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COSTITUZIONE E DEMOCRAZIA IN TURCHIA

ANDREA GRATTERI

SOMMARIO: Premessa. – 1. Il quadro costituzionale originario. – 2. Forma di governo, diritti, democrazia.


– 3. Il sistema politico. – 4. Le proteste di piazza Taksim: una prima valutazione delle conseguenze sul
sistema politico. – 5. La legge elettorale. – 6. Le riforme costituzionali. – 7. La questione curda: riforma
costituzionale e accordo di pace. – Conclusioni.

Premessa. - Nei dieci anni di Governo Erdoğan la Turchia ha at-


traversato trasformazioni profonde sul piano economico, sociale e an-
che politico. La Costituzione “militare” del 1982, pur ampiamente re-
visionata, non è adeguata ad affrontare i problemi irrisolti di una de-
mocrazia solo parzialmente consolidata: la questione curda, il rapporto
fra laicità dello Stato e sfera religiosa individuale, il carattere autorita-
rio degli apparati dello Stato, il pieno rispetto dei diritti civili.
In questo quadro le elezioni presidenziali del 2014 saranno un
punto di svolta, sia in caso di candidatura e successo di Erdoğan sia in
caso contrario, e subiranno inevitabilmente l’influenza degli importan-
ti accadimenti sociali degli ultimi mesi, paradigmaticamente riassumi-
bili sotto l’etichetta di manifestazioni di piazza Taksim, e dei rilevanti
processi politico-istituzionali in corso, rappresentati dal negoziato con
il PKK e dal percorso intrapreso dal Comitato di riconciliazione costi-
tuzionale per l’approvazione di una Costituzione “civile”.

1. – Il quadro costituzionale originario.- La storia dei documenti


costituzionali che si sono succeduti in Turchia nel corso del Novecen-
to è stata letta come una serie di opportunità mancate nella creazione
di istituzioni politiche fondate su un ampio consenso: in questo quadro
tutte le Costituzioni (del 1924, del 1961 e del 1982) hanno avuto una
debole legittimazione politica (Özbundun, Gençkaya 2009, 19).
L’attuale ordinamento costituzionale turco deriva dalla Carta co-
stituzionale del 1982 imposta dai militari in seguito al colpo di Stato
del 12 settembre 1980, nel solco dei principi del kemalismo.
La redazione del testo fu affidata a un’assemblea consultiva no-
minata dal Consiglio per la sicurezza nazionale, interamente composto
di militari, e il testo che ne scaturì fu ratificato il 7 novembre 1982
tramite un referendum con il 91,4 per cento dei voti, dopo che il no era
stato dichiarato «un atto di tradimento nei confronti della patria» (Bo-
zarslan 2006, 77). Il carattere plebiscitario della ratifica referendaria
fu accentuato dalla contestuale conferma del generale Evren, leader
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del colpo di Stato, alla Presidenza della Repubblica per sette anni in
virtù di una specifica norma transitoria annessa alla Costituzione.
La Costituzione del 1982 rinnega il generico spirito di apertura
verso la democrazia e i diritti civili che caratterizzava il precedente te-
sto costituzionale del 1962. L’impronta dei militari si risolve nel tenta-
tivo di instaurare un regime di democrazia controllata, dove i diritti di
partecipazione politica sono fortemente compressi: è fatto divieto di
iscriversi ai partiti per studenti, insegnanti e funzionari statali; i partiti
non possono avere legami con gruppi di interesse, è vietata l’apertura
di sezioni giovanili e femminili (Nocera 2011, 71). Inoltre, i partiti si
configurano come un elemento essenziale per il funzionamento dello
Stato e sono «l’unica, esclusiva sede di elaborazione delle “idee diret-
trici” dello Stato» che, nell’evoluzione delle istituzioni turche non so-
no mai mutate a partire dalla rivoluzione kemalista: identità laica, se-
colarizzazione, nazionalismo. Si giustifica così il controllo sui partiti
politici affidato alla Corte costituzionale e che, ai sensi dell’art. 68,
comma 4, della Costituzione, consiste nella verifica della compatibili-
tà degli statuti, dei programmi e delle attività dei partiti con i principi
di indipendenza dello Stato, di indivisibilità, di rispetto dei diritti, di
laicità e democraticità (Carducci, Bernardini d’Arnesano 2008, 102,
103).
I tratti prevalenti del disegno costituzionale originario sono quin-
di, da un lato, la rifondazione della democrazia turca nella prospettiva
della prevenzione di un ritorno delle polarizzazioni politiche, delle
contrapposizioni violente e delle situazioni di paralisi degli anni Set-
tanta, dall’altro, l’assegnazione del compito di guardiano del sistema
politico all’esercito, principalmente attraverso la Presidenza della Re-
pubblica e il Consiglio di sicurezza nazionale (Özbundun, Gençkaya
2009, 20, 21).
Il forte controllo sui partiti politici si è inverato in una sorta di
conventio ad excludendum diretta a preservare il carattere laico delle
istituzioni e l’omogeneità della nazione turca, e con essi il ruolo di ga-
rante dell’esercito, a discapito dei partiti politici di matrice islamica e
curda. La dissoluzione del Refah Partisi, partito islamico tradizionali-
sta, da parte della Corte costituzionale nel 1998 è il momento culmi-
nante del tentativo di proteggere, ad ogni costo, uno status quo desti-
nato, tuttavia, ad essere progressivamente modificato in seguito alla
affermazione elettorale del più moderno e moderato AKP (Adalet ve
Kalkınma Partisi, Partito della giustizia e dello sviluppo) nel 2002 e
tuttora al governo del Paese.
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2. – Forma di governo, diritti, democrazia.- La Costituzione del


