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RIONE FORNELLE

Indice

1. Etimologia del nome

2. Confini e posizione geografica

3. Storia del quartiere

4. Itinerario di un viandante del Quattrocento

5. Edifici di culto
5.1 - Sant'Andrea de Lavina
5.2 - Chiesa Santa Maria de Lama
5.3 - Chiesa San Pietro a Corte
5.4 - Chiesa di Santa Trofimena
5.5 - San Giovanni di Dio
5.6 - Monastero di San Francesco di Paola
5.7 - Chiesa della Santissima Annunziata

6. Palazzi
6.1 - Palazzo Conforti
6.2 - Palazzo Ruggi d’Aragona

7. Monumenti
7.1 – La Fontana dei Pesci

8. Bibliografia

9. Sitografia
1. Etimologia

L’etimologia del nome “Fornelle”, secondo la tradizione, è


legata alla presenza dei forni che gli abitanti del nucleo
originario del quartiere, provenienti da Vietri sul mare e
dalla costiera amalfitana, avrebbero impiantato per la
cottura delle ceramiche.
Il nome del quartiere, secondo alcune fonti, deriva dal
termine latino usato in età longobarda “ad Formas” o “in
Formis”, per indicare gli acquedotti in cui venivano
canalizzate antiche fonti minerali.

2. Delimitazione del quartiere

Il quartiere è delimitato a nord da via Tasso, ad ovest da via Fusandola che ricopre il letto
dell’omonimo torrente, l’antico Busanola, e da via Spinosa che sale sino all’arco di casa
Avenia, a sud da via Porta Catena giungendo sino al largo Campo che lo divide
dall’ampliamento settecentesco. Quest’ultimo inizia all’altezza della Chiesa della
Annunziata, dove era precedentemente situata la Porta Catena e giunge sino all’antica
Porta di Mare, nei pressi della quale si trova ancora la torre di Guaiferio. Il limite est
dell’intera zona non è ben preciso, ma si considera corrispondente a via Porta di Mare e
via dei Canali, coincidente con quello che poteva essere l’antico cardo principale.
Il quartiere è precluso al traffico motorizzato e costituisce, ancora oggi,
un’isola protetta con strette vie su cui affacciano case a cortina. Esso
rappresenta una vera e propria originalità medievale. Gli edifici
presenti che sono composti da quattro o cinque piani, anticamente
erano costituiti soltanto da due o tre piani. Le moderne
sopraelevazioni hanno contribuito al decadimento statico ed estetico.
I rapporti di vicinato che in passato erano favoriti da terrazze, giardini
interni e altane sui cortili, si sono ormai dissipati.

