonna col Bambino di Giovanni Bellini (c. 1510); Madonna col
Bambino, S. Flaviano e S. Onofrio di Lorenzo Lotto (1508); *Ritratto
d’uomo di Antonello da Messina (1474-75); *Sacra conversazione
con le Ss. Barbara e Cristina e due devoti di Palma il Vecchio (1510-
1520); Cristo giovinetto di Bartolomeo Montagna (c. 1502); Adamo
attribuito a Marco Basaiti (post 1504); *Amor Sacro e Amor
Profano di Tiziano (c. 1514); Eva attribuita al Basaiti (post 1504); *S.
Domenico di Tiziano (c. 1565); Lucrezia attribuita a Palma il Vecchio
(1525-28); *La predica del Battista del Veronese (c. 1562); Ritratto di
giovane di Palma il Vecchio (1510); Cristo flagellato di Tiziano (c.
1560); Giuditta ascritta al Pordenone (c. 1516); Venere che benda
Amore di Tiziano (c. 1565); *S. Antonio che predica ai pesci del
Veronese (c. 1580); *Ritratto femminile attribuito a Vittore Carpaccio
(1495-1500).

POSTERIORMENTE AL CASINO BORGHESE si stende il parco dei Daini,


giardino privato del principe, preceduto da piazzale Scipione Borghese
che è ornato di statue e di 13 erme forse antiche e restaurate da
Pietro Bernini (c. 1616); sulla d. è il seicentesco frontespizio del Dace,
verso sin., più lontano, il serbatoio dell’acqua (Raffaele De Vico, 1922-
25) ispirato alle forme del ’600 romano. In fondo al viale dei Daini, in
posizione speculare al frontespizio del Dace, è il Teatrino, attribuito a
Girolamo Rainaldi (1613-16).

VERSO PIAZZA DI SIENA. A sinistra del casino Borghese si diparte


viale dell’Uccelliera, sulla d. del quale si susseguono l’Uccelliera,
attribuita a Girolamo Rainaldi (1617-19), e l’edificio della Meridiana
(1688). Si volge subito a sin. nel viale dei Pupazzi che scende alla
fontana dei Cavalli Marini (Cristoforo Unterberger, 1790-91) al centro
dell’omonimo piazzale; percorrendo il tratto di d. di viale dei Cavalli
Marini si incontrano a sin. il casino dell’Orologio, adattamento (1791-
92) della preesistente casa del Giardiniere, su cui domina una torretta
quadra sormontata da un tempietto circolare a colonne, e, al termine
del viale, il tempio di Faustina (Cristoforo Unterberger e, forse, Mario
Asprucci, 1792), finto rudere di un tempio «in antis» tipico esempio di
rovinismo settecentesco.
Viale Pietro Canonica che si diparte a sin. prende nome dallo
scultore che visse ed ebbe dal 1912 lo studio e l’appartamento nella
Fortezzuola, la seicentesca casa del Gallinaro restaurata nel 1793 (le
decorazioni sono di Felice Giani) e trasformata in castello medievale
forse da Antonio Asprucci: la palazzina è sede dal 1961 del Museo
Canonica (t. 068842279; www.comune.roma.it/sovraintendenza), che
ospita, oltre a opere dello scultore (suo il monumento all’Alpino sul
piazzale antistante), quadri dell’800 e oggetti di arredamento.
L’ELEGANTE PIAZZA DI SIENA, nella quale poco oltre il viale si apre a
sin. e che prende nome dalla città d’origine dei Borghese, fu creata da
Mario e Antonio Asprucci (c. 1792) secondo i modelli degli stadi
romani, incastonata tra prati a pendio e circondata da pini a ombrello.
Sull’alto delle tribune del lato d. (la piazza è teatro di concorsi ippici) si
leva il casino con la chiesa dell’Immacolata detto erroneamente casina
di Raffaello, ristrutturazione della palazzina dell’Alboreto dei Gelsi cui
gli Asprucci (c. 1792) diedero una rigorosa ed equilibrata
configurazione neoclassica: l’interno è coperto da una volta a botte
lunettata e decorato da Felice Giani (1792-93) al pari del loggiato al
primo piano.
Al termine del retrostante viale della Casina di Raffaello è, a sin.,
il tempietto di Diana, raffinata rielaborazione di modelli classici
attribuita a Mario Asprucci (1789); sempre sulla sin. si scorge, tra gli
alberi, il monumento a Umberto I di Davide Calandra, completato da
Edoardo Rubino nel 1925.
IL GIARDINO DEL LAGO. Più avanti, una recinzione (1854) sulla d.
segna l’inizio di viale del Lago, che attraversa lo spazio a verde
realizzato entro il terzo recinto, a seguito della ristrutturazione del
1766, su progetto di Jacob Moore e Cristoforo Unterberger che
integrarono le essenze arboree esistenti con finti elementi naturali (c.
1787). Sulla destra è la fontana delle Maschere, costituita da un
bacino di marmo africano con maschere e delfini che, assieme ai
quattro tritoni ai margini dello slargo, furono eseguiti su disegno di
Giacomo Della Porta (1575) da Simone Moschino, Taddeo Landini,
Giuseppe Bartoli e Giacomo Silla Longhi per la fontana del Moro di
piazza Navona; a sin. la fontana della Famiglia dei satiri o Gaia
(Giovanni Nicolini, 1929). Sull’isoletta al centro del laghetto artificiale è
il tempio in stile ionico di Esculapio (Antonio e Mario Asprucci, 1785-
87) con l’antica statua del dio restaurata da Vincenzo Pacetti attorno
al 1785 (ninfe e bassorilievi sono del Pacetti e di Agostino Penna,
1788).
Aggirando lo specchio d’acqua a sin. si sottopassa l’Arco Romano
o di Settimio Severo (dal gruppo formato da un’antica statua
dell’imperatore tra due Parti prigionieri posto sulla sommità), che Luigi
Canina derivò dall’arco di Tito semplificandolo negli elementi decorativi
e architettonici (1826-27), pervenendo al piazzale Paolina Borghese.
Da qui un’ampia scalinata a d. scende, con voluto effetto
scenografico, a piazzale Cervantes.
IL PALAZZO DELLE BELLE ARTI, che si ha di fronte, venne edificato
(nell’area nota come Valle Giulia) nel 1908-1911 da Cesare Bazzani in
occasione dell’Esposizione internazionale. Dal 1915 è sede della
Galleria Nazionale d’Arte moderna; nel 1933-34 è stato ingrandito
nella parte posteriore; un nuovo ampliamento è stato avviato nel
2004. Una scalinata – nelle aiuole ai lati, sculture di Jacques Lipchitz
ed Ettore Colla – sale alla facciata, composta di un vasto porticato a
colonne binate e di due lunghe ali laterali, che riunisce motivi
classicheggianti, rinascimentali e liberty; i fregi scolpiti rappresentano
a d. il Corteo della Vita e del Lavoro (Adolfo Laurenti), a sin. il Corteo
della Bellezza e della Forza (Ermenegildo Luppi) e, all’interno del
pronao, L’artista e le battaglie artistiche (Giovanni Prini). Sul fronte
ovest campeggia il motto leonardesco «Cosa bella e mortal passa, e
non d’arte», speculare al quale, sul fronte est, è il motto
michelangiolesco «Questo sol m’arde e questo m’innamora».
LA *GALLERIA NAZIONALE D’ARTE MODERNA (t. 06322981;
www.gnam.arti.beniculturali.it) ospita, oltre a una biblioteca
specializzata con c. 60000 volumi e 600 collezioni di riviste, importanti
raccolte di pittura, scultura e grafica di artisti, principalmente italiani,
dei secoli XIX e XX.

LA STORIA. In quanto organismo statutario, la nascita della


Galleria risale al 1883; appartiene dunque al significativo momento
storico in cui il nuovo Stato unitario pone mano alle fondamenta
istituzionali del paese e manifesta anche per lo sviluppo di un’arte
nazionale attenzione adeguata e tempestiva. Nella sede attuale –
dopo il primo trentennio svoltosi nel palazzo delle Esposizioni – la
collezione viene sistemata seguendo un criterio di presentazione per
scuole regionali, ammettendo tuttavia anche opere di artisti stranieri
presentate in esposizioni italiane. Le opere infatti vengono acquistate
alle grandi esposizioni nazionali e alla Biennale internazionale di
Venezia, e rappresentano il meglio delle tendenze allora ammesse
all’ufficialità: molto verismo, simbolismo, decadentismo
neorinascimentale, con qualche accenno al clima delle secessioni. Si
aggiungono alcuni importanti doni o lasciti di protagonisti dell’800,
prevalentemente esponenti di scuole meridionali, come Domenico
Morelli, Filippo Palizzi, Bernardo Celentano. Dalla fine della prima alla
fine della seconda guerra mondiale il panorama delle collezioni
contemporanee accentua la fisionomia nazionale e regionale, e anche
le acquisizioni per l’800 si dirigono su quelle scuole e quegli artisti
nazionali prediletti dalla critica del momento, orientata verso
l’intimismo romantico: macchiaioli, divisionisti, Medardo Rosso.
La grande stagione della Galleria, che presto acquisirà lo status
autonomo di Soprintendenza, si apre con la direzione di Palma
Bucarelli, durata oltre 30 anni dagli anni di guerra al 1975. In stretto
collegamento di indirizzi metodologici con la scuola universitaria
romana, prima di Lionello Venturi poi di Giulio Carlo Argan, la Galleria
va acquistando prestigio internazionale grazie a una museografia di
grande respiro che si esprime con esposizioni di straordinario rilievo e
attualità (Picasso, Piet Mondrian, Jackson Pollock, per non ricordarne
che alcune), acquisti di opere di maestri internazionali del sec. XX (Piet
Mondrian, Amedeo Modigliani, Henry Moore, Jackson Pollock, per
esempio) e di artisti italiani di punta (Alberto Burri, Ettore Colla,
Giuseppe Capogrossi, Lucio Fontana, Piero Manzoni, i cinetici) e con
un riordinamento delle collezioni, negli anni ’70, che colpisce per
l’abbondanza – e, perfino, per l’apparente completezza – di
documentazione dell’arte del sec. XX. Con l’uscita di scena della
Bucarelli e, paradossalmente, con la nascita del nuovo Ministero per i
Beni Culturali, che priva la Galleria di alcuni strumenti di autonomia
per le acquisizioni equiparandola alle altre soprintendenze, inizia un
ventennio caratterizzato da un forte declino sul versante della
promozione dell’attualità, compensato tuttavia da una meritevole
politica di acquisizioni volte a recuperare le maggiori lacune nel
settore dell’800 preunitario (la pittura storica romantica e purista con
esempi di Pelagio Palagi, Joseph Anton Koch, Andrea Gastaldi, Antonio
Ciseri, Alessandro Franchi) e a ricevere tempestivamente in dono serie
di opere di maestri italiani del sec. XX (Giacomo Balla, Giorgio De
Chirico, Renato Guttuso soprattutto); senza dire delle acquisizioni di
nuovi musei: case-museo di collezionisti del XIX e XX sec. (musei Praz e
Boncompagni) e atelier di artisti del sec. XX (musei Manzù e
Andersen). Un primo segno di rinnovata attenzione al contemporaneo
veniva espresso nel 1995 con l’acquisto di un gruppo di opere degli
anni ’80 di esponenti della transavanguardia e, nei confronti della
generazione degli anni ’90, con l’iniziativa promozionale denominata
«Partito preso», che aggiorna formule di incoraggiamento a giovani
artisti in uso all’epoca della gestione Bucarelli.
Nel 1997 sono stati individuati gli spazi per una nuova sede da
dedicare alle collezioni e più in generale alla totalità delle attività
artistiche del presente. L’area scelta, presso la via Flaminia nel tratto
tra porta del Popolo e ponte Milvio (il cui asse trasverso tocca a un
estremo il nuovo Auditorium di Renzo Piano e all’altro, di là dal
Tevere, il Foro Italico), è destinata a configurare il polo culturale del
XXI secolo in continuità con quello del XX, della cosiddetta Valle o Parco
dei Musei a Valle Giulia. La Galleria nazionale d’Arte Moderna di Valle
Giulia acquisisce così lo status di «museo madre», vale a dire di
museo del XIX e del XX secolo; il nuovo sito a sua volta accoglierà dalla
sede madre di Valle Giulia le opere più innovative sotto il profilo della
ricerca e del linguaggio degli ultimi trent’anni circa del Novecento (tra
gli altri Pascali, Kounellis, Paolini, Pistoletto, Zorio, Mochetti, Cucchi,
Paladino, Clemente) e proseguirà il proprio cammino documentando la
ricerca in atto a Roma e nel mondo, in qualsiasi medium espressa e
comunicata, sia sotto il profilo istituzionale e patrimoniale, mediante
attribuzione di valore (premi, acquisti, committenza diretta), sia in
forma libera, sperimentale ed extraistituzionale.

LE OPERE DELLA GALLERIA. Le collezioni sono state oggetto di un


sostanziale riordinamento che, iniziato nel 1995, si è concluso nel
1999; sono suddivise in quattro settori corrispondenti ad altrettante
porzioni dell’edificio, due a sin. e due a d. del corpo centrale: nelle
due ali S, appartenenti alla fabbrica del 1911, sono esposte le opere
del sec. XIX; nelle due ali N, frutto dell’ampliamento del 1933, le opere
del XX.
ATRIO: la nicchia laterale d. ospita il monumento a Segantini di
Leonardo Bistolfi (1906), quella laterale sin. il monumento Idealità e
Materialismo di Giulio Monteverde (1911). Segue la SALA DELLE
CERIMONIE, riservata a eventi di breve durata, che affaccia su due CORTI
laterali dette dei Parassiti e dei Romani rispettivamente dai titoli dei
gruppi statuari di Ernesto Biondi (1899) e di Francesco Jerace (1899)
che vi campeggiano. Subito oltre è il SALONE GRANDE o grigio, riservato
alle esposizioni temporanee, al di là del quale si apre la CORTE CENTRALE,
detta dell’Ercole settante dalla statua di Émile Antoine Bourdelle
(1909) al centro.
Dall’atrio il percorso di visita inizia dirigendosi a sin. nell’ALA SUD-
OVEST dedicata al sec. XIX, dall’età napoleonica all’Unità d’Italia. Il
grande SALONE al centro offre una sintesi della cultura artistica del
periodo attraverso grandi esempi di pittura e scultura «di storia»
neoclassica e romantica provenienti in massima parte da grandi
collezioni aristocratiche (Ruffo e von Willer di Napoli, Torlonia di
Roma); l’Ercole e Lica Torlonia di Antonio Canova (gli fanno ala 12
statue di divinità compiute da allievi), di tema omerico, si ricollega,
nella linea preromantica del «sublime», a un importante dipinto di
tema shakespeariano di George Romney nello sfondo; si segnalano
anche le opere di Vincenzo Camuccini, Francesco Hayez (I vespri
siciliani), Francesco Podesti, Pelagio Palagi, Natale Carta, Alessandro
Morani, Domenico Morelli, Bernardo Celentano, Stefano Ussi, Federico
Faruffini, Tranquillo Cremona, Eleuterio Pagliano. Le tre sale a d. del
salone sono riservate alle scuole centro-settentrionali. Nella SALA DELLA
PSICHE, l’ambiente internazionale romano, neoclassico e purista è
illustrato da opere di Gaspare Landi, Vicente Lopez Y Portana, Andrea
Appiani (ritratto di Vincenzo Monti), Filippo Agricola, Vincenzo
Camuccini, Tommaso Minardi, Gaetano Koch, Pietro Tenerani,
Marianna Dionigi, G.B. Bassi, Giovanni Faure, Vincenzo Chialli, Ippolito
Caffi, Christoffer Wilherm Eckersberg, Claude-Joseph Vernet. Nella
SALA DELLA SAFFO è presentata la scuola toscana dal purismo al tardo
romanticismo e ai macchiaioli (Antonio Ciseri, Lorenzo Bartolini,
Giovanni Dupré, Hirami Powers, Stefano Ussi, Nino Costa, pittore dal
vero come gli altri esponenti della «macchia» Giuseppe Abbati,
Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Adriano Cecioni, Raffaello Sernesi,
Vincenzo Cabianca, Giovanni Boldini). La SALA DELLO JENNER annovera
esempi di scuola lombarda (Il bollettino di Villafranca di Domenico
Induno e gruppi di opere del Cremona e del Piccio) e piemontese:
Massimo D’Azeglio, Enrico Gamba, Antonio Fontanesi, Vittorio Avondo,
Giulio Monteverde, autore del celebre gruppo scultoreo dello Jenner
che inocula il vaccino sul figlio bambino. Le tre SALE a sin. del salone
sono invece riservate alla scuola napoletana: di Filippo Palizzi e
Domenico Morelli è una ricca selezione dei rispettivi atelier, oltre a
importanti gruppi di opere del Celentano, di Gioacchino Toma, Antonio
Mancini, e degli scultori Vincenzo Gemito e Alfonso Balzico. Nella
VERANDA, pannelli delle Arti realizzati come decorazione del padiglione
italiano alla Fiera universale di Parigi del 1900 da Paolo Gaidano.
L’ALA SUD-EST è dedicata all’arte di fine ’800. Particolare spicco
prende nel SALONE al centro del settore la celebrazione del
Risorgimento, tema centrale rappresentato all’Esposizione
internazionale di Roma del 1883 dagli immensi dipinti di Giovanni
Fattori (La battaglia di Custoza) e di Michele Cammarano (La battaglia
di San Martino). Molte altre opere, nella stessa sala e nelle sale minori
limitrofe, provengono dalla medesima esposizione e dalle altre
nazionali del periodo; spicca Il voto di Francesco Paolo Michetti. Anche
in questo settore l’ordinamento è ispirato per lo più a una suddivisione
per scuole. Si segnalano tra i toscani Giovanni Fattori, Telemaco
Signorini, Odoardo Borrani, Stefano Ussi, Adriano Cecioni scultore (La
madre), e i postmacchiaioli Francesco Gioli, Niccolò Cannicci, Egisto
Ferroni; i meridionali Teofilo Patini, Italo Mancini, Gaetano Esposito e
Federico Cortese; i lombardi Vincenzo Vela, Angelo Morbelli e Giovanni
Segantini; i piemontesi Lorenzo Delleani e Marco Calderini; i veneti
Alessandro Milesi, Angelo Dall’Oca Bianca e Guglielmo Ciardi. Nella
VERANDA tripartita che affaccia sul giardino verso via Aldrovandi prende
spazio la scuola romana di fine ’800-inizi ’900 con opere di: Giulio
Aristide Sartorio, Adolfo De Carolis, Henry Coleman, Nino Costa; la
serie di pannelli raffiguranti le Arti, realizzati per la decorazione del
padiglione italiano alla Fiera universale di Parigi del 1900 da Paolo
Gaidano, adorna la parte alta delle pareti. I primi decisi accenni di
modernità si colgono, accanto al gruppo degli italiani a Parigi
(Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis, Paolo Troubetzkoy e Medardo
Rosso) con i grandi esempi francesi (Gustave Courbet, Françoise-
Auguste-René Rodin, Edgar Germaine Hilaire Degas, Vincent Van
Gogh, Claude Monet), e in numero e consistenza maggiore con il
cospicuo gruppo dei dipinti divisionisti di Gaetano Previati e Giuseppe
Pellizza.
L’ALA NORD-EST, dedicata all’arte della prima metà del sec. XX, è
preceduta da un’esauriente selezione di opere internazionali
presentate alla mostra del 1911 e alle prime Biennali veneziane: la
donazione Balla a un’estremità, la donazione Guttuso all’altra. La
donazione De Chirico e la donazione Schwarz di arte internazionale di
matrice dada e surrealista, posta accanto alla documentazione del
futurismo e dell’astrattismo degli anni ’20, hanno fortemente
modificato e arricchito la fisionomia delle collezioni d’arte del ’900, fino
a poco tempo fa ricche soprattutto di documentazione italiana: vale a
dire di pittura (Carlo Carrà, Mario Sironi, Giorgio Morandi tra i
massimi) e scultura (Arturo Martini, Marino Marini, Libero Andreotti)
«Novecento», di grandi esempi della «Scuola romana» (Scipione,
Mario Mafai, Antonietta Raphael Mafai, Fausto Pirandello), di opere di
Filippo De Pisis e di «aeropittori». Conclude il settore la
documentazione su quella che fu considerata la querelle tra astrattisti
e realisti a fine anni ’40, preceduti rispettivamente dall’astrattismo
milanese degli anni ’30 e del gruppo espressionista di «Corrente».
L’ALA NORD-OVEST è dedicata al momento in cui si manifesta un
nuovo punto di partenza per la ricerca artistica: l’informale europeo e
l’espressionismo astratto americano negli anni ’50 e ’60. Dominano il
settore non solo esempi importanti di arte internazionale (Jackson
Pollock, Antoni Tápies, Jean Fautrier, Hans Hartung, Alexander Calder,
Cy Twombly), ma soprattutto forti nuclei di opere italiane, di Alberto
Burri, Giuseppe Capogrossi, Lucio Fontana, Ettore Colla, Gastone
Novelli, Toti Scialoja. Tra gli scultori, Arnaldo e Giò Pomodoro,
Umberto Mastroianni, Pietro Consagra, Lorenzo Guerrini. La donazione
Bucarelli, ricca anche di testimonianze di epoca precedente, lascia
soprattutto in questo settore un’impronta significativa sulla
documentazione dell’informale; i doni di Giorgio Franchetti, Luigi De
Conciliis, Giantomaso Liverani arricchiscono invece il momento del
post-informale (Cy Twombly, Francesco Lo Savio, Tano Festa, Mario
Schifano, Franco Angeli). L’ultimo SALONE è dedicato a esposizioni e
attività temporanee con particolare vocazione alla presentazione
periodica delle nuove acquisizioni.

AL MUSEO CIVICO DI ZOOLOGIA. Sulla destra del palazzo delle Belle


Arti parte viale del Giardino Zoologico, sul cui lato d. (N. 35) è il casino
del Graziano, l’unica delle fabbrichette rurali di Villa Borghese ad aver
mantenuto l’originario aspetto seicentesco. Più avanti a sin., un
portale disegnato da Armando Brasini e Giulio Barluzzi indica l’accesso
all’Ecoparco, progettato da Carlo Hagenbeck nel 1909-1910 e
ampliato nel 1935 su progetto di Raffaele De Vico (sue le sistemazioni
a verde, la voliera, il rettilario e il secondo portale, realizzati in forme
baroccheggianti), che occupa una superficie di c. 17 ettari. Dal
numero 18 del retrostante viale Aldrovandi si accede al Museo civico
di Zoologia (t. 0667109270; www.comune.roma.it/museozoologia),
nato come museo dell’Università romana (le prime collezioni
naturalistiche risalgono a Pio VII) e divenuto comunale nel 1932, le
cui collezioni (ricchissima quella sulla fauna della Campagna romana,
che testimonia specie anche estinte, e l’entomologica; notevoli il
settore osteologico e i materiali paleontologici) annoverano 4500000
esemplari; a carattere anche multimediale sono le Mostre «Amori
bestiali» e sulla vita degli animali negli ambienti limite.

GLI ISTITUTI DI VALLE GIULIA. Viale delle Belle Arti, asse principale
della sistemazione urbanistica progettata da Cesare Bazzani per
l’Esposizione del 1911 rifacendosi nel disegno generale con rampe,
scalinate e terrazzamenti ai coevi modelli viennesi, scende verso NO e
forma allargandosi piazza Thorwaldsen, spazio enfatizzato da
monumenti tra cui, a d., quello equestre di Simone Bolivar (Pietro
Canonica, 1934).
Sulle soprastanti via Gramsci (d.) e via Omero (sin.) si attestano
accademie e istituti di cultura esteri. Lungo la prima sono la Scuola
britannica (Edwin Landseer Lutyens, 1911-13) – unico padiglione
superstite della mostra del 1911 – e l’Istituto giapponese di Cultura
(N. 74; Isoya Yoshida, 1960) che ospita una biblioteca specializzata di
c. 21000 volumi; lungo la seconda spiccano l’Accademia del Belgio (N.
8; 1937-39), la cui biblioteca (c. 100000 volumi) riguarda il campo
umanistico, al N. 12 l’Istituto olandese (Jan Stuyt, 1933; la biblioteca
raccoglie c. 50000 volumi di archeologia, storia e storia dell’arte),
l’Istituto svedese (N. 14; Ivar Tengbom, 1938) con biblioteca
specializzata di c. 50000 volumi, e l’Accademia di Danimarca di Kay
Fischer (N. 40; 1962-65), che riunisce c. 22000 volumi umanistici.

*VILLA GIULIA. Lasciata a sinistra la classicheggiante Accademia


della Romania (Petre Antonescu, 1931-33), viale delle Belle Arti
rasenta il fianco sinistro della villa suburbana di epoca tardo
rinascimentale voluta da Papa Giulio III e fatta costruire tra il 1551 e il
1555 all’interno di un vasto possedimento. Come nelle ville
dell’antichità l’edificio residenziale era inseparabile dal giardino: un
giardino architettonicamente costruito, con terrazze collegate da
scalinate scenografiche, ninfei e fontane adorne di sculture. Al
progetto e alla realizzazione della villa parteciparono i più grandi artisti
dell’epoca: Giorgio Vasari, Jacopo Barozzi da Vignola e Bartolomeo
Ammannati. La volumetria della villa, oggi sede del Museo Nazionale
Etrusco, si sviluppa lungo un asse prospettico che dall’atrio termina
nel ninfeo: lo spazio interno si espande nel verde simulato del portico,
prosegue nella scenografia teatrale del cortile – fulcro spaziale del
complesso – e si raccoglie nel segreto del ninfeo, facendo del giardino
l’elemento coordinatore dell’insieme.
La facciata, a due piani e con un esteso avancorpo limitato da
pilastri angolari, è più animata nel partito mediano dove la robusta
bugnatura del portale, arricchita dalle colonne doriche e dalle nicchie
laterali, è sovrastata da una loggia.

INTERNO. Sull’atrio affacciano due sale affrescate: in quella a


sinistra (oggi biglietteria e bookshop), nella volta spartita da riquadri
in stucco opera di Federico Brandani da Urbino, è rappresentata la
danza di Diana con le ninfe di Taddeo Zuccari e Prospero Fontana; in
quella di destra (oggi Biblioteca), scene di danza anch’esse affrescate
dagli stessi Zuccari e Fontana. Si accede quindi al PORTICATO a emiciclo
con colonne: nella volta, dipinti «à grillage» di Pietro Venale da Imola;
sulle pareti, grottesche e personaggi mitologici che, nella
composizione e nei colori, si ispirano all’antica pittura parietale
romana. In fondo, la LOGGIA progettata da Bartolomeo Ammannati
(firma sul pilastro di destra), dalla quale due rampe scendono al
NINFEO, scenografico complesso a due livelli: in basso, a esaltare lo
spazio raccolto e segreto, è la fontana dell’Acqua Vergine, ricco
complesso attribuito all’Ammannati e ornato da erme-cariatidi e da
due statue, personificazioni dell’Arno e del Tevere. Nella SALETTA DELLO
ZODIACO, sottostante la loggia dell’Ammannati, gli affreschi attribuiti a
Taddeo Zuccari rappresentano motivi mitologici e segni zodiacali. Il
SECONDO CORTILE, rimasto incompiuto per la morte del papa, chiude il
complesso monumentale.
Nel giardino laterale destro è la ricostruzione, risalente agli inizi
del Novecento, del tempio etrusco-italico di Alatri con decorazioni fittili
ricalcate da quelle esposte nel Museo.

*MUSEO ETRUSCO DI VILLA GIULIA. Il Museo (t. 063201951 -


063226571) raccoglie le più importanti testimonianze delle civiltà
fiorite tra l’età del Ferro e l’epoca romana nel Lazio, in particolare
nella parte settentrionale della regione compresa fra il Tevere e la
Toscana.
Istituito nel 1889 da Felice Barnabei per accogliere i materiali che
si andavano scoprendo nel territorio di «Falerii» (oggi Civita
Castellana), nasce come sezione del Museo Nazionale Romano per le
antichità extraurbane della provincia di Roma, dell’Umbria e della
Sabina. Il rapido accrescimento delle collezioni (nel 1912-14 furono
acquisite la cista Ficoroni e gran parte dei materiali del vecchio Museo
Kircheriano, nel 1916 i reperti dello scavo del tempio dell’Apollo a
Veio, nel 1919 la collezione Castellani) richiese dapprima la
costruzione delle due ali (1912 e 1923) e nel dopoguerra,
abbandonato il progetto di una nuova sede all’EUR, fu avviata la
completa ristrutturazione del museo su progetto di Franco Minissi
(1955).
Nell’ordinamento dei reperti fu adottato il criterio topografico,
tuttora esistente: nell’ala nord sono esposte le antichità rinvenute a
Vulci, Bisenzio e Cervèteri; nell’Antiquarium sono sistemati gli oggetti
del Museo Kircheriano; l’emiciclo accoglie l’allestimento della
Collezione Castellani, con le celebri *oreficerie nella sala centrale dei
Sette Colli al piano nobile; l’adiacente sala di Venere o delle Stagioni
ospita i rinvenimenti da Pyrgi, l’antico porto di Cervèteri, mentre nella
terza sala affrescata, quella delle Arti e delle Scienze, è documentata
la storia del Museo; nell’ala sud si trovano i materiali dell’Agro falisco-
capenate e del Latium vetus nonché le sale dedicate a Palestrina e
all’Umbria.

I CAPOLAVORI DEL MUSEO. La visita è introdotta dai materiali


provenienti dalla città di Vulci. DALLA SALA 1 ALLA SALA 5 (nel 2008 in fase
di riallestimento) verranno esposti: il Centauro e il giovane su
Ippocampo, celebri sculture in nenfro del VI sec. a.C; corredi
villanoviani con l’eccezionale urna a capanna in bronzo che
riproduce il tipo di abitazione comune nei sec. IX-VIII a.C.; vasi biconici
con copertura a elmo; fibule in bronzo; *ceramiche greche, tra le più
antiche importate in Occidente; inoltre il corredo della Tomba dei
Bronzetti nuragici, appartenuta a una dama di rango, che ha restituito
oltre a ricchi ornamenti personali tre piccoli oggetti di bronzo che
testimoniano i precoci rapporti commerciali con la Sardegna. Sarà
inoltre ricostruita la *Tomba del Carro di bronzo, i cui materiali
documentano il passaggio dal tardo Villanoviano all’Orientalizzante
antico (c. 680 a.C.). E, ancora, nel corredo della Tomba della Sfinge
Barbuta spiccano i vasi pontici prodotti in Etruria da artigiani di
formazione greca e un kyathos (scene dionisiache) firmato da Lydos; il
corredo della *Tomba del Guerriero, della seconda metà del VI sec.
a.C., con la notevole armatura bronzea, completa di scudo, schinieri,
elmo, lance e spade, e l’anfora panatenaica. Tra i ritrovamenti
nell’area urbana, decorazioni architettoniche da edifici scavati di
recente oltre a modelli di edifici della Vulci ellenistica ed ex voto dei
sec. IV-III a.C.
DALLA SALA 5 si accederà a due ambienti sotterranei dove sarà
ricostruita la tomba Maroi di Cervèteri con il relativo corredo (575-550
a.C.) e dove sarà esposta, per la prima volta nel Museo, la Tomba
dipinta del Letto Funebre da Tarquinia, con affreschi della fine del VI
sec. a.C., raffinata testimonianza dello straordinario patrimonio
pittorico restituito da questa città.
SALE 6-10 (nel 2008 in riallestimento): le sale saranno dedicate ai
materiali provenienti da Cervèteri. Verrà esposto il famoso
*Sarcofago degli Sposi, capolavoro in terracotta con tracce di
decorazione policroma databile intorno al 520 a.C., proveniente dalla
necropoli della Banditaccia: ha forma di kline con il coperchio
costituito dal gruppo plastico raffigurante una coppia di coniugi
semisdraiati nell’atto di banchettare e rappresentati nello stile ionico
con i profili allungati e il sorriso arcaico. Verrà collocato anche il
Sarcofago dei Leoni in terracotta con coperchio displuviato decorato a
rilievo con figure di leoni accovacciati, databile al 580 a.C. circa e
proveniente da una tomba di Procoio di Ceri.
Inoltre, il *cratere corinzio (Guerrieri a cavallo e bighe) dal
tumulo della Nave (inizi VI sec. a.C.), il corredo della Camera degli
Alari (notevoli gli aryballoi protocorinzi, decorati in stile miniaturistico,
della prima metà del VII sec. a.C.; l’olpe in bucchero a rilievo con
Giasone e Medea, gli Argonauti e Dedalo, del 630 a.C., prezioso
incunabolo del mito greco in Etruria, con i personaggi riconoscibili dal
loro nome in etrusco; la famosa *hydria Ricci (530-520 a.C.) recante
sulla spalla scene di preparazione di sacrifici e sul corpo l’apoteosi di
Eracle all’Olimpo; la kylix a figure rosse (nel tondo interno, Giovane
citaredo; all’esterno, Imprese di Teseo) firmata dal pittore Skythes;
due pelikai attiche a figure rosse (Consesso di divinità attorno a
Hermes che mostra la testa di Medusa e scena di ratto) del ceramista
Hermonax; la kylix attica a figure rosse (all’interno, Leda e il cigno;
all’esterno, Eracle contro Busiride) firmata da Epitteto; *cratere attico
a figure rosse (sui fianchi, Oplita in corsa; sul collo, atleti ed Eracle in
lotta con Cicno) proveniente dalla necropoli di Cava della Pozzolana e
opera del Pittore di Berlino.
Saranno inoltre esposti reperti dall’area urbana con straordinarie
decorazioni architettoniche dipinte, oltre alla famosa *kylix di
Euphronios della fine del VI sec. a.C., con scene dell’Ilioupersis
restituita dal Paul Getty Museum di Los Angeles.
SEZIONE EPIGRAFICA (SALA 11). Illustra in modo sintetico le attuali
conoscenze sulla lingua etrusca. Nell’ANTISALA sono esposte le
riproduzioni dei più importanti testi come il liber linteus (libro di lino)
di Zagabria, il più lungo testo conservato, il cippo di Perugia e il
Sarcofago di Laris Pulenas, che illustrano i diversi tipi di iscrizioni di
carattere religioso, giuridico e funerario. Nella VETRINA spiccano i calchi
della così detta Tegola di Capua, il secondo testo etrusco per
lunghezza, oggi conservata nei Musei Statali di Berlino. Inoltre, il
piccolo vasetto di bucchero per profumi, l’aryballos Poupé,
impreziosito da una lunga iscrizione, forse amatoria, sulla spalla e
l’olla vulcente con ricca decorazione a rilievo che inquadra l’iscrizione
di dono.
Nella stessa sala sono esposte le diverse categorie di iscrizioni
etrusche illustrate da grandi pannelli didattici. Si susseguono iscrizioni
funerarie che fanno conoscere il sistema onomastico; iscrizioni di
possesso incise su manufatti diversi per affermarne la proprietà; le
iscrizioni di dono, quelle con cariche politiche o religiose e infine le
iscrizioni che rimandano al mondo mitologico e divino.
L’ANTIQUARIUM (SALE 12-17; nel 2008 in riallestimento) ospita
materiali provenienti dalle collezioni del Museo Kircheriano. Fondato
dal padre gesuita Athanasius Kircher nel 1651 il museo, che aveva
sede nello storico palazzo del Collegio Romano, rappresentava un
punto d’incontro tra gli studiosi di antichità dell’epoca. Quando la sede
venne abbandonata, parte delle collezioni archeologiche passarono al
Museo di Villa Giulia (1913). Oggi è possibile ammirare la *Cista
Ficoroni (SALA 12) databile intorno al 350-330 a.C. Si tratta di un
contenitore da toilette femminile così chiamato dal nome del
collezionista e rinvenuto a «Praeneste» (Palestrina) forse nel 1738:
reca incisi sul corpo un episodio della saga degli Argonauti, la sfida di
pugilato lanciata dal re Àmico a Polluce per consentire agli Argonauti
di servirsi della fonte e, sul coperchio, l’iscrizione latina che ricorda
l’artefice – Novios Plautios – e la committente – Dindia Macolnia – che
donò la cista alla figlia.
LA SALA 13 ospiterà una vasta rassegna di figurine maschili e
femminili in bronzo, in atteggiamento di offerente o di orante, di
sacerdoti (aruspici con il caratteristico copricapo a cono) e di divinità.
NELLA SALA 14 saranno esposti vasellame in bronzo e utensili, oggetti
questi connessi con lo svolgimento del banchetto; inoltre candelabri
sormontati da cimase a figura umana e databili al VI-V sec. a.C. legati
anch’essi allo svolgimento del banchetto, come attestano le pitture
tombali, e i tymiatheria con stelo configurato, destinati ad accogliere
sul piattello sostanze odorose da bruciare.
LA SALA 15 ospiterà gli oggetti utilizzati per la cura del corpo: gli
specchi, spesso ornati da complesse scene mitologiche e da ricche
cornici a elementi vegetali, e le ciste usate per contenere oggetti da
toeletta. E ancora, i vasi a gabbia per le sostanze da cospargere sul
corpo e gli strigili per detergersi, strumenti questi in uso nelle attività
ginniche.
NELLA SALA 16, gruppo di balsamari configurati di produzione greco-
orientale, il grande piatto con decorazioni concentriche a stambecchi e
volatili, databile intorno al 630 a.C., e il cratere a colonnette attico a
figure nere con scena di corteo dionisiaco.
Anche la celebre *Olpe Chigi tornerà a essere esposta nelle sale
dell’Antiquarium. Lo straordinario manufatto proveniente dal tumulo di
Monte Acuto a Veio, considerato l’indiscusso capolavoro della ceramica
policroma corinzia, è databile intorno al 630 a.C.; la decorazione è
disposta su tre fregi figurati sovrapposti; da notare il fregio superiore
dove due schiere di opliti con elmi e grandi scudi si affrontano.
LA SALA 18 ospiterà nuovamente la COLLEZIONE CIMA-PESCIOTTI, una
delle raccolte storiche del Museo. È composta da materiali provenienti
dai centri dell’Etruria meridionale e databili tra l’VIII e il IV-III sec. a.C.
Tra i materiali più antichi, della seconda metà dell’VIII sec. a.C., vanno
ricordati tre vasi biconici in bronzo, un incensiere di tipo vetuloniese e
una raffinata coppia di morsi equini in bronzo ornati con stilizzate
figure di cavallini; le due oinochoai del Pittore delle Rondini, artista
greco-orientale immigrato a Vulci nel 620, e l’urna cineraria a forma di
casa.
EMICICLO. NELLA SALA 19 è sistemata la *Collezione Augusto
Castellani, uno dei più importanti nuclei antiquari del Museo. Nella
collezione, composta da più di 6000 oggetti, sono rappresentate in
ordine cronologico tutte le classi della ceramica greca ed etrusco-
italica dal sec. VIII-VII a.C. sino all’età romana e importanti bronzi.
Si segnalano: i pythoi e i bracieri di impasto rosso, dalla
caratteristica decorazione impressa a rullo, provenienti da Cervèteri
(sec. VII-VI a.C.); gli alabastra importati da centri greco-orientali o
ciprioti (fine VII-VI a.C.) e l’askos a forma di uccello dal corpo globulare
di fabbricazione locale (seconda metà VII a.C.); due hydriai ceretane
(Ratto di Europa, Eracle; Cerbero ed Euristeo) del 530-520 a.C.; un
*cratere laconico decorato a grandi fiori di loto (c. 570 a.C.) e, tra i
vasi attici, l’hydria a figure nere (Eracle affronta Gerione) del Pittore di
Lydos (550-530 a.C.); un dinos frammentario di Exechias; la kylix
attica del tipo di Siana (nel fondo interno, Oplita in corsa) del 550 a.C.
circa e la kylix attica con anse a bottone (scene di congedo, nel
medaglione, Centauro) del 540-530 a.C.; due anfore (Combattimento
di Greci e amazzoni; Danza di satiri e menadi) del ceramista
Nikosthenes; un’anfora a figure nere e rosse (Dioniso, menadi) e con
anse di imitazione metallica del Pittore di Goluchow (520-510 a.C.); la
kalpis attica a figure rosse (Eracle e il leone nemeo) del pittore di
Kleophrades (c. 490 a.C.), la kalpis attica a figure rosse (Due giovani e
un leprotto) dello stesso (c. 480 a.C.); la kylix attica a figure rosse
(nel medaglione, Dioniso; all’esterno, Giovani e flautiste danzanti) del
ceramista Hieron (firma nell’interno di un’ansa) e del pittore Makron
(c. 480 a.C.); la pelike attica a figure rosse (Dioniso, satiri e menadi)
firmata dal ceramografo Hermonax (c. 470-460 a.C.); pregevoli
esemplari di fabbriche etrusco-falische e dell’Italia meridionale
(notevole la *situla pestana con Guerriero con elmo ad alto cimiero e
grandi piume, fine sec. IV a.C.); esemplari di ceramica di Gnathia e di
fabbriche tardo-ellenistiche e romane.
Si segnala infine la vasta rassegna di bronzi con oltre mille
oggetti tra i quali si fanno notare recipienti funzionali al banchetto,
materiali di ornamento personale o legati alla toeletta femminile come
nel caso delle raffinate ciste «prenestine».
Infine il corredo della Tomba Castellani (VII sec. a.C.), tra i più
celebri dell’orientalizzante tirrenico, i cui oggetti vennero in parte
smembrati, dopo la scoperta nel 1861, fra il British Museum e i Musei
Capitolini.
LA SALA 20, detta dei Sette Colli, è dedicata agli *Ori Castellani.
Questa straordinaria collezione, una delle più ricche al mondo, è
composta da oreficerie antiche (sec. VIII a.C.-II d.C.) e moderne,
creazioni queste che testimoniano la lunga attività dei Castellani,
famiglia di celebri orafi e antiquari della seconda metà dell’800.
Nell’esposizione degli ori ‘moderni’, è stato conservato l’originario
ordinamento presente nella bottega Castellani a Fontana di Trevi: si
susseguono così i gioielli dei periodi «primigeno», «tirreno»,
«etrusco», «siculo», «romano», «medioevale», «rinascenza» e
«moderno», ciascuno dei quali documentato da raffinatissimi oggetti.
SALA 21. Ospita i materiali provenienti dal Santuario di Pyrgi, uno
dei porti dell’antica Caere: si segnala il magnifico *altorilievo
frontonale, databile intorno al 460 a.C, che decorava il lato
posteriore del tempio A dedicato a Leucotea-Ilizia e che narra episodi
tra i più drammatici del mito greco dei Sette a Tebe, quello del duello
mortale tra Tideo e Melanippo cui assiste Athena che, inorridita dalla
sacrilega azione di Tideo, si ritrae negando all’eroe suo protetto
l’immortalità; a questo primo episodio se ne affianca un secondo che
vede Zeus scagliarsi contro Capaneo. Sempre proveniente dal tempio
A del Santuario, la magnifica *testa femminile in terracotta, forse di
Thesan-Leucotea (340-330 a.C.), mentre provenienti dal più antico
tempio B sono i materiali architettonici e le antefisse di tipo ceretano.
Nell’annessa SALETTA 22: *lamine d’oro di Pyrgi con dedica
bilingue (etrusco e fenicio) di Thefarie Velianas alla dea Uni (la fenicia
Astarte), che costituiscono un’importante fonte epigrafica per la storia
dell’Italia preromana. Oltre alle lamine va segnalato il gruzzolo di
monete siracusane.
LA SALA 23, dedicata alla storia del Museo, ospita in un allestimento
provvisorio il gruppo scultoreo di *Apollo ed Eracle, recentemente
restaurato e in attesa di essere sistemato nell’ala sud del Museo, negli
spazi espositivi dedicati alle antichità veienti. Risalenti alla fine del VI
secolo a.C., le due splendide statue in terracotta policroma ornavano
la sommità del tetto del tempio tuscanico di Portonaccio a Veio
insieme ad altre sculture, forse dodici, tutte a grandezza naturale o di
poco superiore al vero, conservate perlopiù in frammenti. Apollo ed
Ercole raffigurano una delle fatiche compiute dall’eroe prima della sua
apoteosi tra gli dei dell’Olimpo. Nella scena, il dio e l’eroe si
fronteggiano per il possesso della cerva dalle corna d’oro, sacra ad
Artemide, che giace rovesciata e con le zampe legate sotto la spinta
del piede di Eracle che nella contesa risulterà vincitore.
NELLA SALA 24 un plastico riproduce la situazione topografica della
zona, mentre nella SALA 25 un secondo plastico documenta l’aspetto
cinquecentesco della Villa insieme a rari disegni raffiguranti il
prospetto, la pianta e la sezione.
SALE 26-31: necropoli dei territori capenate e falisco. La sezione è
introdotta da un inquadramento del territorio dal punto di vista sia
geografico che storico. A Capena e i ‘centri minori’ dell’agro è dedicata
LA SALA 26: grandi pannelli esplicativi si accompagnano ai corredi delle
tombe, che annoverano sia ceramiche sia bronzi databili tra la metà
del sec. VIII a.C. e il II sec. a.C.; il pezzo più famoso è il *piatto
dell’Elefante in stile di Gnathia (secondo quarto del III sec. a.C.)
dalla tomba 233 della necropoli delle Macchie a Capena, mentre tra i
bronzi spicca il disco-corazza (seconda metà del VII sec. a.C.) con le
coeve placche di cinturone decorate a traforo.
SALA 27: Narce. Le fortune dell’abitato sono raccontate da bronzi:
si noti il corredo della Tomba 4 della necropoli della Petrina (730-720
a.C.) che accoglieva i resti cremati di un ricco cavaliere accompagnati
da una spada da parata ed elementi della bardatura equina; la
ricostruzione del *carro dalla necropoli di Contrada Morgi (VII sec.
a.C.) e i grandi *scudi in bronzo (VII-VI sec. a.C.); ceramiche (come
gli holmoi d’impasto spesso sorreggenti vasi con protomi di grifo dalla
necropoli di Pizzo Piede, primo quarto del VII sec. a.C.) e gioielli
(tomba degli Ori, VII sec. a.C.).
SALE 28-29: Falerii. Nella classe dei bronzi spicca l’*urna a
capanna in lamina di bronzo dalla necropoli di Montarano (metà VII
sec. a.C.), mentre nella ceramica si segnalano splendidi esemplari:
grande *kylix attica a figure nere (nel medaglione, Dioniso che
suona la lira disteso su una «kline»; all’esterno Dioniso e menadi) del
540-530 a.C. circa; stamnos attico a figure rosse (Eracle tra i centauri
attinge vino da un pithos) del Pittore di Argos (primo venticinquennio
sec. V a.C.); *rython attico a figure rosse a forma di testa di cane (sul
collo scene di banchetto) del Pittore di Brygos (c. 490 a.C.); rython
attico a figure rosse a forma di astragalo (leone, erote volante e nike
ad ali spiegate) firmato dal ceramista Syriskos (c. 470 a. C.); kylix
attica a figure rosse con satiri e menadi attribuita a Makron; cratere
attico a figure rosse (satiro e menadi danzanti e satiro con otre) del
Pittore di Boreas; psykter attico a figure rosse (Lotta dei Lapiti contro i
centauri) attribuito a Onesimos. *Cratere con Aurora e Cefalo su
quadriga preceduti da giovane alato e con Peleo che rapisce Teti fra
ancelle in fuga; sul collo, cervo e tori assaliti da grifi opera del Pittore
dell’Aurora (da «Falerii Veteres»; 360-350 a.C.); dello stesso pittore,
stamnos falisco a figure rosse con scena di toeletta su un lato e
sull’altro menade e giovane.
NELLA SALA 30 sono esposte le ricostruzioni dei Santuari di Falerii
Veteres. Da essi proviene una ricca documentazione della decorazione
templare etrusca tra il sec. VI e il I a.C. Tra i *frammenti
architettonici del tempio di Mercurio ai Sassi Caduti, i due guerrieri
in duello (acroterio sulla trave di colmo del tetto, 480 a.C.) risentono
della decorazione del tempio di Athena Aphaia sull’isola di Egina
(Grecia), mentre le antefisse con menadi e satiri presentano confronti
con il mondo attico.
Del tempio di Apollo allo Scasato (fine IV-inizi III sec. a.C.) viene
ricostruito il rampante destro del frontone, ornato da alte sime che
sono completate da cornici traforate e da lastre con palmette entro un
nastro a spirale; a destra di questo sono frammenti delle sculture a
grandezza naturale che ornavano le testate del columen, di cui fa
parte la splendida figura di *Apollo, con evidenti gli influssi della
scultura greca del IV sec. a.C. (Lisippo).
Ad un Secondo tempio allo Scasato (SALA 31), più antico (inizi sec.
V a.C.), appartengono i frammenti in terracotta di lastre frontali
raffiguranti Minerva, Giove e Giunone con richiami all’arte attica della
seconda metà del sec. V a.C.
Dal Santuario di Vignale provengono i frammenti architettonici
che, per differenza di stile, si riferiscono a due momenti cronologici
diversi: il primo nucleo è degli inizi del V sec. a.C. e risente della coeva
produzione etrusca di Veio; il secondo risale ai primi decenni del IV
sec. a.C., periodo in cui il mondo falisco è assai ricettivo delle
esperienze attiche. Infine, frammenti della decorazione del Santuario
di Giunone Curite a Celle, risalente al 350 a.C. circa: capolavoro della
coroplastica falisca del tempo è la *statua femminile quasi a
grandezza naturale, dal manto riccamente drappeggiato e istoriato,
che riprende nello schema iconografico l’Afrodite di Alkamenes.
SALE 32-33. Materiale etrusco o etrusco-italico da centri attorno a
Roma. Antefissa con testa femminile da «Lanuvium» (Lanuvio; inizi V
sec. a.C.); modello di un tempio in terracotta, da Velletri; tomba con
sarcofago ricavato da un tronco d’albero (da «Gabii»; VIII sec. a.C.);
corredo della tomba delle Ambre da «Satricum» (sala 33).
SALA 34: corredi dalle *tombe Barberini e Bernardini, i più
ricchi complessi sepolcrali di età orientalizzante rinvenuti in Italia
(Palestrina). Tali sepolture del tipo a fossa, rivestite e coperte di lastre
di pietra, hanno restituito materiali di altissima qualità, prodotti
intorno alla metà del VII sec. a.C., nei quali confluiscono le esperienze
figurative egizia, assira e greco-orientale. Fra le oreficerie, due
*affibbiagli rettangolari (teste di felini, chimere e sfingi ottenute a
stampo e ornate con la famosa tecnica della granulazione), patera in
argento (al centro, Faraone che colpisce i nemici inginocchiati), lebete
di argento dorato (sull’orlo, protomi di serpente; sul corpo, cavalieri,
opliti, contadini al lavoro e mandrie assalite da leoni); fra gli avori,
calici su alto piede con cariatidi, gruppo di un leone che tiene sul
dorso una figura umana, manici di ventagli a forma di avambracci; fra
i bronzi, due lebeti su sostegno in lamina di bronzo, un trono
anch’esso in lamina di bronzo formato da una cassa cilindrica ad alta
spalliera ricurva e decorato con figurine umane, animali e motivi
geometrici. Inoltre, ampia raccolta di specchi bronzei e di ciste
prenestine (IV-II sec. a.C.).
SALA 35: centri umbri. Da Todi provengono l’elmo in bronzo con
ageminature in argento, oreficerie del IV sec. a.C., kylikes attiche a
figure rosse datate tra il 510 e il 390 a.C., un cratere attico a figure
rosse (scena di simposio; coppia di efebi) del Pittore di Firenze (460
a.C.); da Terni e territorio, bronzi e ceramiche dal IX al IV sec. a.C.

VIA DI VILLA GIULIA. Sul lato N del piazzale di Villa Giulia affaccia
il prospetto a bugne (1686) dell’Arco Oscuro, che fu murato al
momento dell’apertura di viale Bruno Buozzi (v. oltre). Sull’altro lato
del piazzale si stacca l’omonima strada, la «Via Julia Nova» (1551) che
collegava la Villa Giulia con il Tevere attraverso un percorso pergolato.
VILLA PONIATOWSKI. Agli inizi dell’800 Stanislao Poniatowski,
nipote dell’ultimo re di Polonia, incaricò Giuseppe Valadier di
trasformare in villa la costruzione cinquecentesca situata vicino a Villa
Giulia in via dell’Arco Oscuro.Raffigurata nelle incisioni del Venturini
(1683) e del Vasi (1757), la costruzione è menzionata già nel 1581 dal
Montaigne come Villa Cesi. Dopo l’intervento del Valadier la villa si
presentava affacciata con il suo ingresso principale su via Flaminia,
innalzandosi su una terrazza cui si accedeva tramite una cordonata,
tuttora esistente, affiancata da vasche e fontane alimentate da un
braccio dell’Acquedotto Vergine. L’ampio giardino, formato da terrazze
a gradoni e ornato da sculture antiche, era chiuso in alto, verso il
monte, da un pergolato detto «loggia delle delizie». Di particolare
raffinatezza è la decorazione degli ambienti di rappresentanza della
villa che i restauri hanno restituito all’originario aspetto, come quelle
della sala dell’Ercole Farnese al pianterreno o della sala delle Colonne
doriche al primo piano.
Diverse vicende hanno modificato nel tempo la villa e il giardino;
danneggiato durante gli scontri tra Garibaldi e i Francesi al tempo
della Repubblica Romana (1849), il complesso fu trasformato negli
anni dopo l’unità d’Italia dal nuovo proprietario Riganti che edificò una
conceria su due piani nell’area del giardino.
Villa Poniatowski è stata acquistata dallo Stato nel 1989 al
termine di un lungo iter di esproprio per accogliere l’ampliamento del
vicino Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e realizzare così il «Polo
museale etrusco» di Roma. Da qualche anno il complesso è oggetto di
sistematici interventi di restauro architettonico e di lavori per
l’adeguamento degli spazi in funzione museale. I nuovi allestimenti
prevedono l’esposizione delle antichità provenienti dal Latium vetus e
dall’Umbria, ora al Museo di Villa Giulia, oltre a un’ampia area
destinata a esposizioni temporanee. Attualmente (2008) sono in fase
di completamento i lavori di restauro del settore delle concerie Riganti.

S. EUGENIO. Viale delle Belle Arti, che scende verso la Via


Flaminia, incontra sulla sin. la basilica (Enrico Pietro Galeazzi e Mario
Redini) iniziata nel 1943 per celebrare il 25° anniversario della
consacrazione episcopale di Pio XII e ultimata nel 1950. La vasta
facciata in travertino presenta ornamenti scultorei di Alessandro
Monteleone (evangelisti) e Francesco Nagni.

L’INTERNO a tre navate appare come un’aula unica. Lungo le


navate e nella crociera, Via Crucis in bronzo di Attilio Torresini
(stazioni 1-4), Alfredo Biagini (5-7), Antonio Berti (8-10), Giacomo
Manzù (11-14). 1ª cappella d.: S. Francesca Saverio Cabrini e un
angelo, bronzo di Pericle Fazzini. 2ª: S. Francesco, bronzo di
Domenico Rambelli. 3ª: S. Agnese e sue storie di Venanzio Crocetti.
Transetto destro: Ultima cena, mosaico di Bruno Saetti; una porta dà
accesso all’ampio CHIOSTRO e al BATTISTERO (al fonte battesimale,
gruppo bronzeo di Giovanni Prini). Cappella maggiore: statua di S.
Eugenio e paliotto (Deposizione) di Attilio Selva; nel catino e nel
sottarco, Trionfo della Croce e simboli della Passione di Ferruccio
Ferrazzi. Cappella a sin. della maggiore: storie di S. Giuseppe di
Gisberto Ceracchini. 3ª cappella sin.: statua di S. Filippo Neri e
candelieri in bronzo di Francesco Messina. 2ª: S. Caterina in estasi,
rilievo di Enrico Castelli; affreschi di Giorgio Quaroni. 1ª: statua di S.
Nicolao da Flue di Corrado Vigni.

I PARIOLI. Sul lato opposto del viale si diparte l’ampio viale Buozzi
che, aperto attorno al 1938, costeggia questo quartiere, una delle
aree predilette dall’alta borghesia romana.

I ‘MONUMENTI’ DEL QUARTIERE. Domina a sin. la villa La Nuova


Officina (Cesare Bazzani, 1928), con ingresso al N. 3 di largo dei Monti
Parioli (lo si raggiunge prendendo a sin. l’omonima via); da questo
scende via Jacovacci che conduce alla casa del Curato, edificio
cinquecentesco (la torretta è anteriore) appartenuto ai Colonna (1567)
e ai Balestra (1900): sulla facciata, decorata da graffiti a chiaroscuro
(c. 1525) imitanti bugne a punta di diamante, si aprono un portichetto
angolare e una loggia. Dalla stessa via dei Monti Parioli, lungo la quale
si incontrano un villino di Luigi Piccinato, Silvio Radiconcini e Bruno
Zevi (N. 15; 1948) e la casa del Maresciallo o casale Gomez (N. 21;
Federico Gorio, 1957-58), voltando a sin. in via Ammannati si
raggiunge villa Balestra, già parte della cinquecentesca villa Poggio e
dal 1928 giardino pubblico. Al numero 21 di via di S. Valentino (al
termine di via dei Monti Parioli) è la palazzina Colombo di Mario Ridolfi
e Volfango Frankl (1936).
Si riprende viale Buozzi: al N. 113 è l’Istituto austriaco di Cultura
(Karl Holey, 1937-38), che accoglie una biblioteca con 72000 volumi di
argomento umanistico; al N. 98 la palazzina Giammaruti (Pietro
Lombardi, 1958). Si sbocca in piazza Don Minzoni: a d., all’inizio di via
Mangili, quattro villini (numeri 29-33) progettati da Giulio Gra (1929)
in modo unitario con elementi formali tratti dal repertorio classico e
seicentesco; li fronteggia (N. 38) il coevo villino Valiani di Giovanni
Michelucci. Il tratto conclusivo di viale Buozzi presenta un interessante
campionario di palazzine costruite nel 1940-60: notare al N. 64 Il
Girasole (Luigi Moretti, 1950).
Al numero 13 di via Bertoloni (da piazza Pitagora a sin.),
nell’ambito del casale Riganti o villino S. Ermete, è l’accesso alle
catacombe di S. Ermete (visita a richiesta della Pontificia Commissione
di Archeologia Sacra), dove, in un’absidiola di un piccolo oratorio, un
affresco (fine VIII-inizi sec. IX) conserva la più antica immagine a noi
nota di S. Benedetto.
Da piazza Pitagora l’itinerario prosegue per via Stoppani. Su
piazza Ungheria (da viale dei Parioli a d.) affaccia la chiesa
parrocchiale di S. Roberto Bellarmino (Clemente Busiri Vici, 1931-33),
uno dei primi tentativi di semplificare nelle linee, nei volumi, nella
decorazione e nell’uso dei materiali l’architettura religiosa romana (gli
elementi compositivi sono di matrice geometrica e si basano
sull’ottagono, legato al simbolismo teologico); i mosaici dell’interno
sono di Renato Tomassi. Sulla sinistra della chiesa ha inizio viale
Romania che, dopo via Slataper, costeggia a sin. il Comando della
regione militare centrale, tipica architettura di regime (Vittorio Cafiero,
1935). Dalla successiva piazza Bligny si tiene a sin. in via di Villa S.
Filippo e poi a d. in via Duse, che conduce a piazza delle Muse,
inaspettato belvedere sulla piana del Tevere: a d. gli impianti sportivi
dell’Acqua Acetosa (Annibale Vitellozzi, 1956-60) sorti in occasione
delle Olimpiadi.
All’estremità sin. della piazza scende via Porro che si lascia subito
per seguire a d. via Vajna e via di Vigna Filonardi, voltando poi a d. in
via Caroncini; al termine si continua a sin. in via Fauro, dove al N. 62
è la palazzina Isabelli (Mario Marchi, 1938-39). Per la fronteggiante
via Boccioni si raggiunge viale dei Parioli (c. 1888), uno degli assi
formativi del quartiere, che a d. scende curvilineo al piazzale del Parco
della Rimembranza; a d. è l’accesso al parco di Villa Glori, legata
alla memoria dei fratelli Cairoli: l’area, espropriata nel 1887 e
sistemata in parte come parco della Rimembranza nel 1915, deve
l’aspetto attuale a Raffaele De Vico (1923-24).
All’uscita dal parco, tenendo a sin., si scende alla fontana
dell’Acqua Acetosa, eretta da Pio V nel 1616 e rifatta da Alessandro
VII nel 1662 (iscrizioni e lapidi); l’idea di un ninfeo costituito da
un’esedra tripartita sormontata da un timpano concavo, generalmente
attribuita a Gian Lorenzo Bernini, si deve in realtà ad Andrea Sacchi e
a Marcantonio De Rossi. Tenendo invece a d., per via del Sacro Cuore
di Maria si sbocca in piazza Euclide, centro monumentale dei Parioli
grazie all’articolatissima facciata della chiesa del Sacro Cuore
Immacolato di Maria, progettata da Armando Brasini nel 1923 ma
eretta senza la prevista gigantesca cupola nel 1951-52; l’interno, a
croce greca inscritta in un cerchio, ripropone nel movimento delle
superfici di facciata e nell’apparato decorativo temi del repertorio
barocco con retorica monumentalità (nel battistero, nove grandi tele
di Gregorio Sciltian, esemplari espressioni del suo realismo magico).

VIA FLAMINIA. Viale delle Belle Arti sbocca in viale Tiziano, che
una stretta aiuola separa dal tratto urbano della statale 3: tale spazio
verde è ciò che resta della passeggiata Flaminia, progettata nel 1866-
78 e il cui tratto terminale fu realizzato da Raffaele De Vico nel 1929-
39.

IL TRATTO DI FLAMINIA VERSO PORTA DEL POPOLO costeggia a sin. la


palazzina di Pio IV, eretta attorno alla monumentale fontana
dell’Acqua Vergine (ascritta a Bartolomeo Ammannati, 1552-53;
impianto idraulico del Vignola) che, posta in angolo con la successiva
via di Villa Giulia →, ne costituisce il basamento; Pirro Ligorio, cui è
attribuito il disegno dell’edificio (1561), creò un prospetto simmetrico
rispetto alla loggia adattandolo al portico – riferito a Jacopo Sansovino
(c. 1525) – e alla fontana, che venne sopraelevata. Seguono al N. 160
la Cassa nazionale del Notariato (Arnaldo Foschini, 1930-33), che
riecheggia in facciata la partitura della vicina palazzina di Pio IV
(sull’angolo sin. è la fontana delle Conche, ideata nel 1934 nel luogo
di un abbeveratoio cinquecentesco), e al N. 122 lo studio Fortuny
(Giuseppe Valadier, 1801-1810) già stalla di villa Poniatowski →,
edificio, originariamente a un piano, che fu alzato e trasformato in
studio dal pittore e incisore Mariano Fortuny y Carbó. Al numero 118 è
la villa o casina Vagnuzzi, originaria di metà ’500 e risistemata da
Valadier che aggiunse sul lato S una loggia al primo piano e
sopraelevò il corpo centrale; venduta nel 1822 a Luigi Vagnuzzi, deve
l’aspetto attuale a Luigi Canina (c. 1840). La semplice e armoniosa
costruzione, a due piani ripartiti da lesene doriche e ioniche e con ai
lati due loggette sormontate da terrazzine, conserva nel portico a sin.
affreschi attribuiti a Baldassarre Peruzzi (quelli sulla volta furono rifatti
nel ’700 e ritoccati nell’800; le lunette conservano i brani originali).
Subito oltre la Via Flaminia si apre a d. in piazza della Marina
dove si dispone il gigantesco palazzo neobarocco del Ministero della
Marina, progettato da Giulio Magni nel 1912 e compiuto nel 1928 (ai
lati dell’ingresso sul retrostante lungotevere delle Navi, colossali
ancore delle corazzate austriache «Tegetthoff» e «Viribus Unitis»).
Costeggiando il fianco sin. del palazzo e prendendo a sin. via Pisanelli
s’incontra, in angolo con via Mancini, il villino Andersen sede
dell’omonimo museo (v. sotto), progettato in stile neorinascimentale
da Hendrick Christian Andersen (c. 1925) e da lui affrescato nel piano
nobile: al piano terra, lo studio dell’artista accoglie i disegni relativi al
suo progetto di città ideale.

MUSEO HENDRIK CHRISTIAN ANDERSEN. Museo satellite della


Soprintendenza speciale per l’Arte Contemporanea (t. 06319089-
06322981, www.gnam.arti.beniculturali.it), conserva le opere dello
scultore e pittore norvegese vissuto a Roma dal 1896 fino alla morte
(1940). L’artista ha lasciato allo Stato italiano il suo studio-abitazione
di via Mancini e quanto in esso contenuto: opere, carte d’archivio,
materiale fotografico, una biblioteca. In particolare, la collezione delle
opere (oltre 200 sculture, di cui circa 40 di grandi dimensioni in gesso
e in bronzo; oltre 200 dipinti; oltre 350 opere grafiche) si segnala per
la sua eccezionalità, essendo quasi interamente incentrata attorno
all’idea utopica di una grande «Città mondiale», destinata a essere la
sede internazionale di un perenne laboratorio di idee nel campo delle
arti, delle scienze, del pensiero filosofico e religioso. L’edificio fu
realizzato tra il 1922 e il 1925 su disegno dello stesso artista nella
tipologia della palazzina con annesso studio di scultura, in stile neo-
quattrocentesco con stucchi e sculture a tutto tondo e decorazioni
pittoriche di gusto floreale.

*S. ANDREA. Si percorre in direzione N viale Tiziano incontrando a


sin., oltre via Chiaradia (al N. 2 è il complesso ICP Flaminio I di
Quadrio Pirani, 1903-1905), la chiesa cinquecentesca voluta da Giulio
III a ricordo della sua fuga dalla prigionia durante il sacco di Roma ed
eretta nel 1552-53 su progetto del Vignola, che contrappose
l’osservanza grammaticale alla libertà sintattica usando non
rigorosamente gli ordini architettonici; venne restaurata da Giuseppe
Valadier nel 1805, nel 1826 e nel 1828 (fu allora realizzata la
sagrestia), mentre nel 1852 venne aggiunto il campanile a vela. La
facciata in peperino, con portale a timpano e nicchie-finestre ai lati, è
tripartita da lesene corinzie lievemente aggettanti che sostengono un
frontone triangolare. Nell’interno, una semplice aula rettangolare con
piccolo sacello per altare, il disegno del pavimento (restauro 1954) dà
unità al parallelepipedo di base sul quale poggia la cupola ovale,
elemento nuovo e caratterizzante l’architettura vignolesca; gli affreschi
sono del Sermoneta e di Pellegrino Tibaldi.

LO STADIO FLAMINIO, che si vede dal successivo piazzale Ankara, è


una struttura in cemento armato, eretta da Pier Luigi e Antonio Nervi
nel 1957-59 sull’area dello Stadio Nazionale del 1911, costituita da
telai sostenenti nervature su cui poggiano le gradinate, capaci di
55000 spettatori.

VIALE MARESCIALLO PILSUDSKI converge da NE sul piazzale; dietro


una cancellata in corrispondenza del N. 2 sono la basilica di S.
Valentino, eretta da Giulio I e trasformata all’epoca di Onorio I, e,
accanto, le piccole catacombe di S. Valentino (visita a richiesta alla
Pontificia Commissione di Archeologia Sacra): del complesso
sepolcrale, distrutto in parte nel 1986 dallo smottamento della
soprastante collina, restano nel vestibolo pitture, in parte lacunose,
del sec. VII, mentre molte delle iscrizioni affisse alle pareti vengono
dalla contigua area funeraria (sec. IV-VI). Avanti, il viale costeggia a
sin. l’area in cui sorge l’Auditorium., progettato da Renzo Piano e
completato a fine 2002. Il complesso, il più grande del genere in
Europa, si propone come punto di riferimento per tutto il mondo delle
armonie musicali. Le tre sale che lo compongono hanno la forma di
grandi liuti di legno lamellare e una disposizione ortogonale, ognuna
progettata per essere la cassa acustica più idonea per il genere di
musica che vi verrà interpretata. La sala grande ha una capienza di
2700 spettatori ed è vocata particolarmente per la musica sinfonica
per grande orchestra e coro. La trasformabilità delle tre casse
armoniche e degli spazi esterni, compreso il foyer che può ospitare la
musica da strada, permette di rappresentare qualsiasi tipo di musica,
la sinfonica e la lirica come il jazz o il rock, il massimo di classicità e di
sperimentazione.

VIALE DEL VIGNOLA, che si diparte verso NO da piazzale Manila –


contermine a piazzale Ankara – è uno degli assi del tridente previsto
dal piano regolatore del 1909; esso costeggia a sin., oltre via Stern, il
complesso ICP Flaminio II (Mario De Renzi, Alessandro Limongelli e
Giuseppe Wittinch, 1925-27) incentrato su piazza Perin Del Vaga: il
complesso è risolto in maniera unitaria con un sistema di spazi
pubblici e privati integrati che testimoniano il superamento dell’edilizia
a blocco, mentre le facciate sono un tipico esempio di barocchetto
romano. Al fondo del viale è piazza Gentile da Fabriano, vertice del
summenzionato tridente.

PIAZZA APOLLODORO. Viale Tiziano raggiunge piazza Apollodoro: a


d. è il *palazzetto dello Sport (Pier Luigi Nervi e Annibale Vitellozzi,
1956-58), capace di 5000 posti e la cui calotta sferica (luce m 68.5) è
costituita da elementi prefabbricati in cemento armato sorretti da
pilastri a forcella. Sulla piazza converge da sin. via Reni dove è la
chiesa di S. Croce al Flaminio (1913-23), eretta in stile «romano
basilicale» da Pio X per celebrare il 16° centenario dell’editto di
Costantino; la facciata con coronamento a guscio, ripresa da S.
Lorenzo fuori le Mura, è impreziosita dal mosaico di Biagio Biagetti.
MAXXI - MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO. La nuova
istituzione (via Reni 10, t. 063210181;
www.maxxi.darc.beniculturali.it) si inserisce in un contesto dove si
concentrano importanti iniziative tra cui l’Auditorium →, la nuova sede
dell’Agenzia Spaziale Italiana progettata da Massimiliano Fuksas e i
padiglioni militari dell’ex caserma Montello. Il complesso presenta le
forme innovative e spettacolari ideate da Zaha Hadid. Il MAXXI si
propone come centro di documentazione e di valorizzazione dell’arte
del XXI secolo. Le collezioni d’arte annoverano per ora opere chiave del
tardo XX secolo accanto a lavori di giovani artisti italiani e stranieri;
quelle architettoniche constano degli archivi storici di Scarpa, Rossi,
Del Debbio, Musmeci e De Feo; fotografie di importanti autori sul
tema del paesaggio; disegni, bozzetti, progetti. Attualmente attivo con
mostre temporanee, ne è prevista l’inaugurazione nel 2009.
IL VILLAGGIO OLIMPICO. Si continua ancora per viale Tiziano dal
quale, in corrispondenza di largo Jacometti, si diparte a d. viale XVII
Olimpiade, asse centrale del complesso sportivo (Vittorio Cafiero,
Adalberto Libera, Luigi Moretti, Vincenzo Monaco e Amedeo
Luccichenti, 1958-59); ideato per alloggiare gli atleti dei Giochi del
1960 e poi adibito dall’INCIS a residenza privata, è una delle migliori
realizzazioni di edilizia pubblica a Roma (la chiesa di S. Valentino, di
Francesco Berarducci, è del 1987). A metà c. del suo tracciato il viale
sottopassa corso di Francia (Vittorio Cafiero, Adalberto Libera, Luigi
Moretti, Vincenzo Monaco, Amedeo Luccichenti, Antonio e Pier Luigi
Nervi, 1958-60), che convoglia il traffico proveniente dai quartieri N
verso i Parioli e la Flaminia.
L’EDICOLA E L’ORATORIO DI S. ANDREA, su piazzale Cardinal Consalvi
al termine di viale Tiziano, furono eretti per volere di Pio II sul luogo
del suo incontro con il cardinale Bessarione che recava la reliquia del
santo (la statua nell’edicola è di Paolo Taccone) e concessi nel 1566 a
S. Filippo Neri e all’arciconfraternita della Trinità dei Pellegrini (si
riedificò l’oratorio, a pianta trapezoidale e coperto da una volta a botte
e da una crociera nella zona presbiteriale); restauri vennero effettuati
da Giuseppe Valadier nel 1805, mentre l’edicola fu rifatta nel 1869.

PIAZZALE DI PONTE MILVIO, che si apre oltre il Tevere qui


scavalcato da ponte Milvio →, doveva essere sistemato da Giuseppe
Valadier nel 1809 come ingresso a Roma e alla villa Napoleone da
realizzare al Flaminio: il progetto, approvato e mai compiuto,
prevedeva una piazza a fuso, limitata da esedre arboree in più filari e
centrata su una colonna trionfale; l’unica costruzione realizzata è
l’edificio al N. 34, oggi ristorante. Chiude la piazza la chiesa della Gran
Madre di Dio, progettata da Cesare Bazzani a ricordo del 15°
centenario del concilio di Efeso e realizzata da Clemente Busiri Vici in
stile classico moderno e con cupola affiancata da due campanili.
L’antica Via Flaminia sale in direzione NE incontrando al N. 489
l’eclettica villa Brasini, detta castellaccio Brasini da Armando Brasini
che ne fu costruttore (1931-33) e proprietario: nel cortile inferiore è
un NINFEO, posto ai piedi dell’alto e articolato torrione, mentre nelle
murature è incastonato un piccolo lapidario con materiali antichi e
rinascimentali provenienti dagli sventramenti operati nel centro;
nell’interno, ispirato allo stile barocco monumentale, il Brasini inserì,
oltre a reperti archeologici, autentiche sculture del ’400 e soffitti del
’500-600.

ALLA VILLA «AD GALLINAS ALBAS» E AL CASALE DI MALBORGHETTO (km


16). Disponendo di un’autovettura, dal lato E di piazzale di Ponte
Milvio si segue viale di Tor di Quinto, il cui nome deriva dagli antichi
«Prata Quintia», così detti forse dal V miglio dalla porta Ratumena o
dalla gens Quintia oppure ancora da «Iaquinto». Oltre l’Olimpica qui
intitolata via del Foro Italico, realizzata nel 1960 e raddoppiata nel
1990, la strada, attrezzata per lo scorrimento veloce, corre attraverso
una zona di recente industrializzazione, sviluppatasi in parte sulla
tomba dei Nasoni (seconda metà sec. II) e sulla coeva *tomba di
Fadilla splendidamente affrescata.
Si costeggia a d. il centro Euclide (l’edificio della 3P è di Giovanni
Rebecchini e Renato Partenope, 1985) scorgendo poi più avanti,
sempre sullo stesso lato, il complesso di monumenti noto come
mausolei di Grottarossa, disposti a cavallo di un tratto di basolato
dell’antica consolare: restano un MAUSOLEO (sec. I) del tipo a TAMBURO
CILINDRICO su basamento parallelepipedo e uno a forma di TORRE,
risalente a età tardo-repubblicana ma trasformato in fortezza nel
Medioevo.
Si sottopassa il Grande Raccordo Anulare (GRA), la cui
costruzione (1951-61) ha qui causato la distruzione delle costruzioni
medievali, sorte su un sepolcro romano, che avevano dato alla zona il
nome di Due Case; tra i ponti del raccordo e degli svincoli è incassato
il ponte a due fornici con il quale la strada romana scavalcava il fosso
della Valchetta. La Flaminia lambisce a sin. la borgata del Làbaro,
insediamento sviluppatosi nel 1960-90 che prende nome dall’insegna
costantiniana (la casa Baldi, al N. 19 di via Sirmione, è di Paolo
Portoghesi, 1959-62; la chiesa parrocchiale di S. Melchiade, al N. 19 di
via Costantiniana, di Giuseppe Spina, 1979), correndo poi ai piedi dello
sperone roccioso su cui si erge il mausoleo della Celsa, sepolcro del
tipo a corpo cilindrico su alto basamento quadrangolare che si lega
inferiormente a una grandiosa esedra.
Avanti si abbandona per breve tratto la consolare seguendo le
indicazioni per la Via Tiberina, tracciato di origini antichissime che
risale la valle del Tevere; all’incrocio si volta a sin. raggiungendo la
borgata di Prima Porta, sorta sulla «statio» romana di Saxa Rubra
sulla quale si sviluppò il borgo detto «Rubrae» e nel sec. XI «Lubrae»;
qui sostò l’esercito di Vespasiano in marcia contro Vitellio, e qui iniziò
la battaglia tra Massenzio e Costantino conclusasi poi a ponte Milvio. Il
nome attuale, testimoniato almeno dal 1255, deriva da un arco in
laterizio, considerato il primo ingresso a Roma per chi giungeva da N,
di cui rimane un pilone addossato alla chiesa dei Ss. Urbano e Lorenzo
a Primaporta; ricordata dal 1109 e ricostruita da Urbano VIII, è stata
ridotta alla sola facciata dall’erezione della parrocchiale di S. Crispino
(Aldo Ortolani, 1967).
Da piazza Saxa Rubra (nell’area recintata, al di sotto della lapide
posta da Pio X nel 1912 a ricordo della vittoria di Costantino su
Massenzio, è una piccola fontana coperta a volta, del sec. II), via della
Villa di Livia, che ricalca l’antica strada consolare, sale a ricongiungersi
col moderno tracciato. In corrispondenza del bivio, sulla d., è
l’ingresso alla *villa «ad Gallinas Albas»
(www.archeologia.beniculturali.it), appartenuta a Livia sposa di
Augusto, che venne esplorata alla ricerca di opere d’arte nel 1863-64
(vi fu rinvenuta la statua di Augusto ora ai Musei Vaticani), nel 1951
(le pitture vennero allora trasferite al Museo Nazionale Romano) e dal
1982. Oltre un piccolo ANTIQUARIUM, si segue una strada basolata,
preceduta da un ingresso monumentale in laterizio e terminante
dinnanzi a una grande soglia in travertino, che immette in un ATRIO
con mosaico a fondo nero del sec. II; intorno a una piccola corte posta
a E si disponeva una serie di VANI di età augustea (alcuni con mosaici
geometrici), mentre l’ampio quadrilatero a N, delimitato da un
muraglione con contrafforti, era destinato a GIARDINO. Un lungo
CORRIDOIO con mosaico bianco e nero conduce verso S al COMPLESSO
TERMALE, con ambienti riscaldati e un ampio frigidarium con due
vasche. Un piccolo edificio ottocentesco consente di accedere, tramite
una scala antica e un vestibolo con mosaico geometrico, alla SALA
SOTTERRANEA – già decorata dalle summenzionate pitture di giardino – e
a un AMBIENTE DI SERVIZIO, opposto al precedente, coperto a volta. Ai lati
del complesso ipogeo si affiancano a N due SALE con pavimenti a
marmi policromi, mentre a S si succedono un vano con mosaico
figurato (Geni delle stagioni e Plutone in trono), una SALA con
rivestimento marmoreo sul pavimento e alle pareti, due altri vani e un
CORRIDOIO A SQUADRA riccamente affrescato (sec. II). Il settore O della
villa presenta un secondo nucleo sotterraneo – una scala immette in
un ambiente a volta da cui si dipartono corridoi di servizio – e una
cisterna. La vasta area centrale doveva accogliere il peristilio e su essa
prospettavano ambienti (tra cui un triclinium) con mosaici geometrici
e figurati, mentre il fronte verso il Tevere è retto da un poderoso
muraglione in opus reticulatum a contrafforti.
Si riprende la Via Flaminia che costeggia a d. il cimitero Flaminio
o di Prima Porta, che si è sviluppato in parte su una villa romana più
volte ristrutturata fino al sec. IV, e corre in un’ondulata campagna. Al
bivio a d. che supera la ferrovia, svoltando subito a sin. in via
Barlassina si raggiunge (km 16) il casale di Malborghetto, ricavato
in un arco quadrifronte di inizi sec. IV che verosimilmente fu eretto da
Costantino dopo la vittoria su Massenzio sul luogo della visione della
Croce; dell’arco si conserva la struttura laterizia (già rivestita di lastre
marmoree) con alcuni elementi della trabeazione, sufficienti a
ricostruirne l’aspetto originario con quattro colonne sulle due fronti
principali. Nel Medioevo, con la chiusura dei fornici venne trasformato
in chiesa dedicata a S. Nicola e poi nella torre principale di un borgo
fortificato, divenuto proprietà del capitolo di S. Pietro nel 1278,
venendo poi ridotto a casale (vi furono in funzione un’osteria e una
stazione di posta) e dato in affitto. Lo spazio sottostante la crociera e
le quattro volte a botte, suddiviso in una serie di ambienti su due
livelli, ha al primo piano un suggestivo SALONE dove rimane uno dei
due ballatoi lignei di accesso alle salette superiori; da esso, tramite
una SCALA ricavata nello spessore della volta, si sale all’ATTICO, che
conserva ancora la struttura romana in laterizi. Il casale accoglie
materiali (vasi protocorinzi ed etruscocorinzi in bucchero e impasto;
terrecotte, intonaci e oggetti votivi repubblicani; un boccaletto
medievale; ceramiche e vetri usati al tempo dell’osteria) dal tratto
suburbano della Flaminia.

8.3 LA VIA CASSIA:


ISOLA FARNESE E VEIO
Tracciato stradale di origini probabilmente etrusche – come
attesterebbero i tratti incassati e tagliati nel tufo che sono frequenti
soprattutto nella prima parte – e ampiamente noto attraverso le fonti
antiche (Tabula Peutingeriana, «Itinerarium Antonini»), la Via Cassia,
che si staccava dalla Flaminia dopo ponte Milvio ed era denominata
Clodia nel tratto fino a La Storta, collegava Roma con l’Etruria centrale
e settentrionale attraversando il massiccio dei Monti Cimini, toccando
«Sutrium» (Sutri), «Volsinii» (Bolsena), «Clusium» (Chiusi) e
«Arretium» (Arezzo), e sboccando nell’Aurelia presso Luni; incerte
sono tuttora la derivazione del nome (l’ipotesi più sostenuta resta
quella da Lucio Cassio Longino Ravilla che fu console nel 127 a.C. e
censore nel 125 a.C.) e la datazione al 117-107 a. Cristo. Divenuta nel
Medioevo la principale via di comunicazione dalla Francia per i
pellegrini che si recavano a Roma, prese il nome di via Francisca o
Francigena.
L’itinerario automobilistico (km 15.5; carta →) percorre il
tracciato moderno, che fino a Bolsena ricalca in gran parte quello di
età romana, attraverso un paesaggio collinare ornato di pini e
frequentemente interrotto da fossi che scorrono tra balze di tufo. Nel
segmento viario parte del territorio comunale, esteso a nord fino alla
riva est del lago di Bracciano, l’intervento umano è stato assai forte;
sino a Isola Farnese esso risulta completamente urbanizzato secondo
una logica speculativa che ha ripetuto più volte lo stesso processo:
creare una ‘testa’ periferica di lusso (Vigna Clara, Olgiata, Le Rughe)
per innalzare al massimo i valori dei terreni intermedi. Alla
dislocazione dei patrimoni fondiari, che ha influito in maniera
determinante sulla forma degli insediamenti, si è poi aggiunto
l’abusivismo, che a ridosso della consolare assume a volte caratteri
esasperati. Il pesante intervento moderno ha però lasciato intatti
alcuni brani dell’Agro romano: in uno di questi si trovano Isola
Farnese, borgo di origine medievale, e le rovine di Veio, principale
meta archeologica dell’itinerario, mentre una deviazione lungo la
statale 493 Claudia Braccianese porta al pittoresco casale di S. Maria
di Galèria.

LA VIA CASSIA, che inizia da piazzale di Ponte Milvio a d. della


chiesa della Gran Madre di Dio (per entrambi →), è il tratto urbano
della statale 2. Tra palazzi degli anni ’50-’60 del sec. XX e
successivamente tra alti muri di cinta di ville signorili si raggiunge
piazza dei Giuochi Delfici sulla quale prospetta a sin. la chiesa a pianta
circolare di S. Chiara, inaugurata nel 1962 su progetto di Renzo Del
Debbio e decorata da Mariano Villalta (1964-65).

VIGNA CLARA. Una breve deviazione sulla d. per via Gerolamo


Belloni permette la visita dell’insediamento residenziale della Società
Generale Immobiliare (1955-58): piegando a sin. in via Colajanni si
sbocca in piazza Jacini, su cui sorgono (N. 23) la cooperativa Le Muse
di Luigi Piccinato (1958-60) e (numeri 6-20) il Centro commerciale
(1955-58). Dal fondo della piazza si stacca a d. la via omonima dove,
ai numeri 23-25, Ugo Luccichenti ha eretto nel 1955-56 l’edificio per la
cooperativa Dianola. Tenendo a d. si perviene in largo Belloni e si
prende ancora a d. via di Vigna Stelluti, che taglia il largo omonimo (al
N. 14 Annibale Vitellozzi ha ideato nel 1974 la casa albergo) e torna in
piazza dei Giuochi Delfici.
VERSO LA STORTA. Da piazza dei Giuochi Delfici si seguono le
indicazioni per la Via Cassia antica che scende verso il fosso
dell’Acquatraversa (sulla d. è il padiglione già Sgaravatti di Luigi
Pellegrin, 1959): in alto a d. appare la villa Manzoni (Armando Brasini,
1923), nel cui vasto giardino rimangono imponenti ruderi di
sostruzioni e opere idrauliche della villa di Lucio Vero, posta al V
miglio della Via Clodia.

Il percorso moderno della consolare abbandona qui l’antico


tracciato, che correva nel fondovalle (l’attuale via Val Gardena)
risalendo il colle presso la chiesa di S. Andrea apostolo (v. sotto), e
sbocca nella Cassia Nuova, sulla quale affacciano per buon tratto,
immersi nel verde, edifici di alcuni dei maggiori architetti
contemporanei (Vincenzo, Fausto e Lucio Passarelli; Giovanni
Rebecchini; Renato Costa; Piero Maria Lugli; Gilberto e Tommaso
Valle; Vincenzo Monaco; Amedeo Luccichenti; Luigi Moretti). Sulla
sinistra (N. 731) s’incontra la chiesa di S. Andrea apostolo, che fu
eretta nel 1941 da Tullio Rossi e che prende nome dal precedente
complesso edificato dal cardinale Antonio Maria Pignatelli nel 1690-95.
Subito dopo, sullo stesso lato, è la cosiddetta tomba di Nerone che ha
dato il nome alla località: si tratta in realtà del sarcofago di Publio
Vibio Mariano (seconda metà sec. III), posto su alto basamento e
decorato da figure di dioscuri ai lati dell’epigrafe e da grifi alati.
La consolare incrocia a d. via di Grottarossa, presso la quale fu
ritrovato nel 1964 il sarcofago con il corredo della celebre mummia di
Grottarossa ora al Museo Nazionale Romano, scavalca il Grande
Raccordo Anulare e, oltre la confluenza da sin. della Via Trionfale → a
La Giustiniana, incontra a sin. la torre della Castelluccia (sec. XII-XIII) e,
poco più avanti nel verde, la torre Spizzichino (sec. XI).
LA LOCALITÀ LA STORTA, km 12, è così detta dalla variazione di
direzione della Via Cassia che si dirige verso N staccandosi dalla Via
Clodia (v. sotto) e fu sede in età romana di una stazione di posta; qui,
durante la ritirata tedesca del 3 giugno 1944, vennero uccisi il
sindacalista Bruno Buozzi e i suoi compagni. In piazza della Visione è
la cappella che fu eretta a ricordo della visione di Cristo con la Croce
avuta una sera del novembre 1537 da Ignazio di Loyola mentre si
recava a Roma: ricostruita nel 1700 e nel 1944, è stata modificata nel
1983.

LA VIA CLODIA o Claudia, che si diparte sulla sin. in direzione


Bracciano e che corrisponde in larga parte al tracciato della statale
493 Claudia Braccianese, fu aperta verso fine sec. III a.C. (o a inizi II)
per collegare Roma con la zona NO dell’Etruria attraverso Blera,
Norchia e Tuscania, mentre non ha ancora trovato conferma la
notizia, tramandata dalla Tabula Peutingeriana, che la strada
raggiungesse Saturnia e confluisse presso «Cosa» (Ansedonia)
nell’Aurelia. Il tracciato non venne realizzato ex novo ma adattando e
risistemando preesistenti percorsi, che furono collegati tra loro
mediante allacciamenti appositamente creati; per un certo tratto dopo
La Storta la via era ampia, basolata e con un percorso abbastanza
rettilineo in quanto fungeva da rapido collegamento con la campagna
a N e a O del lago di Bracciano, mentre in seguito si arrampicava sulle
balze tufacee e scendeva in profondi fondovalle.
Ordinata e viva di colori è la campagna che la via attraversa nel
tratto fino a Osteria Nuova, dove, al bivio, si prende a sin. per (km
8.8) *Santa Maria di Galèria, pittoresco casale con edifici raccolti
attorno a una piazza. Da questa si passa in un cortile dove, piccola e
appartata, è la chiesa di S. Maria in Celsano, sorta sui resti di una
cisterna romana, con interno a tre navate divise da rocchi di antiche
colonne (le due di sin. presentano bei capitelli corinzi): all’altare, entro
cornice rinascimentale, Madonna col Bambino e santi, tavola
bizantineggiante assai ridipinta; la Madonna col Bambino (calotta
dell’abside d.) e il Cristo benedicente (calotta dell’abside sin.) sono
affreschi frammentari della scuola di Antoniazzo Romano; lungo le
navate, resti di affreschi di scuola laziale del sec. XV. Le colline a O del
casale accolgono le rovine, oggi coperte di vegetazione, della città
etrusca di «Careiae», distrutta dai Saraceni nel sec. IX e risorta come
castello conteso tra i Colonna e gli Orsini, che vi ebbero un dominio
dal 1276; divenuta nel sec. XVI centro abitato, venne definitivamente
abbandonata nel 1809. L’area di Galeria Antica è dal 1999 Monumento
Naturale del sistema delle aree protette romane, gestito dal WWF
Lazio.

ISOLA FARNESE. In corrispondenza del km 13.3 si abbandona la


Via Cassia per salire, km 15.5, a questo piccolo borgo m 110, issato su
una rupe tra profonde forre. La chiesa di S. Pancrazio martire risale al
sec. XV ma è stata rimaneggiata nel ’600; domina l’abitato il *castello
Farnese (vi si accede dalla porta di S. Pietro), già Orsini, di cui si ha
testimonianza dal 1003.
*VEIO. A nord di Isola Farnese, su un ripiano tufaceo alla
confluenza dei fossi della Valchetta e del Piordo, si stendono le rovine
dell’importante centro etrusco a lungo rivale di Roma (celebre
l’episodio dei Fabi, catturati dai Veienti nel corso di un’imboscata) ed
espugnato da Camillo nel 396 a.C.; Cesare vi dedusse una colonia,
innalzata da Augusto al rango di «municipium» e abbandonata dopo
Adriano. Tutto il comprensorio, scavato in maniera sporadica nei sec.
XVII-XIX,
è stato oggetto dal sec. XX di indagini sistematiche che hanno
portato a rilevanti ritrovamenti, tra cui la celebre statua in terracotta
dell’Apollo ora al Museo etrusco di Villa Giulia.

FORMAZIONE E IMPIANTO DELL’ABITATO. Capoluogo del territorio a d.


del Tevere, Veio, estesa per c. 190 ettari, limitata a S dalla cosiddetta
«Piazza d’Armi» dalla quale era separata da un fossato artificiale e
attraversata nel sottosuolo da canalizzazioni forse da interpretare
come opere legate alla conquista della città da parte di Camillo,
presentava una cinta muraria, datata all’avanzato sec. V a.C., con
andamento irregolare che assecondava la naturale conformazione del
terreno e che si appoggiava a un «agger» di terra; in essa si aprivano
almeno 10 porte, cosa che indica un sistema urbano rivolto ai
commerci. All’età del Ferro (sec. IX-VIII a.C.) risale la prima
occupazione del pianoro da parte di singoli villaggi, ciascuno con la
relativa necropoli, dai quali secondo un’interpretazione sarebbe nato
per sinecismo l’abitato vero e proprio: sull’altura della «Piazza d’Armi»,
ritenuta da alcuni una sorta di «arx» (tra gli ultimi decenni del sec. VII
e gli inizi del VI a.C. vi sorse il primo tempio della città) ma divenuta
eccentrica a fine VI a.C., è stato esplorato un quartiere etrusco
dall’impianto urbanistico regolare, con edifici in blocchi di tufo coperti
di tegole, che si sovrappose a un abitato italico formato da capanne.

L’AREA ARCHEOLOGICA DI VEIO. Da Isola Farnese si segue a d. la


discesa di via Riserva Campetti e, tenendo ancora a d., si perviene al
fosso Mola; oltre il ponte un sentiero a d. conduce, in località
Portonaccio, agli scavi (t. 0630890116,
www.archeologia.beniculturali.it). Percorso un tratto di basolato
romano su tracce di via etrusca, si costeggia a d. la piscina sacra oltre
la quale sono le fondazioni del *tempio detto convenzionalmente di
Apollo, ma in realtà dedicato a Menerva (la romana Minerva) come
risulta dalle testimonianze epigrafiche, il più notevole esempio di
tempio tuscanico conosciuto; eretto verso il 500 a.C. e demolito con
ogni probabilità nel sec. IV a.C., aveva pianta quadrata (m 18.5 per
lato) e vasto pronao, mentre è incerto se la parte posteriore constasse
di una sola cella tra «alae» (corridoi) o di tre celle – quest’ultima è
l’ipotesi più probabile. Riparato da una tettoia è il grande altare.

IL PARCO DI VEIO. Il territorio di Veio è stato istituito nel 1997 in


Parco (t. 069042774, www.parcodiveio.it) e comprende nove comuni:
Campagnano di Roma, Castelnuovo di Porto, Formello, Magliano
Romano, Mazzano Romano, Morlupo, Riano, Roma e Sacrofano. Il
territorio protetto – delimitato dalle vie consolari Cassia a ovest,
Flaminia a est e dalla via Campagnanese a nord – è ricco di valori
storici, archeologici e paesaggistici. Con i parchi dell’Appia Antica e
dell’Aniene, Veio rappresenta uno dei cunei verdi che penetrano
nell’area urbanizzata di Roma e occupa l’area che costituiva l’Agro
Veienteiano, ossia il territorio controllato dall’antica città etrusca di
Veio. La vista dell’area archeologica, corrispondente al santuario del
Portonaccio, può essere integrata con altre esplorazioni del territorio.
Infatti, numerose necropoli circondano l’abitato, note tra l’altro per la
presenza delle più antiche attestazioni di decorazione pittorica
funeraria. La tomba delle Anatre, in particolare, visitabile attraverso
un percorso che lambisce un ponte medievale, ha restituito
un’interessante attestazione di decorazione appartenente al VII secolo
a.C. Il «ponte sodo», suggestiva galleria naturale lunga in origine 100
metri, probabilmente ampliata dagli Etruschi, offre un angolo
paesistico insolito.

8.4 LA VIA SALARIA

La strada, uno dei più antichi collegamenti tra Roma e


l’entroterra, deriva il toponimo dal commercio del sale con la Sabina,
verso la quale si dirigeva, dopo essere uscita dall’omonima porta delle
mura Aureliane e aver scavalcato il fiume Aniene con il ponte Salario
distrutto dai Francesi nel 1867, correndo lungo la valle del Tevere. Nel
tratto urbano sono documentati due tracciati: la «Salaria Vetus», che
percorreva la zona dei Parioli, e la «Salaria Nova» (la strada moderna
la riprende in parte), che attraversava una vasta area funeraria. Lungo
la via, su una collina alla sinistra dell’Aniene, sorgeva «Antemnae»,
antica città laziale nota per l’episodio del ratto delle Sabine.
L’area, legata a un paesaggio e a un uso del suolo essenzialmente
agricoli, mutò morfologia secondo i ritmi serrati della speculazione
fondiaria di inizi Novecento (a quella data la zona abitata era
delimitata da corso d’Italia, via Po e Via Salaria). Il piano regolatore
del 1909, oltre alla salvaguardia del polmone verde verso la Via
Flaminia, previde le espansioni intorno a via Paisiello («quartiere
Sebastiani») e piazza Verbano, che assunsero connotati morfologici e
ambientali diversi: la prima, articolata su un sistema di piazze radiali,
è di minore densità e possiede un’atmosfera più signorile, laddove la
seconda, a maglia ortogonale, presenta una maggiore compattezza e
un carattere più popolare. I piani e le varianti successivi, pur
rispettando la destinazione d’uso, aumentarono l’indice di edificabilità
delle aree non ancora costruite (l’ampliamento tra il quartiere Verbano
e l’Aniene, previsto dal piano del 1931, fu completato negli anni ’60);
attualmente la Salaria, soprattutto nel tratto iniziale, va perdendo le
originarie caratteristiche residenziali: la posizione strategica nella
maglia urbana e la vicinanza al centro storico hanno infatti
determinato una forte terziarizzazione dell’area.
Il numero e l’importanza delle emergenze architettoniche (villa
Albani; quartiere Dora) e soprattutto il tracciato assai articolato che
segue in parte gli assi dell’urbanizzazione d’inizio Novecento (corso
d’Italia, via Po, piazza Buenos Aires, via Tagliamento) intersecando in
più punti la Salaria – tratto urbano della statale 4 – consigliano la
visita a piedi (pianta a fronte); la breve deviazione che segue le
catacombe di Priscilla – momento fondamentale dell’itinerario – è da
effettuarsi in automobile.