1982 è stata revisionata con una frequenza crescente dopo il 2000 e
circa il sessanta per cento del suo contenuto è stato emendato. Il dise-
gno originario dei militari è ormai superato, anche se alcuni tratti in-
trinsecamente non-democratici permangono insieme alla sua scarsa
omogeneità dovuta a un patchwork di riforme sovrapposte (Ozertem,
Yegin 2012).
Le spinte per una riforma della Costituzione hanno seguito per-
corsi differenziati, di origine interna ed esterna al Paese. All’interno,
possono essere individuati un fattore economico-sociale, riconducibile
alle grandi trasformazioni che la società turca sta attraversando in un
periodo di forte crescita e che si sono accentuate con il conso-
lidamento dell’AKP al governo, e un fattore legato alla consapevo-
lezza della necessità di risolvere alcuni problemi di carattere cronico.
All’esterno, il principale impulso è rappresentato dall’Unione Eu-
ropea, interlocutore costante della Turchia, che ha fortemente inciso
su alcune delle riforme degli anni 2000.
L’assetto attuale della forma di governo descritta dalla Costitu-
zione turca è quello di una forma di governo parlamentare dualistica,
fortemente influenzata dalla figura del Presidente della Repubblica. Il
Governo è responsabile di fronte al Parlamento monocamerale (Gran-
de assemblea nazionale); il Presidente della Repubblica nomina il
Primo ministro e su indicazione di questi i ministri che, collegialmen-
te, si presentano in Parlamento per ottenere, a maggioranza semplice,
la fiducia entro una settimana dalla nomina. L’art. 110 Cost. prescrive
un procedimento altamente razionalizzato in proposito. Dopo la pre-
sentazione del Governo e del suo programma è necessario attendere
due giorni per avviare il dibattito parlamentare e il voto di fiducia si
svolge il giorno successivo alla conclusione del dibattito.
Dalla Costituzione emerge un intento complessivamente favore-
vole alla promozione del ruolo centrale del Governo e alla sua stabilità
come testimoniano, in particolare, le norme relative alla questione di
fiducia (art. 111) e alla mozione di sfiducia (art. 99). Anche in questi
casi la procedura parlamentare ricorre a un’elevata razionalizzazione e
la stabilità del Governo è salvaguardata dalla maggioranza assoluta
dei membri del Parlamento richiesta per la revoca della fiducia. È em-
blematica, in proposito, la procedura prevista in caso di votazioni sulla
sfiducia, quando sono conteggiati i soli voti contrari al Governo, in
70 QUADERNI “LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE”

modo da non palesare l’eventuale assenza di una maggioranza parla-


mentare politica.
La mancata formazione di un Governo entro il termine di 45
giorni dall’apertura della crisi determina lo scioglimento da parte del
Presidente della Repubblica, che agisce in uno schema procedimentale
pressoché automatico pur detenendo un potere discrezionale di scio-
glimento ai sensi dell’art. 116 Cost. Nella prassi, lo scioglimento è sta-
to decisamente influenzato dalla forte consonanza politica fra Capo
dello Stato e Primo ministro ed è stato utilizzato nei casi di difficoltà
parlamentare del Governo come strumento di verifica del consenso
elettorale (Carducci, Bernardini d’Arnesano 2008, 72).
Pur in presenza di un dato costituzionale formale piuttosto chiaro,
una definizione univoca della forma di governo turca non è riscon-
trabile in dottrina. Il carattere dualistico della forma di governo parla-
mentare ha suggerito a molti commentatori l’accostamento alla forma
di governo semipresidenziale, anche se molti altri sottolineano – cor-
rettamente – il carattere essenziale del rapporto fiduciario fra Governo
e Parlamento, accompagnato dalla responsabilità dei ministri nei con-
fronti del Primo ministro e dalla controfirma ministeriale degli atti
presidenziali (Carducci, Bernardini d’Arnesano 2008, 72) che, al li-
mite, conduce a una forma di governo ibrida a metà strada fra il gover-
no parlamentare e il semipresidenzialismo (Özbundun 2011, 41).
La verità probabilmente risiede nell’analisi delle prassi costitu-
zionali ed è subordinata alla valutazione della personalità di chi rico-
pre la carica di Presidente della Repubblica e di Primo ministro oltre
che della loro capacità di leadership sul partito di maggioranza e della
stabilità del rapporto fra Parlamento e Governo (Özbundun, Gençkaya
2009, 21). Paradossalmente, gli anni della Presidenza Gül, successivi
alla riforma costituzionale del 2007 che ha introdotto l’elezione diretta
del Presidente della Repubblica, hanno spostato il baricentro della
forma di governo verso il Primo ministro e sul suo forte controllo del-
la maggioranza parlamentare. Più correttamente, però, si potrebbe ar-
gomentare che in realtà il baricentro della forma di governo si è spo-
stato verso la leadership di Erdoğan e che potrebbe seguirlo qualora
egli fosse eletto alla Presidenza della Repubblica nelle prime elezioni
presidenziali ad elezione diretta del 2014. Erdoğan si è pubblicamente
espresso in favore di una riforma in senso semipresidenzialista che, in
parte, potrebbe essere anticipata dalla sua elezione alla Presidenza del-
la Repubblica: le nuove dinamiche legate a una leadership politica
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forte potrebbero, nella sostanza, consentire una progressiva trasforma-


zione della forma di governo verso il semipresidenzialismo.
Nell’insieme il Presidente della Repubblica ha, ai sensi della Co-
stituzione, alcuni poteri particolarmente significativi, soprattutto se
esercitati in un quadro di elevata conflittualità politica con la maggio-
ranza di governo: ha un potere di veto non assoluto sulle leggi appro-
vate dal Parlamento (art. 104); può indire un referendum costituziona-
le sulle proposte di revisione costituzionale approvate dal Parlamento
(art. 175); può sollevare questioni di costituzionalità in via diretta (art.
150); può, qualora lo ritenga necessario presiedere il Consiglio dei
ministri (art. 104).
A proposito della forma di governo turca è stato, giustamente, os-
servato che «il dato di maggior condizionamento della effettività della
dinamica istituzionale risiede nel meccanismo elettorale estremamente
selettivo dei partiti. La drastica semplificazione parlamentare non gio-
va alla parlamentarizzazione del sistema» (Carducci, Bernardini
d’Arnesano 2008, 72), come se fossimo di fronte a un retaggio del
kemalismo, originariamente monopartitico e faticosamente apertosi al
pluralismo politico.
Sul piano del rispetto dei valori democratici, la Turchia, secondo
Freedom House, è classificata come partly free: una democrazia elet-
torale dove i principali problemi risiedono nella tutela dei diritti civili
e politici. In sostanza, non è la forma di governo ad ostacolare il pieno
accreditamento della Turchia nel consesso delle nazioni democratiche
ma la concreta tutela dei diritti, peraltro a volte formalmente sanciti
dalla Costituzione. Gli abusi perpetrati dalle forze di polizia nel mag-
gio-giugno del 2013 nel fronteggiare le proteste esplose a Piazza Tak-
sim non fanno che rafforzare questo giudizio (Hulsman 2013, 39).
Schematicamente (Freedom House, 2013) gli elementi di maggior
criticità possono essere individuati: nella libertà di espressione che è
garantita a livello costituzionale ma che incontra significativi limiti le-
gislativi e di fatto dovuti a forme di auto-censura promosse dai prin-
cipali gruppi editoriali fortemente influenzati dal potere politico; nella
libertà religiosa: la tradizione secolarista dello Stato si scontra con le
garanzie costituzionali a discapito, innanzitutto, del culto mussulmano
che è peraltro maggioritario; i diritti sindacali sono formalmente ri-
conosciuti ma spesso l’attività dei sindacati è limitata nella pratica;
l’indipendenza del potere giudiziario, garantita dalla Costituzione, è
minata dall’influenza governativa che si manifesta attraverso nomine,
promozioni e finanziamenti; la tortura continua ad essere un problema
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nonostante l’adozione di misure legislative mirate (sono numerosi i