3. La Storia

Il quartiere affonda le sue radici nel IX sec.,


durante il principato longobardo.
Dopo che Sicardo, ultimo erede del
principato beneventano, ebbe conquistato
Amalfi tra l’838 e l’839, una colonia di
amalfitani si stabilì a Salerno. Il sovrano,
sperando di poter spostare gli interessi del
potente centro marinaro verso Salerno, tentò
di fondere le due popolazioni tramite
matrimoni, ma alla sua morte, avvenuta
durante una congiura, gli amalfitani tornarono
nella loro patria, saccheggiando la città.
Alcune famiglie rimaste fedeli a Salerno si videro costrette a spostarsi a Vietri, fino al
tempo del principe Guaiferio, cognato di Sicardo, che concesse loro di ritornare a Salerno
per difendersi dalle incursioni saracene. Agli amalfitani venne data la possibilità di
occupare l’area compresa tra il fiume Fusandola e l’attuale via Porta Rateprandi, zona
denominata nei documenti più antichi “Locus Veterensium” o “Vicus sancte Trophimene”,
ma ancora oggi conosciuta come rione Fornelle, essi si adeguarono alle norme del diritto
longobardo, non rimanendo emarginati dal contesto sociale e godendo di privilegi presso i
prìncipi.
Nel “vicus”, che presentava le caratteristiche morfologiche di un paese della costiera (vicoli
stretti ed angusti che sfociano su slarghi inaspettati), si praticavano attività legate alla
pesca e al traffico marittimo, come la fabbricazione di attrezzature per l’armento delle
barche, ed altre attività legate alla lavorazione della farina ed alla tessitura. Per quanto
riguarda il commercio vero e proprio, gli amalfitani si dedicarono principalmente
all’esportazione del legno, sfruttando le risorse naturali dell’entroterra salernitano e
all’importazione dall’Oriente di stoffe pregiate, di spezie e di semi di nuove piante. Si
contribuiva così a vivacizzare l’economia salernitana e ad indirizzarla ancora più verso
l’Oriente.
Il quartiere, addossato alle mura dell’ampliamento di Grimoaldo, aveva come confini la Via
Tasso con la Torre dei ladri, i Gradoni della Lama, via Porta Rateprandi, il Vallone del
Fusandola. Oltre quest’ultimo si estendevano orti, giardini e qualche bottega, nominate in
un documento dell’XI secolo. Successivamente, nell'area "extra moenia” vennero eretti
chiese e conventi. Del XIII secolo è la Chiesa, oggi nota come S. Anna al Porto, ma un
tempo denominata Badia di Porto Salvo, in cui vennero rinvenuti durante i lavori di
restauro condotti negli anni ’30, due colonne di marmo ed un frammento di mosaico
databile al XIII secolo. Alla Chiesa venne annesso il Convento dei Carmelitani Scalzi,
fondato nel 1682 con il titolo di Santa Maria di Porto Salvo. Soppresso nel 1780 il
Convento venne adibito a gendarmeria ed oggi è sede della Legione dei Carabinieri di
Largo Pioppi.
Un altro monastero, vicinissimo al Fusandola, venne fondato nel 1516 dall’ordine dei
Minimi presso la Chiesa di S. Bernardino di cui oggi rimane solo una cupoletta che si vede
dalla strada. A tale scopo i Padri ebbero in dono dal principe Roberto Sanseverino una
grande area, ricca di ampi giardini e orti. Il Monastero, dedicato a San Francesco di Paola,
divenne uno dei più belli della provincia, in una posizione invidiabile vicinissima al mare,
da cui lo divideva solo una grande piazza. Era inoltre provvisto di una spezieria che forniva
medicinali di ottima qualità a buon prezzo. Nel 1779 l’Arcivescovo vi fissò la sua residenza.
Nel 1807 venne soppresso e adibito a caserma, destinazione che conserva ancora oggi.
L’alluvione del 1954 procurò ingenti danni al quartiere Fornelle: una massa di detriti
trascinati dal torrente Fusandola invase il rione minando la stabilità di molti edifici, ragion
per cui furono inevitabili alcuni abbattimenti.
Si rendeva sempre più necessario un intervento che restituisse la destinazione
residenziale ad un quartiere che si andava man mano spopolando.
Se nel decreto di approvazione del Piano Regolatore Generale emanato nel 1965 non si
fosse proposto che gli interventi nel Centro Storico dovessero essere “ meglio studiati e
programmati secondo un piano organico di risanamento”, con il piano regolatore del 1958,
si sarebbero avuti ulteriori sventramenti per la creazione di nuove strade, al fine di creare
una bonifica del centro antico. Venne quindi apposta, nel 1975, una variante alla norma
urbanistica edilizia secondo la quale ogni intervento nel centro storico doveva essere
concordato con la Soprintendenza.
4. Itinerario di un viandante del Quattrocento