SU PIAZZA FIUME, la cui conformazione definitiva risale al 1921 in


seguito alla demolizione della porta Salaria →, prospetta il palazzo
della Rinascente (Franco Albini e Franca Helg, 1957-61), uno degli
inserimenti più riusciti nel tessuto storico della città; l’articolazione del
rivestimento di facciata, la struttura in acciaio che riprende il disegno
e gli allineamenti degli edifici circostanti, la severità d’impianto ne
fanno una delle più interessanti realizzazioni di architettura
contemporanea in Roma.
TRA PIAZZA FIUME E VIA PO PER LA VIA SALARIA. La *villa Albani
(N. 92; visita: a richiesta all’amministrazione Torlonia, t. 066861044) è
una delle più alte testimonianze del gusto per l’antico e degli interessi
antiquari del sec. XVIII. Fu eretta nel 1747-67 per il cardinale
Alessandro da Carlo Marchionni, che la concepì per ospitare le sculture
antiche del prelato; passata nel 1817 ai Castelbarco e acquistata nel
1866 da Alessandro Torlonia che ne modificò in parte l’aspetto, ospitò
nel 1870 la firma della capitolazione di Roma. L’impianto della villa,
che riprende schemi già collaudati nelle residenze rinascimentali,
distribuisce edifici e padiglioni nello spazio scenograficamente
modellato del giardino. In posizione dominante il CASINO, aperto in
facciata da un loggiato (serie di statue imperiali) e fiancheggiato da
due ali porticate (gallerie di erme-ritratto di filosofi e uomini politici);
all’interno, il fastoso salone del Parnaso prende nome dall’affresco
realizzato sulla volta da Anton Raphael Mengs (1756). Sulla destra è il
cosiddetto APPARTAMENTO DELLA LEDA, riproduzione di un complesso
termale antico, cui segue il BILIARDO; opposto al casino è il CAFFEEHAUS,
con fronte a emiciclo, che imita un Canopo.
Nel novero dei dipinti, sculture e rilievi esposti nella villa e
appartenenti alle collezioni Albani (pesantemente mutilata nel 1798) e
Torlonia, si segnalano: il *rilievo con Antinoo dalla villa Adriana a
Tìvoli, splendido esempio di arte classicista romana; il *rilievo con
cavaliere che atterra un nemico, originale attico di stile partenonico; il
cosiddetto busto di Esopo (età antonina); il cosiddetto Eutidemo di
Battriana (sec. II a.C.); la *fanciulla Torlonia, finissimo ritratto di gusto
alessandrino (metà I a.C.); il sarcofago con nozze di Peleo e Teti (età
adrianea); il busto di Cristina di Svezia; l’Hestia Giustiniani, copia
adrianea da originale di scuola argiva del 460 a.C.; affreschi di fine
sec. IV a.C. (restaurati nel 2004), staccati dalla tomba François di Vulci
con scene mitologiche greche e della storia etrusco-romana (Imprese
dei fratelli Aulo e Celio Vibenna e di Mastarna). La collezione di dipinti
comprende opere di Niccolò di Liberatore (Madonna e santi, 1475),
Perugino (polittico, 1491), Francesco Zaganelli (Pietà, 1509), Giovanni
Paolo Pannini, Gherardo delle Notti, Pompeo Batoni, Antonie Van
Dyck, Tintoretto, Taddeo Zuccari, Jusepe de Ribera, Jacopino del
Conte, Carlo Maratta, Guercino, Giulio Romano, Rosa da Tivoli,
Borgognone, Luca Giordano, Jacques-Louis David, Gaspare Vanvitelli.
Avanti sulla sin. è il mausoleo di Lucilio Peto (N. 125A), tomba
a tumulo risalente a fine sec. I a.C.: nel basamento cementizio
rivestito di travertino, con cornice a dentelli, è inserita l’iscrizione
funeraria in marmo; un corridoio sulla parte posteriore dà accesso alla
piccola camera sepolcrale coperta a crociera.

CORSO D’ITALIA, che si percorre costeggiato il fronte della


Rinascente, si snoda parallelo alle mura Aureliane →. Aperto intorno
al 1885 ma potenziato e attrezzato a seguito dei piani del 1909 e
1931, è stato profondamente modificato con il completamento dei
sottopassi veicolari (1963-65); tale ristrutturazione urbanistica ha
favorito la terziarizzazione dell’area, determinando numerose
sostituzioni nel tessuto residenziale umbertino. Sul viale affacciano: al
N. 45 la palazzina Calderai (1902-1903), segnata dalla torre d’angolo e
dai delicati motivi ornamentali; ai numeri 40-43 due palazzi per uffici
(Antonio Antonelli e Manfredi Greco, 1968) connessi da un ponte
vetrato; al N. 38 la casa generalizia dei Carmelitani Scalzi (Mario
Paniconi e Giulio Pediconi, 1969); la chiesa di S. Teresa, realizzata in
mattoni da Tullio Passarelli nel 1901-1902 utilizzando il linguaggio
dell’architettura romanica. In angolo con via Po, il villino Marignoli (N.
35A; 1907-1910) è l’opera forse più riuscita di Giulio Magni: articolato
in un volume principale e in corpi secondari, è interamente risolto dal
disegno degli elementi in marmo posti all’interno della superficie in
mattoni; il linguaggio si ispira all’edilizia nordica medievale.

L’HOTEL JOLLY (Vincenzo ed Edoardo Monaco e Amedeo


Luccichenti, 1968-71), ancora avanti, affida, analogamente al palazzo
della Rinascente in piazza Fiume, la propria espressività alla struttura
metallica approdando a risultati linguistici affatto diversi: la
scomposizione del volume, l’elaborata struttura, i pannelli grigliati e le
vetrate riflettenti color bronzo ne fanno un edificio ‘altro’ dal contesto
in cui è inserito.

VIA PO, che s’imbocca a d., si andò definendo nei primi decenni
del sec. XX con la costruzione degli edifici umbertini che in alcuni tratti
ancora si vedono; negli anni ’60 ha preso vita un processo di
sostituzione edilizia che, pur mantenendo le sagome e i volumi dei
fabbricati originari, ne ha mutato profondamente la morfologia: ne
sono esempi la palazzina di Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti
(N. 10; 1951-52), il palazzo per uffici di Leo Calini ed Eugenio
Montuori (N. 19; 1960-64). All’‘antico’ rimanda, al N. 25C, l’ambasciata
di Germania (Clemente Busiri Vici, 1912), dal massiccio avancorpo che
scarica su quattro grandi archi pensili; il fronteggiante complesso per
abitazioni, uffici e studi professionali sostituisce dal 1972-77 due
costruzioni di inizi ’900.
IL «QUARTIERE SEBASTIANI». Si volta a sin. per via Allegri (a d. è la
villa Georgina di Clemente Busiri Vici, 1920 c.) per proseguire
diagonalmente in via Paisiello (asse del «quartiere Sebastiani»
previsto dal piano del 1909) sino a largo Spinelli: al N. 5 sorge una
palazzina di Ugo Luccichenti (1954), composta da un edificio
principale e da un avancorpo basso, il cui prospetto è caratterizzato
dal contrasto tra il basamento marmoreo e la parte superiore,
interamente rivestita di tesserine di mosaico color salmone; il villino al
N. 3 è di Giuseppe Mariani (1918).
Continuando per via Paisiello si incontrano il villino Rossi del
Mariani (N. 33; 1914) e a d. la chiesa di S. Teresa del Bambin Gesù
(1928-32), detta in Panfilo perché costruita sopra le catacombe di S.
Panfilo (visita a richiesta alla Pontificia Commissione di Archeologia
Sacra), le più importanti della via «Salaria Vetus» le cui pareti
conservano graffiti di pellegrini e iscrizioni funerarie spesso dipinte
sull’intonaco dei loculi. Seguono (numeri 39 e 43) due case di Busiri
Vici (1912 e 1928), la seconda delle quali esemplifica il linguaggio
«Novecento», e la palazzina del Mariani (N. 45; 1928), risolta secondo
i dettami classici; a d. (N. 38) è invece il coevo villino Alatri, costruito
secondo un progetto in stile di Vittorio Ballio Morpurgo, la cui
sopraelevazione (Mario Ridolfi, Volfango Frankl e Mario Fiorentino,
1949) si contrappone decisamente all’edificio originario evitando
qualsiasi rimando.
Via Bellini, che si prende a d., si apre a d. in piazza Verdi, cuore
del quartiere. Vi domina l’imponente mole del palazzo del Poligrafico
dello Stato (Garibaldi Burba, 1913-18), il cui linguaggio magniloquente
ed eclettico è in funzione rappresentativa delle istituzioni. Ai numeri 8
e 9, due costruzioni di Marcello Piacentini (1923) con elementi
bugnati, statue e nicchie.

LE CATACOMBE DI S. FELICITA. Dalla piazza, per via Scarlatti si


attraversa la Salaria imboccando via Simeto dove, al N. 2, è l’ingresso
alle catacombe (visita a richiesta alla Pontificia Commissione di
Archeologia Sacra), denominate di Massimo dalle fonti; nella
BASILICHETTA sotterranea ricavata nel sec. V sul sepolcro di un figlio
della santa, interessanti i resti di un affresco (Cristo porge le corone a
Felicita e ai sette figli martiri) del sec. VII.

PIAZZA BUENOS AIRES. Proseguendo per via Bellini si arriva in viale


Liegi (al N. 42, palazzo di Marcello Piacentini – 1916-22 – d’impianto
volumetrico assai compatto appena stemperato dai «bow-window»
curvilinei), che, risalito a d., incrocia la Via Salaria e, con il nome di
viale Regina Margherita, guadagna questa piazza, meglio conosciuta
come «piazza Quadrata», aperta a inizi ’900; la configurazione attuale
deriva dalla costruzione delle case IRBS (1919) e della chiesa
nazionale argentina della SS. Addolorata (Giuseppe Astorri, 1910-
1930), in stile romanico-bizantino e interamente in mattoni.
IL QUARTIERE DORA. A sinistra del luogo di culto si prende via
Tagliamento (ai numeri 5-9, palazzo di Ugo Luccichenti – 1956-59 –
con piano attico a becco d’uccello), disegnata dal piano del 1909, dalla
quale un arcone riccamente decorato dà accesso al quartiere costruito
nel 1919-26 da Gino Coppedè (da qui l’altro nome con cui è noto).
Incredibile «pastiche» di linguaggi architettonici che immergono il
visitatore nell’atmosfera sfarzosa e un po’ fittizia d’inizi ’900,
l’intervento si articola sulla raccolta piazza Mincio, al cui centro è la
fontana delle Rane (1920-24), dalle grandi conchiglie sorrette da
coppie di figure inginocchiate. Fabbricati diversi per forma e
dimensione la cingono; i due edifici più importanti (1916-26), dalla
decorazione fantastica e sovrabbondante, s’iscrivono all’interno
dell’eclettismo: quello al N. 2 è caratterizzato da un portale d’ingresso
a sesto ribassato a forte strombatura, mentre possenti pilastri con
mensoloni sostengono due ordini di balconi; quello al N. 4, detto del
Ragno, differisce per l’arco con mascherone e per l’avancorpo
d’angolo interamente in aggetto. Le altre emergenze smorzano il tono
della figurazione e raccordano la piazza agli allineamenti stradali:
l’edificio al N. 1 riprende gli elementi dei fabbricati maggiori, quello al
N. 3, detto delle Fate, sviluppa un linguaggio neomedievale tutto
giocato sulla torretta d’angolo scalare e sugli affreschi.
IL QUARTIERE VERBANO. Via Tagliamento, superata via Adige, entra
nell’intervento di edilizia pubblica INCIS attuato dal 1920 secondo il
piano del 1909. Il progetto urbanistico è impostato su un asse
principale (via Tagliamento-via Sebino-via Nemorense) che si conclude
nel parco Virgiliano, sistemato da Raffaele De Vico nel 1930; punto di
‘coagulo’ è l’ottagonale piazza Verbano, cinta di edifici che, nella
disposizione a «C» molto aperta, sottolineano la continuità della
quinta urbana. L’architettura del quartiere è piuttosto sobria; unica
eccezione è il tratto di via Tagliamento, in cui i complessi progettati da
Quadrio Pirani (1920-26) si caratterizzano per l’uso dei materiali e per
gli affreschi sottostanti al cornicione.
LE CATACOMBE DI PRISCILLA. Da piazza Verbano si raggiunge, per
via di Villa Ada, la Via Salaria, che si percorre verso d. incontrando in
angolo con via Arbia palazzo Filomarino (N. 3; metà sec. XVII);
antistante all’ingresso principale (N. 273) a villa Ada (v. sotto) è il
villino Visconti (N. 366; Gino Franzi, 1942). Segue l’ingresso al
complesso paleocristiano (N. 430; t. 0686206272 - 0686398134), fra i
più antichi e importanti di Roma.

IL CIMITERO prende nome da una matrona Priscilla discendente


dalla gens Acilia (gli scavi effettuati nel 1888-89 ne hanno rimesso in
luce l’ipogeo) e si compone di due piani, con un livello intermedio
identificabile per alcuni con il cimitero di Novella. Fra le pitture,
particolarmente interessante la cosiddetta CAPPELLA GRECA (l’appellativo
deriva dalla presenza di due iscrizioni dipinte in greco), vano
pressoché quadrato con scene dei due Testamenti e, in fondo, la
«fractio panis» (prima metà sec. III?). Nella vicina REGIONE
DELL’ARENARIO, Madonna col Bambino e profeta che addita la stella,
ritenuta la più antica (inizi III) raffigurazione del genere delle
catacombe; nel CUBICOLO DELLA VELATA (seconda metà III), Matrimonio
alla presenza del vescovo, Maternità e Orante in paradiso, momenti
della vita di una fedele. Dopo la pace costantiniana sorse nel
sopratterra la basilica di S. Silvestro, il cui aspetto attuale risale alla
ricostruzione del 1904-1907.

ALTRE CATACOMBE relazionabili alla via «Salaria Vetus» sono quelle


anonime di via Anapo (accesso al N. 2H dell’omonima via; visita a
richiesta alla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra), datate a
fine III-inizi sec. IV, e quelle dei Giordani all’angolo con via Taro (visita
a richiesta alla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra), che
conservano affreschi biblici di fine III-inizi IV.

Fronteggia le catacombe di Priscilla il muro di cinta di villa Ada già


Savoia, un tempo residenza privata di Vittorio Emanuele II e in parte
ora aperta al pubblico; è destinata a sede del Museo del Giuoco e del
Giocattolo.

ALLA MOSCHEA. Un’autovettura permette di raggiungere il forte


Antenne (ancora oggi area militare) percorrendo un breve tratto in
discesa della Via Salaria e piegando a sin. in via di Ponte Salario. Il
complesso, uno dei 15 costruiti a difesa di Roma nel 1878-84,
distrusse in gran parte i resti di «Antemnae», città latina, ben presto
assorbita nel territorio di Roma, della quale sono state rinvenute
tracce (non visibili) delle mura difensive e di una villa che in età
imperiale ne occupò il sito.
Discendendo per via di Ponte Salario il monte Antenne si giunge
alla *Moschea (1984-92), progettata con l’annesso centro culturale
islamico da Paolo Portoghesi e Vittorio Gigliotti: interessante la grande
SALA, dove un sistema di pilastri e archi (entrambi prefabbricati)
sostiene le cupole a gradoni.
8.5 LA VIA NOMENTANA

La strada, di origine arcaica, usciva dalla porta Collina delle mura


Serviane e, scavalcato il fiume Aniene, risaliva le colline a nord-est
giungendo a «Nomentum» (Mentana), da cui deriva il toponimo; il
tracciato originario coincide con il percorso moderno solo dopo villa
Torlonia, perché la porta Nomentana delle mura Aureliane era posta
assai più a sinistra dell’attuale porta Pia.
Lungo la strada sorsero fondi e complessi cemeteriali, di cui
alcuni (S. Agnese, Nicomede, catacombe ebraiche di villa Torlonia,
Cimitero Maggiore) ancora superstiti; nel Settecento e nell’Ottocento
si formarono le ville nobiliari (Torlonia, Paganini, Massimo). A inizi sec.
XX l’area era ancora in larga parte inedificata, tranne piazza
Alessandria con lo stabilimento della Birra Peroni. Il piano regolatore
del 1909 ne mutò la morfologia suburbana con la consistente
espansione alle spalle di villa Torlonia e intorno a piazza Bologna;
negli anni ’20 prese corpo, al di fuori dei confini del piano,
l’esperimento urbanistico di Città Giardino Aniene: posta su un’altura
lungo la via, al di là del fiume, s’ispirava alle «Garden Cities» inglesi di
cui riprendeva la densità, i tipi edilizi e i tracciati stradali. I piani e le
varianti anteriori alla seconda guerra mondiale confermarono
l’utilizzazione intensiva di piazza Bologna e saturarono le aree ancora
libere tra l’abitato e il fiume; sotto la spinta dell’espansione edilizia,
negli anni ’50 e ’60 l’area raggiunse la configurazione attuale.
La visita (carta a fronte), pedonale fino alla basilica di S. Agnese
fuori le Mura – momento centrale dell’itinerario – abbandona in più
punti il tracciato della Via Nomentana per addentrarsi nel fitto tessuto
urbano adiacente e raggiungere significative testimonianze
architettoniche del Novecento (villino Ximenes; Ufficio postale di
piazza Bologna); l’ausilio di un’automobile o l’utilizzo di mezzi pubblici
permette di proseguire verso il ponte Nomentano (uno dei pochi di età
romana a essersi conservato) e la Città Giardino Aniene.

PIAZZALE DI PORTA PIA, chiuso a SO dall’omonima porta →, è


occupato al centro dal monumento al Bersagliere (Italo Mancini e
Publio Morbiducci, 1932) e vi prospetta a E il palazzo del Ministero dei
Lavori Pubblici (Pompeo Passerini, 1911-25), interamente in mattoni
con motivi architettonici in marmo, alle spalle del quale è il coevo
palazzo del Ministero dei Trasporti, anch’esso di Passerini. Sulla
retrostante piazza della Croce Rossa sorge il villino Durante (Giulio
Podesti, 1889), caratterizzato dal severo portico d’ingresso ornato con
colonne doriche.
L’EX STABILIMENTO DELLA BIRRA PERONI. Via Ancona, che si stacca
dal lato N di piazzale di Porta Pia, conduce in piazza Alessandria.
Sull’area insiste una delle poche testimonianze di architettura
industriale romana d’inizi ’900, in attività sino al 1971. Dopo i restauri
intrapresi nel 1988, che ne hanno salvaguardato le originarie
caratteristiche tipologiche e morfologiche, è diventato sede del Museo
d’Arte contemporanea - MACRO (v. sotto) per esposizioni sia
permanenti sia temporanee.
Il complesso (Gustavo Giovannoni e Alfredo Palopoli, 1908-1922)
è il risultato di diverse fasi costruttive e si suddivide in tre lotti legati ai
differenti cicli produttivi: gli EDIFICI PER LA LAVORAZIONE DELLA BIRRA
delimitati da via Bergamo, piazza Alessandria, via Mantova e via Nizza;
la FABBRICA DEL GHIACCIO tra le vie Alessandria, Mantova e Nizza; il
PALAZZO DEGLI UFFICI tra le vie Reggio Emilia, Nizza e Cagliari. L’edificio
sulla piazza è segnato dalla torretta con altana e da una serie di
volumi coperti a tetto, mentre la facciata su via Bergamo è
caratterizzata dalla reiterazione dello stesso modulo compositivo, con i
lievi aggetti degli elementi e la sapiente tessitura dei materiali.

MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA - MACRO. Il MACRO (via Reggio


Emilia 54, t. 0667107900,
www.macro.roma.museum/italiano/home.html) nasce dal riassetto
delle strutture capitoline deputate alla promozione dell’arte
contemporanea. In continua evoluzione, è dotato di due sedi: l’ex
stabilimento industriale Peroni, completamente ristrutturato
dall’architetto Odile Decq nell’intento di creare un dialogo tra la
struttura originaria e i nuovi ambienti (attualmente attivo con mostre
temporanee, ne è prevista l’inaugurazione a fine 2008), e l’ex
Mattatoio di Testaccio, adibito alla sperimentazione.

LA COLLEZIONE DEL MACRO testimonia l’evoluzione artistica dagli


anni ’60 del XX secolo a oggi, attraverso le opere di artisti italiani di
fama internazionale, che figurano accanto ai protagonisti delle ultime
generazioni. Il dopoguerra è documentato dai lavori di alcuni
esponenti del gruppo Forma 1 (Carla Accardi, Antonio Sanfilippo,
Achille Perilli, Piero Dorazio), che si impone per un linguaggio pittorico
astratto in contrapposizione al realismo allora dominante in Italia. Il
nuovo percorso della scultura è rappresentato da Leoncillo e da Ettore
Colla, che assembla materiali di recupero. A Roma, all’inizio degli anni
’60 del Novecento, attorno alla cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo
si coagulano le esperienze di alcuni artisti che, assimilata la lezione
della Pop Art americana, rielaborano nelle loro opere l’immaginario
popolare della società dei consumi e dei mass media. I lavori di Tano
Festa, Mario Schifano, Titina Maselli, Mimmo Rotella testimoniano tale
momento ricco di fermenti che confluirà poco dopo nell’Arte Povera
grazie alla ricerca di Mario Ceroli e Pino Pascali.
Nei primi anni ’80, Piero Pizzi Cannella, Gianni Dessì, Marco Tirelli,
Domenico Bianchi, Bruno Ceccobelli danno vita alla cosiddetta Nuova
Scuola Romana. Il dato comune di questi artisti, pur nella diversità
delle singole ricerche, è quello di un recupero della tradizione pittorica
e dell’elaborazione individuale. Le tendenze più recenti sono
documentate attraverso personalità quali Gianni Asdrubali esponente
dell’Astrazione Povera, Giovanni Albanese che fa del ready made e
dell’invenzione meccanica l’oggetto di una poetica ironica, mentre
Cristiano Pintaldi simula con i pennelli la struttura dell’immagine
televisiva.

LA CHIESA DEL CORPUS DOMINI, lungo la Via Nomentana che


s’imbocca da piazzale di Porta Pia, fu costruita nel 1888-93 rivisitando
con compostezza il patrimonio storico sia all’esterno in mattoni, con
grande arco ogivale che incornicia tre alte bifore, sia all’interno a tre
navate coperte da capriate lignee: nel coro e nell’arco trionfale sono
affreschi di Virginio Monti, con laterali di Eugenio Cisterna (c. 1910).

ATTORNO ALLA CHIESA. Si percorre, a sin. del luogo di culto, via dei
Villini che, incrociata via Malpighi (nel tratto di d. è, riconoscibile per la
torretta loggiata, il villino Aletti di Giuseppe Sommaruga, 1900-1902),
giunge alla casa studentesca già convento di Notre-Dame des Oiseaux
(Carlo Busiri Vici, 1900); il cancello al N. 32 dà accesso alle catacombe
di Nicomede (visita a richiesta alla Pontificia Commissione di
Archeologia Sacra), in realtà ipogeo privato che riutilizzò in parte
preesistenti cunicoli idrici, che sono l’unica testimonianza della vasta
necropoli distrutta per la costruzione dei villini.
Al termine della via si è in piazza Galeno avendo di fronte il
villino Ximenes, appartenuto allo scultore che lo progettò con
Leonardo Paterna Baldizzi ed Ernesto Basile nel 1900: d’ispirazione
liberty, è caratterizzato dalla ricca e fantasiosa decorazione che
raggiunge il punto più alto nel balcone di copertura, riccamente
traforato, e nella loggia centrale, con balcone nel mezzo e fascia in
bassorilievo, lungo la facciata, recante una doppia teoria di artisti ai
lati di una «ara Artium».

VILLA TORLONIA. La Nomentana incontra a d., oltre viale Regina


Margherita, la chiesa di S. Giuseppe (Carlo Busiri Vici, 1902-1905), che
reinterpreta il linguaggio romanico attraverso l’uso del portico, la
riproposizione del rosone e della cornice ad archetti pensili.
Nell’interno, l’altare maggiore e la decorazione absidale in stile
cosmatesco furono eseguiti a Venezia (c. 1920); la statua di S.
Giuseppe è di Francesco Nagni.
Dopo via Spallanzani si costeggia il muro di cinta di *villa
Torlonia, complesso neoclassico che venne iniziato da Giuseppe
Valadier nel 1802, continuato da G.B. Caretti dal 1832 e adibito a
parco pubblico dal 1978. Negli edifici sono allestiti i Musei di Villa
Torlonia (v. oltre).

ALL’INTERNO DEL POLMONE VERDE si entra attraverso i PROPILEI ionici


(1910), avendo di fronte uno degli obelischi di granito fatti scolpire e
trasportare da Baveno nel 1842. Alle spalle è il CASINO NOBILE (G.B.
Caretti, 1832-40), con grande scalinata d’accesso e avancorpo con
colonne ioniche e timpano decorato (Ritorno di Bacco dalle Indie di
Rinaldo Rinaldi); nell’interno (ora spazio museale), le 12 stanze e il
salone da ballo racchiudono un’antologia della pittura purista della
prima metà del sec. XIX.
Lungo il viale che costeggia a d. il palazzo sono il VILLINO ROSSO
(1920), il VILLINO MEDIEVALE (1906-1908) e il TEATRO (Quintiliano
Raimondi, 1841-74) con l’ampia esedra porticata. Lungo il viale di sin.
si raggiungono invece l’ANFITEATRO, del Caretti, e la pittoresca *CASINA
DELLE CIVETTE, trasformazione operata nel 1916-19 da Vincenzo Fasolo
dell’ottocentesca Capanna svizzera ideata da Giuseppe Jappelli; ha qui
sede il Museo delle Vetrate liberty (t. 0644250072) dedicato alle arti
decorative d’inizi ’900, dove le originali vetrate dell’edificio si
accompagnano ad altre di diversa provenienza e a disegni preparatori
in parte per le stesse, opera fra gli altri di Duilio Cambellotti, Paolo
Paschetti e Umberto Bottazzi. Della SERRA MORESCA, pure dello Jappelli
(c. 1840), resta la facciata. È nelle intenzioni istituire in un’area vicino
a Villa Torlonia un MUSEO DELLA SHOAH.
Il parco, progettato alla maniera romantica con ruderi e
vegetazione esotica, conserva nel sottosuolo le Catacombe
ebraiche (visita a richiesta alla Soprintendenza archeologica di
Roma), scoperte nel 1918: si tratta di due cimiteri distinti, utilizzati nei
sec. III-IV, che conservano iscrizioni di cariche della comunità giudaica
e pitture con simboli ebraici.
Opposto a villa Torlonia, su Via Nomentana, è il parco di Villa
Paganini, sistemato da Raffaele De Vico nel 1934; un monumento ai
Caduti dei quartieri Nomentano e Salario (1925) ne segna l’ingresso.

MUSEI DI VILLA TORLONIA. Dal 1977 di proprietà comunale, a


partire dagli anni ’90 del xx secolo il complesso di villa Torlonia
(www.museivillatorlonia.it) è stato sottoposto a una serie di
consistenti interventi di restauro sia del parco che degli edifici (casina
delle Civette, casino dei Principi, parte meridionale del parco, Villino
rosso) fino al recente recupero della limonaia, del Villino medievale,
del Casino Nobile, delle scuderie vecchie e della parte settentrionale
del parco. Con l’ormai prossimo restauro del Teatro e della Serra
moresca, la villa tornerà ai suoi antichi splendori.

CASINO NOBILE. Dopo decenni di abbandono, il restauro del


palazzo nobiliare, residenza principale della famiglia, ha restituito
l’assetto di metà Ottocento, con una profusione di elementi decorativi
opera dei più noti artisti del tempo (Bertel Thorvaldsen, Francesco
Podesti, Francesco Coghetti, Luigi Fioroni). Attorno al salone da ballo,
maestoso perno dell’edificio caratterizzato da due ‘orchestre’ per
ospitare i musicisti durante le feste dei Torlonia, sono disposte sale in
stile gotico, neorinascimentale e neoclassico mentre al piano superiore
si apre una stanza egizia. Si tratta di un esempio unico per ricchezza e
fastosità, che documenta la cultura artistica dell’epoca.
Le sale del pianterreno e del primo piano, completamente
rivestite di decorazioni, ospitano il MUSEO DELLA VILLA: Sculture e arredi
sono stati collocati nelle sale per ricreare l’ambiente di una residenza
principesca dell’Ottocento romano. Gli arredi hanno sostituito quelli
originali andati perduti, a eccezione dei mobili della camera da letto di
Giovanni Torlonia, poi usati da Mussolini, ritrovati in un deposito del
Provveditorato dello Stato e concessi in comodato. Le sculture esposte
costituiscono solo una piccola parte della magnifica collezione Torlonia
(ancora quasi tutta proprietà privata), che comprende opere antiche e
neoclassiche tra le quali tre splendidi rilievi a stucco di Antonio
Canova, rinvenuti nel 1997 nei sotterranei del Teatro. Nel piano
seminterrato sono stati restaurati il bunker antigas e il bunker
antiaereo, fatti realizzare da Mussolini, e la finta tomba etrusca
scoperta durante i lavori, splendida sala ipogea completamente
affrescata a imitazione dello stile etrusco (saranno visitabili con
modalità particolari). Due stanze del pianterreno ospitano una ricca
sezione documentaria (con filmati, documenti, pannelli fotografici)
relativa alla storia della villa e della famiglia Torlonia.
Il secondo piano dell’edificio, privo di apparati decorativi, ospita Il
MUSEO DELLA SCUOLA ROMANA, pregevole raccolta di opere di artisti di
questo movimento affermatosi nella capitale tra le due guerre (Mafai,
Antonietta Raphaël, Antonio Donghi, Cagli, Leoncillo, Trombadori,
Francalancia, Mirko Basaldella, Fazzini, Ferrazzi, Pirandello, Cavalli,
Capogrossi, Vespignani e altri).
CASINO DEI PRINCIPI. Restaurato nel 2002, ospita al piano terreno
l’ARCHIVIO DELLA SCUOLA ROMANA, mentre i due piani nobili sono destinati
a esposizioni temporanee. L’eccezionale documentazione dell’Archivio
cartaceo della Scuola Romana, che testimonia l’attività del movimento
omonimo, comprende lettere, manoscritti, diari in gran parte inediti,
libri, cataloghi, riviste e una considerevole fototeca.
CASINA DELLE CIVETTE. È sede di un interessante ed unico MUSEO
dedicato alla vetrata artistica. Le originarie vetrate, realizzate tra il
1910 e il 1925 dal grande artigiano romano Cesare Picchiarini su
disegni di Duilio Cambellotti, Umberto Bottazzi e Paolo Paschetto,
offrono un vasto campionario che permette di capire l’affermarsi e
l’evolversi dell’arte della vetrata a Roma in quegli anni. La collezione
originaria della Casina è stata arricchita con altre vetrate degli stessi
autori e soprattutto con disegni, bozzetti e cartoni preparatori spesso
riferiti proprio alle vetrate commissionate dal principe. La varietà dei
materiali che arredano le stanze della Casina offre al visitatore un
percorso di grande interesse, alla continua scoperta di particolari
inediti e suggestivi, in un dialogo continuo tra gli esuberanti elementi
decorativi dell’edificio e le opere che vi sono esposte.

VIA DE ROSSI, che si raggiunge a sin. di villa Torlonia seguendo


via Alessandro Torlonia e piegando ancora a sin., era prevista dal
piano del 1909 ma si configurò definitivamente dopo lo
smembramento di villa Massimo. La palazzina Zaccardi (N. 12; Mario
Ridolfi e Volfango Frankl, 1950-51) è una riuscita rivisitazione del
linguaggio razionalista; al N. 9, l’edificio dell’Ordine dei Medici
(progetto di Piero Sartogo, Carlo Fegiz e Domenico Gimigliano del
1966-72) denuncia all’esterno, nell’immagine estremamente articolata
(abolizione del piano di facciata, sfalsamento dei volumi e riduzione
dei materiali costruttivi), le diverse destinazioni d’uso degli spazi
interni. Più avanti la via si apre a d. nel largo che prende nome da villa
Massimo, originariamente confinante con villa Torlonia e divisa nel
1910 in due parti: la più ampia ha mantenuto il nome ed è sede
dell’Accademia Tedesca.
Il tratto successivo di via De Rossi costeggia la chiesa dei Ss.
Martiri Canadesi (Bruno Apollonj Ghetti, 1955); la facciata cieca
nasconde una serie di archi ogivali binati connessi da volte a crociera.
Nell’interno, imponente ciborio dell’Apollonj Ghetti con rivestimenti in
ceramica di Angelo Biancini (al culmine, Crocifissione); organi con
sculture e rilievi di Francesco Nagni; vetrate di Jànos Hajnal e Marcello
Avenali.
LARGO XXI APRILE, dove si sbocca, è ornato nello spazio verde
dal monumento ai Caduti della Guardia di Finanza (Amleto Cataldi,
1930) e su esso prospetta uno dei corpi principali, connessi da edifici
più bassi, della caserma della Guardia di Finanza, costruita su progetto
di Arnaldo Foschini nel 1913-15; sulla retrostante piazza Armellini (la
si raggiunge percorrendo, a sin. dell’area militare, via Nardini) il
Museo della Guardia di Finanza (ingresso al N. 20; t. 0644237184)
testimonia con reperti e documenti l’opera del corpo.

L’UFFICIO POSTALE (Mario Ridolfi, 1933-35) di piazza Bologna, al


fondo del tratto di d. di viale XXI Aprile, ha costituito, insieme ai
fabbricati similari di via Taranto → e di via Marmorata →, un
importante momento di verifica del lessico del primo moderno. Esso
unisce una forte connotazione morfologica a una spiccata valenza
urbana: composto di un unico volume sinuoso, presenta una lunga
pensilina curvilinea che recupera l’allineamento con la piazza.

VERSO S. AGNESE FUORI LE MURA. Il tratto di sin. di viale XXI Aprile


sale verso la Via Nomentana costeggiando a d. (numeri 21-29) una
casa convenzionata (Mario De Renzi, 1931-37), mentre più avanti si
stacca a sin. via Marchi, dove (N. 1) è il villino Papanice che Paolo
Portoghesi e Vittorio Gigliotti progettarono nel 1969 utilizzando una
complessa geometria curvilinea.
Di nuovo sulla Nomentana, la si percorre in direzione della
periferia incontrando al N. 349 la Canonica con protiro (Andrea Busiri
Vici, 1856) della *basilica di S. Agnese fuori le Mura, al cui
interno sono le catacombe di S. Agnese e il mausoleo di S. Costanza.
Eretta nel 342 da Costanza, figlia o nipote di Costantino, sopra l’area
cemeteriale che accoglieva le spoglie della santa, è uno degli esempi
più integri e insigni di basilica cristiana di influenza bizantina (matronei
e mosaico absidale); riedificata da Onorio I e più volte restaurata,
rivolge alla Nomentana l’abside, affiancata dal campanile
quattrocentesco a due piani di bifore rinascimentali.

LA BASILICA PROPRIAMENTE DETTA. L’androne al N. 349 dà accesso


al cortile del convento dove a d., dietro un’invetriata, è la cappella
detta STANZA DI PIO IX dall’affresco di Domenico Toietti (1858) che
rappresenta il papa uscire incolume con la corte dallo sprofondamento
del pavimento della Canonica; nell’ambiente sono anche resti di
affreschi (Adorazione dei Magi e santi) del sec. XIII, una Madonna in
trono con S. Ansano e un’*Annunciazione gotico-rinascimentale
(1454).
Dal cortile si esce in un piazzaletto ornato a d. da un portale
rinascimentale con stemma di Giulio II e soprastante bifora. Una larga
scalinata marmorea del 1590 (alle pareti, frammenti lapidei e reperti
architettonici dalle catacombe, nonché lastre marmoree dell’antico
recinto presbiteriale) scende nella chiesa. L’interno, preceduto da
nartece, è a tre navate con colonne antiche dai bellissimi capitelli
corinzi; sopra le navi laterali corrono i matronei, pure con belle
colonne del sec. VII; il soffitto a cassettoni, di legno intagliato e
dorato, risale al 1606 ed è stato restaurato nel 1855. L’affresco
(Martirio di S. Agnese) sopra l’arcone dell’abside è di Pietro Gagliardi;
le sante sulle pareti laterali e sul nartece sono del Toietti con l’aiuto di
Giuseppe Sereni (1856). Nel semicatino dell’abside, *mosaico (al
centro, su fondo oro, figura stilizzata di S. Agnese, con ai piedi le
fiamme e la spada del martirio e sulla veste la fenice simbolo
dell’immortalità) del tempo di Onorio I, uno dei più alti esempi di arte
bizantina in Roma; ai lati i papi Simmaco e Onorio, quest’ultimo col
modello della chiesa. La curva dell’abside, rivestita di cipollino, è
scompartita da paraste in porfido. Sotto il ciborio (1614), con quattro
colonne di porfido, l’altare copre i resti delle Ss. Agnese ed
Emerenziana. Sull’altare, statua della santa di Nicolas Cordier (1605),
che aggiunse a un torso di scultura antica, di alabastro orientale
agatizzato, la testa, le mani e la veste di bronzo dorato; a sin.,
candelabro marmoreo romano. In fondo all’abside, antica cattedra.
Nella 2ª cappella d., dittico marmoreo per altare (Ss. Stefano e
Lorenzo) voluto da Guillermus De Pereriis (1490) e di bottega di
Andrea Bregno; busto di Gesù, già attribuito a Michelangelo ma
piuttosto del Cordier.
Dalla porta mediana della basilica si esce in un cortile su cui
prospetta la semplicissima facciata in cotto, in gran parte di restauro.

LE CATACOMBE DI S. AGNESE (accesso dal nartece, a sin.;


www.santagnese.org/catacombe), anteriori alla deposizione della
martire avvenuta sotto la persecuzione di Valeriano o Diocleziano,
sono prive di pitture e si stendono su tre livelli in quattro regioni: la
più antica a sin. della basilica, la quarta (seconda metà sec. IV) sotto
l’atrio della chiesa costantiniana.

IL *MAUSOLEO DI S. COSTANZA. Di nuovo nel piazzaletto, si segue il


selciato che, voltando a d., scende a un secondo piazzale dove sorge il
monumento, eretto a inizi sec. IV per Costanza ed Elena, figlie di
Costantino, e trasformato dapprima in battistero e nel 1254 in chiesa.
Singolare e magnifico esempio di struttura a pianta centrale, è
preceduto dai resti del NARTECE (pianta, 1), absidato ai lati e con due
nicchie rettangolari fiancheggianti l’ingresso. L’interno è
impressionante per lo stupendo ritmo strutturale, ancora legato ai
modi dell’architettura romana, e per l’effetto della luce proveniente dai
12 finestroni centinati (le transenne sono di restauro) che si aprono
sotto la CUPOLA (diametro m 22.5); questa è sorretta da 12 coppie di
colonne di granito poste radialmente, con capitelli marmorei di ordine
composito (ogni coppia è riunita da una complessa trabeazione su cui
sono impostate le arcate) ed è ornata di affreschi guasti (Cristo tra
cori angelici) del 1620 circa. L’AMBULACRO che gira all’intorno è coperto
da una volta a botte rivestita da magnifici *mosaici, tra i più antichi
(sec. IV) murali giunti fino a noi, che conservano i caratteri dell’arte
musiva romana (fondo bianco; composizione geometrica di alcuni
scomparti; motivi ornamentali, tra cui quelli vendemmiali); le figure
centrali, nelle campate a d. e a sin. dell’ingresso, sono Costanza e
Annibaliano, suo marito. Nell’absidiola d. (2), Cristo barbato sul globo
consegna a S. Pietro un rotolo (originariamente le chiavi), mosaico di
fine sec. IV restaurato nel 1843; nell’absidiola sin. (3), coeva «Traditio
legis», con Cristo giovanile e bei paesaggi di fondo, entro cornice a
foglie e frutta. Nella nicchia (4) opposta all’ingresso, decorata con un
cielo stellato, calco del sarcofago di Costantina (l’originale è ai Musei
Vaticani); nelle altre nicchie laterali, semicircolari e quadrate, resti di
affreschi dei sec. XV e XVII.
ALLA CITTÀ GIARDINO ANIENE. Disponendo di un’autovettura o
valendosi dei frequenti autobus pubblici che percorrono la
Nomentana, si può proseguire incontrando al N. 355 villa Nomentana,
quasi interamente ricostruita da Giuseppe Mariani nel 1906 secondo
un disegno medievaleggiante; il sepolcro in laterizio e marmo ubicato
nello spartitraffico, proveniente da Tor di Quinto e qui ricomposto da
Giacomo Boni, nasconde villa Blanc (N. 216; Francesco Mora e
Giacomo Boni, 1896-97), complesso liberty di straordinaria
omogeneità con decorazioni di Adolfo De Carolis e Alessandro Morani
(c. 1900).
Si lascia a sin. via Asmara – dove, da una porta nella recinzione
del parco di villa Leopardi, si accede al Cimitero Maggiore (visita a
richiesta alla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra), sorto nel
sec. III e interessante per le pitture e per le cattedre intagliate nel tufo
simboleggianti la presenza ideale dei defunti ai banchetti rituali – e
sullo stesso lato si costeggia, in angolo con via Tembien (N. 3), un
palazzo (Angelo Di Castro, 1949-54) segnato da ampie fasce
orizzontali e dalle finestre a nastro. Percorrendo per breve tratto via
Tripoli e voltando poi a d. in via Chisimaio si raggiunge, in piazza Elio
Callisto, la cosiddetta sedia del Diavolo, in realtà mausoleo di Elio
Callisto liberto di Adriano (metà sec. II): si tratta di una tomba a
tempietto su podio in laterizi con nicchie per deposizioni nella cella
inferiore ed edicola in quella superiore; in corrispondenza di
quest’ultima l’esterno presenta, sul lato posteriore, una partizione
architettonica a lesene corinzie e finestre.
La Nomentana oltrepassa il cavalcavia ferroviario da dove, a sin.,
si vede il sottostante viale Etiopia caratterizzato dalle case a torre di
Mario Ridolfi e Volfango Frankl (d.; 1951-54) e di Mario Fiorentino
(sin.; 1957-62). Lasciato a d. l’originario tracciato della strada romana,
che scende all’Aniene scavalcandolo con il *ponte Nomentano
(della struttura del sec. I resta l’arcata centrale, mentre la parte
superiore, sopraelevata e fortificata nel Medioevo, appartiene al
restauro di Narsete del 552), si percorre il ponte Tazio che Gustavo
Giovannoni realizzò nel 1927 nell’ambito del progetto urbanistico della
Città Giardino Aniene e in asse con piazza Sempione, ‘porta’
dell’intervento per chi giunga dalla città. Vi prospettano la chiesa dei
Ss. Angeli Custodi di Giovannoni (1922-24) e il Palazzo pubblico di
Innocenzo Sabbatini (quello porticato sulla piazza, 1921-23; quello in
angolo con via Gargano, 1922-25), segnato dalla torre dell’orologio e
raccordato da un basso portico agli edifici adiacenti. Il piano della
Città Giardino Aniene (1920), redatto da Giovannoni con Quadrio
Pirani ed Edmondo Del Bufalo, presta grande attenzione al rispetto
della morfologia della collina; l’intervento si sviluppa lungo viale
Gottardo a SO e i viali Carnaro e Adriatico a NE, destinando a verde
un’ampia area a ridosso del fiume.

8.6 LA VIA TIBURTINA


E LA CITTÀ UNIVERSITARIA

Di antichissima origine, la via, che prende nome da «Tibur»


(Tìvoli), fu per millenni il percorso più diretto per la transumanza dai
monti dell’Abruzzo alle pianure tirreniche. In epoca repubblicana
iniziava dalla porta Esquilina (l’odierno arco di Gallieno) delle mura
Serviane, dopo l’erezione di quelle aureliane dalla porta Tiburtina; al
307 a.C. risale il suo prolungamento, attuato dal console Marco
Valerio Massimo (da qui il nome di Tiburtina Valeria), fino a
«Corfinium» (Corfinio).
In età imperiale sorsero lungo la strada sepolcri e ville a
destinazione agricola, nei primi tempi del Cristianesimo catacombe e
la basilica costantiniana presso la tomba di S. Lorenzo, mentre
nell’alto Medioevo iniziò il recupero della campagna sotto lecclesiastica
e, tra l’XI e il XIV sec., sorsero torri di vedetta e nuclei fortificati, molti
dei quali successivamente trasformati o inglobati in casali (di
Pratolungo) o castelli.
La scelta dell’area del Verano per il cimitero pubblico orientale da
parte dell’amministrazione francese e, sotto Pio IX, la creazione della
ferrovia furono le premesse per la concentrazione nell’area dei servizi
pubblici a scala urbana realizzati dopo l’Unità (policlinico Umberto I,
scalo merci di S. Lorenzo, Ministero dell’Aeronautica, Città
Universitaria), che hanno condizionato la crescita e il carattere degli
insediamenti abitativi: a fine Ottocento nacque il quartiere di S.
Lorenzo, a destinazione operaia e proletaria e a carattere sia abitativo
sia produttivo (officine e piccole industrie), negli anni ’20 del secolo
successivo il Tiburtino II, qualificato esempio delle teorie urbanistiche
della città giardino, mentre nelle zone più lontane sorsero le «borgate
rurali» (Settecamini) e, nel ventennio, quelle per immigrati e sfrattati
dal centro storico (S. Basilio, Pietralata, Tiburtino III), che saranno i
poli della saldatura urbana a intensivi già prevista dal piano regolatore
del 1931 ma realizzata soprattutto nel dopoguerra (interventi INA-
Casa al Tiburtino e a Ponte Mammolo; UNRRA-CASAS a S. Basilio);
con la costruzione, dagli anni ’30, di fabbriche e stabilimenti cominciò
a delinearsi uno degli assi industriali della città, particolarmente denso
di insediamenti tra ponte Mammolo e Settecamini.
L’itinerario automobilistico (km 14.3; pianta →) ha motivi di
grande interesse soprattutto nella prima parte, dove, oltre alla basilica
di S. Lorenzo fuori le Mura, si visita la Città Universitaria, notevole per
valore architettonico e urbanistico.
IL QUARTIERE DI S. LORENZO. Da piazzale Tiburtino → s’imbocca la
Via Tiburtina moderna, allargata e rettificata intorno al 1880 come
‘passeggiata’ verso il Verano, incrociando a sin. la via Tiburtina antica,
originario tratto iniziale della strada romana che il percorso attuale
ricalca solo in pochissimi punti, e attraversando il quartiere sorto come
intervento di speculazione privata con destinazione popolare.

LA FORMAZIONE E I CARATTERI. L’urbanizzazione dell’area, iniziata


nel 1878 a S della Tiburtina e continuata nel primo dopoguerra a N, si
concluse negli anni ’30; con la ricostruzione a seguito del
bombardamento del 19 luglio 1943 furono edificate le ultime aree
libere e cominciarono la sostituzione degli inquilini e la
terziarizzazione, cui si è accompagnata la cessazione di svariate
attività industriali e artigianali. La toponomastica, tipicamente post-
unitaria, ricorda gli antichi popoli italici; l’edilizia tardo-ottocentesca –
visibile soprattutto a d. della via in un’area edificata riprendendo il
piano a scacchiera umbertino – è prevalentemente a blocco chiuso e
ripropone all’esterno, in tono più dimesso, l’eclettismo che caratterizza
i coevi quartieri borghesi (Esquilino, Castro Pretorio, Prati), mentre
all’interno le esigenze di sfruttamento intensivo imposero in alcuni casi
l’adozione della tipologia a ballatoio rara per Roma. ‘Emergenza
monumentale’ è la parrocchiale neoromanica dell’Immacolata e S.
Giovanni Berchmans (1906-1909).

LA CITTÀ UNIVERSITARIA. La Tiburtina lascia a sin., oltre l’area a


verde, via dei Luceri che, divenuta via dei Liburni e costeggiato il
fianco del palazzo del Consiglio Nazionale delle Ricerche (la biblioteca,
scientifico-tecnica, riunisce c. 600000 volumi e c. 10000 testate di
periodici), sbocca nel piazzale Aldo Moro – già delle Scienze – dove è
l’ingresso principale all’Università La Sapienza.

Sorta nel 1933-35 in sostituzione della prima sede nel palazzo


della Sapienza su un’area di 22 ettari a essa destinata dalla variante
del 1925, rappresenta una delle più importanti realizzazioni
architettoniche del fascismo. Marcello Piacentini ne predispose lo
schema generale, d’impianto dichiaratamente classico, con due assi
principali ortogonali e piazza centrale dominata dal Rettorato, attorno
al quale si disposero simmetricamente, in subordinazione gerarchica,
gli edifici delle facoltà, articolati liberamente nelle planimetrie e nei
volumi; per la progettazione di questi ultimi Piacentini chiamò e
coordinò alcuni dei migliori architetti sia della corrente razionalista sia
della tradizione accademica. L’incremento delle iscrizioni ha
comportato sin dagli anni ’50 adeguamenti funzionali degli istituti con
ampliamenti, sopraelevazioni, sostituzioni e costruzioni nelle aree
libere, che hanno alterato sia le singole architetture sia il rapporto tra
zone verdi ed edificato.

ALL’INTERNO DEL COMPLESSO. L’ingresso è enfatizzato dall’altissimo


portico a pilastri tra due propilei con fontane collegati agli edifici della
CLINICA ORTOPEDICA e degli ISTITUTI DI IGIENE, MICROBATTERIOLOGIA E
PARASSITOLOGIA, il tutto opera di Arnaldo Foschini; sempre sul fronte
esterno, all’angolo dei viali delle Scienze e dell’Università, è il
DOPOLAVORO UNIVERSITARIO con il TEATRO ATENEO di Gaetano Minnucci. Si
percorre l’alberato viale centrale lasciando a sin., a fondale della prima
trasversale, la CAPPELLA DELLA DIVINA SAPIENZA, offerta da Pio XII e
realizzata da Marcello Piacentini nel 1950-51 a pianta ellittica con
rivestimento in laterizio e travertino e cupola ribassata: sul portale,
lunetta (Cristo maestro) di Romano Romanelli, su quello verso viale
delle Scienze, statua della Madonna col Bambino di Arturo Dazzi;
all’altare Crocifisso in bronzo di Venanzio Crocetti (il retrostante
affresco è di Giovanni Brancaccio); nella cripta, con struttura in
cemento armato a travature incrociate e pilastri a colonna, Pietà di
Giovanni Prini.
Il viale centrale, che costeggia a d. l’ISTITUTO DI CHIMICA (Pietro
Aschieri) e a sin. l’ISTITUTO DI FISICA (Giuseppe Pagano), sbocca nella
piazza ornata al centro dalla Minerva in bronzo di Arturo Martini.
Dietro si erge il *PALAZZO DEL RETTORATO, di Piacentini, rivestito in
travertino e con monumentale pronao a pilastri su alta scalea:
all’interno sono l’Aula Magna, decorata da un affresco (l’Italia tra le
Arti e le Scienze) di Mario Sironi, e la Biblioteca Universitaria
Alessandrina, fondata da Alessandro VII nel 1670 nel palazzo della
Sapienza e ricca di oltre 1000000 di volumi (numerosi i fondi) e di c.
16000 periodici. L’edificio è collegato a d. con la FACOLTÀ DI LETTERE E
FILOSOFIA (Gaetano Rapisardi), che ospita il Museo dell’Arte classica
(t. 0649913955), fondato nel 1892 da Emanuele Loewy e che riunisce
calchi di sculture greche e greco-romane dall’età arcaica al tardo
ellenismo, il Museo delle Antichità Etrusche e Italiche (t.
0649913315) e il Museo delle Origini (t. 0649913924), dedicato alle
culture preistoriche in Italia comparate con quelle europee, africane e
asiatiche; a sin. invece è la FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA E SCIENZE POLITICHE
pure del Rapisardi (i Dioscuri in bassorilievo sono di Corrado Vigni). I
lati brevi della piazza sono definiti dall’ISTITUTO DI MATEMATICA (d.; Gio
Ponti;) e dal PALAZZO DELLE SCIENZE GEOLOGICHE (sin.; Giovanni
Michelucci), dove hanno sede l’Istituto di Mineralogia con annesso
museo e l’Istituto di Geologia e Paleontologia e relativo museo; a d.
dell’istituto è il monumento agli Studenti caduti nella guerra 1915-18
con gruppo bronzeo di Amleto Cataldi (1920). Allestito Presso il
Dipartimento di Matematica ha sede il Museo della Matematica (t.
0658331022, www.comune.roma.museomatematica.it) in attesa di
trasferimento nel Castelletto di villa Sciarra (via Dandolo 45) Ha
l’intento di divulgare la cultura matematica attraverso l’uso concreto di
«macchine matematiche». L’idea è quella di creare un vero e proprio
centro sperimentale civico, il primo del genere in Italia, dotato di
laboratori di sperimentazione e ambienti espositivi dedicati agli
strumenti di calcolo e ai modelli geometrici.
Due passaggi a fianco del Rettorato portano al retrostante
piazzale su cui prospetta a d. l’ISTITUTO DI BOTANICA (Giuseppe
Capponi), sede di uno dei maggiori erbari d’Europa, alle cui spalle
sono stati costruiti gli ampliamenti per Chimica e Fisica (1977) e
l’ISTITUTO DI CHIMICA FARMACEUTICA E TOSSICOLOGIA (Massimo Boschetti,
Luciano Giovannini, Massimo Battaglini e Marino Lombardi, 1956-62).
Su via De Lollis, opposti ai moderni ampliamenti, sono la sede
dell’OPERA UNIVERSITARIA (Enrico Mandolesi, 1967) e la CASA DELLO
STUDENTE (Giorgio Calza Bini, Francesco Fariello e Saverio Muratori).
Sul lato di fondo del piazzale sono il CENTRO DEI SERVIZI GENERALI
(Stanislao Chiapponi e Alberto Clementi, 1970-80) e, arretrato,
l’ISTITUTO DI FARMACOLOGIA (Claudio Dall’Olio e Alfredo Lambertucci,
1958-62), alle cui spalle è l’ISTITUTO DI MEDICINA LEGALE (Massimo
Castellazzi, 1967). Sul lato sin. del piazzale si allineano la FACOLTÀ DI
SCIENZE STATISTICHE, DEMOGRAFICHE E ATTUARIALI (alle spalle di quella di
Giurisprudenza) e gli ISTITUTI DI FISIOLOGIA GENERALE, PSICOLOGIA e
ANTROPOLOGIA, opera del Michelucci, alle cui spalle, con facciata su viale
dell’Università, sono tre edifici realizzati entro gli anni ’20 in funzione
dell’antistante policlinico: in quello al N. 32 è l’ISTITUTO DI ZOOLOGIA con
biblioteca specializzata; in quello al N. 34A ha sede il Museo di Storia
della Medicina (t. 064991445; www.histmed.it), istituito nel 1938.

IL POLICLINICO UMBERTO I, a NO della Città Universitaria, fu


realizzato su progetto di Giulio Podesti nel 1889-1903 e più volte
integrato: il complesso, che ospita una biblioteca specializzata con
oltre 150000 volumi, è costituito da una sequenza di padiglioni di
architettura classicheggiante inframmezzati da giardini e collegati da
percorsi aerei su colonne di ghisa.
Parallelo a viale delle Scienze è viale Pretoriano, con l’austero
blocco rivestito di laterizio e travertino del palazzo del Ministero
dell’Aeronautica (Roberto Marino, 1929-31), uno dei primi edifici
pubblici concepiti nello spirito del «Novecento».

*S. LORENZO FUORI LE MURA. La Via Tiburtina, lasciati a d. in


angolo con via degli Ausoni l’ex pastificio Cerere (1911) – il più
interessante esempio di archeologia industriale del quartiere – e (N.
207) una palazzina dal curioso gruppo plastico in maiolica policroma
con tre personaggi in costume affacciati alla finestra, sbocca
nell’ampio piazzale del Verano: i giardini, nei quali è il monumento a
Pio XII (Antonio Berti, 1967), hanno come fondale i prospetti del
cimitero del Verano → e la basilica, detta anche di S. Lorenzo al
Verano e una delle cinque patriarcali, il cui organismo è l’eccezionale
risultato della fusione delle due chiese sorte a fine sec. VI e a inizi XIII
intorno al veneratissimo sepolcro dell’omonimo diacono spagnolo
martire sotto Valeriano.

LA STORIA. Verso il 330 Costantino sistemò la cripta che custodiva


le reliquie e costruì una basilica a destinazione prevalentemente
cemeteriale (secondo altri essa venne eretta nel sec. V sotto Sisto III)
di cui nel 1950 e durante gli scavi del 1957 sono stati rinvenuti resti
(«basilica maior»); Pelagio II (sec. VI) eresse invece, come
ampliamento del sacello contenente la tomba di S. Lorenzo, la
«basilica minor», parallela e con il medesimo orientamento di quella
costantiniana. Andata distrutta tra il IX e il XII la basilica funeraria,
Clemente III costruì il chiostro e iniziò la fortificazione della cittadella
sacra («Laurentiopolis»), mentre Onorio III conferì alla chiesa
l’aspetto che tuttora conserva erigendo una seconda basilica (sec.
XIII), con ingresso sul lato opposto, in prosecuzione di quella pelagiana
che venne parzialmente interrata. Dei numerosi restauri, il più radicale
fu quello operato in forme puriste da Virginio Vespignani (1855-64) in
parallelo alla sistemazione del vicino cimitero e cancellato in buona
parte dal lungo intervento successivo al bombardamento del quartiere
di S. Lorenzo, che ha riportato l’edificio a un aspetto assai vicino a
quello duecentesco.

L’ESTERNO. Preceduta da una colonna di granito sormontata dalla


statua bronzea di S. Lorenzo (Stefano Galletti, 1865), la facciata in
laterizio, del tipo a terminazione orizzontale a sguscio e con tre
finestre ad arco, fu ricostruita dopo il bombardamento; le è anteposto
un PORTICO (pianta →, 1) probabilmente dei Vassalletto (c. 1220): le
sei colonne di spoglio a capitelli ionici di imitazione e i pilastri angolari
sorreggono la trabeazione, ornata di un fregio a dischi di porfido e
serpentino, di mosaici frammentari e di una cornice intagliata a
fiorami (le protomi leonine fungono da doccioni).
A destra della chiesa, arretrato, è il monastero, la cui facciata ha
un portico a quattro arcate ribassate su colonne antiche cui
corrispondono altrettante eleganti esafore; lo precede il campanile in
laterizio (fine sec. XII ma restaurato), nelle forme tipiche del romanico
laziale.

SOTTO IL PORTICO, ai lati del portale mediano, leoni romanici


dall’antico protiro; alle pareti, affreschi (su quella di fondo, storie dei
Ss. Lorenzo, a d. dell’ingresso, e Stefano a sin.; su quella d. storia del
conte Enrico devoto di S. Lorenzo; su quella sin. storia della messa
miracolosa di S. Pietro nel 1061, rifatta nell’800) di fine sec. XIII e
restaurati dopo il bombardamento; lungo la parete d., monumento
funebre a tegurio su colonnine e, accanto, sarcofago con ritratto della
defunta (entro clipeo) e storie del Vecchio e Nuovo Testamento (fine
sec. IV); a d. del portale, stele marmorea a ricordo della visita di Pio
XII il 19 luglio 1943; a sin. *sarcofago a forma di letto con rilievi di
vendemmia (sec. VI); alla parete sin. monumento ad Alcide De Gasperi
di Giacomo Manzù.

NELL’INTERNO è subito percepibile l’aspetto non omogeneo del


complesso, con le due basiliche contigue ma non coassiali: quella di
Onorio III (B) e quella di Pelagio II (A), adattata a presbiterio. La
basilica onoriana è a tre navate divise da 22 colonne, di dimensioni e
marmi diversi, provenienti, al pari di alcune basi e di parte della
trabeazione, da un edificio antico («basilica maior»?); i capitelli ionici
sono di fattura medievale; il soffitto è a capriate lignee. Addossata alla
controfacciata, tomba del cardinale Guglielmo Fieschi (m. 1256; 2)
con *sarcofago raffigurante il rito nuziale (sec. III) e baldacchino
cosmatesco. Il pavimento, i due *amboni (3 e 4) e il candelabro
pasquale sono cosmateschi (prima metà XIII). Della decorazione sulle
pareti della NAVATA CENTRALE, realizzata sotto Pio IX, si sono conservati
solo l’affresco dell’arco trionfale e quello ora in controfacciata, opere
di Cesare Fracassini. Alla parete della NAVATA D. sono frammenti di
affreschi (quattro santi e Madonna con Bambino e santi) dall’area
retrostante alla basilica e opera del pittore Crescentius; in fondo alla
navata è la cappella di S. Tarcisio (5) di Virginio Vespignani, con S.
Ciriaca che seppellisce S. Lorenzo di Emilio Savonanzi (1619) e, a sin.,
la *Decollazione del Battista di Giovanni Serodine (1619). In fondo alla
NAVATA SIN., ai lati dell’ingresso alla sotterranea cappella di S. Ciriaca
(6) ridecorata nel 1676, sono le tombe di Gerolamo Aleandri e di
Bernardo Guglielmi su disegno di Pietro da Cortona (i busti sono di
François Duquesnoy).
La piattaforma che regge l’altare maggiore segna l’andamento
dell’abside della basilica pelagiana, ritrovata durante gli scavi del
1947-49; la tomba di S. Lorenzo si vede nella confessione, sistemata
dal Vespignani, tra quattro colonne antiche di breccia bianca e nera.
Per due scalette si sale al PRESBITERIO, eretto sopra la navata
centrale della basilica pelagiana. Lo inquadrano le colonne scanalate di
pavonazzetto con basi ioniche e capitelli corinzi, appartenenti alle
navate laterali della sottostante basilica pelagiana, su cui poggia la
superba trabeazione (sec. IV; di spoglio) con trofei di armi e fogliami
che sorregge il matroneo, scandito da colonnine a capitelli compositi.
Il magnifico *pavimento musivo cosmatesco risale ai lavori di Onorio
III al pari dell’attuale collocazione del *ciborio (7), la più antica
(1148) opera firmata da marmorari romani (Giovanni, Pietro, Angelo e
Sasso, figli di Paolo), composto da quattro colonne di porfido trabeate
e copertura piramidale (in parte di restauro ottocentesco) su doppia
galleria di colonnine e lanternino. Sul fondo è la *cattedra episcopale
(1254; 8) con dossale trilobato, decorata di dischi e riquadri in porfido
e serpentino e incrostata di mosaici. Sulla fronte dell’arco trionfale che
in origine era volta ai fedeli, *mosaico (Gesù tra i Ss. Paolo, Stefano e
Ippolito a d. e Pietro, Lorenzo e papa Pelagio a sin.; nel sottarco,
*fascione di fiori e frutti) di fine sec. VI.
Dalle estremità delle navate laterali della basilica onoriana si
scende al livello di quella pelagiana (A) che, secondo un’architettura di
stretta derivazione bizantina, era a tre navate con matronei precedute
da endonartece (l’attuale parete di fondo); tale vano è stato
trasformato (Raffaele Cattaneo, 1882-95) nella ricchissima cappella
funeraria di Pio IX (9; i mosaici sono su disegno di Ludovico Seitz).

LE CATACOMBE DI CIRIACA. Il *CHIOSTRO (fine sec. XII), cui si accede


dalla cappella di S. Tarcisio attraverso la sagrestia, è ad arcatelle con
colonnine singole e binate e piano superiore con polifore (le finestre
risalgono al sec. XV), e conserva sulle pareti iscrizioni e resti di sculture
classiche e medievali; da esso si accede al complesso cemeteriale,
dove sono alcune interessanti pitture (Cristo tra due santi, Giona,
Mosè, Buon Pastore).

IL CIMITERO MONUMENTALE DEL VERANO, che si sviluppa a d. e


dietro la basilica, venne istituito sotto l’amministrazione francese in
ottemperanza alle disposizioni dell’editto di St-Cloud (1804) che
vietava la sepoltura entro i centri abitati. Il primo nucleo, progettato
da Giuseppe Valadier nel 1807-1812, fu continuato sotto Gregorio XVI
e Pio IX da Virginio Vespignani, cui si devono la chiesa, il quadriportico
e l’avvio della sistemazione del «Pincetto» (l’ingresso fu compiuto nel
1880); ampliamenti si sono poi succeduti fino agli anni ’60 del sec. XX,
quando è stato aperto il cimitero Flaminio →.

NELLA ‘CITTÀ DEI MORTI’. Il monumentale INGRESSO a tre fornici tra


due massicci corpi di fabbrica – ornato di quattro colossali statue della
Meditazione (Francesco Fabj-Altini), della Speranza (Stefano Galletti),
della Carità (Fabj-Altini) e del Silenzio (Giuseppe Blasetti), risalenti al
1874-78 – dà accesso al vasto QUADRIPORTICO, opera del Vespignani al
pari della CAPPELLA DI S. MARIA DELLA MISERICORDIA posta in fondo al viale
(1859; nell’interno, Le anime purganti, pala di Tommaso Minardi). Tra
i monumenti spiccano quelli del pittore Tommaso Minardi (Luigi
Fontana, 1876), del generale Giacomo Medici (Giulio Monteverde,
1884) e di Erminia Fuà Fusinato del Galletti (1876). Sul «Pincetto»,
monumento ai Caduti pontifici della battaglia di Mentana di Vincenzo
Luccardi; inoltre, monumento ai Marinai del sommergibile Sebastiano
Veniero (Publio Morbiducci, 1930) e, verso la ferrovia, monumento-
ossario dei Caduti romani nella guerra 1915-18 (Raffaele De Vico,
1922-31).

VIALE REGINA ELENA, che si stacca dal fondo del piazzale verso
NO, è tratto dell’arteria – iniziata intorno al 1880 – che costituì la
circonvallazione E della prima periferia romana: lungo il lato d. si
susseguono l’Istituto superiore di Sanità e l’Istituto Regina Elena,
edificati in parte sulle catacombe di Novaziano (sec. III-IV; visita a
richiesta alla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra) scoperte
nel 1926.

LA VIA TIBURTINA lascia a sin. via del Castro Laurenziano, dove


(N. 9) è la facoltà di Scienze Economiche e Commerciali (Gaetano
Minnucci, 1961-65; l’annesso Museo di Merceologia è visitabile su
richiesta) e sbocca in piazzale Valerio Massimo dal quale si diparte a
sin. viale delle Provincie. Percorrendolo verso N e oltrepassando
l’omonimo piazzale si raggiunge la chiesa di S. Ippolito (Clemente
Busiri Vici, 1934), una delle prime ‘moderne’ della città per la
chiarezza volumetrica e la semplificazione formale, il cui nome
richiama le vicine catacombe (visita a richiesta alla Pontificia
Commissione di Archeologia Sacra). Il retrostante quartiere Tiburtino
I, costruito nel 1926-27 e incentrato su piazza Pontida, è una delle più
gradevoli realizzazioni dell’ICP, concepita con criteri estensivi e con
architetture tra il classico e il vernacolare.
La Tiburtina, sovrapassate la tangenziale est (arteria di
collegamento tra le Vie Salaria e Appia Nuova prevista dal piano
regolatore del 1962 e completata nel 1990) e la ferrovia Roma-Milano,
costeggia a sin. l’‘infinita’ teoria di intensivi del quartiere di Pietralata,
il cui toponimo allude alle tenute («Prata Lata») esistenti fino ai primi
del ’900 tra questa via e la Nomentana; l’urbanizzazione, già prevista
dal piano del 1931 e iniziata nel 1935-36 dall’ICP, fu attuata
soprattutto nel secondo dopoguerra.
Il complesso residenziale Tiburtino, a d. tra le perpendicolari vie
Facchinetti e Lucatelli, è dovuto a un gruppo di architetti diretto da
Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni. Articolato lungo via dei Crispolti
(prima traversa a sin. di via Facchinetti), è una delle prime
realizzazioni romane del piano INA-Casa e uno dei più interessanti
esperimenti di edilizia economica e popolare del dopoguerra (1950-
54), che, in reazione al razionalismo impoverito delle borgate ufficiali
del fascismo, si qualifica per un’articolazione più libera dei lotti e dei
singoli edifici (case a schiera, in linea e a torre); la chiesa di S. Maria
della Visitazione (Saverio Busiri Vici, 1965-66) ha una vistosa
copertura a pagoda in cemento armato.
Proseguendo lungo la Tiburtina in direzione di Tìvoli si raggiunge
la piazza che prende nome dalla borgata S. Maria del Soccorso (già
Tiburtino III), costruita dall’ICP nel 1936-37 nelle vicinanze del forte
Tiburtino ed ‘esplosa’ dal 1952; dopo la confluenza a d. di viale
Togliatti, arteria di scorrimento prevista dal piano del 1962 e dalla
variante del 1967 per unire la Tuscolana alla Nomentana, si varca il
fiume Aniene col nuovo ponte Mammolo, eretto da Pio IX nel 1853-57
in sostituzione dell’antico (che resta, in gran parte rifatto, più a S) e
ricostruito nel 1871.
Lasciata a sin. via del Casal de’ Pazzi lungo la quale si è
sviluppata da inizi sec. XX la borgata di Ponte Mammolo, la Tiburtina
costeggia a sin. il Carcere giudiziario di Rebibbia (Sergio Lenci, 1961-
70) e sottopassa il Grande Raccordo Anulare; subito dopo lo svincolo
si diparte a sin. via di S. Alessandro, lungo la quale sulla d. è il
pittoresco e ben conservato casale di Pratolungo, piccolo fortilizio con
torre del sec. XIII.
Ha qui inizio quella che è stata definita «Tiburtina Valley», anni fa
il maggior agglomerato manifatturiero della capitale con una notevole
presenza di industrie elettroniche.
Settecamini, km 14.3, è una «borgata rurale» m 48, sorta dal
1916. Il caratteristico bivio con via di Settecamini che si diparte a sin.
è inquadrato da due massicci casali: quello a d. è l’osteria del
Fornaccio (seconda metà sec. XVI), quello a sin. è di origine
quattrocentesca; al centro è l’ex chiesetta di S. Francesco, con vivace
facciata settecentesca; alle spalle di questa un recinto racchiude un
tratto della Via Tiburtina romana, scavato nel 1986, con resti di un
singolare edificio di servizio attraversato da un percorso basolato
semianulare e dotato di abbeveratoi e pozzi.

8.7 LA VIA PRENESTINA


E LA VIA COLLATINA

Percorso già attivo in età protostorica, la Via Prenestina, che


prende nome da «Praeneste» (Palestrina), riutilizzò nel primo tratto la
più antica via Gabina, sistemata e prolungata fino a quella città a
seguito della sua conquista da parte di Roma (338 a.C.); in età
repubblicana l’inizio si trovava in corrispondenza della porta Esquilina
(l’odierno arco di Gallieno), mentre con l’erezione della cinta aureliana
venne spostato presso porta Maggiore. In direzione di «Gabii» il
percorso procedeva su tre rettilinei (il primo fino al moderno piazzale
Prenestino, il secondo fino ai Gordiani, il terzo fino al fosso dell’Osa) e
si caratterizzava per la mancanza di forti pendenze, anche grazie a
imponenti opere artificiali tese a facilitare il trasporto del tufo dalle
locali cave. Ai ponti e agli acquedotti, alle ville e ai sepolcri di età
romana si affiancarono, soprattutto tra i sec. XII e XIV, torri, castelli e
casali fortificati, fondati spesso su preesistenze romane e dislocati
lungo gli antichi tracciati stradali o fra essi in posizione strategica; tali
fabbriche furono successivamente adattate alle trasformazioni del
territorio, fino a segnare la complessa vicenda storica del suburbio al
volgere dei sec. XVIII e XIX.
Dai primi decenni del Novecento la Via Prenestina è divenuta una
delle direttrici di maggiore, irregolare e caotica espansione della città,
delineandosi come uno degli esempi più tipici di periferia popolare
romana: oltre lo snodo ferroviario e le aree industriali non lontane
dalle mura furono costruite nel 1928-30 le borgate Prenestina e
Gordiani, le prime ‘ufficiali’, destinate agli sfollati del centro storico, e
nel 1942 quella del Quarticciolo, attorno alle quali si addensarono
nuclei spontanei di baracche ed estesi insediamenti abusivi. Una
tendenza confermata dalla variante del 1942 e dal piano regolatore
del 1962, che precisò gli interventi attraverso comprensori unitari di
edilizia pubblica e convenzionata, e infine dalle varianti degli anni ’70,
che introdussero la perimetrazione delle borgate e il recupero
urbanistico dei nuclei edilizi (insediamenti fuori piano).

L’itinerario automobilistico, che si svolge per 27.7 km lungo le Vie


Prenestina e per Poli (carta) e che termina a San Vittorino, borgo di
aspetto medievale, ha nell’area archeologica di «Gabii» il momento più
importante; la deviazione per la Via Collatina conduce invece al
castello di Lunghezza.

PIAZZALE LABICANO, fuori porta Maggiore →, è il punto di


partenza della Via Casilina (→; verso SE) e della Via Prenestina
(verso E). Nel muro di sostegno della ferrovia è l’ingresso alla
*basilica sotterranea di Porta Maggiore (visita a richiesta alla
Soprintendenza archeologica di Roma), detta anche Basilica
Neopitagorica per la presunta appartenenza all’omonima setta, le cui
decorazioni a stucco costituiscono uno degli esempi più straordinari e
relativamente ben conservati di età imperiale. Il monumento, già in
origine ipogeo, venne scoperto nel 1917 sotto uno dei binari della
ferrovia Roma-Napoli.

INTERNO. La scala moderna immette in un corridoio, oggi chiuso,


da dove, per il vestibolo sulla d., si accede all’aula, d’impianto simile al
modello delle prime chiese cristiane, a tre navate con volte a botte su
sei pilastri quadrangolari e conclusa da abside in corrispondenza della
nave centrale: le irregolarità geometriche evidenti nell’edificio
derivano dal sistema costruttivo impiegato, che utilizzò pozzi e trincee
scavati nel tufo come casseformi per il getto delle murature. La
pavimentazione dell’aula, come dell’atrio, è a mosaico bianco con
fasce perimetrali a tessere nere che contornano i pilastri e i profili di
basi (asportate in antico) per l’appoggio di statue o urne.
L’eccezionale ciclo figurativo a stucchi bianchi (prima metà sec. I),
simili a quelli della casa della Farnesina, è costituito da soggetti
mitologici e scene di genere di cui non è ancora chiara
l’interpretazione unitaria, e si svolge al di sopra di un’alta fascia di
intonaco rosso. Nella NAVATA CENTRALE, le decorazioni sono divise in tre
settori: al centro, Ratto di Ganimede; verso l’ingresso, Dioscuro che
rapisce una leucippide; intorno, scene mitiche e realistiche e, agli
angoli dei riquadri principali, episodi mitologici greci. Anche le navate
minori sono riccamente ornate, così come i pilastri e i sottarchi, ma la
rappresentazione principale è nell’ABSIDE, ove Saffo che si getta in
mare dalla rupe di Leucade – mito raramente presente nell’iconografia
classica – simboleggia la liberazione dell’anima dal peso della materia
attraverso il processo di purificazione.

VERSO IL PARCO DEI GORDIANI. Sottopassati il cavalcavia ferroviario


(qui cadeva il primo miliario della strada antica) e quello della
tangenziale est, la via si allarga nel piazzale Prenestino: a d. è la
chiesa neoromanica di S. Leone I (Giuseppe Zander, 1950-52), al cui
interno sono mosaici e vetrate di Jànos Hajnal. Sul lato opposto,
parzialmente tagliati negli anni ’40 dall’allargamento del tracciato, si
alzano i resti del cosiddetto Torrione, sepolcro circolare a tumulo di
età augustea appartenuto a fine ’400 ai Rufini: il monumento consta
di un tamburo cilindrico (diametro m 42) in calcestruzzo di selce,
originariamente rivestito in marmo; gli ambienti ipogei, in opus
quadratum di peperino, erano costituiti da un corridoio voltato a botte
e da una cella sepolcrale con pianta a croce e tre nicchie rettangolari.
Nel successivo largo Preneste, un giardinetto sulla d. accoglie un
sepolcro a tempietto in laterizio (metà sec. II). Avanti, le quinte di
intensivi s’interrompono in corrispondenza del *parco dei Gordiani,
area archeologica e a verde pubblico, disposta sui due lati della via,
con resti imponenti di una delle più grandi ville del suburbio, attribuita
all’omonima famiglia imperiale e situata presso il III miglio della strada
romana.

Ricordata dalle fonti antiche, la villa, che comprendeva edifici


databili tra il sec. II e il IV, venne acquistata nel 1422 dai Colonna;
adibita a parco pubblico in attuazione del piano del 1931, ha avuto
una sistemazione definitiva, anche a seguito di nuovi rinvenimenti, a
inizi anni ’60.

LE STRUTTURE meglio visibili si dispongono lungo il lato sin. della


strada. Imponenti risultano i resti dell’AULA OTTAGONALE (sec. III), forse
una sala termale o un ninfeo: sull’ottagono s’imposta il tamburo
circolare con oculi, mentre all’interno si susseguono nicchioni curvi e
retti; in età medievale l’aula venne trasformata in torre (tracce di
muratura si riconoscono al di sopra del tamburo e, all’interno, un
pilastro cilindrico venne aggiunto a sostegno della cupola). Alle spalle
è una CISTERNA (sec. II) a due piani con contrafforti, divisa in due
serbatoi coperti a volta. Il MAUSOLEO ROTONDO (inizi IV), detto Tor de’
Schiavi dal proprietario della tenuta nel 1571, fu modello per
l’evoluzione degli organismi a pianta centrale soprattutto nel
Rinascimento: presenta forma circolare (diametro interno m 13.2) ed
è coperto da una cupola emisferica con finestre circolari alla quale
corrisponde all’esterno un tamburo delimitato da cornici laterizie su
mensole di marmo; all’interno del piano superiore si alternano sulle
pareti nicchie rette e curve che fungono da contrafforti alla spinta
della cupola, e la stessa alternanza è anche nel piano inferiore, dove
un ambulacro anulare coperto a botte gira intorno al pilastro di
sostegno. Presso il mausoleo emergono i resti di una BASILICA di tipo
costantiniano (m 67x33), a tre navate divise da pilastri e rivolta a est.

ALLA VIA COLLATINA, che dalla Prenestina si diparte a sin. in


corrispondenza del parco Grandi, dà nome «Collatia», città latina
fondata come colonia da «Alba Longa» (Castel Gandolfo) e
tradizionalmente identificata con il castello di Lunghezza, anche se gli
scavi hanno individuato presso la borgata La Rustica un esteso abitato
fortificato protostorico e una ricca necropoli databili dal sec. VIII al IV-III
a. Cristo.

AL CASTELLO DI LUNGHEZZA. L’antica Via Collatina, sistemata nel


sec. IV-III a.C. dai Romani, usciva dalla porta Tiburtina del recinto
aureliano e volgeva diritta verso la Prenestina. L’attuale, che fino a
Tor Sapienza corre parallela al percorso romano, si snoda in un’area di
espansione urbana ‘spontanea’ (borgate Tor Sapienza e La Rustica)
punteggiata di insediamenti industriali, che solo vicino a Lunghezza si
apre in squarci di campagna. Uno di questi si può godere percorrendo,
a sin. della Collatina, la via di Salone, lungo la quale s’incontrano il
casale di Salone (proprietà privata), sontuosa villa rinascimentale
eretta per Agostino Trivulzio forse da Baldassarre Peruzzi (1523-25),
e, in corrispondenza del sovrappasso dell’autostrada A24 Roma-
L’Aquila, le latomie di Salone, le più grandiose cave di tufo
dell’antichità, che si sviluppano per 1700 m sul fronte collinare a d. del
fiume Aniene.
A km 12.2 dal parco Grandi, il castello di Lunghezza, oggi sede
della Fondazione Società Althoff Fondazione Hilda e in parte adibito ad
abitazione, fu eretto su uno sperone tufaceo a dominio dell’Aniene nel
sec. X. Al 960 risale infatti la menzione di un «castellum Longueza»,
monastero fortificato sorto forse sul sito dell’antica «Collatia» (i reperti
archeologici rinvenuti risalgono alla seconda età del Ferro e sembrano
riferirsi, più che a un abitato, a un luogo di culto collegato al fiume);
venne acquistato nel 1527 dagli Strozzi, che gli conferirono l’aspetto
attuale, a fine ’800 dai Grazioli e infine da Axel Munthe, medico e
scrittore svedese.
Accessibili al pubblico sono gli ambienti più monumentali del
castello, restaurato nel dopoguerra mantenendo gli arredi degli
Strozzi: spiccano l’APPARTAMENTINO DI CATERINA DE’ MEDICI, con letto a
colonne tortili (sec. XVI) e, in un angolo, una piccola grotta artificiale
con conchiglia come lavabo e altre come mensole, e la SALA DEI
CAVALIERI, imponente nell’aspetto medievale risalente alla famiglia
Conti che fu proprietaria del complesso per c. un secolo dal 1297 (il
trono è composto da elementi cosmateschi del sec. XII-XIII).

VERSO «GABII». La Via Prenestina costeggia a d., oltre viale


Togliatti, la borgata del Quarticciolo, l’ultima ‘ufficiale’ del fascismo,
realizzata fuori piano dall’ICP dal 1942 e completata nel 1949:
presenta strade ortogonali che suddividono i lotti nei quali sono
disposti i blocchi paralleli separati da spazi a verde. Lo IACP ha
realizzato (1975-79), sull’altro lato della Prenestina, il complesso Tor
Sapienza, insediamento modulare autosufficiente per 2700 abitanti,
dove i blocchi di appartamenti si articolano intorno a una piazza (m
80x400) sul cui asse longitudinale sono accentrati i servizi collettivi, di
forme più movimentate. Tra capannoni industriali e depositi si
sovrappassa il Grande Raccordo Anulare, cui seguono Colle Prenestino
e Colle Monfortani, borgate delineatesi dagli anni ’70; oltre la località
Ponte di Nona, dall’omonima struttura (fine sec. II a.C.) sita al IX
miglio della via antica – da qui il nome – e riutilizzata dalla moderna
viabilità, si perviene al bivio con la via Polense.

L’ANTICA *CITTÀ DI GABII. Seguendo le indicazioni per Palestrina si


continua per la Prenestina lungo la rettifica eseguita intorno al 1960 (il
tracciato antico è a c. 100-150 m a sin.) raggiungendo, a d. di un
distributore, il sito di questa città latina – e colonia di «Alba Longa»
(Castel Gandolfo) – che fu fiorente nel sec. VII-VI a.C. per la posizione
strategica lungo i percorsi commerciali tra l’Etruria e la Campania e tra
i versanti tirreno e adriatico. Posto a metà strada tra Roma e
«Praeneste» (Palestrina), l’abitato, che si sviluppò per sinecismo di
insediamenti sorti presso il lago vulcanico di Castiglione prosciugato
nel 1889-90 ma ancora chiaramente riconoscibile (alla fase più antica
della città sono riferibili le necropoli dell’Osteria dell’Osa e della valle
del fosso S. Giuliano, datate ai sec. IX-VII a.C.), raggiunse l’apogeo in
età arcaica, quando fu centro di culto aperto all’influenza greca, ma
perse importanza dopo la conquista da parte di Roma; al sec. III risale
lo sfruttamento sistematico delle cave di «lapis gabinus», il peperino
locale. Nel XII-XIII nacque il villaggio fortificato sulla collina di
Castiglione, rimasto in vita almeno fino a inizi XV. Nel 1986 una parte
dell’area archeologica, inserita in un ambiente naturale rimasto
intatto, è stata acquisita dallo Stato.
Il più famoso monumento della città è il santuario di Giunone
Gabina, ricostruito verso metà sec. II a.C.: il tempio (m 17.7x23.7) era
al centro di un’area sacra delimitata su tre lati da un portico con
botteghe, mentre verso la strada erano l’ingresso monumentale e,
forse, una gradinata semicircolare adibita a teatro; la cella del tempio,
in opus quadratum di pietra gabina e ora priva delle colonne che
cingevano la fronte e i lati, è rimasta pressoché integra fino
all’imposta del tetto.
Nella zona attorno al cratere sono i resti della torre di S. Primo,
eretta nel sec. XIII sugli avanzi del campanile dell’omonima chiesa
risalente all’XI, e della torre di Castiglione (metà sec. XIII), parte del
«castrum Castilionis» posto a controllo delle vie per San Vittorino e
Palestrina e costituito da una cinta fortificata munita di quattro torri
angolari.

VERSO SAN VITTORINO. Seguendo le indicazioni per Poli, si rasenta


la località Osteria dell’Osa, famosa per il rinvenimento (1899) di un
sarcofago in quercia del sec. VII a.C. – ora al Museo etrusco di Villa
Giulia – e dove gli scavi hanno rimesso in luce un sepolcreto dell’età
del Ferro riferibile alla vicina «Gabii», e si prosegue in un paesaggio
ormai agricolo correndo, oltre il collegamento tra le autostrade Milano-
Roma e Roma-Napoli (il tratto tra Fiano Romano e Lunghezza è stato
aperto nel 1987, il segmento da Lunghezza a San Cesàreo nel 1988),
in un’antica «tagliata» nel tufo.
Si abbandona la via Polense (dalla quale, presso il cippo del km
30, si può raggiungere, per un ripido sentiero sulla d., il *ponte
Lupo, colossale diga curva costruita nel 144 a.C., rifatta da Agrippa e
restaurata da Settimio Severo) sottopassando la porta Nèola, antico
arco scavato nel tufo, e proseguendo a sin. per la via cui dà nome
San Vittorino m 147, borgo medievale a economia curtense incluso
in un castello e posto – km 27.7 da piazzale Labicano – su un’altura
tufacea abitata probabilmente già in età preromana; ricordato sin dal
sec. X, appartenne alla basilica di S. Paolo fuori le Mura, ai Colonna
(sec. XV) e dal 1630 ai Barberini. L’ingresso ad arco (stemma
Barberini) è difeso a d. dal pittoresco complesso di torri merlate molto
restaurate (quelle a blocchetti di tufo risalgono al ’200) del castello; il
borgo, a pianta fusiforme, è cinto da basse case in parte alterate.
Presso l’abitato è il santuario di Nostra Signora di Fatima (1970-79),
dalla gigantesca mole conica rivestita di lastre d’acciaio.

8.8 LA VIA CASILINA


Il nome della via viene da «Casilinum» (Capua), stazione
terminale verso cui si dirigeva seguendo l’antica via Labicana e poi la
Via Latina.
Nel XX secolo la Casilina ha associato la propria immagine a
fenomeni di forte immigrazione e abusivismo edilizio, rimanendone
morfologicamente segnata al punto da rendere assai problematico
qualsiasi intervento di riqualificazione urbana. Al di fuori del piano
regolatore del 1909, venne inclusa nel perimetro urbano nel 1931, e
se ne previde l’edificazione sino all’aeroporto di Centocelle con
fabbricati intensivi e casette a schiera; la presenza di orti-giardini
confermò il ruolo subalterno assegnato a questo settore di città. Già a
inizi Novecento sorsero le prime borgate abusive, ma fu dopo la
seconda guerra mondiale che tutta l’area si sviluppò in maniera
caotica e disordinata, assumendo i caratteri di un’immensa
conurbazione priva di un disegno complessivo.
L’itinerario automobilistico (km 5.5; carta →) attraversa un’area
che, nonostante alcuni rilevanti interventi pubblici (quartiere del
Casilino), è a tutt’oggi morfologicamente assai degradata (complesso
della Pantanella) e caratterizzata da un’edilizia frammentaria e
disomogenea; l’incessante teoria degli intensivi, tra i quali spicca per
‘anomalia’ il Casilino I, non ha però completamente distrutto le
vestigia del passato, di cui resta testimonianza nel mausoleo di S.
Elena e nel complesso cemeteriale dei Ss. Marcellino e Pietro.

LA VIA CASILINA, che inizia da piazzale Labicano → in direzione


SE, è il tratto urbano della statale 6 e costeggia a sin. (numeri 1-3) il
palazzo degli uffici del Ministero del Tesoro, eretto su progetto di Piero
Maria Lugli con Alessandra Montenero nel 1967-70: costituito di due
corpi su «pilotis» sfalsati e raccordati dalla torre cilindrica delle scale,
esibisce all’esterno la struttura metallica di supporto ai pannelli di
chiusura e alle superfici vetrate. Segue (N. 5) il complesso dell’ex
stabilimento Pantanella, insieme di edifici manifatturieri che
testimonia l’incidenza delle aree dismesse nel tessuto cittadino e
l’importanza di dare vita a processi di riqualificazione che prendano
avvio da questi luoghi, posti sovente in posizione strategica nella
maglia urbana.

DEI QUATTRO CORPI che prospettano sulla strada, emerge per


primo il volume del PASTIFICIO (Pietro Aschieri, 1929-31), la cui unica
articolazione è costituita dai rilievi dei pilastri e degli archi di
collegamento; un’imponente torre, sagomata secondo la linea di
spiovenza dei tetti, conclude il disegno. Oltre il BISCOTTIFICIO, costruito
su progetto di Silvano Ricci nel 1954, è il CORPO DEGLI UFFICI, pure del
Ricci (1960), bipartito in due volumi: quello basso ruota verso la
strada emergendo con un profilo inclinato, mentre quello soprastante
declina il linguaggio moderno in maniera sicura e controllata. Più
avanti è un’altra TORRE, caratterizzata da volumi vetrati che aggettano
rispetto alla superficie muraria.

VERSO IL MAUSOLEO DI S. ELENA. Lasciate sulla d. le mura Aureliane


(in questo tratto sono descritte →) e superato il sottopasso veicolare,
si scorgono a sin. (N. 59) le case d’abitazione per i dipendenti FF.SS.
(Pietro Aschieri, 1932); l’aggetto dei balconi semicircolari sottolinea, in
un gioco di masse, il ‘peso’ dato al volume principale. Sul lato opposto
è l’intervento ICP Casilino III (1930). L’EDIFICIO AL N. 102 (Mario Mosca e
Mario De Renzi), a forma di «C», è arretrato dal filo stradale in
corrispondenza dell’ingresso; agli angoli sono poste le torrette dei
corpi scala, mentre i prospetti sono risolti attraverso il differente
trattamento dell’intonaco. Il COMPLESSO AL N. 108 (Tito Bruner) si
compone di due edifici collegati da un arcone con soprastanti
abitazioni; presenta un apparato decorativo più ricco, con gli angoli
bugnati che rimandano al retrostante acquedotto romano.
Poco avanti la Casilina abbandona l’antico tracciato e compie una
brusca deviazione a sin. per scavalcare le linee ferroviarie (all’incrocio,
via Gallarate porta in piazza Lodi, dove la Scuola elementare Armando
Diaz di Vincenzo Fasolo – 1928-30 – affida il disegno complessivo
all’articolazione delle masse, ai tre ordini di finestre trifore e alle
cornici sottotetto), quindi percorre un breve tratto fiancheggiato da un
lungo fabbricato industriale e dai binari, fino a giungere alla chiesa di
S. Elena fuori Porta Maggiore (N. 205; 1913-16). Avanti, s’individua a
d., in angolo con largo Alessi, il Casilino I, più noto come villa Certosa
(N. 216), intervento di edilizia economica compiuto dall’ICP nel 1925
in prossimità della congiunzione tra il tracciato antico della Casilina e
quello moderno. Il lotto, stretto tra la via e la ferrovia, si compone di
sei edifici di cui cinque semieconomici e uno popolare; posto su un
crinale più alto della via, mima nell’impostazione planimetrica e nel
linguaggio architettonico l’impianto tipico del casale romano. Subito
avanti, sul medesimo crinale ma con accesso da un viottolo sterrato, è
l’ingresso a villa La Favorita (N. 222; 1740): il complesso, circondato
da un ampio parco, si compone di un edificio a tre piani e di altre
costruzioni più basse.
IL MAUSOLEO DI S. ELENA. Tra una prospettiva continua di intensivi
si supera l’incrocio a d. con via di Torpignattara, sino ad arrivare alla
chiesa dei Ss. Marcellino e Pietro ad Duas Lauros, realizzata nel 1922
sulla basilica paleocristiana di cui si conservano i muri di fondazione. Il
luogo di culto antico era preceduto da un nartece che lo collegava al
mausoleo di S. Elena (oggi nel cortile adiacente), a pianta
ottagonale coperta a cupola e alto c. 18 m, detto Tor Pignattara dalle
anfore (pignatte) inserite nella muratura della volta per alleggerirla;
risale al 330 circa.
Le catacombe dei Ss. Marcellino e Pietro (visita a richiesta alla
Pontificia Commissione di Archeologia Sacra) sono sorte nel sec. III e
ricche di pitture (notevole la tarda Maiestas Domini) raffiguranti temi
biblici, scene di convito e atleti. Nella prima metà del VII, intorno alle
due tombe venne scavata la basilichetta absidata.
TRA IL MAUSOLEO E VIALE TOGLIATTI. La Via Casilina costeggia a d.
l’area dell’ex aeroporto di Centocelle (destinata a parco attrezzato).
Aperto nel 1926 nel luogo dove sorgevano i ruderi della villa ad Duas
Lauros – una delle maggiori del suburbio – ne distrusse le tracce
unitamente al forte Casilino (1878-84). Il nome della località deriva
dalle numerose stanze («cellae») voltate a botte della residenza. Sul
lato opposto si apre viale della Primavera, dove sorge il quartiere del
Casilino (progetto urbanistico di Ludovico Quaroni, 1964-65). Sorto
come intervento di edilizia pubblica, si compone di 29 edifici disposti
secondo un disegno a ventaglio che fa perno su quattro centri; il
prospetto degli edifici ha una sagoma continua inclinata che cresce
progressivamente al variare della distanza dai centri generatori.
L’insediamento si apre su viale della Primavera, dove una grande
cavea destinata a verde pubblico ed edifici scolastici segna il centro
della composizione. Più oltre sulla Casilina è la torre di Centocelle (sec.
XII), ben conservata. Avanti, a sinistra, le vie Tobagi e Lanari portano
al quartiere di Tor Tre Teste, dove sorge la chiesa di Dives in
Misericordia, progettata da Richard Meier in occasione del Giubileo del
2000.

8.9 LA VIA TUSCOLANA

La strada, di origine arcaica tuttora discussa, usciva dalle mura


Aureliane per la porta Asinaria e si dirigeva a «Tusculum» (Tùscolo),
da cui trae nome; a fine Cinquecento Gregorio XIII ne trasferì l’inizio
da porta S. Giovanni al sito in cui, all’incirca, si trova ancora oggi.
La zona da essa attraversata mantenne l’originaria morfologia
sino al Novecento, quando il tratto iniziale, strutturato su un sistema
di piazze radiali, venne inserito dal piano del 1909 tra le aree
edificabili. La variante del 1925-26 incrementò la densità abitativa,
ulteriormente potenziata con il piano del 1931; il limite urbano venne
fissato poco oltre l’attuale Cinecittà, dove prima della guerra sorsero
gli stabilimenti cinematografici che costituirono una delle principali
industrie della capitale, ma fu solo con gli interventi pubblici degli anni
’50 del Novecento e lo sviluppo dell’edilizia privata nel decennio
successivo che l’area raggiunse una conformazione definitiva.
Di complessivi 7 km, la visita (carta →), effettuabile sia in
automobile sia – tra porta Furba e piazza di Cinecittà – utilizzando la
linea metropolitana A, attraversa nella prima parte le aree di più
antica urbanizzazione (piazza Lugo), addentrandosi poi nel quartiere
Tuscolano sino a Cinecittà.

A VIA TARANTO. Da piazzale Appio → si percorre per breve tratto


la Via Appia Nuova → fino a raggiungere, sulla sin., piazza Sulmona,
dove ha inizio la Via Tuscolana, tratto urbano della statale 215. Via
Cesena conduce in via Taranto sulla quale, nel tratto di sin. (N. 19), è
l’Ufficio postale (Giuseppe Samonà, 1933-35) che, unitamente a
quelli di via Marmorata → e piazza Bologna →, costituisce
un’importante testimonianza del movimento razionalista degli anni ’30.
Le facciate, bipartite dall’uso del travertino e del granito grigio scuro,
denunciano nei prospetti l’articolazione funzionale della tipologia. Il
volume degli uffici, ritmato dalle aperture seriali regolari, scende a
terra in due punti: qui vengono sistemate le scale, enfatizzate
compositivamente dal taglio delle finestre; al piano terra, la zona
riservata al pubblico è interamente vetrata e ‘vertebrata’ da pilastri. Gli
altri prospetti, meno elaborati, sono risolti con un rivestimento in
cortina.
PIAZZA LUGO. Si percorre il tratto di d. di via Taranto in direzione
della periferia e, lasciata a sin., in angolo con via Monza, la chiesa
d’impianto neobizantino dell’Immacolata e S. Benedetto Giuseppe
Labre (Gino Benigni, 1928-31), si giunge in questo slargo, dove gli
edifici ICP sulla sin. (Innocenzo Sabbatini, 1927-29) costituiscono la
sola testimonianza dello spiazzo radiale previsto dal piano del 1909.

I SS. FABIANO E VENANZIO. La configurazione dei fabbricati,


digradante verso la piazza, appare evidente percorrendo l’alberata via
che prende nome dalla chiesa (Clemente Busiri Vici, 1934), posta nella
parte terminale del lotto di sin. e affacciata su piazza di Villa Fiorelli.
Lsacro presenta una facciata inconsueta: il volume della navata
centrale assume nel prospetto principale una sagoma slanciata,
mentre le navi laterali, più basse, sono coperte da tetti in lieve
pendenza.
Dalla piazza, scendendo per via Enna, s’incrocia via Pescara, nel
cui tratto di d. (N. 2) sono stati scoperti nel 1932 due piccoli colombari
(visita a richiesta alla Soprintendenza ai Beni culturali del comune),
con decorazione pittorica a motivi ornamentali e figurati, risalenti a
inizi sec. II e in perfetto stato di conservazione.

VERSO PORTA FURBA. Da piazza Lugo si piega a d. in via Biella


sboccando in piazza Asti dove sorge la chiesa di S. Antonio da Padova,
costruita su progetto di Raffaele Boccuni e inaugurata nel 1965;
l’adiacente torre campanaria è punto di cerniera tra la piazza e la Via
Tuscolana, che verso la periferia costeggia il deposito dell’ATAC (N.
179; anni ’20 del sec. XX) caratterizzato dal basso timpano e
dall’aggetto della pensilina. Sottopassato il ponte ferroviario che
costituiva il limite dell’abitato nel piano del 1909, tra alte quinte di
intensivi si arriva nella piazza che prende nome dalla chiesa di S.
Maria Ausiliatrice (1931-36): l’interno, a metà tra la croce greca e la
latina, accoglie vistosi affreschi (1957-65) ispirati all’arte barocca. (Via
Don Rua, a sin. della chiesa, porta in piazza Cagliero e a villa Lais,
residenza di campagna di fine ’800-inizi ’900).
Si prosegue sulla Tuscolana sino a largo Volumnia dove, a d., è la
Scuola elementare Giovanni Cagliero, dall’interessante soluzione
d’angolo: il volume dei due corpi, di vago sapore espressionista, è
esaltato dalla facciata concava, mentre la pensilina d’ingresso
recupera la continuità della quinta stradale. Più avanti, sulla sin. (N.
417), è l’edificio per la fabbricazione delle carte valori della Banca
d’Italia, progettato da Pier Luigi Nervi (1966-67): il semplice volume,
dalle grandi superfici schermate, presenta eleganti pilastri rastremati
che, esterni alla superficie vetrata, sorreggono l’aggetto della
copertura.
PORTA FURBA (il nome è una corruzione di «formae» =
acquedotto) è un fornice, fatto realizzare da Sisto V nel 1585, con il
quale l’acquedotto Felice → sovrappassa la Tuscolana; la precede a
sin. la fontana di Porta Furba (1733), dal grande mascherone alato
che versa acqua dentro una conchiglia. La viabilità devia a d. per via
Frascati che costeggia il tracciato degli acquedotti di Claudio (più alto;
→) e Felice, qui ben conservati.