casi di abuso segnalati e le condizioni detentive nelle carceri continua-
no ad essere spesso estremamente rigide); la questione curda continua
ad essere uno dei nervi scoperti per le aspirazioni democratiche della
Turchia: nonostante il tentativo di giungere a una pacificazione, gli
scontri fra l’esercito e il PKK (Partiya Karkerên Kurdistan, Partito dei
lavoratori del Kurdistan) si inaspriscono con regolarità periodica e le
norme antiterrorismo sono applicate con rigidità: sono oltre 7000 i ca-
si di detenzione provvisoria nel 2012; l’omosessualità non è vietata,
tuttavia le discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale e le
violenze da parte delle forze di polizia sono frequenti; l’uso politico
della giustizia è considerato la più grave minaccia alla democraticità
dell’ordinamento ed è testimoniato dall’elevatissimo numero di oppo-
sitori politici detenuti o sottoposti a procedimento penale: giornalisti,
intellettuali, oppositori politici, militari.
È stato osservato che la Turchia è un esempio perfetto di demo-
crazia incompiuta: tutti gli elementi di un ordinamento democratico
sono presenti ma molti non raggiungono un livello soddisfacente per
poter definire la Turchia una democrazia compiuta (Turanb 2012).
Negli scorsi anni il negoziato con l’Unione Europea è stato di im-
pulso per l’approvazione di numerose riforme, anche costituzionali,
dirette a una maggiore democratizzazione del Paese (Özbundun,
Gençkaya 2009, 30). Non si tratta, però, di una progressione costante:
nel citato rapporto per il 2013, Freedom House ha riscontrato un peg-
gioramento negli standard di tutela dei diritti civili e politici rispetto
all’anno precedente e anche l’Unione Europea si era già espressa in
toni critici. Senza dimenticare, in ogni caso, le numerose e importanti
riforme legislative recentemente adottate, come testimonia anche il
Progress Report del 2012 che cita, in particolare, le leggi sulla prote-
zione della famiglia e sulla prevenzione della violenza contro le don-
ne, sulla libertà condizionale, sulla contrattazione collettiva nel pub-
blico impiego, sull’istituzione dell’Ombudsman: «tuttavia, in nessuno
di questi casi i progressi fatti soddisfano appieno il necessario alli-
neamento con l’acquis o con gli standard europei» (Progress Report
2012, 9).
Come sottolineato nel rapporto di Freedom House la tortura e i
trattamenti degradanti continuano a essere una delle questioni su cui si
focalizza l’attenzione degli osservatori internazionali: la ratifica, av-
venuta nel 2011, del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Na-
zioni Unite contro la tortura non è tuttavia accompagnata dalla previ-
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sta istituzione di un meccanismo nazionale di prevenzione, il che


spiega le continue violazioni dei diritti degli individui che si riscontra-
no in concreto, come è ricordato anche nelle osservazioni conclusive
dello Human Rights Committee delle Nazioni Unite secondo cui la
Turchia «dovrebbe eradicare tutte le forme di tortura e di trattamenti
inumani o degradanti da parte delle forze dell’ordine, anche attraverso
indagini tempestive e indipendenti, la persecuzione penale dei respon-
sabili e l’adozione di misure di protezione e risarcimento effettivo per
le vittime» (Human Rights Committee 2012, par. 14). Alcuni casi di
tortura hanno registrato sviluppi positivi con la condanna degli agenti
di polizia responsabili; tuttavia, anche il recentissimo Progress Report
del 2013 dell’Unione Europea continua a manifestare preoccupazione
per un problema che, nonostante le iniziative del programma “tolle-
ranza zero per la tortura” (con l’installazione di sistemi registrazione
audio-video nei dipartimenti anti-terrorismo della polizia), fatica a
trovare una soluzione, anche in virtù delle miti sentenze di condanna,
la cui esecuzione è spesso sospesa, inflitte ai responsabili (Progress
Report 2013, 50).
Il più forte limite alla libertà di espressione è stato fino a tempi
recenti rappresentato dalla combinazione della legge anti-terrorismo
(legge n. 3713 del 1991) con il codice penale: la manifestazione di un
pensiero riconducibile indirettamente a un’organizzazione terroristica
poteva essere alla base di una condanna per appartenenza alla mede-
sima organizzazione. In linea con le richieste dell’Unione Europea,
tuttavia, la legge anti-terrorismo è stata modificata nell’aprile del 2013
e solo il diretto incitamento alla violenza è ora sanzionato penalmente.
Un altro significativo progresso è stato registrato con la rimozione di
migliaia di titoli dalla lista delle pubblicazioni vietate nel gennaio del
2012. Tuttavia, in molti ambiti permangono restrizioni significative
alla libertà di espressione: la manifestazione di sentimenti antina-
zionali e antireligiosi è perseguita penalmente; numerosi siti internet
sono censurati; durante le proteste di piazza Taksim molti manifestanti
sono stati temporaneamente fermati per aver diffuso il proprio pensie-
ro attraverso i social media. Sempre in relazione ai giorni della pro-
testa si segnala anche l’intervento del Consiglio superiore della radio e
della televisione che ha sanzionato economicamente le emittenti che
trasmettevano immagini e notizie delle manifestazioni di piazza (Pro-
gress Report 2013, 51, 52).
Sul piano della legislazione anti-discriminazione il Progress Re-
port del 2012 registra alcuni miglioramenti con riferimento ai diritti
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delle donne e alla parità di genere, grazie alla approvazione della leg-
ge sulla protezione della famiglia e per la prevenzione della violenza
contro le donne (legge n. 6248 del 2012), in particolare grazie a effi-
caci misure per gli interventi d’urgenza. La legge, tuttavia, richiederà
un notevole sforzo per essere concretamente attuata in campo politico,
economico e sociale.
Manca invece una normativa legislativa finalizzata a proteggere
dalle discriminazioni in generale e, in particolare, sulla base dell’ap-
partenenza di genere e dell’orientamento sessuale. Sul punto la legi-
slazione turca non appare adeguata agli standard dell’acquis dell’U-
nione Europea.
Le prospettive di una maggiore integrazione della Turchia nell’U-
nione europea sono oggi difficili da valutare: da un lato, il Governo
turco sostiene che l’obiettivo è l’adesione all’UE ma le critiche del
Progress Report del 2012 sono state ostentatamente cestinate;
dall’altro, lo scetticismo europeo nei confronti di un’adesione turca
sembra essersi consolidato (Göksel 2012; si rinvia in proposito alla re-
lazione di A. Rizzo in questo volume).
Il superamento degli ostacoli che impediscono oggi un effettivo
consolidamento democratico in Turchia sembrano passare attraverso
due questioni centrali: la stabilizzazione di un sistema politico capace
di garantire l’alternanza e il completamento delle riforme costituzio-
nali.
Entrambe le questioni non sembrano di facile soluzione e sono il
logico presupposto delle riforme legislative necessarie e della loro
concreta attuazione.
La mancanza di una valida alternativa politica all’AKP capace di
promuovere l’alternanza al governo è da alcuni considerata il vero tal-
lone d’Achille della Turchia (Turanb 2012) e il lungo percorso di ri-
forma costituzionale intrapreso negli anni del governo di Erdoğan po-
trebbe essere giunto a un punto di stallo.
Il Progress Report del 2013 pubblicato il 16 ottobre del 2013 è
fortemente influenzato dalle proteste di piazza Taksim e dalla loro re-
pressione e pone al centro della sua analisi proprio il carattere di fondo
del sistema democratico turco, che è giudicato carente sotto il profilo
della partecipazione e del superamento di un’eccessiva polarizzazione.
Al punto che le molteplici riforme legislative presentate rischiano di
essere vanificate per mancanza di condivisione fra le forze politiche,
da un lato, e fra i decisori politici e gli attori sociali, dall’altro. Secon-
do gli osservatori dell’Unione Europea, le relazioni fra il Governo e il
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Parlamento e una società civile, giudicata attiva e vibrante, dovrebbe-