<<L'itinerario del viandante degli anni novanta del Quattrocento prende avvio dal sagrato
della Chiesa parrocchiale di Sant’Andrea de Lavina. Essa compare nelle fonti giunte fino a
noi, con l’appellativo de Lama, nell’agosto 1084, quando un documento è rogato nel suo
atrio. Nel corso del XIII secolo la Chiesa conserva l’appellativo de Lama; nel 1309
compare semplicemente come Sant’Andrea; nel 1312 è detta de Lavina, con i1 cappellano
Tommaso de Ruggiero. Nel 1338 risulta parrocchiale. L’immobile, divenuto insufficiente
per l’accresciuta popolazione e l’aggregazione alla parrocchia dei territori di Santa Maria
de Lama, di San Matteo Piccolo, della maggior parte di quello di Santa Maria dei Barbuti,
al quale era già stato annesso l’altro di Santa Maria de Capite Platearum, e di San Pietro
delle Femmine, già annesso a Santa Trofimena e poi da questa dismembrato, sarà
abbandonato nel 1946 con il trasferimento della sede parrocchiale nella Chiesa del
conservatorio della Santissima Annunziata Minore.
Dal sagrato di Sant’Andrea de Lavina, percorrendo verso settentrione la strada dove cala
l’acqua in tempo di pioggia (Archivio Diocesano di Salerno), quella stessa attualmente
denominata via Porta Rateprandi, ossia l’antica Lama, il nostro viandante degli anni
novanta del Quattrocento raggiungeva, come è possibile fare tuttora, la Chiesa
parrocchiale di Santa Maria de Lama. Essa compare nelle fonti giunte fino a noi nel
gennaio 1055 con il chierico e abate Giovanni; ne risultano compatroni il principe Gisulfo II
e gli eredi del conte Giovannaccio, figlio del castaldo Mansone. La Chiesa che oggi
osserviamo molto probabilmente fu edificata in epoca normanna sulla preesistente Santa
Maria de Lama longobarda, a sua volta inserita in una struttura romana, che divenne la
cripta della nuova costruzione; quest’ultima l’11 dicembre 1615 risulterà essere sotto il
titolo di Santo Stefano.
Dagli attuali gradoni Madonna della Lama, procedendo verso occidente lungo la via che
conduceva alla porta anticamente detta Nocerina, oggi Torquato Tasso, il nostro viandante
raggiungeva il piede dell’attuale salita Intendenza Vecchia lungo la quale scopriva, come è
possibile fare tuttora, la parrocchiale di Santa Maria de Alimundo. L’edificio che
attualmente osserviamo, in un’unica navata di concezione settecentesca, nulla conserva
dell’impianto longobardo ancora esistente al 1692, quando la Chiesa, citata con
l’appellativo d’Alimundo seu dell’Ulmo, sarà descritta come consistente in tre navate;
crollata agli inizi degli anni venti del Settecento, sarà ricostruita nei successivi anni trenta.
In essa si ipotizza trovasse sepoltura Masuccio Salernitano, che oltre a esserne
compatrono per eredità di Tommaso Mariconda, ne era figliano, poiché abitava nei suoi
pressi, in case confinanti con beni dei Ruggi e della stessa Chiesa parrocchiale.
Lasciato il vico remoto sul fondo del quale vediamo Santa Maria de Alimundo,
percorrendo, verso settentrione, la via di passaggio, attuale salita Intendenza Vecchia, il
nostro viandante poteva raggiungere, attraversando il largo Montone, l’antica strada per il
monastero di San Lorenzo e osservare la Chiesa di Sant’Angelo de Plaio Montis.
Attraverso un percorso non molto difforme da quello che è possibile praticare tuttora lungo
le gradinature recenti che girano intorno all’isolato comprendente il sito di Sant’Angelo de
Plaio Montis, il nostro viandante raggiungeva, in territorio parrocchiale di San Salvatore de
Coriariis, il monastero di San Lorenzo.
Procedendo verso meridione lungo l’attuale via Porta di Ronca, il nostro viandante degli
anni novanta del Quattrocento osservava alla sua sinistra la parrocchiale di San
Bartolomeo de Coriariis. Essa compare nella documentazione giunta fino a noi nel
dicembre 1142 quale riferimento topografico nell’ubicazione di una terra con casa. Nel
1309 vi è addetto il presbitero Giovanni. In occasione della visita pastorale del 2 maggio
1592 sarà ritrovata distrutta a causa del crollo di un muro del giardino che la sovrastava; il
danno sarà irreparabile e determinerà una lunga agonia della parrocchia che si protrarrà
fin oltre gli inizi dell’Ottocento.
Procedendo verso oriente lungo la via della porta anticamente detta Nocerina, oggi
Torquato Tasso, ripercorrendo verso meridione gli attuali gradoni Madonna della Lama e la
strada attualmente denominata via Porta Rateprandi, il nostro viandante ritornava al
settentrione della Chiesa di Sant’Andrea de Lavina ove, lungo l’attuale vicolo degli
Amalfitani, osservava la Chiesa parrocchiale di San Pietro de Lama, detta anche delle
Femmine. Essa compare nelle fonti giunte fino a noi nel maggio 1080, quando per suo
conto agisce Landone, presbitero di Santa Maria de Lama.
Percorso interamente l’attuale vicolo degli Amalfitani, il nostro viandante perveniva nella
parrocchia di San Giovanni dei Greci, che alle limitrofe San Pietro de Lama e Sant’Angelo
de Marronibus contendeva il primato del più piccolo fra i territori parrocchiali cittadini. La
Chiesa compare nelle fonti giunte fino a noi nel 1279, quando le si assegnano alcune
rendite. Il 19 novembre 1307 e nel 1309 risulta officiata dal presbitero Tommaso. Nella
relazione della visita pastorale del 25 maggio 1515 sarà detta unita a Santa Trofimena.
L’11 dicembre 1615 si ordinerà di murarne la porta. Nei pressi, al 19 giugno 1404,
confinante con altri suoi beni, vi era la casa che Stefano Ismiraldo dona al monastero di
Santo Spirito fuori le mura. Poco a meridione di San Giovanni dei Greci il nostro viandante
osservava l’altra parrocchiale di Sant’Angelo de Marronibus.
A occidente di Sant’Angelo de Marronibus il viandante raggiungeva la Chiesa parrocchiale
di Santa Trofimena. Essa compare nelle fonti giunte fino a noi nel maggio 995; ma è
certamente più antica, poiché il vico omonimo compariva già in un inserto del giugno 940
contenuto in un documento del giugno 985. Il territorio parrocchiale intra moenia di Santa
Trofimena può essere distinto in due aree fortemente caratterizzate: le Fornelle e
l’Annunziata.
Da Santa Trofimena, verso meridione, forse percorrendo uno degli anditi che ancora
vediamo o qualche altro scomparso, il viandante raggiungeva la via della porta Busanola,
attualmente Catena, asse mediano della seconda fra le parti nelle quali idealmente
abbiamo distinto il territorio intra moenia di Santa Trofimena; questa, già limitata verso il
mare dal muricino, allo spirare del Medioevo presentava un tessuto urbano in via di
definizione, ancora mancante della murazione che raggiungerà la fine dell’età moderna.
Uscendo dalla città attraverso la porta Busanola, appena oltre il corso del torrente
omonimo, alla sua destra, il nostro viandante poteva osservare la Chiesa della Santissima
Annunziata extra Moenia o di San Bernardo, detta Vecchia dopo l’edificazione che
abbiamo appena visto. Essa compare nelle fonti giunte fino a noi il 10 maggio 1330 quale
riferimento topografico nell’ubicazione di una taverna sita in Busanola; dopo la donazione
del principe di Salerno (nel 1516 deteneva il titolo Ferrante Sanseverino) intorno ad essa
sorgerà il convento che oggi vediamo utilizzato quale deposito militare.>>