AL FONDO DI VIA DELL’ACQUEDOTTO FELICE, che si stacca subito


dopo il sottopasso veicolare, svetta la torre del Fiscale: alta c. 30 m,
fu costruita forse nel sec. XIII, in blocchetti di tufo con ricorsi di
mattoni, nelle vicinanze del cosiddetto Campo Barbarico, il luogo dove
si accamparono (546) i Goti di Totila.

S. MARIA DEL BUON CONSIGLIO. La discesa, segnata nello


spartitraffico dalla più lunga fontana d’Europa, conduce a questa
chiesa, costruita nel 1916 e ampliata nel 1955; la facciata, tripartita
dai volumi delle navate e segnata dalla cornice ad archetti pensili, è
d’ispirazione romanica come pure l’interno (matronei e soffitto a
cassettoni). Lungo il fianco sin. della chiesa si arriva in piazza dei
Tribuni, dove si alza a sin. il cosiddetto Monte del Grano («Modius
Grani»; c. metà sec. III), forse il più grande mausoleo del suburbio;
formato da un tumulo di terra alto ancora c. 20 m, è stato
completamente spogliato del rivestimento esterno.
IL QUARTIERE TUSCOLANO, dove si entra percorrendo via del
Quadraro che si stacca a d. della Tuscolana, è il più esteso degli
interventi realizzati a Roma dall’INA-Casa e articolato in tre settori.

ALL’INTERNO DEL COMPRENSORIO. Lasciato a sin. un sottopasso


aperto in un fabbricato (varcandolo, lungo via Marco Valerio Corvo
s’incontra ai numeri 45-73 un intensivo – Julio Lafuente e Gaetano
Rebecchini, 1963 – che dispone gli edifici intorno a un giardino interno
e proietta sulla strada due corpi alti e stretti a mimare, di scorcio, la
sagoma di una torre), si raggiunge largo Spartaco, dove è l’ingresso
del Tuscolano II, realizzato su disegno urbanistico di Mario De Renzi e
Saverio Muratori nel 1950-55; l’edificio sulla piazza è a forma di «V»
molto aperta e caratterizzato dai pilastri rastremati e dall’aggetto delle
travi. Un portico d’ingresso, parzialmente nascosto dall’antistante
mercato rionale, segna l’inizio di via Sagunto (la si raggiunge, a sin.
del complesso, per via Paestum e a d. via Erminio), asse
dell’insediamento su cui s’innestano le case in linea e, ai margini del
lotto, quelle a torre, che termina in via Selinunte proprio di fronte al
Tuscolano III, progettato da Adalberto Libera nel 1950-54 con
un’ancora diversa soluzione tipologica: margini dell’intervento sono un
muro continuo e l’edificio commerciale d’ingresso, che delimitano un
tessuto di case basse organizzate attorno a un patio; l’unica
emergenza è un fabbricato a ballatoio, alto tre piani, in origine
destinato alle coppie e alle persone sole.
Da via Selinunte si prosegue sino all’incrocio con via del
Quadraro; si gira a sin. e successivamente a d. per via Lemonia dove,
entro un parco pubblico, si scorgono i resti della villa delle Vignacce,
grandioso complesso del sec. II che si stendeva per c. m 270x260 su
un terrazzamento artificiale. Avanti, domina piazza Aruleno Celio
Sabino la chiesa di S. Policarpo (Giuseppe Nicolosi, 1960-67),
interamente rivestita in peperino con ricorsi di mattoni; nell’interno, a
pianta centrale, l’articolata copertura è sorretta da pilastri pentagonali
a vista.

S. GIOVANNI BOSCO. Oltre via del Quadraro, la Tuscolana lascia a


sin. viale Marco Fulvio Nobiliore, che si allarga nella retorica piazza di
S. Giovanni Bosco, progettata da Gaetano Rapisardi recuperando
alcune indicazioni del piano del 1931. Vi domina l’omonima chiesa,
pure del Rapisardi (1953-58), con una grandiosa cupola – e un’altra di
minori dimensioni – coronata da statue in bronzo di Alessandro
Monteleone. Nella facciata si apre un portico a tre fornici: quello
mediano è sormontato da un grande altorilievo (il Santo titolare tra
angeli e giovinetti) di Arturo Dazzi, mentre quelli laterali incorniciano
le statue degli arcangeli Gabriele e Michele di Ercole Drei; nelle
nicchie, statue di S. Francesco di Sales (Giovanni Amoroso), di
Giuseppe Cafasso (Antonio Venditti), di Pio IX e di Pio XI di Francesco
Nagni. Sotto il portico si aprono cinque porte bronzee, di cui quella
mediana è ornata di bassorilievi di Federico Papi e quelle estreme
sono sormontate dalle statue bronzee del Redentore e di S. Giovanni
Battista di Attilio Selva.

LO SPAZIOSO INTERNO è notevole per la ricchezza dei materiali. La


cupola (diametro m 31) è sostenuta da pilastri marmorei di roso
orobico, contro cui sono le stazioni della Via Crucis, bronzi di Venanzio
Crocetti. NAVATA DESTRA. Crocifisso bronzeo del Crocetti e Deposizione
di Michele Guerrisi; S. Carlo Borromeo di Silvio Consadori e Sogno di
Don Bosco sulla gloria del savio di Attilio Torresini; Sacro Cuore di
Gesù di Primo Conti. Grandioso PRESBITERIO sormontato da cupola e
chiuso da transenna bronzea di Luigi Venturini. L’altare maggiore
ospita un paliotto di lapislazzuli e un tabernacolo di ametista; il
Crocifisso in argento fuso, la raggiera, gli angeli e i candelabri bronzei
sono di Pericle Fazzini. Nel fondo, S. Giovanni Bosco in gloria, mosaico
di Giovanni Brancaccio; i rilievi (scene della vita del santo) ai lati del
mosaico sono del Monteleone, del Venturini, del Nagni e di Ludovico
Consorti. NAVATA SINISTRA. Madonna ausiliatrice e santi di Gisberto
Ceracchini, S. Francesco di Sales di Baccio Maria Bacci e Predica del
santo del Torresini. Nel BATTISTERO in porfido, angeli in bronzo di Emilio
Greco (suo il Battesimo dell’eunuco).

CINECITTÀ. Proseguendo sulla Tuscolana si giunge nella piazza che


prende nome dal complesso cinematografico sorto a fine anni ’30 del
sec. XX (fu all’epoca il più moderno e attrezzato d’Europa). L’Istituto
nazionale Luce (1937-38) è il luogo dove si produssero i cinegiornali
d’epoca; dietro le chiome degli alberi si percepisce l’avancorpo
d’ingresso e, più oltre, l’esedra circolare in tufo e intonaco. Il
successivo (N. 1524 di Via Tuscolana) centro sperimentale di
Cinematografia (1939) racchiude la Cineteca nazionale (l’archivio
raccoglie oltre 50000 pellicole italiane e straniere) e una biblioteca
specializzata di c. 31000 volumi; a sin. (N. 1055), gli stabilimenti
cinematografici di Cinecittà di Enrico Peressutti, inaugurati nel
1937, ospitano dieci teatri di posa, un teatro per le miniature e gli
studi per la sonorizzazione.
Nella successiva area a d. sono i resti monumentali della
cosiddetta villa dei Sette Bassi (metà sec. II), tra le maggiori del
suburbio, articolata in tre nuclei e servita da un acquedotto di cui
rimangono vari tronconi.

8.10 LA VIA APPIA NUOVA

Delineatasi nei sec. XIV-XV, in seguito al declino dell’Appia Antica,


tramite il collegamento di tracciati preesistenti, fu ripristinata da
Gregorio XIII e sistemata da Pio VI a fine Settecento.
Il settore della città compreso tra le mura Aureliane, la linea degli
acquedotti e il parco dell’Appia Antica e aperto verso i Castelli Romani
ha conservato per millenni invariata la struttura agricola a orti, vigne e
tenute punteggiate di ville-casali, svolgendo nel contempo il ruolo di
supporto agli assi viari e, dal 1856, ferroviari di collegamento con il
meridione d’Italia. Anche se i primi nuclei abitativi risalgono a inizi
Novecento (tra porta S. Giovanni e porta Metronia sorsero allora
baraccamenti per gli sfollati dalle aree destinate alla mostra per il
cinquantenario dell’unità d’Italia), un vero e proprio sviluppo
urbanistico si ebbe con il piano regolatore del 1909, che prevedeva
qui fabbricati e villini con i relativi servizi disposti secondo un disegno
radiale d’ispirazione francese.
Il piano del 1931, oltre a promuovere la definitiva sostituzione dei
tipi edilizi, legittimò l’espansione oltre la linea ferroviaria Roma-Pisa,
mentre con la bonifica dell’Agro romano e, dal 1935 in poi, con
l’individuazione dei «nuclei edilizi» cominciò l’urbanizzazione delle aree
non comprese nel piano; nacquero così le borgate intorno a Ciampino,
Quarto Miglio e Statuario, che si aggiunsero ai preesistenti nuclei
spontanei del Mandrione (c. 1870) e del Quadraro (c. 1920), e, nel
secondo dopoguerra, i «borghetti» e le file di baracche lungo le vie
consolari, gli acquedotti e le linee ferroviarie. Nell’azione di bonifica
intrapresa dal 1937 tali insediamenti vennero sostituiti con intensivi
che composero un denso tessuto edilizio interrotto solo dalle trincee
ferroviarie.
La visita, che si svolge lungo il tratto urbano della statale 7 Appia
per complessivi 3.5 km (carta qui sotto) e che ha nel parco delle
Tombe della Via Latina l’elemento di maggiore interesse, può essere
effettuata sia valendosi della linea metropolitana A (tratto S. Giovanni-
Arco di Travertino) sia in automobile, indispensabile per raggiungere
l’aeroporto di Ciampino.
LA VIA APPIA NUOVA si diparte da piazzale Appio fuori porta S.
Giovanni →, delimitando il confine NE dell’area urbanizzata con il
piano del 1909: uno dei centri radiali del quartiere è piazza Tuscolo (la
si raggiunge per via Magna Grecia che si stacca a SO del piazzale e
che si caratterizza sul lato sin. per il complesso ICP Appio III, eretto
nel 1927 con gradevoli soluzioni barocchetto romano, e, sul lato
opposto, per l’edificio con autorimessa e mercato che Riccardo
Morandi concepì nel 1956-57 in schietto linguaggio «anni ’50», con la
spirale a doppia rampa e la scansione a denti delle facciate), dove al
N. 5 è il ‘pittoresco’ complesso ICP Appio I (Camillo Palmerini, 1926)
in cui gli edifici, d’aspetto medievaleggiante, sono impostati su una
corte chiusa utilizzata come giardino; uno degli assi del piano del 1909
è via Gallia, che dalla piazza si dirige verso NO, dove a sin. si erge la
chiesa della Natività (Tullio Rossi, 1936), che nella forzata semplicità
d’ispirazione neoromanica è una delle opere di maggiore impegno
dell’architetto.

Per via Saturnia (2ª traversa a sin. di via Gallia) e, oltre piazza
Epiro, per via Lusitania si possono osservare: le palazzine Mancioli
(Mario Ridolfi e Volfango Frankl, 1952-53; N. 29) e la Scuola
Alessandro Manzoni (Ignazio Guidi, 1932).

VERSO IL PARCO DELLE TOMBE DELLA VIA LATINA. L’Appia Nuova,


lasciata a sin. piazza Sulmona (inizio della Via Tuscolana: →) e
oltrepassata piazza dei Re di Roma (uno degli spazi stellari del piano
del 1909), raggiunge piazza dell’Alberone: i due blocchi di case ICP
Ponte Lungo (al N. 15 dello slargo e al N. 359 di Via Appia Nuova),
iniziati da Camillo Palmerini nel 1927-29 e completati intorno al 1953,
presentano, su tre lotti, edifici impostati su un sistema di corti che
articolano gli spazi interni pubblici e privati; sul lato opposto (N. 418)
è il cinema Maestoso (Riccardo Morandi, 1956), mentre ai numeri 450-
452 è il deposito delle vetture Stefer, interessante reperto di
archeologia industriale legato alla Tranvia dei Castelli Romani.

*S. GASPARE DEL BUFALO. Da largo dei Colli Albani, spiazzo a sin.
dell’Appia Nuova, diverge via dei Colli Albani che sbocca nell’ampio
piazzale dei Castelli Romani. Sul fondo si individua la chiesa (Pier Luigi
e Antonio Nervi, Mario Desideri e Francesco Vacchini, 1975-79), il cui
interno, a pianta quadrata digradante verso l’altare collocato come i
tre ingressi in corrispondenza di un vertice, s’ispira a una grande
tenda; l’espressività architettonica del luogo di culto è affidata alla
struttura in cemento armato a vista, costituita da due telai triangolari
– separati da un’asola a vetri multicolori – ai quali appoggiano le travi
sagomate.

IL SUGGESTIVO *PARCO DELLE TOMBE DELLA VIA LATINA (t.


067809255-0639967700), che oltre largo dei Colli Albani si raggiunge
continuando per breve tratto lungo l’Appia Nuova e voltando a sin. in
via dell’Arco di Travertino, è uno dei rari brani di Campagna romana
risparmiati dall’espansione edilizia, che accoglie notevolissimi
monumenti scoperti durante gli scavi del sec. XIX.

LA STORIA DELLA STRADA. L’antica Via Latina, di origini remote (la


rotta naturale, già seguita in età preistorica, venne utilizzata dagli
Etruschi per colonizzare la Campania nei sec. VIII-VI a.C.), fu tracciata
definitivamente tra il IV e III a.C.; in età repubblicana si diramava
dall’Appia, di cui costituiva l’alternativa, poco oltre porta Capena
mentre in epoca imperiale iniziava da porta Latina, dirigendosi
attraverso le valli dei fiumi Sacco e Liri a «Casilinum» (Capua) dove si
congiungeva con la consolare Appia. Restata in uso fino al sec. XIV (nel
Medioevo sostituì l’Appia), vide abbandonato il segmento iniziale fino
ad Anagni a favore dell’antica via Labicana, mentre quello successivo
è stato ricalcato dalla Casilina; riscoperta nel XVII-XVIII, venne
parzialmente scavata nell’800.

IL PARCO ARCHEOLOGICO fu istituito a seguito dell’acquisizione da


parte dello Stato (1879) di una vasta area oggetto di indagini,
promosse da Lorenzo Fortunati nel 1857-58, che avevano portato alla
luce un notevole numero di tombe e la basilica di S. Stefano. Il
complesso include parte della vasta necropoli sita in corrispondenza
del III miglio; l’area rientra nel Parco regionale dell’Appia Antica
(www.parcoappiantica.org).
L’ingresso (a d., sepolcro con iscrizione ricordante la visita di Pio
IX nel 1858) è posto proprio sulla direttrice del tracciato romano
(pianta →, 1), che al colmo della salita costeggia a d. il sepolcro
Barberini (2; sec. II), conservatosi nell’alzato originale e riconoscibile
per il paramento esterno in opus latericium a due colori (rosso per le
pareti, giallo per i capitelli e gli architravi decorati). Il complesso, il cui
ingresso è sul lato opposto alla strada, era disposto su tre piani: una
camera ipogea ora inaccessibile, nella quale fu rinvenuto il cosiddetto
sarcofago Barberini attualmente ai Musei Vaticani, un ambiente a
piano terra e uno al primo (nella muratura in opus mixtum di tufelli e
laterizio, tracce della scala), le cui pareti e la cui volta a crociera erano
rivestite d’intonaco dipinto e stucco. Oltrepassati un tratto di basolato
della strada, risalente probabilmente a un rifacimento del sec. II a.C.,
e altri resti di tumulazioni, si giunge alla *tomba dei Valeri (3; la
denominazione, convenzionale, non ha alcun fondamento storico),
datata intorno al 160 ma la cui parte sopratterra è un restauro di
fantasia della seconda metà dell’800. Nella cella funeraria, cui si
accede dal recinto sepolcrale tramite due rampe parallele di scale,
raffinatissima è la decorazione dell’arcosolio e della volta, in stucco
bianco diviso a medaglioni con scene del mondo funerario (thiasos
marino e bacchico): al centro grifo con l’anima del defunto, nella
lunetta di fondo le Grazie (o Ore); al di sotto degli stucchi era un
rivestimento a lastre di marmo, di cui resta traccia nella malta di
appoggio e nei fori per i perni. Sul lato sin. della via è la tomba dei
Pancrazi (4; metà sec. II), conservatasi nelle strutture originarie solo
nella parte ipogea. Dal livello del terreno (*mosaico bianco e nero con
pesci), una scala dà accesso al piano inferiore dove un vestibolo, con
volta a botte recante tracce di pittura, è circondato su tre lati da un
alto bancone in laterizio, sostenuto da archetti sotto cui sono scene
dipinte di carattere funerario, sul quale appoggiavano i sarcofagi
(l’unico ancora in situ reca un’iscrizione menzionante la corporazione
dei Pancratii). Nella camera sepolcrale, con pavimento a motivi
geometrici bianchi e neri, la volta a crociera è decorata da stucchi
colorati e pitture di soggetto mitologico che la suddividono in lunette
(Apollo e Dioniso, Achille, Ulisse e Filottete, Nozze di Alcesti) e
quadretti (Giudizio di Paride, Priamo e Achille, Admeto e Pelias, Ercole
con Atena e Apollo). Un altro sepolcro in laterizio (5) – detto tomba
Baccelli dalla lapide fatta apporre dall’allora ministro della Pubblica
Istruzione nel 1899 per la visita della regina Margherita – è visibile
poco oltre la tomba dei Valeri; la tecnica edilizia di tale complesso, di
cui rimane solo la facciata rinforzata da speroni moderni, è simile a
quella del sepolcro Barberini e presenta cornici decorative scolpite in
cotto colorato. Del sepolcro dei Calpurni (6), sul lato opposto della
strada, si conserva solo la parte ipogea, costituita da un vano con alti
arconi dove erano disposti i sarcofagi.
La zona E del parco, a ridosso di via Demetriade, è interessata
dalla presenza nel sottosuolo di una grande villa, scavata dal Fortunati
e poi interrata, che appartenne forse alla famiglia degli Anici. Su un
ambiente di questo complesso si impiantò la basilica di S. Stefano (7),
eretta sotto il pontificato di Leone Magno intorno a metà sec. V
(un’iscrizione qui rinvenuta ricorda il contributo di Demetriade, forse
allora padrona della villa), restaurata da Leone III e ancora in uso nel
XIII; i muri perimetrali, in gran parte rifatti, racchiudono un semplice
impianto paleocristiano a tre navate con abside di fondo e battistero.

IL RITORNO IN CENTRO può avvenire lungo la moderna Via Latina,


che si svolge a SO dell’Appia Nuova in una zona caoticamente
edificata dal 1909. Essa ricalca l’antico tracciato romano, lungo il quale
si disponevano sepolcri, ville e catacombe quasi completamente
cancellati dalle costruzioni erette nel secondo dopoguerra e a stento
contenute dall’area di rispetto della vicina Appia Antica; ne restano
tracce, in alcuni casi di notevole valore (spicca il piccolo ipogeo,
scoperto casualmente in angolo con via Compagni nel 1955 e datato
al 315-360, le cui pitture testimoniano la compresenza di motivi biblici
e profani), nelle cantine dei palazzi, ma non sono visitabili.

A CIAMPINO. Proseguendo invece lungo la Via Appia Nuova, nel


tratto successivo più mossa e verde, si scorgono a sin. imponenti
ruderi romani e si lascia a d. via Annia Regilla, asse della borgata di
Quarto Miglio (dal miliario della Via Appia) sorta in occasione della
bonifica dell’Agro (1928) intorno ad alcuni casali e sviluppatasi nel
dopoguerra perdendo l’originaria funzione agricola.
Il paesaggio che si attraversa fino alla congiunzione con la Via
Appia Pignatelli → è dominato a d. dai grandiosi resti della villa dei
Quintili →; subito oltre, a sin., s’attesta la borgata Statuario, lottizzata
in seguito a una convenzione del 1940, il cui nome deriva dalle
numerose statue della sopracitata villa che in copia ancora ornano i
caratteristici edifici del nucleo originario. Superato all’altezza di via
Bisignano un sepolcro a tempietto in laterizio (metà sec. II), la via
costeggia a sin. un fianco della Scuola centrale antincendi (c. 1940),
sede del Museo del Corpo dei Vigili del Fuoco con ingresso da piazza
Scilla N. 2 (a sin. per via delle Capannelle; visita a richiesta tel.
067183041). Segue, sempre a sin., l’ippodromo delle Capannelle, il cui
primo impianto (1881) fu ampliato nel 1926 da Paolo Vietti Violi e nel
1981 da Dario Tomellini Garzia.
Avanti si scorge sulla d. la spettacolare fuga di arcate
dell’acquedotto dei Quintili, in calcestruzzo con paramento in laterizio,
diramazione verso la villa sull’Appia Antica di quello dell’«Anio Novus»
→; al N. 1267 è il pittoresco casale di Tor di Mezzavia di Albano, di
origine medievale ma di aspetto prevalentemente sei-settecentesco.
Oltre il Grande Raccordo Anulare e l’incrocio con la via di
Ciampino si costeggiano (km 9.1) le strutture dell’aeroporto di
Ciampino Ovest G.B. Pastine, aerostazione militare sorta nel 1916
e aperta dal 1919 al traffico civile nazionale e internazionale, da dove
Umberto Nobile partì per l’Alaska (1926) con il dirigibile Norge e per la
spedizione al Polo Nord (1928) con il dirigibile Italia.
Attorno all’aeroporto si è formato dal 1910 Ciampino m 124, ab.
37 031, che, dapprima frazione di Marino, è divenuto comune
autonomo nel 1974.

8.11 LA VIA APPIA ANTICA

«Regina viarum», cioè la più famosa delle strade consolari che


uscivano da Roma, anche per gli splendidi monumenti funerari e
residenziali che la fiancheggiavano, la Via Appia fu aperta nel 312 a.C.
dal censore Appio Claudio Cieco, che rettificò il preesistente tracciato
che univa Roma ai Colli Albani prolungandolo fino a «Capua» (Santa
Maria Capua Vètere) attraverso «Aricia» (Ariccia), «Tarracina»
(Terracina), «Fundi» (Fondi), «Formiae» (Formia), «Minturnae»
(Minturno) e «Sinuessa» (Mondragone); larga m 4.1 (corrispondenti a
14 piedi romani) e fiancheggiata sui lati da «crepidines» (marciapiedi)
in terra battuta delimitate da cigli in lava basaltina, venne in seguito
lastricata in selci e raggiunse verso il 190 a.C. Brindisi attraverso
Benevento e Venosa, sì da costituire l’asse viario di comunicazione con
l’Oriente, anche se il tratto Benevento-Taranto-Brindisi perse
importanza quando fu sostituito dalla Via Appia Traiana che passava
attraverso «Aecae» (Troia), «Canusium» (Canosa) e «Barium» (Bari).
Conservatasi fino al sec. VI (era ancora utilizzata nel Medioevo)
ma caduta poi in abbandono, fu riaperta da Pio VI solo a fine
Settecento (al 1809 risale la prima proposta per la realizzazione di un
parco archeologico) e sistemata sotto Pio IX a opera di Luigi Canina.
Dopo essere stata solo in parte sfiorata dal progetto della Passeggiata
Archeologica tra il Palatino e il Celio (1887), fu con il piano regolatore
del 1931 che si auspicò «la creazione di un grandissimo parco
comprendente tutta la zona cosparsa di antichità situata tra la Via
Ardeatina e la Via Appia Nuova ed il cui asse sia costituito dalla Via
Appia Antica», anche se contemporaneamente si dette il via libera
all’edificazione di ville secondo ‘particolari accorgimenti’. Nel 1962 la
maggior parte dei 2517 ettari dell’Appia Antica fu destinata a parco
pubblico; nel 1976 venne da un lato elaborato un piano di esproprio di
parte della vicina valle della Caffarella e dall’altro installato il guardrail
lungo il Grande Raccordo Anulare, che sancì la separazione definitiva
(e il conseguente abbandono) del tratto più esterno della consolare.
Già inserita nell’ordinaria viabilità ma destinata a isola pedonale,
la Via Appia Antica ha conosciuto un crescente degrado che ne ha
gravemente compromesso il fascino e la suggestione (interventi della
Soprintendenza archeologica di Roma hanno scoperto, sotto l’asfalto e
il lastricato sistemato nell’Ottocento, tracce di quello originale di epoca
romana); nonostante ciò, l’itinerario (km 9; carte alle pagine 822, 830,
833 e 834-835) resta del massimo interesse, in quanto costituisce una
delle poche testimonianze superstiti – e unica per continuità di
percorso – di quello che era, fino ai primi decenni del Novecento, il
paesaggio della Campagna romana, caratterizzato dalla presenza di
innumerevoli resti antichi spesso monumentali (villa di Massenzio,
tomba di Cecilia Metella, villa dei Quintili), e di come era strutturata
una via romana.

PARCO REGIONALE DELL’APPIA ANTICA. Il Parco dell’Appia Antica,


con sede nell’ex cartiera Latina in via Appia Antica 42 (t. 065130682-
065126314, www.parcoappiantica.org), è un’area protetta di interesse
regionale, istituita nel novembre 1988 al fine della conservazione, la
conoscenza e la valorizzazione del territorio, di straordinario interesse
paesaggistico, storico e archeologico. Si stende su circa 3500 ettari,
comprendendo la via Appia Antica e le sue adiacenze, la valle della
Caffarella, l’area archeologica della via Latina, l’area archeologica degli
Acquedotti. la tenuta di Tormarancia e quella della Farnesiana. Il
perimetro del parco è delimitato a nord dalla cinta delle Mura
Aureliane di Roma, a ovest dalla via Ardeatina e dalla ferrovia Roma-
Napoli, a est dalla via Tuscolana e dalla via Appia Nuova fino a
Frattocchie, mentre a sud tocca l’abitato di Santa Maria delle Mole e il
fosso delle Cornacchiole ai margini dell’area archeologica di Tellene. I
comuni interessati dall’area del parco sono quelli di Roma, di Ciampino
e di Marino. I lavori per il Giubileo del 2000 hanno permesso di
riportare alla luce lunghi tratti dell’antico basolato stradale dell’Appia
Antica e di riqualificare tutto il percorso ‘romano’ con restauri di alcuni
monumenti funerari lungo i bordi della strada e delle ‘macere’
ottocentesche che separano le zone demaniali da quelle private, con
una particolare cura degli elementi vegetazionali.

LA *VIA APPIA ANTICA, prosecuzione ‘extraurbana’ del percorso


consolare segnato, entro le mura, dal viale delle Terme di Caracalla e
dalla via di Porta S. Sebastiano (→ e 532), inizia fuori porta S.
Sebastiano → e segue nella prima parte il «clivus Martis», così detto
dal tempio del dio che sorgeva nei pressi, incontrando sulla d., serrata
al muro, la copia della prima colonna miliare (l’originale è al
Campidoglio); scavalcata la marrana della Caffarella – l’antico fiume
Almone dove i sacerdoti della Magna Mater lavavano la statua della
dea – oltrepassa la cosiddetta tomba di Geta (a sin.; N. 41), di cui
rimane l’alto nucleo cementizio sormontato da una casetta
cinquecentesca, quindi a d. in corrispondenza dell’inizio della Via
Ardeatina →, la tomba di Priscilla (visita a richiesta all’Ufficio
Monumenti e Scavi), mausoleo costituito da un basamento sormontato
da due corpi cilindrici su cui sono i resti di una torre circolare eretta
dai Caetani nel sec. XIII.
Opposta a questa è la chiesa del Domine quo vadis?, più
propriamente intitolata a S. Maria in Palmis; risale al sec. IX ma venne
riedificata nel XVI-XVII, e la facciata, dovuta al cardinale Francesco
Barberini, è del 1637.

L’ORIGINE DEI TITOLI. Il luogo di culto si vuole sorto sul luogo ove
Gesù sarebbe apparso a S. Pietro che fuggiva da Roma per scampare
alla persecuzione di Nerone. All’apostolo che gli chiedeva: «Domine,
quo vadis?» (Signore, dove vai?), Gesù avrebbe risposto: «Eo Romam
iterum crucifigi» (Vado a Roma a farmi crocifiggere di nuovo); Pietro,
pentito, sarebbe tornato indietro verso il martirio. La denominazione
«in palmis» o «del passo» deriva dalla tradizione medievale di
venerare una pietra votiva, qui in copia (l’originale è nella basilica di S.
Sebastiano), su cui sono due orme di piedi ritenute di Cristo.

LA CAPPELLA DI REGINALD POLE. Al bivio, dove è l’accesso al


parcheggio per le catacombe di S. Callisto (v. sotto), l’Appia Antica
prosegue a sin. allargandosi in corrispondenza dell’imbocco, di nuovo
a sin., di via della Caffarella: qui, quasi addossata al fianco di un
casale, si trova l’edicola rotonda a cupola fatta costruire come ex voto
dal cardinale inglese che, contrario alla riforma anglicana, sfuggì nel
1539 in questo punto a un agguato dei sicari di Enrico VIII; l’elegante
costruzione richiama, nell’uso del cotto policromo, la tradizione
classica delle tombe romane a tempietto e in particolare il vicino
tempio del dio Redicolo.

VIA DELLA CAFFARELLA, che all’inizio procede stretta fra muri di


cinta e poi sterrata fra siepi e campi, raggiunge, oltre una casa
colonica e inglobato in una proprietà privata, il cosiddetto tempio del
Dio Redicolo (del Ritorno), dedicato alla divinità che avrebbe
costretto Annibale a tornare indietro; in realtà monumento sepolcrale
a forma di tempietto tradizionalmente attribuito ad Annia Regilla
moglie di Erode Attico (sec. II), è un’interessante costruzione in
laterizi, di due tonalità, a pianta rettangolare, con basso podio e facce
esterne tripartite da lesene, con finestre incorniciate, trabeazione a
mensole e timpano. Più avanti, la strada piega a sin. e conduce al
casale della Caffarella, edificato dalla famiglia Caffarelli intorno al 1547
sui resti di una fortificazione dei sec. XIII-XIV (è ancora visibile parte
della torre, rimaneggiata) posta a controllo della valle dell’Almone.
L’IPOGEO DI VIBIA (visita a richiesta alla Pontificia Commissione di
Archeologia Sacra), nella seicentesca villa Casali che la consolare
costeggia a sin., è datato al sec. IV; luogo di sepoltura di Cristiani e
Pagani aderenti alla setta di Bacco-Sabazio, consta di tre GALLERIE, di
un CUBICOLO con colonne e di un ARCOSOLIO con pitture (Introduzione
della defunta Vibia nel «paradiso» sabazianista, Vibia sul carro di
Plutone e Mercurio e il Banchetto sacro dei sette sacerdoti di Sabazio).
Al numero 105 è l’accesso alle piccole catacombe che sono dette
della Santa Croce (sec. IV; visita a richiesta alla Pontificia Commissione
di Archeologia Sacra) dalla pittura con una croce greca posta sotto il
lucernario.
Seguono le *catacombe di S. Callisto (t. 0651301580-
065130151).

LA STORIA. Sorte verso fine sec. II da ipogei cristiani privati e da


un’area funeraria direttamente dipendente dalla Chiesa di Roma,
prendono nome dal diacono Callisto, preposto da papa S. Zefirino
all’amministrazione del cimitero stesso; salito a sua volta al soglio
pontificio, egli ingrandì il complesso funerario, che ben presto divenne
quello ufficiale della Chiesa romana. Le gallerie, dove trovarono
sepoltura più di 50 martiri e 16 pontefici, fanno parte di un complesso
cemeteriale che occupa 15 ettari di terreno e raggiungono una
lunghezza di quasi 20 km; i nuclei più antichi sono le cripte di Lucina e
la regione detta dei Papi e di S. Cecilia, dove si conservano alcune tra
le memorie più sacre del luogo (le cripte dei Papi e di S. Cecilia, e i
cubicoli dei Sacramenti); le altre regioni sono denominate di S. Gaio e
di S. Eusebio (fine sec. III), Occidentale (prima metà IV) e Liberiana
(seconda metà IV), con grandiose architetture sotterranee.

LA VISITA. Nella zona centrale del sopratterra sono visibili due


basilichette con tre absidi, dette TRICÒRE: quella O ospitava un sepolcro
di martire, mentre quella E, già parte del percorso di visita, custodiva
soltanto tombe e sarcofagi; in questa si trovano il busto di G.B. De
Rossi (1822-94), fondatore dell’archeologia cristiana e loro scopritore
nel 1849, che proprio qui iniziò gli studi e le esplorazioni delle
catacombe romane, e, lungo le pareti, frammenti di sarcofagi e
iscrizioni del cimitero subdiale.
Una scala moderna, sul posto dell’antica fatta costruire da papa
Damaso, dà accesso alla REGIONE DEI PAPI, in cui si visita l’omonima
cripta, dove furono sepolti nove pontefici e, forse, otto esponenti
della gerarchia ecclesiastica: lungo le pareti sono le iscrizioni originali
in greco dei pontefici S. Ponziano martire, S. Anterote, S. Fabiano
martire, S. Lucio e S. Eutichiano. Nella parete di fondo fu deposto
anche papa S. Sisto II, ucciso durante la persecuzione di Valeriano;
dinanzi al suo sepolcro papa Damaso fece incidere un’iscrizione
metrica nei caratteri ideati dal calligrafo Furio Dionisio Filocalo. Nella
cripta contigua è la tomba di S. Cecilia, le cui reliquie furono rimosse
da Pasquale I nell’821: gli affreschi (inizi sec. IX) sulle pareti
raffigurano S. Cecilia orante, il busto del Redentore e papa S. Urbano
martire.
Poco lontano, una galleria di fine sec. II dà accesso ai CUBICOLI DEI
SACRAMENTI, che ospitano affreschi della prima metà del III alludenti al
Battesimo, all’Eucarestia e alla Risurrezione della carne; nella
contermine REGIONE detta DI S. MILZIADE, il sarcofago del Bambino ha la
fronte scolpita con episodi biblici.
Nella REGIONE DEI SS. GAIO ED EUSEBIO, cripte distinte, una opposta
all’altra, accolgono i sepolcri dei papi Gaio (iscrizione) ed Eusebio,
deceduto in Sicilia dove era stato esiliato da Massenzio e traslato a
Roma durante il pontificato di S. Milziade; su una copia in marmo di
fine sec. IV (sul lato opposto, i frammenti originali) si legge
un’iscrizione damasiana con il ricordo dello scisma suscitato da tale
Eraclio per la questione dei «lapsi» (apostati dal Cristianesimo).
Percorrendo la galleria s’incontrano, in successione, la cripta dei
martiri Calocero e Partenio e il doppio cubicolo di Severo, che contiene
un’iscrizione ritmica (non posteriore al 304) dove il vescovo di Roma
Marcellino viene chiamato per la prima volta papa e viene professata
la fede nella risurrezione finale.
In una regione più remota è la deposizione del papa martire S.
Cornelio, il cui sepolcro conserva l’iscrizione originale contenente il
titolo di «martyr» e, ai lati, splendide pitture, con caratteri stilistici
bizantini (sec. VII-VIII), raffiguranti i papi S. Sisto e S. Cornelio e i
vescovi africani S. Cipriano e S. Ottato. In un vicino cubicolo sono
alcuni tra i più antichi (fine II-inizi III) affreschi delle catacombe
romane: nel soffitto, Buon Pastore e oranti, sulla parete di fondo due
pesci con un cestino di pani sul dorso, simbolo dell’Eucarestia.
ALLE ALTRE CATACOMBE racchiuse nel complesso callistiano
corrispondono sopra terra antichi edifici. Quelle dei Ss. Marco e
Marcelliano (visita a richiesta alla Pontificia Commissione di
Archeologia Sacra) accolgono nelle gallerie, sviluppatesi nel sec. IV
dopo la deposizione dei martiri, alcune pitture di soggetto biblico e
sarcofagi a fregio continuo. Più incerte le notizie sulle catacombe dette
di Balbina, associate alla memoria dei martiri Marco e Marcelliano, che
ospitano il santuario di papa Marco e di Basileo.
Un percorso pedonale segnalato conduce quindi alla basilica di S.
Sebastiano (v. oltre).

LA VIA APPIA PIGNATELLI, che si diparte a sin. dell’Appia Antica


presso il portale della vigna S. Sebastiano, fu aperta su tracciato
antico da Innocenzo XII a fine sec. XVII per congiungere la consolare
con l’Appia Nuova.

ALLA CHIESA DI S. URBANO. La strada attraversa una zona dove


sono state individuate altre aree cemeteriali. Tra queste spiccano le
catacombe di Pretestato (visita a richiesta alla Pontificia Commissione
di Archeologia Sacra), sorte già a fine sec. II, che comprendevano nel
sopratterra una vasta area funeraria prima pagana poi cristiana e che
ospitavano diverse tombe di martiri (nelle regioni più antiche si
segnalano il CUBICOLO DELLA «CORONATIO», con rarissima raffigurazione
dell’incoronazione di spine, e la pittura del sec. IV con Susanna e i
vecchioni nelle allegoriche vesti di agnello e lupi), e le catacombe
ebraiche di Vigna Randanini (visita a richiesta alla Soprintendenza
archeologica di Roma), scoperte da Raffaele Garrucci nel 1897, uno
dei sette cimiteri conosciuti della comunità ebraica romana: utilizzato
nel sec. III-IV, ha un aspetto simile a una catacomba cristiana (gallerie,
lucernari, loculi e cubicoli), salvo che per la presenza di tombe a forno
(«kokim») di origine orientale; quattro vani funerari sono dipinti con
motivi ebraici o di repertorio classico (questi ultimi riferibili per alcuni a
un’iniziale fase pagana di parte dell’ipogeo), molte le iscrizioni greche
e latine (nessuna in ebraico) ancora in situ, con simboli ebraici e
acclamazioni simili al formulario cristiano.
A sinistra dell’Appia Pignatelli si stacca vicolo S. Urbano, che
conduce all’omonima villa (oggi ristorante). Nel parco è la chiesa di
*S. Urbano, adattamento di un tempio costruito probabilmente da
Erode Attico nel Pago Triopio, la sua proprietà tra l’Appia Antica e
l’Appia Pignatelli; il tempio, preceduto da un pronao con quattro
colonne di marmo pentelico, aveva le murature e la decorazione
architettonica in finissimo cotto. La chiesa, risalente al sec. X e alla
quale nel 1634 vennero murati gli intercolumni della facciata, ospita
nell’interno, con volta a botte e lacunari, fra paraste corinzie un ciclo
di affreschi di Bonizzo (iscrizione, datata 1011, sulla Crocifissione
sopra la porta) interamente ridipinti nel 1643: nel muro di fondo,
Cristo in trono; sulle pareti, storie di Gesù e dei Ss. Urbano, Cecilia,
Valeriano e Tiburzio; nella cripta, altare dedicato a Bacco con
iscrizione greca.
Nelle vicinanze sono la cosiddetta grotta di Egeria, in realtà ninfeo
del sec. II, e il sito ritenuto nel ’700 il Bosco Sacro, dove la ninfa
Egeria secondo la leggenda ispirava Numa Pompilio.

LA BASILICA DI S. SEBASTIANO. La Via Appia Antica, lasciato a d. il


vicolo delle Sette Chiese, forma a sin. uno slargo, con al centro la
colonna commemorativa del restauro dell’Appia compiuto nel 1852 da
Pio IX da qui fino a «Bovillae».
A destra è la basilica eretta là ove, secondo la tradizione, erano
custoditi i corpi degli apostoli Pietro e Paolo, qui trasferiti nel 258 dalle
Vie Cornelia e Ostiense in epoca di persecuzione e ritornati nei siti
originari quando furono edificate le basiliche a loro dedicate; nel 297-
305, con la deposizione del corpo di S. Sebastiano vittima delle
persecuzioni di Diocleziano, si sviluppò il cimitero cristiano sul quale
sorse nella prima metà del sec. IV la «basilica Apostolorum», oggi
ricordata con il nome del santo narbonese. Il luogo di culto, in origine
a tre navate, venne fatto ricostruire dal cardinale Scipione Borghese: i
lavori, affidati a Flaminio Ponzio, iniziarono nel 1608 e furono portati a
termine da Giovanni Vasanzio.
La facciata, compiuta da quest’ultimo nel 1613, è costituita da un
portico a tre archi su colonne ioniche binate di granito (provenienti
dall’edificio originario), la cui partitura è ripresa dalle paraste laterizie
dell’ordine superiore inquadranti tre finestre a timpano curvilineo, e
dal timpano di coronamento.

L’INTERNO, dal disegno altrettanto semplice e rigoroso, è una


solenne navata unica scandita sui lati da tre arcate inquadrate da
coppie di paraste. Il *soffitto ligneo, su disegno di Giovanni
Vasanzio, conserva la figura di S. Sebastiano e gli stemmi del
cardinale Scipione e di Gregorio XVI che lo restaurò. La cappella delle
Reliquie (1625; pianta →, 1) accoglie le impronte ritenute dei piedi di
Cristo relative all’episodio del «Domine quo vadis?» →, una delle
frecce che colpirono S. Sebastiano e la colonna cui fu legato. Cappella
Albani (2), costruita nel 1706-1712, su disegno di Carlo Maratta, da
Alessandro Specchi, Filippo Barigioni e Carlo Fontana per ordine di
Clemente XI e dedicata a S. Fabiano papa: cancellata in bronzo e ferro
battuto (1714); sull’altare, S. Fabiano con angeli, statua di Francesco
Papaleo (1712; suoi i putti); a d. il Santo battezza Filippo l’Arabo di
Pier Leone Ghezzi; a sin. il Santo eletto papa di Giuseppe Passeri.
All’altare maggiore (3), nell’edicola con quattro colonne di verde antico
del Ponzio (1610-1612), Crocifissione, affresco di Innocenzo Tacconi
(1609-1614); ai lati, busti dei Ss. Pietro e Paolo di Nicolas Cordier. 3ª
cappella sin. (4): S. Francesco attribuito a Girolamo Muziano. 1ª (di S.
Sebastiano; 5), progettata da Ciro Ferri (1672), su modello di quella
delle Reliquie, in asse con la sepoltura del santo nella catacomba:
sotto l’altare, *statua giacente del santo, capolavoro di Antonio
Giorgetti (1671-72) su disegno di Gian Lorenzo Bernini. Lapide (6),
proveniente dalla catacomba, con elogio del martire Eutichio scritto da
papa Damaso.
LE *CATACOMBE DI S. SEBASTIANO (t. 067850350) sono uno dei
pochissimi cimiteri cristiani rimasti sempre accessibili e perciò molto
devastato (dei quattro piani originari il primo è quasi completamente
distrutto). Nella NAVATA DESTRA (pianta a lato, A) della basilica primitiva,
ricostruita nel 1933 su resti antichi, sono visibili a sin. le arcate di
comunicazione con la nave mediana della chiesa attuale, murate nel
sec. XIII, e l’esterno dell’abside della cappella delle Reliquie; vi sono
raccolti sarcofagi interi e frammentari (per lo più del IV) ritrovati negli
scavi. Per una SCALA (B) si scende nelle gallerie dove sono vari cubicoli
(si segnalano le pitture di fine sec. IV del CUBICOLO DI GIONA, il cui ciclo è
raffigurato in quattro scene). Si giunge alla ripristinata CRIPTA DI S.
SEBASTIANO, con altare a mensa sul luogo dell’antico (restano tracce del
basamento) e busto di S. Sebastiano attribuito a Bernini. Di qui si
arriva alla PIAZZUOLA (C), sotto la quale si sviluppa una cavità arenaria
cui si deve forse il nome di «ad catacumbas» (da «katà» = presso e
«kymbas» = cavità) che ebbe questo cimitero e che si estese poi agli
altri. Sulla Piazzuola si aprono tre mausolei della seconda metà del
sec. II utilizzati successivamente da Cristiani. Il primo a d. (D),
decorato esternamente con pitture (banchetti funebri, Miracolo
dell’indemoniato di Gerasa), conserva l’iscrizione col nome del
proprietario, Marcus Clodius Hermes; l’interno, con sepolture a
inumazione e pitture, è decorato sulla volta da una testa di gorgone. Il
secondo (E), detto degli «Innocentiores» in quanto proprietà di un
collegio funeraticio, presenta un descenso con volta decorata da
stucchi raffinati; in alcuni vani sono iscrizioni greche nei caratteri ma
in lingua latina e un graffito con le iniziali delle parole greche
significanti «Gesù Cristo figlio di Dio, Salvatore». A sinistra è il
MAUSOLEO DELL’ASCIA (F), dall’arnese raffigurato all’esterno, la cui
decorazione è formata da tralci di vite nascenti da kàntharoi posti su
finti pilastri.
Dalla Piazzuola si sale a un ambiente (G), posto c. a metà della
basilica e tagliato in alto dalla costruzione della stessa: la cosiddetta
«TRICLIA», luogo coperto da una tettoia dove si celebravano banchetti
funebri; le pareti intonacate del vano mostrano centinaia di graffiti di
devoti, incisi dalla seconda metà del sec. III agli inizi del IV, con
invocazioni agli apostoli Pietro e Paolo. Dalla «Triclia» si passa, per un
vano di disimpegno, nell’antico AMBULACRO (H), che gira attorno
all’abside: qui è ordinata una raccolta di epigrafi e un plastico
completo dei mausolei, della «Triclia» e della basilica costantiniana; si
scende poi nella «PLATONIA» (L), costruzione posteriore alla basilica
che si credeva luogo della sepoltura temporanea dei due apostoli e
che invece, come hanno provato gli scavi del 1892, fu il mausoleo del
martire Quirino, vescovo di Siscia in Pannonia, qui trasportato nel sec.
V. A destra della «Platonia», la CAPPELLA DI ONORIO III (M), adattata nel
vestibolo del mausoleo, con interessanti pitture del sec. XIII (fra di
esse, Pietro e Paolo, il Crocifisso, santi, Strage degli Innocenti, Maria
col Bambino); a sin., MAUSOLEO absidato (N) con altare murato contro
l’abside: nella parete sin. il graffito «domus Petri» si ritiene alluda a
una dimora sepolcrale dell’apostolo.
Sotto la navata d. della basilica, in un vano con resti di tombe
medievali e un busto di Clemente XI, si trova un bel sarcofago con
scene bibliche (prima metà sec. IV), riutilizzato dal cardinale Orazio
Albani (m. 1711); in questa zona è l’ingresso di una ricca VILLA
suburbana (P) nel cui ambiente principale una pittura raffigura un
porto di mare. Verso nord sono altri due vani (botteghe?) e la
cosiddetta VILLA PICCOLA (R), a due piani, con affreschi (gorgoni,
ippogrifi, pesci, uccelli, vasi) databili tra fine II e inizi III; potrebbe
essere stata la residenza dei custodi del sepolcreto, di cui faceva parte
un colombario, allineato come gli altri lungo un antico diverticolo
dell’Appia e anteriore all’utilizzazione cristiana del sito.
Intorno alla basilica è stata individuata inoltre una serie di celle
sepolcrali e di grandiosi mausolei, alcuni ancora visibili; sotto uno di
essi è il bel sarcofago di Lot (c. 340), con resti di coloritura.

LA *VILLA DI MASSENZIO (t. 067801324) è uno dei più estesi e


importanti complessi monumentali dell’Appia Antica, che l’imperatore
costruì nel Pago Triopio di Erode Attico passato alla morte di questi al
demanio imperiale.

I PRINCIPALI EDIFICI. In un avvallamento si dispongono le


gigantesche strutture del *CIRCO DI MASSENZIO, l’esemplare romano
meglio conservato di questo tipo di impianto. Costruito in opus
listatum (lunghezza m 513, larghezza c. m 90), presentava sul lato O,
fiancheggiato da torri (quella di d. in gran parte conservata), gli stalli
(«carceres»), ora quasi rasi al suolo, da cui partivano i carri; la spina
centrale, lunga m 296, era un tempo ornata da un canale, da sculture,
edicole e dall’obelisco di Domiziano alzato da Gian Lorenzo Bernini in
piazza Navona. Al centro del lato curvo a E si apre un arco attraverso
cui transitavano le processioni. Le gradinate per il pubblico (la
capienza complessiva dell’impianto è stata calcolata in c. 10000
persone) poggiavano su una volta, in gran parte crollata; il palco
imperiale, sul lato sin., era collegato con una galleria al PALAZZO
IMPERIALE, costruito su impianti di età repubblicana, di cui si
intravedono le parti absidali di tre grandi ambienti.
Preceduto sulla sin. da un SEPOLCRO forse di età augustea, un
ampio quadriportico (c. m 107x120), con pilastri di laterizio e pareti in
opus listatum, cinge il MAUSOLEO DI ROMOLO, eretto da Massenzio per il
figlio morto giovanetto ma usato anche per altri membri della famiglia
imperiale. Al centro è la tomba circolare (diametro c. m 33), preceduta
da un avancorpo rettangolare (su cui si è impostato nell’800 un casale
dei Torlonia) costituito da due ambienti, il primo dei quali sottostante
alla scalinata frontale; nel vano circolare interno, un corridoio anulare
circonda un pilastro rotondo, in cui si aprono, come nelle pareti
perimetrali, nicchie per le deposizioni, mentre al di sopra un ambiente,
destinato al culto funerario e quasi del tutto scomparso, era coperto
da una volta a cupola con occhialone centrale.

LA *TOMBA DI CECILIA METELLA (t. 067802465;


www.archeorm.arti.beniculturali.it) è monumento tra i più famosi di
Roma e simbolo dell’Appia Antica: risalente c. al 50 a.C., è costituito
da un basamento quadrato, già rivestito di travertino, su cui poggia un
corpo cilindrico (diametro m 29.5, altezza m 11) ornato alla sommità
di un fregio a rilievo, su marmo pentelico, con scudi gallici, festoni e
bucrani (da questi ultimi deriva il nome di Capo di Bove alla zona), e
coperto da una struttura di forma conica. Una lapide di marmo ricorda
Cecilia, figlia di Metello Cretico (conquistatore di Creta) e moglie di
Crasso, figlio del triumviro e generale di Cesare in Gallia.
Gli attuali merli ghibellini del mausoleo si ricollegano alla
sopraelevazione eseguita nel 1302 dai Caetani, che fecero della tomba
il mastio dell’adiacente castello, gia dei conti di Tùscolo (sec. XI), posto
a cavallo della via. Del complesso, distrutto in parte da Sisto V,
rimangono resti pittoreschi con torri, bifore trilobate, merlature
(l’interno racchiude la cella sepolcrale, a forma di cilindro assai
rastremato verso l’alto, le cui pareti sono uno dei più antichi esempi di
questo tipo di tecnica) e, sul lato opposto della strada, la chiesetta
scoperchiata di S. Nicola a Capo di Bove, unica superstite delle
numerose della zona, che costituisce un raro esempio di architettura
gotica romana.

IL COMPLESSO ARCHEOLOGICO è stato sottoposto a un restauro


(2000), che ha riguardato il mausoleo e il castello dei Caetani. Il
«castrum», costruito in posizione strategica a cavallo della Via Appia,
si componeva di un palazzo signorile, di una chiesa parrocchiale
dedicata a S. Nicola, di alcune casette delle quali non si conservano
tracce a vista e di una cinta muraria (ancora ben conservata in parte
visibile in parte compresa entro proprietà private) con due porte sulla
strada e numerose torrette di difesa. Il palazzo costruito a ridosso
della mole bianca e curvilinea del mausoleo, conserva integre le pareti
perimetrali delle sale, privo della copertura e dei solai che dividevano il
piano terreno dal piano nobile e dei camminamenti di ronda al livello
delle merlature. Nelle murature spoglie si riconoscono i fori che
sostenevano le grandi travi dei solai e quelli necessari alle impalcature
durante le fasi costruttive. Le impronte di due grandi camini che
scaldavano le stanze signorili erano l’unica traccia evidente prima degli
scavi recenti.
NUOVE CONOSCENZE. Gli strati di scavo hanno fatto luce sulla
struttura del palazzo e soprattutto sui modi in cui è stato costruito e
hanno aggiunto elementi di conoscenza per la sua datazione
attraverso le ceramiche recuperate (esposte oggi nella torretta) datate
dalla fine del XIII al XVI secolo. Sul fondo dello scavo sono state
ritrovate parti crollate del fregio con ghirlanda che decora la sommità
della tomba, frammenti della cornice in travertino ed elementi
architettonici pertinenti ad altri monumenti della zona. Dagli ambienti
scavati, oggi inclusi nel percorso di visita, è inoltre sorprendentemente
riaffiorata una imponente testimonianza della lava, frutto dell’attività
dei vulcani Laziali di 260 mila anni fa nota come «colata lavica di Capo
di Bove» dal nome della tenuta che attraversa nel suo ultimo tratto (e
che a sua volta deve la denominazione ai crani di bue che decorano il
fregio della tomba di Cecilia Metella). Questa lava è di particolare
interesse sia per la sua vicinanza alla città, sia perché su di essa
scorre la Via Appia Antica.
IL MUSEO DELL’APPIA. All’attenzione rivolta alla strada e ai suoi
monumenti dai primi dell’800 che portò all’opera conclusa da Luigi
Canina, commissario alle Antichità di Roma nel 1850, si deve la
soluzione di realizzare sulla Via Appia, presso i nuclei dei sepolcri,
piccole quinte in muratura ‘moderna’ per inglobarvi i frammenti
marmorei recuperati dagli scavi. In questa linea si pone la scelta di
murare nella tamponatura del portale originario del palazzo Caetani
alcuni tra i più significativi reperti provenienti dagli scavi nella zona del
mausoleo. In seguito, a partire dai primi anni del ’900 la necessità di
raccogliere i numerosi oggetti scultorei provenienti dai monumenti
della strada portò alla soluzione di allestire qui una raccolta
archeologica per un «Museo dell’Appia». I pezzi furono aggrappati alle
pareti medievali del palazzo e murati in piccole strutture che avevano
il compito di tenere gli oggetti mostrandoli secondo il gusto dell’epoca.
Gli stessi oggetti, con l’aggiunta di alcuni recenti ritrovamenti,
sono ripresentati oggi, dopo il restauro, svincolati dalle strutture del
contenitore con il quale non hanno alcun riferimento, con la finalità
anche di introdurre la visita dei monumenti della Via Appia nel suo
tratto meglio conservato. Nella torretta, restaurata e coperta da un
tetto ligneo che utilizza gli alloggiamenti delle travi originarie, sono
presentati i materiali rinvenuti nel corso degli scavi contemporanei. Le
recenti disposizioni per la limitazione del traffico veicolare in questa
zona dovrebbero contribuire a valorizzare il complesso del Castrum
Caetani.
Di fronte al palazzo, nel giardino delimitato in parte dal muro di
cinta del «castrum», si trova la chiesa di S. Nicola (v. anche →),
esempio di architettura gotica che richiama l’ambiente delle abbazie
cistercensi e della cultura francese e angioina. Per ospitare la
biglietteria, un piccolo punto vendita e il servizio di sorveglianza è
stato realizzato un manufatto progettato per lo spazio del cortile,
all’ingresso del monumento, nel quale, all’interno di una vetrina, sono
esposti alcuni tra i reperti raccolti qui dall’inizio del ’900. Su una
grande lastra in travertino, posizionata al centro del cortile, è stata
scolpita la pianta ottocentesca di Luigi Canina della zona di Capo di
Bove e del Castrum Caetani.

LA SEZIONE ANTICA DELL’APPIA, compresa tra il III e il IX miglio, fu


liberata nel 1850-59 da Luigi Canina e un tempo era il tratto più
pittoresco della via. Oltre il bivio con via di Cecilia Metella si lascia a
sin. la torre di Capo di Bove, alto nucleo di sepolcro presso il quale
l’astronomo Angelo Secchi costituì nel 1870 una nuova base per la
verifica della rete geodetica italiana (targa). Al N. 220 si trova la villa
Capo di Bove (t. 0678358742; www.archeoroma.beniculturali.it),
dove recenti scavi hanno portato alla luce un impianto termale la cui
prima fase costruttiva si data alla metà del II sec. d.C. La struttura era
probabilmente a uso di una villa o di un gruppo facente capo a una
corporazione o a un «collegium». Mosaici, frammenti di marmi
policromi e di intonaco dipinto denotano la raffinatezza degli ambienti.
Nel centro di accoglienza verranno allestiti il Centro di documentazione
dell’Appia e l’Archivio di Antonio Cederna.
La strada, fra cipressi e pini secolari, è tutta un susseguirsi di
sepolcri, dei quali rimangono generalmente solo i nuclei murari interni,
spesso conservati fino a notevole altezza ma spogliati dall’incuria; ai
mausolei, cui talora si sono sovrapposte nel Medioevo torri di vedetta
e di difesa, si alternano tombe più modeste, come sarcofagi su podio,
cippi isolati e sepolcri a camera. Sulla sinistra, opposti alla recinzione
militare al cui interno è il forte Appio, sono murati in un alto blocco
laterizio i frammenti della tomba di Marco Servilio, ivi rinvenuti nel
1808 da Antonio Canova che, contro l’uso allora in voga, volle lasciare
sul posto i reperti archeologici; per impedire ulteriori spoliazioni,
svariati frammenti sono stati trasportati al Museo Nazionale Romano.
Superato a sin. il cosiddetto sepolcro di Seneca, si lasciano a d.,
nell’ex proprietà Lugari (N. 286), i resti della tomba, a forma di edicola
in laterizio, di S. Urbano (età antonina), su cui nel Medioevo s’impostò
la torre dei Borgiani; sul lato opposto, nascosto dal ciglio della strada,
è quanto resta di un monumento in laterizio databile al sec. II e
tradizionalmente identificato con il tempio di Giove. La via prosegue
tra una serie pressoché ininterrotta di sepolcri, quasi del tutto distrutti,
fino a un mausoleo a forma di tempietto su alto podio, con pareti e
decorazione in cotto (visibile sul fronte posteriore), tipico dell’età degli
Antonini; subito avanti, sempre a d., è il ricostruito sepolcro dei Rabirii
(sec. I), con tre ritratti in rilievo tra cui quello di Usia con gli attributi
del culto di Iside (l’originale è al Museo Nazionale Romano).
IL SITO DELLO SCONTRO TRA ORAZI E CURIAZI. Si continua, oltre
l’incrocio con via Erode Attico e via di Tor Carbone, fino al V miliario
dove la strada, finora perfettamente rettilinea, presenta una leggera
deviazione a sin. riprendendo poi il primitivo orientamento; tale
cambio di direzione è dovuto probabilmente alla necessità di rispettare
un luogo sacro, forse sorto in relazione al primitivo confine tra i
territori di Roma e «Alba Longa» (Castel Gandolfo). Tra questo punto
e il IV miglio della Via Latina correvano le «fossae Cluiliae», così
chiamate dal re albano che vi aveva posto il suo accampamento. Qui
sarebbe avvenuto il famoso duello tra Orazi e Curiazi, in seguito al
quale è stato dato il nome di tomba dei Curiazi ai resti del tumulo sulla
d., in realtà di epoca tardo-repubblicana; il grande recinto in blocchi di
peperino visto in passato nella zona retrostante al tumulo e
interpretato dagli eruditi come campo degli Orazi era più
probabilmente un ustrinum dove si bruciavano i defunti. Lasciata a
sin. (N. 251) una stradina verso il casale di S. Maria Nova che
s’impostò nel Medioevo su una cisterna pertinente alla prossima villa
dei Quintili, si superano sullo stesso lato i resti imponenti di un
mausoleo a piramide e a d. due ondulazioni del terreno che segnalano
altrettanti sepolcri a tumulo, detti tradizionalmente degli Orazi ma in
realtà risalenti alla fine della Repubblica.
LA *VILLA DEI QUINTILI (t. 067182273; www.archeorm.arti.beni
culturali.it), i cui primi resti si scorgono subito oltre a sin., è la più
grande tra quelle dei dintorni di Roma (talmente estesa che il luogo fu
chiamato Roma vecchia) e ha restituito negli scavi eseguiti fin dal ’500
innumerevoli opere d’arte. Consta di vari nuclei edilizi eretti dall’età
adrianea e prende nome da due ricchissimi fratelli che, divenutine
proprietari sotto Commodo, furono giustiziati da questo imperatore
che confiscò la villa, rimasta in seguito al demanio imperiale.

L’INDAGINE ARCHEOLOGICA. La villa era la più estesa del suburbio


romano. Lo Stato ha acquistato nel 1985 dagli eredi Torlonia gran
parte dell’area occupata in antico dal grandioso complesso
residenziale. Il sito era noto nella cartografia antica come ‘Statuario’
per la ricchezza delle opere d’arte, o come ‘Roma Vecchia’ perché le
imponenti rovine evocavano un’antica città. Il luogo aveva in età
romana un significato sacro e leggendario: qui, infatti, si conservano
ancora tre tombe a tumulo attribuite già dallo storico Livio agli Orazi e
Curiazi, che al tempo del re Tullo Ostilio si affrontarono in questo
luogo nel combattimento che valse a Roma la supremazia su Alba
Longa e sul Lazio. Solo nel 1828 il ritrovamento di alcune «fistule
acquarie» di piombo con impresso i nomi di Sesto Quintilio Condiano e
Sesto Quintilio Valerio Massimo ha permesso di identificare i
proprietari della villa nei due fratelli Quintili, noti personaggi della vita
pubblica ricordati dalle fonti letterarie anche per la cultura, l’abilità
militare, la concordia e la ricchezza. L’imperatore Commodo li fece
uccidere nel 182 d.C. con l’accusa di aver congiurato contro di lui e
confiscò tutte le loro ricchezze, compresa la villa sulla Via Appia dove
amò risiedere lontano dalla città.
L’AREA ARCHEOLOGICA. Aperta nel 2000, si stende dalla Via Appia
Nuova alla via Appia Antica, dove era l’ingresso originario alla villa
accanto a un grande ninfeo, inglobato in epoca medievale in un
castello. Un vasto giardino di forma simile a un ippodromo, non
ancora scavato, introduceva al settore residenziale della villa, nel
quale gli scavi recenti hanno riportato alla luce una grande piazza
lastricata e stanze riscaldate e decorate con preziosi marmi, dove si
svolgevano banchetti e festini. Gli ambienti più strettamente privati,
sia padronali sia della servitù, si stendevano verso l’attuale Appia
Nuova, affacciandosi sulla campagna e sul fosso dello Statuario con
criptoportici, servizi, piccole sale termali, disposti a terrazze, creando
una quinta scenografica di grande effetto, oggi in parte riportata alla
luce. Le strutture più imponenti appartengono al settore termale, dove
dominano le grandi aule del calidario e del frigidario, collegate da una
serie ininterrotta di sale più piccole riscaldate e con vasche destinate
ai rituali del bagno romano, di cui l’imperatore Commodo faceva un
uso esagerato. Il frigidario, di cui si ignorava la funzione prima degli
scavi recenti, si presenta come un vasto spazio centrale con due
vasche per l’acqua fredda ai lati. La preziosa pavimentazione in marmi
policromi orientali, ancora in buona parte conservata, aiuta a
immaginare la decorazione di questo spazio, in origine molto
articolato. Di estremo interesse sono il sistema di approvvigionamento
idrico, che dall’acquedotto principale forniva l’acqua ai vari ambienti
della villa attraverso un sistema di condotti minori e cisterne, e gli
impianti di riscaldamento sia del settore termale sia di quello
residenziale, dei quali si sono conservate consistenti testimonianze
lungo le pareti e sotto i pavimenti. Gli scavi di fine XX secolo hanno
riportato alla luce anche numerosi materiali, che documentano il lusso
e la varietà degli apparati decorativi.
L’ANTIQUARIUM. È allestito nella ex stalla del casale moderno e
custodisce le preziose sculture provenienti da scavi eseguiti nei primi
decenni del ’900. Tra queste si impone la statua colossale di Zeus
seduto su una roccia, divinità cara ai fratelli Quintili e all’imperatore
Marco Aurelio, loro protettore. Nelle vetrine sono esposte numerose
statuette pertinenti a un santuario dedicato a divinità per lo più
orientali e a Zeus Bronton, dio dal carattere agricolo, e numerosi
materiali ritrovati durante gli scavi recenti, tra i quali parti di
ornamenti parietali e pavimentali, monete, ritratti, erme, elementi
della decorazione architettonica e un grande capitello costituito dal
corpo di un animale fantastico.

VERSO IL GRANDE RACCORDO ANULARE. La consolare raggiunge,


nelle vicinanze del VI miglio, il sepolcro detto Casal Rotondo (età
augustea), il più grande (c. m 35 di lato) dell’Appia, sorto su sepolture
più antiche e costituito da un corpo cilindrico un tempo rivestito di
travertino e sormontato da un tumulo; tra i frammenti decorativi
inseriti nel vicino muro e attribuiti all’edificio, un’iscrizione
frammentaria col nome di Cotta fece ritenere a Luigi Canina che
questo fosse il monumento eretto da Marco Valerio Massimo (poi
Messalino Cotta), avvocato e letterato del tempo di Augusto, al padre
Messalla Corvino. Subito dopo l’incrocio con le vie di Torricola (d.) e di
Casal Rotondo (sin.), resti di sepolcri per lo più anonimi e malamente
conservati fiancheggiano la via, che lambisce a sin. la torre in Selce,
cosiddetta dalle vicine cave e costruita nel sec. XII sopra un sepolcro
antico. Tracce e resti di sepolcri, frammenti architettonici e iscrizioni
continuano nel tratto successivo della strada, che prima del VII miglio
presenta una seconda deviazione, forse dovuta anche in questo caso
alla necessità di rispettare un luogo sacro preesistente; al termine
della deviazione si può scorgere, affacciandosi a sin., un lungo tratto
delle arcate dell’acquedotto → che riforniva la villa dei Quintili. Poco
oltre, km 9, la Via Appia Antica è violentemente tagliata dal Grande
Raccordo Anulare.

OLTRE LA MODERNA ARTERIA la consolare prosegue in uno stato di


totale degrado; volendola percorrere, s’imbocca il raccordo
abbandonandolo alla prima uscita (N. 24 Ardeatina) e, sottopassatolo,
riprendendolo in senso contrario fino al bivio segnalato della Via Appia
Antica. In corrispondenza dell’VIII miglio, sulla d., sono i resti,
sommersi dalla vegetazione, del cosiddetto tempio di Ercole, in realtà
porticato tardo-repubblicano pertinente forse a un luogo di ristoro;
avanti, sempre a sin. e preceduta da una tomba a edicola (sec. IV), la
cosiddetta Berretta del Prete, imponente mausoleo di età imperiale di
cui rimane la rotonda centrale coperta a cupola e nel quale fu adattata
nel Medioevo una chiesetta dedicata a Maria Madre di Dio. Oltre
l’incrocio con via dell’Aeroscalo, presso il IX miliario, un mausoleo
rotondo in laterizio, originariamente coperto a cupola e circondato da
un colonnato, è stato interpretato come la tomba dell’imperatore
Gallieno.

8.12 LA VIA ARDEATINA

La strada, il cui nome deriva da Àrdea (l’attuale omonima


cittadina) capitale dei Rutuli, usciva dalle mura Serviane per la porta
Nevia, attraversava il recinto aureliano presso la posterula Ardeatina e
proseguiva parallela o coincidente con il tracciato della Via Appia fino
alla chiesa del Domine quo vadis?; il percorso moderno ricalca fino a
via di Tor Carbone quello antico, ripreso in parte nel tratto successivo
dall’attuale via della Cecchignola, e segue poi la romana via Satricana
(da «Satricum», centro volsco), ritenuta erroneamente dal
Cinquecento la Via Ardeatina.
L’itinerario automobilistico (km 12; carta qui sotto) s’inoltra a S di
Roma in un paesaggio collinare quasi completamente agricolo,
preservato dai vincoli del piano regolatore del 1962 e successivamente
dall’inserimento al limite del parco dell’Appia Antica. Alle testimonianze
di età romana e cristiana (catacombe di Domitilla) si alternano torri e
casali fortificati, posti quasi sempre in posizione strategica, che
documentano la fase medievale di urbanizzazione del territorio; alcuni
sono stati riutilizzati come centri agricoli e risultano inseriti in
un’ambientazione originaria, che i complessi residenziali edificati lungo
il lato destro della via negli anni ’70 e ’80 del sec. XX e lo sviluppo della
zona industriale di Santa Palomba non hanno gravemente intaccato.

LA VIA ARDEATINA. Fuori porta S. Sebastiano →, si ripercorre la


Via Appia Antica → fino alla chiesa del Domine quo vadis?, dove si
stacca a d. della consolare la Via Ardeatina, che prosegue tra alberi
e muri delimitanti campi coltivati fino a incrociare a d. la via delle
Sette Chiese; è questa la medievale «via Paradisi», ultimo tratto del
percorso devozionale di visita alle Sette Chiese (le quattro basiliche
patriarcali, S. Lorenzo fuori le Mura, S. Croce in Gerusalemme e S.
Sebastiano) istituito da S. Filippo Neri nel 1552 e al quale vennero
aggiunte a fine sec. XVI l’abbazia delle Tre Fontane e la chiesa
dell’Annunziatella.
Al numero 280 è l’ingresso alle *catacombe di Domitilla (t.
065133956; www.catacombe.domitilla.it) per le sezioni non visitabili
rivolgersi alla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra), le più
estese di Roma – le gallerie sotterranee hanno uno sviluppo di c. 15
km – con quelle di S. Callisto, formatesi nel sec. III nella tenuta che
era stata proprietà di Flavia Domitilla, nipote di Vespasiano, e
sviluppatesi nel IV-V su tre piani a partire da sette ipogei primitivi
pagani e cristiani.

LA VISITA. Per una scala rifatta in età moderna (alle pareti,


bassorilievi e fregi architettonici) si accede alla BASILICA DEI SS. NEREO E
ACHÌLLEO, eretta a fine sec. IV sulla tomba dei martiri omonimi – soldati
vittime verosimilmente della persecuzione di Diocleziano –
abbandonata a metà IX (il terremoto dell’897 la demolì) e riscoperta
nel 1874. L’edificio di culto, preceduto da un nartece, è a tre navate
divise da quattro colonne con capitelli di spoglio; sono visibili resti
della schola cantorum pertinente a un restauro altomedievale,
frammenti scultorei relativi a un ciborio costruito sulla tomba dei
martiri a fine IV (una delle colonnine presenta la scena, unica per
formulazione, della Decapitazione di un martire, identificato con
Achìlleo) e, dietro l’abside, un cubicolo affrescato con la defunta
Veneranda introdotta in cielo dalla martire Petronilla.
Gallerie sepolcrali dei sec. IV-V conducono all’IPOGEO detto DEI FLAVI,
in realtà piccolo sepolcreto pagano (inizi III) destinato in origine ad
accogliere quattro sarcofagi e divenuto successivamente cristiano.
Nell’area normalmente non visitabile si sviluppa la REGIONE detta
DEI FLAVI AURELI, consistente in due ipogei del sec. III che originarono lo
sviluppo di questo settore cemeteriale nel IV-V. Al centro della
catacomba si dispone, su tre piani sovrapposti, la REGIONE detta DELLO
SCALONE nel 1897: tra le pitture presenti al primo piano e datate al sec.
IV, notevoli quelle del cubicolo detto dei Fornai e la Madonna col
Bambino e quattro Magi. Il settore N è occupato dalla regione nata
dagli IPOGEI DI AMPLIATO (pitture di soggetto non cristiano di inizi sec.
III) e DEL BUON PASTORE (raffinati affreschi datati 230-240).

LE FOSSE ARDEATINE (t. 065136742; www.anfim.it), poco oltre


sull’Ardeatina, sono le cave assurte a tragica notorietà nel corso della
seconda guerra mondiale per il massacro, perpetrato dalle forze
d’occupazione tedesche il 24 marzo 1944 per rappresaglia contro
l’attentato di via Rasella, di 335 civili scelti a caso fra detenuti politici,
Ebrei e persone senza precedenti penali.
INTERNO. Si entra da un cancello in bronzo, a traforo di spine
simboleggianti il martirio, opera di Mirko Basaldella: a sin. i Martiri
(Francesco Coccia, 1950), gruppo di tre figure in travertino che
sintetizzano e idealizzano quelle dei caduti. Nella parete di tufo
dell’antica cava di pozzolana è l’imbocco della galleria che conduce al
luogo dell’eccidio; un braccio della stessa, a sin., porta fin sotto
l’enorme masso di cemento armato che, sostenuto da sei pilastri,
ricopre il Sacrario (Nello Aprile, Cino Calcaprina, Aldo Cardelli, Mario
Fiorentino, Giuseppe Perugini, 1944-51), dove sono allineate le
sepolture.
Alle spalle del mausoleo si trova il Museo delle Fosse Ardeatine
(visita: feriali 8.15-17.45, festivi 8.45-17.15), che raccoglie documenti,
cimeli e fotografie illustranti le tragiche giornate vissute nella capitale
dall’occupazione tedesca del 10 settembre 1943 alla liberazione del 4
giugno 1944.

VERSO IL SANTUARIO DEL DIVINO AMORE. L’Ardeatina si snoda con


curve e saliscendi fino all’incrocio col vicolo dell’Annunziatella, al
termine del quale è l’Annunziatella, la più antica chiesa romana
dedicata all’Annunciazione; fondata o, meglio, rifondata da Onorio III
nel 1220, dopo gli interventi di Paolo V e del cardinale Francesco
Barberini (interno) decadde a fine ’600, venendo nuovamente
consacrata nel 1935. L’interno barocco, a navata unica e con volta a
botte lunettata, conserva alcuni elementi medievali (parte del
pavimento cosmatesco, una custodia degli olî santi dei sec. IX-X a sin.
dell’altare, il dipinto absidale del XIII e il campanile).
Oltre l’incrocio con le vie di Vigna Murata e di Tor Carbone che
ricalcano un antico collegamento trasversale tra le Vie Laurentina e,
forse, Appia, la moderna Ardeatina lascia a d. il tracciato romano, oggi
ricalcato da via della Cecchignola. Da questa si diparte a d., al termine
di una discesa, la sterrata via della Cecchignoletta, in fondo alla quale,
appartato, è il casale della Cecchignola, nel Medioevo importante
centro di controllo collegato a torri di vedetta; circondato da un
recinto che ingloba una torre in blocchetti di tufo del sec. XIII (la parte
superiore in laterizio è una ricostruzione), fu riedificato nel 1611-18 da
Paolo V, che bonificò la zona trasformandola in luogo di delizie (famosi
il parco e il laghetto-peschiera, ora prosciugato), e restaurato da
Leone XII (1825-30) che vi soggiornò a lungo.
Il tratto successivo dell’Ardeatina ricalca l’antica via Satricana in
un paesaggio agricolo già in parte urbanizzato e, lasciata a d. via
Millevoi (al N. 693 è la Mostra permanente Le Carrozze d’Epoca, t.
0651958112-065073500) e sottopassato il Grande Raccordo Anulare,
raggiunge, km 12, il santuario della Madonna del Divino Amore
dove la protettrice di Roma è festeggiata il lunedì di Pentecoste. La
modesta architettura, attribuita con scarso fondamento a Filippo
Raguzzini, sorse nel 1744 per accogliere un’immagine della Madonna,
ritenuta miracolosa, che era stata affrescata nel sec. XIV sulla torre
centrale del Castel di Leva (la si raggiunge costeggiando il fianco sin.
della chiesa), edificato su resti romani forse dai Savelli (sec. XIII?) e
così detto probabilmente dall’antico Castel Leone («castrum Leonis»).
Sotto il santuario è stata realizzata nel 1947, riutilizzando la cisterna
del castello, la CRIPTA DELL’ADDOLORATA, mentre gli altri edifici di culto
datano agli anni ’30 e ’60-’70.
Passata la frazione Falcognana (nascosti a d. dalla massicciata
della ferrovia e a sin. dalla vegetazione, sono i casali di Falcognana di
Sotto, sorto su resti romani, e di Falcognana di Sopra, ricostruito nel
sec. XVIII, che controllavano nel Medioevo la via verso Conca, centro
medievale presso «Satricum»), l’Ardeatina, che corre ormai tra le
tipiche ondulazioni della Campagna romana, incrocia a sin. via della
Stazione di Pavona, che unisce i Colli Albani alla costa ricalcando un
antico tracciato tra «Alba Longa» (Castel Gandolfo) e «Lavinium»
(Pràtica di Mare). Avanti si attraversa la zona industriale di Santa
Palomba, sviluppatasi sull’area di un insediamento tardorepubblicano-
augusteo che ha restituito ville rustiche con relative tombe, tracciati
stradali e resti di un acquedotto (i materiali sono al Museo Nazionale
Romano), e di alcuni santuari frequentati dal sec. V a.C. all’età
imperiale (i reperti ceramici sono raccolti nello stabilimento IBM Italia
eretto da Marco Zanuso e Pietro Crescini nel 1979-82). Sulla destra,
alle spalle di alcune antenne-tralicci, si scorge in lontananza Tor
Maggiore, una delle più belle e alte (m 34) della Campagna romana,
costruita in blocchetti di tufo (sec. XII-XIII), che con la torre quadrata
(sec. XII) del casale di Cerqueto (le si vedono, accoppiate,
proseguendo e deviando a d. in via di Valle Caia), controllava un
percorso, ora non più esistente, di collegamento tra Albano e Àrdea.

8.13 LA VIA CRISTOFORO COLOMBO: LA GARBATELLA E L’EUR

La Via Cristoforo Colombo corrisponde alla via Imperiale di età


fascista, che univa Roma al nuovo quartiere dove il regime aveva
stabilito di celebrare il proprio ventennale (1942) con un’Esposizione
universale; collegata con il centro attraverso le vie dei Fori Imperiali e
di S. Gregorio e viale delle Terme di Caracalla, la strada, dopo aver
attraversato la pineta di Castel Fusano, raggiunge la costa tirrenica
alla periferia sud-est della frazione Lido di Ostia.
Molteplici i motivi di interesse per il turista, principalmente per
l’opportunità di compiere un emblematico viaggio all’interno della
cultura urbanistica e architettonica romana dagli anni ’20 fino al
momento contemporaneo; nell’itinerario infatti, oltre ad alcune
testimonianze più antiche (catacombe di Commodilla), sono facilmente
individuabili due fasi storiche distinte, dotate ciascuna di un linguaggio
figurativo e architettonico. La borgata-giardino Garbatella, con il suo
stile definito barocchetto, esprime con efficacia il «populismo
romantico» ancora persistente all’indomani della prima guerra
mondiale. Il quartiere dell’EUR, con i moderni monumenti marmorei e
la magniloquenza dell’impianto urbanistico, testimonia il sogno della
costruzione di una ‘nuova Roma’ voluta dal fascismo (il nome
originario è E42) come luogo della grande esposizione e,
successivamente, come polo per l’espansione della città verso il mare;
la fase che va dal dopoguerra a oggi, pur venendo meno le originarie
motivazioni ideologiche, ha confermato l’importanza dell’EUR come
elemento urbanisticamente valido nella crescita di Roma e come
centro direzionale: il quartiere è stato perciò completato aggiungendo
al nucleo centrale, classicista e ‘metafisico’, edifici con caratteristiche
proprie dello «stile internazionale», come lo sviluppo verticale delle
costruzioni, le ampie superfici vetrate, il rifiuto di impianti simmetrici.
L’itinerario (km 5; pianta →) si svolge lungo la Cristoforo
Colombo che, divenuta uno dei principali assi di collegamento verso il
mare, è oggi fiancheggiata da aree direzionali (l’EUR, nato come
insediamento separato da Roma, è stato completamente saldato al
resto della città); qualora lo si voglia seguire in automobile (il
quartiere dell’E42 – la cui visita è pensata a piedi – è servito dalla
metropolitana B, stazioni EUR Palasport ed EUR Fermi), si consiglia di
tenere sempre il controviale.

VIA CRISTOFORO COLOMBO inizia fuori della nuova porta Ardeatina


→ ed è subito attrezzata per lo scorrimento veloce. Si scavalca l’asse
viale Marco Polo-via Cilicia e la ferrovia, incontrando a d., presso largo
Fochetti, la circonvallazione Ostiense dove (N. 197) è la chiesa di S.
Galla, costruita nel 1940 da Tullio Rossi in sostituzione dell’omonimo
edificio demolito nel 1935 per la costruzione del palazzo dell’Anagrafe
e l’apertura della via del Mare: nell’interno a tre navate, di non felici
proporzioni, l’altare maggiore poggia su un cippo d’età flavia (rilievi),
già nell’antica S. Galla, consacrato da Gregorio VII nel 1073, mentre in
fondo alla navata d. è una Visione di S. Galla di fine ’600 pure
dall’antico edificio.
Sul lato opposto della circonvallazione si apre piazza Eugenio Biffi,
uno dei principali accessi al quartiere della Garbatella.

LA FORMAZIONE. La borgata-giardino fu realizzata dall’ICP dal


1920, in un’area nelle immediate vicinanze del polo industriale della
Via Ostiense, con la finalità di creare per il ceto operaio alloggi a bassa
densità edilizia e circondati dal verde secondo il modello inglese delle
«Garden Cities»; il piano urbanistico subì nel tempo numerose
varianti, che ne ridussero sensibilmente il carattere estensivo iniziale.
Il primo intervento, opera tra gli altri di Gustavo Giovannoni, è
costituito dai villini isolati o aggregati in serie attorno a piazza
Benedetto Brin: il linguaggio architettonico adottato è in genere il
barocchetto con la riscoperta di elementi dell’architettura minore
romana dal ’500 al ’700, ma nel quartiere si riscontrano anche spunti
pittoreschi, vernacolari e medievaleggianti che concorrono a creare un
ambiente architettonico vario e articolato.
Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:
sinistra, destra, sinistra e destra.

L’EDILIZIA DEL QUARTIERE. Su piazza Biffi prospettano due dei


quattro alberghi suburbani (notevole l’albergo Rosso al N. 1) con
servizi comuni (Innocenzo Sabbatini, 1927-29), destinati alle famiglie
sfrattate dalle demolizioni di largo di Torre Argentina e del teatro di
Marcello: l’articolazione planimetrica a «Y» supera la logica del blocco
e utilizza echi futuristi ed espressionisti.
Per via Lasagna, a d. in via Persico e subito a sin. in via Magnaghi
– lungo la quale si dispongono i villini tipici del quartiere – si sale a
piazza Sauli, sulla quale prospettano ai numeri 1-3 la scuola Cesare
Battisti (1930), riconoscibile dal monumentale corpo centrale con alti
pilastri sormontati da aquile, e la chiesa di S. Francesco Saverio
(Alberto Calza Bini, 1931-33), a cortina di mattoni ed elementi in
travertino secondo gli schemi tipici del «Novecento» romano e con
interno di classica solennità (nel transetto sin., Sacro Cuore, affresco
di Gisberto Ceracchini).
Dalla piazza, scendendo verso O per via Passino si perviene in
piazza Bartolomeo Romano, una delle più interessanti del quartiere, su
cui affacciano i due edifici polifunzionali (uno per bagni pubblici,
abitazioni e studi per artisti, 1926-29; l’altro con il cinema-teatro e
abitazioni, 1927-29) del Sabbatini, che presentano riferimenti formali e
compositivi alle insulae di Ostia Antica; scendendo invece verso E si
sbocca in piazza Giovanni da Triora, sulla quale si dispone l’edificio di
testata del lotto di case modello costruite per l’ICP (1929) tra le vie De
Jacobis, Borri e delle Sette Chiese da Mario De Renzi, Pietro Aschieri,
Gino Cancellotti, Mario Marchi e Luigi Vietti.

PIAZZA DEI NAVIGATORI La via Cristoforo Colombo, lasciate a d.


due cisterne addossate a pianta circolare (una in laterizio e l’altra in
opus reticulatum) avanzi di una villa romana del sec. I-II, sbocca in
piazza dei Navigatori, chiusa a NE dal prospetto con ampi portici di
uno degli alberghi di massa costruiti nel 1947 come alloggi per l’Anno
Santo 1950 e adibiti poi a case popolari.

ALLE *CATACOMBE DI COMMODILLA. Dalla successiva piazza Elio


Rufino, prendendo a d. via Genocchi si raggiunge piazza Oderico da
Pordenone, attraversata da via delle Sette Chiese →. Al numero 101
di questa è la chiesa dei Ss. Isidoro ed Eurosia (detta anche la
Chiesoletta), eretta nel 1818 e con pronao attribuito a Giuseppe
Valadier: sulla parete verso la strada, affiancano la targa «via
Paradisi» due medaglioni di marmo con i Ss. Carlo Borromeo e Filippo
Neri (ideatore del percorso devozionale), che ricordano il loro incontro
nella visita alle Sette Chiese.
Attraversati piazza di S. Eurosia e largo delle Sette Chiese, quasi
al termine dell’omonima via si apre a sin., nell’ex vigna Serafini ora
giardino pubblico, l’ingresso alle *catacombe di Commodilla (visita
a richiesta alla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra),
sviluppatesi soprattutto dopo gli interventi di papa Damaso volti a
valorizzare le memorie dei Ss. martiri Felice e Adautto effigiati nelle
pitture. Nella basilichetta ipogea (fine sec. IV ma con rimaneggiamenti
successivi), sulla sin. Cristo sul globo consegna le chiavi a S. Pietro,
che ha accanto S. Adautto e S. Merita, pure venerata in queste
catacombe; dalla parte opposta, S. Paolo, S. Felice e S. Stefano
orante. A metà c. del VI risale anche il bel pannello vicino (la vedova
Tùrtura presentata alla Madonna col Bambino in trono dai Ss. Felice e
Adautto), dove indubbi influssi bizantini sono stemperati in modi
ancora romani. Iconograficamente simile a S. Felice ma di c. un secolo
posteriore (668-683) l’affresco di S. Luca sulla parete di fondo, per la
prima volta con gli strumenti medici in una borsetta di cuoio. Nel 1953
è stata scoperta una nuova regione cemeteriale con un cubicolo,
completamente dipinto con scene bibliche, di proprietà di Leone
funzionario dell’annona (380-390).

IL CENTRO DIREZIONALE (Pietro Barucci, 1963-68) lo si scorge, da


Via Cristoforo Colombo, dopo aver superato a d. il secondo massiccio
fabbricato degli alberghi di massa, ed è composto da quattro edifici
per attività terziarie rivestiti in «curtain-wall» e serviti da strade pensili
e piastre pedonali.
Esso è parte del Sistema Direzionale Orientale (SDO), previsto dal
piano regolatore del 1962 con il nome di «Asse Attrezzato» e inserito
nel 1990 nell’ambito degli interventi per Roma capitale: il progetto
originario prevede una vera e propria «città amministrativa», disposta
alla periferia E tra le borgate di Pietralata e Torre Spaccata su un’area
di c. 800 ettari, che dovrebbe raccogliere la maggior parte degli uffici
pubblici e degli impiegati oggi sparpagliati in centinaia di sedi
ministeriali nel centro; l’opera è volta a rendere più vivibile la parte di
città all’interno delle mura Aureliane attraverso la diminuzione del
traffico automobilistico e la riconversione a uso residenziale privato dei
palazzi oggi occupati da uffici amministrativi, che hanno causato
l’allontanamento dei vecchi abitanti.
L’EUR

Oltre l’incrocio con la Via Laurentina →, la strada piega a sin. in


corrispondenza dell’ex Forte Ostiense che occupa l’altura a d. (in
basso sullo stesso lato, su viale del Pattinaggio, spicca il bianco e
articolato volume dell’hotel Sheraton, costruito nel 1975 da Vincenzo,
Fausto e Lucio Passarelli e Michele Valori) e scavalca in sopraelevata il
centro sportivo delle Tre Fontane, realizzato in occasione delle
Olimpiadi da Maurizio Clerici (1957-60), alle cui spalle è il profilo
inconfondibile del palazzo della Civiltà del Lavoro →; due palazzi per
uffici gemelli, raffinati parallelepipedi di Luigi Moretti e Vittorio Ballio
Morpurgo (1963-65) delimitanti rispettivamente i piazzali
dell’Agricoltura e dell’Industria, segnano, in sostituzione della «porta
Imperiale» pensata da Marcello Piacentini, l’ingresso al *quartiere
dell’EUR.

LA VICENDA COSTRUTTIVA. L’insediamento trae origine dalla volontà


del regime fascista, espressa già all’indomani della guerra etiopica
(1936), di celebrare tanto la nuova condizione imperiale del paese
quanto il 20° anniversario della rivoluzione fascista attraverso
un’esposizione universale definita «Olimpiade delle Civiltà»; tra gli
scopi principali dell’impegnativa operazione era la creazione di
costruzioni stabili, infrastrutture urbane, servizi pubblici e aree verdi in
grado di costituirsi, a esposizione conclusa, come il nucleo centrale
dell’espansione di Roma verso il mare secondo le direttive e gli intenti
del regime: la stessa sigla iniziale E42 (poi EUR, Esposizione
universale di Roma) indica la ragione per cui fu costruito il quartiere,
che non accolse mai l’esposizione (programmata per il 1942) a causa
del sopraggiungere della guerra.
Il progetto di massima, elaborato nel 1937 da Giuseppe Pagano,
Marcello Piacentini, Luigi Piccinato, Ettore Rossi e Luigi Vietti, tentava
la fusione di un impianto ispirato all’urbanistica classica romana con
elementi naturalistici e suggestioni tecnologiche proprie del
razionalismo internazionale; nel secondo progetto, redatto nel 1938
sotto la direzione di Piacentini e in collaborazione con il Servizio
Architettura dell’Ente diretto da Gaetano Minnucci, fu notevolmente
accentuato il carattere classico e monumentale dell’impianto, formato
da assi viari ortogonali e da grandiosi fondali architettonici. Tale
progetto, messo a punto nel 1939, fu poi attuato sino all’interruzione
dei cantieri avvenuta nel 1942-43; in tale data erano ultimati il palazzo
degli Uffici dell’Ente e il villaggio operaio sulla Via Laurentina, mentre
erano in costruzione i palazzi dei Congressi, della Civiltà Italiana e
quelli a esedra dell’INA e della Previdenza Sociale, i musei della piazza
Imperiale, la chiesa, il Museo Forestale e le fondazioni del teatro.
Gli edifici, danneggiati dal conflitto e occupati da sfollati, furono
restaurati e completati, a eccezione del Museo Forestale, dal 1951; il
quartiere, godendo di autonomia rispetto all’amministrazione
comunale, ha accolto da tale data le sedi di istituzioni e uffici pubblici,
un insediamento residenziale a bassa densità, musei e considerevoli
opere di sistemazione delle aree verdi, confermando così la sua
importanza di centro direzionale. In occasione delle Olimpiadi del 1960
furono realizzati il velodromo, il palazzo dello Sport, la piscina delle
Rose, il complesso delle Tre Fontane e il lago artificiale (quest’ultimo
previsto nel progetto originario).
Il quartiere dell’EUR, che appare a chi provenga da Roma
circondato da parchi, occupa un’area complessiva di c. 420 ettari: al
visitatore risulta subito con marcata evidenza la differenza di stile e di
linguaggio tra gli edifici dell’impianto originario, di impronta classica e
monumentale nel rivestimento di marmi e di travertino, e quelli
costruiti nel secondo dopoguerra, caratterizzati da geometrie
elementari e da grandi superfici vetrate tipiche dell’«international
style»; ambedue questi caratteri riescono tuttavia a fondersi
sufficientemente, trovando anche momenti di alta qualità urbana.

PIAZZALE DELLE NAZIONI UNITE è uno spazio racchiuso dalle ampie


esedre formate dai prospetti dei palazzi (Giovanni Muzio, Mario
Paniconi e Giulio Pediconi) dell’Istituto Nazionale della Previdenza
Sociale (d.) e dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (sin.). Iniziati
nel 1940 ispirandosi ai Mercati Traianei, sono a due ordini di gallerie
con colonne di marmo arabescato e un piano terreno a pilastri, e si
caratterizzano per i dettagli architettonici e per i materiali pregiati
impiegati (nel palazzo dell’INA, il CORTILE è rivestito in marmo cipollino
e ornato da 36 colonne di granito rosa di Baveno); le quattro testate
degli edifici sono decorate da bassorilievi (Glorie marinare di Roma) di
Mirko Basaldella.
Segna il limite S del piazzale viale della Civiltà del Lavoro, asse
trasversale che ha come fondali a d. il palazzo della Civiltà del Lavoro
e a sin. quello dei Congressi (per entrambi v. sotto).

AL COLOSSEO QUADRATO. Procedendo a d. s’incontra, dopo via Ciro


il Grande, il palazzo degli uffici dell’Ente autonomo EUR (Gaetano
Minnucci, 1937-39), il primo del progetto E42 a essere realizzato;
composto di due corpi – uno articolato intorno a un cortile e l’altro
contenente una sala a doppia altezza per il pubblico rivelata all’esterno
da un alto portico sormontato da un’iscrizione – unisce materiali e
tecniche d’avanguardia a elementi decorativi tradizionali. Il
monumentale androne è decorato dal bassorilievo (storia di Roma
attraverso le opere edilizie) di Publio Morbiducci; notevoli sono lo
scalone d’onore, l’affresco (Fondazione di Roma) di Giorgio Quaroni e
un plastico del quartiere. All’esterno, sul lato E, statua in bronzo del
Genio dello Sport (originariamente Genio del Fascismo) di Italo
Griselli; di fronte al portico sono tre bacini d’acqua decorati da 18
riquadri a mosaico su disegno di Gino Severini, Giulio Rosso e
Giovanni Guerrini.
Il successivo edificio con porticato a doppia altezza su tre lati,
notevolmente alterato nel dopoguerra, è l’ex Ristorante ufficiale
dell’Esposizione (Ettore Rossi, 1939-42): al piano terreno, tempera
(scena allegorica) di Franco Gentilini.
In fondo al viale, nel centro del Quadrato della Concordia, si
staglia il blocco squadrato e imponente del *palazzo della Civiltà
del Lavoro, già della Civiltà Italiana (Giovanni Guerrini, Ernesto La
Padula e Mario Romano, 1938-43), definito anche il Colosseo quadrato
e assurto a simbolo del quartiere; il motivo architettonico dell’arco,
ripetuto ben 216 volte sui quattro prospetti uguali, celebra l’elemento
costruttivo e decorativo tipico della civiltà italiana. La struttura,
coerentemente pensata dagli autori in muratura, fu realizzata per
ragioni di economia e di tempo in cemento armato e rivestita con
lastre di travertino; ai lati delle due scalee sono collocati i quattro
gruppi dei Dioscuri di Publio Morbiducci, mentre sotto le arcate del
primo ordine sono statue raffiguranti arti e attività umane. Ospiterà il
Museo dell’Audiovisivo.

IL *PALAZZO DEI CONGRESSI (Adalberto Libera, 1938-54), che al


termine del segmento di sin. di viale della Civiltà del Lavoro fa da
fondale a piazza Kennedy, è notevole per la limpida forma, la
chiarezza compositiva e l’equilibrio raggiunto fra tecnica moderna e
ispirazione classica. Il complesso è preceduto da un grande ATRIO con
14 colonne di granito alte m 12 e affreschi di Achille Funi ora ricoperti
da pannelli di Gino Severini; un monumentale volume cubico (m 40
per lato), sormontato da una volta a crociera, costituisce il corpo
centrale e accoglie il SALONE DEI RICEVIMENTI, circondato da gallerie
ricoperte di marmi; completa la costruzione una SALA PER CONGRESSI, al
di sopra della quale è un TEATRO ALL’APERTO.

PIAZZA MARCONI, allargamento ovoidale di Via Cristoforo


Colombo, fu progettata da Francesco Fariello, Saverio Muratori,
Ludovico Quaroni e Luigi Moretti come nucleo centrale dell’esposizione
e del quartiere secondo i modelli del classicismo nordico; al centro si
leva, alta 45 m, la stele a Guglielmo Marconi (Arturo Dazzi), iniziata
nel 1939 ma ultimata solo nel 1959, che celebra con 92 altorilievi in
blocchi di marmo di Carrara l’invenzione della radio. I due palazzi che
si fronteggiano sulla d. (Muratori, Quaroni e Fariello, 1941-43) hanno
prospetti formati da un’alta galleria con colonne di cipollino verde
sorrette da un portico a pilastri di marmo bianco; tra gli edifici, al
posto del «teatro Imperiale» di Luigi Moretti inizialmente previsto,
s’innalza (N. 1) il grattacielo Italia (1959-60).

UNA BREVE DEVIAZIONE a sin. del grattacielo per via Liszt conduce
al piazzale Sturzo, dove prospetta sul lato ovest il palazzo già sede
centrale della Democrazia Cristiana (Saverio Muratori, 1955-58) che,
elaborando elementi tratti dal tipo del palazzo rinascimentale (cortile
centrale, piano nobile, ammezzati, loggiato), sembra collegarsi al
linguaggio e ai temi adottati nel quartiere prima del conflitto. Lungo
viale dell’Astronomia (proseguimento di via Liszt) s’incontra (N. 30) il
palazzo della sede centrale della Confindustria (Vincenzo ed Edoardo
Monaco e Pier Luigi Spadolini, 1958-73), suggestivo blocco scuro in
«curtain-wall».

IL POLO MUSEALE DEL QUARTIERE. Un alto portico collega i due edifici


simmetrici e uguali del fianco E di piazza Marconi: a sin., il palazzo
delle Tradizioni Popolari (Massimo Castellazzi, Pietro Morresi e
Annibale Vitellozzi, 1939-42), che ospita il Museo nazionale delle Arti e
Tradizioni Popolari; a d., il palazzo delle Scienze (Luigi Brusa, Gino
Cancellotti, Eugenio Montuori e Alfredo Scalpelli, 1939-43) con il
Museo nazionale preistorico-etnografico Luigi Pigorini e il Museo
dell’Alto Medioevo.
IL MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI E TRADIZIONI POPOLARI (ingresso
al N. 8; t. 065926148; www.popolari.arti.beniculturali.it) trae origine
dalla Mostra di Etnografia italiana tenutasi a Roma nel 1911 per
celebrare il cinquantenario dell’unità d’Italia e coordinata da Lamberto
Loria, che nel 1906 aveva fondato a Firenze il Museo etnografico con
oltre 2000 oggetti relativi soprattutto alla Sicilia, Campania, Toscana e
Valle d’Aosta. L’insieme dei materiali raccolti nel 1911 costituisce il
fondo principale dell’attuale istituzione, ‘nata’ ufficialmente nel 1923
come Museo di Etnografia italiana e inaugurata nel 1956 nella sede
attuale (la decorazione a mosaico della testata esterna è di Enrico
Prampolini, 1941; quelle del salone d’Onore alludono alle principali
tematiche illustrate nel museo), che comprende oggetti reperiti nelle
diverse regioni italiane: attualmente sono oltre 200000 le
testimonianze sulla cultura tradizionale, di cui c. 65000 oggetti databili
tra il sec. XVI e il XX.