ro essere migliorate «attraverso meccanismi di consultazione politica
sistematica, permanente e strutturata all’interno del procedimento le-
gislativo e nell’iter degli atti non legislativi a tutti i livelli dell’am-
ministrazione» (Progress Report 2013, 11).

3. – Il sistema politico.- Il sistema politico turco si caratterizza,


dal 2002, per il predominio del partito islamico AKP qualificabile, se-
condo i canoni europei, come conservatore e del suo leader Recep
Tayyip Erdoğan (Hale, Özbundun 2010, 153 ss.).
L’ampio decennio del governo dell’AKP ha profondamente tra-
sformato le dinamiche politiche interne e, in particolare dopo la crisi
istituzionale del 2007, ha reso stabile un sostanziale ridimensionamen-
to della tradizionale ingerenza politica dell’esercito.
Il successo elettorale dell’AKP del 2002 ha le sue radici
nell’azione del Refah Partisi che negli anni Novanta aveva rappresen-
tato un elemento di forte rottura della tradizione kemalista, nel tentati-
vo di valorizzare l’eredità culturale ottomana e l’identità islamica del-
la nazione in forte contrapposizione con la cultura occidentale, ameri-
cana ed europea (Fracchiolla 2012, 57).
Un significativo elemento di forza del Refah Partisi era la sua pe-
netrazione capillare nella società turca attraverso una fitta rete di le-
gami associazionistici e assistenziali: in alcuni settori socialmente
emarginati il partito era stato capace di diventare il principale interlo-
cutore dei cittadini per la distribuzione di beni di prima necessità o per
l’avviamento al lavoro.
In questo contesto maturò la vittoria elettorale del 1995, quando il
Refah Partisi si affermò come partito di maggioranza relativa e il suo
leader Necmettin Erbakan formò il primo governo di ispirazione isla-
mica nella storia della Repubblica turca. Le posizioni estremiste di
Erbakan furono però la causa della rapida conclusione di quella che,
agli occhi dei difensori del carattere laico dello Stato, sembrava una
sfortunata parentesi (Fracchiolla 2012, 58, 59).
Il Governo si dimise in seguito a un «colpo di Stato postmoder-
no»: l’elenco di decisioni ultimative sottoposte al Governo dal Consi-
glio di sicurezza nazionale il 28 febbraio 1997 con cui si chiedeva, fra
l’altro, la chiusura degli ordini religiosi e delle scuole coraniche e il
controllo dei mezzi di comunicazione ostili all’esercito (Nocera 2011,
77).
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Alle dimissioni di Erbakan seguì, nel 1998, la messa al bando del