5. Edifici di culto

5.1 - Sant'Andrea de Lavina

La Chiesa, anticamente detta Sant’Andrea de Lama,


compare in una documentazione di attribuzione certa
nell’agosto 1084, quando nel suo atrio si redige un atto
notarile; ma certamente è più antica, forse di circa un secolo,
essendo ascrivibile, probabilmente, all’epoca in cui la sesta
dinastia dei principi longobardi di Salerno, iniziata con
l’avvento al trono, nel 983, di Giovanni II di Lamberto,
promosse la costruzione in città di una serie di chiese.
Alla destra della facciata barocca il campanile del XII secolo presenta quattro
ordini, di cui tre con monofore; lo completa un tamburo cilindrico coperto da
calotta. Il prospetto è scandito da due lesene e concluso da un timpano con
oculo sormontato da un fastigio reggi croce.
Il portale, a sua volta incorniciato da lesene e concluso da un frontone
curvilineo su mensole, è sormontato da un finestrone semicircolare
con cornice a stucco. L’accesso avviene tramite un’ampia gradinata
delimitata da inferriata e cancello. L’interno, coperto da volta a botte
con stucchi romboidali, è concluso dall’abside semicircolare
innaturalmente, per una Chiesa di origine longobarda, posta verso
occidente, fatto che narra di un antico mutamento dell’orientamento;
l’unica navata della ricostruzione barocca è affiancata da due
ambienti, il sinistro non più che un corridoio, forse residui di un’antica
tripartizione. Un arco a sesto ribassato sorregge il coro con la
balaustra in muratura decorata da stucchi.

5.2 - Chiesa Santa Maria de Lama

Santa Maria de Lama, collocata nel cuore del


Centro Storico della città, conserva le uniche
testimonianze di pittura del periodo longobardo di
Salerno. La Chiesa è a doppio livello, ma in
origine era composta solo dalla parte inferiore,
oggi inglobata nell’attuale cripta, trasformata nel
XIII secolo in funzione dell’aula superiore.
La Chiesa originaria era una cappella nobiliare
longobarda la cui datazione è da collocare nei
primi decenni dell’XI secolo. Essa era orientata a
nord ed aveva le pareti dipinte con icone di santi,
ancora oggi ben conservati sul lato nord est. Di
questi dipinti, di cultura beneventana, sono
riconoscibili solo due, San Bartolomeo e
Sant’Andrea, mentre degli altri si individuano solo
due metà ed una testa.
Con la ristrutturazione del nuovo edificio, la
disposizione dell’ambiente ipogeo subì un
ribaltamento della pianta verso Est. In quella
occasione le pareti furono anch’esse decorate con
nuovi dipinti, raffiguranti San Lorenzo sul muro di
collegamento tra le due absidiole, Santo Stefano
nell’abside meridionale, due santi vescovi sulla
parete meridionale (ora strappati e conservati
presso il Museo Diocesano), santa Radegonda
dietro il pilastro meridionale, la Madonna Regina
con due angeli nell’alveo della parete
settentrionale.
5.3 - Chiesa San Pietro a Corte