IL PATRIMONIO DELL’ISTITUZIONE. Unico museo statale con


competenze scientifiche nel campo delle materie demoantropologiche,
testimonia nella globalità le tradizioni popolari delle regioni italiane,
esplicando una funzione unica sul territorio nazionale come centro di
raccolta dati, di ricerca e di documentazione. L’esposizione museale si
sviluppa per 14 settori individuati seguendo una divisione tipologica
per materie e tematiche: sistemi di trasporto nel mondo rurale e nelle
attività di scambio, lavoro agricolo e pastorale, marinerie tradizionali.
Altrettanto importante è il patrimonio conservato nell’archivio storico
(manoscritti e documenti relativi all’acquisizione dei reperti
etnografici), nell’archivio fotografico (materiale raccolto prima del
1911 e aggiornato), nell’archivio sonoro (registrazioni di testimonianze
di tradizione orale), nell’archivio di antropologia visiva (produzione e
archiviazione di film, documentari e videotape) e nella biblioteca
specializzata, che riunisce c. 25000 volumi, 570 periodici e 3716
libretti a stampa di letteratura popolare.

IL *MUSEO NAZIONALE PREISTORICO-ETNOGRAFICO LUIGI PIGORINI


(ingresso al N. 14; t. 06549521; www.pigorini.arti.beniculturali.it), dal
nome del primo direttore, possiede la più importante raccolta italiana
di materiali preistorici ed è uno tra i maggiori nel mondo per le
collezioni di etnografia extraeuropea.

LA FORMAZIONE. Istituito nel 1875 nell’ambito della nascente


scienza paleontologica italiana, fu tra i primi musei europei di scienze
dell’uomo, centro di confluenza di materiali preistorici e di raccolte di
etnografia extraeuropea. Con l’ausilio dell’etnografia comparata,
Pigorini intendeva ricostruire la storia universale dell’uomo e
«conoscere la vita dei selvaggi attuali per intendere quella dei
preistorici». Nucleo originario del museo, inaugurato nel palazzo del
Collegio Romano, furono i reperti preistorici ed etnografici già
appartenuti al Museo Kircheriano, fondato dal gesuita Atanasio
Kircher; di tali collezioni, radunate nel 1635-80, facevano parte i primi
oggetti etnografici raccolti dalle missioni in Cina, Brasile, Canada e dai
Cappuccini sulle coste del Congo e dell’Angola. Entro il 1880 Pigorini
acquisì molte ‘curiosità esotiche’ che, giunte in Europa dopo la
scoperta dell’America, erano confluite nelle più importanti collezioni
italiane del Rinascimento; l’accrescimento quantitativamente più
importante lo ottenne con le raccolte che viaggiatori ed esploratori
andavano riportando dai quattro angoli della terra tra fine ’800 e primi
’900. Per le collezioni preistoriche Pigorini raccolse materiali dei
principali siti preistorici allora in corso di scavo (terremare emiliane e
abitati perilacustri), doni di collezionisti, scambi con i principali musei
europei (materiali dell’Iran, Egitto, Sudan, Grecia, Rodi, Troia ecc.).
Nel 1962-77 il Museo venne trasferito all’EUR ed è oggi organizzato in
due sezioni, dedicate rispettivamente alla preistoria e protostoria e
all’etnografia delle culture indigene extraeuropee.

L’ALLESTIMENTO ATTUALE. Nell’atrio, l’esposizione «Un tuffo nel


passato: 8000 anni fa nel lago di Bracciano» presenta reperti dal
villaggio neolitico (VI millennio a.C.) sommerso dalle acque in località
la Marmotta (Anguillara Sabazia): una *piroga monossile in quercia,
accompagnata da ceramiche, strumenti litici, oggetti in legno, semi e
spighe di grano. Al secondo piano, un’area introduttiva presenta, con
una ricostruzione di situazioni di scavo, informazioni sul lavoro del
paletnologo (dalla fase di ricerca sul terreno all’interpretazione
archeologica), mentre un’altra area è dedicata alla storia naturale
dell’uomo.
Il percorso sulla PREISTORIA E PROTOSTORIA, presentato in ordine
cronologico con una selezione di materiali italiani ed europei, è
illustrato da pannelli didattici che, facendo riferimento a temi generali,
sottolineano i principali cambiamenti e sviluppi in tale periodo. Le
culture pleistoceniche sono illustrate con ricostruzioni di paleosuperfici
e calchi di strutture che permettono una migliore comprensione dei
contesti di provenienza dei reperti nelle vetrine. Il Paleolitico inferiore
è esemplificato da strumenti litici su ciottolo e scheggia, dalle industrie
con bifacciali da Castel di Guido e Torrimpietra (c. 300000 anni fa).
Nel Paleolitico medio si segnalano il notissimo cranio neandertaliano
dalla grotta Guattari (promontorio del Circeo; c. 50000 anni fa) e da
esempi di industria musteriana, caratterizzata da strumenti a
scheggia. I reperti del Paleolitico superiore (c. 35000-9500 anni fa)
documentano l’abilità tecnica raggiunta nella produzione di strumenti
litici e in osso, e la complessità culturale dell’uomo anatomicamente
moderno; l’esistenza di un mondo concettuale e di un gusto estetico è
testimoniata da oggetti di ornamento personale e dallo sviluppo delle
manifestazioni artistiche, esemplificate dall’esposizione della Venere di
Savignano (Modena) e dai materiali dalle grotte Polesini (Roma) e
Romanelli (Lecce). Con il Mesolitico si conclude l’arco cronologico in
cui l’uomo ha basato la sua sussistenza sulla caccia e la raccolta; i
periodi successivi sono infatti caratterizzati da attività economiche
produttive (agricoltura e allevamento), che rendono i gruppi umani
sedentari, e dall’affermarsi di nuove tecniche e attività artigianali, che
determinano una sempre maggiore gerarchia sociale. Il Neolitico (VI-IV
millennio a.C.) è rappresentato con gli stili ceramici più significativi
(materiali dal villaggio lacustre in località La Marmotta, dalla grotta di
Monte Venere) e con quelli litici dalla collezione di Alba e da stazioni
della Svizzera; i riti funerari sono rappresentati dalla sepoltura di
grotta Patrizi, di particolare interesse per la pratica della trapanazione
del cranio. Più ricca la documentazione delle sepolture relative
all’Eneolitico (III millennio a.C.), la prima età dei metalli: tra queste la
sepoltura bisoma in grotticella, detta della Vedovella di Ponte San
Pietro e riferibile alla cultura di Rinaldone, e quella di Fontanella di
Casalromano (cultura di Remedello); di particolare rilievo sono i
bicchieri campaniformi rinvenuti nella struttura cultuale e sepolcrale di
Fosso Conicchio. L’età del Bronzo (sec. XX-X a.C.) – caratterizzata dallo
sviluppo della metallurgia e del commercio, e dal sorgere di grandi
abitati – è rappresentata da materiali provenienti da numerose regioni
italiane, esemplificativi delle diverse culture: per il Bronzo antico (XX-
XVII a.C.) la palafitta di Polada (Brescia), per il Bronzo medio (XVII-XIV
a.C.) la cultura appenninica e quella delle terramare, per il Bronzo
recente (XIII a.C.) i corredi delle sepolture a incinerazione di Bovolone
(Verona), al Bronzo finale (XII-X a.C.) gli splendidi oggetti bronzei
rinvenuti nel ripostiglio di Coste del Marano. Una sezione è dedicata
alle culture fiorite in Europa occidentale e centrale, una a quelle della
cultura minoica e micenea del Mediterraneo orientale. Con l’età del
Ferro (sec. IX-VII a.C.) gli aspetti culturali regionali si differenziano
maggiormente (sono rappresentati quelli sviluppatisi in area lombarda,
veneta, tosco-emiliana, medioadriatica, laziale e sarda) e si collocano
ora le urne a capanna dei Colli Albani, le sepolture di Osteria dell’Osa,
i vasi villanoviani da Tarquinia, Vulci, Bisenzio, Vetulonia, Volterra e
Bologna; di particolare interesse sono i bronzi della cultura nuragica
(notissima la statuetta di guerriero con elmo e scudo), i bronzi della
cultura paleoveneta, le ceramiche della cultura di Golasecca e i vasi
orientalizzanti, prodotti a Capena e Veio imitando i modelli greci.
Conclude la sezione la famosa fibula prenestina, in oro, con, sulla
staffa, una delle più antiche iscrizioni in lingua latina.
ETNOGRAFIA. Ne fanno parte i quattro settori dell’Africa, Oceania,
Asia e Americhe. Per l’Africa si ripercorrono in sequenza storica tre fasi
dell’incontro tra l’Occidente e questo continente. Per la ricognizione
della costa ovest, iniziata dai Portoghesi a fine sec. XV, si presentano
alcuni tra i più antichi oggetti dalle «camere di meraviglia» italiane del
Rinascimento e del barocco: avori afro-portoghesi dalla Sierra Leone e
dal Benin, due figurine angolane (fra i più antichi oggetti in legno
pervenuti), un velluto congolese in fibra di palma. I viaggi
ottocenteschi di esplorazione dell’interno (ricognizione dei grandi fiumi
e ricerca delle fonti del Nilo), che prepararono l’era delle colonie, sono
presentati attraverso il profilo del singolo esploratore e una cernita
delle sue raccolte (trono e armi di un re Mangbetu, coltelli multipunte
dei principi Azande sono ‘bottino’ dei viaggi di Giovanni Miani e
Romolo Gessi; le croci di processione della chiesa cristiana di Etiopia
provengono dalla prima spedizione della Società geografica italiana;
una sella da parata, armi e vesti di un ras etiopico sono dono di
Menelik al re d’Italia). La scoperta dell’arte negra (primi ’900) rivive
attraverso maschere da danza, sculture funerarie, raffigurazioni di
antenati, scettri scolpiti e le impressionanti statue magiche del tipo
feticcio chiodato. Un viaggio simbolico attraverso le isole del Pacifico
illustra alcuni dei temi più significativi delle culture dell’Oceania. Nella
«casa degli Uomini», punto centrale nella vita sociale e religiosa delle
culture della Nuova Guinea, sono presentate armi, immagini di spiriti e
antenati, oggetti connessi con la caccia alle teste e con la guerra. Per
gli arcipelaghi melanesiani, il rapporto tra arte, rito e societa è
illustrato da una grande canoa cerimoniale a bilanciere, unica in
Europa. Il culto degli antenati in Nuova Irlanda è rappresentato da
grandi maschere e sculture legate alle cerimonie «malangann» di
commemorazione funebre. Per la Polinesia il tema è la sacralità del
potere: insegne di rango e simboli del comando, armi, ornamenti e
un’armatura completa. Per le culture aborigene dell’Australia, oltre a
bellissimi boomerang e propulsori, i temi mitologici dipinti su cortecce
d’albero alludono al rapporto tra l’uomo e la terra. Per l’Asia è visibile
una rassegna puramente esemplificativa della varietà e qualità dei
15000 pezzi del fondo del museo. Per la Cina è esposto un
monumentale tripode decorato in smalto cloisonné, ispirato alle forme
dei bronzi Shang (sec. XVIII-XII a.C.); per il Tibet, alcuni oggetti del
culto buddhista lamaista, spesso ricavati da ossa umane; per il
Giappone, oggetti dell’epoca Tokugawa (1600-1868), con riferimenti ai
teatri «Kabuki» e «No», una spada «wakizashi» usata dai samurai e
un set da calligrafia in lacca «maki-e».; per la Birmania, il
caratteristico recipiente a forma di «stupa» su cui sono raffigurate
alcune vite anteriori del Buddha storico; per l’India, un elmo in bronzo
con agemina d’oro e smalto e rappresentazioni di Shiva, Krishna e
Ganesha. Per le Americhe, l’allestimento (nel 1999 in fase di
definizione) darà rilevanza alle ceramiche precolombiane provenienti
dal Messico, Mesoamerica e Perù, ma saranno esposti anche materiali
sulle culture dell’Amazzonia, del Chaco e della Terra del Fuoco. Le
vetrine del Nord America presentano materiali degli Innuit
(eschimesi), degli indiani del Nord-Ovest e delle Pianure.

Fanno parte dell’istituzione museale un archivio di migliaia di


lastre e stampe fotografiche (fra cui il fondo Giglioli) impresse in varie
parti del mondo nella seconda metà dell’800, un archivio storico con
oltre 60000 fogli e documenti, una biblioteca specializzata di quasi
50000 volumi.

IL MUSEO NAZIONALE DELL’ALTO MEDIOEVO (ingresso in viale Lincoln


N. 3; t. 0654228199) fu istituito nel 1967 con l’obiettivo di raccogliere
i principali reperti archeologici dal sec. IV al X (dai materiali di piena
tradizione classica alle necropoli longobarde, ai marmi e alle
ceramiche di età carolingia, ai reperti di due insediamenti
altomedievali della Campagna romana) e promuovere ricerche in un
settore che conosceva in quegli anni uno straordinario sviluppo.

LE SALE DEL MUSEO. I materiali tardo-antichi (sec. IV-VI) esposti


nella SALA I provengono per lo più da Roma e illustrano aspetti della
vita ufficiale (ritratti imperiali, fibula aurea del Palatino), del costume
funerario e delle manifestazioni di culto (iscrizioni sepolcrali e votive)
in un’epoca caratterizzata da profondi mutamenti politici e culturali.
La successiva età delle migrazioni dei popoli è documentata, nelle
SALE II e III, dalle necropoli longobarde di Nocera Umbra (Perugia) e
Castel Trosino (Ascoli Piceno), costituite di 166 e 237 tombe quasi
integralmente esposte; i corredi, distribuiti per fasi cronologiche in
modo da sottolineare la graduale assimilazione da parte del gruppo
longobardo di elementi di tradizione tardo-romana e bizantina fino alla
completa integrazione con il sostrato locale, sono databili tra fine VI e
metà c. del VII: nelle sepolture femminili prevalgono ornamenti
dell’abito e personali (fibule, collane, orecchini ecc.), amuleti
(conchiglie, denti di cinghiale, sfere di cristallo di rocca) e oggetti
d’uso quotidiano (coltelli, fuseruole, spade da telaio), mentre le
maschili sono caratterizzate da armi (scudo, lancia, frecce, talora elmo
e corazza) e da accessori per cavalcare (speroni, morsi, selle,
bardatura del cavallo).
Le SALE IV e V sono dedicate a oggetti di età carolingia (sec. VIII-
IX), soprattutto marmi e ceramiche provenienti da Roma e dal Lazio: si
tratta di rilievi pertinenti a recinzioni presbiteriali, amboni, altari, cibori
decorati con motivi paleocristiani (pavoni, calici, croci, grappoli) o con
semplici intrecci e girali che formano serie continue di cerchi e
quadrati; fa eccezione un rilievo con la raffigurazione di un
personaggio maschile barbato con le braccia alzate, nel quale, in base
a un’ampia documentazione iconografica su stoffe, mosaici e
miniature, è possibile riconoscere Alessandro Magno elevato al cielo
su un carro trainato da grifi: un fortunato tema della letteratura antica
recuperato in chiave simbolica nell’arte medievale.
Nella SALA VI sono esposti i materiali dello scavo della domusculta
di S. Cornelia presso Veio, un centro agricolo di fondazione papale,
sorto sul sito di una villa romana e utilizzato fino al sec. XIII, notevole
esempio di continuità insediativa nella Campagna romana.
Dalla sede episcopale di S. Rufina, sorta sull’antica via Cornelia
nel luogo dove secondo la tradizione sarebbe avvenuto il martirio delle
Ss. Rufina e Seconda, provengono i materiali della SALA VII; gli scavi
hanno evidenziato una continuità di occupazione del sito, con resti di
un centro agricolo romano, di un’area cimiteriale cristiana e di un
insediamento altomedievale da cui proviene il mosaico pavimentale.
La SALA VIII accoglie una collezione di stoffe e rilievi copti
acquistati negli anni ’70 del sec. XX sul mercato antiquario: consta di
74 esemplari (sec. V-X) appartenenti ad abiti, arredi liturgici e
tappezzerie in lino e lana con motivi ornamentali tratti dalla mitologia
classica, dal mondo cristiano e dal repertorio decorativo orientale;
particolarmente notevole per dimensioni, grandiosità di impianto e
tecnica di esecuzione è un frammento di cortina policroma con figure
di oranti.

L’AEROFOTOTECA, sezione dell’Istituto centrale per il Catalogo e la


Documentazione, è stata fondata nel 1959 con il compito di
raccogliere e catalogare il materiale aerofotografico relativo alle
diverse zone del territorio nazionale di interesse archeologico,
monumentale e paesaggistico.

GLI EDIFICI DELLA FIAT. Oltrepassato l’alto porticato di piazza


Marconi (a d. Le Professioni e le Arti di Fortunato Depero, a sin. Le
Corporazioni di Enrico Prampolini, mosaici realizzati nel 1942), si
continua per viale della Civiltà Romana sino a piazza Agnelli, racchiusa
dal severo complesso (Pietro Aschieri, Domenico Bernardini, Cesare
Pascoletti e Gino Peressutti, 1939-52), oggi sede del Museo della
Civiltà Romana, eretto per conto della casa automobilistica torinese e
donato alla città dall’allora presidente della società Giovanni Agnelli. Le
costruzioni, prive di aperture eccetto i due monumentali accessi, sono
collegate da un colonnato a tutta altezza posto a fondale del viale e
della piazza e rivestite con bugnato di tufo scuro sormontato da una
cornice di travertino; esse costituiscono la realizzazione più espressiva
e forse più compiuta di quella rievocazione di Roma imperiale voluta
dal fascismo
IL MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA (t. 065926041;
www.comune.roma.it), ideato da Giulio Quirino Giglioli e inaugurato
nel 1955, è costituito esclusivamente di riproduzioni destinate a
documentare la storia di Roma, i vari aspetti della civiltà romana
(architettura, topografia, costume, religione, vita quotidiana, attività
bellica ecc.) e le tracce da essa lasciate nel mondo; inoltre raccoglie,
opportunamente integrato, il materiale che figurava nella Mostra
archeologica alle terme di Diocleziano del 1911 e nella Mostra
augustea della Romanità del 1937.
IL PATRIMONIO DEL MUSEO. Nel ricchissimo complesso delle
riproduzioni esposte spiccano: il guerriero di Capestrano; una capanna
del villaggio romuleo sul Palatino; il tempio di Giove sul Campidoglio;
gli affreschi della tomba François di Vulci; la *colonna rostrata di Caio
Duilio, eretta nel Foro Romano per la vittoria navale sui Cartaginesi a
Milazzo (260 a.C.); plastici degli assedi di «Avaricum» (Bourges), di
«Alesia» (Alise-Sainte-Reine) e del ponte sul Reno; le pareti dell’arco
di Augusto nel Foro Romano con i Fasti consulares e triumphales; il
*pronao del tempio di «Ancyra» (Ankara), con la porta ai lati della
quale è scritto il testamento di Augusto («Monumentum
Ancyranum»); il plastico della cittadella di Masada, ultimo baluardo
della resistenza giudaica dopo la conquista di Gerusalemme (72-73) e
la riproduzione della *statua della Vittoria di Brescia; il plastico di villa
Adriana a Tìvoli; il basamento del «Tropaeum Traiani» ad Adamclisi
(Romania); il fornice e i rilievi dell’arco di Traiano a Benevento; il
*calco di un fianco dell’arco di Marco Aurelio a Tripoli (163); i rilievi
dell’arco di Settimio Severo a «Lepis Magna» (Libia); il *pilone
dell’arco di Galerio a Salonicco (297-305); il plastico e il rilievo
dell’arco di Costantino a Roma con la battaglia di Ponte Milvio; la carta
della frontiera fortificata («limes») dell’Impero nei sec. III e IV; i
sarcofagi di Giunio Basso e di Costantina; la ricostruzione dell’editto di
Diocleziano sui prezzi; il plastico del piazzale delle Corporazioni a Ostia
e quello del Foro di Pompei; il *plastico della villa rustica di
Boscoreale; la serie completa dei *calchi (fatti eseguire da Napoleone
III) della Colonna Traiana, i cui rilievi illustrano le due campagne di
Traiano contro i Daci (101-102; 105-106); il *plastico di Roma in
scala 1:250, il più grandioso (m2 200) e aggiornato esistente, che
riproduce la città quale doveva essere al tempo di Costantino,
ricostruita sulla base dei risultati degli ultimi scavi e delle più recenti
ricerche di topografia romana: iniziato per la Mostra augustea della
Romanità nel 1937, è stato poi aggiornato (manca la «regio XIV-Trans
Tiberim»).
Vi dovrebbero essere esposti a rotazione alcuni materiali dell’ex
Antiquarium comunale (altri sono allestiti nel casino del parco del
Celio: →), fondato nel 1890 al parco del Celio per raccogliere parte
del materiale archeologico ritrovato durante i lavori edilizi per Roma
capitale ma, dopo la chiusura dell’edificio che li ospitava nel 1939,
rimasti a lungo in deposito nei sotterranei dei Musei Capitolini. In
particolare, saranno qui visibili materiali rinvenuti nelle più antiche
necropoli urbane (sec. IX-VII a.C.) dell’Esquilino (ceramica d’impasto,
d’importazione greca, armi, ornamenti personali in bronzo e ambra),
del Viminale e del Quirinale (sarcofagi in terracotta in forma di tronchi
d’albero); materiali di un deposito votivo («favissa») del Campidoglio;
una ciotola in bucchero con iscrizione etrusca dalle pendici del
Campidoglio; statuine e oggetti di metallo di uso domestico; collezioni
di anfore vinarie, di lucerne, di fittili votivi, di vetri, di avori; serie di
lastre architettoniche in terracotta dette Campana (dal nome del
collezionista ottocentesco), tra le quali un importante nucleo
proveniente da un’antica officina in via Gallia; materiali della tecnica
(laterizi, condutture in piombo, rubinetti, pompe e arnesi da lavoro);
preziosi frammenti di pitture antiche; mosaici; decorazione
architettonica in marmo di età imperiale, ritratti, sarcofagi e piccole
sculture.

PLANETARIO E MUSEO ASTRONOMICO. Presso il Museo della Civiltà


Romana è stato allestito il nuovo Planetario (t. 0682077304,
www.comune.roma.it/planetario), dotato di attrezzature ottiche e
digitali all’avanguardia. Vi è annesso il Museo Astronomico, che illustra
attraverso immagini, modelli, diorami e postazioni interattive il
funzionamento dell’intero universo sollecitando nel visitatore riflessioni
sui grandi temi del tempo, dello spazio e dell’origine degli elementi.

L’ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO. Si prende verso S viale dell’Arte


sul quale si fronteggiano al N. 16 il palazzo del Ministero della Marina
Mercantile (Gaetano Minnucci, 1958-59) e al N. 25 la sede dell’Istituto
Mobiliare Italiano di Attilio La Padula e Alfio Marchini (corpo centrale,
1966); la plastica struttura della sala congressi è stata aggiunta nel
1971 da Lucio, Vincenzo e Fausto Passarelli. Il grattacielo dell’Alitalia
(Fabio Dinelli, 1968-70), che domina piazzale Giulio Pastore, è un
parallelepipedo ottagonale (alto c. 71 m) composto di un nucleo
centrale in cemento armato e di una struttura in acciaio: il
rivestimento esterno è in pannelli di alluminio, vetro e acciaio.
Viale dell’Arte incrocia viale Europa, asse di rilievo del quartiere,
che ha come fondali architettonici da un capo la chiesa dei Ss. Pietro e
Paolo → e dall’altro il complesso dell’Archivio centrale dello Stato
(Mario De Renzi, Gino Pollini e Luigi Figini, 1938-42), formato da tre
palazzi circondati da colonnati e racchiudenti una piazza; destinati
inizialmente a mostra delle Forze Armate, poi delle Comunicazioni e
Trasporti, successivamente a mostra del Corporativismo, dell’Autarchia
e della Previdenza e Assicurazione, gli edifici, che traggono ispirazione
dalle agorà ellenistiche, ospitano l’Archivio centrale dello Stato,
distaccato nel 1953 dall’Archivio di Stato di Roma e qui trasferito nel
1960, che raccoglie i documenti dei Ministeri e gli originali delle leggi e
dei decreti dello Stato italiano dalla sua formazione.
IL MUSEO STORICO DELLE POSTE E TELECOMUNICAZIONI. Seguendo a
d. viale Europa s’incontrano sul lato sin. il palazzo del Ministero del
Commercio con l’Estero (Guido Marinucci e Renato Venturi, 1956-58),
fedele al linguaggio internazionale, e il complesso del Ministero delle
Finanze (Guido Marinucci, Renato Venturi, Vittorio Cafiero e Cesare
Ligini, 1957-62), che con i tre grattacieli alti 60 m e i due corpi bassi si
pone come elemento caratterizzante dell’EUR direzionale contrapposto
a quello monumentale. Nei pressi, sorgerà il nuovo Centro Congressi
su progetto di Massimiliano Fuksas. Subito dopo l’incrocio con Via
Cristoforo Colombo (sullo sfondo a sin., oltre il lago, il palazzo dello
Sport, →), l’edificio del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni,
progettato da Giorgio Biuso, Pietro Ferri, Leonardo Foderà, Mario
Paniconi, Giulio Pediconi e Luigi Vagnetti (1969-76) secondo i canoni
dell’«international style», ospita l’omonimo museo (t. 0654442090;
www.comunicazioni.it), unico nel genere in Italia e tra i più importanti
del mondo, che contiene una ricca documentazione e numerosi cimeli
relativi alla storia delle comunicazioni in Italia fino ai nostri giorni.
Originato da una raccolta iniziata nel 1878 con sede a Firenze e
trasferita a Roma nel 1907, fu aperto al pubblico nel 1959 presso
l’ufficio postale di viale Mazzini e spostato nella sede attuale nel 1982.

I ‘REPERTI’ DEL MUSEO. La prima parte è dedicata alla POSTA:


notevoli una raccolta di buche per impostazione, dalle più antiche in
pietra (una risale al 1633) alle cassette metalliche dell’800 e ’900; la
ricostruzione con arredi originali di un ufficio postale di fine ’800 con
mobili e cimeli originali dal Ducato di Parma; oggetti e cimeli relativi ai
servizi postali negli antichi Stati italiani; macchinari che hanno
contribuito alla meccanizzazione e automazione del servizio, tra cui il
*calcolatore elettronico automatico ELEA 9003, realizzato nel 1959 su
progetto di Enrico Fermi. Seguono la TELEGRAFIA (interessante il
pantelegrafo, inventato nel 1825 dall’abate Giovanni Caselli per la
trasmissione di immagini), la TELEFONIA (modello del telefono ideato da
Antonio Meucci nel 1841; il primo centralino automatico a 10 linee di
G.B. Marzi, 1886), la TELEGRAFIA SENZA FILI (ricostruzione del primo
apparato trasmittente realizzato da Guglielmo Marconi a Pontecchio
nel 1895; ricostruzione, con gli strumenti originali scampati alla
distruzione del 1943, della cabina radiotelegrafica di Marconi sul
panfilo Elettra; collezione di apparecchi radio d’epoca). Completano la
visita le sezioni della MARCOFILIA (raccolta di bolli, annulli e suggelli) e
FILATELIA (preziosa collezione di francobolli italiani ed esteri; raccolta
dei bozzetti originali di quelli italiani dal 1911 a oggi, alcuni dei quali
opera di noti artisti).

L’UFFICIO POSTALE. Da viale Europa, deviando a d. per viale


Beethoven, si giunge in piazzale Asia chiuso a O da questo edificio
pubblico (Gian Luigi Banfi, Ludovico Belgiojoso, Enrico Peressutti ed
Ernesto Nathan Rogers, 1939-42): composto da due volumi distinti
(uno per il pubblico, l’altro per gli uffici) che sono collegati da un
passaggio, si differenzia dalle opere realizzate nel quartiere prima
della guerra per l’impianto e il linguaggio rigorosamente razionalisti.

I SS. PIETRO E PAOLO. Viale Europa sale con un’ampia cordonata,


al cui termine sono le statue in travertino di S. Pietro (Domenico
Ponzi) e S. Paolo (Francesco Nagni), alla chiesa (Arnaldo Foschini con
la collaborazione di Tullio Rossi, Costantino Vetriani e Alfredo
Energici), iniziata nel 1938 ma inaugurata solo nel 1955; concepita
come punto di riferimento visivo per il quartiere, oltre che per le
notevoli dimensioni (altezza m 72; diametro della cupola m 28) si
caratterizza per l’armoniosa composizione e per la purezza dei volumi
stereometrici. La pianta a croce greca presenta bracci, scavati ognuno
da un alto nicchione, che sporgono dal volume sorreggente la cupola;
quest’ultima, di forma emisferica e realizzata in cemento armato, posa
su un tamburo con aperture circolari ed è ricoperta da un rivestimento
a squame di ardesia. Nei nicchioni esterni sono scolpiti episodi della
vita dei due santi tra motivi allegorici di Francesco Coccia: Consegna
delle chiavi di Giovanni Prini (in facciata), Crocifissione di S. Pietro di
Alessandro Monteleone (lato d.), Conversione di Saulo di Venanzio
Crocetti (fronte absidale) e Decollazione di S. Paolo di Carlo Pini (lato
sin.); il portone di bronzo è del Prini.

L’INTERNO s’impone per l’equilibrio degli spazi, culminanti nella


cupola decorata a croci e riquadri di fine rilievo. Nei pennacchi sono
scolpiti gli evangelisti Matteo e Jànos di Enrico Castelli, Marco e Luca
del Coccia, autore anche dei rilievi simbolici sulle pareti delle cappelle.
La CAPPELLA MAGGIORE è affiancata da due amboni in bronzo di Duilio
Cambellotti con Predicazione di S. Pietro (sin.) e di S. Paolo (d.);
sull’altare, Crocifisso in bronzo di Giuseppe Graziosi; sulla parete di
fondo, Cristo trionfante scolpito da Attilio Selva. Nel BRACCIO D.,
cappella di S. Francesco, con mosaico di Jànos Hajnal; in quello SIN.,
cappella dell’Immacolata, con mosaico di Bruno Saetti. In sagrestia,
Martirio di S. Pietro riferibile a Jusepe Ribera e Battesimo di Gesù di
scuola dei Bassano.

IL COLLEGIO MASSIMILIANO MASSIMO. Al 1941 datano i due edifici


di Arnaldo Foschini, formati da quattro padiglioni destinati a mostre e
uniti fra loro da porticati panoramici, che chiudono il piazzale dei Ss.
Pietro e Paolo. Al 1959-60 risale invece l’edificio del collegio
(sull’omonima via al termine di via Eufrate, a sin. della piazza), qui
trasferito dall’ottocentesco palazzo presso la stazione di Termini:
frutto della collaborazione tra Julio Lafuente, Enrico Lenti, Vincenzo,
Lucio e Fausto Passarelli, Salvatore e Gaetano Rebecchini e Giulio
Sterbini, accoglie nell’atrio lo stemma ligneo di Sisto V (Gaspare
Guerra) e nella cappella 12 scene ad affresco (Imprese edilizie del
pontificato sistino) attribuite a Giovanni Guerra e Cesare Nebbia e
provenienti dal demolito palazzo di Termini della villa Montalto Peretti.
IL LAGO ARTIFICIALE. In viale America – che da viale dei Ss. Pietro
e Paolo si raggiunge percorrendo via del Giordano – sul lato d., è la
piscina delle Rose (Giorgio Biuso, Sergio Bonamico e Guido Gigli,
1958-59), realizzata in occasione delle Olimpiadi, che affaccia
sull’invaso, lungo c. 1 km e largo nel punto massimo quasi 130 metri.
La passeggiata del Giappone (dai mille ciliegi dono di Tokyo) che
in parte lo costeggia conduce in largo Pella, dove la Via Cristoforo
Colombo si divide in due bracci per scavalcare il lago con altrettanti
ponti: sulla riva opposta, su un piano lievemente inclinato, è la
sistemazione arborea, arricchita da giochi d’acqua, del giardino della
Cascata opera di Raffaele De Vico (1961), autore di gran parte dei
parchi e dei giardini dell’EUR.

IL PALAZZO DELL’ENI (Marco Bacigalupo, 1960-62), che si specchia


sulle acque E del lago, è un limpido prisma di 21 piani che attraverso il
linguaggio dell’«international style» (struttura in acciaio, serramenti in
alluminio e vetri di colore verde-azzurro nei due fronti) trasmette
l’immagine di una società moderna che utilizza elementi
dell’architettura industrializzata senza rinunciare a eleganze formali;
davanti alla facciata che prospetta su viale dell’Arte, fontana in bronzo
di Pericle Fazzini (1961-65).

IL PALAZZO DELLO SPORT (Pier Luigi Nervi e Marcello Piacentini,


1958-60), sulla sommità della collina alle spalle del lago, conclude la
parte monumentale dell’EUR ed è una felice sintesi tra un’opera
notevole di ingegneria e una scelta architettonica coerente con
l’impianto urbanistico del quartiere: a pianta circolare con una sala per
16000 spettatori e cupola di 100 m di diametro con 144 nervature, ha
preso il posto del grande arco di duralluminio (m 330 di luce),
progettato da Adalberto Libera ma mai realizzato, che avrebbe dovuto
costituire l’elemento simbolico sicuramente più spettacolare
dell’esposizione. Nel 2004 è stata collocata presso l’edificio la ‘spirale’
di Arnaldo Pomodoro intitolata Novecento.

SUL RETROSTANTE PIAZZALE DELLO SPORT (a d. svetta il Serbatoio


idrico, noto come «il Fungo», innalzato da Roberto Colosimo e Aldo
Capozza nel 1957-59) convergono i due rami di Via Cristoforo
Colombo: discendendo per breve tratto quello O si può vedere il
vascello della Rivoluzione (Ugo Attardi, 1989), monumento celebrativo
del bicentenario della Rivoluzione francese.

IL *VELODROMO OLIMPICO (Cesare Ligini, Dagoberto Ortensi e


Silvano Ricci, 1958-60; ne è prevista la ristrutturazione e il cambio
della destinazione d’uso), che dal piazzale si raggiunge per il
segmento O di viale dell’Umanesimo e quindi i viali del Ciclismo e della
Tecnica, è notevole per la complessità del tema e la risposta ottimale
offerta dalle soluzioni architettoniche e tecnico-strutturali. Il disegno
delle gradinate, che possono ospitare 17 660 spettatori, consente una
perfetta visibilità da tutti gli ordini di posti grazie all’andamento
variabile non solo in senso trasversale ma anche longitudinale; assai
felici il rapporto con il terreno e la forma complessiva della struttura,
che presenta un coronamento curvilineo a differenti altezze.

MOSTACCIANO E SPINACETO sono due comprensori residenziali


realizzati a S dell’EUR. Il primo, a bassa densità edilizia e immerso nel
verde, è sorto dal 1973. Il secondo, previsto dal piano per l’Edilizia
economica e popolare del 1964, è stato iniziato nel 1965 su progetto
di Lucio Barbera, Nico Di Cagno, Dino Di Virgilio Francione e Pietro
Moroni su un’area di c. 187 ettari di proprietà comunale, e si sviluppa
secondo il modello del «centro lineare»: un’ampia fascia centrale,
costituita da una «spina» di servizi che è fiancheggiata da due sedi
viarie unidirezionali, divide gli edifici residenziali che si levano su molti
piani, lasciando intorno spazi di verde.

8.14 LA VIA OSTIENSE: OSTIA ANTICA E LIDO DI OSTIA


Un tracciato viario tra Roma e il mare lungo la riva sinistra del
Tevere, forse in rapporto con lo sfruttamento delle saline presso la
foce del fiume, si delineò sin da età antica (ne è indizio l’esistenza
della città laziale di «Ficana», rinvenuta presso Acilia), anche se una
vera e propria sistemazione dell’antico tracciato risale al III secolo
a.C.; la decadenza del porto di Ostia, in relazione al quale il
collegamento si era sviluppato, ne causò nel VI l’abbandono a favore
della Via Portuense che correva sulla riva opposta del fiume.
La visita, automobilistica (km 31; carta alle pagine 860-861),
interessa il quartiere Ostiense, che si caratterizza per i manufatti di
archeologia industriale. Un importante progetto urbanistico, per il
quale nel 2007 è stato lanciato un concorso internazionale, prevede la
realizzazione (entro il 2011), nell’area dell’ex Manifattura Tabacchi e
dell’Air Terminal delle Ferrovie, del nuovo polo amministrativo
«Campidoglio Due - Casa dei cittadini», che riunirà nel quartiere
Ostiense gli uffici comunali. Il percorso tocca poi la basilica di S. Paolo
fuori le Mura, lambisce gli agglomerati di Vitinia e Acilia, delineatisi
rispettivamente nel dopoguerra e in età fascista, e si conclude, dopo
la visita degli spettacolari scavi di Ostia Antica, nella frazione Lido di
Ostia, moderno insediamento nato come luogo di villeggiatura ma
letteralmente ‘esploso’ nel dopoguerra.
IL CONSORZIO DI BONIFICA DI OSTIA E MACCARESE E DELL’AGRO
ROMANO, che l’itinerario attraversa nel settore sud, riunisce circa
500000 ettari. I terreni compresi tra Acilia e Ostia, e tra Fiumicino e
Fregene e la Via Aurelia si caratterizzano per la diversità di fenomeni:
le grandi aziende agricole, l’ampia fascia balneare, gli agglomerati
urbani, le zone artigianali e industriali che hanno prodotto la
polverizzazione di parte dei lotti di bonifica in piccole e piccolissime
proprietà, la presenza dell’aeroporto intercontinentale Leonardo da
Vinci e di importanti arterie stradali e ferroviarie. La complessità del
contesto ha determinato, accanto alla manutenzione di una rete di
canali di circa 366 km e all’esercizio di 20 impianti tra idrovore e
stazioni di sollevamento a uso irriguo, la promozione di varie iniziative
di tutela ambientale e di analisi e prevenzione dell’inquinamento. Il
territorio dell’Agro romano s’identifica con quello dell’antico «ager
Romanus», entrato nella Comarca pontificia e passato, dopo l’Unità,
allo Stato italiano. La bonifica dell’attuale comprensorio consortile (che
comprende gran parte della Comarca pontificia e di cui circa 80000
ettari, pari al 70% della superficie, ricadono nel comune di Roma)
prese avvio nel 1878, quando fu dichiarata di pubblica utilità per il
miglioramento igienico della città e della campagna e ne furono fissati
gli obiettivi nel prosciugamento delle paludi e degli stagni,
nell’allacciamento delle sorgive, nella sistemazione degli scoli e nel
risanamento agrario. La pianura, fortemente ondulata, ha come
attività principali l’agricoltura e il turismo.

SU PIAZZALE OSTIENSE prospettano a O la piramide di Caio Cestio


→ e a N la porta S. Paolo →, mentre a SE sono le stazioni della
metropolitana e per Lido di Ostia (Marcello Piacentini, 1921-24),
testata della ferrovia iniziata nel 1916 e inaugurata nel 1924.

LA STAZIONE ROMA OSTIENSE. Una breve deviazione a SE per viale


delle Cave Ardeatine conduce al piazzale dei Partigiani avendo di
fronte la stazione costruita nel 1938 da Roberto Narducci per la visita
di Hitler in Italia; rivestita in travertino con a d. un rilievo (Pegaso) di
Francesco Nagni (1940), è ornata nel portico di pavimenti a mosaico.

LA VIA OSTIENSE, che s’imbocca da piazzale Ostiense in direzione


S, è un tratto dell’omonima statale 8bis e, sottopassata la ferrovia,
costeggia a d. l’area industriale delineatasi dopo l’unità d’Italia grazie
alla vicinanza al fiume, allora navigabile, e alla lontananza dai quartieri
residenziali, e sviluppatasi soprattutto dopo la costruzione della nuova
stazione di Trastevere e del porto fluviale, nonché in seguito
all’allargamento (1908-1911) della via stessa; per ragioni economiche,
e per la volontà politica di evitare concentrazioni operaie vicino alle
sedi di governo, il processo insediativo, peraltro ribadito dal piano
regolatore del 1909, durò pochi decenni e già nel 1931 l’area venne
destinata a insediamenti residenziali a carattere popolare.

I REPERTI DI ARCHEOLOGICA INDUSTRIALE. Il primo slargo è piazza


del Gazometro da dove si imbocca a d. via del Commercio: al N. 12 è
il complesso ICP Ostiense (1909, sopraelevato da Innocenzo Sabbatini
nel 1923), fronteggiato dai gazometri (c. 1908). Al termine della via si
volta a sin. in via del Porto Fluviale e, subito oltre l’ex Consorzio
agrario cooperativo (N. 69; Tullio Passarelli, 1918), si tiene a sin. sulla
riva Ostiense, area del porto fluviale utilizzato fino al 1930 per lo
scarico del carbone della vicina Officina del Gas; vi insistono anche i
Magazzini generali, progettati da Passarelli nel 1909 con due coppie di
edifici collegati da una galleria in ferro che raggiunge il Tevere
mediante trasportatori aerei. Sulla riva opposta del fiume si scorgono
gli edifici dei primi nuclei produttivi insediatisi nell’area Portuense →.

IL MUSEO DELL’EX CENTRALE TERMOELETTRICA MONTEMARTINI. La Via


Ostiense, lasciati a sin. i Mercati generali (1913-22), incontra a d. le
strutture di questo altro complesso industriale (1911-13). L’edificio
interno coronato dalla sigla SPQR è stato trasformato in suggestivo
centro espositivo, nonché in un raro e riuscito esempio di recupero
archeologico-industriale (t. 065748042-0639967800;
www.centralemontemartini.it). Lo spazio museale, inizialmente
concepito come temporaneo, in occasione del rientro ai Musei
Capitolini di una parte delle sculture qui provvisoriamente esposte, è
stato confermato come sede permanente delle collezioni di più recente
acquisizione dei Musei Capitolini stessi. Il museo è inserito all’interno
di un ampio progetto di riconversione in polo culturale della zona
Ostiense Marconi.

I REPERTI IN MOSTRA. L’allestimento del Museo può subire


variazioni. Nella SALA DELLE COLONNE, così detta dai pilastri in cemento
armato che erano un tempo volti a reggere le soprastanti tre caldaie,
sono illustrate le fasi più antiche – dall’età arcaica alla fine della
Repubblica – di Roma. Il gruppo acroteriale con la presentazione
di Eracle all’Olimpo (metà sec. VI a. C.) appartiene a un santuario
dedicato a Fortuna e Mater Matuta (l’attuale area sacra di S.
Omobono), cui si riferiscono sia le coeve *lastre di rivestimento con
sfilate di carri sia la decorazione frontonale con *felini affrontati. Dalle
necropoli dell’Esquilino provengono sia il torso policromo di guerriero
ferito (sec. V a.C.) sia il piccolo frammento di affresco (scene militari
relative alle guerre sannitiche della prima metà del III a.C.). Alla
famiglia dei Cornelii rimandano un coperchio e una cassa di sepolture
databili al IV a.C., mentre dai pressi della basilica di S. Lorenzo fuori le
Mura proviene un gruppo di sculture in peperino, purtroppo
frammentarie, il cui stile risente di modelli ellenistici di scuola
pergamena (fine III-inizi II a.C.). La cosiddetta Lettiga capitolina, in
realtà pastiche creato nell’800 da Augusto Castellani assemblando
rivestimenti in bronzo di diversi manufatti, precede un mosaico
(Paesaggio marino) da una casa di via Panisperna che documenta la
ricezione di modelli ellenistici; da una residenza privata provengono
due ritratti bronzei degli esponenti della famiglia di Augusto, cui segue
un letto da parata da Amiterno (Abruzzo), rivestito in lamine di bronzo
che sono decorate a motivi vegetali. Una vera e propria galleria di
ritratti illustra la società del sec. I a.C.; si passa da raffigurazioni al
vero delle linee somatiche dei visi a quelle più permeate di
classicismo, come ben dimostra il cosiddetto togato Barberini
(ammantato nella toga simbolo della cittadinanza imposto da Augusto,
regge nella mano d. il ritratto del nonno – più naturalistico – e nella
sin. quello del padre). I ritratti di personaggi storici di fine I a.C.
conducono al monumento funerario ascritto a Publio Ventidio Basso
(seconda metà I a.C.) dalla scena centrale pensata in chiave
propagandistica.

Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:


sinistra, destra, sinistra e destra.

Stretti tra macchinari antichi, si sale alla SALA MACCHINE (il nome
deriva da due enormi motori Diesel che la occupano). La statua
colossale di Atena, che si ha alle spalle e che si ispira all’originale di
Kresilas, introduce una galleria di statue e copie romane – allineate
anche dietro i macchinari – che documentano il rinnovamento
architettonico e urbanistico tardo-repubblicano. L’Atena si
contrappone alla ricostruzione del frontone del tempio di Apollo
Sosiano, monumentale decorazione di un edificio religioso greco (metà
sec. V a.C.) reimpiegata a Roma per volere di Augusto a fine I a.C.;
allo stesso luogo di culto appartiene il retrostante *fregio-
architrave, decorato da scene di processione trionfale e di battaglia.
Dall’area del Campidoglio provengono i reperti esposti a d. del fregio-
architrave (la *statua di Aristogitone è replica del I a.C. del celebre
originale; il monumento in pietra scura riferito ipoteticamente a Bocco,
pure del I a.C., si ispira sia all’arcaismo sia al classicismo sia al tardo
ellenismo); dall’area sacra di largo Argentina quelli a sin. del fregio-
architrave, tra cui i frammenti colossali della statua della Fortuna
Huiusce Diei.
La SALA CALDAIE (solo una delle tre originarie è restata) è riservata
alla sfera privata degli alti dignitari romani. I reperti provengono per la
maggior parte dagli «horti», sontuose residenze che circondavano il
cuore dell’antica Roma. Dagli «horti Liciniani», proprietà
dell’imperatore Licinio Gallieno, arrivano la statua di fanciulla seduta
(copia adrianea di originale ellenistico) e le due statue di magistrati in
atto di dare il via alle gare nel circo, databili tra sec. IV e V. Essi
guardano il *mosaico policromo (Cattura di animali per le cacce
nell’anfiteatro), simile per concezione e resa stilistica a quelli della villa
di Piazza Armerina in Sicilia, che fu scoperto nei pressi della chiesa di
S. Bibiana.

*S. PAOLO FUORI LE MURA. Oltre il sepolcreto Ostiense (visita a


richiesta all’Ufficio Monumenti e Scavi), vasta necropoli dei sec. I a.C.-
IV d.C. visibile in parte da una tettoia al centro della strada e a ridosso
dello strapiombo tufaceo detto Roccia di S. Paolo, si raggiunge la
basilica, la più ampia di Roma dopo S. Pietro.

LA STORIA. Sul luogo dove secondo la leggenda fu sepolto il santo,


venne eretta una «cella memoriae» che Costantino trasformò in
piccola basilica, consacrata da Silvestro I nel 324; ricostruita da
Valentiniano II, Teodosio e Arcadio nelle dimensioni attuali, venne
riconsacrata da Siricio (390) e terminata nel 395 sotto l’imperatore
Onorio (iscrizione nell’arco trionfale). Dal secolo VIII divenne un piccolo
stato monastico-feudale, con un borgo addossato all’abbazia che,
fortificato da Giovanni VIII, prese il nome di Giovannopoli e venne
abitato fino al terremoto del 1348 (in tale circostanza crollò il
campanile); la chiesa, che si arricchì di opere d’arte nei sec. XIII (vi
lavorarono i Vassalletto, Pietro Cavallini e Arnolfo di Cambio) e XV
(Benozzo Gozzoli e Antoniazzo Romano), vide rifatti i soffitti lignei
delle navate e demolito il presbiterio al tempo di Sisto V, ebbe nuove
decorazioni nel XVII (Onorio Longhi e Carlo Maderno) e un ulteriore
restauro sotto Benedetto XIII. In seguito all’incendio che il 15 e 16
luglio 1823 distrusse la basilica (rimasero il transetto, l’arco santo e
parte dell’antica facciata, poi demolita) venne nominata per volere di
Leone XII una commissione che, scartato il progetto di Giuseppe
Valadier, decise di riedificarla seguendo le dimensioni e la pianta del
tempio precedente; nel 1840 Gregorio XVI consacrò il transetto e nel
1854 Pio IX l’intera fabbrica. Autore del piano definitivo fu Pasquale
Belli (1825-33), coadiuvato da Pietro Bosio, Pietro Camporese il
Giovane e Andrea Alippi; a Luigi Poletti (1833-69) si devono la
facciata, il campanile e il fianco sin. della chiesa con il portico; a
Virginio Vespignani risale il portico principale (1890-92) modificato da
Guglielmo Calderini (1892-1928), mentre Francesco Podesti realizzò la
cappella di S. Stefano e Arnaldo Foschini il battistero (1926).

L’ESTERNO. Sulla via si erge il CAMPANILE (pianta →, 1), simile a un


faro: i primi tre piani sono a pianta quadrata, il quarto è ottagonale e
l’ultimo a forma di tempietto circolare con colonne corinzie.
Costeggiando il fianco sin. della chiesa (all’inizio – 2 – è il PRONAO
ottastilo del Poletti, che reimpiegò 12 colonne di marmo greco
dell’Imetto già nelle navate laterali dell’antica basilica) si raggiunge
viale di S. Paolo dove prospetta la FACCIATA, preceduta dal
QUADRIPORTICO (3) formato dal nartece, con 10 colonne monolitiche di
granito rosa di Baveno alte 10 m, e, negli altri lati, da colonne di
granito bianco di Montòrfano (in triplice fila sul lato verso il Tevere);
nel mezzo statua di S. Paolo di Giuseppe Obici; a d., statua di S. Luca
di Francesco Fabj-Altini. Nella parte superiore della facciata, mosaico
(Cristo benedicente tra i Ss. Pietro e Paolo; Agnus Dei; quattro profeti)
su disegno di Filippo Agricola e Nicola Consoni (1854-74). Sotto il
portico della facciata, statue dei Ss. Pietro e Paolo di Gregorio
Zappalà; la porta mediana ha battenti in bronzo con bassorilievi
(Antonio Maraini, 1930).

L’INTERNO (lunghezza m 131.66, larghezza m 65, altezza m


29.70), con 80 colonne monolitiche di granito di Montòrfano, è diviso
in cinque navate, di cui la mediana s’impone per la maestosa
ampiezza (m 24.6), e presenta un transetto continuo poco sporgente
e quattro cappelle ai lati dell’abside; il soffitto a lacunari della nave
centrale fu rifatto in stile cinquecentesco da Pio IX (stemma al
centro). Alle pareti: in alto, tra le finestre chiuse da lastre di alabastro,
storie della vita di S. Paolo, 36 affreschi di Pietro Gagliardi, del
Podesti, di Guglielmo De Sanctis, Francesco Coghetti e Cesare Mariani;
sotto, fregio, che corre anche nelle navate laterali, con ritratti di
pontefici (da S. Pietro a Benedetto XVI) in mosaico entro tondi. Lungo
le pareti laterali, entro nicchie, statue degli apostoli del Fabj-Altini, di
Antonio Allegretti, Giuseppe Trabacchi, Emilio Gallori, Eugenio
Maccagnani e Filippo Cifariello (1884). Sopra la porta maggiore, angeli
di Ignazio Jacometti (d.) e di Salvatore Revelli (sin.) reggenti lo
stemma di Pio IX; a sin. è la Porta Santa, i cui *battenti bronzei
furono cesellati e damaschinati in argento (i riquadri rappresentano le
storie del Vecchio e Nuovo Testamento) da Staurachios da Scio nel
1070.
In fondo alla NAVATA MEDIANA è il maestoso *arco di trionfo, detto di
Galla Placidia per erronea interpretazione del distico che si legge
sull’orlo dell’arcata, impostato su due colonne di granito di Montòrfano
con capitelli ionici: presso la base, statue di S. Pietro (4) dello
Jacometti e di S. Paolo (5) del Revelli. La decorazione musiva,
ritrasportata dall’arco originario del tempo di S. Leone Magno e assai
restaurata, raffigura nel mezzo il Salvatore benedicente tra due angeli
adoranti, i simboli degli evangelisti e i 24 Seniori dell’Apocalisse, e nei
mistilinei i Ss. Pietro e Paolo; nel rovescio dell’arco, Cristo benedicente
tra i simboli dei Ss. Luca e Marco e i Ss. Pietro e Paolo, resti di mosaici
di Pietro Cavallini già nell’antica facciata.

Al di sopra dell’ALTARE MAGGIORE, il celebre *ciborio (6), eretto nel


1284 da Arnolfo di Cambio probabilmente in collaborazione con il
Cavallini, è una splendida scultura gotica: sopra le quattro colonne di
porfido con capitelli in marmo dorato, all’interno di altrettante nicchie
angolari, i Ss. Pietro, Paolo, Luca e Benedetto, e, nei mistilinei
all’esterno delle ogive, otto bassorilievi raffiguranti l’abate Bartolomeo,
seguito da un assistente con le insegne vescovili, che offre il
tabernacolo a S. Paolo, dietro al quale è S. Luca; Abele e Caino
offrenti sacrifici all’Eterno, che benedice con la mano il primo e non
accetta l’offerta del secondo; Costantino e Teodosio; Adamo ed Eva
dopo il Peccato originale; nei quattro timpani, coppie di angeli
reggenti i rosoni a traforo; nei peducci della volta a crociera, quattro
angeli incensano la sottostante tomba dell’apostolo, mentre altrettanti
sostengono la chiave di volta. Sotto l’altare, preceduto dalla
confessione (7), tomba dell’apostolo (sec. IV). Sulla destra dell’altare,
*candelabro per il cero pasquale (8), di Nicolò di Angelo e Pietro
Vassalletto (firma; sec. XII): la base è formata da quattro coppie di
animali mostruosi fra cui siedono altrettante donne che ne stringono il
collo; il fusto, diviso in sei parti, accoglie nel mezzo le storie della
Passione.
L’ABSIDE (9) è dominata dal grande *mosaico del tempo di
Onorio III: nel mezzo, Cristo benedicente con il minuscolo Onorio III
(ai suoi piedi) tra i Ss. Pietro e Andrea (d.) e Paolo e Luca (sin.); al di
sotto, altare con Croce gemmata e simboli della Passione, angeli e, tra
palmizi, teoria di apostoli e santi; nei mistilinei fuori dell’arco
dell’abside, a d. S. Giovanni evangelista benedice Giovanni XXII e
simbolo dell’apostolo, a sin. Madonna in trono con Bambino e simbolo
di S. Matteo, mosaici del Cavallini già sulla facciata. Al centro
dell’abside, tra quattro colonne scanalate corinzie, è la sedia papale
con bassorilievo dorato (Cristo dà le chiavi a S. Pietro) di Pietro
Tenerani; nella lunetta, S. Paolo sollevato al terzo cielo di Vincenzo
Camuccini (1840).
TRANSETTO. Ricco soffitto con stemmi di Pio VII, Leone XII, Pio IX,
Gregorio XVI e della basilica (il braccio con la spada); le lesene
corinzie che ripartiscono le pareti sono ricavate dai resti delle colonne
in pavonazzetto dell’antica basilica; alle testate dei due bracci, altari
rivestiti di malachite e lapislazzuli, dono dello zar Nicola I. All’altare del
braccio sin. (10), Conversione di S. Paolo del Camuccini, tra le statue
di S. Romualdo (11; Achille Stocchi) e di S. Gregorio Magno (12;
Francesco Massimiliano Laboureur). A destra, verso l’abside, la
cappella di S. Stefano (13) accoglie sull’altare una statua del santo di
Rinaldo Rinaldi, a d. la Lapidazione del santo del Podesti, a sin. S.
Stefano cacciato dal sinedrio del Coghetti. Nell’adiacente cappella del
Santissimo (14; Carlo Maderno) sono un Crocifisso del sec. XIV,
attribuito al Cavallini, qui sepolto, e a sin. una Madonna in mosaico del
XII; nella nicchia d. statua lignea di S. Paolo (sec. XIV-XV), in quella sin.
statua di S. Brigida di Stefano Maderno. Al di là dell’abside, la cappella
del Coro o di S. Lorenzo (15; Carlo Maderno, 1629) ha sull’altare un
trittico marmoreo della scuola di Andrea Bregno (1494). Segue la
cappella di S. Benedetto (16), in cui il Poletti riprodusse la cella di un
tempio pagano (le 12 colonne sfaccettate di marmo provengono da
Veio): statua del santo del Tenerani. Fuori della cappella, singolare
acquasantiera di Pietro Galli (17; 1860). All’altare del braccio d. (18),
copia in mosaico dell’Incoronazione di Maria di Giulio Romano e
Francesco Penni; la fiancheggiano le statue di S. Scolastica (19; Felice
Baini) e di S. Benedetto (20; Filippo Gnaccarini, 1837).
A destra dell’altare si accede alla SALA DEL MARTIROLOGIO (oratorio di
S. Giuliano; 21), con affreschi deteriorati del sec. XII-XIII, a sin. al
BATTISTERO (22), a croce greca con quattro colonne antiche dai capitelli
ionici, e, per un andito (nella nicchia, S. Paolo attribuito ad Antoniazzo
Romano), alla SALA GREGORIANA (23), con colossale statua di Gregorio
XVI del Rinaldi e, alle pareti, affreschi (Cristo adorato dagli angeli,
Madonna con Bambino tra santi) del sec. XV e mosaici provenienti
dalla decorazione musiva dell’abside (sec. XIII). Subito a d. si passa nel
*CHIOSTRO (24), in parte dei Vassalletto, iniziato nel sec. XII e terminato
prima del 1214. Le colonnine binate (lisce, ottagone, a spirale, talune
con intarsi a mosaico) sostengono gli archetti a pieno centro, sopra i
quali corre una trabeazione ornata di splendidi intarsi marmorei
policromi e di mosaici; un’iscrizione in lettere azzurre su fondo oro, su
tre lati, illustra l’opera. Vi sono conservati frammenti architettonici
provenienti dall’antica basilica e reperti archeologici dal vicino
sepolcreto Ostiense: notevoli il sarcofago di Pietro di Leone (sec. XII),
la statua di Bonifacio IX e, sulla parete prima dell’accesso alla
pinacoteca, il frammento di sarcofago con Cristo tra gli apostoli.
La PINACOTECA (25) accoglie sulla parete d. quattro ritratti di papi
ad affresco dal distrutto ciclo che ornava la basilica, e una Madonna
con Bambino e santi nei modi di Antoniazzo Romano; sulla parete
lunga d’ingresso un trittico a sportelli (Annunciazione e, sul retro degli
sportelli, Martirio di S. Sebastiano e i Ss. Pietro e Paolo) di scuola
umbra del sec. XVI, una Madonna col Bambino di Benvenuto di
Giovanni, una Flagellazione del Bramantino e Crocifisso e S. Brigida
del Cigoli; sulla parete di fondo Assunzione di Maria di Filippo Agricola.
L’adiacente CAPPELLA DELLE RELIQUIE (26) ospita una croce d’argento
dorato nello stile di Nicola da Guardiagrele.

NEL MONASTERO, restaurato nel 1908-1914, è sistemato un museo


(ingresso al N. 186) con un’importantissima collezione di epigrafi
cristiane e lapidi sepolcrali dell’antica basilica, e 42 medaglioni ad
affresco appartenenti alla preziosa serie medievale dei ritratti papali
(sec. V-IX).

I BORGHI RURALI VERSO OSTIA ANTICA. Dopo un breve tratto la


viabilità moderna abbandona la Via Ostiense: all’incrocio semaforico
dal quale inizia a sin. la Via Laurentina → si segue a d. via del Valco di
S. Paolo, che lambisce a d. il complesso INA-Casa Valco S. Paolo
(Mario De Renzi, Saverio Muratori, Mario Paniconi, Giulio Pediconi e
Ferdinando Puccioni, 1951). All’incrocio successivo s’imbocca a sin.
viale Marconi → e presso largo Maestri del Lavoro si scende a d. per
riprendere, sul lato opposto del quadrivio, la Via Ostiense, che corre
parallela alla via del Mare, autostrada aperta nel 1927-28 (una delle
prime in Italia) e oggi strada statale 8. Avendo sullo sfondo a sin. la
cupola della chiesa dei Ss. Pietro e Paolo all’EUR →, si lascia a d., in
corrispondenza di un incrocio semaforico, la via dellche conduce
all’ippodromo di Tor di Valle (Julio Lafuente e Gaetano Rebecchini,
1959-60) e, presso il Grande Raccordo Anulare, si percorrono gli
svincoli seguendo le indicazioni per Ostia e la Via Ostiense.
Superata a sin., km 11.5, Vitinia, piccolo borgo rurale (Risaro)
ampliato con interventi spontanei nel dopoguerra e divenuto borgata
dopo l’imponente sviluppo degli anni ’70 del sec. XX, si attraversa, km
14.5, Acilia, borgo agricolo divenuto centro abitato nel 1924 con il
trasferimento degli sfrattati per le demolizioni dei Fori e per l’apertura
della via del Mare (l’attuale via del Teatro di Marcello) secondo il
programma fascista di lotta all’inurbamento. Seguendo le indicazioni
per il villaggio S. Francesco, si abbandona l’Ostiense per viale dei
Romagnoli, che costeggia, presso largo di Capelvenere, le «case di
cartone» (1940) e, avanti, il villaggio S. Francesco (studio Passarelli,
1953).

OSTIA ANTICA

In una campagna ormai urbanizzata – e a km 21.5 – la ‘frazione’


di Roma m 2, è annunciata da due quinte di edifici eclettici realizzati
per l’ICP nel 1919 e 1924.

LA STORIA. L’insediamento sorse sui resti di Gregoriopoli, eretta da


Gregorio IV nella prima metà del sec. IX, come presidio, dogana,
centro delle saline e scalo commerciale; dopo la devastazione di
Ladislao di Durazzo (1408), Martino V rinforzò le difese con un
torrione tondo, in parte circondato da fossato, verso il fiume (1451-
54), mentre lavori vennero eseguiti per il cardinale Guglielmo
d’Estouteville (ripristino delle mura ed erezione del palazzo episcopale,
1461-83) allo scopo di ripopolare il borgo, e dal cardinale Giuliano
Della Rovere (costruzione della fortezza, 1483-86). La piena del 1557,
con il conseguente spostamento della dogana e il trasferimento
dell’approdo a Fiumicino voluti da Paolo V nel 1613, produsse il lento
spopolamento del borgo, dove rimasero poche famiglie di «salinari» e
contadini.

LA ROCCA. È il nome del borgo di origine altomedievale nel quale,


oltrepassata la porta, ci si addentra: nelle forme e nella sistemazione
urbanistica risale agli interventi del ’400; tre file di *case a doppia
schiera a disposizione scalettata (1472-79) e la mole del castello di
Giulio II (v. sotto) creano un cono prospettico verso la chiesa di S.
Aurea, che si erge in piazza della Rocca sui resti di una basilica del
sec. IV (?) dove ebbero sepoltura forse l’omonima santa, martire
cristiana nel III, e S. Monica, madre di S. Agostino, m. a Ostia nel 387.
L’edificio attuale, attribuito a Baccio Pontelli, costituisce un
bell’esempio di architettura quattrocentesca, ricca di riferimenti
classicheggianti: due frontoni triangolari concludono i prospetti,
interamente avvolti da lesene e paraste poggianti su alti stilobati
collegati da una cornice continua che simula un podio; la facciata
presenta un rosone a spicchi lobati e finestre a tutto sesto a bifora
lobata. Nell’interno, a navata unica, la riquadratura marmorea della
zona presbiteriale fu commissionata dal cardinale Della Rovere,
mentre le pale d’altare sono seicentesche; sulla parete sin., edicola
marmorea per gli olî santi (sec. XIII); a sin. dell’altare maggiore è il
cero pasquale, costituito da una reliquia della basilica del sec. V
(monogramma S. AVR.); nella cappella di S. Monica è un frammento
di lastra marmorea con iscrizione in onore della santa realizzata da
Anicio Auchenio Basso.
Alle spalle della chiesa è il Palazzo episcopale, ricostruzione (c.
1472) di un precedente episcopio (Ostia fu sede vescovile dal sec. IV);
l’ala tra la chiesa e le mura cittadine risale al 1511. Il primo piano è
decorato da un *ciclo di affreschi, commissionato dal cardinale
Raffaele Riario a Baldassarre Peruzzi (1508-1513), che fu rinvenuto
nel 1977-79 sotto la scialbatura a calce eseguita in occasione della
pestilenza del 1615 e sotto grottesche settecentesche ora in parte
staccate: le scene di battaglia a monocromo che vi sono raffigurate, e
che s’ispirano ai rilievi della Colonna Traiana, sono divise in riquadri da
paraste decorate a candelabre e sorreggenti un ricco fregio con girali,
figure allegoriche e motti.
Sulla piazza prospetta anche il *castello di Giulio II, una delle
prime fortificazioni bastionate, costruito per volere di Sisto IV (1483-
86) da Giuliano Della Rovere (il futuro Giulio II) su progetto di Baccio
Pontelli (iscrizione sull’architrave del portale che precede l’atrio) –
tuttora incerto è il ruolo svolto da Giuliano da Sangallo – e adibito
sotto Pio VII ad alloggio per i carcerati che lavoravano nei vicini scavi
di Ostia e nella bonifica. Il complesso unisce ai ritrovati difensivi
derivati dalla trattatistica dell’epoca (rivellino, basse torri, merloni,
casematte collegate da gallerie) forme ed elementi tecnologici che
anticipano soluzioni attuate nel sec. XVI (baluardo poligonale, uso delle
cortine a scarpa); la pianta triangolare, articolata intorno a un cortile
trapezoidale, presenta agli angoli due torrioni circolari e uno più alto,
a base pentagonale e organizzato per l’ultima autonoma difesa, che
ingloba probabilmente la precedente torre di Martino V. Nell’interno, lo
SCALONE fu decorato a grottesche e a riquadri figurati «a grisaille» dal
Peruzzi coadiuvato da Cesare da Sesto e Michele del Becca.

COLLEZIONE DI CERAMICHE TARDO-MEDIEVALI E RINASCIMENTALI.


Nell’area del castello e del borgo è stata rinvenuta, nel corso
dell’Ottocento, una vasta quantità di ceramiche medievali e
rinascimentali, con alcuni esemplari di particolare pregio artistico, che
costituiscono una importante testimonianza delle abitudini di vita e
delle relazioni commerciali della popolazione locale, della guarnigione
militare di stanza nel castello ostiense e della corte papale, che in
alcuni periodi ha risieduto nella rocca di Ostia tra la fine del XIV e il
XVIII secolo. Con il restauro conservativo di queste ceramiche, reso
necessario per il consolidamento dei rivestimenti vetrosi e il
riassemblaggio degli esemplari frammentari, si è completato l’ultimo
tassello di un complesso e articolato studio analitico delle diverse
tipologie e classi di materiali ceramici rinvenuti negli scavi ostiensi.
L’allestimento di questa collezione permanente all’interno del torrione
principale del castello ha reso visibili ambienti finora non accessibili,
come quelli del primo piano degli appartamenti papali e le sale
superiori del mastio.
TIPOLOGIE CERAMICHE. L’intervento ha riguardato classi diverse di
materiali: ceramiche rivestite di sola invetriatura interna per uso da
cucina (olle e tegami) e ceramiche utilizzate per la mensa con
rivestimento stannifero e decorazione dipinta sulla superficie interna
delle forme aperte (ciotole, scodelle e piatti) o su quella esterna delle
forme chiuse (boccali e albarelli). Tale intervento è stato finalizzato
alla musealizzazione del materiale ceramico conservato nei depositi
del castello, per permetterne una più ampia valorizzazione.
Tra le maioliche cinquecentesche esposte, in maggior quantità
risultano quelle con decoro ormai definitivamente attribuito all’ambito
romano. Un nucleo cospicuo si riferisce poi a ceramiche smaltate
attribuibili al repertorio tradizionale valdarnese, seguono le maioliche
con decori d’origine ligure e quelle di ambito derutese. Lo studio
attento e multidisciplinare su una vasta campionatura di frammenti ha
permesso di formulare l’ipotesi che anche i campioni con decori
cinquecenteschi attribuibili ad ambiti extraregionali siano in realtà stati
fabbricati a Roma, o comunque in area romana.

GLI *SCAVI DI OSTIA ANTICA. Usciti dalla Rocca, costeggiando il


fossato si incontra sul lato d. la cancellata di accesso all’area
archeologica (t. 0656350215; www.itnw.roma.it/ostia), di rilevanza
mondiale per l’imponenza delle strutture romane conservatesi.

LA STORIA. La tradizione attribuisce la fondazione di una prima


colonia di Ostia (da «ostium» = foce), posta sull’antica linea di costa
allo sbocco del Tevere, e la sistemazione delle saline ad Anco Marcio,
anche se il rinvenimento di terrecotte architettoniche dei sec. VI-V a.C.
fa supporre che nel sito della futura città esistesse a quel tempo solo
un luogo di culto. La colonia archeologicamente documentata fu
invece fondata alla fine del sec. V o agli inizi del IV a.C. come cittadella
fortificata rettangolare («castrum»); dapprima base della flotta sotto il
controllo di un questore romano, dal sec. II a.C., in seguito
all’acquisita importanza per i commerci e l’approvvigionamento
alimentare di Roma, cominciò a espandersi: la cinta di cui sembra
l’abbia dotata Silla dopo la presa da parte di Mario racchiudeva
un’area di 69 ettari, e dal I a.C. le epigrafi attestano un ordinamento
coloniale autonomo. Con Augusto e i suoi successori la città fu dotata
di un teatro, di un primo foro e di un acquedotto, ma fu la costruzione
del porto di Claudio, e soprattutto di quello di Traiano, che ne
accrebbe ulteriormente l’importanza; infatti, mentre le principali
strutture d’immagazzinamento si concentravano a «Portus», Ostia vide
potenziata la propria funzione di centro amministrativo e direzionale
dei commerci (vennero allora ampliati gli «horrea»). Tutto ciò
comportò una generale ristrutturazione urbanistica, attuata
soprattutto sotto Adriano, che ricostruì i quartieri compresi tra il
decumanus maximus e il porto fluviale (si raggiunsero forse allora i
50000 abitanti). Fino all’età dei Severi la città godette del favore
imperiale, ma dopo la metà del sec. III cominciò a declinare a
vantaggio di «Portus», cui Costantino concesse autonomia
amministrativa (Ostia si era schierata con Massenzio), sopravvivendo
come centro residenziale di alti personaggi. Agli inizi del sec. V il
braccio ostiense del Tevere non era più navigabile e larghe zone della
città erano già abbandonate; gli ultimi restauri si ebbero nell’età di
Teodorico, poi gli abitanti si concentrarono nell’area dell’attuale borgo,
dove Gregorio IV fondò Gregoriopoli →. Il progressivo allontanamento
della costa per l’insabbiamento del fiume (attualmente è avanzata di
c. 2 km rispetto alla linea di spiaggia antica) e, da ultimo, la piena del
1557, che tagliò fuori l’ansa del Tevere detta poi «fiume morto», ne
causarono la decadenza definitiva.
I primi scavi regolari di Ostia furono intrapresi sotto Pio VII, per
impulso di Carlo Fea (1802-1804), e sotto Pio IX, a opera di Pietro
Ercole e Carlo Ludovico Visconti (1855-70). Dopo l’Unità, ricerche
sistematiche furono riprese solo nel 1907 da Dante Vaglieri, che mise
in luce i quartieri a N del decumanus da porta Romana alla caserma
dei «Vigiles», e proseguite soprattutto da Guido Calza, che in vista
dell’Esposizione universale del 1942 scavò in quattro anni un’area pari
a quella scoperta fino ad allora; la zona visitabile raggiunse così
l’estensione di 34 ettari, a fronte dei probabili 50 effettivamente
edificati in antico. Nel dopoguerra si è proceduto in particolare a
restauri (i più importanti sono di Italo Gismondi) e a sistemazioni,
oltre che a limitati interventi di scavo. Dati il notevole numero e
l’importanza delle strutture che affacciano sul decumanus maximus
(una delle arterie che orientarono l’insediamento e quella lungo la
quale si snoda buona parte della visita), nell’itinerario vengono
descritti dapprima gli edifici disposti sul lato d. e poi, nel ritorno
all’entrata agli scavi, quelli sul lato sin.; di ausilio nell’individuazione
delle principali strutture e nell’effettuazione del percorso è la pianta
alle tavole 28-29 dell’atlantino in fondo al volume.

VERSO IL DECUMANUS MAXIMUS. Subito a sin. della biglietteria si


segue l’ultimo tratto della romana Via Ostiense; fra questa e la
parallela via delle Tombe si dispone la più antica necropoli della città,
frequentata almeno dal sec. II a.C. e che conserva nella tomba degli
Archetti e nei colombari gemelli due interessanti esemplificazioni delle
sepolture di età imperiale. Si raggiunge la porta Romana, affiancata
da due torri quadrate, che ricevette in età domizianea una
decorazione marmorea della quale faceva parte la *statua di Minerva-
Vittoria visibile a sin. nel piazzale retrostante; da qui iniziava il
decumanus maximus, prosecuzione dell’antica Via Ostiense
all’interno delle mura repubblicane (tracce ai lati delle torri).
Oltre i magazzini repubblicani e, alle spalle di questi, le terme dei
Cisiarii (dei carrettieri; la loro attività è descritta da un mosaico di età
adrianea), un portico in laterizio e un filare di botteghe nascondono a
d. le terme di Nettuno, uno dei tre impianti pubblici di Ostia,
costruito alla fine del principato di Adriano; assieme agli edifici
adiacenti, esse sorgono nell’area, posta tra il decumanus e il Tevere,
che nel sec. II a.C. il pretore Caninio aveva assegnato a uso pubblico:
ciò spiega la regolare configurazione urbanistica che il quartiere
assunse con Domiziano e sotto Adriano. Da una scala aperta sul
portico si sale a una terrazza da cui si ammirano i *mosaici termali
(Nettuno e Anfitrite col loro corteggio di creature marine), mentre
verso O è la palestra. Lungo via dei Vigili, che costeggia il lato E delle
terme e dalla quale a esse si accede, è stato lasciato in vista un
mosaico termale – età di Claudio – con i simboli dei quattro venti e
delle quattro province che rifornivano Roma (Sicilia, Spagna, Egitto e
Africa).
Via della Palestra separa le terme dalla caserma dei «Vigiles»,
sede di un distaccamento stabile di 400 uomini, il cui aspetto attuale
risale a età adrianea: attorno al cortile porticato, con lavatoi agli
angoli, si aprivano le stanze di abitazione dei soldati, mentre il lato di
fondo era occupato dal «Caesareum», luogo di culto degli imperatori.
Proseguendo su via dei Vigili si volta a sin. in via della Fullonica (da
una lavanderia, tra le maggiori di Ostia, qui rinvenuta) e, ancora a
sin., in via della Fontana: il blocco edilizio a d. della strada presenta
una serie di insulae, scandite da passaggi coperti, dove filari di
botteghe si alternano ad appartamenti d’affitto e a scale per i piani
superiori; in fondo, a d., è la «caupona» di Fortunato con iscrizione a
mosaico.
IL TEATRO. Ritornati sul decumanus, si incontrano a d. il piccolo
oratorio absidato (sec. IV-V) che avrebbe racchiuso il corpo del martire
e vescovo ostiense S. Ciriaco (lastra), e la curva esterna della cavea
dell’impianto pubblico per spettacoli, eretto da Agrippa ma riedificato
in mattoni nel 196 (l’attuale prospetto, con portico a due ordini e giro
di tabernae, è un restauro moderno): le scale salgono alla sommità
della cavea con due ordini di gradinate ricostruite, mentre il corridoio
centrale a livello della strada immette nell’orchestra. Dai corridoi ai lati
di questa si passa nell’ampio *piazzale delle Corporazioni,
progettato sotto Augusto in connessione con il teatro a uso degli
spettatori durante gli intervalli, la cui forma attuale, con portico a due
file di colonne laterizie su tre lati, risale a età adrianea; lo spazio
centrale era occupato da giardini, statue di personaggi legati al
commercio e da un tempio, mentre i *mosaici figurati e inscritti nel
portico, nei quali ricorrono le navi onerarie e il «modius» (misura di
grano), sono dovuti alle corporazioni di mestiere («collegia») che
probabilmente ottenevano in concessione gli spazi fra le colonne
effettuando donazioni al teatro.
Da un passaggio a O del piazzale si raggiunge la domus di
Apuleio (età traianea?), il cui peristilio centrale richiama ancora la
tradizione della casa pompeiana. Al lato sin. della domus si addossò il
mitreo dei Sette Cieli, uno dei meglio conservati dei 17 santuari
ostiensi del culto iranico diffusosi soprattutto alla fine del sec. II e nel
III; elementi caratteristici sono i due podî laterali su cui si stendevano i
fedeli e la decorazione (oltre a Mitra che uccide il toro, i geni portatori
delle torce Cautes e Cautopates). Opposto al mitreo – e ben visibile
dal decumanus maximus – si leva il podio su cui sorgevano i quattro
tempietti dedicati verso il 90-60 a.C. a divinità femminili connesse alla
navigazione e al commercio (Venere, Cerere, Fortuna e Speranza).
VIA DEI MOLINI. Nuovamente sul decumanus, si prosegue fino
all’angolo con via dei Molini (poco oltre, il livello dell’asse principale
della città è stato riportato per breve tratto alla quota di età
repubblicana in corrispondenza della porta orientale del «castrum», e
su esso guarda da sin. il foro della Statua eroica, sec. IV), occupato da
un tempietto (I a.C.) di incerta identificazione. Si percorre in direzione
N via dei Molini: a d. si stende l’area dei Grandi «Horrea», il più
vasto edificio commerciale ostiense fra quelli interamente scavati, che
furono costruiti sotto Claudio ma riedificati in mattoni e dotati di un
piano superiore da Commodo e ancora ampliati da Settimio Severo. A
sinistra, superato il tratto meglio conservato delle mura in opus
quadratum del «castrum», si piega a sin. in *via della casa di Diana,
che offre un buon colpo d’occhio (in gran parte dovuto a restauri
moderni) di come si presentava una strada romana fiancheggiata da
case d’abitazione e con botteghe al piano terra; la casa di Diana a d.
(età di Antonino Pio) prende nome da una lastra in terracotta posta
nel cortile della fontana, attorno al quale si disponevano gli ambienti
del pianterreno (quelli all’angolo NE ospitarono un mitreo); dalla
strada una scala sale al primo piano e all’attacco della rampa del
secondo. L’ultimo edificio a sin., con balconi ad arcatelle (da cui il
nome della perpendicolare via) sostenute da muretti e da mensole in
travertino, ospita il cosiddetto *«thermopolium», in realtà osteria
del sec. III assai restaurata, il cui banco di mescita ha alle spalle
scaffali e, sotto, bacini per lavare le stoviglie, mentre un affresco
mostra i cibi e le bevande in vendita; l’ambiente a d. era la cucina,
con dolio infossato e fornello in muratura.
IL MUSEO OSTIENSE. Si prosegue a d. nella via che prende nome
dal caseggiato dei Dipinti, diviso in tre insulae indipendenti:
l’abitazione di Giove e Ganimede ha affreschi di età antonina; nel
giardino, che ha funzione di presa di luce per i prospetti interni, è il
mosaico dei Mesi (sec. IV) dalla villa del Perseo. Al termine della via
dei Dipinti, appartato a d., è il severiano caseggiato dei Doli, così
detto dai 35 orci in terracotta infossati nel terreno per la
conservazione dell’olio o del vino, al di là del quale una scala sale al
piazzale su cui prospetta il quattrocentesco casone del Sale, oggi sede
della direzione degli scavi e del *Museo Ostiense (t. 0656358099;
www.itnw.roma.it/ostia/scavi).

TRA I MATERIALI spiccano: rilievi con scene di mestiere


(fruttivendola, operazione chirurgica e scena di parto) da una tomba
dell’Isola Sacra (metà sec. II); terrecotte architettoniche del
«castrum» repubblicano e di epoca più antica; la statua fittile di
Fortuna-Iside di età repubblicana; il gruppo di Mitra che uccide il toro
(sec. II); il *sarcofago con ritratto di Archigallo sacerdote di Cibele
(sec. III); un rilievo greco-ionico di età arcaica; copie romane da
originali greci di stile severo, classico o ellenistico (Apollo dell’Onfalo,
erma di Temistocle; gruppo dei lottatori; Eros che incorda l’arco, da
Lisippo; ritratto di Demostene); il rilievo votivo dell’aruspice Fulvius
Salvis con il ritrovamento di una statua di Ercole (dal tempio di Ercole,
80-65 a.C.); il *torso di Asclepio, originale ellenistico; sculture
d’impronta ellenistica (statua di Perseo; gruppi di Amore e Psiche e
delle Tre Grazie; tipi delle Veneri); la testa di Vittoria dal tempio di
Roma e Augusto; la statua di Cartilio Poplicola, magistrato ostiense di
età augustea; il *ritratto postumo di Traiano; la statua di Sabina,
moglie di Adriano, come Cerere; il *ritratto di Faustina maggiore,
moglie di Antonino Pio; l’erma di Ippocrate e la statua di Giulia Procula
come Igea, dalla tomba di un medico (sec. II); il *Ritratto di vecchio
(età flavia); i sarcofagi del sec. II (notevoli quelli raffiguranti una
*Centauromachia, il mito di Meleagro e il *Baccanale di putti,
quest’ultimo di officina attica); la statua di Iside Pelagia con serpente
dall’Iseo di «Portus»; i ritratti compresi fra l’età antonina e la tarda
antichità (*Volcacius Myropnous, Settimio Severo e Giulia Domna); la
statua colossale di Massenzio (?); Fausta e Crispo, moglie e figlio di
Costantino; parte della *decorazione a tarsie marmoree (leoni e cervi
e Cristo benedicente) del sec. IV da un edificio fuori porta Marina; i
ritratti del filosofo neoplatonico Plotino; il rilievo con scena di
insegnamento cristiano; i Ritratti di defunti da una tomba di età
antonina dell’Isola Sacra; gli arcosoli e le nicchie dalla stessa necropoli
e da quella della Via Laurentina (putti e anatre, pavoni, scena di leone
che divora un toro, le Grazie, teste di Stagioni, Marte e Venere da
prototipo greco); la pittura di larario con genio e serpenti, e quelle
(Dispute al mercato) da edifici di Ostia; gli *emblemata a mosaico
(cavaliere, Natura morta, Fatiche di Ercole, colombe); l’arcosolio
tombale con stucchi dionisiaci.

IL FORO. La visita continua lungo il tratto N del cardo maximus,


fiancheggiato da portici e negozi e dominato in fondo dalla mole del
«Capitolium» (v. sotto); questa arteria costituì l’asse del piano
urbanistico adrianeo che nel 119-120 trasformò i quartieri tra il Foro e
il Tevere, con prevalente destinazione commerciale. Segna il lato d.
della via il Piccolo Mercato, in realtà magazzino, in alcuni ambienti del
quale è sistemata la Galleria lapidaria.
Nel punto di incontro tra il cardo maximus e il decumanus
maximus si apre il Foro, fiancheggiato da portici, la cui forma attuale
risale all’epoca di Adriano. Il «Capitolium», dello stesso periodo, era
il tempio maggiore della colonia: su un alto podio si leva la cella, che
ha sul fondo le sostruzioni per le statue della triade capitolina. Ai piedi
della scalinata del tempio, a un livello inferiore, sono visibili resti della
precedente sistemazione del centro cittadino: un tratto dell’antico
cardo maximus e lo spigolo del «Capitolium» augusteo.
Sul fronte E del Foro è il caseggiato dei Triclini (vi si accede dal
decumanus), costruito in età adrianea forse come albergo ma adibito
sotto Settimio Severo a sede della corporazione dei costruttori («fabri
tignuarii»), la cui pianta è a cortile porticato con in fondo il sacello del
culto dinastico e a sin. una serie di stanze con triclini in muratura per i
banchetti sociali. Alle spalle della parete di fondo del caseggiato, le
terme del Foro, le più importanti della città, furono costruite da
Marco Gavio Massimo sotto Antonino Pio e più volte restaurate fino al
sec. V. Le sale calde erano orientate a S e disposte a scaletta in modo
da sfruttare appieno i raggi del sole provenienti da O (l’impianto era
aperto nel pomeriggio): si trattava di un vano ottagonale per i bagni
di sole, di un «sudatorium» ellittico, di due tepidaria e di un calidarium
a tre vasche; vi erano poi un frigidarium colonnato, dotato di due
vasche, e la palestra, per la quale si utilizzava una piazza aperta.
Sul fondo del Foro era il tempio di Roma e Augusto, la cui
costruzione, in età tiberiana, coincise con la creazione del primo Foro;
ne restano le sostruzioni, la statua di culto di Roma come amazzone e,
su una parete a sin., parte del *frontone posteriore (la statua di
Vittoria in volo fungeva da acroterio). In asse con il tempio e il
Capitolium, il sacello dei Lares Augusti – al centro del Foro – è un
monumento circolare con basamento marmoreo eretto dopo il 51.
Sul lato O del Foro si allineano la Basilica giudiziaria, costruita
sotto Domiziano o Traiano e preceduta dai resti di un portico a pilastri
(una delle arcate verso il Foro conserva un fregio di putti), e, dall’altro
lato del decumanus, un edificio di tipo templare (la Curia?), luogo di
riunione del consiglio dei decurioni.
DAL FORO A VIA DELLA FOCE. Si riprende il decumanus maximus e si
incontra a sin., dopo la Basilica, il Tempio Rotondo, luogo di culto
degli imperatori, l’ultimo grande edificio pubblico della città (prima
metà sec. III): eretto su un podio al fondo di un piazzale chiuso, aveva
un pronao di 10 colonne e una cella rotonda con sette nicchie per
statue; due scale a chiocciola salivano alla cupola. Opposto al tempio
è il *caseggiato del Larario, al cui interno è un mercato con botteghe-
abitazioni (le mensole in travertino sostenevano i soppalchi interni).
Oltre la porta occidentale del «castrum», subito a d. si diparte
una via che conduce agli «Horrea Epagathiana» (metà sec. II),
deposito di merci che fu proprietà dei liberti Epagathus ed
Epaphroditus (iscrizione sul *portale laterizio). In corrispondenza del
bivio del «castrum», a d. del decumanus maximus e opposto alle
tabernae dei pescivendoli →, si segue verso NO via della Foce, sulla
quale si apre a d. l’*area sacra repubblicana, uno dei più importanti
santuari di Ostia, frequentata forse fin dal sec. III a.C.: spicca il tempio
di Ercole (fine II a.C.), lungo il fianco sin. del quale è il tempio dell’Ara
rotonda. Fronteggia il lato d. del tempio di Ercole la domus di Amore
e Psiche, uno dei migliori esempi ostiensi di casa riccamente
decorata della tarda antichità (metà IV); ha pavimenti in opus sectile o
in mosaico policromo, specchiature marmoree alle pareti e giardino
interno con ninfeo a nicchie.
Proseguendo su via della Foce, che oltre il limite dell’area scavata
conduce al Palazzo imperiale costruito sotto Antonino Pio, si ha a d. il
complesso del tempio e dell’aula collegiale dei misuratori del grano (il
mosaico della prima metà del sec. III ne illustra l’attività). Dal lato
opposto della strada si entra nel caseggiato di Serapide, così detto dal
sacello con l’immagine in stucco del dio: il cortile, circondato da
tabernae, ha pilastri laterizi alti fino ai soffitti del primo piano. A destra
del sacello si stende il quartiere delle Casette Tipo, risultato di una
scelta urbanistica adottata per soddisfare la domanda di alloggi
seguita alla costruzione del porto di Traiano: due blocchi edilizi
paralleli sono divisi ciascuno in due modesti appartamenti di serie
pressoché identici; alle spalle del blocco sono le adrianee terme della
Trinacria.
TRA VIA DELLA FOCE E IL DECUMANUS MAXIMUS. Nel cortile del
caseggiato di Serapide, un portale con bucrani in stucco immette nelle
terme dei Sette Sapienti, comprese tra i caseggiati di Serapide e
degli Aurighi (l’intero complesso dei tre edifici fu progettato
unitariamente e realizzato nel 126-140); adiacente al frigidarium
circolare (mosaico con cacce) è un’osteria con pitture satiriche
raffiguranti i Sette Sapienti della Grecia accanto a iscrizioni sul buon
andamento delle funzioni corporali, mentre un secondo frigidarium
presenta una composizione pittorica (Venere Anadiomene) nel gusto
dell’età severiana. Tramite un corridoio con pitture (aurighi vittoriosi),
le terme comunicano con il *caseggiato degli Aurighi, incentrato su un
cortile con due ordini di arcate; gli ambulacri laterali danno accesso ad
appartamenti autonomi.
Dal cortile si esce sul cardo degli Aurighi mediante un portico a
colonne ioniche di travertino: percorrendolo in direzione d., la prima
traversa a d. è una via coperta ad arcate («via tecta») con botteghe;
sulla seconda traversa, sempre a d., prospetta l’adrianea casa di
Annio, un mercante la cui attività è descritta in due mattoni scolpiti
sulla facciata (nave e magazzino con doli). Prendendo il cardine verso
sin. si arriva invece all’incrocio con via delle Volte Dipinte, che
introduce a una delle zone residenziali più signorili di Ostia, costruita
in modo sostanzialmente unitario sotto Adriano; la seconda casa a sin.
è l’insula delle Volte Dipinte (albergo?), con pianta a corridoio centrale
e pitture di età antonina (un soffitto è eccezionalmente ben
conservato). La fronteggia l’insula delle Muse, una fra le più ricche
case della media età imperiale, con pianterreno ad ampio cortile
porticato; un salottino sulla d. di questo conserva il *ciclo di Apollo e
delle Nove Muse (età adrianea), il più importante documento pittorico
di Ostia.
Dall’adiacente insula delle Pareti Gialle un portale laterizio sulla d.
immette nel complesso delle Case a giardino, progetto urbanistico
sorprendente per razionalità e ‘modernità’ realizzato attorno al 128:
una vasta area rettangolare a giardini, abbellita da sei fontane e
circondata da abitazioni (notevole l’insula delle Ierodule a d. entrando,
con begli affreschi), aveva al centro due isolati per complessivi otto
appartamenti dalle piante quasi identiche.
Ritornati all’entrata del complesso, opposto all’insula del Graffito è
l’ingresso a una delle insulae del quadrilatero, che nel sec. IV venne
trasformata nella domus dei Dioscuri, la più ampia casa tarda della
città e l’unica dotata di piccole terme private. Sull’altro lato della via
delle Volte Dipinte spicca la loggia a trifora della domus del Ninfeo, di
poco precedente, che prende nome dal sontuoso ninfeo a nicchie sulla
d. del cortile interno.
PRESSO L’ANTICA LINEA DI COSTA. Costeggiando il fianco sin. della
loggia si torna sul decumanus maximus e quasi subito si attraversa la
porta Marina delle mura repubblicane; l’originaria destinazione
cemeteriale del quartiere esterno alla cinta difensiva è confermata dal
monumento funerario con facciata animata da esedre (età augustea),
cui segue, sempre a d., la flavia Domus Fulminata. Il decumanus
termina con un prospetto a mare, delimitato anticamente dalla
spiaggia; poco prima di questo si stacca a sin. via di Cartilio Poplicola
che ha a d. l’omonimo sepolcro (età augustea) con iscrizione
inquadrata da fasci e fregio di battaglia navale. Avanti sulla d. sono le
terme della Marciana o di porta Marina, impianto pubblico eretto sotto
Traiano e Adriano e in uso fino al sec. VI; fra i mosaici, notevole quello
tardo, a grandi tessere policrome, del frigidarium. Dall’aula adiacente
al frigidarium si scorgono, sullo sfondo a E nell’area non ancora
scavata, i resti della Sinagoga, rinvenimento eccezionale nel
Mediterraneo occidentale antico, che testimonia fasi del sec. I e
soprattutto del IV.
VERSO IL SANTUARIO DI CIBELE. Ritornati sul decumanus maximus,
si ha a d. uno dei due santuari cittadini della Bona Dea, culto misterico
riservato alle donne; adiacente è l’adrianeo foro di Porta Marina, area
a cielo aperto delimitata da un recinto, forse santuario dedicato a
Vulcano principale divinità della colonia. Si riattraversa porta Marina,
occupata sulla d. dalla «caupona» di Alexander Helix (i mosaici di
soggetto erotico risalgono al sec. III), e si percorre il decumanus
costeggiando a d. un lungo portico laterizio con fontana marmorea.
Segue lo scenografico prospetto della schola del Traiano, sede
probabilmente della corporazione dei costruttori navali; risalente
all’epoca degli Antonini, conserva, in una nicchia a sin. del vestibolo, il
calco di una statua di Traiano, mentre nel cortile sono visibili i resti del
peristilio di una domus di età augustea.
Sulla sinistra del decumanus, accanto al tempio su podio al fondo
di un cortile porticato appartenente a quella corporazione, è la
cosiddetta Basilica Cristiana, edificio di fine sec. IV di dubbia
interpretazione composto di due antinavate e di due navate affiancate
(l’ingresso a una di queste ha un architrave inscritto con i nomi dei
quattro fiumi del Paradiso terrestre).
Il successivo angolo fra il decumanus e la via del Pomerio, uno
dei punti più frequentati della città, è occupato dal «Macellum»,
mercato delle carni risalente almeno al sec. I a.C. e restaurato fino al V
d.C.; nel portico sulla via sono ricavate due tabernae di
pescivendoli elegantemente decorate da mosaici marini, mentre il
«macellum» vero e proprio è un piazzale interno dotato di vasca e
podio colonnato.
Si prende a d. via del Pomerio piegando poi a sin. e sboccando
alle spalle del tempio di Roma e Augusto →. Costeggiando a d. un
ninfeo e una latrina si imbocca il segmento S del cardo maximus,
obliquo rispetto all’orientamento del vicino Foro perché derivante da
un probabile tracciato arcaico: subito a d. è la domus di Giove
fulminatore, risalente a fine età repubblicana ma rimasta in uso fino al
sec. IV, cui seguono la domus della Nicchia a mosaico (I a.C.-IV d.C.), il
tardo ninfeo degli Eroti, piccolo recinto rivestito di marmi, e la domus
delle Colonne, una delle principali residenze tardo-antiche, il cui nome
deriva dalle colonne che ornano la vasca nel cortile e gli ingressi delle
sale di rappresentanza. A sinistra della domus corre via della Caupona,
lungo la quale a sin. è la «caupona» del Pavone, casa decorata con
pitture di età severiana che fu trasformata poco più tardi in osteria-
albergo, e, sull’altro lato, la domus dei Pesci (fine sec. III), con preziosi
pavimenti in opus sectile e a mosaico (in uno è il simbolo cristiano dei
pesci).
IL SANTUARIO DI CIBELE, o campo della Magna Mater, è la vasta
area libera irregolarmente triangolare che si apre a d. al termine del
cardo; il cui culto si stabilì a Ostia prima che le strutture del luogo
assumessero la forma attuale, risalente a età adrianea o antonina. Il
tempio di Cibele è all’angolo opposto all’ingresso, sul lato S un portico
fiancheggiante le mura si allunga fino alla torre O della porta
Laurentina, usata come «fossa sanguinis» nel rituale sacrificio di un
toro («taurobolium»); un recinto addossato alla porta racchiude il
tempio di Bellona, dea guerriera associata a Cibele, e la schola degli
Hastiferi, il collegio dei portatori di lancia che ne curava il culto.
Attiguo al recinto è il santuario di Attis (pastore, figlio e amante di
Cibele, alla cui morte e risurrezione si connetteva il risveglio
primaverile della terra), sacello a cielo aperto al cui interno sono due
altorilievi di Pan.
IL RITORNO ALL’INGRESSO DEGLI SCAVI. La strada che costeggia
subito all’inizio la domus delle Gorgoni incontra a d. un complesso di
ambienti di fine sec. I-inizi II che trasformarono una dimora di età
augustea, quindi la domus del Protiro, adattamento del IV di un
edificio a cortile porticato (il nome dei proprietari è inciso sul frontone
dell’ingresso), e le terme del Filosofo, nate in età severiana come
luogo di culto e divenute nel IV sede di una scuola neoplatonica. La
domus della Fortuna annonaria, sulla via che poco avanti si stacca a
d., è un ricco riadattamento del III-IV di una dimora del II.
Costeggiando a sin. le terme del Foro → si esce, in
corrispondenza del tempietto repubblicano →, sul decumanus
maximus che si percorre in direzione della biglietteria incontrando a d.
la sede degli Augustali, sacerdozio istituito da Augusto per servire al
culto imperiale e riservato ai ricchi liberti (le decorazioni risalgono per
la maggior parte al sec. III-IV). La via che subito dopo si stacca a d.
porta alla principale fullonica rinvenuta a Ostia e risalente agli
Antonini: al centro sono quattro bacini comunicanti per il lavaggio dei
panni, ai lati è un portico a pilastri nel quale sono murati 35 recipienti
in terracotta per pigiare e rassodare indumenti usati e tessuti grezzi al
fine di farne stoffe. Prendendo a d. al termine della strada e quindi
subito a sin. si può vedere il mitreo di Felicissimo (sec. III), il cui
mosaico è un’illustrazione completa della simbologia e degli oggetti
rituali connessi ai vari gradi di iniziazione.
Il decumanus maximus incontra a d., poco oltre il Teatro →, gli
«horrea» di Hortensius, forse i più antichi oggi visibili a Ostia (età
giulio-claudia), posti al centro di un quartiere occupato soprattutto da
magazzini; il vasto e allungato cortile è circondato da colonne di tufo
sui lati, di travertino agli angoli. Ancora avanti si è nuovamente
all’ingresso degli scavi.

LIDO DI OSTIA. L’itinerario riprende viale dei Romagnoli in


direzione del mare incrociando via Calza (il tratto di d. arriva al bivio a
sin. con il vicolo che porta alla medievale Tor Boacciana, posta in
corrispondenza dell’antica foce del Tevere e la cui parte inferiore era
forse il basamento del faro romano di Ostia); lasciata a d. la necropoli
della Via Laurentina (visita a richiesta agli scavi di Ostia Antica),
gruppo di tombe a camera datate fra il sec. I a.C. e il III d.C., viale dei
Romagnoli compie una curva a gomito: seguendo le indicazioni per
Lido di Ostia si imbocca il percorso centrale della via del Mare (a d. si
intravedono gli edifici della ex Meccanica Romana, 1927-29) che
sfocia, km 26, nel più vicino e frequentato centro balneare della
capitale.