Refah Partisi da parte della Corte costituzionale con una decisione
senza precedenti: un partito, capace di ottenere la maggioranza relati-
va dei suffragi poco più di due anni prima, è bandito dal sistema costi-
tuzionale in nome della difesa del principio della laicità dello Stato e il
suo leader è interdetto dalla vita politica dopo essere stato primo mini-
stro per dodici mesi. È rilevante ricordare che lo scioglimento del Re-
fah Partisi fu oggetto di un ricorso davanti alla Corte europea dei di-
ritti dell’uomo che, con una nota decisione, avallò l’operato della Cor-
te costituzionale turca.
In questo contesto si inseriscono la fondazione e la vittoria eletto-
rale dell’AKP nato per iniziativa di alcuni fra i più giovani esponenti
del Refah Partisi che, prese le distanze dal disciolto partito islamico,
hanno saputo creare un partito capace di affermarsi come catch-all
party (Marcou 2012, 65).
Le elezioni del novembre 2002 rappresentano il vero punto di
svolta della politica turca. Se il successo dell’AKP non era inatteso,
altrettanto non si può dire a proposito delle dimensioni della sua af-
fermazione, dovuta in primo luogo alla sonora sconfitta dei partiti del-
la coalizione di governo uscente, tutti esclusi dalla rappresentanza par-
lamentare perché incapaci di superare la soglia di sbarramento del die-
ci per cento.
Nel 2002, gli unici partiti sopra la soglia di sbarramento sono
quindi l’AKP e il partito kemalista CHP (Cumhuriyet Halk Partisi,
Partito popolare repubblicano). L’AKP raggiunge il 34,3 per cento e il
CHP il 19,4 per cento dei voti. L’effetto selettivo della soglia di sbar-
ramento è altamente distorsivo: l’AKP ottiene 363 seggi e sfiora la
maggioranza dei due terzi del Parlamento, il CHP ottiene 178 seggi e
altri 9 seggi sono assegnati a candidati indipendenti. Il tasso di dispro-
porzionalità è impressionante e, ancor di più, colpisce la privazione di
qualsivoglia rappresentanza parlamentare per il 46 per cento degli
elettori che si sono espressi in favore dei partiti sotto soglia.
Dal punto di vista strettamente politico la vittoria dell’AKP è sta-
ta spiegata con il fallimento del sistema politico precedente (Frac-
chiolla 2012, 57) in un momento di crisi economica significativa in
cui una nuova classe dirigente ha saputo presentarsi con credibilità
nonostante il tradizionale ostracismo verso i partiti di ispirazione
islamica (Marcou 2012, 63).
Le dinamiche del sistema politico turco possono essere lette su
due piani distinti: uno classico di dialettica fra maggioranza e op-
COSTITUZIONE E DEMOCRAZIA IN TURCHIA 77

posizione e uno, peculiare dell’esperienza turca, di contrapposizione


fra potere politico e potere militare.
Le elezioni del 2007 e del 2011 hanno confermato, attraverso
successi crescenti in termini di consenso, la maggioranza parlamentare
dell’AKP a fronte di un consolidamento, pure crescente, del CHP e
del reingresso in Parlamento, come terza forza, del partito nazionalista
di destra MHP (Milliyetçi Hareket Partisi, Partito del movimento na-
zionalista). Parallelamente si è fisiologicamente realizzata la pres-
soché totale erosione dei consensi dei partiti sotto soglia. I voti dei
raggruppamenti esclusi dalla rappresentanza parlamentare che nel
2002 erano pari al 46 per cento dei voti espressi, sono scesi al quindici
per cento circa nel 2007 e a meno del cinque per cento nel 2011, gra-
zie anche al successo dei candidati indipendenti.
Le elezioni del 2007 sono decisive non solo per il consolidamento
del consenso politico in favore dell’AKP ma anche per la ridefinizione
dei rapporti di forza fra potere politico e potere militare o, in una ver-
sione meno semplicistica, fra la nuova classe politica di ispirazione
islamica e il consolidato blocco di potere (politico, istituzionale, giu-
diziario) di origine kemalista ben rappresentato dai vertici militari.
L’antefatto politicamente rilevante delle elezioni anticipate (di
qualche mese) del 2007 è l’elezione del Presidente della Repubblica
da parte del Parlamento a partire dal mese di aprile.
Il testo allora vigente dell’articolo 102 della Costituzione preve-
deva che il Presidente della Repubblica fosse eletto a maggioranza dei
2/3 nei primi due scrutini, e a maggioranza assoluta nel terzo e nel
quarto, con eventuale ballottaggio prima di procedere allo scioglimen-
to automatico in caso di mancata elezione.
Nel 2007, l’annuncio della candidatura di uno dei leader
dell’AKP, Abdullah Gül, alla Presidenza della Repubblica è motivo di
una forte opposizione da parte dei difensori del carattere laico della
Repubblica turca, tradizionalmente incarnato dalla Presidenza della
Repubblica, che si manifesta anche attraverso numerose proteste di
piazza.
L’AKP, incapace per pochi voti di raggiungere il quorum dei due
terzi, è intenzionato a procedere all’elezione di Gül a maggioranza as-
soluta al terzo scrutinio. Tuttavia, mentre l’esercito si erge a paladino
della laicità dello Stato affermando di essere pronto alla difesa delle
istituzioni attraverso il cd. comunicato di mezzanotte, il primo scru-
tinio è annullato dalla Corte costituzionale su ricorso del CHP.
78 QUADERNI “LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE”

L’annullamento del primo scrutinio da parte della Corte costitu-


zionale è motivato, discutibilmente, sul presupposto che poiché il Pre-
sidente, nei primi due scrutini, deve essere eletto a maggioranza dei
due terzi, in assenza di un numero legale corrispondente almeno ai due
terzi dei membri del Parlamento l’elezione deve essere considerata
nulla. In sostanza, la Corte costituzionale avalla un’interpretazione di-
retta a consentire la formazione di una minoranza di blocco appena
superiore a un terzo dei parlamentari. Infatti, se i primi due scrutini
non possono svolgersi regolarmente in caso di assenza ostruzionistica
dell’opposizione, non è nemmeno possibile procedere con l’abbas-
samento del quorum per l’elezione al terzo e al quarto scrutinio. Si
elude così manifestamente la volontà insita nella norma costituzionale
di non consentire uno stallo politico al momento dell’elezione del Pre-
sidente, oltretutto in contraddizione con la prassi affermatasi in prece-
denza (Carducci, Bernardini d’Arnesano 2008, 84) e con la lettera
dell’art. 96 della Costituzione che fissa il numero legale per le riunioni
del Parlamento in un terzo dei suoi componenti, salvo diversa disposi-
zione costituzionale (Özbundun 2011, 29).
La reazione dell’AKP è, innanzitutto, diretta all’esercito e la con-
trapposizione è frontale: al comunicato di mezzanotte il Governo ri-
sponde duramente ribadendo l’estraneità dell’esercito alle vicende isti-
tuzionali legate all’elezione del Presidente della Repubblica. In Tur-
chia non era mai accaduto che il Governo parlasse così ai militari, get-
tando le basi per la definitiva estromissione dell’esercito dalle dinami-
che del sistema politico turco simbolicamente riconducibile alla man-
cata ratifica di alcune nomine proposte dal Consiglio militare supremo
nel 2010 e, se necessario, testimoniata dai numerosi processi penali
intentati contro alti ufficiali (Marcou 2012, 70, 75; Turan 2013).
Le nuove elezioni, indette per iniziativa del partito di maggioran-
za, sono nuovamente vinte dall’AKP e, conseguentemente, Gül è elet-
to Presidente della Repubblica, il primo proveniente da un ambiente
politico di ispirazione islamica, a maggioranza assoluta al terzo scruti-
nio di votazione.
Inoltre, prima dello scioglimento il Parlamento approva una legge
di revisione costituzionale con cui si modifica l’art. 102 per introdurre
l’elezione popolare diretta del Presidente della Repubblica.
Nelle elezioni del luglio 2007 l’AKP aumenta significativamente
i suoi consensi e arriva al 46,6 per cento dei voti, pur registrando una
lieve flessione in termini di seggi a causa dell’accresciuta competitivi-
tà dei partiti sopra la soglia di sbarramento.
COSTITUZIONE E DEMOCRAZIA IN TURCHIA 79