Il Complesso Monumentale di San Pietro a Corte è la più importante


fondazione longobarda presente in Città. I resti monumentali si
configurano come uno dei principali documenti architettonici della
Salerno medievale e tra i documenti dell’architettura longobarda
presenti in Europa, costituiscono un esempio unico di edificio
palazziale. Fu la sede più prestigiosa della corte principesca
longobarda in Campania. La struttura si deve al duca di Benevento,
Arechi II che nel 774, dopo la sconfitta dei Longobardi del Nord ad
opera di Carlo Magno, assumendo il titulus di Princeps gentis
langobardorum, spostò, per ragioni politiche e strategiche, la sua
residenza da quella Città, allora capitale del ducato, a Salerno,
costruendosi un magnifico palatium. Riguardo alla struttura, i grossi
pilastri dell’aula superiore (aula di rappresentanza) sono poggiati sul
frigidarium di un complesso termale di età imperiale (fine I - inizio sec.II
sec. d.C.), in seguito riutilizzato come sepolcreto dalle comunità
cristiane di Salerno dove furono seppelliti importanti personaggi
pubblici dell’epoca (vir spectabilis). Dall’alto si accedeva ad un ampio
salone che doveva corrispondere all’aula di rappresentanza con
annessa cappella palatina. Nei secoli successivi (anno 1567) il salone
fu modificato dall’abate commendatario, Decio Caracciolo, il quale
aggiunse l’attuale scalone d’accesso, visibile dall’ingresso di largo
Antica Corte. Tra i secoli XIII e XVI fu creata una cappella dedicata al
culto mariano. Tra le sue diverse destinazioni d’uso è stata anche una
delle sedi della Scuola Medica Salernitana. In futuro, a restauro
ultimato, sarà la sede del museo della civiltà dei Longobardi del Sud.

5.4 - Chiesa di Santa Trofimena

Secondo il Chronicon Salernitanum la Chiesa fu costruita intorno al IX


secolo, in età longobarda, per accogliere le reliquie di Santa Trofimena,
che vi sarebbero state trasferite da Benevento. La Chiesa fu sede
parrocchiale tra il 1503 e il 1853. Tra il 1515 e il 1570 le furono annesse
le parrocchie di San Giovanni dei Greci e di San Pietro delle Femmine.
Nel corso del Seicento fu sottoposta ad una radicale ristrutturazione: fu
posto un rivestimento barocco e l'ingresso venne spostato sul lato
occidentale, opposto a quello originale. Nel 1627 invece fu annessa alla
Chiesa di Sant'Anna al Porto. L'attuale facciata curvilinea risulta da un
ulteriore rimaneggiamento ottocentesco. L'edificio è ad unica navata, con
strutture verticali di tufo, intonacato e dipinto all'interno e con intonaco
grezzo all'esterno. L'aula è sormontata da una volta a botte e il pavimento
è in piastrelle di maiolica e cotto.
L'attuale facciata occidentale, costruita allo scopo di nascondere l'alzato
delle due originarie absidiole laterali, risale all'Ottocento e presenta
un'ampia finestra ed un timpano semicircolare che tendono ad accentuare
lo slancio dell'edificio. Il restauro dell’edificio dell’ex Chiesa di Santa
Trofimena ha presentato numerosi problemi, soprattutto per lo stato di
abbandono a cui è stato lasciato per decenni.
Nel 2006, in occasione della manifestazione “Salerno Porte Aperte”, fu possibile visitarla
per l’ultima volta, chi ebbe la possibilità di accedervi ricorda bene la sporcizia e la
fatiscenza in cui riversava. I lavori di ristrutturazione iniziarono nel 2010 e, oggi, è possibile
osservare la parte esterna restaurata.
Il restauro ha sollevato un’ondata di polemiche, in
particolare per l’intonacatura di vernice bianca che ora la
copre quasi interamente. Esaminando le fotografie
dell’edificio prima del restauro, si notano sul retro, l’antico
ingresso, le tracce del nartece (porticato esterno tipico
delle chiese altomedievali) e del timpano che sovrastava
il piccolo portale; e ora, in effetti, tutto questo è nascosto
dall’intonaco bianco.

5.5 - San Giovanni di Dio

La Chiesa che vediamo lungo la via Porta Catena fu edificata


dopo il 1620 quando, il 23 aprile, fu stipulato un atto fra il
sindaco di Salerno e il priore dei Benfratelli. L’atto prevedeva
la concessione di una casa sulla quale la città esercitava il
diritto di patronato, affinché, con la demolizione di essa, si
potesse costruire una Chiesa ad uso dell’ospedale, ma con la
porta principale sulla strada pubblica, in modo che chiunque
potesse frequentarla liberamente. Tradizionalmente, la
storiografia salernitana ha confuso l’ospedale della Santissima
Annunziata con quello istituito da Matteo d’Aiello, vice
cancelliere del Regno, presso la Chiesa di San Giovanni de
Busanola. Il convento verrà soppresso il 7 agosto 1809; sarà
ricostituito con decreto reale del 25 febbraio 1819. Nel 1861, a
seguito della nuova soppressione, i religiosi di San Giovanni
di Dio lasciano la città; l’ospedale è affidato a laici, finché, nel
1878, subentra la congregazione delle figlie della Carità.
Intanto, nel 1870, il marchese Ruggi d’Aragona, a proprie
spese, aveva fondato un secondo ospedale. Nel 1898,
considerato insufficiente il servizio a causa dell’aumento della
popolazione, i consigli di amministrazione del San Giovanni di
Dio e del Ruggi d’Aragona decidono la fusione dei due istituti
e la realizzazione di un nuovo edifico.
La facciata della Chiesa, attualmente interdetta, è partita
orizzontalmente da una cornice marcapiano e conclusa da un
timpano; il campanile, semplicissimo, è arretrato rispetto al
prospetto. L’interno barocco è a navata unica coperta da volta
a botte e conclusa da un’abside semicircolare. Le pareti, lungo
le quali si aprono quattro cappelle, sono scandite da lesene
con capitelli corinzi che riquadrano arcate a tutto sesto; sopra
di esse corre una trabeazione con cornice aggettante. Sulla
controfacciata la cantoria sovrasta l’ingresso. Le opere d’arte
custodite in San Giovanni di Dio, con la fusione dell’ente
ospedaliero con il Ruggi d’Aragona, furono in parte conservate
presso la nuova struttura, in parte depositate presso il palazzo
arcivescovile; fra di esse vi è una Madonna della Salute, forse
proveniente dalla cappella originaria dell’ospedale.
5.6 - Monastero di San Francesco di Paola