LA FORMAZIONE. Il litorale a sin. di Fiumara Grande, caratterizzato


da tumuletti sabbiosi coperti di rada vegetazione e cosparso di
acquitrini, fu sin dall’età classica centro di raccolta del sale e luogo di
pascolo; collegato a Roma dall’antica Via Ostiense, assunse nuova
importanza con la fondazione di Gregoriopoli →, decadendo però
irrimediabilmente a causa della piena del Tevere del 1557. Tentativi di
bonifica, promossi dai papi, si susseguirono senza successo fino al
1891, anno in cui coloni ravennati, riuniti nell’Associazione Operai
Braccianti, portarono a termine il risanamento idraulico e agrario.
L’idea di creare un porto fluviale con relativo sobborgo risale al
comitato Pro Roma marittima (1904), che presentò nel 1910 un
progetto ideale per la «Nuova Ostia» collegata tramite la ferrovia e un
canale navigabile con la zona industriale dell’Ostiense-Portuense; nel
piano regolatore del 1916 si immaginava invece «Ostia Nuova» come
una stazione balneare, secondo la moda diffusasi in Europa a inizi
’900. Con l’avvento del fascismo e la decisione di promuovere
l’espansione di Roma verso il mare venne elaborato nel 1928 un piano
regolatore che sancì definitivamente la vocazione balneare di Ostia,
quella aeroportuale della foce del Tevere (Idroscalo) e l’abbandono
dell’idea del porto fluviale; costruita l’autostrada Roma-Ostia (1927-
28), la cittadina venne nel 1931 divisa nelle borgate di Ostia Antica e
Ostia Lido (Lido di Roma dal 1933), che il piano del 1936 considerò
come un grande quartiere integrato alla città e a essa collegato dalla
via Imperiale (l’attuale Cristoforo Colombo). Dopo la ricostruzione
post-bellica (nel 1943 la cittadina venne evacuata dai Tedeschi) fu
chiamata Lido di Ostia e nel 1961 divisa in Lido di Ponente, Lido di
Levante e Castel Fusano, assumendo sempre più i connotati di
quartiere residenziale e caratterizzandosi anch’essa – a causa della
speculazione e dell’abusivismo – per la squallida e desolante periferia.
Di ausilio alla visita è la pianta alle tavole 30-31 dell’atlantino in fondo
al volume.

IL NUCLEO CENTRALE DI LIDO DI OSTIA. Su piazzale della Posta si


erge l’Ufficio postale (Angiolo Mazzoni del Grande, 1934), notevole per
la soluzione d’angolo caratterizzata dalla pensilina-portico circolare e
dalla testata con grandi fasci. Opposto a questo è un edificio eclettico
il cui fronte posteriore affaccia su piazza della Stazione Vecchia –
centro di «Ostia Nuova» nelle previsioni del piano del 1916 – così
detta dal capolinea della ferrovia Roma-Ostia che si attestò qui fino al
1949 e chiusa a d. dal palazzetto della Delegazione Municipale
(Vincenzo Fasolo, 1924-26), nel quale l’eclettismo si evidenzia nella
ripresa di elementi linguistici dell’architettura veneta; la contermine
piazza prende nome dalla basilica della Regina Pacis (Giulio Magni,
1919-28), fronteggiata da due palazzine di Luigi Moretti (numeri 3-7;
1932-37) d’impostazione classica ma dagli evidenti caratteri
novecentisti.
Da piazzale della Posta si continua in viale della Marina al cui
termine si apre piazza dei Ravennati, originariamente (1907) punto
terminale della Via Ostiense; lo slargo, disegnato nel 1931, venne
riprogettato nel 1939-40 in occasione della costruzione del pontile,
allora detto Littorio.

LIDO DI PONENTE, il cui confine è segnato dal lato NO della piazza,


ha uno degli assi principali nel lungomare Toscanelli, già parte del
viale della Marina di Roma (1916-26). Presso l’ex colonia marina
Vittorio Emanuele III (Vincenzo Fasolo, 1932) si piega a d. in via
Giuliano da Sangallo che incrocia corso Duca di Genova: il tratto di
sin. è caratterizzato dal *complesso ICP (Camillo Palmerini, 1929), cui
si ‘oppone’ la Scuola elementare Fratelli Garrone (Ignazio Guidi, 1934-
35), una delle prime concepite con criteri razionalisti. Al termine del
corso si è in piazza Agrippa. Seguendo a sin. via dell’Idroscalo fino al
termine attraverso una desolata periferia, ‘qualificata’ dalla chiesa di
Nostra Signora di Bonaria (Francesco Berarducci, Giorgio Monaco e
Giuseppe Rinaldi, 1982) in via dell’Appagliatore, e voltando a d. in via
degli Atlantici si raggiunge *Tor S. Michele, massiccio fortilizio,
voluto da Pio IV e costruito sotto Pio V nel quadro della fortificazione
delle coste laziali, il cui disegno, attribuibile a Michelangelo, fu
realizzato da Nanni di Baccio Bigio entro il 1568.

LIDO DI LEVANTE. Da piazzale dei Ravennati s’imbocca il segmento


SE del lungomare Toscanelli che costeggia gli stabilimenti balneari e
perviene in piazza Anco Marzio, negli anni ’30 principale centro
cittadino, sulla quale affaccia il variopinto palazzo del Pappagallo
(Mario Marchi, 1929). Al termine del lungomare si aprono piazzale
Magellano, che si caratterizza per l’edilizia di regime (i villini oggi
deturpati al N. 14 e al N. 2 della perpendicolare via S. Fiorenzo sono
di Adalberto Libera, 1935) e, avanti, piazza Sirio dalla quale, al centro,
si stacca via della Stella Polare. Percorrendola si raggiunge, su piazza
Alessio, la Caserma IV Novembre (N. 14; 1934-37), sorta come scuola
per l’avviamento alle professioni marittime: davanti all’ingresso,
Educazione Fisica ed Educazione Intellettuale, statue in marmo di
Giuseppe Tonnini; due aule interne sono decorate con dipinti
(Rievocazioni marinare e Una poesia) di Lorenzo Viani (1936).
Costeggiata a d. l’area militare si sbocca in piazza Farinati Degli
Uberti: per via Genoese Zerbi e a sin. via dei Promontori si perviene
alla chiesa di S. Maria Stella Maris (Ennio Canino, 1977).
Sul lungomare Duilio (1931), che segue la costa da piazzale
Magellano, si incontrano lo stabilimento Plinius, ispirato al ponte di
una nave, opposto al quale sono tre villette razionaliste (Italo Mancini,
1933), e più avanti lo stabilimento Tibidabo, già Rex e Mediterraneo
(1936), anch’esso di stampo razionalista. Si lascia quindi a sin. via dei
Pescatori, che costeggia a d. il canale dello Stagno, antico emissario
dello stagno di Ostia, sistemato nel 1933-38, e a sin. il borghetto dei
Pescatori, edificato nel 1931.
IN CASTEL FUSANO, che inizia oltre piazzale Mediterraneo, il
lungomare prende il nome di Lutazio Catulo e, superando a sin. il
palazzetto dello Sport (Paolo Morelli e Renato Papagni, 1989-90),
raggiunge lo stabilimento Kursaal (Attilio La Padula e Pier Luigi Nervi,
1950), nel cui salone l’invenzione strutturale della copertura a
ombrello si accompagna a una concezione dello spazio interno come
fenomeno luminoso. Poco oltre si sbocca, km 31, in piazzale Cristoforo
Colombo, terminale dell’omonima via →.

LA TENUTA PRESIDENZIALE DI CASTEL PORZIANO. Proseguendo per il


lungomare Vespucci e, oltre l’omonimo piazzale, per la via Litoranea
verso Anzio si costeggia questo raro esempio di vegetazione
spontanea mediterranea (estensione 5892 ettari), con vasti e antichi
querceti e sughereti. Appartenuta dal 1568 al 1823 ai Del Nero, passò
ai Grazioli che cedettero nel 1872 la tenuta allo Stato e nel 1874 il
castello ai Savoia; dal 1946 fu assegnata al presidente della
Repubblica, che nel 1971 donò parte del litorale al comune di Roma
perché fosse adibito a spiaggia pubblica. All’interno della tenuta si
trova il CASTELLO, il cui primo nucleo, costituito da una torre, risale al
sec. XI mentre il recinto difensivo fu probabilmente realizzato nel XIII-
XIV; è di impianto quadrangolare, con l’abitato protetto da cortine
merlate munite di torri angolari. Numerosi i ruderi romani rinvenuti
nell’area che, con il vicino parco di Castel Fusano (v. sotto), fu sede di
lussuose ville costiere collegate in antico dalla Via Severiana;
interessanti la villa di Tor Paterno, di proprietà imperiale sin da
Augusto, e il «vicus Augustanus Laurentium», villaggio con funzioni di
servizio alle ville (gli impianti termali risalgono al sec. III-IV).

RISERVA NATURALE DI CASTEL PORZIANO. L’area di Castel Porziano-


Capocotta, che presenta la maggior parte degli ecosistemi tipici
dell’ambiente mediterraneo, è stata istituita in Riserva naturale statale
nel 1999. La Tenuta confina con il Parco urbano di Castel Fusano e
con esso rappresenta il più consistente polmone verde della città,
ampio oltre 7000 ettari. Quest’ultimo è inserito nella Riserva naturale
statale del Litorale Romano, istituita nel 1996, che comprende anche
l’area tra Fiumicino, Ponte Galeria, Ostia Lido, Ostia Antica, Infernetto,
Acilia, Vitinia, Casalpalocco e le dune di Capocotta.

PER TORNARE A ROMA si può seguire, da piazzale Cristoforo


Colombo, la via omonima, che attraversa il parco di Castel Fusano,
1100 ettari di pini e macchia mediterranea spontanea il cui primo
impianto, dovuto ai Sacchetti (1620-34), fu ampliato dai Chigi dal
1755; acquisito dal governatorato di Roma nel 1932, venne aperto nel
1933 al pubblico. Al primo incrocio semaforico s’interseca viale della
Villa di Plinio, così detto dal complesso di cui sono resti (sec. I-II) nella
tenuta di Castel Porziano; il tratto di sin. si apre nell’omonima piazza
dalla quale si scorge, al fondo di viale Mediterraneo, la VILLA CHIGI già
Sacchetti, realizzata entro il 1630; al massiccio edificio quadrangolare,
con attico centrale ornato da torrette, furono aggiunte quattro basse
torri agli angoli (la cappella al primo piano è di Pietro da Cortona,
autore con Andrea Sacchi e Andrea Camassei degli affreschi).
Il tratto successivo della Cristoforo Colombo lambisce il quartiere
di Casal Palocco, realizzato da Adalberto Libera, Ugo Luccichenti,
Mario Paniconi, Giulio Pediconi e Giuseppe Vaccaro nel 1958-65; a
carattere estensivo, è impostato su un asse longitudinale, supporto
dei servizi principali, e su un anello di distribuzione ai singoli settori,
dotati ciascuno di proprie attrezzature.

8.15 LA VIA LAURENTINA

La strada, che iniziava dalla porta Nevia delle mura Serviane e


dalla porta S. Paolo del recinto aureliano e che il percorso moderno
ricalca solo per breve tratto, nella prima parte correva forse parallela
alla Via Ostiense; lungo questo percorso, probabilmente la più antica
direttrice di scambi tra Roma e il territorio laurentino (dall’antica città
di «Laurentum»), si disponevano gli insediamenti protostorici e arcaici
di «Tellenae», Trigoria e «Lavinium» (Pràtica di Mare), centro religioso
dei Latini e luogo legato alla leggenda troiana sulle origini di Roma.

L’itinerario automobilistico, che ha nell’abbazia cistercense delle


Tre Fontane il suo momento più importante, si svolge per 9 km (carta)
nella zona sud di Roma compresa tra le ultime propaggini verso il
mare dei Colli Albani e il tracciato della statale 148 Pontina, in un
territorio dall’andamento collinare, solcato da fossi e in parte ancora
agricolo. I primi interventi di urbanizzazione risalgono alla fine degli
anni ’30 del sec. XX, quando vennero realizzati, fuori del piano
regolatore del 1931, la città militare della Cecchignola e,
parallelamente all’EUR, il quartiere Dalmata; nel periodo post-bellico,
nell’ambito dei fenomeni insediativi tipici della periferia romana, sorse
la borgata abusiva di Selcetta-Trigoria, mentre agli anni ’70 risalgono i
piani di zona 167 (edilizia economica e popolare, e cooperative) della
Ferratella e del Laurentino 38.

Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:


sinistra, destra, sinistra e destra.

L’*ABBAZIA DELLE TRE FONTANE. Dal piazzale Ostiense (→ si segue


l’omonima via, dalla quale, oltre la basilica di S. Paolo fuori le Mura e
in corrispondenza di un sottopasso ferroviario, si diparte a sin. la
deviazione segnalata per la Via Laurentina.
Nel primo tratto la strada sale stretta sul colle edificato a
palazzine, mentre dopo l’incrocio con Via Cristoforo Colombo scende
lasciando a d. l’EUR →. Presso il bivio a d. per via delle Tre Fontane si
stacca sul lato opposto il viale di accesso all’omonimo complesso,
sorto in località «ad Aquas Salvias» dove, secondo una tradizione
risalente al sec. V, l’apostolo Paolo fu decapitato e la sua testa,
rimbalzando tre volte, fece scaturire altrettante fonti; circondato da un
bosco di eucalipti – i primi di Roma – piantati dai Trappisti nel 1868
per bonificare la zona, comprende il monastero cistercense –il
secondo fondato in Italia dopo quello di Chiaravalle a Milano – con la
chiesa abbaziale dei Ss. Vincenzo e Anastasio e quelle tardo-
cinquecentesche di S. Maria Scala Coeli e di S. Paolo.
LA STORIA. Gli scavi archeologici condotti da G.B. De Rossi nel
1867-68 hanno documentato l’esistenza di un cimitero cristiano del
sec. III e di un luogo di culto del IV-V legati al ricordo del martirio di S.
Paolo. Donata da S. Gregorio Magno la tenuta alla basilica di S. Paolo,
il monastero, fondato intorno al 625 da Onorio I, fu inizialmente
tenuto da monaci greci, che vi trasportarono la reliquia del capo di S.
Anastasio, e fiorì tra il sec. VIII e il IX, quando venne fortificato con
mura e una porta turrita (arco di Carlo Magno). Nella seconda metà
dell’XI Gregorio VII donò l’abbazia ai Benedettini di S. Paolo, ma nel
1140 Innocenzo II l’assegnò ai Cistercensi; da tale data il complesso
venne ricostruito secondo le regole dettate da S. Bernardo, che qui
ebbe la visione della Scala Coeli, giungendo a compimento nel 1221.
Gli ultimi interventi furono effettuati in vista dell’Anno Santo del 1600
(costruzione delle chiese di S. Maria Scala Coeli e di S. Paolo), ma
l’insalubrità della zona ne causò l’irrimediabile decadenza, culminata
nella soppressione napoleonica e nel conseguente abbandono. La
rinascita ebbe inizio nel 1867 quando Pio IX provvide ai restauri e
chiamò i padri trappisti a bonificare la zona.

LA VISITA DEL COMPLESSO ABBAZIALE. Percorrendo via di Acque


Salvie si giunge al cosiddetto arco di Carlo Magno, doppia porta
d’accesso al monastero, edificato nel sec. VIII-IX probabilmente su un
oratorio di S. Giovanni Battista (la parte superiore con la polifora è
restauro del 1939-43): sull’arco lunetta con Madonna in trono (sec.
XIII), sotto l’arco storie di Carlo Magno, dipinti del XII.
In fondo al piazzale è la chiesa abbaziale dei *Ss. Vincenzo e
Anastasio, fondata da Onorio I (625) per accogliere le reliquie di S.
Anastasio – e dal sec. VIII anche quelle di S. Vincenzo – ricostruita con
il monastero dai Cistercensi riutilizzando fabbricati esistenti dei sec. X
e XI (ala E del complesso monastico e capocroce della chiesa) e
completata da Onorio III (1221). La facciata in cotto, a doppio
spiovente, è preceduta da un portico (resti di affreschi del XIII), a
colonne ioniche di spoglio architravate e pilastri angolari, le cui
proporzioni sono state alterate dall’aggiunta delle basi per
l’abbassamento del piano pavimentale nel restauro del 1868.
Nell’interno, suddiviso in tre navi da pilastri e archi a tutto sesto, l’uso
della volta a botte a leggero sesto acuto e l’austera monumentalità
sono tipici della prima architettura cistercense; sui pilastri apostoli di
scuola raffaellesca e, presso l’altare, Battesimo di Cristo (d.) e Noli me
tangere (sin.).
Lungo il fianco sin. della chiesa si dispongono gli edifici monastici,
assai integrati e restaurati. Essi racchiudono il CHIOSTRO, il più antico
cistercense superstite a Roma, originale sui lati N ed E e coperto con
volte a crociera rinforzate da sottarchi su pilastri che inquadrano le
quadrifore con colonnine di spoglio; al centro del lato E si trova la SALA
CAPITOLARE, mentre sul lato N si apre la porta del REFETTORIO,
fiancheggiata da due bellissime lesene romane ornate di tralci. Nel
monastero, affreschi staccati dal dormitorio e da un porticato al piano
superiore, tra cui un *Calendario dei mesi, raro esempio di pittura a
soggetto profano del sec. XIV; in un vano soprastante alla sagrestia,
coevo affresco con Incoronazione della Vergine.
Fiancheggia a d. l’abbazia il volume articolato della chiesa di S.
Maria Scala Coeli, che Giacomo Della Porta eresse per il cardinale
Alessandro Farnese (1581-84) sul luogo ove sotto Diocleziano
avrebbero subìto il martirio S. Zenone e i suoi 10203 compagni e dove
già nel sec. VII esisteva una chiesa dedicata a Maria (la sottostante
cappella commemorativa del sogno di S. Bernardo risale al 1138);
l’edificio, posto su un rialzo del terreno, ha la facciata sormontata da
un timpano su un ordine unico di lesene doriche. Nell’interno,
l’ambiente cinquecentesco, a pianta ottagonale e coperto a cupola, è
scandito da lesene ad angolo corinzie; nell’abside sin., Santi con
Clemente VIII e suo nipote Pietro Aldobrandini, mosaico di Francesco
Zucchi su disegno di Giovanni De Vecchi. Dalle scale a sin. si accede
alla CRIPTA che conserva un altare rinascimentale inglobante elementi
cosmateschi; sul retro sono due piccoli ambienti, forse sepolcro dei
martiri.
In fondo al viale che parte a d. del tempio dei Ss. Vincenzo e
Anastasio (resti di un diverticolo dell’antica Via Laurentina) è la chiesa
di S. Paolo, eretta forse nel sec. V sul luogo dove l’apostolo subì il
martirio; deve l’aspetto attuale al cardinale Pietro Aldobrandini che la
fece ricostruire dal Della Porta nel 1599-1601. Durante i restauri di Pio
IX fu ritrovato sotto la chiesa il lastricato, posto su tre livelli, del
primitivo edificio (sec. VI-VII). L’architettura del complesso ripropone la
pianta composta di un vestibolo e di una nave traversa: sul volume
della navata, che ha la facciata sormontata da un timpano curvo e da
volute laterali, s’innesta quello dell’atrio, costituito da un tempietto
con timpano. Dal vestibolo si accede allo spazioso interno, alterato
dagli affreschi di Emilio Lazzari, con due cappelle absidate alle
estremità e abside al centro; sul pavimento, *mosaico policromo con
le personificazioni delle Quattro Stagioni, da Ostia; nell’angolo d., una
grata protegge la colonna cui sarebbe stato legato S. Paolo durante il
martirio; a sin., Crocifissione di S. Pietro, antica copia da Guido Reni;
lungo la parete di fondo e nell’abside sono disposte, su tre livelli, le
fontane disegnate dal Della Porta.

IN DIREZIONE DELLA PERIFERIA. La Via Laurentina incontra a d., in


angolo con via delle Montagne Rocciose, il complesso parrocchiale e la
chiesa di S. Gregorio Barbarigo (Giuseppe Vaccaro, 1968-71), la prima
realizzata secondo i dettami del Concilio Vaticano II; è composta da
volumi cilindrici leggibili sia all’esterno sia all’interno – spazio
assembleare articolato in due vani che creano progressione
prospettica – e trattati in cemento armato a vista a scanalature
verticali.
Si continua lasciando a d. viale dell’Oceano Atlantico e, saliti,
s’incrocia a d. viale dell’Umanesimo e a sin. viale Sinigaglia.
Percorrendo il primo per breve tratto e voltando a sin. in via Pavese ci
si addentra nella monotona urbanizzazione della Ferratella (progetto
generale di Pietro Barucci, 1974); al N. 180 è la chiesa dello Spirito
Santo alla Ferratella (Ignazio Breccia Fratadocchi, 1986), nella quale
l’architettura in cemento armato a vista è caratterizzata da semplici
volumi che articolano anche lo spazio interno. Seguendo il secondo si
sbocca invece in piazza Giuliani e Dalmati dove è la chiesa di S. Marco
Evangelista in Agro laurentino (Ennio Canino e Vivina Rizzi, 1969-71),
strutturata per parti autonome connesse spazialmente tra loro: il
diaframma concavo della facciata, preceduta dal protiro su due
colonne; l’aula; il presbiterio ellittico, anch’esso con due colonne che
sorreggono la copertura a sbalzo.
La Via Laurentina lambisce a sin. la città militare della
Cecchignola (1939-40, ma completata nel dopoguerra), costituita da
bassi edifici destinati a caserme, abitazioni e servizi e disposti lungo
un viale centrale; al suo interno è il Museo storico della Motorizzazione
militare (t. 065011885). Avanti a d. è il quartiere Laurentino 38,
realizzato secondo il piano di zona 167 (progetto generale di Pietro
Barucci, 1974); durante l’edificazione dell’insediamento sono stati
individuati un abitato protostorico (l’antica «Tellenae»?), composto
dalla collina dell’insediamento con «agger» antistante e da una ricca
necropoli (sec. VIII-VII a.C.) che è andata in parte distrutta in seguito
all’urbanizzazione, e le fondazioni di un complesso fortificato del X-XV.
Attraversata una zona dove stridente è il contrasto tra i pochi squarci
di campagna e il degrado edilizio moderno, la Laurentina incrocia, km
9, il Grande Raccordo Anulare.
Al km 32.8 della via Laurentina, in località Ardea, si trova la
Raccolta Manzù (t. 069135022, www.museomanzu.beniculturali.it) che
custodisce le opere donate dall’artista nel 1979, tra cui sculture,
gioielli, medaglie, disegni, incisioni e bozzetti teatrali. La maggior
parte fu eseguita nel periodo della maturità del maestro (1950-70),
ma non mancano pezzi degli anni iniziali, come il bassorilievo in
bronzo Adamo ed Eva (1929) e il David (1939).

8.16 LA VIA PORTUENSE, LA VIA DELLA MAGLIANA E FIUMICINO

L’antica Via Portuense, che iniziava più avanti dell’attuale dalla


«porta Portuensis», prende nome dal porto costruito da Claudio e
ingrandito da Traiano presso la foce del Tevere, cui essa conduceva.
Faceva riscontro sulla riva destra alla Via Ostiense e riprendeva, per il
tratto iniziale e finale, la più antica via Campana, così denominata dal
Campo Salino che per secoli rifornì di sale la città e ricalcata in parte
dall’odierna via della Magliana. Il quartiere e il suburbio portuense
sono tuttora strutturati intorno a queste due direttrici che si
congiungono nella pianura costiera a Ponte Galeria, la Portuense
affrontando il terreno collinoso a sud-ovest di Roma, la Magliana
attraversando la piana del Tevere di cui segue le tortuosità.
L’itinerario automobilistico (km 28; carta →) percorre nel tratto
urbano un settore fittamente edificato per lo più dopo il 1950, che
presenta tutti i difetti comuni a tanta parte dell’espansione romana di
quegli anni: densità elevatissima, spazi architettonicamente non
qualificati, carenza di servizi e di verde. Termina a Fiumicino, dove
l’attuale disordine edilizio appare in stridente contrasto con il progetto
globale che aveva sotteso alla formazione del piccolo nucleo
originario, ideato da Giuseppe Valadier.
Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:
sinistra, destra, sinistra e destra.

PORTA PORTESE, che si apre su piazzale Portuense, è l’accesso alla


città della cerchia di Urbano VIII → che ha sostituito la più
meridionale «porta Portuensis» delle mura Aureliane. In travertino a
un fornice inquadrato da colonne tuscaniche e nicchie, fu compiuta da
Marcantonio De Rossi nel 1644 per Innocenzo X, cui appartiene l’arme
che figura sulla fronte.
LA VIA PORTUENSE, che da qui s’imbocca, supera, inserito nel
complesso degradato al N. 11, un portale monumentale con lo
stemma di Pio IX appartenente al contiguo Arsenale pontificio; eretto
da Clemente XI, forse per opera di Carlo Fontana, presso il porto di
Ripa Grande →, è un’interessante costruzione divisa in due navate da
sette doppie arcate trasversali a sesto rialzato con oculi intermedi.
A lato della strada, alcuni banchi fissi segnano il sito del popolare
mercato di porta Portese che si svolge, pittoresco e affollato, ogni
domenica mattina per oltre un chilometro lungo questo primo tratto e
nelle immediate vicinanze; nato dopo la seconda guerra mondiale, vi
si possono trovare oggetti di piccolo antiquariato e le merci più
disparate. Lasciate a d. le arcate dei magazzini dell’ex stazione di
Trastevere, si individuano sul lato opposto (N. 91), più bassi del livello
stradale, una palazzina e un grande portale sui quali incombe un
edificio moderno, attribuiti a Girolamo Rainaldi (1629), resti della villa
Della Porta Rodiani.
La vasta area espositiva di via Portuense 101 (t.63700266)
accoglie il Museo «Josè Pantieri» del Cinema e dello Spettacolo
- MICS intitolato al suo fondatore, illustre storico del cinema e dello
spettacolo. Il MICS conserva un patrimonio inestimabile su teatro,
televisione, fotografia, musica, radio e altre forme di spettacolo, oltre
a cimeli relativi alla cinematografia mondiale. Particolarmente
importante è la raccolta inerente al cinema muto italiano ed europeo.
La Portuense (qui deviata per costruire l’odierna stazione di
Trastevere) prosegue in via Ettore Rolli e, sottopassata la ferrovia,
sbocca in piazza della Radio. Dell’area industriale sorta nella zona
verso il Tevere ai primi del ’900 per la vicinanza della stazione
ferroviaria e del porto fluviale sulla riva opposta →, rimangono, su via
Pacinotti, i grandi complessi dei Molini Biondi, a sin., e della ex Mira
Lanza, a d., nelle cui strutture, parzialmente recuperate, sorge il
Teatro India. In asse con la via, il ponte dell’Industria →.
A PONTE GALERIA PER VIA DELLA MAGLIANA, km 12.9. Da piazza
della Radio, seguendo il percorso segnalato s’imbocca via Oderisi da
Gubbio, tracciata prima del secondo conflitto mondiale ma edificata
per lo più dopo il 1950. Subito a d., la chiesa del Gesù Divino
Lavoratore (Raffaello Fagnoni, 1960) è denotata dalla
contrapposizione dei nitidi volumi laterizi del campanile cilindrico, che
funge da ingresso, e dell’aula che, a pianta leggermente ovoidale, è
coperta da una bassa calotta in cemento armato alzata sulla muratura
da una vetrata continua.
A est dell’asse viario, il Piano di Pietra Papa, racchiuso nell’ansa
del Tevere e destinato dal piano regolatore del 1931 a strutture
industriali, ha subito negli anni ’50 un’edificazione residenziale
intensiva (più recente il settore sul lungotevere di Pietra Papa); lo
attraversa viale Guglielmo Marconi, tracciato prima della seconda
guerra mondiale come seconda arteria di collegamento (dopo la via
Imperiale, l’attuale Cristoforo Colombo) tra il centro e l’EUR, che
supera il fiume sull’omonimo ponte (1937-52). Da piazza Meucci, dove
termina via Oderisi da Gubbio, si stacca costeggiando il Tevere via
della Magliana. Sul lato sin. affaccia l’abside della chiesa di S.
Passera, sorta su un sepolcro romano e già esistente intorno al sec.
VIII – epoca cui si fa risalire la traslazione da Alessandria d’Egitto delle
spoglie dei Ss. Ciro e Giovanni (il nome è infatti una corruzione da
«Abbas Cirus») – poi ampliata nel XIII. L’abside ha mensoline in
marmo a motivi vegetali e una bifora murata in antico; per il vicolo di
S. Passera, costeggiando il fianco sin. con quattro arcate murate, si è
davanti alla facciata che, alta su una terrazza, ha sul semplice portale
una finestra con grata in pietra a motivi geometrici, affiancata da due
finestrelle murate con cornici laterizie. L’interno, rettangolare con tetto
a vista, conserva resti di affreschi. Sulla parete sin., cinque santi (sec.
VIII-IX?), mentre quelli dell’abside (molto ritoccati) sono del XIV e
raffigurano: sull’arco esterno, Agnello mistico e santi; nel catino, in
alto, Cristo tra i Ss. Giovanni evangelista, Pietro, Paolo e Giovanni
Battista; nella fascia centrale, Cristo tra i Ss. Ciro e Giovanni e
Madonna col Bambino, santi e due donatori. Dalla sagrestia si scende
nella CRIPTA, forse la chiesa originaria del sec. VIII, con un architrave
dell’XI che ricorda la sepoltura dei Ss. Ciro e Giovanni; a un livello
inferiore, un ipogeo costituito da un sepolcro romano con resti di
affreschi.
Lasciata sempre a sin. una tozza torre medievale su resti romani,
via della Magliana costeggia a sin. Pian Due Torri, racchiuso in una
stretta ansa del Tevere e coperto da una triste distesa di fabbricati
intensivi sorti dopo il 1954 al di sotto del livello di piena del fiume. In
corrispondenza dello svincolo dell’autostrada per l’aeroporto di
Fiumicino (1964-67), il ponte della Magliana (1938-48, con campata
centrale mobile) collega alla via del Mare e all’EUR. Dopo il cavalcavia
sull’autostrada, in corrispondenza del gomito che sottopassa la
ferrovia Roma-Pisa, si stacca a d. via del Trullo (cosiddetta da un
sepolcro circolare romano presso il Tevere o dal tempio rotondo della
dea Dia, v. sotto), che raggiunge l’omonima borgata, sorta prima del
1940 insieme ai magazzini del Genio militare. La Magliana prosegue
deviata in via del Tempio degli Arvali, sul luogo dell’antico bosco sacro
della dea Dia, affidato al collegio sacerdotale dei «Fratres Arvales»
legato al mito di Acca Larenzia, nutrice di Romolo. Il santuario sorgeva
al V miglio della via Campana, al limite del territorio della Roma
arcaica; conservava le lastre incise ogni anno con gli atti delle
cerimonie che, rinvenute in parte, costituiscono una serie epigrafica
tra le più importanti per la storia romana (oggi al Museo Nazionale
Romano).
In corrispondenza della stazione della Magliana, sale a gomito
sulla d. via di Generosa, dalla quale, ancora a d., si stacca la via che
prende nome dalle catacombe di Generosa. In un’area verde recintata
sono gli esigui resti di una basilica, a tre navate, eretta all’epoca di
papa Damaso, al di sotto della quale si sviluppa l’area cemeteriale.
Alle spalle dell’abside, il sepolcro dei Ss. Simplicio, Faustino e Viatrice
(Beatrice; visita a richiesta alla Pontificia Commissione di Archeologia
Sacra) conserva un notevole affresco del sec. VI-VII (staccato e
restaurato) di Cristo con i tre santi titolari e lo sconosciuto Rufiniano.
Da via della Magliana, lasciata a d. via del Fosso della Magliana, si
sottopassa a sin. la ferrovia e per via Dasti si è di fronte al *castello
della Magliana (visita a richiesta al Sovrano ordine dei Cavalieri di
Malta), residenza papale di campagna iniziata da Sisto IV intorno al
1480 e ultimata da Leone X. Sorto in prossimità del Tevere in una
zona fertile e ricca di selvaggina, decadde a fine ’600 a causa della
malaria e, dopo l’acquisto nel 1959 da parte dell’Ordine Sovrano di
Malta, fu restaurato e affiancato dall’ospedale S. Giovanni Battista per
motulesi (Julio Lafuente e Gaetano Rebecchini, 1960-61) che ingloba
la massiccia scuderia. Varcato l’ingresso al cortile del castello, protetto
da un AVANCORPO merlato, si ha a sin. il nucleo più antico del
complesso, con PORTICHETTO a tre arcate su pilastri ottagonali; in alto,
quattro finestre sormontate da architravi con iscritto il nome di
Innocenzo VIII. A lui si deve anche l’inizio dei lavori della FABBRICA
PRINCIPALE, disposta ad angolo retto e lievemente aggettante,
proseguiti, su un progetto di Giuliano da Sangallo non fedelmente
seguito, dal cardinale Francesco Alidosi per papa Giulio II; belle
finestre a croce mozza con il nome di quest’ultimo pontefice si aprono
al piano nobile, retto nel lato di fondo da un portico a cinque arcate.
L’ala che chiude la corte all’estremità d. fu forse disegnata da
Bramante: aperta al primo piano da una loggia ad arcate, racchiudeva
al piano terra, dietro la parete in cui si aprono otto nicchie, la
cappellina di S. Giovanni, già decorata nelle lunette di affreschi
staccati nel 1860 (tra questi, il Padre Eterno di Raffaello oggi al
Louvre). La fontana al centro del cortile è circondata da una vasca
quadrangolare in travertino aggiunta a metà ’500, con iscrizioni e
stemmi di Pio IV. Nell’interno, al SALONE voltato a botte lunettata del
piano terra corrisponde, al primo piano, la SALA DELLE MUSE, con
affreschi piuttosto guasti e un monumentale camino di Giulio II.
L’ultimo tratto di via della Magliana corre parallelo a un centro
direzionale, caratterizzato da un edificio dalla curiosa articolazione a
triplice ventaglio (Julio Lafuente e Gaetano Rebecchini, 1979), e,
superato il Grande Raccordo Anulare, tra brulle collinette a d. e la
piana del Tevere a sin. raggiunge, km 12.9, Ponte Galeria, dove
confluisce nella Portuense.

VERSO IL LAGO DI TRAIANO. Da piazza della Radio, scendendo lungo


il tratto ovest di via Pacinotti, si ritorna sulla Portuense che sottopassa
via Majorana, tratto dell’Olimpica. Nell’area libera a sin. scavi
archeologici hanno individuato un tratto basolato, affiancato da
costruzioni, della via Campana. Intorno era la vasta Necropoli
portuense della prima età imperiale, insediata in cave di tufo
preesistenti; nel 1951 furono scoperte due tombe a camera (una con
pitture, l’altra con stucchi), ora al Museo Nazionale Romano.
Sottopassata la ferrovia Roma-Pisa, la Portuense, costeggiati a d. i
grandi complessi ospedalieri Lazzaro Spallanzani e Carlo Forlanini, in
un contesto densamente urbanizzato supera la palazzina della
Meridiana (N. 457), rifacimento settecentesco di un preesistente
casale, e aggira con un’ampia curva il forte Portuense (1877),
nascosto dalla vegetazione.
Tra continue ondulazioni appare lo spettrale blocco del Corviale,
residenza lineare per 6500 abitanti, realizzata nel 1975-82 dallo IACP
(Mario Fiorentino, Federico Gorio, Piero Maria Lugli, Giulio Sterbini,
Michele Valori, Riccardo Morandi). Si compone di un edificio principale
lungo 1 km, aperto tra quarto e quinto piano da una galleria per
attività extraresidenziali, e di un corpo minore obliquo, alti su una
collina a chiudere verso la campagna ancora libera la disordinata
periferia limitrofa. Lo scopo di creare un insediamento non solo
autosufficiente ma anche polo aggregativo per la zona, in grado di
fornire servizi, è stato disatteso per la mancata realizzazione di gran
parte delle attrezzature previste e per la stessa dimensione
spersonalizzante della costruzione. La bella chiesa del quartiere,
dedicata a S. Paolo della Croce (Ennio Canino, 1983; la si raggiunge
salendo a d. per viale Martini e via Mazzacurati), ha pareti
inframmezzate da numerose aperture ed è coperta da quattro moduli
quadrati – sorretti all’interno da piloni cilindrici – che lasciano uno
spiraglio cruciforme all’illuminazione.
Ormai fuori dell’abitato, la Portuense riacquista un carattere
campestre e, sovrappassato il Grande Raccordo Anulare, giunge tra
saliscendi, km 16.2, a Ponte Galeria m 10, dove è la confluenza di via
della Magliana e ha inizio un lungo rettifilo alberato. In quest’area
sorge la nuova Fiera di Roma.
NUOVA FIERA DI ROMA. Inaugurata nel 2006, la nuova Fiera di
Roma (t.065178582-065178577/78; www.nuovafieradiroma.it), è
stata progettata da Tommaso Valle su un’area di quasi un milione di
m2 (di cui un terzo a verde pubblico). Collocata sulla direttrice Roma-
Fiumicino presso Ponte Galeria (v. sopra), a lavori ultimati (entro il
2009) sarà uno dei maggiori poli fieristici europei. Il progetto
urbanistico prevede l’edificazione di 22 padiglioni, un centro
direzionale con uffici e un centro convegni per oltre 4000 posti. Il
quartiere sarà attraversato da una passerella meccanizzata
sopraelevata, che fungerà da percorso pedonale per i visitatori e da
raccordo tra i padiglioni. I collegamenti con il centro di Roma
avverranno attraverso due complanari con tre corsie per senso di
marcia parallele alla Roma-Fiumicino, in entrata e uscita dalla capitale
nel tratto compreso tra il Grande Raccordo Anulare e lo svincolo
dell’autostrada per Civitavecchia. Inoltre è previsto il completamento
della nuova fermata ferroviaria «Fiera» sulla linea Roma-Fiumicino. Si
prevede anche la realizzazione di un attracco turistico sul Tevere. Nel
corso dei lavori, particolare attenzione è stata riservata al rispetto
dell’ambiente e delle preesistenze archeologiche dell’area; è infatti allo
studio un progetto per la tutela e la valorizzazione dell’Antica Via
Portuense.

Superata dal viadotto dell’autostrada per l’aeroporto di Fiumicino,


la strada attraversa l’area della bonifica di Porto che, realizzata tra le
due guerre mondiali e oggi compresa nel Consorzio di bonifica di Ostia
e Maccarese e dell’Agro romano →, è segnata dalle case coloniche e
dagli alti argini del Tevere.
IL *LAGO DI TRAIANO. Il tracciato odierno della Portuense lascia a
d. il percorso rettilineo antico all’altezza dell’ingresso monumentale
all’ottocentesca villa Torlonia, la cui pineta circonda il vasto
comprensorio archeologico dell’invaso, ora parzialmente espropriato
(visita: a richiesta al Museo delle Navi presso l’aeroporto di Fiumicino).
LA STORIA. A causa del progressivo insabbiamento dello scalo
fluviale di Ostia, nel 42-46 Claudio iniziò i lavori per un porto a N della
foce del Tevere, scavando un primo bacino di 80-90 ettari, protetto da
due moli e collegato al Tevere da canali, con magazzini e cantieri
intorno ai quali cominciò a svilupparsi la città di «Portus». Nel 106-113
Traiano, per ovviare al ripetersi del rischio di insabbiamento, fece
costruire l’attuale lago esagonale, interno e più protetto; uno dei
canali di Claudio, riutilizzato come «fossa Traiana», è l’attuale canale
di Fiumicino, tuttora navigabile, che si dirama dal Tevere a SE del
bacino, in località Capo Due Rami. Divenuto il maggiore scalo della
costa tirrenica, e ottenuta da Costantino l’autonomia da Ostia,
«Portus» decadde nel sec. VIII-IX.

LE STRUTTURE SUPERSTITI. Lungo il bacino esagonale (pianta →),


perfettamente conservato, si dispongono i resti dei MAGAZZINI, di epoca
traianea sul lato NO, in belle cortine laterizie dell’età di Settimio
Severo lungo quello di SO che ha alle spalle lo spazio corrispondente
all’antica DARSENA (oggi interrata), uno dei primi canali fatti scavare da
Claudio e riutilizzati da Traiano. A ridosso della darsena, inglobato nel
III sec. da un magazzino in laterizio, è il monumentale PORTICO DI
CLAUDIO, d’incerta funzione, scandito da colonne in travertino con
tipiche sbozzature; fra questo e l’antica linea di costa corre un tratto
delle MURA attribuite a età costantiniana. Chiudono a SE il bacino
esagonale le MURA INTERNE, aperte da una porta a due fornici detta nel
Medioevo arco di S. Maria.
Sulle strutture interrate del PORTO DI CLAUDIO insistono attualmente
le attrezzature aeroportuali di Fiumicino, per la cui costruzione sono
stati messi in luce i moli, attualmente non accessibili. Il molo di sin.
inglobava, forse, il basamento del grande faro, costruito riempiendo
con una gettata di calcestruzzo e affondando l’enorme nave utilizzata,
sotto Caligola, per trasportare dall’Egitto l’Obelisco Vaticano.

VERSO FIUMICINO. Dalla moderna Via Portuense si scorge subito a


sin. il cosiddetto tempio di Portunus, edificio circolare di funzione
incerta (sec. III). Poco oltre, uno stradello sulla sin. perviene all’antico
episcopio di Porto, edificato presso il canale di Fiumicino (v. sopra) e
racchiuso da un recinto rettangolare del sec. XII, restaurato a fine
’400. Da un portale del 1771 si entra nella corte, avendo di fronte
l’irregolare fabbricato principale, più volte ampliato; all’interno, oltre
un cortiletto con facciatine settecentesche è la parte più antica. Sulla
corte aggetta la chiesa dei Ss. Ippolito e Lucia, ricostruita nel 1582 e
ampliata nel ’700.
Sfiorando il canale di Fiumicino, la Portuense supera a d. la strada
per l’aeroporto.

ALL’AEROPORTO DI FIUMICINO E ALLA NECROPOLI DI «PORTUS». Il


raccordo stradale di via Montgolfier sale a incrociare via dell’Aeroporto
di Fiumicino. Percorrendone il tratto di sin. si entra nell’aeroporto
intercontinentale Leonardo da Vinci, tra i maggiori dell’Europa
meridionale, sull’area dell’antico porto di Claudio (v. sopra).
Constatata l’insufficienza dello scalo di Ciampino, se ne promosse la
realizzazione nel 1950 e il primo nucleo con le AEROSTAZIONI
INTERNAZIONALE e NAZIONALE e la TORRE DI CONTROLLO (Amedeo Luccichenti,
Vincenzo Monaco, Riccardo Morandi, Andrea Zavitteri) era pronto nel
1957. Entrato in funzione nel 1961, è stato costantemente ampliato
(AVIORIMESSA ALITALIA del 1960-63 e AVIORIMESSA ALITALIA PER DUE BOEING
747 del 1970 con elegante copertura a tenda sostenuta da tiranti su tre
piloni, entrambe del Morandi). Vi termina, racchiuso in una galleria a
sezione ellittica su viadotto, il raccordo ferroviario Roma Termini-
Fiumicino, realizzato nel 1989-90. L’area del complesso aeroportuale
ospita, al N. 37 di via Alessandro Guidoni, il Museo delle Navi (t.
066529192; www.itnw.roma.it) dove sono conservate cinque delle
sette navi romane rinvenute all’imboccatura del porto di Claudio.
Percorrendo invece il tratto di d. di via dell’Aeroporto di Fiumicino
e continuando lungo il percorso segnalato, si raggiunge la *necropoli
di «Portus», che, datata fra fine sec. I e III, si disponeva
principalmente lungo il lato sin. della strada di epoca flavia tra Ostia e
«Portus». Alle facciate delle tombe a camera (spesso abbellite da
lesene o da cornici in cotto inquadranti l’iscrizione funeraria) si
addossano talvolta un recinto o due letti in muratura per i banchetti
funebri. Gli interni recano decorazioni pittoriche, musive o in stucco e
testimoniano un rito funerario prevalentemente misto (nicchie per le
urne cinerarie in alto, arcosoli per le inumazioni entro sarcofagi in
basso, «formae», spesso a più strati, sotto il pavimento). I vivaci
rilievi in terracotta sulle fronti (sostituiti da calchi) rivelano
l’appartenenza delle tombe a camera ad artigiani, commercianti,
medici, di cui descrivono le attività; i meno abbienti si facevano
seppellire in tombe a cassone o a edicola, i poveri sotto tegole
disposte a cappuccina o entro le due metà di un’anfora.

FIUMICINO m 1, ab. 52998, dove la Portuense termina al km 28, è


un attivo centro peschereccio e cantieristico, sviluppatosi intorno al
1825 sulla riva d. dell’omonimo canale navigabile, affollato di
imbarcazioni e animato da un pittoresco mercato del pesce, e
staccatosi come comune autonomo dalla capitale nel 1992. La parte
vecchia dell’abitato, che si dispone su via della Torre Clementina (la
grande costruzione, eretta da papa Clemente XIV nel 1773, fu
distrutta dai Tedeschi durante la seconda guerra mondiale), è
costituita da case a schiera allineate tra due edifici più avanzati,
secondo una sistemazione ideata per i Torlonia da Giuseppe Valadier,
che disegnò anche la chiesa di S. Maria Porto della Salute.
L’ISOLA SACRA, piana urbanizzata cui conduce il ponte mobile
(1948), è circondata a E e a S dall’ansa terminale del Tevere. Sembra
che il nome le sia derivato nel VI sec. dalla presenza di importanti
memorie di martiri portuensi (tra cui S. Ippolito). Grande meno di un
terzo dell’attuale in età romana, quando era percorsa dalla strada che
collegava Ostia a «Portus», alla caduta dell’Impero fu abbandonata,
diventando paludosa. Allargatasi per i depositi del Tevere
(l’avanzamento della costa si può desumere dalla posizione delle torri
di avvistamento delle varie epoche) fino ai c. 1125 ettari attuali, da
fine ’800 ne fu promossa la bonifica, conclusa intorno al 1930
dall’Opera Nazionale Combattenti (l’area interessata è oggi inclusa nel
Consorzio di Bonifica di Ostia e Maccarese e dell’Agro romano, →).
L’attività agricola allora sviluppata è oggi in declino, e alle abitazioni
rurali si è sovrapposta una disordinata edilizia spontanea che ha in
gran parte compromesso il territorio, a eccezione degli squarci di
ambiente naturale all’estremità NE e a SO presso il faro. A
testimonianza del passato rimane, inglobato in un casale sorto sui
resti della basilica paleocristiana di S. Ippolito, un campanile
cosmatesco del sec. XII (dall’asse di attraversamento di via del Faro, lo
si raggiunge imboccando a sin. via Coni Zugna e proseguendo,
attraversata via della Scafa, per via Redipuglia). Era aperto da un
ordine di bifore, due di trifore a pilastri e uno di trifore a colonnine in
corrispondenza dell’antica cella campanaria, tutte murate quando fu
sopraelevato e trasformato in torre di avvistamento.

8.17 LA VIA AURELIA, LA VILLA DORIA PAMPHILJ E FREGENE

Aperta nel 241 a.C., probabilmente dal censore Caio Aurelio


Cotta, come via di penetrazione verso l’Etruria meridionale allora in
parte sotto controllo romano, la strada, che riprendeva un più antico
tracciato, partiva dal «pons Aemilius» (poi ponte Rotto) e, salita sul
Gianicolo, usciva dalle mura Aureliane presso la porta Aurelia (la
moderna porta S. Pancrazio); il primo tratto (273 a.C.), che terminava
presso la colonia di «Cosa» (l’odierna Ansedonia), venne rifatto dal
console Lucio Aurelio Cotta nel 119 a.C. e prolungato dal censore
Marco Emilio Scauro fino a Luni (107 a.C.), mentre solo in età
imperiale («Itinerarium Antonini») il termine Via Aurelia indicò l’intero
percorso da Roma fino alla Gallia Narbonense e alla città di «Arelate»
(l’odierna Arles). Nella prima parte il percorso consolare venne
chiamato «Aurelia Vetus» (ed è l’attuale Via Aurelia Antica) per
distinguerlo dall’«Aurelia Nova» (oggi semplicemente Via Aurelia) che
si dirigeva alla volta dell’«ager Vaticanus» confluendo nella via
Cornelia. Con la decadenza dell’Impero romano il tracciato venne in
parte abbandonato, anche a causa del forte impaludamento delle zone
costiere, e sostituito, per i collegamenti con la Francia, dalla Via
Cassia-Francigena.
L’itinerario (km 39.7; carta a pag.898-899) ha, nel tratto
cittadino, il momento di maggiore interesse nel parco di Villa Doria
Pamphilj, mentre oltre la convergenza dei due tronchi viari urbani
prosegue lungo l’Aurelia, divenuta strada statale 1 e attrezzata per il
traffico veloce, fino ai limiti del territorio comunale, per raggiungere
poi, seguendo una viabilità estranea ai grandi assi di comunicazione, il
centro balneare di Fregene.

IL QUARTIERE GIANICOLENSE si sviluppa a S di piazzale Aurelio,


fuori porta S. Pancrazio →, ed è tra i maggiori di Roma per estensione
e popolazione; due i nuclei in cui è articolato, Monteverde Vecchio
e Monteverde Nuovo, cosiddetti per il tufo verdognolo usato già
nell’antichità come materiale da costruzione.

LE EMERGENZE DEL QUARTIERE. Monteverde Vecchio è incentrato su


piazza Rosolino Pilo (dalla porta la si raggiunge imboccando, subito a
sin. di via di S. Pancrazio, via Carini), che il piano regolatore del 1909
prevedeva circondata da edifici, trasformati in intensivi da quello del
1931; la chiesa di S. Maria Regina Pacis (Tullio Rossi, 1942) ha
esterno in laterizio e portico con tre belle cancellate del 1723, dalla
distrutta chiesa di S. Maria delle Grazie già presso porta Angelica.

Da piazza Pilo scendendo per le vie Barrili, Guinizelli e Massi si


raggiunge la circonvallazione Gianicolense, a ridosso della quale si
sviluppa Monteverde Nuovo. Nel tratto di d. è l’ospedale S. Camillo,
già del Littorio (Emanuele Caniggia, 1927-29); avanti, il fronte d. della
circonvallazione si apre in piazza S. Giovanni di Dio, da dove
s’individua la chiesa di Nostra Signora de La Salette (Ennio Canino e
Vivina Rizzi, 1956-62), con interno coperto a spicchi sfalsati a formare
due croci, su uno spazio mosso dal succedersi di absidi curvilinee.

*VILLA DORIA PAMPHILJ. Da piazzale Aurelio si prende via di S.


Pancrazio, avendo sulla d. (N. 8) i ruderi della barocca villa del
Vascello (1663; distrutta nel corso della difesa della Repubblica
romana) e, di fronte, il piazzale d’ingresso alla residenza, detta anche
Bel Respiro, che fu creata nel 1644-52 per Camillo Pamphilj, nipote di
Innocenzo X. Dopo gli ampliamenti e le profonde modifiche nel
disegno del verde operati a metà ’800 (a seguito dei danni causati dai
combattimenti della Repubblica romana), e l’apertura nel 1960 del
tratto dell’Olimpica intitolato a Leone XIII che ha ‘spaccato’ in due il
giardino (il collegamento avviene grazie a un recentissimo ponte
pedonale), il complesso fu acquistato dallo Stato nel 1967 (casino del
Bel Respiro e giardini adiacenti) e dal comune. L’apertura al pubblico
realizzata nel 1966-71 consente la fruibilità di un parco di 184 ettari
con 6.5 km di perimetro, il più vasto della capitale.

LE ‘EMERGENZE’ DEL PARCO. Dal piazzale (a sin. la CASA DEI CUSTODI di


Andrea Busiri Vici, 1881) si sale al monumentale ARCO D’INGRESSO (dello
stesso, 1859) e piegando a d. si giunge alla PALAZZINA CORSINI,
settecentesca ma rimaneggiata nell’800, che sorge a ridosso del
perimetro settentrionale. Scendendo lungo il viale, si costeggiano a d.
le arcate dell’acquedotto Paolo. Realizzato da Paolo V nel 1609-
1612, ripristinava in parte quello di Traiano che, costruito nel 109 per
alimentare soprattutto la zona di Trastevere, derivava l’acqua nei
pressi del lago di Bracciano e, con un condotto di oltre 32 km,
affiancava dapprima le Vie Clodia e Cassia, poi l’Aurelia.
Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:
sinistra, destra, sinistra e destra.
Si lascia a sin. la valle dei Daini e, incontrata la recinzione della
proprietà dello Stato, si continua a sin. in viale del Maglio, limite
orientale del nucleo originario della villa, che raggiunge la
neoromanica CAPPELLA FUNERARIA (Edoardo Collamarini, 1896-1902) e
costeggia a d. il GIARDINO DEL TEATRO, in origine ad aiuole geometriche
ma ridisegnato all’inglese nel 1854; della sistemazione seicentesca
conserva l’articolazione perimetrale, il ninfeo dei Tritoni, un’ampia
esedra («teatro») e la fontana di Venere. La scalea che sale al livello
superiore offre una bella visuale sul GIARDINO SEGRETO e sul CASINO DEL
BEL RESPIRO, o di Allegrezze o delle Statue. Opera di Alessandro Algardi
e Giovanni Francesco Grimaldi (1644-48), l’edificio riprende, nella
decorazione con marmi antichi delle facciate, soluzioni già adottate a
Roma nella seconda metà del ’500; le fronti principali sono impostate
su due livelli: il giardino segreto, chiuso sul fondo da un muro con
statue e bassorilievi, e un terrazzamento panoramico più alto.
L’interno ha una pianta d’ispirazione palladiana con grande salone
circolare centrale alto due piani, sotto il quale, al livello del giardino, è
una sala rotonda, con statue antiche, decorata, come gli ambienti
adiacenti, di raffinati stucchi d’ispirazione classica su disegno
dell’Algardi; la sala di Ercole ha affreschi del Grimaldi. L’edificio diverrà
sede di un museo dove saranno esposte, tra l’altro, le statue che
ornavano il parco.
Nell’area è una necropoli romana (accesso da Via Aurelia Antica
N. 111; visita a richiesta alla Soprintendenza archeologica di Roma),
costituita da due COLOMBARI di età augustea (gli affreschi staccati sono
al Museo Nazionale Romano) e adrianea, e da una TOMBA con facciata
a opus quadratum in tufo recante al centro, scolpita in peperino, una
finta porta simboleggiante il passaggio all’aldilà (sec. I a.C.). Separato
da questo nucleo è un altro COLOMBARIO ipogeo di età augustea che
conserva il pavimento in opus scutulatum e parte della decorazione ad
affresco.
Costeggiata la cancellata del casino del Bel Respiro, si piega a sin.
in viale del Monumento ai Francesi, avendo a sin. la bella pineta.
S’incontrano in successione le diroccate SERRE ottocentesche, la VILLA
VECCHIA (facente parte del primo nucleo della tenuta acquistato nel
1630, ristrutturata nel 1749-51 da Francesco Nicoletti – a questa fase
risale la decorazione interna a stucchi – e ancora nella seconda metà
dell’800) e il GIARDINO DEI CEDRATI lungo l’acquedotto Paolo. Nella valle
sottostante – dove le fontane della Lumaca (il gruppo scultoreo
originale di Gian Lorenzo Bernini è alla Galleria Doria Pamphilj) e del
Giglio sono dell’Algardi – ha inizio, scenograficamente sistemato nel
’700, un canale con tre cascate artificiali che sfocia in un laghetto
romantico, intorno al quale era la zona rustica del serraglio, a uso
venatorio e agricolo.
Oltre via Leone XIII è il settore più recente del parco, meno
monumentale; al centro, su una collinetta, il medievale CASALE DI GIOVIO
sorge su un tempietto funerario romano.

LA BASILICA DI S. PANCRAZIO. Ritornati al piazzale d’ingresso al


parco si riprende via di S. Pancrazio seguendola verso d. fino
all’omonima piazza. Qui sorge la chiesa, che, fondata da papa
Simmaco sul sepolcro del martire, fu completamente riedificata da
Onorio I e restaurata dal cardinale Ludovico De Torres nel 1609 e
ancora dopo i combattimenti della Repubblica romana. Un portale
barocco con lo stemma De Torres introduce al viale d’ingresso,
segnato da una colonna appartenuta alla basilica paleocristiana. La
facciata della chiesa, a doppio spiovente, conserva parti medievali, lo
stemma di Innocenzo VIII e, ai lati del portale mediano, due colonne
della costruzione primitiva. L’interno, a tre navate divise da pilastri
rettangolari (sostituiti alle colonne nel restauro del De Torres), è
coperto da un soffitto ligneo del 1627; le pareti della navata centrale
hanno un fregio in stucco di putti e festoni. Nelle navate laterali,
decorazione barocca con otto grandi rilievi in stucco (1662-65; in
quella sin., resti degli amboni cosmateschi del 1249). Ai lati del
presbiterio rialzato – con ciborio moderno che riutilizza le colonne in
porfido di quello medievale e affreschi, sopra le arcate, a riquadri
scompartiti da lesene, attribuiti ad Antonio Tempesta (i Ss. Dionisio e
Pancrazio a d., i Ss. Calepodio e Pancrazio a sin.) – sono le rampe
d’accesso alla CRIPTA semianulare, dopo quella di S. Pietro il più antico
esempio a Roma di questa tipologia. Risale all’epoca di Onorio I ed è
costituita da un corridoio che segue la curva dell’abside, al centro del
quale un braccio rettilineo, che conduce sotto l’altare maggiore presso
le reliquie del martire, è concluso da un altare cosmatesco. Nella
cappella sin., S. Teresa del Bambin Gesù di Palma il Giovane (1615).
Presso la sagrestia è un piccolo museo con sculture e iscrizioni pagane
e cristiane e alcuni fossili; accanto è l’ingresso alle catacombe di S.
Pancrazio o di Ottavilla (visita: 10-12 e 16-18), con pitture
ornamentali in due cubicoli.

VERSO LA VIA AURELIA. La Via Aurelia Antica, che dal piazzale


d’ingresso a Villa Doria Pamphilj s’imbocca, costituisce in questo primo
tratto uno dei pochi esempi rimasti di strada suburbana romana,
affiancata da alti muri a protezione di orti e ville patrizie. Su grandi
arcate e quindi sopra l’arco di Paolo V, l’acquedotto Paolo supera la
strada.
Sottopassata via Leone XIII, la viabilità viene deviata a d. in via
del Casale di S. Pio V, dove sono state individuate le catacombe di
Calepodio (visita a richiesta alla Pontificia Commissione di Archeologia
Sacra) e la tomba di S. Callisto, martirizzato nel 222 in Trastevere
(sono visibili anche alcuni frammenti d’affresco a lui relativi). Sul lato
d. è il portale bugnato dell’ex casale di S. Pio V (N. 48), imponente
residenza papale di campagna attribuita a Nanni di Baccio Bigio e
ultimata nel 1567. La via omonima sbocca nella piazza che prende
nome dalla villa Carpegna, ora parco pubblico, creata dal cardinale
Gaspare a fine ’600. Il portale bugnato tra due finestre, sormontato
dallo stemma Carpegna, si apre sul viale principale del parco, in
origine più ampio e ricco di decorazioni; la palazzina, forse
ampliamento di un edificio cinquecentesco, ha torrette laterali e un
androne centrale passante che immetteva nel retrostante viale a
cordonate e fontane, ed è destinata a sede del Museo del Costume.
Si continua sulla circonvallazione Aurelia fino a piazza S. Giovanni
Battista de La Salle, attraversata dalla Via Aurelia, tratto urbano
dell’omonima statale 1, che a d. converge verso il centro, a ridosso
della Città del Vaticano. Intorno a questo segmento dell’asse viario, lo
sviluppo dell’odierno quartiere Aurelio è stato condizionato, fino a
tempi recenti, dalla produzione di laterizi che, favorita dalla presenza
di marne argillose particolarmente adatte all’edilizia, è testimoniata già
in età imperiale. L’urbanizzazione dell’area – rimasta scarsamente
popolata fino a inizi ’900, a eccezione del piccolo borgo delle Fornaci
presso le mura vaticane – era già prevista dal piano regolatore del
1909 e dalla variante del 1925, ma fu resa possibile solo dalla
realizzazione della galleria Principe Amedeo Savoia Aosta → che,
interrompendone l’isolamento, pose le premesse per l’affrettato
sviluppo edilizio verificatosi dopo il 1950.

I ‘MONUMENTI’ DEL QUARTIERE. Raggiunta piazza Irnerio, si tiene a


d. per la Via Aurelia e, superato a sin. il liberty villino Pacelli (Giulio
Magni, 1908), si sovrappassa via Anastasio II, tratto dell’Olimpica che
ha causato il taglio dell’acquedotto Paolo.
Subito a d., con una curva a gomito, sale la via che prende nome
dalla chiesa di S. Maria Mediatrice. Di Giovanni Muzio (1947-50), ha
un semplice esterno in laterizi a forma di battistero, che contrasta con
la ricchezza dell’interno: questo è ispirato alle chiese bizantine nella
pianta ottagonale inscritta in un quadrato con cappelle angolari, nel
deambulatorio, nell’iconostasi e nella decorazione musiva. Il mosaico
della cupola (su cartoni stesi da Giorgio Quaroni e Adriano
Alessandrini) raffigura la Vergine in trono circondata da una teoria di
santi e di profeti in basso, da angeli, serafini e dai simboli degli
evangelisti sulla sommità. All’altare d. è un S. Francesco
stimmatizzato, altorilievo in marmo nero di Ivan Mes˘trovic˘; a quello
sin. un altorilievo marmoreo della Madonna mediatrice realizzato da
Francesco Nagni.
Dopo una curva a gomito verso d., la Via Aurelia si apre nel
piazzale Gregorio VII, scavalcato dal viadotto del Gelsomino (1930),
raccordo ferroviario in laterizio tra il Vaticano e la linea Roma-Viterbo
creato in seguito ai Patti Lateranensi. Oltre un secondo viadotto
(1989) che sovrappassa il fondo della piazza, la chiesa francescana di
S. Gregorio VII si leva sul lato d. della via omonima. Di Mario Paniconi
e Giulio Pediconi (1960-61), è decorata nella parte alta della facciata
da Gregorio VII di Antonio Biggi e, ai lati dell’ingresso, da altorilievi
medievaleggianti di Luigi Venturini; sulle spallette del portale,
bassorilievi di Alfio Castelli. L’interno rettangolare, arricchito da un
sapiente uso dei materiali, è animato dall’intreccio di sottili capriate
diagonali in cemento; sopra l’altare maggiore, Crocifisso circondato da
angeli, Vergine e S. Francesco di Pericle Fazzini.
Dalla chiesa si scende per via di Porta Cavalleggeri che confluisce
nell’omonimo largo. Avendo di fronte l’imbocco della galleria Principe
Amedeo Savoia Aosta →, si prende a d. via delle Fornaci (probabile
collegamento antico con l’«Aurelia Vetus»), dalla quale si stacca,
subito a d., il breve segmento viario che conduce alla chiesa di S.
Maria delle Grazie alle Fornaci, iniziata nel 1694. La facciata,
attribuita a Filippo Raguzzini (c. 1727), ha due ordini di lesene e
riecheggia il borrominiano oratorio dei Filippini (il campanile sulla d., di
forme ‘settecentesche’, è del 1920-52). L’interno è a croce greca con
cappelle angolari e profonda abside. Nel transetto d.: SS. Trinità e
santi di Onofrio Avellino (1737). Sull’altare maggiore (modificato nel
1958), Madonna delle Grazie di Gilles Hallet. Nella 2ª cappella sin.,
Sacra famiglia e S. Giovannino di Giuseppe Chiari; a d., Natività di
Nicolò Ricciolini; a sin., Riposo in Egitto di Pietro Bianchi; le lunette
sono di Marco Benefial; nella 1ª, Crocifissione di Odoardo Vicinelli.

A FREGENE. In direzione della periferia, la Via Aurelia raggiunge


largo Perassi, dove a sin. è la confluenza dell’Aurelia Antica, e,
attrezzata per il traffico veloce, sottopassa il Grande Raccordo
Anulare. All’uscita segnalata, s’imbocca la strada per Castel di Guido
che segue il tracciato dell’antica consolare. Tra saliscendi di colline,
immersi in un tranquillo paesaggio campestre, si supera a sin. il
medievale casale della Bottaccia in rovina, incontrando poi, km 19.8, il
nucleo colonico di Castel di Guido m 77, la cui Parrocchiale sorge su
un mausoleo circolare; nei pressi era l’antica «Lorium», prima stazione
dell’Aurelia al XII miglio da Roma.
Di nuovo sul tracciato moderno, lasciato a d. lo svincolo per
l’autostrada A12 Roma-Civitavecchia, superati due incroci semaforici
tra le case, km 27.4, di Torrimpietra m 40, si è al piccolo trivio con le
vie della Torre di Pagliaccetto a d., e dei Tre Denari a sinistra. La
prima (la torre da cui prende nome, ricostruita forse nel sec. XVI, si
scorge a d.) sale al castello di Torrimpietra (proprietà privata),
d’impianto medievale ma in gran parte rimaneggiato nel ’700 dai
Falconieri, che è dominato da un’alta torre merlata; il SALONE e altri
ambienti della residenza fortificata, come pure la cappelletta
ottagonale che la fronteggia all’interno della cerchia murata, furono
decorati da Pier Leone Ghezzi.
Si abbandona l’Aurelia piegando a sin. nella stretta via dei Tre
Denari, che supera la ferrovia e attraversa i lotti coltivati della bonifica
delle Pagliete, territorio del Consorzio di bonifica di Ostia e Maccarese
e dell’Agro romano →. Sottopassato lo svincolo dell’autostrada,
all’altezza della stazione ferroviaria Maccarese-Fregene si piega a d. in
viale di Castel S. Giorgio, raggiungendo, km 36.7, il centro agrario di
Maccarese m 3, forse sul luogo dell’antica «Fregenae». È disposto a N
della bonifica omonima, realizzata nel 1927-36 su un latifondo di 4600
ettari già dei Rospigliosi e oggi unificata a quelle di Ostia e dell’Agro
romano nel consorzio sopracitato, e si caratterizza per le massicce
costruzioni rosse a essa connesse e per il castello con bastioni del
1569, restaurato nel 1756 da Camillo Rospigliosi.
Superata via Tirrenia (in fondo alla quale, presso la foce del F.
Arrone, è una torre cinquecentesca, di guardia al castello), al bivio a
d. si segue la strada per, km 39.7, Fregene m 3, con vista sulla bella
pineta piantata nel 1666 dal cardinale Giulio Rospigliosi, poi papa
Clemente IX, alla cui famiglia apparteneva l’area. Centro balneare
edificato a villini dopo il 1920, ha un’ampia spiaggia e confina a SE
con l’abitato di Focene.
8.18 LA VIA TRIONFALE

La «via Triumphalis» classica, con ogni probabilità già esistente in


età repubblicana, varcava il Tevere sul «pons Neronianus», presso
l’attuale ponte Vittorio Emanuele II, attraversava quindi l’«ager
Vaticanus» dirigendosi a nord, saliva su Monte Mario («clivus Cinnae»)
e confluiva, in località La Giustiniana, nella Via Cassia. Si è ipotizzato
che il nome derivi dal percorso dei cortei trionfali nell’area centrale, di
cui la via costituiva la prosecuzione extraurbana, o che si riferisse ai
trionfi sull’etrusca Veio. Nel Medioevo le memorie della strada sono
legate ai pellegrinaggi sulla tomba di S. Pietro, cui essa giungeva col
nome di via Francigena o Romea; la vista della basilica e della città si
offriva improvvisa dall’alto di Monte Mario, per questo chiamato
«Mons Gaudii».
Il percorso automobilistico (carta alle pagine 904-905) si svolge
lungo la Via Trionfale odierna, che in gran parte ricalca il tracciato
antico, fino alla confluenza, dopo 11 km, nella Cassia; il settore
urbano attraversato si presenta composito, con unprevalentemente
del sec. XX che ha accerchiato le sporadiche preesistenze.

IL QUARTIERE TRIONFALE. Al vertice NO del rione Prati → si apre


largo Trionfale, sul quale convergono l’omonima via e i due assi
stradali di via Andrea Doria-viale delle Milizie e di via Leone IV-via
della Giuliana. Via Leone IV consente di addentrarsi nella zona S del
quartiere Trionfale.

L’EDILIZIA DELLA ZONA. Via Candia, che s’imbocca a d., è


caratterizzata nel tratto iniziale da edifici anteriori al piano regolatore
del 1909, che riprendono con caratteristiche popolari – data
l’ubicazione in origine periferica – la disposizione a scacchiera con
grandi isolati a corte chiusa del rione Prati; al termine del fronte d., in
angolo con via Pisani, è un esempio delle abitazioni ICP presenti nel
quartiere, progettate dopo il 1919 da Innocenzo Sabbatini. Lo
fronteggia la chiesa di S. Maria delle Grazie, ricostruita
sull’omonima piazza (Tullio Rossi, 1941) quando la struttura originaria
– edificata in via di Porta Angelica per custodire un’icona portata nel
1587 dalla Terra Santa – fu demolita dopo il 1936 per la sistemazione
di Borgo. La facciata laterizia, a due ordini di lesene, reca ai lati due
angeli in travertino e al centro lo stemma di Pio XII, ripetuto anche
nell’interno. Da piazza S. Maria delle Grazie s’imbocca via Pisani e,
superati a d. altri fabbricati ICP del Sabbatini (1919-22) notevoli per
ricerca formale, si raggiunge il trafficato piazzale degli Eroi (la
semplice mostra dell’acquedotto del Peschiera è del 1947). Vi
confluiscono via Cipro e viale delle Medaglie d’Oro. Lungo la prima i
fabbricati intensivi sono sorti in un’area dove fino ad alcuni decenni fa
erano attive (come nel contermine quartiere Aurelio) numerose fornaci
di laterizi rifornite dalle argille del Monte Ciocci (se ne individuano le
pendici, con l’omonimo casale cinquecentesco, imboccando a d. viale
degli Ammiragli). Viale delle Medaglie d’Oro, in salita verso Monte
Mario fino all’omonimo piazzale (dove converge in direzione della Via
Trionfale), è invece il polo – insieme a piazza della Balduina – di un
settore lottizzato a villini intorno al 1925 che, nonostante il piano
regolatore del 1931 ne avesse confermato una destinazione estensiva
(solo saltuariamente sopravvissuta lungo la direttrice principale e su
viale Tito Livio), è stato, in virtù di una variante del 1951, edificato
densamente con palazzine e intensivi, annullando le suggestioni
offerte dalla movimentata orografia.

Clicca su una sezione delle mappe di seguito per ingrandire:


sinistra, destra, sinistra e destra.

VERSO MONTE MARIO. La Via Trionfale, procedendo dal largo


omonimo in direzione NO, supera a sin. (numeri 31-35) il curioso
autoparco della Pubblica Sicurezza (1930) e, sul lato opposto (numeri
60-64) la palazzina del Falcone di fine ’400 (le aperture del piano
inferiore sono cinquecentesche). Oltre la circonvallazione Clodia, inizia
la salita sulle pendici di Monte Mario. Subito a d. diverge via Raffaele
Rossetti, che prosegue in via Antonio Varisco sulla quale si attestano i
grandi fabbricati delle Preture (1961-69), articolati in tre blocchi
caratterizzati, all’esterno, dal rivestimento in cemento e dalle
finestrature a sbalzo continue e, all’interno, da percorsi aperti di tipo
stradale.
La discesa di borgo S. Lazzaro, che s’incontra in successione, era
fino al 1836 un tratto della Trionfale, ora cieco e oppresso da
costruzioni moderne; prende nome dalla chiesa di S. Lazzaro, risalente
al sec. XII. Già dedicata a S. Maria Maddalena, cambiò denominazione
nel 1480 con la fondazione di un lazzaretto per la quarantena e il
ricovero dei pellegrini, e fu restaurata nel 1536; la semplice facciata a
capanna ha un campaniletto a vela e stemma del capitolo di S. Pietro.
Continuando a salire nel verde, dopo l’ingresso alla panoramica
villa Miani (1874; a d. bello scorcio sull’Osservatorio, v. oltre),
s’incontrano a sin. le rampe della chiesa di S. Maria del Rosario che,
costruita nel 1650 c. da Camillo Arcucci, fu arricchita della decorazione
architettonica sotto Benedetto XIII, quasi certamente da Filippo
Raguzzini. Il portale della facciata, chiusa da lesene tra le due ali
dell’annesso convento, è a timpano curvilineo spezzato e immette in
un interno ellittico, con presbiterio absidato e quattro cappelle
semicircolari con stucchi; vi si conserva la cosiddetta Madonna di S.
Luca, dipinto su tavola di scuola siro-palestinese del sec. VII-VIII.

L’ALBERGO CAVALIERI HILTON. Sempre dal lato sin. si stacca via


Evangelisti che incrocia via Cadlolo dove, nel tratto di sin., è l’hotel
realizzato da Ugo Luccichenti, Emilio Pifferi e Alberto Ressa nel 1961-
63, tra aspre polemiche perché in deroga al piano regolatore che
prevedeva una destinazione a belvedere pubblico ed edilizia estensiva;
nell’atrio, fontana a spirale di Franco Albini e Franca Helg.

MONTE MARIO. Dal lato opposto della Trionfale, viale del parco
Mellini – apprezzato da Goethe per gli squarci paesaggistici (al termine
si gode un ampio panorama fino ai Colli Albani) – conduce sulla
sommità m 139, punto geodetico del meridiano di Roma.

LE ISTITUZIONI SUL MONTE. A sinistra è quanto rimane dei casali


cinquecenteschi in abbandono e dell’oratorio di S. Croce, eretto per il
giubileo del 1350 nel luogo in cui ai pellegrini appariva la città e
demolito nel 1883 per la costruzione del vicino forte di Monte Mario. A
destra, la villa Mellini, edificata a fine ’400 da Mario Mellini e passata
nel ’700 ai Falconieri ma poi decaduta, dal 1935 è stata trasformata in
sede dell’Osservatorio Astronomico e Meteorologico con
annesso il Museo Astronomico e Copernicano (t. 06355331-
0635347056). Creato sull’onda delle celebrazioni per il 4° centenario
della nascita di Nicola Copernico (1873), il museo prese forma grazie
allo storico Arturo Woljnski che, incaricato di curare la raccolta dei
materiali, donò allo Stato italiano una cospicua collezione di cimeli
copernicani. Ospitata dapprima nel palazzo del Debito Pubblico, poi
nei locali del Collegio Romano, la raccolta si arricchì per opera di
Pietro Tacchini e per successive donazioni e conta oggi antichi
sestanti, cannocchiali, telescopi, bussole, sfere armillari, orologi solari,
astrolabi arabi (del 1175 e del sec. XIII) e latini, una raccolta di globi
terrestri tra le maggiori del mondo e un fondo antico di testi
astronomici; la biblioteca è ricca di più di 20000 volumi. L’Osservatorio
è costituito, oltre che da questa sede, dalle sezioni di Monte Porzio
Catone e dalla stazione di alta montagna, a m 2200, di Campo
Imperatore, sulle pendici del Gran Sasso d’Italia, dove è installato un
telescopio di tipo Schmidt per lo studio delle stelle deboli e delle
nebulose extra-galattiche.

PRIMAVALLE. La Via Trionfale, lasciato a sin. piazzale delle


Medaglie d’Oro, supera a d. un viale di cipressi che conduce alla
seicentesca villa già Stuart. Si segue la viabilità deviata in via della
Camilluccia e, voltando a sin. in piazza Walter Rossi, tramite via Igea
si ritorna sulla Trionfale imboccandola verso destra. La strada
prosegue rialzata e allargata dove sorgeva il settecentesco borghetto
Clementino; sulla sin., in uno squarcio di vecchie architetture, è
infossato un fontanone con lapide e stemma di Pio IX (1866). A
destra, in piazza di Monte Gaudio, è la chiesa di S. Francesco d’Assisi,
iniziata nel 1668 insieme al convento adiacente, con facciata di Pietro
Passalacqua (1728-29) e grazioso interno di fine ’600, a navata unica
voltata a botte, decorato di stucchi coevi.
La via compie un ampio semicerchio, imposto dalla costruzione
del forte Trionfale (1882) che la vegetazione nasconde, e incrocia a
sin. via della Pineta Sacchetti dove si attestano (N. 2) l’Università
cattolica del Sacro Cuore con l’annesso policlinico Gemelli (Gaetano
Minnucci, 1962-64), e avanti, a sin., l’area verde da cui prende nome
e che, insieme alla retrostante valle dell’Inferno, è stata destinata a
parco naturalistico urbano.
Il popoloso quartiere di Primavalle, che sempre a sin. la
Trionfale supera, si è sviluppato dal 1960 a ridosso della borgata sorta
dopo il 1935. Avanti, via Troya diverge dal lato opposto e – incrociate
le vie Assarotti e Camillo Mariani ricalcanti il tracciato sotterraneo
dell’acquedotto Paolo → che da qui affianca la Trionfale – sale
all’agglomerato di colle S. Agata, incentrato su piazza Nostra Signora
di Guadalupe ed edificato dal 1921 con i villini della borgata Case
Nostre (ne restano alcuni), i cui lavori rivelarono grandi fossati e
tracce di un abitato arcaico.
A sinistra della Trionfale, raccordato dalla breve via Vincenzo
Chiarugi, si stende il vasto ospedale psichiatrico di S. Maria della Pietà,
che venne costruito con criteri molto avanzati nel 1909-1914 in
sostituzione dell’antico manicomio omonimo di via della Lungara ma è
ora parzialmente inutilizzato dopo la riforma psichiatrica.
L’ultimo tratto della Via Trionfale, affiancato dalla ferrovia Roma-
Viterbo, si apre su tratti di campagna ancora libera. A ridosso del
Grande Raccordo Anulare si dispone l’agglomerato di Ottavia, dove nel
1920, costruendo le prime case, furono rinvenuti sepolcri romani, dei
quali si conserva, sotto una villa privata in via della Stazione di Ottavia
N. 73, l’ipogeo degli Ottavi (da cui il nome della località), con resti di
affreschi e il sarcofago di Octavius Felix. Scavalcato il Grande
Raccordo Anulare, al km 11, in località La Giustiniana →, è la
confluenza nella Via Cassia.
NOTA BIBLIOGRAFICA
INDICI
NOTA BIBLIOGRAFICA

Dalla sterminata bibliografia relativa a Roma – la città sulla quale


senza dubbio si è scritto e si scrive di più – sono state selezionate
queste indicazioni per l’approfondimento degli argomenti trattati nella
guida. L’attenzione è stata rivolta soprattutto ai monumenti, ai musei,
alla topografia e all’urbanistica, all’iconografia della città che
testimonia le trasformazioni nel corso dei secoli; sono state preferite le
opere in lingua o in edizione italiana; non potevano mancare i
riferimenti a testi vecchi ma tuttora insostituibili. Non sono state
invece incluse le storie dell’arte generali, le monografie sui singoli
artisti (anche se attivi prevalentemente o esclusivamente a Roma), né
gli articoli e i saggi su riviste e miscellanee; un’apposita sezione è
dedicata ai periodici di argomento romano. I testi sono ordinati
alfabeticamente e solo per quelli di argomento topografico e
urbanistico si è mantenuta la scansione della guida tra la città entro e
fuori le mura, mentre le altre sezioni della bibliografia prendono in
considerazione unitariamente il territorio comunale.

1 La storia, l’economia, la società


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AA.VV., Storia di Roma dall’antichità a oggi, Roma-Bari, 2001.
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Crocifisso di S. Marcello, Roma, 1974.
Wilpert J., I sarcofaghi cristiani antichi, 3 volumi, Roma, 1929-36.
Wurm H., Der Palazzo Massimo alle colonne, Berlino, 1965.
Zandri G., S. Giuseppe dei Falegnami, Roma, 1971.
Zandri G., S. Nicola da Tolentino, Roma, 1987.
Zocca E., La basilica dei Ss. Apostoli in Roma, Roma, 1959.
Zuccari A., Arte e committenza nella Roma di Caravaggio, Torino,
1984.

6 I musei e le collezioni
AA.VV., Musei Capitolini. Guida, Milano, 2006.
L’Accademia Nazionale di San Luca, Roma, 1974.
Alloisi S., Bernardini M.G. (a cura di), La Galleria Corsini a cento
anni dalla sua acquisizione allo Stato, Roma, 1984.
Angeletti G., L’armeria storica di Castel S. Angelo. Guida, Roma,
1991.
Baldi P. (a cura di), MAXXI. Museo nazionale delle arti del XXI
secolo, Milano, 2006.
Barberini M.G. (a cura di), Sculture in terracotta del Barocco
Romano. Bozzetti e modelli del Museo nazionale del Palazzo
di Venezia, Roma, 1991.
Bernardini P., Museo Nazionale Romano. Le ceramiche, volume
1°, Roma, 1986.
Bertoletti M., Cima M., Talamo E., Centrale Montemartini, Milano,
2006.
Biagi M.C., Corsi M., Occhiuzzi D., Il Museo di Roma in
Trastevere, Roma, 2004.
Bragantini J., De Vos M. (a cura di), Museo Nazionale Romano. Le
pitture, volume 1°, Roma, 1982.
Branchini C., Il Burcardo. La Biblioteca e la raccolta teatrale della
SIAE, Roma, 1978.
Brizzi B., Acanfora M.O., Il Museo preistorico-etnografico Luigi
Pigorini, Roma, 1976.
Bruno R., Roma. Pinacoteca Capitolina, Bologna, 1978.
Bucarelli P., La Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 1973.
Buono R., Il Museo di San Giovanni in Laterano, Roma, 1986.
Burri Rossi M. (a cura di), Museo della Civiltà Romana. Itinerario
ragionato per una visita al museo, Roma, 1979 (2ª edizione).
Calvesi M., Le arti in Vaticano, Milano, 1980.
Calza R., Floriani Squarciapino M., Museo Ostiense, Roma, 1962.
Campitelli A. (a cura di), Villa Torlonia, Milano, 2006.
Campitelli A., Arconti A. (a cura di), Museo Bilotti. Aranciera di
Villa Borghese, Milano, 2006.
Cannatà R. (a cura di), Guida al Palazzo Spada, Roma, 1984.
Canonica M.A., Museo Canonica. Guida, Roma, 1969.
Catalogo della Galleria Colonna in Roma. Sculture, Roma-Busto
Arsizio, 1990.
Ceccherelli A., Virgili P., Museo delle Mura. Guida, Milano, 2007.
Del Moro M.P., Micella M., Ungano L., Vitti M., Il Museo dei Fori
Imperiali nei Mercati di Traiano, Milano, 2007.
Della Pergola P., Galleria Borghese. I dipinti, 2 volumi, Roma,
1955-59.
Della Pietà C. (a cura di), Roma. Il Museo della Posta, Milano,
1988.
De’ Spagnolis M., De Carolis E., Museo Nazionale Romano. I
bronzi, volume 1°, Roma, 1983.
Di Carpegna N., Museo di Palazzo Venezia. Le armi Odescalchi,
Roma, 1976.
Di Mino M.R. (a cura di), Rotunda Diocletiani. Sculture decorative
delle terme nel Museo Nazionale Romano, Roma, 1991.
Fagiolo Dell’Arco M. (a cura di), L’Arte dei papi, Milano, 1982.
Faldi I., Galleria Borghese. Le sculture dal secolo XVI al XIX, Roma,
1954.
Fallani G., Mariani V., Mascherpa G., Collezione vaticana d’arte
religiosa moderna, Milano, 1974.
Floriani Squarciapino M., Il Museo della Via Ostiense, Roma,
1955.
Francia E., Marzot M., Pilo G.M., Pinacoteca Vaticana, Milano,
1969.
Ghio F., Tancredi R., Ampliamento Galleria Comunale d’Arte
Moderna e Contemporanea ex Fabbrica Birra Peroni, Firenze,
2001.
La Galleria Nazionale d’Arte Antica a Roma. Un secolo di vita,
Roma, 1987.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Collezioni del XX secolo. Il
primo Novecento, Firenze, 1987.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Pittura e scultura del XX secolo
1894-1910, Roma, 1981.
Giuliano A. (a cura di), Museo Nazionale Romano. Le sculture, 11
volumi, Roma, 1979-91.
Helbig W., Speier H., Führer durch die öffentlichen Sammlungen
Klassischer Altertümer in Rom, 4 volumi, Tübingen, 1963-72
(4ª edizione).
Iacopi I., L’antiquarium forense, Roma, 1974.
Ipotesi per un museo dell’energia elettrica. Catalogo/guida,
Roma, 1988.
La Regina A. (a cura di), Museo nazionale romano. Palazzo
Massimo alle Terme, Terme di Diocleziano, Palazzo Altemps,
Museo Palatino, Crypta Balbi, Milano, 2005.
Leone R., Pirani F., Il Museo di Roma racconta la città. Guida
breve, Roma, 2002.
Liverani P., Il Museo Chiaramonti, Roma, 1989.
Martinelli V., Pietrangeli C., La Protomoteca Capitolina, Roma,
1955.
Mercurio G. (a cura di), Museo Carlo Bilotti, Milano, 2006.
Mochi Onori L., La Galleria Nazionale d’Arte Antica. Breve guida al
Settecento, Roma, 1988.
Mochi Onori L., Vodret Adamo R., La Galleria Nazionale d’Arte
Antica. Regesto delle didascalie, Roma, 1989.
Moretti M., Il Museo nazionale di Villa Giulia, Roma, 1967.
Morricone M.L., Il Museo dei Gessi dell’Università di Roma, Roma,
1981.
Musei e Gallerie della Città del Vaticano, Milano, 1981 (2ª
edizione).
Il «nuovo» Museo Barracco. Mostra storica e documentaria,
Roma, 1982.
Orlando F.S., Il tesoro di S. Pietro, Milano, 1958.
Papini M., Palazzo Braschi. La collezione di sculture antiche,
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Pensabene P., Sanzi Di Mino M.R., Museo Nazionale Romano. Le
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Pietrangeli C., Musei Capitolini. Guida breve, Roma, 1974 (8ª
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Pietrangeli C., I Musei Vaticani. Cinque secoli di storia, Roma,
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Pietrangeli C., Museo Barracco di scultura antica, Roma, 1973.
Pietrangeli C., Il Museo di Roma. Documenti e iconografia,
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Pinto S. (a cura di), Galleria nazionale d’arte moderna. Le
collezioni.Il XX secolo, Milano, 2005.
Roma Capitale 1870-1911. La cultura scientifica a Roma, Venezia,
1984.
Roma Capitale 1870-1911. Dalla mostra al museo. Dalla Mostra
Archeologica del 1911 al Museo della civiltà romana, Venezia,
1983.
Rossini O., Ara Pacis, Milano, 2006.
Safarik E.A. (a cura di), Catalogo Sommario della Galleria Colonna
in Roma. Dipinti, Roma-Busto Arsizio, 1981.
Safarik E.A., Torselli G., La Galleria Doria Pamphilj a Roma,
Roma, 1982.
Santangelo A., Museo di Palazzo Venezia. Catalogo delle sculture,
Roma, 1954.
Sorrentino G., Guida ai musei etruschi di Roma, Roma, 1991 (2ª
edizione).
Staccioli S., Moreno P. (a cura di), Le collezioni della Galleria
Borghese. Roma, Milano, 1981.
Stefanelli Pirzio Biroli L., La collezione Paoletti. Stampi in vetro per
impronte di intagli e cammei, Roma, 2007.
Tittoni E., Capon L., Il Museo Napoleonico, Roma, 1986.
Vannini A., Museo Nazionale Romano. Le ceramiche, volume 2°,
Roma, 1988.
Volbach W.F., Catalogo della Pinacoteca Vaticana I. I dipinti dal X
secolo fino a Giotto, Città del Vaticano, 1979.
Volbach W.F., Catalogo della Pinacoteca Vaticana. II Il Trecento:
Firenze e Siena, Città del Vaticano, 1987.
Zeri F., La Galleria Spada in Roma, Firenze, 1954.
7 La città illustrata
Archeologia a Roma nelle fotografie di Thomas Ashby, 1891-
1930, Napoli, 1989.
Becchetti P., La fotografia a Roma dalle origini al 1915, Roma,
1983.
Becchetti P., Giacomo Caneva e la scuola fotografica romana
(1847-1855), Firenze, 1989.
Becchetti P., Immagini della campagna romana 1853-1915,
Roma, 1983.
Becchetti P., Biancini L., Buttò S., Roma nelle fotografie della
Raccolta Ceccarius presso la Biblioteca Nazionale di Roma,
Roma, 1991.
Becchetti P., Contini M.T., Ferrari O., Le fotografie di Enrico
Valenziani, Firenze, 1975.
Becchetti P., Pietrangeli C., Un inglese fotografo a Roma. Robert
Mac Pherson, Roma, 1987.
Becchetti P., Pietrangeli C., Roma in dagherrotipia, Roma, 1979.
Becchetti P., Pietrangeli C., Roma tra storia e cronaca dalle
fotografie di Giuseppe Primoli, Roma, 1981.
Becchetti P., Pietrangeli C., Tevere e Agro Romano dalle
fotografie di Giuseppe Primoli, Roma, 1982.
Brizzi B., Roma cento anni fa nelle fotografie della raccolta Parker,
Roma, 1975.
Brizzi B., Roma fine secolo nelle fotografie di Ettore Roesler
Franz, Roma, 1978.
Brizzi B., Il Tevere. Un secolo di immagini, Roma, 1989.
Brizzi B., Barroero L., Gallavotti Cavallero D., Le Chiese di Roma
negli acquarelli di Achille Pinelli, Roma, 1987.
Caporilli M., Lido di Ostia – mare di Roma. Storia fotografica dalle
origini, Roma, 1988 (2ª edizione).
Chiarini M., Vedute romane. Disegni dal XVI al XVIII secolo, Roma,
1971.
Cianfarani V., Immagini Romane, Roma, 1976.
Crispolti F.C., Scene di vita quotidiana a Roma dalle fotografie di
Giuseppe Primoli, Roma, 1980.
De Rosa P.A., Trastulli P.E., Roma d’una volta, Roma, 1991.
De Rossi G.M., La riscoperta di Roma antica, Roma, 1983.
Del Prete F., Il fondo fotografico del Piano regolatore di Roma
1883. La visione trasformata, Roma, 2002.
Einaudi K. (a cura di), Esther B. Van Deman. Immagini
dall’archivio di un’archeologa americana in Italia all’inizio del
secolo, Roma, 1991.
Eleuteri E.M., Seduzioni di una città. Scene e visioni di Roma e
della sua campagna nella pittura dell’Ottocento, Roma, 1987.
Fornari S., La Roma del Ghetto, Roma, 1984.
Grelle A. (a cura di), Vestigi delle Antichità di Roma et altri luochi,
Roma, 1987.
Hoffmann P., Cavazzi L., Tittoni M.E. (a cura di), Luigi Rossini
incisore. Vedute di Roma 1817-1850, Roma, 1982.
Jannattoni L., Roma sparita negli acquarelli di Ettore Roesler
Franz, Roma, 1984 (3ª edizione).
Jatta B., Connors J., Vedute romane di Lievin Cruyl. Paesaggio
urbano sotto Alessandro VII, Roma, 1989.
Un inglese a Roma 1864-1877. La raccolta Parker nell’Archivio
Fotografico Comunale, Roma, 1989.
Keaveney R., Vedute di Roma dalla Biblioteca Apostolica Vaticana,
collezione Thomas Asbhy, Londra, 1988.
Leone R., Margotta A. (con la collaborazione di Betti F. e D’Amelio
A.M.), Fori Imperiali: demolizioni e scavi: fotografie 1924-
1940, Milano, 2007.
Magni L., Settimelli W., Roma e il Lazio negli Archivi Alinari,
Firenze, 1989.
Mammuccari R., La Campagna Romana. Immagini del passato,
Roma, 1991.
Margiotta A., Massafra M.G., Un percorso fotografico a Palazzo
Braschi 1870-1987, Roma, 2002.
Marini M., Le vedute di Roma di Giovanni Battista Piranesi, Roma,
1989.
Olsen H.P., Roma com’era nei dipinti degli artisti danesi
dell’Ottocento, Roma, 1985.
Piranesi e la veduta del Settecento a Roma, Roma, 1989.
Pittori fotografi a Roma 1845-1870. Immagini dalla raccolta
fotografica comunale, Roma, 1987.
Portoghesi P., Roma un’altra città, Roma, 1981.
Ravaglioli A., Roma ieri e oggi. Immagini a confronto, Roma,
1982.
Ravaglioli A., Vecchia Roma, 2 volumi, Aosta, 1981-82.
Rivosecchi V., Trombadori A., Roma appena ieri nei dipinti degli
artisti italiani del Novecento, Roma, 1986.
Roma Capitale 1870-1911. Una città di pagina in pagina.
Fotografie e illustrazioni, Venezia, 1984.
Roma dei fotografi al tempo di Pio IX, 1846-1878, Roma, 1978.
Roma sparita. Mostra di disegni e acquerelli dal sec. XVI al XX dalla
donazione Pecci Blunt al Museo di Roma, Roma, 1976.
Scalabroni L., Giuseppe Vasi (1710-1782), Roma, 1981.
TCI, Roma, della collana «Attraverso l’Italia», Milano, 1986.
Thomas Ashby. Un archeologo fotografa la campagna romana tra
‘800 e ‘900, Roma, 1986.
Trastulli P.E., Roma grandezza e splendore, Roma, 1987.
I Vasari. Una «dinastia» di fotografi a Roma dal 1875 al 1991,
Roma, 1991.

8 Le guide e le descrizioni
Adinolfi P., Roma nell’età di mezzo, a cura di Carreras E. e
Mungari C., 7° volume, Firenze, 1980-90 (1ª edizione Roma,
1881, solo volumi 1° e 2°).
Ciucci G., De Feo V. (a cura di), Itinerari per Roma, della collana
«Guide de L’Espresso», Milano, 1985.
Coarelli F., Dintorni di Roma, Guide archeologiche Laterza, Roma-
Bari, 1981 (2ª edizione 1986).
Coarelli F., Guida archeologica di Roma, Milano, 1984 (5ª
edizione).
D’Onofrio C., Roma dal cielo. Itinerari antichi della città moderna.
Laterano, Borgo, Vaticano, Roma, 1982.
D’Onofrio C., Visitiamo Roma mille anni fa. La città dei Mirabilia,
Roma, 1988.
D’Onofrio C., Visitiamo Roma nel Quattrocento. La città degli
Umanisti, Roma, 1989.
Guide Rionali di Roma, 51 volumi, Roma, 1973-92 (in corso).
Guide del Vaticano, 4 volumi, Roma, 1989-91.
Masson G., Guida di Roma, Milano, 1986 (4ª edizione).
Mura Sommella A., Nuova guida ai Musei Capitolini, Milano, 2007.
Pavolini C., Ostia, Roma-Bari, 1983 (2ª edizione 1988).
Quilici Gigli S., Roma fuori le mura (itinerari archeologici), Roma,
1980.
Ravaglioli A., Vedere e capire Roma, Roma, 1980 (1ª edizione).
Spagnol M., Santi L., Guida ai misteri e segreti di Roma, Milano,
1980 (7ª edizione).
Staccioli R.A., Guida di Roma antica, Milano, 1986.
TCI, Le città. Itinerari, della collana «Capire l’Italia», Milano,
1978.
TCI, Guida rapida d’Italia, volume 4°: Lazio, Abruzzo, Molise,
Sardegna, Milano, 1999.
TCI, Da Roma, della collana «Itinerari turistici illustrati», Milano,
1989.
TCI, Roma antica. I musei, i fori, le terme, le catacombe, le vie
consolari, della collana «Guide Archeologiche», Milano, 2006.
Zeppegno L., Mattonelli R., Alla scoperta di Roma sconosciuta,
Roma, 1987 (2ª edizione).

9 I periodici
Alma Roma, Roma, 1960 e seguenti.
Analecta Romana Instituti Danici e Supplementa, Roma, 1960 e
seguenti.
Annuario della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, Città
del Vaticano, 1951 e seguenti.
Archivio della Società Romana di Storia Patria, Roma, 1878 e
seguenti.
Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, Città del
Vaticano, 1923 e seguenti.
Bollettino dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie, Città del
Vaticano, 1959 e seguenti.
Bollettino dei Musei Comunali di Roma, Roma, 1954 e seguenti.
Bollettino della Unione Storia ed Arte, nuova serie, 1957 e
seguenti.
Bullettino della Commissione Archeologica Municipale, Roma,
1872 e seguenti.
Capitolium, Roma, 1925-76, con supplemento Roma Oggi, 1962-
76.
Italia Nostra – Sezione di Roma. Notiziario, 1974 e seguenti.
Lazio ieri e oggi, Roma, 1965 e seguenti.
Lunario romano, Roma, 1972 e seguenti.
Mitteilungen des Deutschen Archaelogischen Instituts. Roemische
Abteilung, Mainz am Rhein, 1886 e seguenti.
Nuovo Bullettino di Archeologia Cristiana, Roma, 1895-1922.
Palatino, nuova serie, Roma, 1957-68.
Papers of the British School at Rome, Londra, 1902 e seguenti.
Rivista di Archeologia Cristiana, Città del Vaticano, 1925 e
seguenti.
Roma Comune, 1977 e seguenti.
Roma ieri oggi e domani, Roma, 1988 e seguenti.
Roma. Rivista di studi e di vita romana, Roma, 1923-44.
Roma-Rome, Roma, 1988 e seguenti.
«Romana Gens» Bollettino dell’Associazione Archeologica
Romana, nuova serie, Roma, 1984 e seguenti.
Strenna dei romanisti, Roma, 1940 e seguenti.
Studi romani, Roma, 1953 e seguenti.
L’Urbe, Roma, 1936 e seguenti.