Le ragioni della nuova vittoria elettorale di Erdoğan possono es-


sere rintracciate nell’aver saputo dimostrare la sua capacità politica
nelle dinamiche del governo parlamentare e nel sapersi presentare co-
me partito di governo. Inoltre su un piano meno tattico, l’AKP è con-
siderato in grado, più degli altri competitori, di saper affrontare le sfi-
de, in primo luogo economiche, della Turchia contemporanea e di sa-
per dialogare con la società turca. Per questo la vittoria dell’AKP non
deve essere letta come la vittoria dell’islamismo sul secolarismo ma è,
soprattutto, la vittoria del partito che ha saputo meglio interpretare le
trasformazioni della società turca dell’ultimo decennio. Non a caso
l’AKP, da un lato, riesce a confermare il suo peso nelle aree rurali più
tradizionali e, dall’altro, si afferma anche come forza prevalente fra le
classi lavoratrici di recente urbanizzazione desiderose di migliorare il
nuovo benessere appena conquistato (Marcou 2012, 70-71).
Dopo la seconda, eclatante, vittoria elettorale si è aperto il proces-
so costituzionale, avviato dal Procuratore generale dello Stato, per lo
scioglimento dell’AKP. Al centro delle contestazioni le ripetute di-
chiarazioni dei leader dell’AKP in favore dell’abrogazione del divieto
di indossare il velo femminile nelle università, considerato lesivo del
principio di laicità dello Stato (poi sfociato anche in un tentativo di ri-
forma costituzionale). Con la sentenza del 30 luglio 2008 la Corte co-
stituzionale, a stretta maggioranza, decide di non ricorrere alla più
grave sanzione dello scioglimento in quanto non è stato acclarato che
l’obiettivo del partito, al governo da sei anni, sia l’annientamento della
struttura secolare dello Stato o la lesione dei principi fondamentali
dell’ordine costituzionale. Secondo la Corte le azioni contestate non
raggiungono l’intensità necessaria per giustificarne lo scioglimento e,
pertanto, la sanzione adeguata è identificata nella restituzione del 50
per cento del finanziamento pubblico annuale. La decisione è, in so-
stanza, un compromesso con cui la Corte costituzionale tenta di sot-
trarsi al dibattito politico (Nocera 2011, 108).
La consultazione elettorale del 2011 vede l’AKP sfiorare la mag-
gioranza assoluta dei consensi, con il 49,8 per cento dei voti, ed è pre-
ceduto da un’altra significativa affermazione elettorale e politica nel
referendum costituzionale del 2010, quando la revisione costituzionale
promossa dall’AKP è capace di attirare consensi anche da parte di
elettori ideologicamente distanti dall’AKP ma desiderosi di rimarcare
una presa di distanza dal testo costituzionale derivato dal colpo di Sta-
to del 1980.
80 QUADERNI “LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE”

Lo scontro con il blocco di potere di derivazione kemalista rap-


presentato, innanzitutto, dall’esercito sembra, definitivamente, risolto
in favore della supremazia della politica, anche di ispirazione islami-
ca. A partire dal 2007 il ruolo politico dell’esercito ha registrato un
continuo declino agevolato dal venir meno della sua funzione anti-
islamica, anticurda e anticomunista (Kuru 2012). Tuttavia, il peso del-
l’esercito continua ad essere anomalo rispetto al normale svolgimento
della vita democratica sotto più profili: la presenza di una giurisdizio-
ne militare parallela a quella ordinaria incapace di garantire un ade-
guato standard di indipendenza e imparzialità; l’insufficiente controllo
democratico (e parlamentare) sul bilancio e sulle forniture di armi; il
controllo capillare e pressante delle guardie di villaggio che inasprisce
le tensioni con la popolazione curda a causa delle frequenti violenze e
violazioni dei diritti umani; il servizio di leva obbligatorio accompa-
gnato a una sistematica violazione dei diritti degli obiettori di coscien-
za (Berksoy 2013, 11).
In ogni caso, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare,
l’AKP e l’esercito sono stati in grado di sviluppare una relazione equi-
librata che si avvicina al modello liberaldemocratico dei rapporti fra
potere politico e potere militare in cui è il potere militare a garantire il
predominio, anche in ultima istanza, del potere politico senza che
l’esercito sia sempre visto come la panacea per tutti i guasti di un si-
stema democratico imperfetto (Burak 2011, 164).
Inoltre, nel nuovo assetto dei poteri prevalenti in Turchia, il Con-
siglio superiore dell’educazione è oggi dominato da accademici vicini
alle posizioni del Governo, così come il potere giudiziario ha iniziato
a prendere atto dei cambiamenti sociali e politici (Turana 2012). La
condizione necessaria a che ciò potesse realizzarsi è stata la rinuncia
ai toni e ai temi più esasperatamente estremisti che ha condotto l’AKP
a presentarsi in termini simili a quelli dei partiti cristiano democratici
dell’Occidente (Hale, Özbundun 2010, 153-154) e che gli ha consenti-
to di essere ammesso come osservatore nel Partito popolare europeo a
partire dal 2005.
Il 30 aprile 2012 si è svolto il IV congresso dell’AKP che ha con-
fermato la leadership di Erdoğan nel partito e nello scenario politico
turco nel suo insieme. Tuttavia, è stato messo in luce che il congresso
si è risolto in uno strumento per riaffermare il ruolo di potere di Er-
doğan e dei suoi sostenitori senza che vi sia stato un effettivo confron-
to sul programma e sui progetti per il futuro.
COSTITUZIONE E DEMOCRAZIA IN TURCHIA 81