Il Monastero di San Francesco di Paola sorge


nel rione Fusandola della città di Salerno.
Secondo la leggenda il convento fu eretto per
volontà di San Francesco di Paola che nel
1484 fece visita a Salerno e in un piccolo
tempio al di fuori delle mura della città si inginocchiò e disse ai suoi accompagnatori che lì
doveva sorgere un convento del suo ordine. La sua costruzione fu terminata ad opera dei
Padri Minimi nel 1516 in un terreno concesso dal Principe Sanseverino e dal Senato della
città fuori Porta Catena. Il convento, dalla struttura imponente, con chiostri e giardini fu
costruito in un luogo isolato, vicino al mare. Nel convento i Padri Minimi si occupavano per
lo più di assistenza agli infermi e crearono anche una farmacia che riforniva il vicino
ospedale. Nel 1531 venne ampliato. Tra il 1703 ed il 1707 si effettuano lavori di
ampliamento con la realizzazione del dormitorio nuovo e a dirigere i lavori è l'ingegnere
Padre Gaetano di Gesù e Maria dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi. Con decreto
napoleonico fu soppresso nel 1807 e fu consegnato al Real Corpo del Genio per Ospedale
militare. Ex sede della caserma Vicinanza oggi è in via di restauro ed al termine ospiterà
alcuni uffici della Questura e della Procura.
L'edificio ha pianta quadrangolare ed è caratterizzata da livelli sfalsati, in quanto costruito
su un pendio. Conserva ancora l’antico ingresso che, attraverso un deambulatorio coperto
a volta, immette nel chiostro. Il chiostro è caratterizzato da cinque arcate a tutto sesto che
definiscono le varie facciate. L’aula interna presenta profonde cappelle, cinque per lato,
con volte a crociera. Oggi affaccia sull’esterno della via Fusandola la parete laterale
dell’aula e i finestroni semicircolari indicano le arcate d’ingresso alle cappelle. Sulla stessa
via Fusandola si affaccia una cappella di forma circolare coperta da una cupola. La cupola
che doveva essere munita di lanterna è crollata ed è stata sostituita da un solaio in
cemento armato. Restano ancora visibili quattro grandi arconi con i pennacchi di raccordo
decorati da stucchi, che sorreggevano la cupola.