10 La cartografia
Comune di Roma, Atlante di Roma. La forma del centro storico in
scala 1:1000 nel fotopiano e nella carta numerica, Venezia,
1991.
Comune di Roma, Carta storica archeologica monumentale e
paesistica del Suburbio e dell’Agro Romano, in scala 1:10000,
Roma, 1988.
Frutaz A.P., Le carte del Lazio, 3 volumi, Roma, 1972.
Frutaz A.P., Le piante di Roma, 3 volumi, Roma, 1962.
Guidoni E. (a cura di), Carta del Centro Storico di Roma in scala
1:1000, 5 fogli, Roma, 1985-88.
Lanciani R., Forma Urbis Romae, Roma-Milano, 1893-1901
(ristampa anastatica Roma, 1989).
Lugli G. (a cura di), Carta archeologica del territorio di Roma, in
scala 1:50000, 11 fogli, Firenze, 1977 (3ª edizione).
La Mappa del centro monumentale di Roma antica, in scala
1:500, 17 tavole, Roma, 1959.
Mezzapesa S., Planimetria di Roma, suburbio, Agro Romano. Con
il progetto del nuovo piano regolatore generale, Roma, 1962
(5ª edizione).
Ministero della Pubblica Istruzione, Carta archeologica di Roma,
tavole 1ª-3ª, Firenze, 1962-77.
Muratori S. (a cura di), Studi per una operante storia urbana di
Roma, Roma, 1965.
Rodríguez Almeida E., Forma urbis marmorea. Aggiornamento
generale 1980, 2 volumi, Roma, 1981.
Scagnetti F., Grande G., Roma Urbs Imperatorum Aetate, in scala
1:5000, Roma, 1984.
Tomei M.A., Liverani P.,Carta Archeologica di Roma - Lexicon
Topographicum Urbis Romae, Supplementum I, 1, Primo
Quadrante, Roma, 2005.
TCI, Atlante stradale d’Italia - Volume Centro in scala 1: 200 000,
Milano, 2004.
TCI, Autoatlante d’Italia in scala 1:350 000, Milano, 2006.
TCI, Carta stradale d’Italia - Lazio in scala 1:200 000, Milano,
2004.
TCI, Carta stradale e turistica - Italia centrale foglio 2 in scala
1:400 000, Milano, 2008.
TCI, Piante di città - Roma in scala 1:12 500, Milano, 2006.
INDICE DEI NOMI

L’indice riporta i nomi dei personaggi storici e delle famiglie


richiamati nella guida. Non sono compresi i nomi riferiti alla semplice
titolarità di vie, piazze, palazzi, cappelle gentilizie, né i personaggi
ritratti come soggetti di dipinti, a meno che la citazione, in relazione al
contesto in cui è fatta, non assuma un significato più ampio. Sono
invece inclusi i titolari di monumenti, sepolcri, statue e busti
celebrativi, i donatori di opere e collezioni. Gli artisti sono presenti se
ricordati per ragioni che oltrepassano la pura connessione opera-
autore (per questi casi esiste un apposito Indice degli autori). Sono
altresì compresi i santi e i personaggi dell’antichità e della tradizione
biblica e cristiana, mentre sono esclusi quelli della mitologia.

ABBREVIAZIONI: d., detto; fam., famiglia; v. vedi.

Accardi Carla
Acciaioli Ottaviano
Acciapacci Nicolò
Acilia (famiglia)
Acquasparta (d’) Matteo
Acquaviva Francesco
Acquaviva Giulio
Adalberto
Adimari Filippo
Adriano, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27.
Adriano I, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Adriano IV
Adriano VI, 1, 2.
Agapene
Agnelli Giovanni
Agnesi Vincenzo
Agoracrito
Agrippa, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Agrippina, 1, 2.
Agucchi Girolamo
Alagno (d’) Lucrezia
Alano
Alarico, 1, 2, 3, 4, 5.
Albani Alessandro, 1, 2.
Albani Orazio
Alberico II
Alberini Giovanni
Alberti Leon Battista, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Albertoni Antonio
Albertoni Marcantonio
Albret (d’) Ludovico
Alcamene
Alciati Francesco
Aldobrandeschi Vanna
Aldobrandini Cinzio
Aldobrandini Olimpia, 1, 2, 3, 4.
Aldobrandini Pietro, 1, 2, 3, 4.
Aldobrandini Salvestro
Aldovrandi (famiglia)
Aldus
Aleandri Gerolamo
Alençon (d’) Filippo, 1, 2.
Alessandro III, 1, 2, 3.
Alessandro IV
Alessandro V
Alessandro VI, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20, 21, 22, 23.
Alessandro VII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32,
33.
Alessandro VIII, 1, 2.
Alessandro Magno, 1, 2, 3.
Alessandro Severo, 1, 2, 3, 4.
Alessi Galeazzo
Alfano
Alfonso d’Aragona
Alfonso XIII
Algardi Alessandro, 1, 2, 3, 4, 5.
Alidosi Francesco
Alkamenes, 1, 2.
Alma-Tadema
Almagià (famiglia)
Altemps (famiglia), 1, 2.
Altemps Giovanni Angelo
Altemps Marco Sittico, 1, 2, 3, 4, 5.
Altemps Roberto, 1, 2, 3, 4.
Altieri (famiglia), 1, 2.
Altieri Angelo
Altieri Emilio, v. Clemente X.
Altieri Giovanni Battista
Altieri Parabianchi Vittoria
Altoviti Bindo
Amalasunta
Amasis
Amenophis III
Ammannati Bartolomeo, 1, 2.
Ammanati Piccolomini Giacomo
Anacleto II
Anastasio IV
Anchier de Troyes Pantaléon
Anco Marcio, 1, 2, 3, 4.
Andersen Hans Christian
Andrea d’Asburgo
Andrea d’Assisi
Andrea del Castagno
Andrea del Sarto
Andreino Giovanni
Angeli Franco
Anguillara (dell’) Everso, 1, 2.
Anici (famiglia), 1, 2.
Anicio Auchenio Basso
Anicio Petronio Probo
Annia Regilla
Annibal Caro, 1, 2.
Annibaldi (famiglia), 1, 2.
Annibale
Ansedum (d’) Giraud
Anterote (santo e papa)
Antici Mattei
Antinoo, 1, 2.
Antonelli Giacomo
Antoniazzo Romano, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Antonini (famiglia), 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Antonino Pio, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Antonio, 1, 2.
Antonio di Burgos
Antonio da Rio
Antonio da Sangallo il Giovane, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11.
Apollodoro di Damasco
Appio Claudio Cieco, 1, 2.
Apuleio
Arcadio, 1, 2.
Arcesilao
Argan Giulio Carlo
Armellini Francesco, 1, 2.
Arnaldo da Brescia
Arnolfo di Cambio, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Arrigo VII
Asprucci Antonio
Astarita Mario
Atinia
Attalo I, 1, 2.
Attardi Ugo
Augusto, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33,
34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49,
50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57.
Aulo Gellio
Aulo Irzio
Aulo Postumio
Aurelia Faustiniana
Aureliano, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Auria (d’) Teresa
Auriti Giacinto
Azzurri Francesco

Baccelli Guido, 1, 2, 3.
Baciccia, 1, 2, 3.
Baglione Giovanni
Bainbridge Cristoforo
Baldetti Marcantonio
Baldi Lazzaro
Baldini Antonio
Balestra (famiglia)
Balestra Carlo Pio
Balla Giacomo, 1, 2.
Bandiera (fratelli)
Barberini (famiglia), 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Barberini Antonio, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Barberini Cornelia Costanza
Barberini Francesco, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Barberini Colonna di Sciarra
Barbo (famiglia), 1, 2.
Barbo Marco, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Barbo Pietro, v. Paolo II.
Barnabei Felice
Barocci Federico
Baronio Cesare, 1, 2.
Barracco Giovanni
Barsanti Alfredo
Barthel Beham
Bartolomeo de Las Heras
Bartolomeo di Tommaso
Basaldella Mirko
Basile Ernesto
Basileo (papa)
Bassano (scuola)
Bassano Jacopo
Batoni Pompeo, 1, 2.
Beato Angelico, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Belisario, 1, 2, 3, 4, 5.
Belli Giuseppe Gioachino, 1, 2, 3, 4.
Bellini Giovanni, 1, 2.
Bembo Pietro
Benedetto V
Benedetto VII
Benedetto IX
Benedetto XII
Benedetto XIII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Benedetto XIV, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20.
Benedetto XV, 1, 2.
Benedetto XVI, 1, 2.
Benefial Marco
Bernini (famiglia)
Bernini Gian Lorenzo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14,
15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26.
Bernini Pietro
Berthault Louis Martin
Bessarione (cardinale), 1, 2, 3, 4.
Besso Marco, 1, 2.
Betti (famiglia)
Bevilacqua Bonifacio
Biagio da Cesena
Bianchedi Girolamo
Bianchi Salvatore, 1, 2.
Bibbiena Maria
Bilhères (de) de Lagraulas Jean, 1, 2.
Bilotti Carlo
Biondo Flavio, 1, 2, 3.
Bizante
Boccamazzi (famiglia), 1, 2.
Bocciaccio Giovanni Andrea
Böcklin Arnold
Boethos di Calcedonia
Bolivar Simone
Bolognetti Ercole
Bolognetti Francesco
Bolognetti Giorgio
Bolognetti Luigi
Bolognetti Mario
Bolognetti Pietro
Bonanni (famiglia)
Bonaparte (famiglia)
Bonaparte Carlotta
Bonaparte Giuseppe Napoleone
Bonaparte Letizia
Bonaparte Paolina, 1, 2.
Bonaparte Zenaide
Boncompagni (famiglia), 1, 2, 3.
Boncompagni Borghese Eleonora
Boncompagni Ludovisi (famiglia), 1, 2, 3, 4, 5.
Boncompagni Ludovisi Rodolfo
Bonelli Carlo
Bonelli Michele, 1, 2, 3.
Bonfigli Benedetto
Bonifacio II
Bonifacio IV
Bonifacio VIII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
Bonifacio IX, 1, 2, 3, 4.
Bonini Filippo Maria
Bonsi (fratelli)
Bonsignore Francesco
Borbone (famiglia), 1, 2.
Borgatti Mariano
Borghese (famiglia), 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Borghese Camillo, 1, 2, 3.
Borghese Marcantonio IV, 1, 2.
Borghese Paolo
Borghese Scipione, 1, 2, 3, 4, 5.
Borghese (Caffarelli) Scipione, 1, 2, 3, 4, 5.
Borgia (famiglia), 1, 2.
Borgia Cesare
Borgia Rodrigo
Borgia Stefano
Borgianni Orazio
Borgognone (Guillaume Courtois, d.)
Borromeo Federico
Borromini Francesco, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Bosco Giovanni (don)
Bosio Antonio
Botero Giovanni
Bottari Giovanni Gaetano, 1, 2.
Botticelli Sandro, 1, 2, 3, 4.
Boucher François
Bracci Cecchino
Bracciolini Francesco
Bragadin Marcantonio
Bragaglia
Bramante, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21.
Bramantino
Brancaleone Laudomia
Branda Castiglioni (cardinale), 1, 2.
Brandolini Lippo
Braschi (famiglia)
Brasini Armando
Breccioli Filippo
Bregno Andrea, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15,
16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23.
Brenno
Brill Paul
Briosco Andrea d. il Riccio
Broglio Mario
Bronzino, 1, 2.
Brueghel Jan il Vecchio
Brueghel Pieter il Vecchio
Bruno Giordano, 1, 2, 3, 4.
Brusati Giovanni Francesco
Bruto
Bucarelli Palma
Bufalini Leonardo
Buozzi Bruno
Buratti Carlo
Burckhardt Giovanni
Burne-Jones Edward, 1, 2.
Burri Alberto, 1, 2.
Bussi (famiglia)

Cacchiatelli Domenico
Caccia Matteo
Cades Giuseppe
Cadorna Raffaele
Caetani (famiglia), 1, 2, 3, 4.
Caetani Enrico, 1, 2.
Caetani Filippo
Caetani Giovannella
Caffarelli (famiglia)
Caffarelli Gian Pietro
Cagliostro (Giuseppe o, d.)
Caio Aurelio Cotta
Caio Cestio Epulone
Caio Curzio
Caio Flaminio
Caio Gracco
Caio Sallustio Crispo
Caio Sosio
Caio Vibio Rufino
Cairoli (fratelli), 1, 2, 3.
Calamide, 1, 2.
Calandrucci Giacinto
Calasanzio Giuseppe, 1, 2, 3.
Calcagnini Carlo Leopoldo
Caldarini Pecori Riccardi Francesca
Caligola, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
Callimaco
Callisto
Callisto II, 1, 2, 3.
Callisto III, 1, 2, 3, 4
Calza Guido
Cambellotti Duilio
Cambise
Camillo, 1, 2, 3.
Camporesi Giuseppe
Camuccini Vincenzo, 1, 2.
Candelori (famiglia)
Canevari Raffaele, 1, 2.
Canina Luigi, 1, 2, 3, 4
Caninio
Canonica Pietro
Canova Antonio, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Canuti Domenico Maria
Capocci (famiglia)
Capocci Giacomo
Capodiferro Girolamo
Capogrossi Giuseppe, 1, 2.
Capponi Alessandro Gregorio, 1, 2.
Capponi Luigi, 1, 2.
Capranica (famiglia)
Capranica Domenico, 1, 2.
Capranica Federico
Capranica Pompeo
Caracalla, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
Caracciolo Bernardino
Caracciolo Riccardo
Carafa Oliviero, 1, 2, 3.
Carafa Pierluigi
Caramuel Giovanni
Caravaggio, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Carbone Gilido
Carboni (famiglia)
Cardelli Jacopo
Carduli Cesi Francesca
Caretti Giovanni Battista
Carimini Luca
Carino, 1, 2.
Carissimi Benedetto
Carlandi Onorato
Carlo IV di Spagna
Carlo V, 1, 2, 3, 4, 5.
Carlo VIII, 1, 2.
Carlo Alberto, 1, 2.
Carlo d’Angiò, 1, 2.
Carlo il Calvo
Carlo Magno, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Caroselli Angelo
Carpegna (famiglia), 1, 2.
Carpegna Gaspare
Carpoforo
Carracci (famiglia)
Carracci Annibale
Cartaro
Carvajal Bernardino, 1, 2.
Casanate Girolamo
Casati (cardinale)
Castalio Antonio
Castelbarco (famiglia)
Castellani (famiglia)
Castellani Augusto
Castellesi da Corneto Adriano
Castiglione Baldassarre, 1, 2.
Castiglione Giovanni Benedetto
Castiglioni Branda (cardinale), 1, 2.
Castiglioni Francesco
Castriota Giorgio
Catanei Vannozza
Caterina II
Cavalier d’Arpino, 1, 2, 3.
Cavalli Emanuele
Cavallini Giovanni
Cavallini Pietro, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Cavarozzi Bartolomeo
Cavour Camillo Benso (conte di)
Ceccarini Sebastiano
Ceccarius
Cecco del Caravaggio
Ceccobelli, 1, 2.
Cecilia Metella, 1, 2, 3, 4
Cefisodoto, 1, 2.
Cefisodoto il Vecchio
Ceicna (famiglia)
Celentano Bernardo
Celestino I, 1, 2.
Celestino III, 1, 2.
Celio Vibenna
Cellini Benvenuto
Cellini Giuseppe
Cenci (famiglia)
Cenci Cristoforo
Cenci Francesco
Centini Felice
Ceracchi
Ceracchini Gisberto
Ceroli Mario, 1, 2.
Cerruti Michelangelo
Cesare (Giulio), 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27.
Cesarini (famiglia), 1, 2.
Cesi (famiglia), 1, 2.
Cesi Angelo
Cesi Federico, 1, 2, 3.
Cesi Paolo Emilio
Champollion Jean-François
Chateaubriand
Cheope
Chia Sandro
Chiaramonti Barnaba, v. Pio VII.
Chiari Giuseppe
Chigi (famiglia), 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Chigi Agostino, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Chigi Fabio, v. Alessandro VII.
Chigi Mario
Chigi Sigismondo
Chigi Della Rovere (famiglia)
Chigi Odescalchi Maria Flaminia
Ciarpi Baccio
Cicala Meliaduce
Cicerone
Cigoli
Cini Francesco
Circignani Nicolò, 1, 2.
Ciseri Antonio
Clarelli (famiglia)
Claudio, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,.
Claudio II il Gotico
Claudius Dionisius
Clemente (papa)
Clemente II
Clemente III, 1, 2.
Clemente V, 1, 2.
Clemente VI
Clemente VII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15.
Clemente VIII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20.
Clemente IX, 1, 2, 3, 4, 5.
Clemente X, 1, 2, 3, 4
Clemente XI, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20.
Clemente XII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20, 21.
Clemente XIII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Clemente XIV, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Cleopatra
Clèves (di) Carlo Federico
Clodio
Cneo Servilio Cepione
Coca (de) Giovanni
Codazzi Viviano
Coghetti Francesco
Cola di Rienzo, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Coleman Henry
Coli Giovanni
Colla Ettore
Colonna (famiglia), 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Colonna Carlo
Colonna Fabrizio
Colonna Filippo I
Colonna Giovanni
Colonna Girolamo
Colonna Lorenzo Onofrio
Colonna Marcantonio, 1, 2.
Colonna Pietro
Colonna Lante Maria
Commodo, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Comotto Paolo
Conca Sebastiano, 1, 2, 3.
Condiano Sesto Quintilio
Consagra Pietro
Consalvi (cardinale)
Consalvi Ercole
Conti (famiglia), 1, 2.
Conti Sigismondo
Copernico Nicola
Cornaro Federico
Cornaro Luigi
Cornelia
Cornelii (famiglia)
Cornelio (santo e papa)
Corradini Pietro Marcellino
Correggio, 1, 2, 3, 4, 5.
Corsi (famiglia)
Corsini (famiglia), 1, 2.
Corsini Lorenzo
Corsini Neri
Corsini Ottaviano
Corsini Tommaso
Corvi Domenico
Cosimo II
Cosma (di Lorenzo)
Costa di Portogallo Giorgio
Costa Nino, 1, 2.
Costaguti (famiglia)
Costante
Costante II, 1, 2, 3.
Costantina, 1, 2, 3.
Costantino, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33,
34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43.
Costantino (papa)
Costanza, 1, 2.
Costanzi Placido
Costanzo
Costanzo II, 1, 2, 3, 4.
Costanzo Cloro
Cozzi (bottega)
Cranach Lucas il Giovane
Crasso
Crescenzi (famiglia), 1, 2.
Crescenzi Giovanni Battista
Crescenziano
Crescenzio Giovanni
Crescenzio Rogata
Crescimbeni Giovanni Maria, 1, 2.
Cresila, 1, 2, 3, 4, 5.
Crispi Francesco, 1, 2.
Crispina
Cristina di Svezia, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Cristofori Bartolomeo
Cristoforo Colombo
Crivelli Alessandro
Crivelli Giovanni
Crivelli Giovan Pietro
Cruyl Lewin
Cucchi Enrico
Curiazi (famiglia), 1, 2.
Cusani Agostino
Cybo Alderano
Cybo Lorenzo, 1, 2, 3, 4.

Damaso (papa), 1, 2, 3, 4, 5.
D’Amico Silvio
Damofonte da Messene
Daniele da Volterra, 1, 2, 3, 4, 5.
D’Annunzio Gabriele
Danti Egnazio (Pellegrino)
Da Sylva (famiglia)
Dati Lesa
D’Azeglio Massimo, 1, 2.
Dazzi Arturo
De Amicis (famiglia)
De Castro Bermudez
De Castro Giovanni
De Chaves Antonio Martino
De Chirico Giorgio
Decio
De Conciliis Luigi
De Feo
De Gasperi Alcide
De Levis Eustachio
De Levis Filippo
De Luca Giovanni Battista
De Merode Francesco Saverio, 1, 2, 3.
De Pereriis Guillermus
De’ Pietri Pietro
De Pinedo Francesco
De Rossi Giovanni Battista, 1, 2.
De Sanctis Francesco
De Torres (famiglia)
De Torres Ludovico
De Tournon Camillo, 1, 2, 3.
De Troy Jean François
De Vecchi Giovanni
Del Bufalo (famiglia)
Del Bufalo Paolo
Del Corno Camillo
Del Corno Giulio
Del Debbio Enrico, 1, 2.
Del Duca Antonio
Del Duca Jacopo, 1, 2.
Del Monte Antonio, 1, 2, 3.
Del Monte Fabiano
Del Nero (famiglia)
Della Casa Giovanni
Della Porta Giacomo, 1, 2, 3, 4.
Della Porta Giovanni Battista, 1, 2, 3.
Della Robbia (bottega)
Della Rovere (famiglia), 1, 2, 3.
Della Rovere Cristoforo
Della Rovere Domenico, 1, 2.
Della Rovere Francesco Maria I
Della Rovere Giovanni Basso
Della Rovere Girolamo Basso
Della Rovere Giuliano, 1, 2, 3.
Della Rovere Raffaele
Della Valle (famiglia)
Della Valle Andrea, 1, 2.
Della Valle Filippo, 1, 2.
Demetriade
Depero Fortunato
Dereham Tommaso
Desiderio (abate), v. Vittore III.
Deti Giovanni Battista
Diaz Armando
Dickens Charles
Di Cocco
Diocleziano, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
Dioscoro
Di Palombara Massimo
Doidalsas, 1, 2, 3, 4.
Domenichino, 1, 2, 3, 4.
Domenico Veneziano
Domizi (famiglia)
Domiziano, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29.
Donatello, 1, 2.
Donghi
Dorazio Piero
Doria Giacomo
Doria Pamphilj (famiglia)
Doria Pamphilj Alfonso
Dosio
Dossi Dosso, 1, 2.
Dottori Gerardo
Dughet Gaspard
Duquesnoy François
Durand Guglielmo
Dürer Albrecht

Elagabalo, 1, 2, 3, 4.
Elena, 1, 2.
Eleuterio
Elisabetta I di Russia
Elvino Bernardino
Embriaco Giovanni Battista, 1, 2.
Emilio Scauro
Enckenvoirt Guglielmo
Enea
Enrico del Portogallo
Enrico IV, 1, 2, 3, 4.
Enrico VIII, 1, 2.
Epagathus
Epaphroditus
Eraclio
Erizzo Francesco
Erode Attico, 1, 2, 3, 4.
Eroli Berardo
Esopo, 1, 2.
Estaço Achille
Estouteville (d’) Guglielmo, 1, 2, 3, 4, 5.
Etruscilla
Eudossia minore, 1, 2.
Eufranore, 1, 2.
Eufrosino della Volpaia
Eugenio II
Eugenio III
Eugenio IV, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Eumene II
Eurisace
Eusebio (papa)
Eustachio Ferdinando
Eutichiano (santo e papa)
Eutichide
Eutichio
Evandro

Fabi (famiglia)
Fabiano (santo e papa)
Fabio Massimo, 1, 2.
Falcioni Bonifacio
Falconieri (famiglia), 1, 2.
Falconieri Lelio
Falconieri Orazio
Falda Giovanni Battista
Farinacci Prospero
Farini Luigi Carlo
Farnese (famiglia), 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Farnese Alessandro, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Farnese Alessandro, v. Paolo III.
Farnese Gerolamo
Farnese Giulia
Farnese Odoardo
Farnese Ranuccio
Fausta
Faustina
Faustolo
Favoriti Agostino
Fea Carlo, 1, 2, 3, 4.
Federico duca d’Urbino
Federico II, 1, 2.
Felice IV, 1, 2.
Ferdinando II d’Aragona
Ferdinando II d’Asburgo
Ferdinando IV di Borbone
Fermi Enrico, 1, 2.
Ferrari Ettore, 1, 2.
Ferrata Ercole, 1, 2.
Ferratini Bartolomeo
Ferricci Pietro
Festa Tano
Fidia, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Field Mary Elisabeth
Fieschi Guglielmo
Filarete (Antonio Averulino, d.)
Filippo
Filippo III di Spagna
Finelli Carlo
Flavi (famiglia), 1, 2, 3.
Flavia (famiglia)
Flavia Domitilla
Fleres Ugo
Foca, 1, 2, 3, 4.
Foderato Antonio
Fonseca Pietro
Fontana (bottega)
Fontana Carlo, 1, 2, 3, 4, 5.
Fontana Domenico, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Fontana Francesco
Fontana Giovanni
Fontana Lucio, 1, 2.
Fontana Prospero
Forteguerri Nicolò
Fortunati Lorenzo, 1, 2.
Fortuny y Carbó Mariano
Foscari Pietro
Foschini Arnaldo
Fouquet Jean
Francalancia
Francesco I, 1, 2.
Francesco I re di Francia
Francesco da Borgo S. Sepolcro, 1, 2.
Franchetti Giorgio
Franchi Alessandro
Franco Battista
Franconi (cardinale)
Frangipane (famiglia), 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Franzoni Francesco Antonio
Frescobaldi Gerolamo
Fuà Fusinato Erminia
Fuga Ferdinando, 1, 2, 3, 4.
Furia (famiglia)
Furio Camillo
Furio Dionisio Filocalo

Gabet Luigi
Gaio, 1, 2.
Gaio (papa)
Gaio Poplicio Bibulo
Gaius Iunius Euhodus
Gaius Vibius Pansa
Galassi Vincenzo
Galba Servio Sulpicio
Galerio
Galilei Alessandro, 1, 2.
Galli Bibiena Francesco
Gallieno, 1, 2.
Gallori Emilio
Garibaldi Anita
Garibaldi Giuseppe, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Garofalo
Garrucci Raffaele
Garzoni Giovanna
Gastaldi Andrea
Gastaldi Benedetto
Gastaldi Girolamo, 1, 2.
Gatta (della) Bartolomeo
Gelasio I
Gelasio II
Genserico
Gentile da Fabriano, 1, 2, 3, 4.
Gentileschi Orazio
Germanico
Gessi Berlinghiero
Gessi Romolo
Gesualdo Alfonso
Geta, 1, 2, 3, 4.
Gherardi Filippo
Gherardi Antonio d. il Reatino
Ghezzi Giuseppe
Ghezzi Pier Leone, 1, 2.
Ghiberti
Ghini Simone
Ghirlandaio
Ghirlandaio Davide
Ghirlandaio Domenico, 1, 2.
Giacomo da Pietrasanta
Giacomo III Stuart
Giambologna, 1, 2.
Giani Felice
Giaquinto Corrado
Giglioli Giulio Quirino
Gimignani Ludovico
Giorgione, 1, 2.
Giotto, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Giovanni da Crema
Giovanni Dalmata, 1, 2.
Giovanni da Verrazzano
Giovanni II, 1, 2.
Giovanni III
Giovanni IV, 1, 2.
Giovanni V
Giovanni VII
Giovanni VIII, 1, 2.
Giovanni XII
Giovanni XX
Giovanni XXII
Giovanni XXIII, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Giovanni Paolo I, 1, 2.
Giovanni Paolo II
Giovannoni Gustavo
Giraud (famiglia)
Gisleni Giovanni Battista
Gismondi Italo
Giulia Domna, 1, 2.
Giuliano da Maiano, 1, 2.
Giuliano da Sangallo, 1, 2.
Giuliano da Volterra
Giulio I, 1, 2.
Giulio II, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33.
Giulio III, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Giulio Cesare, v. Cesare.
Giulio Romano, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Giulio Claudii (famiglia)
Giunio Basso, 1, 2.
Giunio Valentino
Giunta Pisano
Giustiniani (famiglia)
Giustiniano, 1, 2, 3, 4.
Giustino II
Goethe Johann Wolfgang, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Gogol’ Nikolaj Vasil’evicˇ
Goldoni Carlo
Gordiani (famiglia)
Gorga (famiglia)
Gorga Evan, 1, 2.
Gozzoli Benozzo, 1, 2, 3.
Grammatica Antiveduto
Grassi Carlo
Grato Margani Lodovico
Graziano
Grazioli (famiglia), 1, 2.
Gregorio III, 1, 2, 3, 4.
Gregorio IV, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Gregorio V
Gregorio VI
Gregorio VII, 1, 2, 3.
Gregorio IX, 1, 2, 3.
Gregorio XI, 1, 2, 3.
Gregorio XII
Gregorio XIII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32,
33.
Gregorio XIV
Gregorio XV, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Gregorio XVI, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19.
Gregorio Magno, v. S. Gregorio Magno.
Grenier Jean-Claude
Greuter Matteo
Grifoni Matteo
Grillo (del) Livia
Grimani (famiglia)
Guercino, 1, 2, 3.
Guerrini Giovanni
Guerrini Lorenzo
Guglielmi Benedetto
Guglielmi Bernardo
Guglielmi Giacinto
Guglielmi Giulio
Guglielmi Gregorio
Guglielmo II
Guidiccioni Lelio
Guido di Montpellier
Guttuso Renato, 1, 2.

Haffner Enrico
Hatshepsut (regina), 1, 2.
Hebi
Helbig (famiglia)
Hermanin Federico, 1, 2.
Hertz Enrichetta
Hitler Adolf
Hoffmann Ernst Theodor Amadeus
Howard di Norfolk Filippo Tommaso
Ilario (papa), 1, 2.
Imperiali Lorenzo
Imperiali Renato
Ina
Innocenzo I
Innocenzo II, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Innocenzo III, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Innocenzo VII
Innocenzo VIII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
Innocenzo IX
Innocenzo X, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18.
Innocenzo XI, 1, 2.
Innocenzo XII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Innocenzo XIII, 1, 2, 3, 4.
Iofonte
Ippolito d’Este
Iry
Isaia da Pisa, 1, 2, 3.
Isauricus Publius Servilius
Iuf-âa
Iulia (gens), 1, 2.

Jacopino del Conte, 1, 2.


Jacopo di Lorenzo
Jandolo Augusto
Jappelli Giuseppe
Julia (famiglia)
Juvarra Filippo, 1, 2.
Kallimacos
Kauffmann Angelika, 1, 2.
Keats John, 1, 2.
Kesselring
Kircher Athanasius (Atanasio), 1, 2, 3.
Koch Gaetano, 1, 2.
Kock Joseph Anton
Kounellis Jannis
Kresilas, 1, 2, 3.

Labacco Antonio
Ladislao di Durazzo
La Marmora Alessandro Ferrero, 1, 2.
Lancellotti Scipione
Lanciani Rodolfo
Lancisi Giovanni Maria
Lanfranco Giovanni, 1, 2.
Lante (famiglia), 1, 2, 3.
Lante Isabella
Lante Della Rovere Carlotta
Lante Della Rovere Federico
Lante Della Rovere Livia
La Padula Ernesto Bruno
Lapis Gaetano
Laris Harenies
Laterani (famiglia)
Le Brun Charles
Legros Pierre, 1, 2, 3.
Lello da Orvieto
Leni Giovanni Battista
Leocare, 1, 2.
Leonardo da Vinci, 1, 2.
Leoncillo
Leone
Leone II
Leone III, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
Leone IV, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Leone VIII
Leone X, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30.
Leone XI, 1, 2.
Leone XII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Leone XIII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15.
Leone Magno, v. S. Leone Magno.
Leopardi Marcello
Le Roy Thomas, 1, 2.
Libera Adalberto, 1, 2.
Liberio (papa)
Licinio Crasso
Licinio Gallieno
Licurgo
Ligorio Pirro, 1, 2, 3, 4.
Liotard Jean-Étienne
Lippi Filippino
Lippi Filippo
Lisippo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11.
Liverani Giantomaso
Livia, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Loewy Emanuele
Lonati Bernardino
Longhi Onorio, 1, 2.
Longhi Pietro
Lorenzetti Pietro
Lorenzo Monaco
Lorenzo di Viterbo
Loria Lamberto
Lotto Lorenzo
Lucilio Felice
Lucio
Lucio (santo e papa), 1, 2.
Lucio II, 1, 2.
Lucio Aurelio Aviano Simmaco
Lucio Aurelio Cotta
Lucio Cassio Longino
Lucio Cassio Longino Ravilla
Lucio Cecilio Metello Dalmatico
Lucio Cestio
Lucio Cornelio Balbo, 1, 2.
Lucio Cornelio Scipione
Lucio Cornelio Scipione Barbato, 1, 2.
Lucio Elio Lamia
Lucio Emilio Lepido
Lucio Emilio Paolo
Lucio Fabio Cilone
Lucio Fabricio
Lucio Mummio
Lucio Munazio Planco
Lucio Nevio Sordino
Lucio Opimio
Lucio Scipione
Lucio Vero, 1, 2.
Lucrezia d’Este
Ludovisi (famiglia), 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Ludovisi Ludovico, 1, 2.
Luigi XII
Luigi XIV, 1, 2.
Luigi XV, 1, 2.
Luigi XVIII, 1, 2.
Luti Benedetto

Maccabei (fratelli)
Maderno Carlo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Maderno Stefano
Mafai Mario, 1, 2.
Maffei (famiglia), 1, 2.
Maffei Marcantonio
Maggi Girolamo
Magni Giulio
Mai Angelo
Maidalchini Olimpia
Majorana Ettore
Malatesta Francesco Saverio, 1, 2.
Malvezzi Nestore
Mamiani Della Rovere Terenzio
Manetti Rutilio
Manili Lorenzo
Mantegna Andrea, 1, 2, 3.
Manuzio Paolo
Manzi Pietro
Manzoni Piero
Manzù Giacomo
Maratta Carlo, 1, 2.
Marcantonio II
Marcelliano (martire)
Marcellina
Marcellino
Marcello, 1, 2, 3.
Marcello II
Marchionni Carlo, 1, 2.
Marco (martire)
Marco (papa), 1, 2, 3.
Marco Antonio
Marco Aurelio, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20, 21, 22.
Marco Aurelio Antonino, v. Caracalla.
Marco Cocceio Nerva
Marco Curzio
Marco Emilio Lepido, 1, 2.
Marco Emilio Scauro, 1, 2.
Marco Fulvio Nobiliore, 1, 2.
Marco Gavio Massimo
Marco Livio Druso
Marco Valerio Massimo, 1, 2.
Marco Vipsanio Agrippa, 1, 2.
Marconi Guglielmo, 1, 2, 3, 4, 5.
Marcus Cincius Theophilus
Marcus Clodius Hermes
Margani (famiglia)
Margaritone d’Arezzo
Margherita d’Austria
Margherita di Parma
Margherita di Savoia, 1, 2.
Margotti Lanfranco
Mariani Camillo
Mariani Cesare
Marini Gaetano
Marini Luigi
Marino I
Marino II
Mario, 1, 2, 3.
Marliano Bartolomeo
Martini Arturo
Martini Simone
Martino II
Martino III
Martino V, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13.
Marzi Giovanni Battista
Masaccio, 1, 2.
Mascagni Paolo
Masolino da Panicale, 1, 2, 3.
Masotti Zanoni
Massenzio, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18.
Massimi Porzia
Massimo (famiglia), 1, 2.
Massimo Angelo, 1, 2.
Massimo Carlo
Massimo Luca
Massimo Pietro
Matilde di Canossa
Mattei (famiglia), 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Mattei Alessandro
Mattei Asdrubale, 1, 2.
Mattei Ciriaco
Mattei Ludovico
Matteo da Città di Castello, 1, 2.
Matteotti Giacomo, 1, 2.
Maturino da Firenze
Mausolo
Mazzarino Giulio, 1, 2.
Mazzarino Mancini Filippo Giuliano
Mazzini Giuseppe, 1, 2, 3, 4.
Mazzoni Giulio, 1, 2.
Mazzoni del Grande Angiolo
Mazzuoli Giuseppe
Mecenate, 1, 2, 3, 4.
Medici Giacomo
Medici (de’; famiglia)
Medici (de’) Alessandro, 1, 2.
Medici (de’) Cosimo II, v. Cosimo II.
Medici (de’) Ferdinando
Medici (de’) Giovanni, 1, 2.
Medici (de’) Giovanni Angelo, v. Pio IV.
Medici (de’) Giulio, v. Clemente VII.
Medici del Vascello (famiglia)
Melchiade (papa)
Mellini Garcia
Mellini Mario
Mellini Paolo
Mellini Savo
Melozzo da Forlì, 1, 2, 3, 4.
Menelao
Menelik
Mengs Anton Raphael, 1, 2.
Meo del Caprino
Merenda Ippolito
Merry del Val (cardinale)
Meruli (famiglia)
Messalla Corvino
Messalla Marcus Valerius
Metastasio, 1, 2.
Metella Cecilia, 1, 2, 3, 4.
Metello Cretico
Metilia Acte
Meucci Antonio
Miani Giovanni
Micali Giuseppe
Michelangelo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32,
33, 34, 35, 36, 37, 38.
Michele Antonio di Saluzzo
Michele di Ridolfo del Ghirlandaio
Michiel Giovanni, 1, 2, 3.
Milani Aureliano
Millo Giovanni Jacopo
Mills Carlo
Milone
Milziade (santo e papa)
Minardi Tommaso, 1, 2.
Mineptah
Minghetti Marco
Minnucci Gaetano
Mino da Fiesole, 1, 2, 3.
Mino del Reame, 1, 2.
Mirone, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Mirone il Giovane
Mitridate
Mochi Francesco
Modigliani Amedeo
Mola Pier Francesco
Molara (famiglia)
Mondrian Piet
Monnot Pierre-Étienne
Montaigne
Montauto (di) Asdrubale
Monti Giuseppe
Montorsoli Giovanni Angelo
Montoya Pietro
Moore Henry
Morelli Cosimo
Morelli Domenico, 1, 2.
Moretti Luigi, 1, 2.
Moretti Nanni
Morner Karel Gustaf Hyalmar
Mulier Pieter d. il Cavalier Tempesta
Muñoz di Zamora (fra’)
Munthe Axel
Muratori Domenico Maria
Mussolini Benito, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Musmeci
Muti Giovanni, 1, 2.
Muziano Girolamo

Nabucodonosor II
Nakht-Hor-em-hab
Nanni di Baccio Bigio
Napoleone (Bonaparte), 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Napoleone III
Nardini Stefano, 1, 2, 3.
Narsete, 1, 2.
Nathan Ernesto, 1, 2, 3.
Nattier Jean-Marc
Naucide
Nebbia Cesare
Nectanebo I, 1, 2.
Negro Silvio
Nerone, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23, 24.
Neroni Diotisalvi
Nerva, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Nevin Robert J
Niccolò I
Niccolò III, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Niccolò IV, 1, 2, 3, 4, 5.
Niccolò V, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28.
Nicola da Forca Palena
Nicola da Guardiagrele
Nicola I
Nicola I (zar)
Nicola II
Nicolò di Crescenzio
Nicolò da Cusa
Nobile Umberto
Nobili Sforza di Santa Fiora Caterina
Nolli Giovanni Battista
Numa Pompilio, 1, 2.
Numenia (famiglia)
Nunzio

Oddi Maddalena
Oddone di Cluny
Odescalchi (famiglia)
Odescalchi Baldassarre
Odescalchi Tommaso, 1, 2.
Odoacre
Oliva (padre)
Omodei Luigi Alessandro
Onesti (famiglia)
Onorio, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Onorio I, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Onorio III, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11.
Onorio IV
Orazi, 1, 2, 3.
Orazio
Orazio Coclite
Orbiana
Orcagna
Orsi Prospero
Orsini (famiglia), 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Orsini Camillo Pardo
Orsini Francesco
Orsini Maddalena
Orsini Matteo
Orsini Virginio
Orso Antonio
Ortega Gomiel Giovanni
Ortensio
Osio Stanislao
Ottavia, 1, 2, 3.
Ottaviano, v. Augusto.
Ottoboni (famiglia)
Ottoboni Pietro, 1, 2, 3.
Ottone I
Ottone II, 1, 2.
Ottone III, 1, 2, 3.
Oudinot Nicolas Charles Victor, 1, 2.
Overbeck Federico, 1, 2, 3.
Ovidio, 1, 2, 3.

Pacca Bartolomeo
Pacini Giovanni
Pagano Giuseppe
Palagi Pelagio, 1, 2.
Palizzi Filippo, 1, 2.
Palladio Andrea
Pallante
Pallavicini Antoniotto
Pallavicini Lazzaro, 1, 2, 3.
Pallavicini Maria Camilla
Pallavicini Nicolò
Pallavicini Rospigliosi (famiglia), 1, 2.
Palmezzano Marco
Palmieri Pompeo
Pammachio
Pamphilj (famiglia), 1, 2, 3, 4.
Pamphilj Benedetto, 1, 2, 3.
Pamphilj Camillo, 1, 2, 3, 4.
Paolino da Nola
Paolo, 1, 2, 3.
Paolo, v. S. Paolo.
Paolo I, 1, 2.
Paolo II, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20.
Paolo III, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33,
34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43.
Paolo IV, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Paolo V, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33,
34.
Paolo VI, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Paolucci Fabrizio, 1, 2.
Papazzurri Alessandro
Papazzurri Caterina
Paradinas Alfonso
Paravicini Giuseppe
Parmigianino, 1, 2, 3, 4.
Parrocel Etienne
Pascali Pino
Pascarella Cesare
Pasolini Pier Paolo
Pasquale I, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Pasquale II, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Passeri Giuseppe
Passignano
Patrizi Costanzo
Pelagio I
Pelagio II, 1, 2.
Penni Francesco
Peretti (famiglia)
Peretti Alessandro, 1, 2.
Peretti Felice, v. Sisto V.
Peretti Flavia
Peretti Michele, 1, 2.
Peretti Montalto (famiglia)
Peretti Montalto Alessandro
Perin del Vaga, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Peroni Gaetano
Perugino, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Peruzzi Baldassarre, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Pesaro Leonardo
Petrachia (famiglia)
Petrarca Francesco
Petrolini Ettore
Philiskos di Rodi, 1, 2, 3.
Piacentini Marcello, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Piacentini Pio
Piano Renzo
Piastrini Domenico
Picchiarini Cesare
Piccinato Luigi, 1, 2.
Piccolomini Francesco
Pierleoni (famiglia)
Piero della Francesca, 1, 2.
Pietro, v. S. Pietro.
Pietro da Cortona, 1, 2, 3, 4, 5.
Pietro d’Illiria
Pietro di Leone
Pignatelli Antonio Maria
Pigorini Luigi
Pimentel Domenico
Pinard
Pinelli Bartolomeo, 1, 2, 3.
Pinturicchio, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Pinza Giovanni
Pio II, 1, 2, 3, 4, 5.
Pio III, 1, 2.
Pio IV, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18,
19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33.
Pio V (santo e papa), 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Pio VI, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18,
19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27.
Pio VII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18,
19.
Pio VIII, 1–2.
Pio IX, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18,
19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34,
35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50,
51, 52, 53, 54.
Pio X (santo e papa), 1, 2, 3, 4.
Pio XI, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11ß.
Pio XII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13.
Pipino III il Breve
Pirandello Fausto
Piranesi Giovanni Battista, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Pisanello, 1, 2, 3.
Pizzi Cannella, 1, 2.
Pizzullo Giovanni
Platina
Plinio
Plotina
Podesti Francesco
Podocataro Ludovico
Pole Reginald
Poletti Luigi
Poli Fausto
Poli Gaudenzio
Policle
Policleto, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Polidoro da Caravaggio
Polieucto
Pollaiolo
Pollaiolo (del) Antonio
Pollaiolo (del) Piero
Pollock Jackson, 1, 2.
Pomarancio (Cristoforo Roncalli, d.)
Pontelli Baccio
Ponzetti (famiglia)
Ponziano (santo e papa)
Ponzio Flaminio, 1, 2.
Porcari (famiglia)
Porcari Girolamo
Porcari Nicola
Porcari Stefano
Porsenna
Portocarrero Gioacchino Ferdinando
Postumio Albino
Pourbus Franz il Giovane
Poussin Nicolas, 1, 2, 3.
Pozzi Stefano
Pozzo Andrea
Prampolini Enrico
Prassitele, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Preti Mattia
Primoli (famiglia)
Primoli Giuseppe, 1, 2.
Primoli Pietro
Priscilla, 1, 2, 3, 4, 5.
Probo, 1, 2.
Procopio
Properzio
Psammetico
Publio Cincio Salvio
Publio Scipione Emiliano
Publio Ventidio Basso
Publio Vibio Mariano
Publius Nonius Zethus
Pucci Ridolfi Virginia
Pudente, 1, 2.
Pulzone Scipione

Querini Angelo Maria, 1, 2.


Quiñones Francesco
Quintia (famiglia)
Quintili (fratelli)
Quinto Cecilio Metello
Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, 1, 2.
Quinto Lutazio Catulo, 1, 2.
Quinto Sulpicio Massimo
Quintus Marcius Rex
Quirino, 1, 2.

Raffaellino del Colle


Raffaello (Sanzio), 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15,
16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31,
32, 33.
Raggi Maria
Raguzzini Filippo, 1, 2.
Rainaldi Carlo, 1, 2, 3.
Rainaldi Girolamo
Rampolla del Tindaro Mariano, 1, 2.
Ramsay William
Ramsses II, 1, 2, 3, 4.
Raphael Antonietta
Ravaioli Domenico
Raymondi Marcello
Regolini Alessandro
Remo, 1, 2, 3.
Reni Guido, 1, 2, 3, 4.
Rezzonico (famiglia)
Rezzonico Giovanni Battista, 1, 2.
Riario (famiglia)
Riario Alessandro
Riario Pietro
Riario Raffaele, 1, 2, 3.
Ribera Diego
Ricci Corrado, 1, 2.
Ricci Michelangelo
Ricci Sebastiano
Ricci di Montepulciano (cardinale)
Ricci da Montepulciano Giovanni
Ricci Paravicini Giulia
Ridolfi Atanasio
Ripanda Jacopo
Ristoro (frate)
Rizzo Luigi
Roberto il Guiscardo, 1, 2.
Rocca Angelo, 1, 2.
Rocca Guglielmo
Rodolfo Pio da Carpi
Rodriguez Consalvo
Roesler Franz Ettore
Romano II
Romano Gian Cristoforo
Romano Mario
Romolo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Romolo (figlio di Massenzio)
Romolo Augustolo
Rondinini (famiglia)
Rondinini Origo Veronica
Rosa Salvator, 1, 2.
Rospigliosi (famiglia), 1, 2.
Rospigliosi Camillo
Rospigliosi Maria Camilla
Rospigliosi Giovanni Battista
Rospigliosi Giulio, v. Clemente X.
Rospigliosi Salviati Maria Lucrezia
Rosselli Cosimo
Rossellino Bernardo, 1, 2, 3.
Rossetti Dante Gabriel
Rossi Ettore
Rossi Pellegrino
Rossini Gioacchino
Rosso Fiorentino
Rosso Medardo, 1, 2.
Roverella Bartolomeo
Rubens Pieter Paul, 1, 2, 3, 4.
Ruffo Tommaso
Rufini (famiglia)
Rusconi Camillo
Rustici Agapito
Rustici Cinzio
Rusticucci Girolamo
Rusuti Filippo
Rutelli Mario

S. Agostino
S. Ambrogio
S. Bernardo
S. Callisto (papa)
S. Carlo Borromeo, 1, 2, 3.
S. Caterina da Siena, 1, 2.
S. Cecilia
S. Ciriaco
S. Domenico, 1, 2, 3.
S. Elena
S. Filippo Neri, 1, 2, 3, 4, 5.
S. Francesca Romana, 1, 2, 3.
S. Francesco d’Assisi, 1, 2.
S. Giuseppe Calasanzio
S. Gregorio Magno, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
S. Ignazio di Loyola, 1, 2, 3, 4.
S. Leone Magno, 1, 2, 3.
S. Lorenzo, 1, 2.
S. Luca, 1, 2, 3.
S. Monica
S. Paolo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
S. Pietro, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21.
S. Pio V, v. Pio V.
S. Pio X, v. Pio X.
S. Prassede, 1, 2, 3.
S. Pudenziana, 1, 2, 3.
S. Roberto Bellarmino
S. Saba
S. Sebastiano, 1, 2.
S. Silvia
S. Tommaso d’Aquino
S. Tommaso di Canterbury
S. Zenone
Sabbatini Lorenzo
Sacchetti (famiglia), 1, 2.
Sacchetti Ottavia
Sacchi Andrea, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Sacco Giovanni
Sacconi Giuseppe
Salustri Carlo Alberto, v. Trilussa.
Salvi Nicola, 1, 2.
Salviati (cardinale), 1, 2.
Salviati Antonio Maria, 1, 2.
Salviati Francesco
Samminiati Girolamo
Sampajo (famiglia)
Sanfilippo Antonio
Sangallo
Sanguigna (famiglia)
Sanjust di Teulada Edmondo
Sansovino Andrea, 1, 2, 3, 4.
Sansovino Jacopo, 1, 2, 3.
Santacroce (famiglia)
Santacroce Alfonso
Santacroce Prospero
Santacroce Publicola (famiglia)
Santarelli Odoardo
Santori Giuliano Antonio
Santorio Giovanni Fazio, 1, 2.
Saraceni Carlo
Sardi Giuseppe
Sarti Antonio
Sartorio Giulio Aristide
Satri (famiglia)
Sauli Antonio
Savelli (famiglia), 1, 2, 3, 4, 5.
Savelli Elena, 1, 2.
Savelli Giovanni Battista
Savelli Luca
Savelli Ottone III
Savelli Pietro
Savelli Farnese Camilla Virginia
Savoia (famiglia), 1, 2, 3, 4.
Savoia Lusignano (di) Carlotta
Savoia Massimo (di) Gabriella
Scanderbeg Giorgio Castriota, 1, 2.
Scarpa
Schifano Mario, 1, 2, 3, 4.
Sciarra (famiglia)
Sciarra Maffeo, 1, 2.
Scipione
Scipione Ispallo
Scipione Ispano
Sebastiano del Piombo, 1, 2, 3, 4, 5.
Secchi Angelo, 1, 2.
Sega Filippo
Seiter Daniele
Sella Quintino, 1, 2, 3.
Serbelloni Giovanni Antonio
Sergio I, 1, 2.
Sergio II
Sergio IV
Serlio Sebastiano
Serlupi (famiglia)
Serristori Averardo
Servilia (famiglia)
Servio Tullio, 1, 2, 3, 4, 5.
Sesto Quintilio Valerio Massimo
Sethi I
Settimio Severo, 1,2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15,
16, 17, 18.
Severi (famiglia), 1, 2, 3.
Severiano
Severina
Severini (famiglia)
Severo
Severo Alessandro, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Sfondrati Paolo Emilio
Sforza (famiglia)
Sforza Ascanio
Sforza Cesarini Giuseppe,
Shelley Percy Bysshe, 1, 2.
Skopas, 1, 2, 3.
Sidoli Giuditta
Signorelli Luca, 1, 2.
Silanion
Silla, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Silverio (papa)
Silvestri (famiglia)
Silvestri Eurialo
Silvestro I, 1, 2, 3.
Silvestro II, 1, 2.
Silvestro III
Simmaco (papa), 1, 2, 3.
Simonetti (famiglia)
Simplicio (papa)
Siricio (papa)
Sironi Mario
Sisto (frate)
Sisto II (santo e papa)
Sisto III, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Sisto IV, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33,
34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49,
50.
Sisto V, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18,
19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34,
35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50,
51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66,
67, 68.
Sluse Johann Walter
Smaragdo
Sobieski Alessandro
Sobieski Clementina
Sobieski Maria Clementina
Sodoma
Sokrates
Soranzo Benedetto
Soria Giovanni Battista
Soso di Pergamo, 1, 2.
Souza (de) Alessandro
Spaccarelli Attilio
Spada (famiglia)
Spada Bernardino, 1, 2.
Spada Orazio
Spada Tommaso
Spadarino
Spadini Armando
Spaventa Silvio
Specchi Alessandro, 1, 2, 3, 4
Spedalieri Nicola
Spellman Francis
Spinelli Baldassarre
Stefaneschi Bertoldo
Stefaneschi Jacopo (cardinale), 1, 2.
Stefaneschi Pietro
Stefano da Ferrara
Stefano II
Stern Ludovico
Stern Raffaele, 1, 2.
Strozzi (famiglia), 1, 2.
Strozzi Amerigo
Strozzi Uberto
Stuart (famiglia), 1, 2.
Subleyras Pierre
Surdis (de) Stefano
Sussmann Margaret Nicod
Sustermans Justus

Tacchini Pietro
Taccone Paolo
Tadolini Enrico
Tarquinio Prisco, 1, 2, 3, 4.
Tarquinio il Superbo, 1, 2, 3.
Tassi Agostino
Tasso Torquato
Tebaldeo Antonio
Tebaldi (cardinale)
Tempesta Antonio, 1, 2.
Tenerani Pietro, 1, 2.
Teodora, 1, 2.
Teodorico, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Teodoro (papa)
Teodoro I (papa)
Teodosio
Testa Pietro
Thaon di Revel Paolo
Thefarie Velianas, 1, 2.
Théodon Jean-Baptiste
Thiene Gaspare
Thomas Antoine-Jean-Baptiste, 1, 2.
Thorwaldsen Berthel
Thutmosis III, 1, 2.
Tiberio, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Tiberio Sempronio Gracco
Timoteo
Timotheus
Tirelli
Tischbein Johann Heinrich Wilhelm
Tito, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11.
Tito Livio, 1, 2.
Tito Sempronio Gracco
Tiziano, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Todeschini Piccolomini Francesco, v. Pio III
Tognetti Gaetano
Tolomei (famiglia)
Tomacelli Lucrezia
Tonti Michelangelo
Torlonia (famiglia), 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11.
Torlonia Alessandro, 1, 2, 3.
Torlonia Anna
Torlonia Giovanni
Tornabuoni Francesco
Torquemada Giovanni
Torriti Jacopo, 1, 2.
Toti Enrico, 1, 2.
Totila, 1, 2, 3.
Traiano, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20.
Trevisan Ludovico
Trevisani Francesco, 1, 2.
Triga Giacomo
Trilussa (Carlo Alberto Salustri, d.), 1, 2.
Trivulzio Agostino
Trombadori Francesco, 1, 2.
Trompeo Pietro Paolo
Tullia
Tullo Ostilio, 1, 2, 3.
Turcato Giulio
Turini Baldassarre
Tuscolani (famiglia)
Tutmes III
Tutmes IV
Ugonio Pompeo
Umberto I, 1, 2, 3, 4, 5.
Ungarelli Luigi Maria
Urbano (papa)
Urbano IV
Urbano V, 1, 2.
Urbano VI, 1, 2, 3.
Urbano VII
Urbano VIII, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26.
Usia

Vaca (de) Pedro


Vacca Flaminio
Vaglieri Dante
Vagnuzzi Luigi
Valadier Giuseppe, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10(?), 11, 12, 13, 14.
Valente, 1, 2.
Valenti Gonzaga Silvio
Valentini Vincenzo
Valentiniano, 1, 2.
Valentiniano II
Valentiniano III, 1, 2.
Valeriano, 1, 2, 3.
Valvassori Gabriele
Van Aelst Pieter
Van Bloemen Jan Frans
Van Dyck Antonie, 1, 2.
Van der Eyden Ferdinando
Van Heemskerck Maarten
Van Laer Pieter
Vanni Francesco
Van Wittel Gaspard
Vasanzio Giovanni, 1, 2.
Vasari Giorgio, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Vassalletto (bottega), 1, 2.
Vassalletto (famiglia), 1, 2, 3, 4.
Velázquez Diego
Venier Antonio
Venturi Lionello
Veronese Paolo, 1, 2.
Verro Flacco
Verrocchio
Vespasiano, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Vespignani Virginio, 1, 2, 3.
Vettio Agorio Pretestato, 1, 2.
Vincentini Maria Colomba
Vicinelli Odoardo
Vidman Cristoforo
Vietti Luigi
Vigevano Giovanni
Vignola, 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Vigolo Giorgio
Vimercati Sanseverino
Vipsanio Agrippa
Virgilio, 1, 2.
Visconti Carlo Ludovico
Visconti Ennio Quirino
Visconti Pietro Ercole
Vitelli (famiglia)
Vitellio
Vitige
Vittore III
Vittorino
Vittorio Emanuele I
Vittorio Emanuele II, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14,
15.
Vittorio Emanuele III, 1, 2, 3, 4.
Vittorio Emanuele Orlando
Viviani Alessandro, 1, 2, 3.
Volpato
Volpato Giovanni
Vouet Simon
Vryburch Adriano
Vulca, 1, 2.
Vulcani Marino

Wasa Ladislao Costantino


Winckelmann Johann Joachim, 1, 2, 3, 4.
Woljnski Arturo
Wolkonsky Zenaide
Wurts George

Zaccaria (papa), 1, 2, 3, 4.
Zacosta Pietro Raimondo
Zaga Domenico
Zanardelli Giuseppe, 1, 2.
Zanelli Angelo
Zefirino (santo e papa)
Zenodoro
Zeri Federico
Ziveri Alberto
Zoboli Giacomo
Zoppo Rocco
Zuccari (bottega)
Zuccari (fratelli)
Zuccari Federico, 1, 2.
Zuccari Taddeo, 1, 2, 3.
INDICE DEGLI AUTORI

L’indice è stato ordinato per lo più secondo il cognome; secondo il


soprannome (o pseudonimo) se questo è più noto del cognome; in
mancanza dell’uno e dell’altro viene indicato il nome seguito dal
patronimico o dalla provenienza, oppure la denominazione
convenzionalmente usata. Dopo le notizie biografiche è data
l’indicazione delle pagine nelle quali si ricordano opere dovute o
attribuite a ciascun autore.

ABBREVIAZIONI: A., architetto; Arazz., arazziere; att., attivo; av.,


avanti; B., bronzista; c., circa; Cer., ceramista; Ces., cesellatore; d.,
detto; Dec., decoratore; Des., designer; Dis., disegnatore; doc.,
documentato; fam., famiglia; Fond., fonditore; Gr., grafico; Inc.,
incisore; Ing., ingegnere; Ing. milit., ingegnere militare; Int.,
intagliatore; Intars., intarsiatore; m., morto; Mar., marmoraro; Med.,
medaglista; Min., miniatore; Mos., mosaicista; n., nato; not., notizie;
O., orafo; Op. art., operatore artistico; Org., organaro; P., pittore;
pag., pagina; S., scultore; Scen., scenografo; sec., secolo; Stucc.,
stuccatore; Urb., urbanista; v., vedi; Vet., vetraio.

Abate (dell’) Nicolò, da Modena, P., c. 1509-1571 – 1, 2, 3, 4.


Abbati Giuseppe, da Napoli, P., 1836-68 757
Abbatini Guidobaldo, da Città di Castello (Perugia), P., c. 1600-
1656 – 1, 2.
Accardi Carla, da Trapani, P., n. 1924 – 1, 2.
Acquisti Luigi, da Forlì, S. e Stucc., 1745-1823 – 1, 2.
Adam Lambert Sigisbert, da Nancy (Francia), S., 1700-1759
Adriaensz Vincent d. il Manciolao o il Mozzo d’Anversa, da
Anversa (Belgio), P., 1595-1675
Agesandro, S. greco, sec. I 673
Agostino di Duccio, da Firenze, S. e A., 1418-c. 1481
Agostino Veneziano (Agostino de Musi, d.), da Venezia, Inc.,
1490-dopo 1536
Agresti Livio, da Forlì, P., c. 1508-1579 – 1, 2, 3, 4, 5.
Agricola Filippo, da Roma, P., 1795-1857 – 1, 2, 3, 4.
Agricola Gioacchino, da Roma, P., not. 1758-85
Agricola Luigi, da Roma, P., c. 1750-dopo 1801
Aguatti Antonio, Mos., doc. a Roma 1811-1846
Aguatti Cesare, Mos. att. a Roma, not. 1780
Aimo Domenico d. il Varignana, da Varignana (Bologna), S., c.
1460/70-1539
Albacini Filippo, da Roma, S., 1777-1858
Albanese Giovanni, da Bari, op. art., n. 1959
Albani Francesco, da Bologna, P., 1578-1660 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8.
Alberi Vitruvio, da Milano, P., att. dal 1575, m. dopo 1590 – 1, 2.
Alberti Cherubino, da Sansepolcro (Arezzo), P. e Inc., 1553-1615
– 1, 2, 3, 4.
Alberti Durante, da Sansepolcro (Arezzo), P., 1538-1616 – 1, 2, 3,
4, 5, 6.
Alberti Giovanni, da Sansepolcro (Arezzo), P., 1558-1601 – 1, 2,
3.
Alberti Leon Battista, da Genova, A., 1406-1472
Alberti Michele, da Firenze (?), P., doc. 1535-82 – 1, 2, 3.
Albertinelli Mariotto, da Firenze, P., 1474-1515
Albertoni Paolo, P. romano, c. 1670-dopo 1695
Albini Franco, da Robbiate (Lecco), A., Urb. e Des., 1905-1977 –
1, 2.
Alessandrini Adriano, da Recanati (Macerata), P., n. 1909
Algardi Alessandro, da Bologna, S., Dec. e A., 1595-1654 – 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20,
21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34.
Alippi Andrea, A., att. a Roma 2° quarto sec. XIX 862
Alkamenes, S. greco, att. 2a metà sec. V av. Cristo 671
Allegretti Antonio, da Cuneo, S., 1840-1918
Allegretto di Nuzio (o Nuzi), da Fabriano (Ancona), P., c.
1316/20-dopo 1372
Allegrini Francesco, da Gubbio (?; Perugia), P., 1615/20-dopo
1679 – 1, 2, 3, 4.
Allori Alessandro d. il Bronzino, da Firenze, 1535-1607 – 1, 2, 3,
4, 5.
Allori Cristoforo, da Firenze, P., 1577-1621
Alunno (Niccolò di Liberatore, d.), da Foligno (Perugia), P., c.
1430-1502 – 1, 2, 3, 4, 5.
Amadori Francesco, S. att. a Roma, 1836-67
Amadori (o dell’Amadore) Francesco, da Casteldurante ora
Urbania (Pesaro e Urbino), S., not. dal 1530, m. 1555
Ameli Paolo, A., att. a Roma 1739-49
Amici Luigi, da Jesi (Ancona), S., 1817-97 – 1, 2.
Ammannati Bartolomeo, da Settignano (Firenze), A. e S., 1511-92
– 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Amorosi Antonio, da Comunanza (Ascoli Piceno), P., 1660-1738 –
1, 2.
Amoroso Giovanni, da Napoli, S., n. 1913
Andersen Hendrick Christian, da Bergen (Norvegia), S e P., 1872-
1940
Andolfi Benedetto, Ing. e A., not. 1874-83
Andrea del Brescianino, v. Piccinelli Andrea.
Andrea di Cione d. l’Orcagna, A., S. e P., att. 1343-68
Andrea del Sarto (Andrea d’Agnolo, d.), da Firenze, P., 1486-1531
– 1, 2, 3, 4.
Andrea del Verrocchio (Andrea di Francesco di Cione, d.), da
Firenze, O., P. e S., 1435-88
Andreotti Libero, da Pescia (Pistoia), P., 1875-1933
Anesi Paolo, da Roma, P., 1697-1773 – 1, 2, 3.
Angeletti Pietro, da Bologna, P., c. 1737-1798 – 1, 2.
Angeli Filippo, da Napoli (?), P., c. 1587/91 - c. 1630
Angeli Franco, da Roma, P., 1935-88
Angelini Annibale, da Perugia, P., 1812-84
Angelini Giuseppe, da Roma, S., 1735-1811
Anguissola Sofonisba, da Cremona, P., c. 1527-1626
Ansaldo Giovanni Andrea, da Voltri (Genova), P., 1584-1638
Antichi Prospero d. il Bresciano, da Brescia (?), S. e Stucc., att.
dal 1580, m. dopo 1592 – 1, 2, 3, 4, 5.
Antinori Giovanni, da Camerino (Macerata), A., 1734-92 – 1, 2, 3.
Antioco, S. ateniese, sec. I av. Cristo
Antonelli Antonio, da Roma, A., n. 1923
Antonelli Augusto, da Venezia, A., 1885-1960
Antonello da Messina (Antonello di Antonio, d.), da Messina, P., c.
1430-1479
Antonescu Petre, da Rîmnicu Sărat (Romania), A., 1873-1965
Antoniazzo Romano (Antoniazzo di Benedetto Aquili, d.), da
Roma, P., not. dal 1452, m. 1508-1512 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16.
Antonio da Brescia, S. att. a Roma, not. 1464-72
Antonio di Donnino del Mazziere, da Firenze, P., fine sec. XV-1547
Antonio del Massaro d. il Pastura, da Viterbo, P., c. 1450 - av.
1516 – 1, 2.
Antonio da Montecavallo, A. att. a Roma fine sec. XV-sec. XVI
Antonio da Sangallo il Giovane, da Firenze, A. e Ing. milit., 1484-
1546 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25.
Antonio da Sangallo il Vecchio (Antonio Giamberti, d.), da Firenze,
A. e Ing. milit., c. 1455-1534
Antonio Veneziano (Antonio di Francesco, d.), da Venezia, P., not.
1363-88
Antonio da Viterbo, P. umbro, 1° decennio sec. XV-dopo 1480 – 1,
2, 3, 4.
Apollodoro di Damasco, A. greco, att. 1a metà sec. II – 1, 2, 3.
Apolloni Adolfo, da Roma, S., 1855-1923 – 1, 2, 3.
Apollonios di Nestor, S. ateniese, sec. I av. Cristo
Apollonj (o Apolloni) Ghetti Bruno, da Roma, Ing., 1905-1989
Appiani Andrea, da Milano, P., 1754-1817 – 1, 2.
Aprile Francesco d. il Lombardo, da Carona (Svizzera), S., ?-1685
– 1, 2.
Aprile Nello, da Roma, A., not. 1944-51
Arbasia Cesare, da Saluzzo (Cuneo), P., not. dal 1567, m. 1608
Arconio Mario, P. e A., not. dal 1600, m. 1635 – 1, 2.
Arcucci Camillo, da Roma, A., att. dal 1650 c., m. 1667 – 1, 2, 3,
4.
Aristeas, da Afrodisiade (Caria), S., att. 1a metà sec. II
Aristonothos, Cer. greco, sec. VII a.C.
Armanni Osvaldo, da Perugia, A., 1855-1929
Arnolfo di Cambio, da Colle di Val d’Elsa (Siena), S. e A., c. 1245-
1302 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11.
Arrigucci Luigi, da Firenze. A., 1575-dopo 1643 – 1, 2, 3, 4.
Artusi Giovanni d. il Pescina, da Pescina (L’Aquila), Fond., not.
1658-68
Aschieri Pietro, da Roma, A. e Scen., 1889-1952 – 1, 2, 3, 4, 5.
Asdrubali Gianni, da Tuscania (Viterbo), op. art., n. 1955 – 1, 2.
Aspertini Amico, da Bologna, P., 1474/75-1552 – 1, 2, 3.
Aspetti Tiziano, da Padova, S. e B., 1565-1607
Asprucci Antonio, da Roma, A. e S., 1723-1808 – 1, 2, 3, 4, 5.
Asprucci Mario il Giovane, da Roma, A. e P., 1764-1804 – 1, 2, 3.
Asselijn Jan, da Dieppe (?; Francia), c. 1615-1652
Astorri Giuseppe, A., n. 1880, not. fino 1930 c. – 1, 2.
Astorri Pier Enrico, da Parigi, S., 1882-1926
Atenodoro, S. greco, sec. I
Attardi Ugo, da Sori (Genova), P. e S., n. 1923 – 1, 2.
Aureli Cesare, da Roma, S., 1843-1923
Avanzi (degli) Jacopo, da Bologna, P., ?-1416
Avellino Onofrio, da Napoli, P., c. 1674-1741 – 1, 2.
Avenali Marcello, da Roma, P., 1912-81
Avetta Ildo, da Alejandro (Argentina), A., n. 1916
Avondo Vittorio, da Torino, P., 1836-1910
Aymonino Carlo, da Roma, A., n. 1926 – 1, 2.
Azzurri Francesco, da Roma, A., 1831-1901 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.

Bacci Baccio Maria, da Firenze, S., 1888-1974


Baccio da Montelupo (Bartolomeo Sinibaldi, d.), da Montelupo
Fiorentino (Firenze), A. e S., 1469-1535
Bachiacca (Francesco di Ubertino Verdi, d.), da Borgo San
Lorenzo (Firenze), P., 1494-1557 – 1, 2.
Baciccia (Giovanni Battista Gaulli, d.), da Genova, P., 1639-1709 –
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19,
20, 21, 22, 23.
Bacigalupo Marco, da Milano, A., n. 1922
Bacon Francis, da Dublino (Irlanda) P., 1909-92
Badalocchi (o Badalocchio) Sisto, da Parma, P. e Inc., 1585-1645
– 1, 2, 3, 4.
Baglione Giovanni, da Roma, P., 1566-1644 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18.
Baini Felice, da Roma, S., not. 1824-37 – 1, 2, 3.
Balassi Mario, da Firenze, P., 1604-1667
Baldi Lazzaro, da Pistoia, P., c. 1624-1703 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19.
Baldini (o Ubaldini) Pietro Paolo, P. e S., att. a Roma 1628-c.
1680
Balducci Giovanni d. il Cosci, da Firenze, P., c. 1560-dopo 1631
Balestra Antonio, da Verona, P. e Inc., 1666-1740
Balla Giacomo, da Torino, P., 1871-1958 – 1, 2.
Ballio Morpurgo Vittorio, da Roma, A., 1890-1966 – 1, 2, 3, 4, 5.
Balzico Alfonso, da Cava de’ Tirreni (Salerno), P., 1825-1901
Bamboccio, v. Van Laer Pieter.
Bandinelli Baccio (Bartolomeo Bandinelli, d.), da Firenze, S.,
1488-1560
Banfi Gian Luigi, da Milano, A., 1910-1945
Baratta Francesco, da Carrara (?), S., c. 1590/1600-1666 – 1, 2,
3, 4.
Baratta Giovanni Maria, da Montemarcello (La Spezia), A. e Int.,
not. dal 1644, m. dopo 1679 – 1, 2, 3, 4.
Barattoni Luigi, A., att. a Roma 1° quarto sec. XVIII – 1, 2, 3, 4.
Barbalonga (Antonio Alberti, d.), da Messina, P., 1600-1649 – 1,
2.
Barbera Lucio, da Roma, A., n. 1937
Barberi Michelangelo, da Roma, Mos., 1787-1867
Barbieri Giulio, S. contemporaneo
Barbieri Pietro Andrea, da Fosdinovo (Massa-Carrara), P., 1684-
1730 – 1, 2.
Bargellini Giulio, da Firenze, P. e Inc., 1875-1936 – 1, 2.
Barigioni Filippo, da Roma, A. e S., c. 1690-1753 – 1, 2, 3, 4, 5,
6, 7, 8.
Barlach Ernst, da Wedel (Germania), S. e Inc., 1870-1938
Barluzzi Giulio, da Roma, A., 1878-1953 – 1, 2.
Barna da Siena, P., att. sec. XIV
Barocci Federico (Federico Fiori, d.), da Urbino, P., 1535-1612 –
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11.
Baroni Eugenio, da Taranto, S., 1888-1935
Baronzio Giovanni, da Rimini, P., not. 1345-62
Barozzi Giacinto, da Vignola (?; Modena), A., c. 1535/40-dopo
1584
Bartoli Giuseppe, da Carrara, S., sec. XVI
Bartolini Domenico, da Roma, P. e Inc., 1880-1960
Bartolini Lorenzo, da Vaiano (Prato), P. e S., 1777-1850
Bartolini Luigi, da Cupramontana (Ancona), Inc., 1892-1963
Bartolini Paolo, da Roma, S. e P., 1859-1930 – 1, 2.
Bartolomeo (fra’; Bartolomeo di Paolo del Fattorino d. Baccio della
Porta), da Prato, P., 1472-1517 – 1, 2, 3.
Bartolomeo della Gatta (Pietro di Antonio Dei, d.), da Firenze, P.,
1448-1502
Bartolomeo di Giovanni, da Firenze, P., not. 1488-1511 – 1, 2.
Bartolomeo Veneto, P., att. 1502-1530
Bartolozzi Francesco, da Firenze, Inc., c. 1727-1815
Barucci Pietro, da Roma, A., n. 1922 – 1, 2, 3.
Basaiti Marco, da Venezia, P., c. 1470/75-dopo 1530 – 1, 2, 3.
Basaldella Afro d. Afro, da Udine, P., 1912-76
Basaldella Mirko d. Mirko, da Udine, S., 1910-1969 – 1, 2, 3, 4.
Basile Ernesto, da Palermo, A., 1857-1932 – 1, 2, 3, 4, 5.
Baskin Leonard, da New Brunswick (USA), S., n. 1922
Bassano (Giovanni Battista Da Ponte, d.), da Bassano del Grappa
(Vicenza), P., 1553-1613
Bassano Francesco (Francesco Da Ponte, d.), da Bassano del
Grappa (Vicenza), P., 1549-92 – 1, 2, 3, 4, 5.
Bassano Girolamo (Girolamo Da Ponte, d.), da Bassano del
Grappa (Vicenza), P., 1566-1621
Bassano Jacopo (Jacopo Da Ponte, d.), da Bassano del Grappa
(Vicenza), P., c. 1510-1592 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Bassano Leandro (Leandro Da Ponte, d.), da Bassano del Grappa
(Vicenza), P., 1557-1622 – 1, 2, 3.
Bassetti Marcantonio, da Verona, P., 1586-1630
Bassi Giambattista, da Massa Lombarda (Ravenna), P., 1784-1852
Batoni Pompeo, da Lucca, P., 1708-1787 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16.
Battaglini Andrea, S., not. 1636-53
Battaglini Massimo, da Pòrtici (Napoli), A., n. 1924
Baugin Lubin, da Pithiviers (Francia), P., 1612-63
Bazaine Jean-René, da Parigi, P., 1904-?
Bazzani Cesare, da Bologna, Ing., 1873-1939 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9.
Beato Angelico (Guido di Pietro, fra’ Giovanni da Fiesole, d.), da
Vicchio (Firenze), P., c. 1395-1455 – 1, 2, 3.
Beccafumi Domenico (Domenico di Giacomo di Pace, d.), da
Monteaperti (Siena), P. e S., 1486-1551 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Beccaruzzi Francesco, da Conegliano (Treviso), P., c. 1492-c.
1562 – 1, 2, 3.
Beckmann Max, da Lipsia (Germania), P., 1884-1950
Beinaschi Giovanni Battista, da Fossano (Cuneo), P., 1638-88
Belgiojoso (Barbiano di) Lodovico, da Milano, A., 1909-2004
Bellano Bartolomeo, da Padova, S. e A., c. 1435-1496/97
Belle Alexis Simon, da Parigi, P., 1674-1734
Belli Pasquale, da Roma, A., 1752-1833 – 1, 2, 3.
Belli Vincenzo, O., 1710-1787
Bellini Aroldo, da Perugia, S., 1902-?
Bellini Giovanni, da Venezia, P., 1427-1516 – 1, 2, 3, 4, 5.
Beltrami Luca, da Milano, A., 1854-1933 – 1, 2.
Belvedere Andrea, da Napoli, P., c. 1652-1732
Benaglia Paolo, da Napoli, S., att. a Roma dal 1728, m. 1739 – 1,
2, 3.
Benaschi (o Beinaschi) Giovanni Battista, da Fossano (Cuneo), P.,
1636-88 – 1, 2, 3.
Benedetta (Cappa Marinetti, d.), da Roma, P., 1897-1977
Benefial Marco, da Roma, P., 1684-1764 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, 11, 12, 13.
Benigni Gino, da Soriano nel Cimino (Viterbo), A., ?-1948
Benini Mauro, da Ronta (Firenze), S., 1850-dopo 1907 – 1, 2.
Benvenuto di Giovanni, da Siena, P., 1436-c. 1518
Benzoni Giovanni Maria, da Songavazzo (Bergamo), S., 1799-
1873 – 1, 2.
Berarducci Francesco, da Roma, A., n. 1924 – 1, 2, 3.
Berchem Pieterzoon Nicolaes, da Haarlem (Olanda), P., 1620-83 –
1, 2.
Berentz Christian, da Amburgo (Germania), P., 1658-1722
Bergondi Andrea, S., att. a Roma sec. XVII – 1, 2, 3, 4, 5.
Bergonzoni Giovanni Battista (fra’), da Bologna, A., 1629-92
Berlinghieri Bonaventura, da Lucca, P., not. 1228-74
Bernard Émile, da Lilla (Francia), P., 1868-1941
Bernardini Domenico, A., not. 1939-52
Bernardino di Mariotto, da Perugia, P., c. 1478-1566 – 1, 2.
Bernich Ettore, da Roma, A., 1845 o 1848-1914
Bernini Gian Lorenzo, da Napoli, S., A., P. e Scen., 1598-1680 –
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19,
20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35,
36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51,
52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 67.
Bernini Paolo (Valentino), da Roma, S., 1648-1728
Bernini Pietro, da Sesto Fiorentino (Firenze), S., 1562-1629 – 1,
2, 3, 4, 5, 6, 7.
Berrettini Vincenzo, P. romano, not. 1774-1818 – 1, 2.
Berrettoni Niccolò, da Macerata, P., 1637-82
Berruguete Alonso, da Paredes de Nava (Spagna), P. e S., c.
1486-1561
Berthault Louis Martin, da Parigi, A. e Inc., ?-1823
Berthélot Guillaume, da Parigi, S., c. 1570-1648 – 1, 2, 3, 4.
Berti Antonio, da San Piero a Sieve (Firenze), S., n. 1904 – 1, 2,
3.
Bertoja (Jacopo Zanguidi, d.), da Parma, P., 1544-74
Bertosi Giuseppe, S. att. a Roma, not. 1720
Bertucci Giovanni Battista il Giovane, da Faenza (Ravenna), P.,
1539-1614 – 1, 2.
Bezzi Bartolomeo, da Fucine (Trento), S., 1851-1923
Biagetti Biagio, da Porto Recanati (Macerata), P., 1877-1948
Biagini Alfredo, da Roma, S., 1886-1952 – 1, 2, 3, 4.
Biagio d’Antonio, da Firenze, P., c. 1445-1516 – 1, 2.
Bianchi Domenico, da Anagni (Roma), op. art., n. 1955
Bianchi Pietro, da Roma, P., 1694-1740 – 1, 2, 3, 4, 5.
Bianchi Salvatore, da Roma, A., 1821-84 – 1, 2.
Biancini Angelo, da Castel Bolognese (Ravenna), S., n. 1911
Bicchierai Antonio, da Roma, P., 1688-1766 – 1, 2, 3, 4, 5.
Bicci di Lorenzo, da Firenze, P., 1373-1452 – 1, 2.
Bienaimé Luigi, da Carrara, S., 1795-1878
Biggi Antonio, da Carrara, S., 1904-1966 – 1, 2.
Biggi Giovanni, da Roma, S., 1847-1913
Bigot Theophile, P. att. a Roma 1620-34 – 1, 2.
Bigot Trophime, da Arles (Francia), P., 1579-dopo 1649 – 1, 2.
Bilivert Giovanni, da Firenze, P., 1576-1644
Biondi Ernesto, da Morolo (Frosinone), S., 1855-1917 – 1, 2.
Bissière Roger, da Villeréal (Francia), P., 1888-1964
Bissolo Pier Francesco, da Treviso, P., c. 1470/80-1554 – 1, 2.
Bistolfi Leonardo, da Casale Monferrato (Alessandria), S., 1859-
1933 – 1, 2.
Biuso Giorgio, da Roma, Ing., n. 1927 – 1, 2.
Bizzaccheri Francesco Carlo, da Roma, S. e A., 1655-1721 – 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7.
Blanckerhoff Jan Theunisz, da Alkmaar (Olanda), P., 1628-69
Blasetti Giuseppe, da Roma (?), S., 1826-1908
Boatieri Jacopo, da Bologna, P., att. 1a metà sec. XVI, m. dopo
1550 – 1, 2.
Boccaccino Boccaccio, da Cremona o Ferrara, P., c. 1466-1525
Boccioni Umberto, da Reggio di Calabria, P., Inc. e S., 1882-1916
Boccuni Raffaele, da Taranto, Ing., n. 1913
Bodini Floriano, da Gemonio (Varese), S., n. 1933 – 1, 2
Boldini Giovanni, da Ferrara, P., 1842-1931 – 1, 2, 3.
Bolgi Andrea d. il Carrarino, da Carrara, S., 1606-1656 – 1, 2.
Boltraffio Giovanni Antonio, da Milano, P., 1467-1516 – 1, 2.
Bompiani Roberto, da Roma, P., 1821-1908
Bonamico Sergio, da Roma, Ing., n. 1920
Bonasone Giulio, da Bologna, Inc. e acquafortista, n. 1488, not.
sino al 1574
Bonastri Lattanzio, da Lucignano (Arezzo), P., doc. a Roma 1572-
73, m. dopo 1580
Bonatti (o Bonati) Giovanni, da Ferrara, P., c. 1635-1681 – 1, 2.
Bonazzini Giovanni (Maria), A., att. inizi sec. XVII
Boni Giacomo, da Venezia, A., 1859-1925 – 1, 2, 3.
Bonichi Gino, v. Scipione.
Bonifacio Veronese (Bonifacio de’ Pitati, d.), da Verona, P., 1487-
1553 – 1, 2, 3, 4.
Bonifazi Ennio, Org., fine sec. XVI-1654
Bonito Giuseppe, da Castellammare di Stabia (Napoli), P., 1707-
1789
Bonizzo, P., att. a Roma c. 1000-1011
Bonzi Pietro Paolo, da Cortona (Arezzo), P., c. 1576-1636 – 1, 2,
3, 4.
Bordon (Bordone) Paris, da Treviso, P., 1500-1571 – 1, 2, 3, 4, 5.
Borghesi Giovanni Ventura, da Città di Castello (Perugia), P.,
1640-1708 – 1, 2.
Borgianni Orazio, da Roma, P., 1578-1616 – 1, 2, 3, 4, 5.
Borgognone (Jacques Courtois, d.), da Saint-Hippolyte (Francia),
P. e Inc., 1621-76 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14,
15, 16, 17.
Borrani Odoardo, da Pisa, P., 1834-1905
Borromini Francesco (Francesco Castelli, d.), da Bissone (Canton
Ticino), A., 1599-1667 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13,
14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29,
30, 31, 32.
Borsato Giuseppe, da Venezia, P., 1770-1849
Boschetti Massimo, da Pallanza (Verbania), A. e Urb., n. 1923
Boscoli Tommaso d. Maso, da Fiesole (Firenze), S., c. 1501/1503-
dopo 1578 – 1, 2.
Boselli Orfeo, da Roma, P., c. 1600-1667
Bosio Pietro, da Cremona, A. e S., not. dal 1813, m. 1855
Botero Fernando, da Medellin (Colombia), P., n. 1932
Both Jan, da Utrecht (Olanda), P., c. 1618-1652
Bottani Giuseppe, da Cremona, P., 1717-84 – 1, 2, 3, 4, 5.
Bottazzi Umberto, da Roma, Vet., 1865-1932 – 1, 2.
Botticelli Sandro (Alessandro di Mariano Filipepi, d.), da Firenze,
P., 1445-1510 – 1, 2, 3.
Boucher François, da Parigi, P., 1703-1770
Boulogne (de) Valentin, da Coulommiers (Francia), P., 1591-1632
– 1, 2, 3, 4.
Bourdelle Émile Antoine, da Montauban (Francia), S., 1861-1929
Bracci Filippo, da Roma (?), P., 1727-dopo 1746
Bracci Pietro, da Roma, S., 1700-1773 – 1t, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22.
Bramante (Donato d’Angelo, d.), da Monte Asdruvaldo presso
Fermignano (Pesaro e Urbino), P. e A., 1444-1514 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22,
23, 24, 25.
Bramantino (Bartolomeo Suardi, d.), da Milano, P. e A., c. 1465-
1530 – 1, 2.
Bramer Leonart, da Delft (Olanda), P., 1596-1674
Brancaccio Giovanni, da Pozzuoli (Napoli), P., 1903-1975 – 1, 2.
Brandani Federico, da Urbino, S. e Stucc., c. 1522/25-1575
Brandi Giacinto, da Poli (Roma), P., 1621-91 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9, 10, 11, 12, 13.
Braque Georges, da Argenteuil (Francia), P., 1882-1963
Brasini Armando, da Roma, A., 1879-1965 – 1, 2, 3, 4, 5, 8, 7, 8,
9.
Breccia Fratadocchi Ignazio, da Roma, Ing., n. 1927
Breccioli Bartolomeo, da Sant’Angelo in Vado (Pesaro e Urbino),
A., ?-1639
Breccioli Filippo, da Sant’Angelo in Vado (Pesaro e Urbino), A.,
1574-dopo 1627 – 1, 2.
Breck William George, Mos. americano, 1863-1920
Bregno Andrea, da Òsteno (Como), S. e A., 1421-1506 – 1, 2, 3,
4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19.
Bregno Antonio, da Righeggia (Òsteno; Como), S., att. 1425-57
Brescianino (Francesco Monti, d.), da Bologna, P., 1685-1768
Breton Luc François, da Besançon (Francia), S., 1731-1800
Bricci Plautilla, da Roma, P., not. 1560-64
Brill Matthijs, da Anversa (Belgio), P., 1550-83
Brill Paul, da Anversa (Belgio), P., 1554-1626 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15.
Brindisi Remo, da Roma, P., 1918-96
Briosco Andrea d. il Riccio, da Padova, S., A., Med. e O., c. 1470-
1532 – 1, 2.
Broggi Carlo, da Milano, A., 1881-1968 – 1, 2.
Bronzino (Agnolo di Cosimo, d.), da Firenze, P., 1503-1572 – 1, 2,
3, 4, 5, 6.
Brossard de Beaulieu Marie-Renée-Geneviève, P. e Inc., da La
Rochelle (Francia), 1760-?
Brueghel Abraham, da Anversa (Belgio), P., 1631-97
Brueghel Jan il Vecchio d. Jan dei Velluti, da Bruxelles, P., 1568-
1625 – 1, 2, 3, 4.
Brueghel Pieter il Vecchio, da Anversa (Belgio), P., 1526/31-1569
Brugnoli Annibale, da Perugia, P., 1843-1915
Bruner Tito, da Roma, A., 1896-1964
Brunetti Francesco, S., att. a Roma ultimo quarto sec. XVII – 1, 2.
Brusa Luigi, da Roma, A., 1906-1961
Bruschi Gasparo, da Firenze, S. e modellatore di porcellane, 1701-
1780
Bucci Anselmo, da Fossombrone (Pesaro e Urbino), P., Gr. e Cer.,
1887-1955
Bucciarelli Sante, A., sec. XIX
Buffet Bernard, da Parigi, P., n. 1928
Bugiardini Giuliano, da Firenze, P., 1475-1554 – 1, 2.
Buonarroti Michelangelo, v. Michelangelo.
Buonvicini Nicola, P. att. a Roma 2a metà sec. XVIII
Buonvicino Ambrogio, da Milano, S. e Stucc., c. 1552-1622 – 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Buratti Carlo, A., att. dal 1694, m. dopo 1734 – 1, 2.
Burba Garibaldi, A., not. 1903-1918 – 1, 2.
Burne-Jones Edward Coley, da Birmingham (Gran Bretagna), P.,
1833-98
Burri Alberto, da Città di Castello (Perugia), P., 1915-95 – 1, 2.
Busiri Vici Andrea, da Roma, A., 1818-1911 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17.
Busiri Vici Carlo, da Roma, A., 1856-1925 – 1, 2, 3, 4.
Busiri Vici Clemente, da Roma, A. e Ing., 1887-1965 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8.
Busiri Vici Saverio, da Roma, A., n. 1927
Butinone Bernardino, da Treviglio (Bergamo), P., c. 1450-dopo
1507
Butti Enrico, da Viggiù (Varese), S., 1847-1932
Buzio (o Buzzi) Ippolito, da Viggiù (Varese), S., c. 1562-1634 – 1,
2, 3, 4, 5, 6.

Cabianca Vincenzo, da Verona, P., 1827-1902


Caccia Orsola (Maddalena), da Moncalvo (Asti), P., dopo 1596-
1676
Caccianiga Francesco, da Milano, P. e Inc., 1700-1781
Cades Giuseppe, da Roma, P., 1750-99 – 1, 2, 3, 4.
Cadorin Guido, da Venezia, P., 1892-1976
Caffà Melchiorre, da Malta, S., 1635-c. 1667 – 1, 2, 3, 4.
Caffi Ippolito, da Belluno, P., 1809-1866
Caffieri Jean Jacques, da Parigi, S., 1725-92
Cafiero Vittorio, da Roma, A., 1901-1981 – 1, 2, 3, 4.
Cagli Corrado, da Ancona, P., 1910-1976 – 1, 2.
Cagnacci Guido, da Santarcàngelo di Romagna (Rimini), P., 1601-
1663 – 1, 2.
Caisotti Tommaso Amedeo, P. att. a Roma fine sec. XVII
Calandra Davide, da Torino, S., 1856-1915 – 1, 2.
Calandrucci Giacinto, da Palermo, P., 1646-1707 – 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7, 8.
Calcagnadoro Antonino, da Rieti, P., 1876-1935
Calcagni Tiberio, da Firenze, S. e A., 1532-65
Calcaprina Cino, A., not. 1944-51
Calder Alexander, da Philadelphia (USA), P., 1898-1976
Calderini Guglielmo, da Perugia, A., 1837-1916 – 1, 2.
Calderini Marco, da Torino, P., 1850-1941
Caliari Carlo d. Carletto, da Venezia, P., 1570-96
Calini Leo, da Ancona, Ing., 1903-1985 – 1, 2, 3.
Calvaert Denijs, da Anversa (Belgio), P., c. 1540-1619
Calza Bini Alberto, da Roma, A., 1881-1957 – 1, 2, 3.
Calza Bini Giorgio, da Livorno, A., n. 1908
Camassei Andrea, da Bevagna (Perugia), P. e Inc., 1602-1649 –
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
Cambellotti Duilio, da Roma, S., Inc., P., Scen. e Des., 1876-1960
– 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Cambiaso Luca, da Moneglia (Genova), P. e S., 1527-85 – 1, 2, 3.
Cametti Bernardino, da Roma, S., 1669-1736 – 1, 2, 3, 4, 5.
Cammarano Michele, da Napoli, P., 1835-1920
Campendonck Heinrich, da Krefeld (Germania), P., 1889-1957
Campi Bernardino, da Cremona, P., 1522-91
Campi Pietro Paolo, da Carrara, S., not. 1702-35 – 1, 2.
Campigli Massimo, da Firenze, P., 1895-1971
Camporese Giuseppe, da Roma, A., 1763-1822 – 1, 2, 3, 4.
Camporese Pietro il Giovane, da Roma, A., 1792-1873 – 1, 2, 3,
4, 5, 6, 7, 8, 9.
Camporese Pietro il Vecchio, da Roma, A., 1726-81 – 1, 2, 3.
Camuccini Vincenzo, da Roma, P., 1771-1844 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9, 10.
Canaletto (Giovanni Antonio Canal, d.), da Venezia, P. e Inc.,
1697-1768 – 1, 2, 3.
Cancellieri Bartolomeo, da Pistoia, P., sec. XVI
Cancellotti Gino, da Campiglia Marittima (Livorno), A., 1890-? – 1,
2.
Canevari Angelo, da Viterbo, Mos., 1901-1955 – 1, 2.
Canevari Antonio, da Roma, A., 1681-1759 – 1, 2, 3, 4.
Canevari Raffaele, da Roma, Ing., 1828-1900 – 1, 2, 3.
Canevari Silvio, da Viterbo o da Roma, S., 1893-1931
Caniggia Emanuele, da Roma, A., 1891-1986
Canina Luigi, da Casale Monferrato (Alessandria), A., 1795-1856 –
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
Canini Marcantonio, da Roma, S. e Inc., 1622-dopo 1669
Canino Ennio, da Castellammare di Stabia (Napoli), A., n. 1924 –
1, 2, 3, 4, 5.
Cannicci Niccolò, da Firenze, P., 1846-1906
Canonica Pietro, da Moncalieri (Torino), S., 1869-1959 – 1, 2, 3,
4, 5.
Canonico (o Canonica) Gregorio, da Roma, A., ?-1591
Canova Antonio, da Possagno (Treviso), S., A. e P., 1757-1822 –
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19.
Cantalamessa Papotti Nicola, da Ascoli Piceno, S., 1833-1910 – 1,
2.
Cantarini Simone, da Pesaro, P. e Inc., 1612-48 – 1, 2, 3, 4, 5.
Cantatore Domenico, da Ruvo di Puglia (Bari), P., 1906-1998 – 1.
Canuti Domenico Maria, da Bologna, P., 1626-84 – 1, 2.
Capanna Puccio, da Assisi, P., att. 2° quarto sec. XIV
Capizzano Achille, da Rende (Cosenza), Mos., 1907-1951
Capogrossi Giuseppe, da Roma, P., 1900-1972 – 1, 2, 3, 4, 5.
Caporale Francesco, da Roma (?), S., not. 1606-11
Caporali Giovanni Battista, da Perugia, P. e A., 1476-1554
Capozza Aldo, da Roma, Ing., n. 1923
Capparoni Silverio, da Roma, P., 1831-1917 – 1, 2, 3.
Capponi Giuseppe, da Cagliari, A., 1893-1936
Capponi Luigi, da Milano, S., att. sec. XV-XVI – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16.
Capriani Francesco, da Volterra (Pisa), A. e Int., att. dal 1565, m.
1594
Capriozzi (o Caprini) Marco, da Cìvita Castellana (Viterbo), P., att.
a Roma sec. XVIII
Caracciolo Giovanni Battista d. il Battistello, da Napoli, c. 1578-
1635
Caradosso (Cristoforo Foppa, d.), da Mondònico (Varese), S., O. e
Med., c. 1452-1527
Carapecchia Romano, A., att. a Roma 1a metà sec. XVIII
Caravaggio (Michelangelo Merisi, d.), da Milano o da Caravaggio
(Bergamo), P., 1571-1610 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11.
Carbone Dario, da Livorno, A., 1857/58-1934
Carbone Giovanni Bernardo, da Àlbaro (Verona), P., 1616-83
Carcani Filippo d. Filippone, S., att. a Roma 1670-91 – 1, 2, 3, 4.
Cardelli Aldo, da Cìvita Castellana (Viterbo), A., n. 1913
Cardelli Lorenzo, da Roma, P., 1733-94
Carena Felice, da Torino, P., 1879-1966 – 1, 2, 3.
Caretti Giovanni Battista, da Sant’Agata sopra Cannobio
(Verbano-Cùsio-Òssola), A., P., Dec. e Stucc., 1803-dopo 1850
Cariani (Giovanni Busi, d.), P bergamasco o veneziano., c. 1485-
1548
Carimini Luca, da Roma, A., 1830-90 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Carlandi Onorato, da Roma, P., 1848-1939
Carlo di Castellamonte, da Castellamonte (Torino), A., 1560-1641
Carlone Giovanni Andrea, da Genova, P., 1639-97 – 1, 2.
Carnevale Nicola, A. att. a Roma, not. 1840-72
Carnevale Pietro, da Castelnuovo Scrivia (Alessandria), Int. e A.,
1839-95
Caroselli Angelo, da Roma, P., 1585-1652 – 1, 2.
Caroselli Cesare, da Genazzano (Roma), P., 1847-1927
Caroto Francesco o Giovanni Francesco, da Verona, P., 1480-
1555
Carpaccio Vittore, da Venezia, P., 1460/65-1525/26
Carpi Aldo, da Milano, P., 1886-1973
Carpioni Giulio, da Venezia, P., 1613-79
Carrà Carlo, da Quargnento (Alessandria), P. e Inc., 1881-1966 –
1, 2, 3, 4, 5, 6.
Carracci Agostino, da Bologna, P., Inc. e S., 1557-1602 – 1, 2, 3,
4, 5.
Carracci Annibale, da Bologna, P. e Inc., 1560-1609 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17.
Carracci Antonio, da Venezia, P., c. 1589-1618 – 1, 2, 3, 4.
Carracci Ludovico, da Bologna, P., 1555-1619 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Carradori Francesco, da Pistoia, S. e Stucc., 1747-1824 – 1, 2.
Carriera Rosalba, da Venezia, P., 1675-1757 – 1, 2.
Carrino Nicola, da Taranto, S., n. 1932
Carta Natale, da Messina, P., 1800-1888
Cartari Giulio, S., att. a Roma 1665-78 – 1, 2.
Casali Andrea, da Roma, P., 1705-1784
Casolani Cristoforo, da Roma, P., 1587-1629 – 1, 2.
Casoni Antonio Felice, da Ancona, A. e Med., 1559-1634 – 1, 2, 3,
4.
Casorati Felice, da Novara, P., Inc. e Scen., 1886-1963 – 1, 2, 3,
4.
Cassinari Bruno, da Piacenza, P. e Gr., 1912-92
Castellani Enrico, da Castelmassa (Rovigo), P. e op. art., n. 1930
Castellazzi Massimo, da Ancona, A., 1901-1977 – 1, 2, 3, 4.
Castelli Alfio, da Senigallia (Ancona), S., n. 1917
Castelli Domenico, da Melide (Canton Ticino), A., ?-1658 – 1, 2,
3, 4, 5.
Castelli Enrico, da Roma, S., 1890-? – 1, 2.
Castelli Matteo, da Melide (Canton Ticino), A., att. c. 1604-1626
Castelli Stefano, da Melide (Canton Ticino), Stucc. att. a Roma,
not. 1631
Castello Bernardo, da Genova, P., c. 1557-1629
Castiglioni Giannino, da Milano, S., 1884-1971
Cataldi Amleto, da Napoli, S., 1882-1930 – 1, 2, 3, 4.
Cati Pasquale, da Belvedere Ostrense (Ancona), P., 1537-1612 –
1, 2, 3, 4.
Cattaneo Raffaele, da Rovigo, A., 1861-89
Cavaceppi Bartolomeo, da Roma, S., c. 1716-1799
Cavalier d’Arpino (Giuseppe Cesari, d.), da Arpino (Frosinone), P.,
1568-1640 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32,
33, 34, 35.
Cavallini Francesco, da Carrara o da Bissone (Canton Ticino), S.,
doc. a Roma 1672-1703 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Cavallini Pietro (Pietro de’ Cerroni, d.), da Roma, P. e Mos., not.
1273-c. 1321 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Cavallino Bernardo, da Napoli, P., 1616-c. 1656
Cavallucci Antonio, da Sermoneta (Latina), P., 1752-95 – 1, 2.
Cavarozzi Bartolomeo, da Viterbo, P., 1588?-1625
Ceccarini Giovanni, da Roma, S., c. 1790-1861
Ceccarini Sebastiano, da Fano (Pesaro e Urbino), P., 1703-1783 –
1.
Ceccobelli Bruno, da Monte Castello di Vibio (Perugia), op. art., n.
1952
Cecco del Caravaggio, P., att. a Roma 2° decennio sec. XVII
Cecioni Adriano, da Fontebuona (Firenze), P. e S., 1836-86
Celentano Bernardo, da Napoli, P., 1835-63 – 1, 2.
Celer, A. e Ing. romano, att. 54-68 d.C.,
Celio Gaspare, da Roma, P. e A., 1571-1640 – 1, 2, 3, 4.
Cellini Benvenuto, da Firenze, S., 1500-1571
Cellini Giuseppe, da Roma, P., 1855-1940
Cencetti Adalberto, da Roma, S., 1847-1907
Censore Orazio, da Bologna, S., not. dal 1569, m. 1622 – 1, 2.
Ceracchini Gisberto, da Foiano della Chiana (Arezzo), P., 1899-
1982 – 1, 2, 3.
Ceradini Mario, da Torino, A., 1865-1940
Cerano (Giovan Battista Crespi, d.), da Cerano (Novara), P., S. e
A., c. 1575-1632
Ceroli Mario, da Castelfrentano (Chieti), S. e Scen., n. 1938
Cerquozzi Michelangelo d. Michelangelo delle Battaglie, da Roma,
P., 1602-1660 – 1, 2, 3, 4.
Cerrini Giovanni Domenico d. il Cavalier Perugino, da Perugia, P.,
1609-1681 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8
Cerruti Michelangelo, da Roma, P., 1663-1748 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Cesanelli Lorenzo Corrado, da Ancona, A., 1898-1965
Cesare da Sesto, da Sesto Calende (?; Varese), P., 1477-1523
Cesari Bernardino, da Arpino (Frosinone), P., 1571-1622 – 1, 2.
Cesi Bartolomeo, da Bologna, P., 1556-1629
Cesi Carlo, da Antrodoco (Rieti), P., 1626-86 – 1, 2.
Céspedes Paolo, P., att. a Roma 2a metà sec. XVI
Cesura Pompeo, da L’Aquila (?), P., ?-1571
Chabord Joseph, da Chambéry (Francia), P., 1786-1848
Chagall Marc, da Vitebsk (Bielorussia), P., 1887-1985
Challe Simon, da Parigi, S., 1719-65
Chelli Carlo, da Carrara, S., 1807-1877
Chialli Vincenzo, da Città di Castello (Perugia), P., 1784-1840
Chiapponi Stanislao, da Roma, Ing., n. 1932
Chiaradia Enrico, da Càneva (Pordenone), S., 1851-1901
Chiari Fabrizio, da Roma, P. e Inc., c. 1615-1695
Chiari Giuseppe Bartolomeo, da Roma (?), P., 1654-1727 – 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16.
Chiari Tommaso, da Roma, P., 1665-1733
Chiesa Pasquale, da Genova, P., att. a Roma c. 1562 - 1, 2.
Chillida Juantegue Eduardo, da San Sebastián (Spagna), S., n.
1924
Chimenti Jacopo d. l’Empoli, da Firenze, P., 1551-1640
Chinard Joseph, da Lione (Francia), S., 1756-1813
Chini Galileo, da Firenze, P., Cer. e Scen., 1873-1956 – 1, 2.
Ciampelli Agostino, da Firenze, P., 1565-1630 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9.
Ciardi Guglielmo, da Venezia, P., 1842-1917
Ciarpi Baccio, da Barga (Lucca), P., 1574-1654 – 1, 2, 3, 4, 5.
Cifariello Filippo, da Molfetta (Bari), S., 1864-1936
Cignani Carlo, da Bologna, P., 1628-1719 – 1, 2, 3.
Cigoli (Ludovico Cardi, d.), da Cìgoli di San Miniato (Pisa), P. e A.,
1559-1613 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Cimabue (Cenni di Pepo, d.), da Firenze, P., c. 1240-1302
Cioli Alessandro, da Settignano (?; Firenze), S., doc. a Roma
1561-83
Cioli Giacomo, da Roma, A., ?-1734
Cipolla Antonio, da Napoli, A., 1822-74 – 1, 2, 3, 4, 5.
Cipriani Sebastiano, da Siena, A., c. 1660-c. 1740 – 1, 2.
Circignani Antonio d. il Pomarancio, da Città della Pieve (Perugia),
P., c. 1568-1629 – 1, 2, 3, 4, 5.
Circignani Nicolò d. il Pomarancio, da Pomarance (Pisa), P., c.
1517/24-dopo 1597 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Cirilli Guido, da Ancona, A., 1871-1954
Cisterna Eugenio, da Genzano (Roma), P. e Dec., 1862-1933 – 1,
2.
Civetta (Herri o Hendrik Met de Bles, d.), da Bouvignes o Dinant
(Belgio), P., c. 1510-dopo 1550
Clementi Alberto, da Nizza (Francia), A., n. 1909
Clerici Fabrizio, da Milano, P., 1913-93
Clerici Maurizio, da Milano, A., n. 1929
Clodion Claude-Michel, da Nancy (Francia), S., 1738-1814
Cobaert Jacopo (Jacob Cornelisz, d. anche Copè Fiammingo), S.,
Inc. e O. fiammingo, c. 1530/35-1615 – 1, 2.
Coccetti Liborio, da Foligno (Perugia), P., not. dal 1775, m. 1816
– 1, 2.
Coccia Francesco, da Palestrina (Roma), S., 1902-1981 – 1, 2.
Codazzi Viviano, da Bergamo, P., c. 1604-1670 – 1, 2.
Codde Pieter, da Amsterdam (Olanda), P., 1599-1678
Coghetti Francesco, da Bergamo, P., 1801-1875 – 1, 2, 3.
Cola dell’Amatrice (Nicola Filotesio, d.), da Amatrice (Rieti), P. e
A., 1489-1559
Coleman Henry, da Roma, P., 1846-1911 – 1, 2.
Coli Giovanni, da San Quìrico di Moriano (Lucca), P., 1636-81 – 1,
2, 3.
Colla Ettore, da Parma, S. e P., 1896-1968 – 1, 2, 3, 4.
Collamarini Edoardo, da Bologna, A., 1863-1928
Colonna Angelo Michele, da Rovenna di Cernobbio (Como), P.,
1604-1687
Colosimo Roberto, da Roma, Ing., n. 1934
Commodi Andrea, da Firenze, P., 1560-1638 – 1, 2.
Conca Giovanni, da Gaeta (Latina), P., c. 1690-1771 – 1, 2, 3, 4.
Conca Sebastiano, da Gaeta (Latina), P., 1680-1764 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22,
23.
Conca Tommaso, da Roma, P., 1734-1822 – 1, 2, 3, 4.
Concioli Antonio, da Pèrgola (Pesaro e Urbino), P., c. 1736-1820 –
1, 2.
Confalonieri Francesco, da Costa Masnaga (Lecco), S., 1850-1925
Consadori Silvio, da Brescia, P., n. 1909 – 1, 2.
Consagra Pietro, da Mazara del Vallo (Trapani), S., 1920-2005 –
1, 2.
Consoni Nicola, da Ceprano (Frosinone), P., 1814-84
Consorti Ludovico (Vico), da Semproniano (Grosseto), S., 1902-79
– 1, 2, 3.
Conti Cesare, da Ancona, P., c. 1550-1622
Conti Primo, da Firenze, P., 1900-1988 – 1, 2, 3, 4.
Contini Francesco, da Roma, A., 1599-1669
Contini Giovan Battista, da Roma, A., 1641-1723 – 1, 2, 3, 4, 5,
6, 7, 8, 9, 10, 11.
Coppedè Gino, da Firenze, A., 1886-1927 – 1, 2.
Coppi Jacopo, da Perètola (Firenze), P., 1523-91
Cordier Nicolas d. il Franciosino, S. lorenese, 1567-1612 – 1, 2, 3,
4, 5, 6, 7, 8, 9.
Cornacchini Agostino, da Pescia (Pistoia), S., 1683-1740 – 1, 2, 3,
4, 5.
Correggio (Antonio Allegri, d.), da Correggio (Reggio nell’Emilia),
P., 1489-1534 – 1, 2.
Corsini Agostino, da Bologna, S., 1688-1772 – 1, 2, 3.
Cortese Federico, da Napoli, P., 1829-1913
Corvi Domenico, da Viterbo, P., 1721-1803 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10.
Corzas Francisco, da Città del Messico, P., n. 1936
Cosmati, fam. di S. e Mar., att. in Lazio sec. XII-XIII – 1, 2.
Costa Lorenzo, da Ferrara, P., c. 1460-1535 – 1, 2.
Costa Nino (Giovanni), da Roma, P., 1826-1903 – 1, 2.
Costa Pietro, da Genova, S., 1849-1901
Costa Renato, da Bologna, A., n. 1924
Costa Vincenzo, Ing., not. 1899-1904
Costantini Costantino, da Roma, A., 1904-? – 1, 2.
Costantini Ermenegildo, da Roma, P., 1731-91
Costanzi Placido, da Roma, P., 1702-1759 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10, 11.
Costanzi Simone, A., att. a Roma dal 1695 c., m. 1709
Cotani Paolo, da Roma, P., n. 1940
Cotignola Giovanni Battista, S., att. a Roma 2a metà sec. XVI
Courbet Gustave, da Ornans (Francia), P., 1819-77
Cousin Louis, da Bruxelles (?), P., c. 1606-1667/68
Coxie Michiel, da Malines (Belgio), P., 1499-1592
Cozza Francesco, da Stilo (Reggio di Calabria), P. e Inc., 1605-
1682 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Cranach Lucas il Vecchio, da Kronach (Germania), P. e Inc.,
1472-1553 – 1, 2.
Cremona Tranquillo, da Pavia, P., 1837-78
Crescenzi Giovanni Battista, da Roma, P. e A., 1577-1635
Crescini Pietro, da Milano, A., n. 1923
Crespi Giuseppe Maria d. lo Spagnolo, da Bologna, P. e Inc.,
1665-1747 – 1, 2, 3.
Creti Donato, da Cremona, P., 1671-1749 – 1, 2, 3.
Crivelli Carlo, da Venezia, P., 1430/35-1494/95 – 1, 2.
Crivelli Vittore, da Venezia, P., c. 1440-1501/1502
Croce Baldassarre, da Bologna, P., 1558-1628 – 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7, 8, 9, 10.
Crocetti Venanzio, da Giulianova (Teramo), S., n. 1913 – 1, 2, 3,
4, 5.
Crovara (o Corvara) Cesare, A. att. a Roma dal 1682, m. 1703
Cucchi Enzo, da Morro d’Alba (Ancona), P., n. 1950
Czechowicz Simone, da Cracovia (Polonia), P., 1689-1775

Daddi Bernardo, da Firenze, P., c. 1290-c. 1348 – 1, 2.