Questa valutazione avvalora la tesi di molti osservatori secondo


cui Erdoğan è l’unico collante di un partito formato da gruppi sociali
molto eterogenei che potrebbe non avere la forza di sopravvivere alla
sua leadership (Kardaş 2012). In proposito le principali variabili sono
l’eventuale elezione di Erdoğan alla Presidenza della Repubblica nel
2014 e la possibile svolta semipresidenzialista che ne potrebbe deriva-
re, in virtù di una riforma costituzionale o di un semplice riassetto del-
la forma di governo a Costituzione invariata. Anche se la corrosione
dell’immagine di leader di successo di Erdoğan causata dalle manife-
stazioni di piazza Taksim e, soprattutto, dalla loro brutale repressione
potrebbe incidere fortemente sulle dinamiche politiche delle elezioni
presidenziali.
Contemporaneamente all’ascesa del AKP si è confermato il ruolo
del CHP come unico solido partito di opposizione. Tuttavia, il consen-
so di cui gode il Partito repubblicano del popolo di derivazione kema-
lista non gli consente di accreditarsi come forza di governo autorevole
ed alternativa all’AKP. Molte delle sue speranze sono riposte nelle
capacità di Kemal Kılıçdaroğlu, che ne è il leader dal 2010, mentre il
suo più grosso limite consiste nell’incapacità di estendere i consensi
alle masse popolari rimanendo invece il punto di riferimento delle éli-
tes e della classe media, da sempre compresso fra la tradizione kema-
lista di stampo securitario e l’ambizione di trasformarsi in un partito
socialdemocratico europeo (Marcou 2012, 76).
L’assenza di una concreta alternativa di governo all’AKP è, in-
dubbiamente, uno dei punti di attuale debolezza del sistema demo-
cratico turco.
La stabilizzazione politica portata dal lungo periodo di governo
dell’AKP di Erdoğan non può che essere valutata positivamente in un
Paese che ha cronicamente sofferto della mancanza di una forte lea-
dership democratica e della presenza di cleavages politico-religiosi
profondi. Oggi accentuati da un clima di scontro imperniato proprio
sulla figura del primo ministro. Tuttavia, nel momento in cui il ciclo
dei governi Erdoğan sembra avviarsi verso una fine, forse solo appa-
rente se le ambizioni presidenzialiste del leader turco saranno soddi-
sfatte, non ci si può esimere dal sottolineare che l’atteggiamento “pa-
cificatore” di Erdoğan alla vigilia delle elezioni del 2011 è ora venuto
meno. Non è più il tempo dei discorsi del primo ministro di tutti e del
superamento della polarizzazione fra laici-modernisti e religiosi-
tradizionalisti. Ora è il tempo dell’idealizzazione di un passato in cui
in nome della laicità dello stato i valori religiosi sono stati a lungo op-
82 QUADERNI “LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE”

pressi, per essere poi salvati dall’avvento dell’AKP. Poco conta che
l’elettorato non sia propenso a seguire questa logica, in ogni caso la
polarizzazione fra laici e religiosi continua a alimentare le profonde
fratture del sistema politico turco (Turan 2013).

4. – Le proteste di piazza Taksim: una prima valutazione delle


conseguenze sul sistema politico.- L’interpretazione dell’ondata di
proteste che hanno seguito l’occupazione del parco Gezi fra il 30 e il
31 maggio 2013 è un compito per nulla agevole e suscettibile di facili
smentite. Le grandi manifestazioni di piazza che hanno coinvolto non
solo Istanbul ma anche altre parti della Turchia hanno, indubbiamente,
fatto calare una forte incertezza sullo scenario politico turco che, sino
a pochi giorni prima, sembrava avviato a una scontata vittoria di Er-
doğan alle prime elezioni presidenziali dirette del 2014.
Su un punto gli osservatori sembrano essere d’accordo e, con il
passare dei mesi, l’analisi appare corretta: piazza Taksim non è piazza
Tahrir. Ovvero sarebbe improprio pensare a un’estensione della pri-
mavera araba a cavallo del Bosforo. Per una serie di ragioni: le istitu-
zioni democratiche turche sono molto più solide delle fragili strutture
politiche dei Paesi arabi; il ruolo dell’esercito (che pure resta un’istitu-
zione influente) è ormai rientrato nella normalità di un Paese demo-
cratico; la composizione sociale dei gruppi di manifestanti è molto e-
terogenea e nulla fa pensare a un comune denominatore rivoluziona-
rio.
Sull’Economist è stato scritto, in termini chiari, che la protesta è
legata al risentimento di coloro che non hanno votato AKP in un con-
testo molto eterogeneo: giovani e giovanissimi, vecchi laici, religiosi,
gay, aleviti, armeni, anarchici e atei legati dalla convinzione che Er-
doğan sia sempre più autocratico e voglia imporre una forma di con-
servatorismo religioso: tuttavia la piazza non manifesta per la laicità
ma per il pluralismo contro l’autocrazia (Economistb 2013).
Da analisi più approfondite emerge che i manifestanti possono es-
sere suddivisi in tre gruppi: giovani urbanizzati e professionisti; grup-
pi di estrema sinistra; simpatizzanti del CHP (nazionalisti inclusi) nel
quadro di una Turchia che si avvia a non essere più solo una democra-
zia elettorale e dove è quindi necessario capire meglio le domande so-
ciali, rispettare il pluralismo e evitare di dar l’impressione di imporre
scelte ideologiche o di vita agli individui (Kardaş 2013).
È stata anche sottolineata la scarsa ideologicizzazione delle mani-
festazioni: le bandiere di partito sono assenti, non è una protesta del
COSTITUZIONE E DEMOCRAZIA IN TURCHIA 83