5.7 - Chiesa della Santissima Annunziata

La Chiesa dell'Annunziata di Salerno risale alla metà del XIV secolo. Si alza vicino alla
distrutta Porta Catena del centro storico di Salerno nel rione Fornelle.
L'edificio costruito nel 1627 con il nome di Santissima Annunziata Nuova, andò a sostituire
la vecchia Chiesa di fine quattrocento che, nel 1626, fu distrutta da un'alluvione.
La Chiesa attuale è il risultato di interventi di restauro di inizio Settecento ad opera di
Ferdinando Sanfelice il quale progettò il monumentale campanile che sorgeva di fianco la
scomparsa Porta Catena. Il campanile è impostato su quattro ordini architettonici
sovrapposti. Lesene con capitelli ionici e corinzi e colonne poste agli angoli concorrono ad
un alleggerimento della struttura. Monofore riquadrate da una larga cornice si aprono nel
terzo ordine, mentre oculi inseriti in un motivo decorativo danno luminosità all'ultimo,
aggraziato da paraste terminanti in volute. Un'esile cuspide a pinnacolo raccordata al
campanile da volute ne rifinisce l'elegante silhouette.
La Chiesa presenta la facciata su via Porta Catena arricchita da due nicchie sagomate in
marmo, oggi prive delle statue previste dal progettista Francesco Ragozzino, situate ai lati
del portale sovrastato da un tondo a bassorilievo rappresentante l'Annunciazione; la porta
è in rame sbalzato. La facciata è divisa orizzontalmente da una fascia marcapiano e
verticalmente da otto lesene: quattro nella parte inferiore, lisce, con capitelli ionici; quattro
in quella superiore, scanalate, con capitelli corinzi. Chiude il tutto un timpano triangolare.
L'interno, coperto da volta a botte unghiata, è a navata unica con abside e cupola
emisferica, senza tamburo e con lanterna, decorata con un motivo a cassettoni e rosette. I
lati sono caratterizzati da lesene scanalate con capitelli corinzi che riquadrano le cappelle.
L'altare maggiore di marmo venne realizzato nel Settecento da Matteo Bottiglieri e da
Filippo e Giovanni Ragozzino.
Fu severamente danneggiata durante i
combattimenti dello sbarco di Salerno nel
settembre 1943 e fu parzialmente sommersa
dall'alluvione di Salerno del 1954. Nel 2007, pur
se aperta al culto, presentava problemi statici,
dovuti all'infiltrazione d'acqua, sia al tetto che al
campanile: a causa di ciò, si corse ai ripari
costruendo una copertura in ferro al di sopra
del tetto.
Il 19 settembre 2009 è stato inaugurato il
campanile restaurato della Chiesa. Nell'ottobre
2010, durante il restauro della Chiesa, indagini
archeologiche hanno intuito la presenza di
antichi insediamenti al di sotto dell'edificio; i
conseguenti scavi hanno portato alla luce
numerose strutture di epoca altomedievale,
probabilmente appartenenti a delle terme o a
giardini. I lavori di restauro, che hanno previsto
il rivestimento della grande cupola con
ambrogette di colore giallo e verde e scandole
color arancio, vengono conclusi nel 2014.

6. Palazzi storici

6.1 – Palazzo Conforti

Risalendo l’attuale strada via Tasso, ci si ritrova di


fronte all’imponente portale poligonale che dà ac-
cesso al cortile di Palazzo Conforti.
Sul fondo del cortile troneggia la scenografica scala
aperta a tre rampe di chiara impostazione settecen-
tesca con due piani di loggette e il portico sul piano
terra.
Sul Palazzo Conforti ci sono tante notizie frammen-
tarie. Sicuramente si tratta di uno tra gli edifici si-
gnorili del Centro Storico di Salerno, ma è altrettan-
to vero che non ci sono certezze in merito alla sua
storia, in particolare alla data esatta della sua co-
struzione. L’edificio, nel cuore del centro antico del-
la città, dovrebbe, infatti, risalire al XVI secolo.
Alcune fonti parlano del "Conforti" adibito a sede
dell’Intendenza Napoleonica, nel 1807, e di un cer-
to Domenico Pagliara come suo proprietario e di
lavori di ristrutturazione eseguiti in quel periodo.
È documentato da atti notarili, invece, l’acquistato
del palazzo da parte di Gerardo Copeti nel 1754.
Il palazzo, baciato dal sole, sfrutta un’invidiabile posizione rialzata e affacciata verso il ma-
re, avendo uno straordinario panorama. Per questa ragione la pianta si adegua alla confi-
gurazione del suolo, disegnando apparentemente una T si prolunga fino a innestarsi sulla
cortina di palazzi opposti, scavalcando la Via Tasso, sulla quale prospetta direttamente so-
lo col portale e con il terrapieno di fronte cui si trova il civico 71.
Esso è un pregevole esempio dello stile "rococò" che è sviluppato notevolmente in Cam-
pania nel XVIII secolo per merito del Nauclerio, del Vaccaro e del Sanfelice. A quest’ultimo
è attribuita la paternità del progetto.