Dal Sole Gian Giuseppe (Gian Gioseffo), da Bologna, P., 1654-
1719
Dalí Salvador, da Figueras (Spagna), P., 1904-1989
Dall’Oca Bianca Angelo, da Verona, P., 1858-1942
Dall’Olio Claudio, da Roma, A., n. 1920
Daniele da Volterra (Daniele Ricciarelli, d.), da Volterra (Pisa), P.
e S., c. 1509-1566 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Danti Antonio, P., sec. XVI
D’Antino Nicola, da Caramànico (Pescara), P., 1880-1966
Dardi Costantino, da Cervignano del Friùli (Udine), A., 1936-91
David Antonio, da Venezia, P., av. 1684-dopo 1735
David Jacques-Louis, da Parigi, P., 1748-1825 – 1, 2.
David Marco, A., att. a Roma 1754-65
D’Azeglio Massimo (Massimo Taparelli d’Azeglio), da Torino, P.,
1798-1866
Dazzi Arturo, da Carrara, S., 1881-1966 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
De Albertis Edoardo, da Genova, S., Dec. e Med., 1874-1950
De Albertis Sebastiano, da Milano, P., 1828-97
De Angelis Domenico, da Ponzano Romano (Roma), P., 1735-
1804 – 1, 2, 3, 4.
De Angelis Giulio, da Roma, A., 1850-1906 – 1, 2, 3, 4.
De Caro Marco, P. napoletano, sec. XVIII
De Carolis Adolfo, da Montefiore dell’Aso (Ascoli Piceno), P. e
Inc., 1874-1928 – 1, 2, 3.
De Castro Felipe, da Noya (Spagna), S., 1711-75
De Chirico Giorgio, da Volos (Grecia), P., 1888-1978 – 1, 2, 3, 4,
5.
De Conti Bernardino, da Castelseprio (Varese) o da Milano, P.,
1470-dopo 1523
Decq Odil, da Laval (Francia), A. e Urb., n. 1955
De’ Dolci Giovannino, da Firenze, Int., A. e S., not. da c. 1450, m.
c. 1486 – 1, 2.
De’ Dolci Marco, da Firenze, Int. e S., not. 1462-1506
De Dominicis Carlo, da Roma, A., 1696-1758 – 1, 2.
De Fabris Giuseppe, da Nove (Vicenza), S., 1790-1860 – 1, 2.
Degas Edgar Germaine Hilaire, da Parigi, P. e S., 1834-1917
De Hooch Pieter, da Rotterdam (Olanda), P., 1629-dopo 1684
De La Haye Lucas d. Luca Fiammingo, P., 2a metà sec. XVIII
Delattre Pierre, P. francese, att. a Roma metà sec. XVII
Del Barba Ginesio, da Massa, P., 1691-1762
Del Bufalo Edmondo, da Poggio Mirteto (Rieti), 1883-1968
Del Debbio Enrico, da Carrara, A., 1891-1973 – 1, 2, 3,
Del Debbio Renzo, da Roma, A., n. 1918
Del Duca Jacopo, da Cefalù (Palermo), S. e A., c. 1520-c. 1601 –
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Del Duca Ludovico, da Cefalù (?; Palermo), Fond., not. dal 1551,
m. dopo 1601
Del Grande Antonio, da Roma, A., 1625-71 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Dell’Altissimo Cristofano, da Firenze, P., ?-1605
Dell’Anese Tullio, A. contemporaneo
Della Bitta Antonio, da Roma, S., 1807-dopo 1873
Della Cornia Antonio, P., att. a Roma 1a metà sec. XVII
Della Greca Felice, da Roma, A., 1626-77 – 1, 2.
Della Greca Vincenzo, da Palermo, A., 1592-1661
Della Porta Giacomo, da Genova, A. e S., c. 1533-1602 – 1, 2, 3,
4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21,
22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37,
38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48.
Della Porta Giovanni Battista, da Porlezza (Como), S., 1542-1602
– 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Della Porta Guglielmo, da Porlezza (Como), S., Stucc. e A., c.
1515-1577 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Della Porta Teodoro, da Roma, S., 1567-1638 – 1, 2.
Della Porta Tommaso, da Porlezza (Como), S., c. 1550-1606 – 1,
2, 3.
Della Robbia Luca, da Firenze, S. e Cer., c. 1400-1482
Della Rocca Aldo, da Roma, A., 1906-1954
Della Valle Filippo, da Firenze, S., 1697-1768 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21.
Delleani Lorenzo, da Pollone (Biella), P., 1840-1908
De Luca Luigi, da Napoli, S., 1856-1938
De Marchis Tommaso, da Roma, A., 1693-1759 – 1, 2.
De Matteis Paolo, da Piano di Orria (Salerno), P., 1662-1728
De’ Rossi Nardo, S. forse toscano, 1520-dopo 1566
Demetriano, A., att. a Roma 1a metà sec. II
Denis Maurice, da Granville (Francia), P., 1870-1943 – 1, 2.
De Nittis Giuseppe, da Barletta (Bari), P., 1846-84
Dente Marco, da Ravenna, Inc., n. av. 1493, m. 1527
Deodato di Cosma il Giovane, da Roma, S., att. 2a metà sec. XIII –
1, 2, 3.
De Pace Luigi, Mos. veneziano, att. a Roma 1° quarto sec. XVI
Depero Fortunato, da Fondo (Trento), P., 1892-1960 – 1, 2, 3.
De’ Pietri Pietro (Antonio), da Premia (Novara), P., 1663-1716
De Pisis Filippo (Filippo Tibertelli, d.), da Ferrara, P., 1896-1956 –
1, 2, 3.
De Renzi Mario, da Roma, A., 1897-1967 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10, 11.
Dérizet Antoine, da Lione (Francia), A., 1697-1768 – 1, 2, 3.
De Rossi Angelo, da Genova, S., 1671-1715 – 1, 2, 3.
De Rossi Domenico, da Roma, A., 1659-1703
De Rossi Giovanni Antonio, da Roma, A., 1619-95 – 1, 2, 3, 4, 5,
6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17.
De Rossi Gregorio, da Modena, S., c. 1570-1637/43
De Rossi Marcantonio, da Roma, A., c. 1607-1661 – 1, 2, 3.
De Rossi Mattia, da Roma, A., 1637-95 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, 11.
De Rossi Pasquale d. Pasqualino, da Vicenza, P., 1641-1725
De Rossi Vincenzo, da Fièsole (Firenze), S. e A., 1525-87 – 1, 2,
3.
Deruet Claude, da Nancy (Francia), P. e Inc., 1588-1660
De Sanctis Francesco, da Roma, A., 1693-1740 – 1, 2.
De Sanctis Guglielmo, da Roma, P., 1829-1911
Desideri Mario, da Napoli, Ing., n. 1925
Desprez Louis, da Parigi, S., 1789-1870
Dessì Gianni, da Roma, op. art., n. 1955 – 1, 2.
De Troy Jean François, da Parigi, P., 1679-1752 – 1, 2, 3.
De Vecchi Gaspare, da Roma, A., att. dal 1628, m. 1643 – 1, 2, 3,
4.
De Vecchi Giovanni, da Sansepolcro (Arezzo), P., c. 1537-1615 –
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11.
De Veroli Carlo, da Carrara, S., 1890-1938
De Vico Raffaele, da Penne (Pescara), A., 1881-1969 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Diamante (fra’), da Terranuova Bracciolini (Arezzo), P., 1430-
dopo 1498
Di Cagno Nicola d. Nico, da Roma, Ing. e Urb., 1922-85
Di Castro Angelo, da Roma, A., 1901-1989
Diego da Careri (fra’), da Reggio di Calabria, S., ?-1661
Dinelli Fabio, da Roma, Ing., n. 1906
Dionigi Marianna, da Roma, P., 1756-1826
Di Virgilio Francione Dino, da Roma, A., 1927-85
Dix Otto, da Gera (Germania), P. e Inc., 1891-1969
Dolci Carlo, da Firenze, P., 1616-86
Domenichino (Domenico Zampieri, d.), da Bologna, P. e A., 1581-
1641 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28.
Dompè Maria, da Fermo (Ascoli Piceno), S., n. 1959
Donatello (Donato di Niccolò de’ Bardi, d.), da Firenze, S., 1386 ?
-1466 – 1, 2.
Donghi Antonio, da Roma, P., 1897-1963
Dorazio Piero, da Roma, P., 1927-2005 – 1, 2.
Dori Alessandro, da Frosinone, A., att. a Roma dal 1744, m. 1772
Dosio Giovanni Antonio, da Firenze o San Gimignano (Siena), A. e
S., 1533-c. 1609 – 1, 2, 3.
Dossi Dosso (Giovanni Luteri, d.), da Ferrara, P., 1477/89-1542 –
1, 2, 3, 4, 5, 6.
Drei Ercole, da Faenza (Ravenna), S., 1886-1973 – 1, 2, 3, 4.
Drei Pier Paolo, da Carrara (?), P. e A., not. a Roma c. 1650
Ducros Abraham-Louis-Rodolphe, da Moudon (Svizzera), P.,
1748-1810 – 1, 2.
Dughet Gaspard, da Roma, P. e Inc. 1615-75 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9.
Dunkel William, da Mannheim (Germania), P., 1818-88
Duprà Domenico, da Torino, P., 1689-1770
Dupré Giovanni, da Siena, S., 1817-82
Duquesnoy François d. Francesco Fiammingo, da Bruxelles, S., c.
1597-1643 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Dürer Hans, da Norimberga (Germania), P. e Inc., 1490-1538
Eberlein Gustav, da Spickershausen (Germania), S., 1847-1926
Eckersberg Christoffer Wilhelm, da Blaakrog, P., 1783-1853
Emanuele da Como (fra’), P., c. 1625-1701 – 1, 2.
Energici Alfredo, da Buenos Aires, A., 1894-?
Ensor James, da Ostenda (Belgio), P., 1860-1949
Epitteto, Cer. attico, att. ultimo quarto sec. VI av. Cristo
Ernst Max, da Brühl (Germania), P. e S., 1891-1976
Eroli Pio, da Roma, P., n. 1903
Eroli Silvio, da Roma, P., n. 1904
Ersoch Gioacchino, A., 1815-1902 – 1, 2.
Esposito Gaetano, da Salerno, P., 1858-1911
Este (d’) Alessandro, da Roma, S., 1787-1826
Este (d’) Antonio, da Venezia, S., 1754-1837 – 1, 2.
Eucharides, Cer. attico, att. c. 500 av. Cristo
Euphronios, Cer. attico, sec. VI-V av. Cristo
Evangelisti Filippo, da Roma, P., 1684-1761
Evergood Philip, da New York, P., n. 1901
Exekìas, Cer. attico, att. 550-525 av. Cristo

Fabj-Altini Francesco, da Fabriano (Ancona), S., 1830-1906 – 1,


2.
Fabre François-Xavier, da Montpellier (Francia), P., 1766-1837
Fabris Giuseppe, da Nove (Vicenza), S., 1790-1860 – 1, 2, 3.
Fabullus, P. romano, att. c. 64-68 d. Cristo
Fadigati Vasco, da Trieste, A., n. 1902
Fagnoni Raffaello, da Firenze, A. e Urb., n. 1901
Falcone Aniello, da Napoli, P., 1607-1656 – 1, 2.
Fancelli Cosimo, da Roma, S., 1620-88 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, 11, 12, 13, 14.
Fancelli Francesco, da Roma, S., 1624-81
Fancelli Giacomo Antonio, da Roma, S., 1619-71 – 1, 2, 3, 4.
Fancelli Luca, da Settignano (Firenze), A. e S., 1430-95
Fanzago Cosimo, da Clusone (Bergamo), A., 1591-1678 – 1, 2, 3.
Fariello Francesco, da Paternòpoli (Avellino), A., n. 1910 – 1, 2.
Faruffini Federico, da Sesto San Giovanni (Milano), P. e Inc.,
1833-69
Fasolo Vincenzo, da Spalato (Croazia), A., 1885-1961 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7.
Fattori Giovanni, da Livorno, P. e Inc., 1825-1908
Faure Giovanni, da Tolosa (Francia), P., 1806-1867
Fautrier Jean, da Parigi, P. e S., 1898-1964 – 1, 2.
Fazzini Pericle, da Grottammare (Ascoli Piceno), S., 1913-87 – 1,
2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Fegiz Carlo, da Roma, A., n. 1932
Feininger Lyonel, da New York, P. e Inc., 1871-1956
Felici Vincenzo, P. e S. att. a Roma, not. 1667-1701 – 1, 2.
Fenzone Ferraù d. Ferraù da Faenza, da Faenza (Ravenna), P.,
1562-1645 – 1, 2, 3.
Fernandez Pedro, P. spagnolo, att. 1° quarto sec. XVI
Ferrabosco Martino, Stucc., Inc. e A., att. a Roma dal 1606, m.
1623 – 1, 2.
Ferrari Ettore, da Roma, S. e P., 1845-1929 – 1, 2, 3, 4.
Ferrari Filippo, da Roma, S., 1819-97
Ferrari Francesco, A. e P., att. a Roma 1721-44 – 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7, 8.
Ferrata Ercole, da Pellio Inferiore (Como), S., 1610-1686 – 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20,
21, 22, 23.
Ferrazzi Ferruccio, da Roma, P. e S., 1891-1979 – 1, 2, 3, 4.
Ferri Ciro, da Roma, P., 1634-89 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11,
12, 13.
Ferri Lorenzo, S. contemporaneo
Ferri Pietro, da Ronciglione (Viterbo), A., 1902-1975
Ferroni Egisto, da Lastra a Signa (Firenze), P., 1835-1912
Ferrucci Pompeo, da Firenze, S., c. 1566-1637 – 1, 2, 3, 4.
Ferrucci Sebastiano, da Firenze (?), S., 1479-dopo 1503
Festa Tano, da Roma, P., 1938-88 – 1, 2.
Fetti Domenico, da Roma, P., 1589-1623
Fiammeri Giovanni Battista, da L’Aquila, P., 1530-1606
Ficherelli Felice, da San Gimignano (Siena), P., 1605-1660
Figini Luigi, da Milano, A., 1903-1984
Filarete (Antonio Averlino o Averulino, d.), da Firenze, A. e S., c.
1400-c. 1469 – 1, 2.
Filocamo Luigi, da Alessandria d’Egitto, P., n. 1906
Finelli Giuliano, da Carrara, S., 1601 o 1602-1653 – 1, 2, 3, 4, 5,
6.
Finelli Pietro, da Carrara, S., 1770-1812
Fiorentino Mario, da Roma, A. e Urb., 1918-82 – 1, 2, 3, 4.
Fiorenzo di Lorenzo, da Perugia, P., c. 1440-1520/25 – 1, 2.
Fiori Federico, v. Barocci Federico.
Fiori Giovanni Francesco, A., 1709-1784 – 1, 2.
Fioriti Bernardino d. il Focoso, da Roma, S., att. 2a metà sec. XVII
– 1, 2.
Fioroni Alessandro, da Roma, A., 1926-80
Fischer Kay, A. danese, 1893-1965
Foderà Leonardo, da Palermo, Ing., 1914-83
Foggini Giovanni Battista, da Firenze, S. e A., 1652-1725 – 1, 2.
Fogolino Marcello, da Vicenza, P., 1480-dopo 1549
Fontana Carlo, da Brusata (Canton Ticino), A., 1634-1714 – 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20,
21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30.
Fontana Carlo, da Carrara, S., 1865-1956
Fontana Carlo Stefano, A. att. a Roma 1700-c. 1719 – 1, 2.
Fontana Domenico, da Melide (Canton Ticino), A. e Ing., 1543-
1607 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28.
Fontana Francesco, da Roma, A., 1668-1708 – 1, 2, 3.
Fontana Giovanni, da Melide (Canton Ticino), A., 1540-1614 – 1,
2, 3, 4, 5.
Fontana Girolamo, da Verona, P., not. 1545-51
Fontana Lavinia, da Bologna, P., 1552-1614 – 1, 2, 3, 4, 5.
Fontana Lucio, da Rosario di Santa Fé (Argentina), P. e S., 1899-
1968 – 1, 2, 3, 4.
Fontana Luigi, da Monte San Pietrangeli (Ascoli Piceno), S., 1827-
1908 – 1, 2, 3, 4, 5.
Fontana Mauro, da Roma, A., 1701-1767
Fontana Prospero, da Bologna, P., 1512-97 – 1, 2, 3, 4.
Fontanesi Antonio, da Reggio nell’Emilia, P. e Inc., 1818-82
Fontebuoni Anastasio, da Firenze, P., 1571-1626 – 1, 2, 3, 4.
Forti Nicolò, A., att. a Roma 2a metà sec. XVIII – 1, 2.
Foschi Pier Francesco, da Firenze, P., 1502-1567
Foschini Arnaldo, da Roma, A., 1884-1968 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9.
Foujita (Tsugouhara Tsuguji), da Tokyo, P., 1886-1968
Fracassini Cesare, da Roma, P., 1838-68
Fragonard Jean-Honoré, da Grasse (Francia), P., 1732-1806
Franceschini Marcantonio, da Bologna, P., 1648-1729
Francesco da Borgo San Sepolcro (Arezzo), A., ?-1468
Francesco da Castello, P. e Min. olandese, ?-c. 1615
Francesco di Gentile, da Fabriano (Ancona), P., att. 2a metà sec.
XV
Francesco di Giorgio (Martini), da Siena, P., A. e S., 1439-1502 –
1, 2.
Francesco da Sangallo d. Margotta, da Firenze, S., A. e Med.,
1494-1576
Francesco da Volterra (Francesco Capriano, d.), da Volterra
(Pisa), A. e S., c. 1535-1594 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Francesi Alessandro, da Napoli, P., att. a Roma sec. XVII-XVIII
Franchina Nino, da Palmanova (Udine), S., 1912-87
Francia Francesco (Francesco Raibolini, d.), da Bologna, P. e O.,
c. 1450-1517 – 1, 2, 3.
Franciabigio (Francesco di Cristoforo o Cristofano, d.), da Firenze,
P., 1482-1525
Francken Frans il Giovane, da Anversa (Belgio), P., 1581-1642
Franco Battista d. il Semolei, da Venezia, P. e Inc., 1498-1561 –
1, 2.
Frangipane Niccolò, da Tarcento (Udine), P., 1555-1600
Frankl Volfango, da Monaco di Baviera (Germania), A., n. 1907 –
1, 2, 3, 4, 5.
Franzi Gino, da Pallanza (Verbania), A., 1898-?
Franzoni Francesco Antonio, da Carrara, S., 1734-1818
Frezzotti Oriolo, da Roma, A., 1888-1965
Fuga Ferdinando, da Firenze, A., 1699-1781 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21.
Führich (von) Joseph, da Cracovia (Polonia), P., 1800-1876
Fuksas Massimiliano, da Roma, A., n. 1944 – 1, 2.
Fungai Bernardino, da Siena, P., c. 1460-1516
Funi Achille, da Ferrara, P., 1890-1972 – 1, 2, 3, 4.
Furini Francesco, da Firenze, P., 1603-1646
Furlano Nicolò, P., sec. XVI
Fyt Jan, da Anversa (Belgio), P., 1611-61

Gabet Luigi, Ing., att. a Roma 1858-78 – 1, 2.


Gagliardi Bernardino, da Città di Castello (Perugia), P., 1609-1660
– 1, 2, 3, 4.
Gagliardi Filippo d. il Bizzarro, da Roma, P. e A., not. dal 1640, m.
1659 – 1, 2.
Gagliardi Pietro, da Roma, P., 1809-1890 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Gagneraux Bénigne, da Digione (Francia), P. e Inc., 1756-95
Gai Francesco, da Roma, P., A. e S., 1835-1917 – 1, 2.
Gaiassi Vincenzo, da Roma, S., 1801-1861
Gaidano Paolo, da Torino, P., 1861-1916
Galeazzi Enrico Pietro, da Roma, A. e Ing., 1896-? – 1, 2.
Galilei Alessandro, da Firenze, A., 1691-1736 – 1, 2, 3.
Galimberti Silvio, da Roma, P., 1878-?
Galizia Fede, da Milano, P., 1578?-c. 1630
Galletti Guido, da Londra, S., 1893-1977 – 1, 2.
Galletti Stefano, da Cento (Ferrara), S., 1833-1905 – 1, 2, 3, 4.
Galli Guido, da Roma, S., 1873-? – 1, 2.
Galli Pietro, da Roma, S., 1804-1877 – 1, 2.
Gallori Emilio, da Firenze, S., 1846-1924 – 1, 2, 3, 4, 5.
Gamba Enrico, da Torino, P., 1831-83
Gamelin Jacques, da Carcassonne (Francia), P., 1738-1803
Ganassini Marzio, P., att. a Roma inizi sec. XVII
Gandolfi Gaetano, da Dècima di San Giovanni in Persiceto
(Bologna), P. e Inc., 1734-1802
Gangeri Lio, da Messina, S., 1844-1913
Garagni Andrea, A., att. a Roma 2° decennio sec. XVIII
Gargiulo Domenico d. Micco Spadaro, da Napoli, P., 1610 - av.
1675
Garofalo (Benvenuto Tisi, d.), da Ferrara, P., c. 1481-1559 – 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Garzi Luigi, da Pistoia, P., 1638-1721 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21.
Gauguin Paul, da Parigi, P. e S., 1848-1903
Gemito Vincenzo, da Napoli, S., 1852-1929 – 1, 2.
Genga Girolamo, da Urbino, P., A. e S., c. 1476-1551 – 1, 2, 3.
Gentile da Fabriano (Gentile di Niccolò, d.), da Fabriano (Ancona),
P., c. 1370-1427
Gentileschi Artemisia, da Roma, P., 1593-1652/53 – 1, 2.
Gentileschi Orazio, da Pisa, P., 1563-1639 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10.
Gentili Antonio, da Faenza (Ravenna), S., O. e Inc., c. 1519-1609
Gentilini Franco, da Faenza (Ravenna), P., 1909-1981 – 1, 2, 3.
Gérard François, da Roma, P., 1770-1837
Gerini Niccolò di Pietro, da Firenze, P., not. dal 1368, m. 1415
Gerino di Pietro Gerini, da Pistoia, P., 1480-dopo 1529
Gerolamo di Giovanni da Camerino, S., not. 1449-90
Gessi Francesco (o Giovanni Francesco), da Bologna, P., 1588-
1649
Gherardi Antonio, da Rieti, P., 1638-1702 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Gherardi Filippo, da Lucca, P., 1643-1704 – 1, 2, 3, 4, 5.
Gherardo di Jacopo d. Starnina, P., 2a metà sec. XIV-prima del
1413
Gherardo delle Notti (Gerrit Van Honthorst, d.), da Utrecht
(Olanda), P., 1590-1656 – 1, 2, 3, 4, 5.
Ghezzi Giuseppe, da Comunanza (Ascoli Piceno), P., 1634-1721 –
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
Ghezzi Pier Leone, da Roma, P. e Inc., 1674-1755 – 1, 2, 3, 4, 5,
6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
Ghini Simone, da Firenze, O., 1406/7-1491
Ghirlandaio (Domenico Bigordi, d.), da Firenze, P., 1449-94 – 1,
2.
Ghissi Francescuccio, P., att. 2a metà sec. XIV
Giacomo da Pietrasanta (Lucca), A., att. dal 1452, m. c. 1497 – 1,
2, 3, 4.
Giambologna (Jean de Boulogne, d.), da Douai (Francia), S. e A.,
1529-1608 – 1, 2.
Giambono Michele, P. e Mos. originario di Treviso, not. dal 1420,
m. 1462
Giampietrino (Giovanni Pedrini, d.), da Milano, P., att. c. 1515-
1540 – 1, 2, 3.
Giani Felice, da San Sebastiano Curone (Alessandria), P., 1758-
1823 – 1, 2, 3, 4.
Giannicola di Paolo, P., sec. XIV
Giansimoni Nicola, A. att. a Roma, not. dal 1766 c., m. 1800
Giaquinto Corrado, da Molfetta (Bari), P., 1703-1765 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9.
Gigli Guido, da Roma, Ing., n. 1921
Gigliotti Vittorio, da Salerno, Ing., n. 1921 – 1, 2.
Gillet Nicolas François, da Metz (Francia), S., 1709-1791
Gillis de la Rivière (Gillis van den Vliete, d.), da Malines (Belgio),
S., not. dal 1567, m. 1600 – 1, 2, 3, 4.
Gimach (Gimacchi) Carlo, da Malta, P., att. 1a metà sec. XVIII
Gimigliano Domenico, A. contemporaneo
Gimignani Giacinto, da Pistoia, P., 1606-1681 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9, 10.
Gimignani Ludovico, da Roma, P., 1643-97 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10, 11, 12.
Giocondo (fra’), da Verona, A. e Ing., c. 1433-1515
Gioli Francesco, da San Frediano a Settimo (Pisa), P., 1846-1922
Gionima Antonio, da Padova, P., 1697-1732
Giordano Luca, da Napoli, P. e Inc., 1634-1705 – 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7.
Giorgetti Antonio, S. att. a Roma, not. dal 1660, m. 1670 – 1, 2,
3, 4.
Giorgione (Giorgio Zorzi o Giorgio da Castelfranco, d.), da
Castelfranco Veneto (Treviso), P., c. 1477/78-1510
Giotto o Giotto di Bondone, da Vespignano di Vicchio (Firenze),
P., A. e S., 1267?-1337 – 1, 2, 3, 4, 5.
Giovanni Antonio da Pesaro, P., att. 2a metà sec. XV
Giovanni Battista da Sangallo (Giovanni Battista Cordiani d. il
Gobbo), A., 1496-1552
Giovanni del Biondo, P., not. 1356-92
Giovanni di Cosma, S. e Mar. romano della fam. dei Cosmati, sec.
XIII – 1, 2, 3.
Giovanni Dalmata (Giovanni Duknovich, d.), da Traù (Trogir;
Croazia), S. e A., c. 1440-dopo 1509 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, 11, 12.
Giovanni di Francia (Pietro Zanino, d.), da Feltre (Belluno), P.,
not. 1467-85
Giovanni da Milano (Giovanni di Jacopo di Guido, d.), da
Caversaccio di Valmorèa (Como), P., not. 1346-69
Giovanni da Neri d. Neri degli Uccelli, P., ?-1575
Giovanni di Paolo, da Siena, P. e Min., att. dal 1417, m. 1482 – 1,
2.
Giovanni da Rimini, P. romagnolo, not. 1292-c. 1320
Giovanni da San Giovanni (Giovanni Mannozzi, d.), da San
Giovanni Valdarno (Arezzo), P., 1592-1636 – 1, 2, 3, 4.
Giovanni di Stefano, da Siena, A. e S., not. 1366-91
Giovanni da Udine (Giovanni Ricamatore, d.), P., 1487-1564 – 1,
2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Giovannini Luciano, da Frascati (Roma), A., n. 1924
Giovannoni Gustavo, da Roma, A., 1873-1947 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Giovannozzi Ugo, da Firenze, A. 1876-1957
Giovenale Giovanni Battista, da Roma, A. e Ing., 1849-1934 – 1,
2, 3, 4.
Girolamo di Benvenuto, da Siena, P., 1470-1524 – 1, 2.
Girolamo da Carpi (Girolamo Sellari, d.), da Ferrara, P. e A., c.
1501-c. 1556 – 1, 2, 3, 4.
Girolamo da Cremona (Girolamo de Corradi, d.), da Cremona, P.,
att. 1451-83
Girolamo del Pacchia, da Siena, P., 1477-dopo 1533
Gisleni Giovanni Battista, da Roma, A., P. e S., 1600-1672
Gismondi Italo, da Roma, A., 1887-?
Gismondi Paolo, da Perugia, P., 1612-85
Giuliano da Maiano (Firenze), A. e Int., 1432-90
Giuliano da Sangallo (Giuliano Giamberti, d.), da Firenze, A., Ing.,
S. e Int., c. 1445-1516 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Giulio Romano (Giulio Pippi, d.), da Roma, P., A. e Dec., c. 1499-
1546 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, 23.
Gnaccarini Filippo, da Roma, S., 1804-1875 – 1, 2, 3, 4.
Gorio Federico, da Milano, Ing. e Urb., n. 1915 – 1, 2.
Goya y Lucientes Francisco, da Fuendetodos (Saragozza;
Spagna), P. e Inc., 1746-1828
Gozzoli Benozzo (Benozzo di Lese, d.), da Firenze, P., 1420-97 –
1, 2, 3, 4, 5.
Gra Giulio, da Roma, A., 1900-1958 – 1, 2.
Gramatica (o Grammatica) Antiveduto, da Siena, P., c. 1571-1626
– 1, 2, 3, 4, 5.
Grandi Francesco, da Roma, P., 1831-91 – 1, 2, 3, 4.
Grassi Joseph, da Udine, P., 1757-1838
Grassi Orazio, da Savona, A., 1583-1654
Grassia Francesco d. Francesco Siciliano, da Palermo, S., sec. XVII
– 1, 2.
Graziani Ercole, da Bologna, P., 1688-1765
Graziani Francesco d. Ciccio Napoletano, P., att. a Roma 2a metà
sec. XVII
Graziosi Giuseppe, da Savignano sul Panaro (Modena), S. e P.,
1879-1942
Greco (Domìnikos Theotokòpulos, d. el Greco), da Creta, P., c.
1541-1614
Greco Emilio, da Catania, S., 1913-95 – 1, 2, 3.
Greco Manfredi, da Beaulieu-sur-Mer (Francia), A., n. 1931
Gregorini Domenico, da Roma, A., 1700-1777 – 1, 2.
Greppi Giovanni (Battista), da Roma, P., c. 1600-1647
Greuter Lorenzo, da Roma, P., 1620-68
Greuze Jean-Baptiste, da Tournus (Francia), P., 1725-1805
Grimaldi Giovanni Francesco d. il Bolognese, da Bologna, P., A. e
Inc., 1606-1680 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Griselli Italo, da Montescudaio (Pisa), S., 1880-1958 – 1, 2.
Grossi Giovanni Battista, da Roma, S., not. 1760
Gualandi Giuseppe, da Bologna, A., 1866-1945
Guastalla Giuseppe, da Firenze, S., n. 1867, not. fino 1930 – 1, 2.
Guercino (Giovanni Francesco Barbieri, d.), da Cento (Ferrara), P.
e Inc., 1591-1666 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14,
15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25.
Guerra Gaspare, da Modena, A., c. 1560-1622 – 1, 2.
Guerra Giovanni, da Modena, P. e A., c. 1540/44-1618 – 1, 2, 3,
4, 5.
Guerrieri Giovanni Francesco, da Fossombrone (Pesaro e Urbino),
P. e Inc., 1589-1657
Guerrini Giovanni, da Bagnara di Romagna (Ravenna), P. e A.,
1887-?
Guerrini Lorenzo, da Milano, S., 1914-2002
Guerrisi Michele, da Cittanova (Reggio di Calabria), S., 1893-1963
Guglielmetti Camillo, A., att. a Roma c. 1857-62
Guglielmi Gregorio, da Roma, P., 1714-73
Guidetti Guidetto, A. lombardo, att. a Roma dal 1550 c., m. 1564
– 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Guidi Domenico, da Torano di Carrara, S., 1625-1701 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15.
Guidi Guido, P. att. a Roma, 1867-1911
Guidi Ignazio, da Roma, A., 1904-1978 – 1, 2, 3.
Guidi Virgilio, da Roma, P., 1891-1984 – 1, 2.
Guidotti Paolo d. Cavalier Borghese, da Lucca, P., S. e A., c.
1560-1629 – 1, 2.
Guitton Jean, da Saint-Etienne (Francia), P., 1901-99
Guj Enrico, Ing., 1841-1905 – 1, 2.
Guttuso Renato, da Bagheria (Palermo), P., 1912-87 – 1, 2, 3.
Guy de Gisors Alexandre-Jean-Baptiste, da Parigi, A., 1762-1835

Hackert Johann Philip, da Prenzlau (Germania), P., 1737-1807


Hadid Zaha, da Baghdad (Iraq), A., n. 1950
Haen o Haan (de) David, da Rotterdam (Olanda), P., av. 1602-
1622
Haffner Enrico, da Bologna, P., 1640-1702
Hagenbeck Karl, da Amburgo (Germania), A., 1844-1913
Hajnal Jànos, da Budapest, P., n. 1913 – 1, 2, 3.
Hallet Gilles, da Liegi (Belgio), P., 1620-94 – 1, 2.
Hamilton Gavin, da Lanark (Gran Bretagna), P., 1723-89
Hansing Ernst Günter, da Kiel (Germania), P., n. 1929
Hartung Hans, da Lipsia (Germania), P., 1904-1989
Hayez Francesco, da Venezia, P., 1791-1882 – 1, 2, 3.
Heckel Erich, da Döbeln (Germania), P., 1883-1970
Heimbach Wolfgang, da Owelgönne (Germania), P., c. 1615-c.
1678 – 1, 2.
Helg Franca, da Milano, A. e Des., 1920-89 – 1, 2.
Hemptinne (de) Ildebrando, A., 1849-1913
Hennebique François, da Neuville-Saint-Vaast (Francia), A., 1843-
1921
Hermonax, Cer., att. 1a metà sec. V av. Cristo – 1, 2.
Heusch (de) Jacob, da Utrecht (Olanda), P., 1657-1701
Hewetson Christopher, S. irlandese, 1739-dopo 1797 – 1, 2.
Hieron, Cer. attico, att. 1a metà sec. V av. Cristo
Hiremy Hirschl Adolf, da Temesvar (Ungheria), P., 1860-1933
Hoffmann Hans, P. olandese, ?-1592
Hoffmann Karl, da Wiesbaden (Germania), S., 1816-dopo 1872
Holbein Hans il Giovane, da Augusta (Germania), P. e Inc.,
1497/98-1543
Holey Karl, da Podmokly (Repubblica Ceca), A., 1879-1955
Holl Pietro, da Roma, A., 1780-1855/56
Houdon Jean-Antoine, da Parigi, S., 1741-1828 – 1, 2, 3.
Hugford Ignazio, da Firenze, P., 1703-1778

Ibi Sinibaldo, da Perugia, P., c. 1475-dopo 1548


Induno Domenico, da Milano, P., 1815-78
Ingami Raffaele, A., c. 1836-1908
Ingegno (Andrea da Assisi, d.), da Assisi (Perugia), P., not. 1480-
1521
Innocenti Camillo, da Roma, P., 1871-1961
Innocenzo da Imola (Innocenzo Francucci, d.), da Imola
(Bologna), P., c. 1490-c. 1545 – 1, 2, 3.
Isaia da Pisa, S., att. 1447-64 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Isenbrandt Adriaen, P. fiammingo, not. dal 1510, m. 1551 – 1, 2.

Jacob van Amsterdam (Jacob Cornelisz, d.), da Amsterdam


(Olanda), P., c. 1470-1533
Jacobucci Giovanni, da Supino (Frosinone), A., 1895-1970
Jacometti Ignazio, da Roma, S., 1819-83 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Jacopino del Conte, da Firenze, P., c. 1510-1598 – 1, 2, 3, 4.
Jacopo di Andrea, da Firenze, S., att. a Roma ultimi decenni sec.
XV
Jacopo del Casentino (Jacopo Landini, d.), da Firenze, P., 1297-
1358
Jacopo di Lorenzo di Cosma, S., A. e Mos. romano della fam. dei
Cosmati, att. primi decenni sec. XIII – 1, 2, 3.
Jacopo della Quercia, da Siena, S., 1371/74-1438
Janz Cesare, A. triestino, not. 1888-89
Jappelli Giuseppe, da Venezia, A., 1783-1852
Jerace Francesco, da Polìstena (Reggio di Calabria), S., 1854-
1937 – 1, 2.
Juanes (de) Juan (Vicente Masip il Giovane, d.), da Fuente la
Higuera (Spagna), P., c. 1523-1579
Juvarra (o Juvara) Filippo, da Messina, A., Inc. e Scen., 1678-
1736 – 1, 2, 3.

Kaisermann Francesco, da Yverdon-les-Bains (Svizzera), P., 1765-


1833
Kandinskij Vasilij Vasilevic˘, da Mosca, P. e Inc., 1866-1944
Kauffmann Angelika, da Coira (Svizzera), P., 1741-1807 – 1, 2.
Kauffmann Paolo Adolfo, da Belfort (Francia), P. e Inc., 1852-
dopo 1914
Kim Mac Charles Follen, da Isabelle Furnace (USA), A., 1847-1909
Klee Paul, da Münchenbuchsee (Svizzera), P., 1879-1940
Kleophrades, Cer. attico, att. fine sec. VI-primo quarto sec. V av.
Cristo
Knapp Johann Michael, da Ludwigsburg (Germania), A., 1793-
1861
Koch Gaetano, da Roma, A., 1849-1910 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, 11, 12, 13, 14, 15.
Koch Joseph Anton, da Obergibeln (Austria), P., 1768-1839
Kokoschka Oskar, da Pöchlarn (Austria), P., 1886-1980
Kounellis Jannis, da Atene, P., n. 1936
Krall Giulio, A., 1901-1971 – 1, 2.
Kriton, S. ateniese, sec. II
Kuntze Taddeus, da Zielona Gora (Polonia), P., 1732-93

Laboureur Alessandro Massimiliano, da Roma, S., 1796 o 1800-


1861 – 1, 2, 3.
Laboureur Francesco (Massimiliano), da Roma, S., 1767-1831 – 1,
2, 3, 4, 5.
Labruzzi Carlo, da Roma, P., 1765-1818
Labruzzi Pietro, da Roma, P., 1738-1805
Lafuente Julio, da Madrid, A., n. 1921 – 1, 2, 3, 4.
Lairesse (de) Gerard, da Liegi (Belgio), P. e Inc., 1641-1711
Lambardi Carlo, da Arezzo, A., 1554-1620 – 1, 2, 3, 4, 5.
Lamberti Ventura, da Carpi (Modena), P., 1652-1721 – 1, 2, 3, 4,
5.
Lamberti Nicolò (di Piero) d. Pela, da Firenze, S. e A., 1370-1451
Lambertucci Alfredo, da Montecassiano (Macerata), A., n. 1928
Lampi Giovanni Battista, da Romeno (Trento), P., 1751-1838
Lanciani Rodolfo, da Roma, A., 1845-1929
Lancret Nicolas, da Parigi, P., 1690-1743
Landi Gaspare, da Piacenza, P., 1756-1830 – 1, 2.
Landini Taddeo, da Firenze, S. e A., c. 1550-1596 – 1, 2, 3, 4.
Lanfranco Giovanni, da Terenzo (Parma), P., 1582-1647 – 1, 2, 3,
4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21,
22, 23, 24.
La Padula Attilio, da Pisticci (Matera), A. e Urb., 1917-81 – 1, 2.
La Padula Ernesto d. Bruno, da Pisticci (Matera), A., 1902-1968
Lapiccola Nicolò, da Crotone, P., 1727-90 – 1, 2.
Lapis Gaetano, da Cagli (Pesaro e Urbino), P., 1706-1776 – 1, 2,
3.
Larciani Lorenzo già Maestro dei Paesaggi Kress, da Firenze, P.,
1484-1527 – 1, 2.
Laspeyres Paul, A., 1840-81
Laurenti Adolfo, S. contemporaneo
Laurenzi Filippo, da Rimini (?), P. att. a Roma, not. 1710
Laurenziano Giacomo, da Roma, S. e Inc., not. dal 1607, m. 1650
Laureti Tommaso, da Palermo, P. e A., c. 1530-1602 – 1, 2, 3.
Lauri Filippo, da Roma, P., 1623-94 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Lavaggi Giacomo Antonio, S., att. a Roma 2a metà sec. XVII – 1, 2.
Lawrence Thomas, da Bristol (Gran Bretagna), P., 1769-1830
Lazzari Emilio, da Legnano (Milano), P., 1823-1902
Lazzeri Ottaviano, S., att. a Roma 1a metà sec. XVII
Lazzoni Giovanni, da Carrara, S., 1618-dopo 1687
Le Blanc Horace, da Lione (Francia), P., ?-dopo 1637
Lebrun André Jean, da Parigi, S., 1737-1811
Le Brun Charles, da Parigi, P., 1619-90 – 1, 2.
Leclerc Jean, da Nancy (Francia), P., 1587/88-1633
Le Corbusier (Charles-Edouard Jeanneret, d.), da La Chaux-de-
Fonds (Svizzera), A., P., Urb. e S., 1887-1965
Lefèvre Robert, da Bayeux (Francia), P., 1755-1830
Lega Silvestro, da Modigliana (Forlì-Cesena), P., 1826-95
Léger Fernand, da Argentan (Francia), P., 1881-1955
Legnani Stefano Maria d. il Legnanino, da Milano, P. e Inc., 1661-
1713
Legros Pierre, da Parigi, S. e A., 1666-1719 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Lemoyne Paul d. Lemoine Saint-Paul, da Parigi, S., 1784-1873
Lenardi Giovanni Battista, da Roma, P., 1656-1704
Lenci Sergio, da Napoli, A. e Urb., n. 1927
Lenepveu Jules-Eugène, da Angers (Francia), P., 1819-98
Leno Giuliano, A. att. a Roma, ?-c. 1531
Lenti Enrico, da Roma, Ing., 1909-c. 1981 – 1, 2.
Leonardo da Vinci (Firenze), P., S., Ing. e A., 1452-1519
Leoncillo, pseudonimo di Leoncillo Leopardi, S., da Spoleto
(Perugia), 1915-68 – 1, 2, 3.
Leoni Ottavio, da Roma, P., 1578-1630 – 1, 2.
Leonori Aristide, da Roma, A., 1856-1928 – 1, 2.
Leschiutta Ernesto, da Cabia di Arta (Udine), A., 1897-1975
L’Estache Pierre, da Parigi, S., 1688/89-1774
Levi Carlo, da Torino, P. e Sc., 1902-1975
Levieux Renard, da Nîmes (Francia), S., 1620-90
Levine Jack, da Boston (USA), P., n. 1915
Libera Adalberto, da Villa Lagarina (Trento), A. e Urb., 1903-1963
– 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Licinio Bernardino, da Poscante di Zogno (?; Bergamo), P., c.
1489-av. 1565 – 1, 2.
Lievens Jan, da Leida (Olanda), P., 1607-1674
Ligini Cesare, da Roma, A., 1913-88 – 1, 2.
Ligorio Pirro, da Napoli, A. e P., c. 1510-1583 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9, 10, 11.
Ligustri Tarquinio, da Viterbo, P. e Inc., att. ultimo quarto sec.
XVI-inizi XVII – 1, 2.
Lilio (o Lilli) Andrea, da Ancona, P., 1555-dopo 1631 – 1, 2, 3, 4,
5.
Limongelli Alessandro, da Il Cairo, A., 1890-1932
Lionne Enrico, pseudonimo di Enrico Della Leonessa, da Napoli,
P., 1865-1921
Lipchitz Jacques, da Druskininkai (Lituania), S., 1891-1973 – 1, 2.
Lippi Annibale, A., att. a Roma 2a metà sec. XVI – 1, 2, 3, 4, 5.
Lippi Filippino, da Prato, P., c. 1457-1504 – 1, 2.
Lippi Filippo, da Firenze, P., 1406-1469 – 1, 2, 3.
Lironi Giuseppe, da Vacallo (Canton Ticino), S., 1689-1749 – 1, 2.
Locatelli Andrea, da Roma, P., 1693-1741 – 1, 2, 3.
Locatelli Pietro, da Roma, P., c. 1634-1710 o 1719
Lombardelli Giovanni Battista d. il Montano, da Ostra Vètere
(Ancona), P., c. 1540-1592 – 1, 2.
Lombardi Marino, da Pietrasanta (Lucca), A., n. 1917
Lombardi Pietro, da Roma, A., 1894-1984 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Lombardo Sergio, da Roma, op. art., n. 1939
Longaretti Trento, da Treviglio (Bergamo), P., n. 1916
Longhi Luca, da Ravenna, P., 1507-1580 – 1, 2.
Longhi Martino il Giovane, da Roma, A., 1602-1660 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7.
Longhi Martino il Vecchio, da Viggiù (Varese), A., c. 1520-1591 –
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13.
Longhi Onorio, da Milano, A., c. 1569-1619 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Longhi Silla Giacomo d. Silla da Viggiù (Varese), S., not. dal 1568,
m. 1619 – 1, 2, 3, 4.
Lopez y Portaña Vicente, da Valencia (Spagna), P., 1772-1850
Lorenzetti Carlo, da Roma, S., n. 1934
Lorenzetti Pietro, da Siena, P., 1285-1348?
Lorenzetto (Lorenzo Lotti, d.), da Firenze, A. e S., 1490-1541 – 1,
2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Lorenzi Stoldo, da Settignano (Firenze), S., 1534-83
Lorenzo d’Alessandro, da San Severino Marche (Macerata), P.,
not. 1462-1503
Lorenzo di Cosma, S. e Marm. della fam. dei Cosmati, att. sec. XII-
inizi XIII
Lorenzo di Credi, da Firenze, P., O. e S., 1456/59-1537 – 1, 2, 3.
Lorenzo Monaco (fra’; Pietro di Giovanni, d.), da Siena (?), P. e
Min., c. 1370-1423/24 – 1, 2.
Lorenzo di Simone Andreozzi, A., att. a Roma metà sec. XIV
Lorenzo da Viterbo, P., c. 1444-c. 1472
Lorrain Claude (Claude Gellée, d. anche Claudio Lorenese), da
Chamagne (Francia), P. e Inc., 1600-1682 – 1, 2.
Lorrain Nicolas d. Nicola Lorenese, P. francese, att. a Roma 1a
metà sec. XVII – 1, 2.
Lo Savio Francesco, da Roma, P., 1935-63
Loth Onofrio, da Napoli, P., 1665-1715
Lotto Lorenzo, da Venezia, P., c. 1480-1556/57 – 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7, 8, 9.
Luccardi Vincenzo, da Gemona del Friùli (Udine), S., 1808-1876
Lucchetti Giuseppe, da Urbania (Pesaro e Urbino), S., 1823-1907
Luccichenti Amedeo, da Isola del Liri (Frosinone), A., 1907-1963
– 1, 2, 3, 4.
Luccichenti Ugo, da Isola del Liri (Frosinone), 1898-1976 – 1, 2,
3, 4, 5.
Lucenti Girolamo, da Roma, S., ?-1698 – 1, 2, 3.
Ludovisi Bernardino, da Roma, S., c. 1713-1749 – 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7.
Lugli Piero Maria, da Roma, A. e Urb., n. 1923 – 1, 2, 3, 4.
Luini Bernardino, da Luino (Varese), P., 1480/90-1532
Luppi Ermenegildo, da Modena, S., 1877-1937
Lurçat Jean, da Bruyères-en-Vosges (Francia), P., 1892-1966
Luti Benedetto, da Firenze, P., 1666-1724 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Lutyens Edwin Landseer, da Londra, A. e Urb., 1869-1944
Luzi Luzio, da Todi (Perugia), P. e Stucc. att. a Roma, not. 1548-
76 – 1, 2.
Lydos, Cer. attico, att. metà sec. VI av. Cristo – 1, 2.

Mabuse (Jan Gossaert, d.), da Wijckbij-Durstede o da Maubeuge


(Olanda), P., c. 1472 o 1478-1533/36
Maccagnani Eugenio, da Lecce, S., 1852-1930 – 1, 2, 3, 4, 5.
Maccari Cesare, da Siena, P., 1840-1919 – 1, 2, 3, 4.
Maccari Mino, da Siena, P. e Inc., 1898-1989
Machilone, P., att. nel 2° e 3° quarto del sec. XIII
Machuca Pedro, da Toledo (Spagna), A. e P., fine sec. XV-1550
Maderno Carlo, da Capolago (Canton Ticino), A., 1556-1629 – 1,
2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20,
21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36,
37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44.
Maderno Stefano, da Bissone (Canton Ticino), S., 1576-1636 – 1,
2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Maestro del Bigallo, P., att. a Firenze 1a metà sec. XIII
Maestro del Giudizio di Salomone, P., att. a Roma 2a metà sec.
XVII – 1, 2.
Maestro dell’Incoronazione Christ Church, P., att. a Firenze metà
sec. XIII
Maestro dell’Incoronazione di Urbino, P. riminese, att. 1a metà
sec. XIV
Maestro Jacobbe, P., att. 1a metà sec. XVII?
Maestro della Madonna Manchester, P., att. a Roma c. 1510
Maestro del 1419, P. fiorentino, att. 1a metà sec. XV
Maestro della Natività Johnson, P., sec. XV
Maestro dei Paesaggi Kress, v. Larciani Lorenzo.
Maestro della Pala Sforzesca, P. di scuola lombarda, att. fine sec.
XV
Maestro di Palazzo Venezia, P., sec. XIV
Maestro Espressionista di S. Chiara, P., att. inizi sec. XIV
Maestro di S. Saba, P., att. a Roma fine sec. XIII-inizi XIV
Maestro di S. Sebastiano, P., att. fine sec. XV
Maestro di Stàffolo, P. marchigiano, sec. XV
Maestro della Vita del Battista, P., att. a Rimini 1a metà sec. XIV
Mafai Mario, da Roma, P., 1902-1965 – 1, 2, 3.
Maggi Paolo, da Como, A., ?-1613
Magni o Manni Giovanni Battista, da Modena, P., 1592-1674
Magni Giulio, da Velletri (Roma), A., 1859-1930 – 1, 2, 3, 4, 5.
Magny Nicolas, dall’Artois (Francia), S., att. a Roma fine sec. XVII
Maille Michel d. Michele Maglia, dalla Franca Contea (Francia), S.,
att. a Roma 2a metà sec. XVII – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Maineri Giovan Francesco, P., att. a Parma 1489-1506
Maini Giovanni Battista, da Cassano Magnago (Varese), S. e
Stucc., 1690-1752 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
Makron, Cer. attico, att. 1° quarto sec. V av. Cristo – 1, 2.
Maler Hans, P. svizzero, att. 1° quarto sec. XVI
Mambor Renato, da Roma, op. art., n. 1936
Manassei Alberto, da Roma, A., 1855-1939
Mancini Antonio, da Roma, P., 1852-1930
Mancini Francesco, da Sant’Angelo in Vado (Pesaro e Urbino), P.,
1679-1758 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Mancini Italo, da Cappadocia (L’Aquila), A., 1897-1971 – 1, 2, 3.
Mandekens Marten, da Anversa (Belgio), P., att. metà sec. XVII
Mandolesi Enrico, da Roma, Ing., n. 1924
Manessier Alfred, da Saint-Ouen (Francia), P. e Inc., 1911-93
Manetti Rutilio, da Siena, P., 1571-1639
Manfredi Bartolomeo, da Ostiano (Cremona), P., 1592-1662 – 1,
2.
Manfredi Manfredo, da Piacenza, A., 1859-1927 – 1, 2, 3, 4.
Manfredini Luigi, da Bologna, S., 1771-1840
Manglard Adrien, da Lione (Francia), P., 1695-1760 – 1, 2, 3, 4.
Mangone Giovanni, da Caravaggio (Bergamo), S. e A., not. dal
1527, m. 1543 – 1, 2.
Manno Antonio, da Palermo, A., not. 1870
Manno Francesco, da Palermo, P., 1752-1831 – 1, 2.
Mannoni Carlo, da Senigallia (?; Ancona), P., ?-1653
Mansueti Giovanni, P. veneziano, not. dal 1485, m. 1527
Mantegna Andrea, da Isola di Carturo ora Isola Mantegna
(Padova), P. e Inc., 1431-1506 – 1, 2.
Manzù (Manzoni) Giacomo, da Bergamo, S. e P., 1908-1991 – 1,
2, 3, 4, 5, 6.
Maraini Antonio, da Roma, S., 1886-1963 – 1, 2.
Maraini Otto, da Lugano (Svizzera), A., 1859-1944
Marangoni Luigi, da Venezia, A., 1875-1950
Maratta (o Maratti) Carlo, da Camerano (Ancona), P. e Inc.,
1625-1713 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32,
33, 34, 35, 36, 37.
Maratta Francesco d. il Padovano, da Padova, S., att. c. 1700, m.
c. 1719 – 1, 2.
Marchesi Girolamo d. Girolamo da Cotignola, da Cotignola
(Ravenna), P., c. 1490-dopo 1531
Marchetti Giovanni Battista, da Siena, A. e P., 1730-1800 – 1, 2,
3, 4.
Marchi Mario, da Roma, A., 1900-? – 1, 2, 3, 4.
Marchini Alfio, da Città della Pieve (Perugia), A., 1912-88
Marchionni Carlo, da Roma, A. e S., 1702-1786 – 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7, 8, 9.
Marcillat (de) Guillaume, da La Châtre (Francia), P. e maestro di
vetrate, c. 1468/70-1529 – 1, 2, 3.
Marco da Faenza (Marco Marchetti, d.), P. e Stucc., c. 1526-1588
Marco d’Oggiono (Lecco), P., c. 1477-dopo 1529
Margaritone d’Arezzo (Margarito di Magnano, d.), P., att. 2° e 3°
quarto sec. XIII
Mari Giovanni Antonio, S., att. a Roma dal 1635, m. 1661 – 1, 2,
3.
Mariani Camillo, da Vicenza, S., P., A. e Med., 1567-1611 – 1, 2,
3, 4, 5.
Mariani Carlo (Maria), da Roma, P., n. 1931
Mariani Cesare, da Roma, P., 1826-1901 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Mariani Giuseppe, A. att. a Roma, 1863-1932 – 1, 2.
Marini Giuseppe, da Parigi, S., 1759-1834
Marini Marino, da Pistoia, P., S. e Inc., 1901-1980 – 1, 2.
Marini Michele, da Fièsole (Firenze), S., 1459 - ?
Marini Pasquale, da Recanati (Macerata), P., c. 1660-c. 1712– 1,
2.
Marino Roberto, da Roma, Ing., 1900-1985
Marinucci Guido, da Lecce, A., n. 1923
Mario (fra’) da Canepina, A., att. a Roma 1a metà sec. XVII
Mario de’ Fiori (Mario Nuzzi, d.), da Roma, P., 1603-1673
Mariottini Polidoro, P., doc. a Roma 1617
Mariotto di Cristofano, da San Giovanni Valdarno (Arezzo), P.,
1393-1457
Mariotto di Nardo, P. fiorentino, not. 1394-1424
Marmorelli Liborio, da Firenze o Roma, P., 1724 o 1725-1794
Maron (von) Anton, da Vienna, P., 1733-1808 – 1, 2, 3.
Martinelli Nicolò d. Nicolò Trometta, da Pesaro, P., c. 1540-1611 –
1, 2.
Martini Arturo, da Treviso, S. e P., 1889-1947 – 1, 2, 3, 4.
Martini Simone, da Siena, P., av. 1285-1344
Martinucci Filippo, A. att. a Roma, ?-1862
Marucelli Paolo, da Roma, A., 1594-1649 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10.
Marussig Pietro, da Trieste, P., 1879-1937
Marzio di Colantonio Ganassini, P., 1560-c. 1620
Masaccio (Tommaso di Ser Giovanni Cassai, d.), da San Giovanni
Valdarno (Arezzo), P., 1401-1428
Mascanzoni Vittorio, A., att. a Roma c. 1885-c. 1906
Mascherino Ottaviano (Ottaviano Nonni, d.), da Bologna, P. e A.,
1524-1606 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Maselli Titina, da Roma, P. e Scen., 1924-2005
Masolino da Panicale (Tommaso di Cristoforo Fini, d.), P. toscano
(del Valdarno?), 1383-1440/47 – 1, 2.
Massari Lucio, da Bologna, P., 1569-1633
Massarotti Angelo, da Cremona, P., 1654-1723
Massei Girolamo, da Lucca, P., ?-1614/19 – 1, 2.
Massys Quentin, v. Metsys Quentin.
Mastelletta (Giovanni Andrea Donducci, d.), da Bologna, P., 1575-
1655
Mastroianni Umberto, da Fontana Liri (Frosinone), S., 1910-1998
– 1, 2.
Masucci Agostino, da Roma, P., 1690-1768 – 1, 2, 3, 4.
Masucci Lorenzo, da Roma (?), P., ?-1785
Mataré Ewald, da Aquisgrana (Germania), P., 1887-1965
Mateiko Jan Alois, da Cracovia (Polonia), P., 1838-93
Matisse Henri, da Cateau-Cambrésis (Francia), P. e S., 1869-1954
Mattei Ambrogio, da Roma, P., c. 1720-1768
Mattei Paolo, dal Cilento (Salerno), P., 1662-1728
Mattei Tommaso, da Roma, A. att. a Roma c. 1686-c. 1703
Matteo da Città di Castello (Matteo Bartolini o Bartolani o
Bortoloni, d.), da Città di Castello (Perugia), A., c. 1525/30-
1589 o 1597 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Matteo da Lecce (Matteo Pérez de Alesio, d.), da Gallìpoli (Lecce),
c. 1545/50-1616? – 1, 2, 3.
Maturino da Firenze, P., ?-1528 – 1, 2, 3, 4.
Mazois Carlo Francesco, da Lorient (Francia), A., 1783-1826
Mazzanti Ludovico, da Roma, P., 1686-1775 – 1, 2, 3.
Mazzolino (Ludovico Mazzoli, d.), da Ferrara, P., 1478/80-1528/30
– 1, 2, 3.
Mazzoni Giulio, da Piacenza, A., P., S. e Stucc., c. 1525-dopo
1589 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Mazzoni del Grande Angiolo, A., 1894-dopo 1934 – 1, 2.
Mazzucotelli Alessandro, da Lodi, artefice del ferro battuto e Dec.,
1865-1938
Mazzullo Giuseppe, da Graniti (Messina), S., 1913-88
Mazzuoli Giuseppe, da Volterra (Pisa), S., 1644-1725 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9.
Mead Rotherford William, A., 1846-1928
Meert (o Merten) Pieter, da Bruxelles, P., c. 1620-1669
Mei Bernardino, da Siena, P. e Inc., 1612-76
Melchiorri Giovanni Paolo, da Roma, P., 1664-1745 – 1, 2.
Meleghino Jacopo, da Ferrara, A., not. dal 1544, m. 1549
Meli Giosuè, da Luzzana (Bergamo), S., 1807-1893
Melli Roberto, da Ferrara, P. e S., 1885-1958 – 1, 2.
Mellin Charles, da Nancy (Francia), P., c. 1597/1600-1649 – 1, 2.
Meloni Marco, da Carpi (Modena), P., not. 1500-1537
Melozzo da Forlì (Melozzo degli Ambrogi, d.), da Forlì, P., 1438-94
– 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Memling Hans, da Seligenstadt (Germania), P., 1435/40-1494
Memmi Lippo, da Siena, P., not. 1317-56 – 1, 2.
Menelaos, S. greco, sec. I
Menghini Niccolò, da Roma, S. e A., c. 1610-1655
Mengs Anton Raphael, da Aussig (Repubblica Ceca), P., 1728-79
– 1, 2, 3, 4.
Menicucci Giovanni Battista, A., att. a Roma dal 1675, m. 1690
Menophantos, S. copista greco, sec. I
Meo del Caprino (Amedeo di Francesco, d.), da Settignano
(Firenze), A. e S., 1430-1501 – 1, 2. 3.
Merisi Giulio, da Caravaggio (Bergamo), A., 1508-1587
Messina Francesco, da Linguaglossa (Catania), S., 1900-1995 – 1,
2, 3, 4, 5, 6, 7.
Meštrovič Ivan, da Otavice (Croazia), P., 1883-1962 – 1, 2, 3.
Metsys (o Massys) Quentin, da Lovanio (Belgio), P., 1466-1530 –
1, 2, 3.
Miarelli Mariani Gaetano, da Roma, A., n. 1928
Michallon Achille Etnà, da Parigi, P., 1796-1822
Michelangelo (Buonarroti), da Caprese Michelangelo (Arezzo), P.,
S. e A., 1475-1564 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14,
15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26.
Michelangelo Senese, da Siena o da Segna (Dalmazia), S., c.
1470-1a metà sec. XVI – 1, 2.
Michele del Becca, da Imola (Bologna), P., not. dal 1508, m. av.
1517
Michele di Ridolfo del Ghirlandaio (Marco Tosini, d.), da Firenze,
P., 1503-1577 – 1, 2, 3.
Micheli Filippo, da Camerino (Macerata), P., sec. XVII
Michelucci Giovanni, da Pistoia, P., 1891-1990 – 1, 2.
Michetti Francesco Paolo, da Tocco da Casàuria (Pescara), P.,
1851-1929
Michetti Nicola, A., 1675-1759 – 1, 2, 3, 4.
Miel Jan, da Beweren-Waas (Belgio), P., 1599-1663 – 1, 2, 3, 4.
Mignard Pierre, da Troyes (Francia), P., 1612-95 – 1, 2.
Milani Aureliano, da Bologna, P., 1675-1749 – 1, 2, 3, 4.
Milani Giovanni Battista, da Roma, A., 1876-1940 – 1, 2.
Milesi Alessandro, da Venezia, P., 1856-1945
Minardi Tommaso, da Faenza (Ravenna), P., 1787-1871 – 1, 2, 3.
Minguzzi Luciano, da Bologna, S., 1911-2004 – 1, 2, 3.
Minio Tiziano (Tiziano Aspetti, d.), da Padova, S., 1517-52 – 1, 2.
Minissi Franco, da Viterbo, A., n. 1919 – 1, 2.
Minnucci Gaetano, da Macerata, Ing., 1896-1980 – 1, 2, 3, 4, 5.
Mino da Fiesole (Mino di Giovanni Mini, d.), da Poppi (Arezzo), S.,
1429-84 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Mino del Reame, da Napoli, S., att. c. 1463-77 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Mirko, v. Basaldella Mirko.
Mitelli Agostino, da Battedizzo (Bologna), P. e Inc., 1609-1660
Mochetti Maurizio, da Roma, P., n. 1940
Mochi Francesco, da Montevarchi (Arezzo), S. e Med., 1580-1654
– 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Moderati Francesco, da Milano, S. e Stucc., c. 1680-dopo 1724 –
1, 2, 3.
Modersohn-Becker Paula, da Dresda (Germania), P., 1876-1907
Modigliani Amedeo, da Livorno, P. e S., 1884-1920 – 1, 2.
Mola Giacomo, da Coldrerio (Canton Ticino), A., 1576/83-1650 –
1, 2, 3.
Mola Giovanni Battista, da Coldrerio (Canton Ticino), A. e P.,
1585-1665 – 1, 2.
Mola Pier Francesco, da Coldrerio (Canton Ticino), P. e Inc.,
1612-66 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18.
Momo Giuseppe, da Vercelli, A., 1875-1940 – 1, 2, 3.
Momper (de) Jan, da Anversa (Belgio), P., 1614-84 – 1, 2.
Momper (de) Josse, da Anversa (Belgio), P., 1564-1635 – 1, 2.
Monachesi Sante, da Macerata, P. e S., 1910-1991
Monaco Edoardo, da Roma, A., n. 1943 – 1, 2.
Monaco Giorgio, da Roma, A., n. 1926
Monaco Vincenzo, da Roma, A., 1911-69 – 1, 2, 3, 4, 5.
Monaldi Carlo, da Roma, S. e Stucc., c. 1690-1760 – 1, 2, 3, 4, 5,
6, 7, 8.
Monaldi Giacomo, A., 1819-1905
Monaldi Paolo, da Roma, P., 1710?-dopo 1779 – 1, 2, 3.
Monanni Monanno, da Firenze, P., not. 1643-63
Monet Claude, da Parigi, P., 1840-1926
Monnot Pierre-Étienne, da Orchamp-Vennes (Francia), S., 1657-
1733 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Monogrammista ferrarese I A, P., not. 1a metà sec. XVI
Monosilio Salvatore, da Messina, P., not. dal 1744, m. 1776 – 1,
2.
Monsù Aurora (Johannes Hermans, d.), da Worden (Olanda), P.,
c. 1600-1655
Monsù Leandro (Christian Reder, d.), da Lipsia (Germania), P., c.
1656-1729
Monsù Stendardo, v. Van Bloemen Pieter.
Montagna Bartolomeo, da Orzinuovi (Brescia), P., c. 1450-1523 –
1, 2, 3.
Montagna Marco Tullio, da Velletri (Roma), P., not. 1618-38 – 1,
2.
Montano Giovanni Battista, da Milano, A., S. e Int., 1534-1621 –
1, 2, 3.
Montauti Antonio, da Firenze, S. e Med., ?-1740 – 1, 2, 3.
Monteleone Alessandro, da Taurianova (Reggio di Calabria), P. e
S., 1897-1967 – 1, 2, 3, 4.
Montenero Alessandra, da Roma, A., n. 1938
Monteverde Giulio, da Bistagno (Alessandria), S., 1837-1917 – 1,
2, 3, 4.
Monti Virginio, da Genzano (Roma), P., 1852-1942 – 1, 2, 3.
Montorsoli Giovanni Angelo (fra’), da Montórsoli (Firenze), S., Int.
e A., 1507-1563
Montuori Eugenio, da Pesaro, A. e Urb., 1907-1982 – 1, 2, 3, 4.
Moore Henry, da Castleford (Gran Bretagna), S., Inc. e P., 1898-
1986 – 1, 2.
Moore Jacob, da Edimburgo (Gran Bretagna), A., c. 1740-1793
Mora Francesco, A., sec. XIX – 1, 2.
Morandi Giorgio, da Bologna, P. e Inc., 1890-1964 – 1, 2, 3, 4.
Morandi Giovanni Maria, da Firenze, P., 1622-1717 – 1, 2, 3, 4, 5,
6, 7, 8..
Morandi Riccardo, da Roma, Ing., 1902-1989 – 1, 2, 3.
Morani Alessandro, da Roma, P., 1859-1941 – 1, 2.
Moratilla Felipe, da Madrid, S., 1827-?
Moratti Francesco, da Padova, S., ?-1719/21 – 1, 2.
Morazzone (Pier Francesco Mazzucchelli, d.), da Morazzone
(Varese), P., 1573-1626
Morbelli Angelo, da Alessandria, P., 1853-1919
Morbiducci Publio, da Roma, S., 1888-1963 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Moreelse Paulus, da Utrecht (Olanda), P. e A., 1571-1638.
Morelli Cosimo, da Imola (Bologna), A., 1732-1812 – 1, 2,
Morelli Domenico, da Napoli, P., 1823-1901 – 1, 2.
Morelli Lazzaro, da Ascoli Piceno, S. e Stucc., 1608-1690 – 1, 2, 3
Morelli Paolo, da Roma, Ing., n. 1947
Morelli Paolo, S. att. a Roma, not. dal 1712, m. 1719 – 1, 2.
Morelli Tommaso, A., att. a Roma 1a metà sec. XVIII
Morescalchi Bernardo, da Carrara, S., 1895-?
Moretti Luigi, da Roma, A., 1907-1973 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, 11.
Moretto da Brescia (Alessandro Bonvicino, d.), da Brescia, P., c.
1498-1554
Morgini Carlo, Ing., att. a Roma ultimi decenni sec. XIX
Morichini Gaetano, A., att. a Roma dal 1863, m. 1895
Morlotti Ennio, da Lecco, P., 1910-1992
Moroni Pietro, da Velletri (Roma), A., 1924-80
Morresi Pietro, A., not. 1939-42
Morris William, da Elm-House (Gran Bretagna), P. e Des., 1834-
96
Mosca Mario, da Stalettì (Catanzaro), A., n. 1899
Mosca Simone, da Terenzano (Massa-Carrara), S., 1492-1553 – 1,
2.
Moschino Simone, da Orvieto (Terni) o Carrara, A. e S., c. 1560-
1610
Müller Edoardo, da Hildburghausen (Germania), 1828-95 – 1, 2.
Munch Edvard, da Löten (Norvegia), P. e Inc., 1863-1944
Muñoz Antonio, da Roma, A. e P., 1884-1960 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Münter Gabriele, da Berlino, P., 1877-1962
Muratori Domenico Maria, da Vedrana di Budrio (Bologna), P. e
Inc., 1661-1742 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11.
Muratori Saverio, da Modena, A., 1910-1973 – 1, 2, 3, 4.
Murena Carlo, da Rieti, A., 1713-64 – 1, 2, 3, 4, 5.
Murillo Bartolomé Esteban, da Siviglia (Spagna), P., 1618-82 – 1,
2.
Muttoni Pietro d. Pietro della Vecchia, da Venezia, P., 1605-1678
Muziano Girolamo, da Acquafredda (Brescia), P., 1532-92 – 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20,
21.
Muzio Giovanni, da Milano, A. e Urb., 1893-1982 – 1, 2.

Nagni Francesco, da Viterbo, S., 1897-? – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.


Naldini Giovanni Battista, da Fièsole (Firenze), P., c. 1537-1591–
1, 2, 3.
Naldini Pietro Paolo, da Roma, S. e P., 1619-91 – 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7.
Nanni di Baccio Bigio (Giovanni Lippi, d.), da Firenze, A. e S., ?
-1568 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Nanni di Jacopo d. Nanni da Lucca, S. e A., not. 1394-1435
Nappi Francesco, da Milano, P., c. 1565-1630 – 1, 2, 3.
Narducci Roberto, da Roma, A., 1887-1979
Nasini Giuseppe, da Castel del Piano (Grosseto), P., 1657-1736
Natali Giovanni Battista, da Cremona, P., 1630-96
Natoire Charles-Joseph, da Nîmes (Francia), P. e Inc., 1700-1777
Navarrete (de) Juan Fernandez d. el Mudo, da Logroño (Spagna),
P., c. 1526-1579
Navone Filippo, A., att. a Roma 1a metà sec. XIX – 1, 2.
Navone Francesco, A. att. a Roma dal 1759, m. 1804
Navone Giovanni Domenico, A. romano, not. dal 1706, m. 1770 –
1, 2.
Nebbia Cesare, da Orvieto (Terni), P., c. 1536-1614 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18.
Nelli Pietro, da Massa, S., 1672-1740
Neri di Bicci, da Firenze, P., 1419-91
Nervi Antonio, da Roma, A., 1925-79 – 1, 2, 3.
Nervi Pier Luigi, da Sondrio, Ing. e A., 1891-1979 – 1, 2, 3, 4, 5,
6, 7, 8.
Nessi Antonio, da Roma, P., not. 1739-73
Netscher Caspar, da Heidelberg (Germania), P., 1535/36-1584
Niccolò di Liberatore, v. Alunno.
Niccolò di Segna di Bonaventura, P. att. a Siena, not. 1331-45
Niceron (Jean) François, da Parigi, P., 1613-46
Nicholson Ben, da Denham (Gran Bretagna), P., 1894-1982
Nicola di Antonio, da Ancona, P., not. 1472
Nicola da Guardiagrele (Nicola di Andrea Gallucci, d.), da
Guardiagrele (?; Chieti), O., P. e S., 1380-1471
Nicoletti Francesco, da Trapani, A., ?-1776
Nicolini Giovanni, da Palermo, S., 1872-1956
Nicolò di Angelo, S. romano, att. 1170-80 – 1, 2.
Nicolò di Pietro, P. veneziano, not. dal 1396, m. dopo 1430
Nicolosi Giuseppe, da Roma, A., Ing. e Urb., 1901-1981
Nikolaos, S. ateniese, att. 2a metà sec. II
Nikosthenes, Cer. attico, att. ultimi decenni sec. VI-inizi sec. V av.
Cristo 1, 2.
Nocchi Bernardino, da Lucca, P., 1741-1812 – 1, 2.
Noci Arturo, da Roma, P., 1874-1953
Nogari Paris, da Roma, P. e Inc., c. 1536-1601 – 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7, 8, 9, 10, 11.
Nolde Emil (Emil Hansen), da Nolde (Germania), P. e Inc., 1867-
1956
Nollekens Joseph, da Londra, S., 1737-1823
Nolli Giovanni Battista, da Como, A. e Inc., 1701-1756
Nono Urbano, da Venezia, S., 1849-1925
Novelli Gastone, da Vienna, P., 1925-68
Novelli Pietro d. il Monrealese, da Monreale (Palermo), P. e A.,
1603-1647
Novelli Pietro Antonio, da Venezia, P. e Inc., 1729-1804
Nucci Avanzino, da Città di Castello (Perugia), P., 1552-1629 – 1,
2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Nuzi Allegretto, v. Allegretto di Nuzio.

Obici Giuseppe, da Spilamberto (Modena), S., 1807-1878 – 1, 2,


3.
Odazzi Giovanni, da Roma, P., 1663-1731 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17.
Ojetti Raffaele, da Roma, A., 1845-1924 – 1, 2, 3.
Olivieri Pietro Paolo, da Roma, A. e S., 1551-99 – 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7, 8.
Omiccioli Giovanni, da Roma, P., 1901-1975
Onofri Crescenzio, da Roma, P., 1632-dopo 1712 – 1, 2, 3, 4.
Oppo Cipriano Efisio, da Roma, P. e Scen., 1891-1962
Orazi Andrea (Antonio), da Roma, P., 1670-dopo 1724
Orazi Giuseppe, da Roma, P., sec. XVII
Orlandi Clemente, da Roma, A., 1694-1775 – 1, 2.
Orozco José Clemente, da Zapotlan (Messico), P., 1883-1949
Orsi Lelio, da Novellara (Reggio nell’Emilia), P. e A., 1511-87 – 1,
2.
Ortensi Dagoberto, da Jesi (Ancona), A., 1902-1975
Ortolani Aldo, da Roma, Ing., n. 1924
Ortolano (Giovan Battista Benvenuti, d.), P. ferrarese, av. 1487-
dopo 1524 – 1, 2, 3.
Ottino Pasquale, da Verona, P., 1578-1630
Ottoni Lorenzo, da Roma, S., 1648-1736 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Overbeck Friedrich Johann, da Lubecca (Germania), P., 1789-
1869

Pacetti Camillo, da Roma, S. e P., 1758-1826


Pacetti Vincenzo, da Roma, S., c. 1746-1820 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9.
Pacilli Pietro, da Roma, S., 1716-dopo 1769 – 1, 2.
Pagano Francesco, P. napoletano, att. 2a metà sec. XV
Pagano Pogatschnig Giuseppe, da Parenzo (Croazia), A. e Urb.,
1896-1945
Pagliano Eleuterio, da Casale Monferrato (Alessandria), P. e Inc.,
1826-1903
Paladini Giuseppe, da Messina, P., 1721-94
Paladino Mimmo, da Paduli (Benevento), P., n. 1948
Palagi Pelagio, da Bologna, P., S. e A., 1775-1860 – 1, 2.
Palamedesz Anthonie, da Delft (Olanda), P., c. 1600-1673
Palamedesz Palamedes, da Londra, P., 1607-1638
Palladio (Andrea di Pietro della Gondola, d.), da Padova, A., 1508-
1580
Palma il Giovane (Jacopo Negretti o Nigretti, d.), da Venezia, P.,
1544-1628 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Palma il Vecchio (Jacopo Negretti o Nigretti, d.), da Serina
(Bergamo), c. 1480-1528 – 1, 2.
Palmerini Camillo, da Roma, A., 1893-1967 – 1, 2, 3.
Palmezzano Marco, da Forlì, P., 1459-1539 – 1, 2, 3, 4.
Palopoli Alfredo, da Roma, Ing., 1878-1966
Paniconi Mario, da Roma, A., 1904-1973 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Pannaria Matteo, P. palermitano, att. a Roma sec. XVIII
Pannini (o Panini) Giovanni Paolo, da Piacenza, P., A. e Dec.,
1691-1765 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Pannini Giuseppe, da Roma, A., c. 1720-c. 1810
Pantoja de la Cruz Juan, da Madrid, P., 1551-1608
Paolini Pietro, da Lucca, P., 1603-1681 – 1, 2.
Paolino da Pistoia (fra’; Paolo di Bernardino di Signoraccio, d.), P.,
c. 1490-1547
Paolo Fiammingo (Pauwels Franck, d.), da Anversa (Olanda), P.,
c. 1540-1596
Paolo da Siena, S., att. 1a metà sec. XIV
Paolo Veneziano, da Venezia, P., not. c. 1320-1362
Papacello (Tommaso Bernabei, d.), da Cortona (Arezzo), P., c.
1500-1559
Papagni Renato, da Roma, Ing., n. 1946
Papaleo Francesco, da Palermo, S., c. 1642-1718 – 1, 2.
Papi Angelo, P., sec. XVIII
Papi Federico, da Siena, S., n. 1897.
Papias, S. greco, att. 1a metà sec. II
Paradisi Domenico, A., att. a Roma 1a metà sec. XVIII
Parentino Bernardo, da Parenzo (Croazia), P., 1434 o 1437-1531
Parisi Antonio, A., att. a Roma ultimo quarto sec. XIX
Parker John, da Londra, P., not. dal 1739, m. c. 1765
Parmigianino (Francesco Mazzola, d.), da Parma, P., 1503-1540 –
1, 2, 3.
Parodi Domenico, da Genova, P., 1672-1742
Parodi Giovanni Battista, da Genova, P., 1674-1730 – 1, 2.
Parrocel Étienne, da Avignone (Francia), P., 1696-1774 – 1, 2, 3,
4, 5.
Partenope Renato, da Catanzaro, A., n. 1956
Pascali Pino, da Bari, S., 1935-68
Paschetti Paolo, da Torre Pèllice (Torino), Vet., 1885-1963.
Pascoletti Cesare, da Povoletto (Udine), A. e Urb., 1898-1986.
Passalacqua Piero, da Messina, A., c. 1690-1748 – 1, 2, 3, 4.
Passarelli Fausto, da Roma, Ing., 1910-98 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Passarelli Lucio, da Roma, Ing., n. 1922 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Passarelli Tullio, da Roma, Ing., 1869-1941 – 1, 2, 3, 4, 5.
Passarelli Vincenzo, da Roma, Ing. e A., 1904-1985 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7.
Passeri Giuseppe, da Roma, P. e A., 1654-c. 1714 – 1, 2, 3, 4, 5,
6, 7, 8, 9.
Passerini Pompeo, da Massa Fermana (Ascoli Piceno), A., 1875-?
– 1, 2.
Passerotti (o Passarotti) Bartolomeo, da Bologna, P. e Inc., 1528-
92 – 1, 2, 3, 4, 5.
Passignano (Domenico Cresti, d.), da Passignano di Tavarnelle
Val di Pesa (Firenze), P., 1559-1638 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10.
Paterna Baldizzi Leonardo, da Palermo, A., 1868-1942
Patini Teofilo, da Castel di Sangro (L’Aquila), P., 1840-1906
Pazzi Arturo, A., sec. XIX-XX – 1, 2.
Pécheux Lorenzo, da Lione (Francia), P., 1729-1821 – 1, 2, 3.
Pediconi Giulio, da Roma, A., n. 1906 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Pellechet Jules-Antoine, da Parigi, A., 1829-1905
Pellegrin Luigi, da Courcellette (Francia), A., n. 1925
Pellegrini Carlo, da Carrara, P., 1605-1649
Pellegrini Domenico, da Galliera Veneta (Padova), P., 1759-1840
– 1, 2
Pellegrino da Modena (Pellegrino Aretusi, d.), da Modena, P.,
1463/65-1523.
Pellizza Giuseppe, da Volpedo (Alessandria), P., 1868-1907
Penitz (o Peniz) Giuseppe, P. att. a Roma fine sec. XVI
Penna Agostino, da Roma, S., not. dal 1768, m. 1800 – 1, 2, 3.
Penni Giovanni Francesco d. il Fattore, da Firenze, P., c. 1496-
dopo 1528 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Peparelli Francesco, A. att. a Roma 1626 c., m. 1641 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8.
Peressutti Enrico, da Pinzano al Tagliamento (Pordenone), A. e
Urb., 1908-1976 – 1, 2.
Peressutti Gino, da Gemona del Friùli (Udine), A., 1883-1940
Perfetti Giovanni Antonio, da Roma, A., ?-1754
Perin del Vaga (Pietro Bonaccorsi, d.), da Firenze, P., 1501-1547
– 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19,
20, 21, 22, 23.
Peroni Giuseppe, da Roma, S., c. 1626-1663
Perrier François, da Salins (Francia), P., 1590-1650
Perugini Giuseppe, da Buenos Aires, A., n. 1914
Perugino (Pietro di Cristoforo Vannucci, d.), da Città della Pieve
(Perugia), P., c. 1450-1523 –. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Peruzzi Baldassarre, da Siena, A. e P., 1481-1536 – 1, 2, 3, 4, 5,
6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22,
23, 24, 25, 26, 27, 28.
Peruzzi Giovanni Sallustio, da Siena, A., ?-1573 – 1, 2, 3, 4, 5.
Peruzzini Giovanni Battista, da Ancona, P., 1629-94
Pesci Girolamo, da Roma, P., 1679-1759 – 1, 2, 3.
Petit Jacob, da Parigi, P. e Dec. di porcellane, 1796-1865
Petrazzi Astolfo, da Siena, P., 1579-1665
Pettrich Ferdinando, S. americano, 1798-1872 – 1, 2.
Piacentini Marcello, da Roma, A. e Urb., 1881-1960 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22,
23, 24, 25, 26.
Piacentini Pio, da Roma, A., 1846-1928 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Piamontini Giuseppe, da Firenze, S. e Ces., 1664-1742
Piano Renzo, da Genova, A., n. 1937
Piastrini Domenico, da Pistoia, P., 1678-1740
Piazza Paolo (fra’ Cosimo Cappuccino), da Castelfranco Veneto
(Treviso), P. e Inc., 1557-1621 – 1, 2.
Piazzetta Giovanni Battista, da Venezia, P. e Inc., 1683-1754 – 1,
2.
Picasso Pablo, da Malaga (Spagna), P., S., Inc. e Cer., 1881-1973
Picchiarini Cesare, da Roma, Vet., 1871-1943
Piccinato Luigi, da Legnago (Verona), A. e Urb., 1899-1983 – 1,
2, 3, 4.
Piccinelli Andrea d. Andrea del Brescianino, da Siena, P., not.
1506-1525 – 1, 2.
Piccio (Giovanni Carnovali, d.), da Montegrino Valtravaglia
(Varese), P., 1804-1873 – 1, 2.
Piccione Matteo, da Ancona, P., 1615 ?-1671
Pier Matteo da Amelia (Terni), P., not. dal 1467, m. 1503/8 –1, 2.
Pieratti Domenico, S., 1610-1656.
Pierino da Vinci (Pier Francesco di Bartolomeo, d.), da Vinci
(Firenze), S., c. 1530-1554;
Piero di Cosimo (Piero di Lorenzo, d.), da Firenze, P., 1462-1521
– 1, 2, 3.
Piero della Francesca, da Sansepolcro (Arezzo), P., 1415/20-1492
Pietro Alemanno, da Göttweich (Austria), P., not. dal 1475, m.
1497/98 – 1, 2.
Pietro da Cortona (Pietro Berrettini, d.), da Cortona (Arezzo), P. e
A., 1596-1669 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15,
16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31,
32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41.
Pietro da Piacenza, S. e Fond., att. a Roma fine sec. XII – 1, 2.
Pifferi Emilio, da Torino, A., 1907-?
Pincellotti Bartolomeo, da Carrara, S., not. dal 1735, m. 1740 – 1,
2.
Pinelli Achille, da Roma, Inc., 1781-1835
Pinelli Bartolomeo, da Roma, P. e Inc., 1781-1835
Pini Carlo, da Bologna, S., 1902-?
Pino Marco d. Marco da Siena, da Costalpino (Siena), P.,
1517/22-dopo 1579 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Pinson Nicolas, da Valence (Francia), P., c. 1636-1681
Pintonello Achille, da Pianiga (Venezia), Ing., 1902-? – 1, 2.
Pinturicchio (Bernardino di Betto, d.), da Perugia, c. 1454-1513 –
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Pippi Nicolò (Nicolas Mostaert, d.), da Arras (Francia), S., m.
1601/4 – 1, 2, 3, 4, 5.
Pirandello Fausto, da Roma, P., 1899-1975 – 1, 2, 3, 4, 5.
Piranesi Giovanni Battista, da Mogliano Veneto (Treviso), Inc. e
A., 1720-78 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Pirani Quadrio, A., 1878-1970 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Pirri Giovanni, da Ancona (?), P., att. 2a metà sec. XVIII
Pisanello (Antonio Pisano, d.), da Pisa, P. e Med., c. 1380 o 1395-
av. 1455
Pistoletto Michelangelo, da Biella, P., n. 1933
Pistrucci Camillo, da Roma, S., 1811-54
Pistrucci Camillo, da Roma, A., 1856-1927
Pittore di Acheloo, Cer. attico, att. c. 530-510 av. Cristo
Pittore di Achille, Cer., att. c. 460 av. Cristo
Pittore di Amasis, Cer. attico, att. 560-525 av. Cristo
Pittore di Argos, Cer., not. primo venticinquennio sec. V av. Cristo
Pittore dell’Aurora, Cer. etrusco, sec. IV av. Cristo
Pittore di Berlino, Cer. greco, att. 500-475 av. Cristo – 1, 2.
Pittore di Borea, Cer., att. 460-450 av. Cristo
Pittore di Brygos, Cer. attico, att. 1° decennio sec. V-480 av.
Cristo
Pittore di Goluchow, Cer. attico, att. 520 av. Cristo
Pittore di Phrynos, Cer. attico, att. metà sec. VI av. Cristo
Pizzichelli Ubaldo, da Gubbio (Perugia), S., 1858-1942
Podestà Andrea, da Genova, P., 1608?- prima del 1674
Podesti Francesco, da Ancona, P., 1800-1895 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Podesti Giulio, da Roma, A., 1857-1909 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Pogliaghi Ludovico, da Milano, P., S. e Scen., 1857-1950 – 1, 2.
Polenzani Giovanni Battista, da Città di Castello (Perugia), P.,
1836-69 – 1, 2.
Poletti Luigi, da Modena, S. e A., 1792-1869 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8.
Polidoro, S. greco, sec. I
Polidoro da Caravaggio (Polidoro da Caldara, d.), da Caravaggio
(Bergamo), P., c. 1499/1500-1543? – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Pollaiolo (del) Antonio (Antonio di Jacopo Benci, d.), da Firenze,
P., S. e O., 1431/32-1498 – 1, 2, 3.
Pollaiolo (del) Matteo, da Firenze, S., 1452-dopo 1475
Pollaiolo (del) Simone d. il Cronaca, da Firenze, A., 1457-1508
Pollini Gino, da Rovereto (Trento), A., 1903-1991
Pollock Jackson, da Cody (USA), P., 1912-56
Pomarancio (Cristoforo Roncalli, d.), da Pomarance (Pisa) P.,
1552-1626 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27.
Pomodoro Arnaldo, da Morciano di Romagna (Rimini), S., n. 1926
– 1, 2, 3.
Pomodoro Giò, da Orciano di Pesaro (Pesaro e Urbino), S., 1930-
2002
Pontelli Baccio, da Firenze, A., Ing. milit., Int. e S., c. 1450-1492
– 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13.
Ponti Gio (Giovanni), da Milano, A. e Des., 1891-1979 – 1, 2, 3.
Pontios, Cer. greco, sec. I av. Cristo
Ponzi Domenico, da Ravenna, S., 1891-? – 1, 2.
Ponzio Flaminio, da Viggiù (Varese), A., 1559/60-1613 – 1, 2, 3,
4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17.
Pordenone (Giovanni Antonio de’ Sacchis, d.), da Pordenone, P.,
c. 1484-1539
Portoghesi Paolo, da Roma, A., n. 1931 – 1, 2, 3.
Posi Paolo, da Siena, A., 1708-1776 – 1, 2, 3, 4, 5.
Pourbus Frans II il Giovane, da Anversa (Belgio), P., 1570-1622 –
1, 2.
Poussin Claude, da Parigi, S., not. dal 1644, m. 1661
Poussin Nicolas, da Les Andelys (Francia), P., 1594-1665 – 1, 2,
3, 4, 5, 6.
Powers Hirami, da Woodstock (USA), P., 1805-1873
Pozzi Stefano, da Roma, P., 1699-1768 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Pozzo Andrea, da Trento, P. e A., 1642-1709 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8.
Pozzo Giovanni Battista, da Valsolda (Como), P., 1561-89 – 1, 2.
Pozzoni Francesco Felice, A. att. a Roma, not. 1678-99
Prampolini Enrico, da Modena, P., S. e Scen., 1894-1956 – 1, 2,
3, 4.
Preciado de la Vega Francisco, da Siviglia o da Ecija (Spagna), P.,
1713-89 – 1, 2, 3, 4.
Preti Gregorio, da Taverna (Catanzaro), P., sec. XVII – 1, 2.
Preti Mattia d. il Cavalier Calabrese, da Taverna (Catanzaro), P.,
1613-99 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Previati Gaetano, da Ferrara, P., 1852-1920 – 1, 2.
Prini Giovanni, da Genova, S. e Med., 1877-1958 – 1, 2, 3, 4, 5,
6, 7, 8, 9.
Procaccini Andrea, da Roma, P., 1671-1734 – 1, 2, 3, 4, 5.
Procaccini Camillo, da Bologna, P. e Inc., c. 1560-1621
Prosperi Filippo, da Artena (Roma), P., 1831-1913
Prospero Bresciano, v. Antichi Prospero.
Pseudo Baronzio, P., sec. XIV 1
Pseudo Domenico di Michelino, P., sec. XV 1
Pseudo Jacopino di Francesco, P., att. a Bologna 1a metà sec. XIV
1
Puccetti (o Pacetti) Giovanni Battista, da Città di Castello
(Perugia), P., 1593-c. 1670
Puccini Biagio, da Roma, P., 1673/75-1721 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Puccioni Ferdinando, da San Gimignano (Siena), A., 1907-1990
Puglia Giuseppe d. il Bastaro, da Roma, P., c. 1600-1636 – 1, 2,
3.
Puligo (Domenico di Bartolomeo Ubaldino, d.), da Firenze, P.,
1492-1527
Pulzone Scipione, da Gaeta (Latina), P., c. 1550-1598 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7.
Puntoni Giovanni, S., sec. XIX
Purificato Domenico, da Fondi (Latina), P., 1915-84
Pynas Jan Symonzs, da Haarlem (Olanda), P., 1583-1631

Quadrelli Emilio, da Milano, S., 1863-1925


Quadri (o Quadrio) Giulio Carlo, A., att. a Roma fine sec. XVII
Quaroni Giorgio, da Roma, P., 1907-1960 – 1, 2, 3, 4.
Quaroni Ludovico, da Roma, A. e Urb., 1911-87 – 1, 2, 3.
Quattrini Enrico, da Colvalenza di Todi (Perugia), S., 1863-1950 –
1, 2, 3.
Queirolo Francesco, da Genova, S., 1704-1762 – 1, 2, 3, 4.
Quellin Erasmus II, da Anversa (Belgio), P., 1607-1678

Radice Mario, da Como, P., 1898-1987


Radiconcini Silvio, A. contemporaneo
Raffaeli Giacomo, da Roma, Mos., 1753-1836
Raffaellino del Colle, da Sansepolcro (Arezzo), P., fine sec. XV-
1566 – 1, 2, 3.
Raffaellino del Garbo (Raffaele de’ Carli, d.), da Firenze, P., 1466-
1524
Raffaellino da Reggio (Raffaellino Motta, d.), da Codemondo
(Reggio nell’Emilia), P., 1550-78 – 1, 2, 3, 4, 5.
Raffaello (Sanzio o Santi), da Urbino, P. e A., 1483-1520 – 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20,
21, 22, 23, 24, 25, 26.
Raffaello da Montelupo (Raffaello di Bartolomeo Sinibaldi, d.), da
Montelupo Fiorentino (Firenze), S. e A., c. 1505-1557 – 1, 2, 3,
4, 5, 6, 7.
Raggi Ercole Antonio, da Vico Morcote (Canton Ticino), S. e
Stucc., 1624-86 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14,
15, 16, 17, 18, 19, 20.
Raguzzini Filippo, da Napoli, A., c. 1680-1771 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15.
Raibolini Giacomo d. Francia, da Bologna, P., O. e Inc., 1486-
1557 – 1, 2.
Raimondi Marcantonio, da Bologna, Inc., c. 1482-c. 1534
Raimondi Quintiliano, da Nèrola (Roma), A., 1794-1848 – 1, 2.
Rainaldi Carlo, da Roma, A., 1611-91 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25,
26, 27.
Rainaldi Girolamo, da Roma, A., 1570-1655 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19.
Rambelli Domenico, da Faenza (Ravenna), S., 1886-1972
Raphael Mafai Antonietta, da Kowno (Lituania), P. e S., 1900-
1975
Rapisardi Gaetano, da Siracusa, A., n. 1909 – 1, 2, 3, 4.
Rebecchini Gaetano, da Roma, A. e Urb., n. 1924 – 1, 2, 3, 4.
Rebecchini Giovanni, da Roma, A., n. 1938 – 1, 2.
Rebecchini Salvatore, da Roma, Ing., 1891-1977 – 1, 2.
Recalcati Giacomo Onorato, A., ?-1723 – 1, 2, 3.
Reder Giovanni, da Roma, P., 1639-?
Redini Mario, A. contemporaneo
Redon Odilon, da Bordeaux (Francia), P. e Inc., 1840-1916
Régnier Nicolas d. Niccolò Renieri, da Maubeuge (Francia), P.,
1591-1667 – 1, 2.
Reni Guido, da Bologna, P., Inc. e S., 1575-1642 – 1, 2, 3, 4, 5,
6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22,
23, 24, 25, 26, 27.
Ressa Alberto, da Torino, A., n. 1902
Retti Leonardo, S. e Stucc. lombardo, att. a Roma 1670-1709 – 1,
2.
Reuter Willem, da Bruxelles, P., 1642-81
Revelli Salvatore, da Taggia (Imperia), S., 1816-59 – 1, 2.
Ribera (de) Jusepe, v. Spagnoletto.
Ricci Dante, da Serra San Quìrico (Ancona), P., 1879-1957
Ricci Giovanni Battista, da Novara, P., c. 1550-dopo 1623 – 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
Ricci Sebastiano, da Belluno, P. e Inc., 1659-1734 – 1, 2, 3, 4.
Ricci Silvano, da Roma, A., 1921-82 – 1, 2.
Ricciolini Michelangelo, da Roma, P., 1654-1715
Ricciolini Nicolò, da Roma, P., 1687-1772 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Ridolfi Claudio, da Verona, P., 1570-1644 – 1, 2.
Ridolfi Mario, da Roma, A. e Urb., 1904-1984 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8.
Righi Tommaso, da Roma, S. e Stucc., 1727-1802 – 1, 2, 3, 4, 5.
Riminaldi Orazio, da Pisa, P., 1593-1630
Rinaldi Giuseppe, da Roma, A., n. 1925
Rinaldi Rinaldo, da Padova, S., 1793-1873 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Ripanda Jacopo, da Bologna, P. e Inc., not. 1490-1530 – 1, 2, 3,
4, 5, 6.
Rivalta Augusto, da Alessandria, S., 1837-1925 – 1, 2.
Rivera Diego, da Guanajuato (Messico), P., 1886-1957
Rizzi Antonio, da Cremona, P., 1869-1940
Rizzi Vivina, da Roma, A., n. 1924 – 1, 2.
Roberti Domenico, da Roma, P., c. 1642-1707
Roberti (de’) Ercole, da Ferrara, P., 1451/56-1496
Rocca Giacomo, P. romano, ?-1592/1605 – 1, 2.
Rocca Michele, da Parma, P., 1675-c. 1751 – 1, 2, 3.
Rodin François-Auguste-René, da Parigi, S., 1840-1917 – 1, 2, 3.
Rodriguez de Santos Emanuel, A. portoghese, att. a Roma dal
1731 c., m. 1752/53?
Roesler Franz Ettore, da Roma, P., 1845-1907 – 1, 2.
Rogers Ernesto Nathan, da Trieste, A. e Urb., 1909-1969
Rohden (von) Franz, da Roma, P., 1817-1903
Rohlfs Christian, da Niendorf (Germania), P. e Gr., 1849-1938
Rolland Luigi, A., att. a Roma c. 1898-1914
Romanelli Giovanni Francesco, da Viterbo, P., 1610-1662 – 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20,
21.
Romanelli Raffaele, da Firenze, S., 1856-1928
Romanelli Romano, da Firenze, S., 1882-1968 – 1, 2, 3, 4, 5.
Romanino (Girolamo Romani o da Romano, d.), da Brescia, P.,
1485-c. 1560
Romano Giovanni Cristoforo, da Roma, S., O., A., Med. e Inc.,
1470-1512
Romano Mario, da Roma, A., n. 1898
Romano Virgilio, P., att. a Roma sec. XVI
Rombouts Theodor, da Anversa (Belgio), P., 1597-1637
Romney George, da Dalton in Furness (Gran Bretagna), P., 1734-
1802
Rondinelli Nicolò, forse da Lugo (Ravenna), P., c. 1450-c. 1510
Rondone Francesco, da Roma, S., c. 1600-dopo 1670
Rondoni Alessandro, da Como, S., c. 1562-1634
Rooke Thomas Matthews, Mos. inglese, 1844-1944
Rosa Ercole, da San Severino Marche (Macerata), S., 1846-93 –
1, 2.
Rosa Francesco, da Genova, P., Stucc. e Inc., not. dal 1674, m.
1687 – 1, 2.
Rosa Giovanni (Jan Roos, d.), da Anversa (Belgio), P., 1591-1638
Rosa Salvatore, da Napoli, P. e Inc., 1615-73 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9.
Rosa da Tivoli (Philipp Peter Roos, d.), da Francoforte sul Meno
(Germania), P. e Inc. 1655/57-1706 – 1, 2.
Rosai Ottone, da Firenze, P., 1895-1957 – 1, 2, 3.
Rosati Rosato, da Montalto delle Marche (Macerata), A., 1559-
1622
Rosselli Cosimo, da Firenze, P., 1439-1507 – 1, 2, 3.
Rosselli Domenico, S. att. a Roma, ?-1560
Rosselli Matteo, da Firenze, P., 1578-1650
Rosselli Pietro (di Giacomo), A. e S. toscano, 1474?-dopo 1531 –
1, 2, 3, 4.
Rossellino Bernardo (Bernardo Gamberelli, d.), da Settignano
(Firenze), A. e S., 1409-1464 – 1, 2, 3.
Rossetti Cesare, P. att. a Roma, not. 1593-1620
Rossetti Paolo, da Cento (Ferrara), P. e Mos., ?-1621 – 1, 2.
Rossi Ettore, da Fano (Pesaro e Urbino), A., 1894-? – 1, 2.
Rossi Giovanni Francesco, da Fivizzano (Massa-Carrara), S. att. a
Roma, not. 1640-77 – 1, 2, 3.
Rossi Mariano, da Sciacca (Agrigento), P., 1731-1807 – 1, 2, 3.
Rossi Tullio, da Roma, A., n. 1903 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Rossini Luigi, da Ravenna, P. e Inc., 1790-1857
Rosso Fiorentino (Giovanni Battista di Jacopo, d.), da Firenze, P.,
1494-1540
Rosso Giulio, da Firenze, Mos., n. 1897 – 1, 2.
Rosso Medardo, da Torino, S., 1858-1928 – 1, 2.
Rotella Domenico (Mimmo), da Catanzaro, P.. 1918-2006 – 1, 2.
Rouault Georges, da Parigi, P., 1871-1958
Rubens Frans Arnold, da Anversa (Belgio), P., 1687-1719 – 1, 2.
Rubens Pieter Paul, da Siegen (Germania), P., 1577-1640 – 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8.
Rubino Edoardo, da Torino, S., 1871-1954 – 1, 2.
Rudiez Pietro, Mos., att. a Roma fine sec. XVIII
Rughesi Fausto, da Montepulciano (Siena), A., not. 1597-1605
Rupelli Torello, P., sec. XIX
Rusconi Camillo, da Milano, S., 1658-1728 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10, 11, 12.
Rusconi Giuseppe, da Tremona (Canton Ticino), S., 1688-1758 –
1, 2, 3.
Rusconi Sassi Ludovico, A. romano, 1678-1736 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Rusuti Filippo, da Roma, P. e Mos., att. sec. XIII-XIV
Rutelli Mario, da Palermo, S., 1859-1941 – 1, 2, 3, 4.
Ruviale Francesco (o Roviale Spagnolo), da Badajoz (Spagna), P.,
1511?-1582
Ryckaert III David, da Anversa (Belgio), P., 1612-61 – 1, 2.

Sabatini (o Sabbatini) Lorenzo, da Bologna, P., c. 1530-1576


Sabbatini Innocenzo, da Roma, A., 1891-1984 – 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7.
Sablet Jacques, da Morges (Svizzera), P., 1745-1819
Sacchi Andrea, da Nettuno (Roma), P., c. 1599/1600-1661 – 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Sacconi Giuseppe, da Montalto Marche (Ascoli Piceno), A., 1854-
1905 – 1, 2, 3, 4.
Saetti Bruno, da Bologna, P., 1902-1984 – 1, 2, 3, 4.
Sale Niccolò, S. francese, att. a Roma 1635-50 c.
Salietti Alberto, da Ravenna, P., 1892-1961
Salimbeni Ventura, da Siena, P., 1568-1613 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8.
Salimei Luigi, da Roma, S., att. fine sec. XVIII513
Salini Tommaso, da Roma, P., c. 1575-1625 462
Salmeggia Enea, v. Talpino.
Salvi Gaspare, da Roma (?), A., 1786-1849 522
Salvi Nicola, da Roma, A., 1697-1751 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Salviati Francesco (Francesco de Rossi, d.), da Firenze, P., c.
1509-1563 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15.
Sammachini (o Sammacchini) Orazio, da Bologna, P. e Inc., 1532-
77
Samonà Giuseppe, da Palermo, A. e Urb., 1898-1983
San Martino (di) Carlo Arrigo, A. att. a Roma, ?-1726
Sano di Pietro, da Siena, P. e Min., 1406-1481 – 1, 2, 3.
Sanquirico Paolo, S., Med. e A. parmense, 1565-1630
Sansovino Andrea (Andrea Contucci, d.), da Monte San Savino
(Arezzo), S. e A., 1460-1529 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Sansovino Jacopo (Jacopo Tatti, d.), da Firenze, A. e S., 1486-
1570 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Santacroce (da) Gerolamo, da Venezia, P., not. dal 1506, m. 1556
Santagata Antonio Giuseppe, da Genova, P., S. e Med., 1888-
1985
Santi Giovanni, da Colbòrdolo (Pesaro e Urbino), P., c. 1440-1494
Santi di Tito, da Sansepolcro (Arezzo), P. e A., 1536-1603 – 1, 2,
3, 4, 5.
Sanzio Raffaello, v. Raffaello.
Saraceni Carlo, da Venezia, P., 1579-1620 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,
9, 10, 11.
Sardi Giuseppe, da Sant’Angelo in Vado (Pesaro e Urbino), A.,
1680-1753 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Sarti Antonio, da Budrio (Bologna), A., 1797-1880 – 1, 2, 3, 4, 5,
6.
Sarti Ignazio, da Bologna, A., S., P. e Inc., 1791-1854
Sartogo Piero, da Roma, A., n. 1934
Sartorio Giulio Aristide, da Roma, P., 1860-1932 – 1, 2, 3, 4.
Sassetta (Stefano di Giovanni di Consolo, d.), forse da Cortona
(Arezzo), P., att. dal 1423, m. 1450 – 658.
Sassi Matteo, da Roma, A., 1646-1723
Sassoferrato (Giovanni Battista Salvi, d.), da Sassoferrato
(Ancona), P., 1605-1685 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Sassu Aligi, da Milano, P., 1912-2000
Savery Roelant, da Courtrai (Belgio), P., 1576-1639
Savinio Alberto (Andrea De Chirico, d.), da Atene, 1891-1952
Savoldo Giovanni Girolamo (o Gerolamo), da Brescia, P., c.
1480/85-dopo 1548 – 1, 2.
Savonanzi Emilio, da Bologna, P., 1580-1660 – 1, 2.
Sbricoli Silvio, da Roma, S., 1864-1911
Scalpelli Alfredo, da Tìvoli (Roma), A., 1898-1966
Scaramuccia (Luigi Pellegrino, d.), da Perugia, P., 1616-80
Scarsellino (Ippolito Scarsella, d.), da Ferrara, P., 1551-1620 – 1,
2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Schedoni Bartolomeo, da Formìgine (Modena), P., 1578-1615
Scherano da Settignano (Alessandro Fancelli, d.), da Settignano
(Firenze), S., not. 1537
Schifano Mario, da Homs (Libia), P., 1934-98 – 1, 2.
Schmalzl Maximilian, da Falkenstein (Germania), P., 1850-1930
Schmidt-Rottluff Karl, da Rottluff (Germania), P., Inc. e S., 1884-
1976
Schnorr (von) Caroesfeld Julius, da Lipsia (Germania), P., 1794-
1872
Schönfeld Johann Heinrich, da Biberach (Germania), P. e Inc.,
1609-1683
Schor Cristoforo, da Roma, A., 1655-1701
Schor Giovanni Paolo, da Innsbruck (Austria), P., 1615-74 – 1, 2,
3, 4, 5.
Schwechten Franz, da Köln (Germania), A., 1841-1924
Scialoja Toti, da Roma, P. e Scen., 1914-98
Sciltian Gregorio, da Rostov (Armenia), P., 1900-1985
Scipione (Gino Bonichi, d.), da Macerata, P., 1904-1933 – 1, 2.
Scorzelli Raffaele (Lello), da Napoli, S., n. 1921
Sebastiano Fiorentino, A., att. a Roma c. 1479-1483
Sebastiano del Piombo (Sebastiano Luciani, d.), da Venezia, P., c.
1485-1547 – 1, 2, 3, 4, 5.
Sebregondi Nicolò, A. e P. valtellinese, 1580/90-c. 1652.
Secondo Maestro della Sagra di Carpi, P., not. c. 1420-30
Segantini Giovanni, da Arco (Trento), P., 1858-99
Seghers Daniel, da Anversa (Belgio), P., 1590-1661
Seghers Gérard, da Anversa (Belgio), P., 1591-1651
Seiter (o Seyter) Daniele, da Vienna, P., 1649-1705 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8.
Seitz Alessandro Massimiliano, da Monaco (Germania), P., 1811-
88
Seitz Ludovico, da Roma, P., 1844-1908 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Selva Attilio, da Trieste, S., 1888-1970 – 1, 2, 3, 4, 5.
Semanza (Giovanni) Giacomo, da Bologna, P., 1580-1636
Semeghini Pio, da Bondanello di Quistello (Mantova), P., 1878-
1964
Sementi Giovan Giacomo, da Bologna, P., 1583-c. 1640
Sereni Giuseppe, da Spoleto (Perugia), P., 1823-dopo 1888
Sermoneta (Girolamo Siciolante, d.), da Sermoneta (Latina), P.,
1521-80 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16,
17, 18, 19.
Sernesi Raffaello, da Firenze, P., 1838-66
Serodine Giovanni, da Ascona (Canton Ticino), P., 1600?-1630 –
1, 2.
Serra Luigi, da Bologna, P., 1846-88
Settimj Francesco, da Roma, A., not. 1876-88 – 1, 2, 3.
Severini Gino, da Cortona (Arezzo), P., S. e Scen., 1883-1966 – 1,
2, 3, 4, 5.
Severo da Ravenna, S. e F., sec. XV-XVI
Severus, A., att. a Roma sec. I
Shahn Ben, da Kovno (Lituania), P., 1898-1969
Signorelli Luca, da Cortona (Arezzo), P., c. 1445-1523 – 1, 2, 3.
Signorini Telemaco, da Firenze, P. e Inc., 1835-1901
Silla da Viggiù, v. Longhi Silla Giacomo.
Simone, P., att. 2° e 3° quarto sec. XIII
Simone dei Crocefissi (Simone di Filippo Benvenuti, d.), da
Bologna, P., c. 1330-1399
Simonetti Michelangelo, da Roma, A., 1724-87 – 1, 2, 3, 4, 5.
Siqueiros David Alfaro, da Chihuahua (Messico), P., 1898-1974
Sironi Mario, da Sassari, P., S., Scen. e Mos., 1885-1961 – 1, 2, 3,
4, 5, 6.
Skythes, Cer. attico, att. entro ultimo quarto sec. VI av. Cristo
Sloan John, da Lock Haven (USA), P., 1871-1951
Slodtz Michelangelo (Slodtz René-Michel, d.), da Parigi, S., 1705-
1764 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Smuglewicz Franciszeck, da Varsavia, P., 1745-1807
Snyers Peter, da Anversa (Belgio), P., 1579-1657
Sodoma (Giovanni Antonio Bazzi, d.), da Vercelli, P., 1477-1549 –
1, 2, 3, 4, 5.
Soffici Ardengo, da Rignano sull’Arno (Firenze), P., 1879-1964 –
1, 2.
Sogliani Giovanni Antonio, da Firenze, P., 1492-1544
Solà Antonio, da Barcellona (Spagna), S., 1787-1861
Solari Giovanni Battista, Stucc. lombardo, not. 1610-1629
Solario (o Solari) Andrea, da Milano, P., c. 1465-1524
Solario Antonio d. lo Zingaro, P. veneto, not. 1495-1514
Soldani-Benzi Massimiliano, da Firenze, S. e Med., 1658-1740
Solimena Francesco d. l’Abate Ciccio, da Canale di Serino
(Avellino), P. e A., 1657-1747 – 1, 2, 3.
Somaini Francesco, da Lomazzo (Como), S., n. 1926
Sommaruga Giuseppe, da Milano, A., 1867-1917 – 1, 2.
Soria Giovanni Battista, da Roma, A., 1581-1651 – 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7.
Sormani Leonardo d. Leonardo da Sarzana, probabilmente da
Savona, S., av. 1530-dopo 1589 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Spaccarelli Attilio, da Roma, A., 1890-1975 – 1, 2, 3, 4, 5.
Spada Lionello, da Bologna, P., 1576-1622
Spadarino (Giovanni Antonio Galli, d.), P., 1585-av. 1653 – 1, 2.
Spadini Armando, da Poggio a Caiano (Prato), P., 1883-1925 – 1,
2, 3.
Spadino (Giovanni Paolo Castelli, d.), da Roma, P., 1659-c. 1730
Spadolini Pier Luigi, da Firenze, A. e Des., 1922-2000
Spagna (Giovanni di Pietro, d.), P., c. 1450-1528 – 1, 2, 3.
Spagnoletto (Jusepe de Ribera, d.), da Játiva (Spagna), P., 1591-
1652 – 1, 2, 3, 4, 5.
Spazzapan Luigi, da Gradisca d’Isonzo (Gorizia), P., 1889-1958
Specchi Alessandro, da Roma, A. e Inc., 1668-1729 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9.
Specchi Michelangelo, A. att. a Roma, c. 1684-dopo 1750
Spence Basil, da Bombay (India), A., 1907-1976
Speranza Giovanni Battista, da Roma, S. e P., c. 1600-1640 – 1,
2, 3, 4.
Speranza Stefano, da Roma, S. e P., not. 1635
Spina Giuseppe, da Messina, A., n. 1938
Spinazzi Angelo, da Piacenza, O., c. 1700-c. 1760
Spinazzi Innocenzo, da Roma, S., not. dal 1785, m. 1798
Stabia Nicolò, P., sec. XVIII
Stacchini Ulisse, da Firenze, A., 1871-1947
Stanzione Massimo, da Orta di Atella (Caserta), P., 1585-1656 –
1, 2, 3.
Stati Cristoforo, da Bracciano (Roma), S., 1556-1619 – 1, 2.
Staurachios da Scio, O., att. seconda metà sec. XI
Stefano da Zevio o da Verona, P., not. 1375-c. 1450
Stella Giacomo, da Brescia, P., 1545-c. 1630
Sterbini Giulio, da Roma, A. e Urb., 1912-87 – 1, 2, 3.
Stern Giovanni, da Roma, A., 1734-dopo 1794
Stern Ignaz d. Ignazio Stella, da Mariahilft (Passau; Germania),
P., c. 1680-1748 – 1, 2.
Stern Ludovico, da Roma, P., 1709-1777 – 1, 2, 3, 4.
Stern Raffaele, da Roma, A. e Ing., 1774-1820 – 1, 2, 3, 4.
Stocchi Achille, S. e A., att. a Roma 1ª metà sec. XIX – 1, 2, 3, 4,
5.
Stomer (o Stom) Matthias, da Amersfoort (Olanda), P., c. 1600-
dopo 1650
Storr Paul, O. inglese, 1771-dopo 1839
Strada Vespasiano, da Roma, P., 1582-1622 – 1, 2.
Street George Edmund, da Woodford (Essex, Gran Bretagna), A.,
1824-81 – 1, 2.
Stübben Joseph, da Düsseldorf (Germania), A., 1845-1936
Stuyt Jan, A. olandese, 1868-1934
Subleyras Pierre, da Saint-Gilles-du-Sard (Francia), P., 1699-1749
– 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Susini (o del Susina) Antonio, da Firenze, S., att. c. 1582, m.
1624
Sustermans Justus, da Anversa (Belgio), P. e A., 1597-1681
Sutherland Graham, da Londra, P., 1903-1980
Sweerts Michiel, da Bruxelles, P., 1624-64
Syriskos, Cer. attico, att. 2° quarto sec. V av. Cristo

Taccone Paolo d. Paolo di Mariano, da Sezze (?; Latina), S., ?


-1477 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Tacconi Innocenzo, da Bologna, P., att. a Roma 1607-25
Taddeo di Bartolo, da Siena, P., c. 1362-c. 1422
Tadolini Adamo, da Bologna, S., 1788-1868 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Tadolini Giulio, da Roma, S., 1849-1918 – 1, 2, 3.
Tadolini Scipione, A. contemporaneo
Tagliolini Filippo, Cer., not. dal 1781, m. 1812
Talpino (Enea Salmeggia, d.), da Nembro (Bergamo), P., c. 1565-
1626
Tamagni Vincenzo, da San Gimignano (Siena), P., 1492-c. 1530
Tamayo Rufino, da Oaxaca (Messico), P., 1899-1991
Tantardini Carlo, da Introbio (Como), S., 1677-1748
Tápies Antoni, da Barcellona (Spagna), P., n. 1923
Targone Pompeo, da Roma, A., O. e Ing. milit., 1575-c. 1630 – 1,
2.
Taruffi Emilio, da Bologna, P., 1633-96
Tassi Agostino, da Ponzano Romano (Roma), P., c. 1580-1644 –
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Tato (Guglielmo Sansoni, d.), da Bologna, P., 1896-1974
Tempesta (o Tempesti) Antonio, da Firenze, P. e Inc., c. 1555-
1630 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Tenerani Pietro, da Torano di Carrara, S., 1789-1869 – 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9, 10, 11.
Tengbom Ivar, A. svedese, 1878-1968
Teniers David III, da Anversa (Belgio), P., 1638-85
Teniers David il Giovane II, da Anversa (Belgio), P. e Inc., 1610-
1690 – 1, 2, 3, 4.
Terenzi Terenzio, da Urbino, P., att. dal 1578 c., m. 1620 – 1, 2,
3.
Testa Pietro d. il Lucchesino, da Lucca, P. e Inc., 1612-50 – 1, 2,
3, 4.
Theodoli Girolamo, da Roma, A., 1677-1766 – 1, 2, 3.
Théodon Jean-Baptiste, S. francese, 1646-1713 – 1, 2, 3, 4, 5.
Theodoros, S. greco, att. inizi sec. I
Thomas Gerard, da Anversa (Belgio), P., 1663-1720
Thomas (Antoine) Jean-Baptiste, da Parigi, P. e Inc., 1791-1834
Thorwaldsen Bertel, da Copenaghen, S., 1770-1844 – 1, 2, 3.
Tiarini Alessandro, da Bologna, P., 1577-1668 – 1, 2.
Tibaldi Pellegrino d. il Pellegrini, da Puria di Valsolda (Como), A.,
P. e S., 1527-96 – 1, 2, 3, 4.
Tiberio d’Assisi (Tiberio Ranieri, d.), da Assisi, P., 1460/70-1524 –
1, 2.
Tiepolo Giambattista, da Venezia, P. e Inc., 1696-1770
Tintore (del) Francesco, da Lucca, P., 1645-1718
Tintoretto (Jacopo Robusti, d.), da Venezia, P. e Inc., 1519-94 –
1, 2, 3, 4, 5, 6.
Tintoretto Domenico (Domenico Robusti, d.), da Venezia, P.,
1560-1635 – 1, 2, 3.
Tirelli Marco, da Roma, P., n. 1956 – 1, 2.
Tiziano (Vecellio), da Pieve di Cadore (Belluno), c. 1488/90-1576
– 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.
Toietti Domenico, da Rocca di Papa (Roma), P., not. 1840-62 – 1,
2.
Toma Gioacchino, da Galatina (Lecce), P., 1836-93
Tomassi Renato, da Subiaco (Roma), P., 1886-1972
Tomea Fiorenzo, da Zoppè di Cadore (Belluno), P., 1910-1960
Tomellini Garzia Dario, da Barcellona (Spagna), A., n. 1940
Tommaso di Stefano (Tommaso Lunetti, d.), P. e A. fiorentino, c.
1495-1564
Tondi Jacopo, O. senese, att. 1349-75
Tonnini Giuseppe, da Loreto (Ancona), S., 1875-1954 – 1, 2, 3.
Torbido Francesco d. il Moro, da Venezia, P., 1482/85-1561
Torelli Stefano, da Bologna, P. e Inc., 1712-84
Tornioli Niccolò, da Siena, P., 1598-1651 – 1, 2, 3.
Torresini Attilio, da Venezia, S., n. 1884, not. fino 1928 – 1, 2.
Torriani Nicola, A., att. a Roma c. 1609-1636
Torriani Orazio, A., att. a Roma c. 1601-c. 1657 – 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7, 8, 9.
Torrigiani Sebastiano, da Bologna, S., not. da c. 1573, m. 1596 –
1, 2.
Torrigiano Pietro, da Firenze, S., 1472-1528
Torriti Jacopo, P. e Mos., att. fine sec. XIII – 1, 2, 3.
Torti Domenico, P., sec. XIX
Toselli Angelo, A., not. 1814
Tosi Arturo, da Busto Arsizio (Varese), P. e Inc., 1871-1956 – 1,
2.
Tot Imre, da Fahevarcsurgo (Ungheria), S., n. 1909
Tournier Nicolas, da Montbéliard (Francia), P., 1590-dopo 1657 –
1, 2.
Trabacchi Giuseppe, da Roma, S., 1839-1909 – 1, 2.
Trabaldesi Francesco, P., att. a Roma 2a metà sec. XVI
Trapassi Cesare, da Foligno (Perugia), P., not. 1574
Tremollière Pierre Charles, da Cholet (Francia), P. e Inc., 1703-
1739
Trentacoste Domenico, da Palermo, S., 1859-1933
Trevisani Francesco, da Capodistria (Slovenia), P., 1656-1746 – 1,
2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 17, 18, 19,
20, 21, 22, 23.
Tribolo (Niccolò Pericoli, d.), da Firenze, S., A. e Ing., 1500-1550
– 1, 2.
Triga Giacomo, da Roma, P., 1674-1746 – 1, 2.
Tripisciano Michele, da Caltanissetta, S., 1860-1913 – 1, 2, 3.
Trombadori Francesco, da Siracusa, P., 1886-1961 – 1, 2, 3.
Troppa Girolamo, da Rocchette in Sabina (Rieti), P., 1630-dopo
1710 – 1, 2, 3.
Troubetzkoy Paolo, da Intra (Verbania), S., 1866-1937
Turcato Giulio, da Mantova, P., 1912-95
Turchi Alessandro d. l’Orbetto, da Verona, P., 1578-1649 – 1, 2,
3, 4.
Turini Pietro, P., doc. a Roma 1510
Twombly Cy, da Lexington (USA), P., n. 1928

Ubaldini Pietro Paolo, P., att. 1a metà sec. XVII – 1, 2.


Uberto da Piacenza, S., att. a Roma fine sec. XII – 1, 2.
Umile (fra’) da Foligno, P., att. 1661-91
Unterberger Cristoforo, da Cavalese (Trento), P., 1732-98 – 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Usellini Gianfilippo, da Milano, P., 1903-1971
Ussi Stefano, da Firenze, P., 1822-1901
Utrillo Maurice, da Parigi, P., 1883-1955

Vacca Flaminio, da Roma (?), S. e A., 1538-1605 – 1, 2, 3, 4, 5.


Vaccaro Giuseppe, da Bologna, A., 1896-1971 – 1, 2, 3.
Vacchini Francesco, da Roma, Ing., n. 1915
Vagnetti Luigi, da Roma, A. e Urb., n. 1915
Valadier Giuseppe, da Roma, A. e Urb., 1762-1839 – 1, 2, 3, 4, 5,
6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22,
23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38,
39.
Valadier Luigi, da Roma, O., Fond. e S., 1726-85 – 1, 2, 3, 4, 5.
Valenti Oddo, S. contemporaneo
Valentin de Boulogne (o Jean Valentin o Jean de Boulogne), da
Coulommiers (Francia), P., 1591-1632 – 1, 2, 3, 4.
Valeri Antonio, A. att. a Roma, 1648-c. 1736
Valeriano Giuseppe, da L’Aquila, P., 1542-96 – 1, 2, 3.
Valle Cesare, da Roma, Ing. e A., n. 1902 – 1, 2.
Valle Gilberto, da Roma, Ing., n. 1935
Valle Tommaso, da Roma, A., n. 1934 – 1, 2.
Vallotton Félix, da Losanna (Svizzera), P., 1865-1925
Valori Michele, da Bologna, A. e Urb., 1923-79 – 1, 2.
Valsoldo (Giovanni Antonio Paracca, d.), da Valsolda (Como), S.,
?- 1642/46 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
Valvassori Gabriele, da Roma, A., 1683-1761 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Van Aelst Pieter, Arazz. fiammingo, ?-1532 – 1, 2.
Van Aelst Willem, da Delft (Olanda), P., 1627-83
Van Baburen Dirk, da Utrecht (Olanda), P., not. 1590-1623 – 1, 2,
3, 4.
Van Balen Hendrick, da Anversa (Belgio), P., 1575-1632 – 1, 2.
Van den Bergen Dirck, da Haarlem (Olanda), P., 1645-c. 1690
Van Bloemen Jan Frans, da Anversa (Belgio), P., 1662-1749 – 1,
2, 3, 4, 5, 6.
Van Bloemen Pieter, da Anversa (Belgio), P., 1657-1720 – 1, 2.
Van Bredael Jan François il Vecchio, da Anversa (Belgio), P.,
1686-1750
Van der Broek Hendrick d. Arrigo Fiammingo, da Malines (Belgio),
P., 1519-97 – 1, 2, 3.
Van Calcar Jan Stephan, P. olandese, c. 1499-dopo 1545
Van Cleef Marten, da Anversa (Belgio), P., c. 1527-1581
Van Cleve Joos, da Anversa (Belgio), P., c. 1485-1540
Van Cossiau Jan Joost, da Breda (Olanda), P., c. 1660-1732 – 1,
2.
Van Cuylenborch Abraham, da Utrecht (Olanda), P., 1610/20-c.
1658 – 1, 2.
Van Dyck Antonie, da Anversa (Belgio), P. e Inc., 1599-1641 – 1,
2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
Van Gogh Vincent, da Groot Zundert (Olanda), P., 1853-90 – 1, 2.
Van Honthorst Gerrit, v. Gherardo delle Notti.
Van Kessel Jan il Vecchio, da Anversa (Belgio), P., 1626-79 – 1, 2.
Van Laer Pieter d. il Bamboccio, da Haarlem (Olanda), P. e Inc.,
1599-c. 1642 – 1, 2.
Van der Lamen Christoph, da Anversa (Belgio), P., c. 1606-c.
1652
Van Lint Hendrick Frans, da Anversa (Belgio), P., 1684-1763 – 1,
2.
Van Lint Pieter, da Anversa (Belgio), P., 1609-c. 1690
Van Loo Charles-André, da Nizza (Francia), P., 1705-1765
Van Loo Jacob, da Sluis (Olanda), P., c. 1614-1670
Van Loo Jean-Baptiste, da Aix-en-Provence (Francia), P., 1684-
1745
Van Loon Theodor, da Bruxelles (?), P., 1585-1660 – 1, 2.
Van der Meiren Jan Baptist, da Anversa (Belgio), P., 1664-c. 1708
Van der Neer Aert, P. olandese, 1603-1677
Van Orley Bernart (o Barend), da Bruxelles, P., c. 1488-1541 – 1,
2, 3.
Van der Poel Egbert, da Delft (Olanda), P., 1621-64
Van Poelenburgh Cornelis, da Utrecht (Olanda), P., c. 1586-1667
Van Schorel o Scorel Jan, da Schoorl (Olanda), P., 1495-1562 – 1,
2.
Van Somer Hendrick, da Amsterdam (Olanda), P., c. 1607/15-
1684 – 1, 2.
Van Swanevelt Herman, da Woerden (Olanda), P., c. 1605-1655 –
1, 2, 3, 4, 5.
Van Tilborgh Gillis, da Bruxelles, P., c. 1625-c. 1678
Van Uder Lucas, da Anversa (Belgio), P., 1595-1672/73
Van Verschaffelt Pieter Antoon, da Gand (Belgio), S. e A., 1710-
1793 – 1, 2.
Van Wittel Gaspard (Gaspare Vanvitelli), da Amersfoort (Olanda),
P., 1653-1736 – 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Vanni Francesco, da Siena, P. e Inc., c. 1563-1610 – 1, 2.
Vanni Giovanni Battista, da Firenze, P., 1600-1660
Vanni Lippo, da Siena, P., not. 1341-75
Vanni Raffaele (o Raffaello), da Siena, P., 1587-1673 – 1, 2, 3, 4,
5.
Vanvitelli Gaspare, v. Van Wittel Gaspard.
Vanvitelli Luigi, da Napoli, A., Ing. e P., 1700-1773 – 1, 2, 3, 4, 5,
6, 7, 8, 9, 10.
Varotari Alessandro d. il Padovanino, da Padova, P., 1588-1649
Vasanzio Giovanni (Jan Van Santen, d.), da Utrecht (Olanda), A.,
Inc. e Int., 1550-1621 – 1, 2, 3, 4, 5.
Vasari Giorgio, da Arezzo, P., Sc. e A., 1511-74 – 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7, 8, 9, 10, 11.
Vassalletto, fam. di S. e Marm., sec. XII-XIII – 1, 2, 3, 4
Vassalletto Pietro, S., att. a Roma sec. XII – 1, 2.
Vecchietta (Lorenzo di Pietro, d.), da Siena, P. e S. e A., c. 1412-
80 – 1, 2, 3.
Vecellio Tiziano, v. Tiziano.
Veit Philip, da Berlino, P., 1793-1877
Vela Vincenzo, da Ligornetto (Canton Ticino), S., 1820-91
Velázquez Antonio, da Madrid, P., 1723-93
Velázquez Diego Rodriguez de Silva y, da Siviglia (Spagna), P.,
1599-1660 – 1, 2, 3.
Venale Pietro (Pietro Mongardini, d.), da Imola (Bologna), P. e
Stucc., att. 1541-1583
Venditti Antonio, S., n. 1916
Venturi Renato, da Roma, A., 1920-81
Venturini Luigi, da Ortonovo (La Spezia), S., 1912-98 – 1, 2.
Venusti Marcello, da Como, P., 1512-79 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, 11, 12, 13, 14.
Vergara Francisco, da Valencia (Spagna), S., 1681-1753
Vermiglio Giuseppe, da Alessandria, P., 1587-dopo 1635
Vernet Claude-Joseph, da Avignone (Francia), P., 1714-89 – 1, 2,
3.
Veronese (Paolo Caliari, d.), da Verona, P., 1528-88 – 1, 2, 3, 4,
5.
Verrocchio (del) Andrea, v. Andrea del Verrocchio.
Vescovali Angelo, da Milano, Ing., 1826-95 – 1, 2, 3, 4.
Vespignani Francesco, da Roma, A., 1842-99 – 1, 2, 3, 4.
Vespignani Virginio, da Roma, A., 1808-1882 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24,
25, 26, 27.
Vetriani Costantino, da Roma, A., 1895-1968
Viani Lorenzo, da Viareggio (Lucca), P. e Dis., 1882-1936 – 1, 2,
3.
Vicinelli Odoardo, da Roma, P., 1683-1755
Vien Joseph Marie, da Montpellier (Francia), P. e Inc., 1716-1809
Vietti Luigi, da Novara, A. e Urb., n. 1903
Vietti Violi Paolo, da Grandson (Svizzera), A., 1882-1965
Vigée-Le Brun Marie-Louise-Elisabeth, da Parigi, P., 1755-1842
Vigni Corrado, da Firenze, S., 1888-? – 1, 2, 3.
Vignola (Jacopo Barozzi, d.), da Vignola (Modena), A., 1507-1573
– 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Villalta La Payes Mariano, da Madrid, P., n. 1927
Villon Jacques (Gaston Duchamp, d.), da Damville (Francia), P.,
1875-1963
Vincidor Tommaso (Tommaso di Andrea da Bologna, d.), da
Bologna, P., Inc. e A., not. dal 1517, m. 1536
Viola Giovanni Battista, da Bologna, P., 1576-1662 – 1, 2.
Vitale Alessandro, S., sec. XVII
Vitale da Bologna (Vitale degli Equi, d.), P., 1309?-av. 1361
Vitale Maurizio, A., n. 1927 – 1, 2.
Vitellozzi Annibale, da Anghiari (Arezzo), A., 1902-1990 – 1, 2, 3,
4, 5, 6, 7, 8.
Viti Timoteo, da Urbino, P., 1469-1523
Vittoria Vicente, da Denia (Spagna), P., 1658-1712
Vivarelli Iorio, da Fognano di Montale (Pistoia), S., n. 1922
Vivarini Antonio, da Murano (Venezia), P., c. 1415-76
Vivarini Bartolomeo, da Venezia, P., 1432-not. fino 1499 – 1, 2.
Viviani Alessandro, da Roma, A., 1825-1905 – 1, 2, 3.
Viviani Antonio d. il Sordo, da Urbino, P., 1560-1620 – 1, 2, 3, 4.
Vlaminck (de) Maurice, da Parigi, P., 1876-1958
Voet Jacob Ferdinand, da Anversa (Belgio), P., 1639-1700
Volpato Giovanni, da Bassano del Grappa (Vicenza), Inc., 1733-
1803 – 1, 2.
Vos (de) Marten, da Anversa (Belgio), P., c. 1532-1603
Vouet Simon, da Parigi, P., 1590-1649 – 1, 2, 3, 4.
Vrancx Sebastiaen, da Anversa (Belgio), P., 1573-1647
Vulca, da Veio, coroplasta, att. fine sec. VI-inizi sec. V av. Cristo

Wallbaum Mathias, da Kiel (Germania), O., 1554-1632


Warhol Andy (Andrew Warhola), da Pittsburgh (USA), P. e S.,
1928-87 – 1, 2.
Weber Max, da Bialystock (Polonia), P., 1881-1961
Wenzel Peter, P. boemo, att. 1a metà sec. XVII
Wenzel Peter, da Karlovy Vary (Repubblica Ceca), P., 1745-1829
Westmacott Richard, da Londra, S., 1775-1856
Whenert Edward Henry, da Londra, P., 1813-68
White Stantford, da New York, A., 1853-1906
Wicar Jean-Baptiste, da Lilla (Francia), P., 1762-1834
Wiertz Antonie Joseph, da Dinant (Belgio), 1806-1865
Wigley George, A. inglese, ?-1866
Wildt Adolfo, da Milano, S., 1868-1931
Williams Penry, da Merthyr Tydvil (Gran Bretagna), P., 1798-1885
Witte (de) Pieter, da Bruges (Belgio), P., A. e S., 1540-1628
Wittinch Giuseppe, da Roma, A., 1897-1981
Wleughels Nicolas, da Parigi, P., 1668-1737
Wohgelmut Michael, da Norimberga (Germania), P., 1434-1519
Wolff Emilio, da Berlino, S., 1802-1879
Wouwerman Philips, da Haarlem (Olanda), P., 1619-68 – 1, 2.
Ximenes Ettore, da Palermo, S. e P., 1855-1926 – 1, 2, 3.

Yoshida Isoya, A. giapponese, 1894-1975

Zadkine Ossip, da Smolensk (Russia), S., 1890-1967


Zaga (Domenico Rietti, d.), da Figline Valdarno (Firenze), P., att.
a Roma metà sec. XVI
Zaganelli Bernardino, da Cotignola (Ravenna), 1460/70-1510/12
Zaganelli Francesco, da Cotignola (Ravenna), P., c. 1460/70-1532
Zander Giuseppe, da Teramo, A., n. 1920
Zanelli Angelo, da San Felice del Benaco (Brescia), S., 1879-1942
Zanino Pietro, v. Giovanni di Francia.
Zanuso Marco, da Milano, A. e Des., 1916-2001
Zappalà Gregorio, da Siracusa, S., 1833-1908 – 1, 2.
Zavattari, fam. di P. att. in Lombardia, not. 1404-1481
Zavitteri Andrea, da Palermo, A., n. 1927
Zevi Bruno, da Roma, A., 1918-2000
Zoboli Giacomo, da Modena, P., 1681-1767 – 1, 2.
Zocchi Cesare, da Firenze, S. e Med., 1851-1922
Zoppo Rocco, da Bologna (?), P., sec. XVI
Zorio Gilberto, da Andorno Micca (Biella), Op. art., n. 1944
Zuccari Federico, da Sant’Angelo in Vado (Pesaro e Urbino), P. e
A., 1540/41-1609 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14,
15, 16, 17, 18, 19, 20, 21.
Zuccari Taddeo, da Sant’Angelo in Vado (Pesaro e Urbino), P.,
1529-66 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14.
Zucchetti Filippo, da Rieti, P., not. 1694-1712 – 1, 2.
Zucchi Francesco, da Firenze, P. e Mos., c. 1562-1622 – 1, 2, 3,
4, 5.
Zucchi Jacopo, da Firenze, P., c. 1542-1596 – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,
8, 9, 10, 11, 12, 13.
INDICE DEI LUOGHI E DELLE COSE

All’indice dei luoghi e delle cose di Roma segue, separato, quello


relativo alla Città del Vaticano. Nell’indice di Roma sono compresi ed
evidenziati in carattere corsivo sia i comuni di Ciampino e Fiumicino,
sia le frazioni e le località dei territori comunali di Roma e Fiumicino.
Negli indici, edifici, istituzioni, monumenti, strade ecc. sono in genere
raggruppati per categoria.
L’elenco delle abbreviazioni è →.

ROMA
Abbazia delle Tre Fontane
Accademia di Francia
– Lancisiana
– nazionale dei Lincei
– nazionale di S. Cecilia
– nazionale di S. Luca
Acilia
Acquario romano (ex)
Acquedotto dell’Acqua Antoniniana
– dell’Acqua Iulia
– dell’Acqua Marcia
– dell’Acqua Tepula
– dell’Acqua Vergine
– dell’«Anio Novus»
– Claudio
– Felice
– Neroniano
– Paolo
– dei Quintili
Aeroporto di Centocelle (ex)
– di Ciampino Ovest G.B. Pastine
– intercontinentale Leonardo da Vinci
Albergo Ambasciatori
– della Catena
– Cavalieri Hilton
– Excelsior
– Majestic
– dell’Orso
– Palace (ex)
– rosso
Altare della Patria
Anfiteatro Castrense
– Flavio
«Antemnae»
Antiquarium comunale (ex; edificio)
– comunale (ex; museo)
– forense
– del Palatino
Aranciera
Ara massima di Ercole
Ara Pacis Augustae
Archivio capitolino
– centrale dello Stato
– Fotografico Comunale
– fototeca di Architettura e Topografia dell’Impero romano
– dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano
– di Stato di Roma
Archivium Romanum Societatis Jesu
Arco degli Argentari
– dei Banchi
– di Camilliano
– dei Cenci
– di Costantino
– di Dolabella
– di Druso
– di Gallieno
– di Giano
– Oscuro
– del Passetto Farnese
– Romano
– di S. Lazzaro
– di Settimio Severo
Arco di Sisto V
– di Tito
– dei Tolomei
Area archeologica del Foro Romano e del Palatino
– sacra dell’Argentina
– sacra di S. Omobono
Arsenale pontificio
Auditorium
– di Mecenate
Autoparco centrale della Pubblica Sicurezza
Autostrada Roma-aeroporto di Fiumicino

Babington’s
«Basilica Aemilia»
– «Iulia»
Basilica di Massenzio
– di Nettuno
– di Porta Maggiore
– di S. Agnese fuori le Mura
– di S. Antonio da Padova
– di S. Cecilia in Trastevere
– di S. Clemente
– di S. Croce in Gerusalemme
– di S. Eugenio
– di S. Giovanni in Laterano
– di S. Lorenzo in Damaso
– di S. Lorenzo fuori le Mura
– di S. Marco
– di S. Maria degli Angeli
– di S. Maria Maggiore
– di S. Maria in Trastevere
Basilica di S. Martino ai Monti
– di S. Pancrazio
– di S. Paolo fuori le Mura
– di S. Pietro in Vincoli
– di S. Prassede
– di S. Sabina
– di S. Sebastiano
– di S. Silvestro
– di S. Valentino
– dei Ss. Apostoli
– dei Ss. Cosma e Damiano
– dei Ss. Giovanni e Paolo
Bastione Ardeatino
– della Colonnella
Battistero Lateranense
Belvedere Tarpeo
Berretta del Prete
Biblioteca di Agapito
Biblioteca Angelica
– della Camera dei Deputati
– Casanatense
– musicale governativa del Conservatorio di S. Cecilia
– Hertziana
– dell’Istituto Archeologico Germanico
– dell’Istituto nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte
– Lancisiana
– nazionale centrale Vittorio Emanuele II
– Pontificia Missionaria
– e Raccolta teatrale del Burcardo
– romana
– del Senato
– di Storia moderna e contemporanea
Biblioteca Universitaria Alessandrina
– Vallicelliana
Borgata di Colle Monfortani
– di Colle Prenestino
– del Làbaro
– di Ponte Mammolo
– di Prima Porta
– del Quarticciolo
– di Quarto Miglio
– S. Maria del Soccorso
– Statuario
– del Trullo
Borgo Angelico
– Pio
– S. Angelo
– S. Lazzaro
– Vittorio
Bosco Parrasio
– Sacro
Breccia di porta Pia
«Burrò»

Caffè Aragno
– Canova
– Greco
– Rosati
Calcografia
Campo de’ Fiori
Canale dell’«Euripus»
Cappella della Madonna dell’Archetto
– di Reginald Pole
– di S. Tommaso ai Cenci
Carcere Mamertino
Carcere di Rebibbia
– di Regina Coeli
Carceri Nuove
«Careiae»
Casa Aletti
– delle Armi
– di Augusto
Casa Baldi
– Bonadies
– del Burcardo
– Castellani
– dei Cavalieri di Rodi
– dei Crescenzi
– del Curato
– di Febo Brigotti
– di Fiammetta (piazza Fiammetta)
– di Fiammetta (via dei Coronari)
– di Flaminio Ponzio
– della Fornarina
– generalizia dei Carmelitani Scalzi
– Giannini
– della Gioventù italiana del Littorio (ex)
– di Goethe
– dei Grifi
– internazionale dello Studente
– Lezzani (via dei Coronari)
– Lezzani (via del Corso)
– di Livia
– madre dei Mutilati
– dei Manili
– del Maresciallo
– di Michelangelo
– del Passeggero
– dei Pierleoni
– di Pietro Paolo della Zecca
– Professa
– di Prospero Mochi
– di Raffaello
– di Romolo
– Roy
– Ruboli
– de’ Salvi
– Tarpea
– Vacca
– dei Vallati
Casa delle Vestali
– di Dante
– Museo di G. De Chirico
Casal Palocco
Casale della Bottaccia
– della Caffarella
– della Cecchignola
– di Falcognana
– di Malborghetto
– di Pratolungo
– Rotondo
– di Salone
– di S. Maria Nova
– di S. Pio V (ex)
– Strozzi
– di Tor di Mezzavia di Albano
Case della Cooperativa Ferrovieri
– per i dipendenti FF.SS.
– dei Fabi
– ICP Ponte Lungo
– IRBS
– dei Porcari
– di S. Paolo
Caserma dei Carabinieri
– della Guardia di Finanza
– dei Vigili del Fuoco
Caserme (viale delle Milizie)
Casetta
Casina del cardinale Bessarione
– delle Civette di Villa Torlonia
– di Raffaello
– delle Rose
– Rossa
– Vagnuzzi
– Valadier
Casino dell’Aurora
– Borghese
– Evangelisti
Casino Fini
– del Graziano
– Massimo Lancellotti
– dell’Orologio
Castel di Guido
Castel S. Angelo
Castello Caetani
– Farnese
– di Lunghezza
– della Magliana
– di Torrimpietra
«Castra Peregrina»
– «Praetoria»
Catacombe di Balbina
– di Calepodio
– di Ciriaca
– di Commodilla
– di Domitilla
– ebraiche di Vigna Randanini
– ebraiche di Villa Torlonia
– di Generosa
– dei Giordani
– di Nicomede
– di Novaziano
– di Pretestato
– di Priscilla
– di S. Agnese
– di S. Callisto
– di S. Ermete
– di S. Felicita
– di S. Ippolito
– di S. Pancrazio
– di S. Panfilo
– di S. Sebastiano
– di S. Valentino
– dei Ss. Marcellino e Pietro
– dei Ss. Marco e Marcelliano
– della Santa Croce
– di via Anapo
Centrale Montemartini (ex)
Centro Direzionale
Centro sperimentale di Cinematografia
– sportivo delle Tre Fontane
– Studi L. Huetter
Châlet del Circolo Canottieri Aniene
Chiesa dell’Annunziata
– dell’Annunziatella
– del Bambin Gesù
– del Corpus Domini
– di Cristo Re
– Dives in Misericordia
– del Domine quo vadis?
– Evangelica Luterana
– del Gesù
– del Gesù Divino Lavoratore
– di Gesù e Maria
– di Gesù Nazareno
– della Gran Madre di Dio
– dell’Immacolata e S. Benedetto Giuseppe Labre
– dell’Immacolata e S. Giovanni Berchmans
– della Madonna dei Monti
– della Natività
– della Natività di Gesù
– di Nostra Signora de La Salette
– di Nostra Signora del Sacro Cuore
– Nuova
– di Ognissanti
– dei Re Magi
– del Sacro Cuore di Gesù (via Marsala)
Chiesa del Sacro Cuore di Gesù (via Piave)
– del Sacro Cuore Immacolato di Maria
– del Sacro Cuore del Suffragio
– di S. Agata
– di S. Agata dei Goti
– di S. Agnese in Agone
– di S. Agostino
– di S. Alessio
– di S. Alfonso de’ Liguori
– di S. Ambrogio della Massima
– di S. Anastasia
– di S. Andrea (via XX Settembre)
– di S. Andrea (viale Tiziano)
– di S. Andrea apostolo
– di S. Andrea delle Fratte
– di S. Andrea al Quirinale
– di S. Andrea della Valle
– di S. Angelo in Pescheria
– di S. Anna
– di S. Anselmo
– di S. Antonio Abate
– di S. Antonio da Padova
– di S. Antonio dei Portoghesi
– di S. Apollinare
– di S. Atanasio
– di S. Balbina
– di S. Barbara dei Librai
– di S. Bartolomeo all’Isola
– di S. Basilio
– di S. Benedetto in Piscinula
Chiesa di S. Bernardino da Siena
– di S. Bernardo alle Terme
– di S. Biagio de Mercato
– di S. Biagio della Pagnotta
– di S. Bibiana
– di S. Bonaventura
– di S. Brigida
– di S. Callisto
– di S. Camillo de Lellis
– di S. Carlo ai Catinari
– di S. Carlo alle Quattro Fontane
– di S. Caterina dei Funari
– di S. Caterina a Magnanapoli
– di S. Caterina della Rota
– di S. Caterina da Siena
– di S. Cesareo de Appia
– di S. Chiara (piazza dei Giuochi Delfici)
– di S. Chiara (via di Torre Argentina)
– di S. Cosimato
– di S. Crisogono
– di S. Crispino
– di S. Croce al Flaminio
– di S. Croce delle Scalette
– di S. Croce e S. Bonaventura dei Lucchesi
– di S. Dorotea
– di S. Egidio
– di S. Elena fuori Porta Maggiore
– di S. Eligio dei Ferrari
Chiesa di S. Eligio degli Orefici
– di S. Eusebio
– di S. Eustachio
– di S. Filippo Neri
– di S. Francesca Romana
– di S. Francesco (ex)
– di S. Francesco d’Assisi
– di S. Francesco di Paola
– di S. Francesco a Ripa
– di S. Francesco Saverio
– di S. Galla
– di S. Gaspare del Bufalo
– di S. Giacomo in Augusta
– di S. Giacomo in Settignano
– di S. Gioacchino
– di S. Giorgio in Velabro
– di S. Giovanni in Ayno (ex)
– di S. Giovanni Battista dei Genovesi
– di S. Giovanni Bosco
– di S. Giovanni Calibita
– di S. Giovanni Decollato
– di S. Giovanni dei Fiorentini
– di S. Giovanni della Malva
– di S. Giovanni della Pigna
– di S. Giovanni a Porta Latina
– di S. Girolamo della Carità
– di S. Girolamo degli Illirici
– di S. Giuliano Ospitaliere
Chiesa di S. Giuseppe
– di S. Giuseppe dei Falegnami
– di S. Giuseppe alla Lungara
– di S. Gregorio Barbarigo
– di S. Gregorio della Divina Pietà
– di S. Gregorio Magno
– di S. Gregorio Nazianzeno
– di S. Gregorio VII
– di S. Ignazio
– di S. Ippolito
– di S. Isidoro
– di S. Isidoro alle Terme (ex)
– di S. Ivo
– di S. Ivo dei Brettoni
– di S. Lazzaro
– di S. Leone I
– di S. Lorenzo in Fonte
– di S. Lorenzo in Lucina
– di S. Lorenzo in Miranda
– di S. Lorenzo in Panisperna
– di S. Lorenzo in Piscibus
– di S. Lucia del Gonfalone
– di S. Lucia in Selci
– di S. Luigi dei Francesi
– di S. Macuto
– di S. Marcello al Corso
– di S. Marco Evangelista in Agro laurentino
– di S. Margherita
– di S. Maria dell’Anima
Chiesa di S. Maria Annunziata
– di S. Maria Antiqua
– di S. Maria in Aquiro
– di S. Maria in Aracoeli
– di S. Maria Ausiliatrice
– di S. Maria del Buon Consiglio
– di S. Maria in Campitelli
– di S. Maria in Cappella
– di S. Maria del Carmine
– di S. Maria in Celsano
– di S. Maria della Concezione
– di S. Maria della Concezione in Campo Marzio
– di S. Maria della Consolazione
– di S. Maria in Cosmedin
– di S. Maria in Domnica
– di S. Maria Egiziaca
– di S. Maria delle Grazie
– di S. Maria delle Grazie alle Fornaci
– di S. Maria in Grottapinta (ex)
– di S. Maria Liberatrice
– di S. Maria di Loreto
– di S. Maria della Luce
– di S. Maria Maddalena
– di S. Maria Mediatrice
– di S. Maria sopra Minerva
Chiesa di S. Maria dei Miracoli
– di S. Maria in Monserrato
– di S. Maria in Monterone
– di S. Maria di Montesanto
– di S. Maria in Monticelli
– di S. Maria Nova
– di S. Maria dell’Orazione e Morte
– di S. Maria dell’Orto
– di S. Maria della Pace
– di S. Maria del Pianto
– di S. Maria del Popolo
– di S. Maria Portae Paradisi
– di S. Maria Porto della Salute
– di S. Maria in Publicolis
– di S. Maria della Quercia
– di S. Maria Regina dei Cuori
– di S. Maria Regina Pacis
– di S. Maria del Rosario
– di S. Maria della Scala
– di S. Maria dei Sette Dolori
– di S. Maria del Suffragio
– di S. Maria in Traspontina
– di S. Maria in Trivio
– di S. Maria dell’Umiltà
– di S. Maria in Vallicella
– di S. Maria in Via
Chiesa di S. Maria in via Lata
– di S. Maria della Visitazione
– di S. Maria della Visitazione e di S. Francesco di Sales
– di S. Maria della Vittoria
– di S. Marta
– di S. Melchiade
– di S. Nicola de Calcarariis
– di S. Nicola a Capo di Bove
– di S. Nicola in Carcere
– di S. Nicola dei Lorenesi
– di S. Nicola de Portiis
– di S. Nicola ai Prefetti
– di S. Nicola da Tolentino
– di S. Omobono
– di S. Onofrio al Gianicolo
– di S. Pancrazio Martire
– di S. Pantaleo
– di S. Paolo della Croce
– di S. Paolo entro le Mura
– di S. Paolo primo eremita (ex)
– di S. Paolo alla Regola
– di S. Pasquale Baylon
– di S. Passera
– di S. Patrizio
– di S. Pietro in Montorio
– di S. Policarpo
– di S. Prisca
– di S. Pudenziana
– di S. Rita
– di S. Rita da Cascia (ex)
Chiesa di S. Roberto Bellarmino
– di S. Rocco
– di S. Saba
– di S. Salvatore alle Coppelle
– di S. Salvatore in Lauro
– di S. Salvatore ai Monti
– di S. Salvatore in Onda
– di S. Sebastiano al Palatino
– di S. Silvestro in Capite
– di S. Silvestro al Quirinale
– di S. Sisto Vecchio
– di S. Spirito in Sassia
– di S. Stanislao dei Polacchi
– di S. Stefano
– di S. Stefano del Cacco
– di S. Stefano Rotondo
– di S. Susanna
– di S. Teodoro
– di S. Teresa
– di S. Teresa del Bambin Gesù
– di S. Tommaso di Canterbury
– di S. Tommaso in Formis
– di S. Tommaso in Parione
– di S. Urbano
– di S. Valentino
– di S. Vitale
– della SS. Addolorata
– dei Ss. Ambrogio e Carlo al Corso
– dei Ss. Andrea e Bartolomeo
– dei Ss. Andrea e Claudio dei Borgognoni
Chiesa dei Ss. Angeli Custodi
– dei Ss. Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi
– dei Ss. Cecilia e Biagio
– dei Ss. Celso e Giuliano
– dei Ss. Domenico e Sisto
– dei Ss. Fabiano e Venanzio
– dei Ss. Gioacchino e Anna ai Monti
– dei Ss. Giovanni Evangelista e Petronio dei Bolognesi
– dei Ss. Giuseppe e Orsola (ex)
– dei Ss. Ildefonso e Tommaso da Villanova
– dei Ss. Ippolito e Lucia
– dei Ss. Isidoro ed Eurosia
– dei Ss. Luca e Martina
– dei Ss. Marcellino e Pietro
– dei Ss. Marcellino e Pietro ad Duas Lauros
– dei Ss. Maria e Gallicano
– dei Ss. Martiri Canadesi
– dei Ss. Michele e Magno
– dei Ss. Nereo e Achìlleo
– del SS. Nome di Maria
– dei Ss. Pietro e Paolo
– dei Ss. Quattro Coronati
– dei Ss. Quirico e Giulitta
Chiesa del SS. Rosario di Pompei
– delle Ss. Rufina e Seconda
– dei Ss. Sergio e Bacco
– delle Ss. Stimmate di S. Francesco
– del SS. Sudario
– della SS. Trinità dei Pellegrini
– della SS. Trinità degli Spagnoli
– dei Ss. Vincenzo e Anastasio
– dei Ss. Vito e Modesto
– dello Spirito Santo alla Ferratella
– dello Spirito Santo dei Napoletani
– della Trinità dei Monti
– Valdese (piazza Cavour)
– Valdese (via IV Novembre)
Ciampino
Cimitero acattolico
– dei Cappuccini
– Flaminio
– Maggiore
– del Verano
Cinecittà
Cinema Capranica
– Étoile
– Maestoso
Cineteca nazionale
Circo Massimo
– Variano
Città Giardino Aniene
– militare della Cecchignola
– Universitaria
Clivo dei Publicii
– di Scauro
«Clivus Argentarius»
Cloaca del Circo Massimo
Cloaca «Maxima»
Colle S. Agata
Collegio Capranica
– Inglese
– Nazareno
– dei Neofiti
– S. Alessio Falconieri
– Urbano di Propaganda Fide
Colombario di Pomponio Hylas
– di Tiberio Claudio Vitale
– di Vigna Codini
Colonna di Foca
– dell’Immacolata Concezione
– di Marco Aurelio
– Traiana
Colosseo
«Comitium»
Complesso ICP Appio I
– ICP Appio III
– ICP Casilino I
– ICP Casilino III
– ICP Flaminio I
– ICP Flaminio II
– ICP Ostiense
– ICP S. Saba
– INA-Casa Valco S. Paolo
– dell’Ordine dei Cavalieri di Malta
– Tiburtino
– Tor Sapienza
Consorzio agrario cooperativo (ex)
Convento degli Agostiniani
– degli Agostiniani (ex)
– di S. Giuseppe (ex)
– di S. Marcello
– di S. Pietro in Montorio
Convento dei Teatini
Corso di Francia
– d’Italia
– del Rinascimento
– Vittorio Emanuele II
Criptoportico di Nerone
Curia
– Pompeia

Deposito ATAC
– Stefer
Discoteca di Stato
«Domus Augustana»
– Aurea
– «Flavia»
– «Praeconum»
– «Severiana»
– «Tiberiana»
– «Transitoria»

Ecoparco
Edicola di S. Andrea
Edificio della Meridiana
Edificio della 3P
– per la fabbricazione delle carte valori della Banca d’Italia
Emeroteca romana
Episcopio di Porto
«Excubitorium» della VII coorte dei «vigiles»

Fabbrica del Tabacco (ex)


Facoltà Pontificia Teologica Marianum
Farnesina ai Baullari
Fiera di Roma (Nuova)
Fiumicino
Focene
Fondazione Keats-Shelley Memorial
Fondazioni Ernesta e Marco Besso
Fontana dell’Acqua Acetosa
– dell’Acqua Paola (piazza Trilussa)
– dell’Acqua Paola (via Garibaldi)
– dell’Acqua Vergine, 1, 2.
– delle Anfore
– delle Api
– degli Artisti
– del Babuino
– della Barcaccia
– della Botticella
– dei Cavalli Marini
– delle Conche
– dell’Esedra
– di Esculapio
– del Facchino
– della Famiglia dei satiri
– dei Fiumi
– con Grande Sfera
– delle Maschere
– del Mascherone
– di Monte Cavallo
– del Moro
– del Mosè
– delle Naiadi
– del Nettuno
– di Porta Furba
– del Prigione
– delle Rane
– della Sfera
– delle Tartarughe
– della Terrina
– di Trevi
– del Tritone
– dei Tritoni
Fontanella della Pigna
– del rione Monti
Foresteria nord
– sud
Fori Imperiali
Foro di Augusto, 1, 2.
– di Cesare, 1, 2.
– Italico
– di Nerva, 1, 2.
– della Pace, 1, 2.
– Romano
– di Traiano, 1, 2.
Forte Antenne
– Appio
– Ostiense (ex)
– Portuense
– Trionfale
Fortezzuola
Fosse Ardeatine
Fregene

«Gabii»
Gabinetto comunale delle Stampe
– nazionale delle Stampe
Galleria dell’Accademia di S. Luca
– Borghese
– Colonna
– comunale d’Arte moderna (ex convento di S. Giuseppe)
– comunale d’Arte moderna (ex stabilimento della Birra Peroni)
– Corsini
– Doria Pamphilj
– nazionale d’Arte antica
– nazionale d’Arte moderna
– Pallavicini
– Spada
– Colonna
– Principe Amedeo Savoia Aosta
– Sciarra
Gazometri
Giardini di Adone
Giardino della Cascata
– del Lago
Gipsoteca Tenerani
Granai Camerali
Granai Clementini (ex)
– di Paolo V
Grande Raccordo Anulare
Grattacielo Alitalia
– Italia
Grotta di Egeria

«Horologium Augusti»
«Horti Sallustiani»
Hotel Bernini Bristol
– Jolly
– de Russie (ex)
– Sheraton

Impianti sportivi dell’Acqua Acetosa


Ipogeo degli Aureli
– degli Ottavi
– di Vibia
Ippodromo delle Capannelle
Ippodromo di Tor di Valle
Isola Farnese
Isola Sacra
Isola Tiberina
Istituto italiano di Studi germanici
– nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte
– nazionale Luce
– di Norvegia
– romano di Finlandia
– storico della Compagnia di Gesù

La Giustiniana
Lago di Traiano
«Lapis Niger»
Largo dei Chiavari
– Goldoni
– Magnanapoli
Largo del Pallaro
– Ricci
– di S. Susanna
– delle Stimmate
– di Torre Argentina
– Trionfale
– del Tritone
La Storta
Latomie di Salone

Lido di Ostia
Basilica della Regina Pacis
Borghetto dei Pescatori
Canale dello Stagno
Caserma IV Novembre
Chiesa di Nostra Signora di Bonaria
– di S. Maria Stella Maris
Colonia Vittorio Emanuele III (ex)
Lungomare Duilio
– Lutazio Catulo
– Toscanelli
Palazzetto della Delegazione Municipale
– dello Sport
Palazzo del Pappagallo
– della Scuola elementare Fratelli Garrone
Piazza Anco Marzio
– dei Ravennati
– della Stazione Vecchia
Stabilimento balneare Kursaal
– balneare Plinius
– balneare Tibidabo
Tor S. Michele
Ufficio postale

Loggetta Mattei
Loggia delle Benedizioni
«Ludus Magnus»
Lupercale

Maccarese
Magazzini generali
– dell’Olio (ex)
– Rovatti (ex)
Manica Lunga
Manifattura dei Tabacchi (ex)
Marrana della Caffarella
Mattatoio (ex)
Mausoleo di Augusto
– della Celsa
– di Grottarossa
– di Lucilio Peto
– Ossario Gianicolense
– di S. Costanza
– di S. Elena
Meccanica Romana (ex)
Mercati generali
– di Traiano
Mercato di porta Portese
«Meta Sudans»
Mitreo Barberini
– del Circo Massimo
– di S. Prisca
Molini Biondi
Monastero delle Agostiniane
– di S. Cosimato (ex)
– di S. Marta
– di Tor de’ Specchi
Monte Ciocci
– del Grano
– Mario
– Testaccio
Monteverde Nuovo
– Vecchio
Monumento ad Anita Garibaldi
– al Bersagliere
– ai Caduti dell’Arma del Genio
– ai Caduti di Dògali
– ai Caduti della Guardia di Finanza
– ai Caduti dei quartieri Nomentano e Salario
– a Carlo Alberto
– a Cavour
– a Cola di Rienzo
– ai fratelli Cairoli
– a Giordano Bruno
– a Giuseppe Garibaldi
– a Giuseppe Gioacchino Belli
– a Goethe
– a Marco Minghetti
– a Mazzini
– a Metastasio
– a Nicola Spedalieri
– a Pio XII
– a S. Caterina da Siena
– a S. Francesco d’Assisi
– a Scanderbeg
– a Simone Bolivar
– a Terenzio Mamiani Della Rovere
– a Trilussa
– a Umberto I
– Vascello della Rivoluzione
– a Vittorio Emanuele II
Moschea
Mostacciano
Mostra dell’Acqua Felice
– dell’acquedotto del Peschiera
Mostra della Comunità ebraica di Roma
– Le Carrozze d’Epoca
Mura Aureliane
– Leonine
– Serviane
– di Urbano VIII
Musei Capitolini
Musei Capitolini (ex centrale Montemartini)
Museo Andersen
– delle Anime del Purgatorio
– delle Antichità Etrusche e Italiche
– Aperto del Tridente
– dell’Architettura militare
– dell’Arte classica
– Astronomico e Copernicano
– Barracco
– Bilotti
– Boncompagni Ludovisi
– Borghese
– Canonica
– Casa Goethe
– della Casina delle Civette
– del Casino dei Principi di Villa Torlonia
– centrale del Risorgimento
– delle Cere
– del Cinema e dello Spettacolo
– civico di Zoologia
– della Civiltà Romana
– del Corpo dei Vigili del Fuoco
– criminologico
– della Didattica delle Scienze
– etrusco di Villa Giulia
Museo etrusco di Villa Giulia (villa Poniatowski)
– della Famiglia calasanziana
– dei Fori Imperiali
– delle Fosse Ardeatine
– Garibaldino
– della Guardia di Finanza
– Manzù
– della Matematica
– MAXXI
– di Merceologia
– di Mineralogia
– delle Mura
– Napoleonico
– delle Navi
– nazionale dell’Alto Medioevo
– nazionale di Arte contemporanea
– nazionale d’Arte Orientale
– nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari
– nazionale di Castel S. Angelo
– nazionale delle Paste alimentari
– nazionale degli Strumenti musicali
– nazionale preistorico-etnografico Luigi Pigorini
– Nazionale Romano (ex Collegio «Massimo»)
– Nazionale Romano (terme di Diocleziano)
– Nazionale Romano (Crypta Balbi)
– Nazionale Romano (palazzo Altemps)
– numismatico della Zecca Italiana
Museo delle Origini
– del Palazzo di Venezia
– Praz
– del Presepio
– di Roma
– di Roma in Trastevere
– di Storia della Medicina
– storico dell’Arma dei Carabinieri
– storico dell’Arma del Genio
– storico dei Bersaglieri
– storico della Fanteria
– storico dei Granatieri di Sardegna
– storico della Liberazione di Roma
– storico della Motorizzazione militare
– storico nazionale dell’Arte sanitaria
– storico delle Poste e Telecomunicazioni
– Storico Vaticano
– Tassiano
– del Teatro Argentina
– delle Vetrate liberty
– della Via Ostiense

Necropoli arcaica
– di «Portus»
– romana (villa Doria Pamphilj)
– della Via Laurentina

Obelisco Flaminio
– Lateranense
– di Psammetico II
– di Ramsses II
– Sallustiano
Odeon di Domiziano
Oratorio del Caravita
– del Crocifisso
– del Gonfalone
– dei Quaranta Martiri
– di S. Andrea
– di S. Andrea dei Pescivendoli
– di S. Giovanni in Oleo
– di S. Maria del Buon Aiuto
– di S. Pietro
– del SS. Sacramento
– del SS. Sacramento (ex)
Orti Farnesiani
Orto Botanico
Ospedale della Consolazione (ex)
– dei Cronici
– delle Donne
– Fatebenefratelli
– militare del Celio
– nuovo Regina Margherita
– psichiatrico di S. Maria della Pietà (ex)
– S. Camillo
– di S. Giacomo
– di S. Giovanni
– S. Giovanni Battista
– di S. Giovanni Battista dei Genovesi (ex)
– di S. Spirito in Sassia
– dei Ss. Maria e Gallicano
– del Salvatore
– Teutonico (ex)
Ospizio apostolico di S. Michele a Ripa Grande (ex)
Osservatorio Astronomico e Meteorologico
Osteria del Fornaccio
Osteria dell’Osa

Ostia Antica
Area archeologica
Castello di Giulio II
Chiesa di S. Aurea
Collezione di Ceramiche
Palazzo episcopale

Ottavia

Padiglione Sgaravatti (ex)


«Paedagogium»
Palazzetto Altemps
– Anguillara
– Cenci
– delle Cinque Lune
– Ossoli
– Scanderbeg
– di Sisto V
– Spada
– dello Sport
– di Teodoro Amayden
– Turci
– Venezia
– Zuccari
Palazzina Calderai
– Calzone
– Colombo
– del Falcone
– Furmanik
– Giammaruti
– Il Girasole
– Isabelli
– Mancioli
– della Meridiana
– Pateras Pescara
– di Pio IV
– del Segretario della Cifra
Palazzina Zaccardi
Palazzo dell’Accademia Americana
– dell’Accademia del Belgio
– dell’Accademia di Belle Arti
– dell’Accademia di Danimarca
– dell’Accademia della Romania
– degli Accetti
– Albani Del Drago
– Alberini
– Albertoni
– Alicorni
– Altemps
– Altieri
– dell’Ambasciata di Germania
– dell’Ambasciata di Gran Bretagna
– dell’Anagrafe
– Antonelli
– dell’Archivio centrale dello Stato
– delle Assicurazioni Generali di Venezia
– Astalli
– Baldassini
– Baldinotti Carpegna
– Balestra
– della Banca Commerciale Italiana
– della Banca d’Italia
– della Banca d’Italia (uffici)
– della Banca Nazionale del Lavoro (via Lombardia)
– della Banca Nazionale del Lavoro (via Veneto)
– del Banco di S. Spirito (piazza del Parlamento)
Palazzo del Banco di S. Spirito (via del Banco di S. Spirito)
– Baracchini
– Barberini
– delle Belle Arti
– Bennicelli
– Berardi
– Bernini
– Besso
– Bonaparte
– Boncompagni Cerasi
– Boncompagni Ludovisi
– Boncompagni (Margherita)
– Bonelli
– Borghese
– dei Borgia
– Borromeo
– della Borsa
– Bourbon
– Brancaccio
– Braschi
– Caetani
– Caffarelli
– Calabresi
– della Cancelleria
– Capizucchi
– Capponi
– Capranica (largo del Teatro Valle)
– Capranica (piazza Capranica)
– Caprara
– Cardelli
– Carpegna
– della Cassa nazionale del Notariato
– della Cassa di Risparmio di Roma
– Cavalieri
– Cavalletti
– Cenci Bolognetti (piazza delle Cinque Scole)
– Cenci Bolognetti (piazza del Gesù)
– Cerri
Palazzo Cesi (via della Conciliazione)
– Cesi (via della Maschera d’oro)
– Chauvet
– Chigi
– Cimarra
– del Cinque
– della Civiltà del Lavoro
– Clementi
– Clementino
– del Collegio Germanico Ungarico
– del Collegio Innocenziano
– del Collegio Massimiliano Massimo
– del Collegio Massimiliano Massimo (ex)
– del Collegio Romano
– Colonna
– del Comando della regione militare centrale
– del Commendatore
– della Congregazione per le Chiese orientali
– dei Congressi
– del CONI
– dei Conservatori
– del Consorzio nazionale per il Credito Agrario di Miglioramento
– del Consiglio nazionale degli Ordini e Collegi professionali
– della Consulta
– Corsini
– Costaguti
– Crescenzi
– Dal Pozzo
– della Dataria Apostolica
– De Carolis
– Del Drago
Palazzo Della Valle
– De Parente
– De Sangro
– Diamanti Valentini
– del Dipartimento della Protezione Civile
– della Direzione generale della RAI
– Doria Pamphilj
– Emo Capodilista
– dell’ENI
– dell’ENPAIA (ex)
– dell’Ente EUR (uffici)
– degli Esami
– dell’Esattoria comunale
– delle Esposizioni
– dell’ex Ristorante dell’Esposizione
– della Facoltà di Scienze Economiche e Commerciali
– della Facoltà valdese di Teologia
– Falconieri
– della Famiglia Pontificia
– Farinacci
– Farnesina ai Baullari
– della FAO
– Farnese
– della Federconsorzi
– Ferrajoli
– Fiano
– dei Filippini
– Filomarino
– Fioravanti (via dei Coronari)
– Fioravanti (via di Monserrato)
– di Firenze
– dei Frangipane
– Gabrielli
– Gabrielli Borromeo
Palazzo Gaddi
– Galitzin
– del Gallo di Roccagiovine
– Galloppi
– Gambirasi
– di Giacomo Mattei
– Giangiacomo
– Giolitti
– Giori
– di Girolamo Pichi
– Giustiniani
– di Giustizia
– del Governo Vecchio
– del Gran Magistero dell’Ordine di Malta
– Grazioli
– del Grillo
– dell’INA (piazza di S. Andrea della Valle)
– dell’INA (piazzale delle Nazioni Unite)
– dell’INA (via Bissolati)
– dell’INA (via Veneto)
– dell’INAIL
– Incoronati de Planca
– dell’INPS
– dell’ISEF
– dell’Istituto austriaco di Cultura
– dell’Istituto Bancario S. Paolo
– dell’Istituto giapponese di Cultura
– dell’Istituto Mobiliare Italiano
– dell’Istituto Mobiliare Italiano e dell’Ufficio Italiano Cambi
– dell’Istituto Nazionale di Statistica
– dell’Istituto olandese
Palazzo dell’Istituto Poligrafico e Zecca
– dell’Istituto romano di Beni stabili
– dell’Istituto di S. Maria in Aquiro
– dell’Istituto storico e di Cultura dell’Arma del Genio
– dell’Istituto svedese
– dell’Istituto tecnico commerciale Duca degli Abruzzi
– dell’Istituto tecnico industriale Galilei
– dell’Italcasse (ex)
– di Jacopo da Brescia
– Lancellotti (piazza Navona)
– Lancellotti (via Lancellotti)
– Lante
– Lateranense
– Latmiral
– Lavaggi Pacelli
– del Liceo Terenzio Mamiani
– del Liceo Ginnasio Virgilio
– Lovatelli
– Maccarani
– Madama
– Maffei Marescotti
– dei Magazzini CIM (ex)
– Malvezzi Campeggi
– Mancini
– dei Marescialli
– Marignoli
– Massimo
– Massimo «alle Colonne»
– Massimo «Istoriato»
– Massimo «di Pirro»
Palazzo Massimo di Rignano
– Mattei
– Mattei di Giove
– Mattei di Paganica
– Medici Clarelli
– Mellini
– del «Messaggero»
– Mignanelli
– Milesi
– del Ministero dell’Aeronautica
– del Ministero per gli Affari Esteri
– del Ministero dell’Agricoltura e Foreste
– del Ministero del Commercio con l’Estero
– del Ministero della Difesa
– del Ministero delle Finanze
– del Ministero di Grazia e Giustizia
– del Ministero dell’Industria, Commercio e Artigianato
– del Ministero dei Lavori Pubblici
– del Ministero della Marina
– del Ministero della Marina Mercantile
– del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni
– del Ministero della Pubblica Istruzione
– del Ministero del Tesoro (uffici)
– dei Ministeri del Tesoro e del Bilancio
– del Ministero dei Trasporti
– di Monsignor Sangalletto
Palazzo di Montecitorio
– del Monte di Pietà
– Moroni
– Muti Berardi
– Muti Bussi
– Muti Papazzurri
– Nathan
– Nuñes
– Nuñez Torlonia
– Nuovo
– Odescalchi
– Olgiati
– dell’Ordine dei Medici
– Orsini
– Pallavicini Rospigliosi
– Pamphilj
– Pasolini dall’Onda
– Patrizi
– Pecci Blunt
– dei Penitenzieri
– Pio Righetti
– Poli
– del Poligrafico dello Stato
– della Pontificia Università Gregoriana
– del Pontificio Collegio Americano del Nord
– del Pontificio Collegio Canadese (ex)
– del Pontificio Collegio Germanico Ungarico
– del Pontificio Collegio Russicum
– del Pontificio Collegio Ucraino di S. Giosafat
– del Pontificio Seminario Lombardo
– della Posta Centrale
– delle Preture
– Primoli
Palazzo di Propaganda Fide
– pubblico
– dei Pupazzi
– del Quirinale
– Ricci
– della Rinascente (largo Chigi)
– della Rinascente (piazza Fiume)
– Rivaldi
– Rondinini
– Ruggeri
– Ruiz
– Ruspoli
– Rusticucci
– Sacchetti
– Salviati
– di S. Apollinare, 1, 2.
– di S. Callisto
– di S. Felice
– di S. Luigi
– del S. Uffizio
– dei Ss. Apostoli
– delle Sacre Congregazioni Romane (ex)
– Santacroce
– della Sapienza
– Sciarra
– delle Scienze
– della Scuola Alessandro Manzoni
– della Scuola britannica
– della Scuola centrale antincendi
– della Scuola Cesare Battisti
– della Scuola elementare Armando Diaz
– della Scuola elementare Giovanni Cagliero
– della sede centrale della Confindustria
– della sede centrale della Democrazia Cristiana (ex)
Palazzo della sede centrale dell’INA
– Senatorio
– Serlupi Crescenzi
– Serristori
– Sforza Cesarini
– della società Pirelli (ex)
– Sora
– Spada
– di Spagna
– dello Sport
– della Stamperia
– Sterbini
– Stroganoff
– Taverna
– Testa Piccolomini
– Tittoni
– di Tizio di Spoleto
– Toni
– Tonti
– Torlonia (via della Conciliazione)
– Torlonia (via della Lungara)
– Torres
– delle Tradizioni Popolari
– dell’Ufficio Geologico
– dell’Unione Militare
– dell’Università Urbaniana
– Valentini (della Provincia)
– Varese
– Velli
– di Venezia
– Verospi
– del Vescovo di Cervia
– Vidoni
– del Viminale
– Vitelli
– Wedekind
– Zandotti Costa
Pantheon
Parco di Castel Fusano
– del Celio
– del Colle Oppio
– dei Daini
– dei Gordiani
– di Porta Capena
– regionale dell’Appia Antica
– della Resistenza dell’8 Settembre
– Savello
– degli Scipioni
– delle Tombe della Via Latina
– di Villa Glori
– di Villa Paganini
– Virgiliano
Passeggiata Flaminia
– di Gianicolo
– del Giappone
– sulle mura Aureliane
– del Pincio
– di Ripetta
Passetto del Biscione
Pastificio Cerere (ex)
– Pantanella (ex)
Patriarchìo liberiano
Pian Due Torri
Piazza Albania
– d’Aracoeli
– Augusto Imperatore
– Barberini
– del Biscione
– della Bocca della Verità
– Borghese
– Buenos Aires
– del Campidoglio
– di Campitelli
– della Cancelleria
– dei Caprettari
– Castellani
– Cavour
Piazza della Chiesa Nuova
– dei Cinquecento
– delle Cinque Lune
– delle Cinque Scole
– Cola di Rienzo
– del Collegio Romano
– Colonna
– del Colosseo
– Dante
– Della Rovere
– dell’Emporio
– Esedra
– dell’Esquilino
– Euclide
– Farnese
– Fiammetta
– Fiume
– del Foro
– Gentile da Fabriano
– del Gesù
– dell’Indipendenza
– Lugo
– Marconi
– Margana
– Mastai
– Mazzini
– di Montecitorio
– di Monte Savello
– delle Muse
– Navona
– dell’Orologio
– Paoli
– del Parlamento
– di Pietra
– Pietro d’Illiria
– Pilo
– della Pilotta
– della Pigna
– di Ponte S. Angelo
– del Popolo
– di Porta Capena
– di Porta S. Giovanni
– del Quirinale
Piazza dei Re di Roma
– Remuria
– della Repubblica
– del Risorgimento
– B. Romano
– della Rotonda
– di S. Andrea della Valle
– di S. Bernardo
– di S. Eustachio
– di S. Giovanni Bosco
– di S. Giovanni in Laterano
– di S. Ignazio
– di S. Maria Maggiore
– di S. Maria della Pace
– di S. Maria in Trastevere
– di S. Martino ai Monti
– di S. Pantaleo
– di S. Pietro in Montorio
– di S. Pietro in Vincoli
– di S. Silvestro
– S. Vincenzo Pallotti
– dei Ss. Apostoli
– Scanderbeg
– Sempione
– di Siena
– Sonnino
– di Spagna
– della Suburra
– Tavani Arquati
– di Tor Sanguigna
– di Trevi
– Trilussa
– della Trinità de’ Monti
– Tuscolo
– Venezia
– Verbano
– Verdi
– Vidoni
Piazza del Viminale
– Vittorio Emanuele II
Piazzale Clodio
– Flaminio
– Labicano
– La Malfa
– Numa Pompilio
– Ostiense
– di Ponte Milvio
– di Porta Pia
Piè di marmo
Piramide di Caio Cestio
Piscina coperta
– delle Rose
Planetario
Policlinico Gemelli
– Umberto I
Ponte Cavour
– Cestio
– Fabricio
– Flaminio
– del Foro Italico
– Garibaldi
– dell’Industria
– Lupo
– della Magliana
– Mammolo (nuovo)
– Matteotti
– Mazzini
– Milvio
– Nenni
– Nomentano
– di Nona
– Palatino
– Principe Amedeo Savoia Aosta
– Regina Margherita
– del Risorgimento
– Rotto
– S. Angelo
– S. Paolo
– Sisto
– Sublicio
– Tazio
– Testaccio
Ponte Umberto I
– Vittorio Emanuele II
Ponte Galeria
Ponte di Nona
Porta Ardeatina (nuova)
– Asinaria
– Esquilina
– Furba
– Latina
– Maggiore
– Metronia
– Nèola
– Nomentana
– Pia
– Pinciana
– del Popolo
– Portese
– S. Giovanni
– S. Pancrazio
– S. Paolo
– S. Sebastiano
– S. Spirito
– Settimiana
– Tiburtina
– Viminalis
Porta magica
Portico degli Dei Consenti
– dei Leoni
– di Ottavia
«Porticus Minucia»
Porto di Claudio
– di Ripa Grande
– di Ripetta
Prigioni
Propilei egizi
– greci
Protomoteca Capitolina
«Pulcin della Minerva»

Quadrivio delle Quattro Fontane


Quartiere Aurelio
– del Casilino
– del Corviale
– Dora
Quartiere dell’EUR
– della Ferratella
– della Garbatella
– Gianicolense
– Laurentino
– Mastai
– dei Parioli
– di Pietralata
– di Primavalle
– di S. Lorenzo
– Sebastiani
– Tiburtino I
– Trionfale
– Tuscolano
– Verbano
– di Vigna Clara
– della Vittoria

Regia
Roseto comunale
«Rostra vandalica»
Rostri

Sacello della Vittoria Virgo


Sacrario delle Bandiere delle Forze Armate
Sala Lancisiana (ex)
– della Minerva
Salita di S. Onofrio
Santa Maria di Galèria
Santuario del Divino Amore
– di Nostra Signora di Fatima
– Siriaco
– di Vulcano
San Vittorino
Scala Santa
«Scalae Caci»
Scalea del Tamburino
Scalinata della Trinità dei Monti
Scalo De Pinedo
Scuderie Chigi
– del Quirinale (ex)
Scuderie da tiro
Sedia del Diavolo
Sepolcreto Ostiense
Sepolcro del console Aulo Irzio
– di Eurisace
– di Gaio Poplicio Bibulo
– degli Orazi
– dei Rabirii
– degli Scipioni
– dei Semproni
– di Seneca
Serbatoio idrico
Settecamini
Sette Sale
Sinagoga Nuova
Sistema Direzionale Orientale (SDO)
Società Geografica Italiana
– romana di Storia patria
Spinaceto
Stabilimenti cinematografici di Cinecittà
Stabilimento della Birra Peroni (ex)
– IBM Italia
– Mira Lanza
– Pantanella (ex)
Stadio di Domiziano
– Flaminio
– dei Marmi
– Olimpico
– Olimpico del Nuoto
– palatino
– delle Terme
Statue parlanti:
– abate Luigi
– Babuino
– Facchino
– Madama Lucrezia
– Marforio
– Pasquino
Stazione centrale di Termini
Stazione per Lido di Ostia
– Roma Ostiense
Stele di Axum
– a Marconi
Studio Fortuny

Tabularium
Tangenziale est
Teatro Adriano
– Argentina
– delle Arti
– di Balbo
– Brancaccio
– Eliseo
– Jovinelli
– di Marcello
– Nazionale
– dell’Opera
– di Pompeo
– Sistina
– Valle
«Tellenae»
Tempietto di Bramante
– di Diana
Tempio di Adriano
– di Antonino e Faustina
– di Apollo Aziaco
– di Apollo Sosiano
– di Augusto
– di Bellona
– dei Càstori
– di Cesare
– della Concordia
– del Dio Redicolo
– del Divo Claudio
– del Divo Romolo
– di Elagabalo
– di Ercole
– di Esculapio
– di Faustina
– della Fortuna Virile
– di Giano
– di Giove
– di Giove Capitolino, 1, 2.
– di Giove Propugnatore
– di Giove Statore
– di Giunone Sospita (Foro Olitorio)
Tempio di Giunone Sospita (Palatino)
– della Magna Mater
– di Matidia
– di Minerva Medica
– di Portunus
– di Saturno
– di Serapide
– alla Speranza
– delle Tempeste
– di Veiove
– di Venere e Cupido
– di Venere e Roma
– di Vespasiano
– di Vesta (Foro Boario)
– di Vesta (Foro Romano)
– della Vittoria
Tempio Battista
Tenuta di Castel Porziano
Terme di Agrippa
– di Caracalla
– di Costantino
– Deciane
– di Diocleziano
– Neroniano-Alessandrine
– di Tito
– di Traiano
Tevere (F.)
Tomba di Cecilia Metella
– dei Curiazi
– di Fadilla
– di Gallieno
– di Geta
– di Marco Servilio
– dei Nasoni
– di Nerone
– di Priscilla
– di S. Callisto
– di S. Urbano
Tor Boacciana
– Maggiore
– Sanguigna
Torre Anguillara
– degli Annibaldi
Torre dei Borgiani
– Caetani
– dei Capocci
– di Capo di Bove
– del Casale di Cerqueto
– del Castel di Leva
– della Castelluccia
– di Centocelle
– dei Colonna
– dei Conti
– del Fiscale
– dei Frangipane
– dei Grassi (ex)
– dei Graziani
– del Grillo
– dei Margani (piazza Margana)
– dei Margani (piazza di S. Pietro in Vincoli)
– delle Milizie
– Millina
– della Moletta
– dell’Orologio
– del Papitto
– in Selce
– Spizzichino
Torrimpietra
Torrione
Traforo Umberto I
Triclinio Leoniano
Trofei di Mario

Uccelliera
Ufficio postale (piazza Bologna)
– (piazzale Asia)
– (via Marmorata)
– (via Taranto)
Università Cattolica del Sacro Cuore

Veio
Velodromo olimpico
Via Anastasio II
– degli Annibaldi
– Appia Antica
– Appia Nuova
– Appia Pignatelli
– dell’Arco della Ciambella
Via Ardeatina
– Arenula
– Aurelia
– Aurelia Antica
– del Babuino
– Balbo
– dei Banchi Nuovi
– dei Banchi Vecchi
– del Banco di S. Spirito
– Barberini
– Battisti
– Bissolati
– Boncompagni
– delle Botteghe Oscure
– Bucimazza
– di Capo le Case
– Carlo Alberto
– Casilina
– Cassia
– Cavour
– della Cecchignola
– dei Cerchi
– Cernaia
– Clementina
– del Clementino
– Clodia
– Cola di Rienzo
– Collatina
– del Colosseo
– della Conciliazione
– dei Condotti
– del Consolato
– delle Coppelle
– dei Coronari
– dei Corridori
– del Corso
– Crescenzio
– Cristoforo Colombo
– della Dataria
– De Rossi
– Druso
– dei Fienili
– Flaminia
– dei Foraggi
– dei Fori Imperiali
– delle Fornaci
Via Frangipane
– Gaeta
– Gallia
– Garibaldi, 1, 2.
– del Gesù
– Giraud
– de’ Giubbonari
– Giulia
– del Governo Vecchio
– dei Greci
– Gregoriana
– di Grottapinta
– Lanza
– Larga
– Latina
– Laurentina
– del Lavatore
– della Lungara
– della Lungaretta
– della Magliana
– delle Mantellate
– del Mare
– Margutta
– Marsala
– della Maschera d’oro
– del Mascherino
– della Mercede
– Merry del Val
– Merulana
– Milano
– di Monserrato
– del Monte della Farina
– della Navicella
– Nazionale
– Nomentana
– Oderisi da Gubbio
– Olimpica
– Ostiense
– Ottaviano
– Paisiello
– di Panìco
– Panisperna
– Paola
– Parigi
– de’ Pastini
– del Pellegrino
– dei Pettinari
– Piave
– del Pie’ di Marmo
Via Piemonte
– del Plebiscito
– Po
– di Porta Angelica
– di Porta Latina
– di Porta Lavernale
– di Porta Maggiore
– di Porta S. Sebastiano
– del Portico d’Ottavia
– Portuense
– Prenestina
– delle Quattro Fontane
– IV Novembre
– del Quirinale
– di Ripetta
– «Sacra»
– Salaria
– di S. Agostino
– di S. Croce in Gerusalemme
– di S. Eufemia
– di S. Francesco a Ripa
– S. Francesco di Paola
– di S. Giovanni in Laterano
– di S. Gregorio
– S. Martino della Battaglia
– di S. Martino ai Monti
– di S. Pietro in Carcere
– di S. Sabina
– di S. Stefano Rotondo
– di S. Teodoro
– di S. Vito
– dei Ss. Quattro
– della Scrofa
– in Selci
– dei Serpenti
– delle Sette Chiese
– Sistina
– Solferino
– Statilia
Via dello Statuto
– della Stazione di Pavona
– Tagliamento
– del Teatro di Marcello
– del Tempio degli Arvali
– Tiberina
– Tiburtina
– Tiburtina antica
– Tomacelli
– di Tor Carbone
– Torino
– di Torre Argentina
– delle Tre Pile
– dei Tre Pupazzi
– Trionfale
– del Tritone
– del Trullo
– Tuscolana
– Urbana
– del Velabro
– Veneto
– XX Settembre
– XXIV Maggio
– di Vigna Murata
– di Villa Giulia
– Zanardelli
Viadotto del Gelsomino
Viale Aventino
– delle Belle Arti
– Buozzi
– Castro Pretorio
– della Civiltà del Lavoro
– della Villa di Plinio
– Europa
– del Foro Italico
– delle Magnolie
– Manzoni
– Marconi
– Mazzini
– del Muro Torto
– dell’Obelisco
– del parco Mellini
– dei Parioli
– Regina Elena
– delle Terme di Caracalla
Viale Togliatti
– di Tor di Quinto
– di Trastevere
– del Vignola
– XVII Olimpiade
Vico Jugario
Vicolo dell’Atleta
– delle Palline
– della Spada d’Orlando
«Vicus Tuscus»
Vigna Codini
Vignola
Villa Ada
– Albani
– Aldobrandini
– Appia delle Sirene
– Aurelia
– Balestra
– Blanc
– Bonaparte (Paolina)
– Borghese
– Brasini
– Capo di Bove
– Carpegna
– Casali
– Celimontana
– Colonna
– Doria Pamphilj
– Farnesina
– «ad Gallinas Albas»
– Gentili Dominici
– Georgina
– Giraud
– Giulia
– La Favorita
– Lais
– Lante
– La Nuova Officina
– Lubin
– di Lucio Vero
– Madama
– Manzoni
– Maraini
– di Massenzio
– Massimo
– Mazzanti
– Medici
Villa Mellini
– Miani
– Nomentana
– Poniatowski
– dei Quintili
– Robertini
– Savorgnan di Brazzà
– Sciarra
– dei Sette Bassi
– Sforza (ex)
– Stuart (ex)
– Torlonia
– del Vascello
– delle Vignacce
– Wolkonsky
Villaggio olimpico
– S. Francesco
Villino Alatri
– Aletti
– Andersen
– Bencini
– Boncompagni
– Brasini
– Brunialti
– Cagiati
– Campos
– Durante
– Florio
– Hüffer
– Marignoli
– Monteverde
– Pacelli
– Papanice
– Rossellini
– Rossi
– di Rudinì
– Sabbatini
– Valiani
– Visconti
– Ximenes
Vitinia
Vittoriano
Zecca

CITTÀ DEL VATICANO


Aula delle Udienze pontificie
Basilica di S. Pietro
Biblioteca Apostolica Vaticana
Camposanto teutonico
Cappella Sistina
Casina di Pio IV
Chiesa di S. Anna dei Palafrenieri
– di S. Stefano degli Abissini
Collegio teutonico
Collezione d’Arte religiosa moderna
Fontana dell’Aquilone
– del Sacramento
Giardini Vaticani
Loggia di Raffaello
Musei Vaticani
Museo Chiaramonti
– Gregoriano Egizio
– Gregoriano Etrusco
– Gregoriano Profano
– Missionario-Etnologico
– Pio-Clementino
– Pio Cristiano
– profano
– sacro
– Storico Artistico-Tesoro di S. Pietro
– Storico Vaticano
Necropoli precostantiniana
– della Via Triumphalis
Obelisco Vaticano
Palazzo del Governatorato
– della Zecca
Piazza S. Pietro
Pinacoteca Vaticana
Sacre Grotte
Stanze di Raffaello
Studio del mosaico
Torre di S. Giovanni
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