6.2 – Palazzo Ruggi d’Aragona

Il palazzo Ruggi D'Aragona sorge nel centro storico della città,


nella zona detta "Plaium Montis" ai piedi del Monte Bonadies
e ricade in parte nel rione “Madonna delle Grazie” e in parte
nel rione “Fornelle”. Cronologicamente la realizzazione
dell'edificio, nella sua attuale configurazione, è riconducibile
al secolo XVIII ma, stando ad alcune fonti, il nucleo originario
risale ai primi decenni del Cinquecento. In seguito l’edificio,
tramite nuove acquisizioni, si è sviluppato verso oriente, sul
territorio parrocchiale di Santa Maria de Lama, fino a
raggiungere l’estensione attuale del palazzo con Marco
Antonio, negli anni Settanta del Cinquecento. Nel 1591 è
stato inglobato anche l’immobile posto a meridione della
strada, che sarà poi unito alle case poste a settentrione
tramite l’arco che tuttora è possibile ammirare. Nel 1700, il
complesso è acquistato dal marchese Ruggi che gli avrebbe
conferito la veste attuale. L'ultimo discendente del casato, il
marchese Giovanni, alla sua morte, nel suo testamento del 2
luglio 1870 lasciò l’intero patrimonio immobiliare, fra cui il
palazzo Ruggi, al comune di Salerno. A partite da questa
data il palazzo ha subito una serie di evoluzioni nella sua
destinazione d'uso, con conseguenti mutamenti nelle
scansioni interne che ne hanno profondamente modificato
l’aspetto originario. Quello che vediamo ora è, infatti, frutto di
una ristrutturazione ottocentesca; inoltre in epoca fascista il
palazzo è stato adibito a uso scolastico. Nel 1943 ha subito
una serie di lesioni dovute ai bombardamenti alleati
nell’ambito dell’Operazione Avalanche. L’edificio è stato
nuovamente danneggiato nel 1980, a seguito del terremoto
dell’Irpinia. I lavori di restauro architettonico dell’edificio,
iniziati nei primi anni novanta, sono ancora in corso.
Attualmente l'Ala Ovest del palazzo è stata adibita a sede
della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici
per le province di Salerno e Avellino, mentre la restante parte
versa in pessime condizioni. Dal punto di vista architettonico
l'edificio si sviluppa nel senso longitudinale lungo via Tasso
da cui è suddiviso blocchi: il primo connotato da un impianto
regolare formato da una serie di spazi che delimitano l'ampio
cortile interno; il secondo, al contrario, si presenta come una
composizione non regolare di spazi di notevole entità, sia
nello sviluppo planimetrico sia in quello volumetrico.
7. Monumenti

7.1 – La Fontana dei Pesci

La fontana dei Pesci è un monumento progettato da Luigi Vanvitelli e situato nella piazza
del Sedile di Largo Campo nel centro storico di Salerno. È detta anche fontana del Campo,
perché si trova davanti al Palazzo Genovese nel medioevale "Largo del Campo".
Essa presenta una vasca semicircolare posta su due gradini e una facciata trapezoidale
con quattro lesene sovrastate da un frontone e quattro vasi di marmo. Gli zampilli sono
cinque: uno proveniente da una conca marmorea su colonna e posta in una nicchia al
centro del frontone, due provenienti dai delfini posti sul bordo della vasca ed altri due dalle
maschere di Bacco posti tra le due coppie di lesene. La fontana si presenta con uno
zampillo centrale, due zampilli laterali con l'acqua che fuoriesce da due volti di Bacco e sui
bordi due delfini che "spruzzano" acqua.
Dopo il terremoto del 1980, dal
monumento sono stati asportati
quattro vasi in marmo dalla parte
superiore dell'opera, perché a
rischio di cadute e quindi poten-
zialmente pericolosi, e spostati
presso il museo diocesano del
Duomo di Salerno: dopo che i
quattro oggetti sono stati restau-
rati, sono tornati nella loro collo-
cazione originale. La fontana del
Campo viene considerata una
delle due migliori fontane carat-
teristiche dell'antica Salerno, as-
sieme alla fontana del Tullio che
si trova nei giardini comunali.
8. Bibliografia

LUIGI G.KALBY “Il quartiere “Le Formelle” o “Le Fornelle” e l’ampliamento


settecentesco nel centro storico salernitano”
estratto dalla “Rivista di studi salernitani”, N.6, luglio-dicembre 1970.

V. DE SIMONE “Identificazione della via che conduceva alla Porta di Elino” in


Rassegna Storica Salernitana, 17, 1992.

P. TROTTA “Salerno nella seconda metà del Cinquecento – Storia civile e


religiosa”

A. FINELLA “Storia urbanistica di Salerno nel Medioevo”, Bonsignori Editore

A. BRACA “Chiesa di santa Maria De Lama”, Passeggiate Salernitane

M.G. FELICI “Palazzi nobiliari a Salerno”

G. CATERINA “L'ambiente conventuale nella Salerno alta”

A.GAMBARDELLA “Il centro storico di Salerno. Aspetti e problemi”, Napoli 1968

N. ACOCELLA “Salerno medioevale e altri saggi”, a cura di A. Sparano, 1971

A. R. AMAROTTA “Salerno longobarda: topografia e strutture del potere”, 2004

9. Sitografia

V. DE SIMONE “Studi di urbanistica salernitana – la Città Medievale”


http://digidownload.libero.it/salernostoria/urbanistica.htm

“Santa Maria Della Lama”


http://digilander.libero.it/salernostoria/santamariadelama.htm

“San Pietro a Corte”


http://digilander.libero.it/salernostoria/sanpietroacorte.htm

“Santa Trofimena”
http://digilander.libero.it/salernostoria/santatrofimena.htm

La Città “Il percorso delle acque Dalla Fontana dei Pesci ai palazzi nobiliari”
http://ricerca.gelocal.it/lacittadisalerno/archivio/lacittadisalerno/2011/11/
18/24wza1811_A1.txt.html

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