partito kemalista. È una questione sociale: si protesta contro l’intru-


sione nella vita individuale quotidiana. Paradossalmente la sollevazio-
ne di piazza Taksim è un prodotto del benessere portato dal governo
dell’AKP: i più giovani sono vissuti solo nell’era AKP e in questi anni
si è molto ampliata la platea della classe media che ora invoca i suoi
diritti individuali e vorrebbe vedere l’affermazione di un nuovo ordine
politico adeguato alla contemporaneità (Bacik 2013); e, invece, si tro-
va a fare i conti con misure invasive della propria sfera individuale
come la discussa limitazione alla vendita delle bevande alcoliche.
Secondo un’attenta analisi «la radice di questa protesta va cercata
in una dinamica più propriamente politica, non legata alla natura isla-
mista dell’attuale governo. Essa riguarda la totale mancanza da dieci
anni a questa parte di contrappesi politici ed elettorali significativi,
unita a un certo stile leaderistico e iperdecisionista di Recep Tayyip
Erdoğan. Questi fattori hanno esacerbato la sensazione che si fosse di-
nanzi a un autoritarismo in crescendo, tradotto in iniziative politiche
audaci e divisive» (Cristiani 2013, 58). Si tratta, secondo alcuni, di un
campanello d’allarme per l’AKP che dovrebbe iniziare a tenere in
considerazione le istanze provenienti dalle frange sociali più impegna-
te politicamente è più presenti nelle manifestazioni di piazza, in modo
da arricchire il processo di integrazione democratica (Xypolia 2013,
39).
L’incapacità del CHP di occupare questo spazio politico e di for-
mulare una seria proposta di alternativa per il governo è unanimemen-
te considerata uno dei più forti limiti della democrazia turca e una sor-
ta di polizza assicurativa per l’AKP che, dopo undici anni di governo,
resta incontrastato e – come accadrebbe ovunque – si trova nelle con-
dizioni di essere tentato dalle sirene di un potere politico egemonico.
Di fronte alle manifestazioni di piazza Erdoğan ha perseguito la
stessa strategia di scontro frontale che lo ha portato a prevalere
sull’esercito e sulla magistratura. Con il tempo potrebbe anche riuscire
nel suo intento (Economistc 2013); e a distanza di pochi mesi dalle
manifestazioni, in effetti, l’entusiasmo che le ha originariamente so-
stenute sembra essersi esaurito.
Il suo traguardo è la candidatura alle presidenziali del prossimo
anno. Molto dipenderà dal possibile accordo di pace con il PKK, dal
risultato delle municipali di marzo 2014 e dalla performance
dell’economia che non regge più i tassi di sviluppo degli scorsi anni e
potrebbe subire contraccolpi significativi da una stagione turistica
estiva negativamente segnata dagli scontri fra manifestanti e polizia.
84 QUADERNI “LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE”

Diversamente si potrebbe rafforzare la candidatura di Gül che ha gio-


cato il ruolo del moderato nei conflitti di piazza pur essendo stato vi-
cino alle scelte politiche del Governo Erdoğan (a partire dalla promul-
gazione della legge restrittiva sugli alcolici).
Non si può comunque dimenticare che ad oggi Erdoğan è costret-
to ad ambire alla presidenza a meno di volersi ritirare dalla scena poli-
tica: le regole interne all’AKP non gli consentono di competere per un
nuovo mandato da primo ministro. Potrebbe però profilarsi una solu-
zione intermedia: rinunciare alla presidenza e alle ambizioni di tra-
sformazione in senso presidenzialista della forma di governo a condi-
zione di ottenere una modifica della regola di partito che non gli con-
sente di candidarsi per un nuovo mandato. Si delineerebbe così uno
scenario di perpetuazione degli equilibri attuali con la probabile con-
ferma di Gül alla Presidenza (Hulsman 2013, 39).

5. – La legge elettorale.- La Costituzione turca rientra nel gruppo


di Costituzioni, maggioritario in Europa, che esplicita i principi ispira-
tori della legge elettorale. L’art. 67 Cost. è stato infatti modificato in
occasione della revisione costituzionale del 1995 con l’aggiunta di un
sesto comma che recita: «Le leggi elettorali sono redatte in modo da
conciliare i principi di equità della rappresentanza e di stabilità del
governo».
La formula adottata sembra presupporre una facile conciliazione
fra due opzioni che però sono costantemente in tensione fra loro nella
definizione di una legge elettorale che, inevitabilmente, è chiamata a
fare delle scelte che spostano, di volta in volta, l’equilibrio in favore
della rappresentanza o della governabilità nel trade-off fra maggiorita-
rio e proporzionale.
Il sistema elettorale turco, regolato dalla legge n. 2839 del 10
giugno 1983, più volte emendata, è un sistema elettorale proporziona-
le su base circoscrizionale, con liste bloccate di candidati e soglia di
sbarramento al dieci per cento.
Le circoscrizioni sono 85 e coincidono con le 81 province salvo
nei casi delle aree metropolitane di Istanbul, Ankara e Smirne che so-
no suddivise in più distretti per evitare la formazione di circoscrizioni
troppo ampie. La dimensione media delle circoscrizioni è di circa
sei/sette seggi e, in alcune aree rurali poco popolose, si hanno circo-
scrizioni uninominali.
La competizione è limitata ai partiti politici già rappresentati in
Parlamento o che abbiano tenuto il loro congresso almeno sei mesi
COSTITUZIONE E DEMOCRAZIA IN TURCHIA 85

prima delle elezioni, che abbiano una struttura organizzativa in alme-


no la metà delle province e che siano in grado di presentare candidatu-
re in almeno la metà delle circoscrizioni. A tutela della soglia di sbar-
ramento e della chiarezza del sistema politico non sono ammessi ac-
cordi per la presentazione di liste congiunte. L’unica attenuazione al
forte ruolo dei partiti consiste nella possibilità di presentare candidatu-
re indipendenti sulla base del deposito di una forte cauzione in denaro
restituita solo in caso di elezione. Candidature indipendenti che, nella
singola circoscrizione, concorrono sullo stesso piano delle liste di par-
tito in quanto il voto può essere espresso indifferentemente in favore
di una lista o di un singolo candidato indipendente.
Dopo l’esclusione delle liste sotto la soglia del dieci per cento,
che è applicata a livello nazionale, la proclamazione degli eletti è ef-
fettuata a livello circoscrizionale dove non c’è lo sbarramento ma do-
ve, in virtù delle piccole dimensioni di molte circoscrizioni, operano
soglie implicite spesso ancor più elevate. Si applica poi il metodo
d’Hondt sulla base dei voti ottenuti dalle liste di partito e dai candidati
indipendenti che non sono, ovviamente, tenuti a superare la soglia di
sbarramento legale in quanto presenti in una sola circoscrizione.
La soglia nazionale del dieci per cento rappresenta un caso limite
di distorsione maggioritaria di un sistema proporzionale difficilmente
giustificabile con le esigenze della facilitazione della formazione di
una maggioranza di governo. Lo scopo della governabilità può essere
infatti agevolmente raggiunto attraverso soglie di sbarramento nazio-
nali inferiori, soprattutto in considerazione del fatto che in Turchia il
riparto dei seggi è effettuato all’interno delle singole circoscrizioni e
che in esse operano soglie di sbarramento implicite molto elevate.
L’introduzione di una soglia di sbarramento così selettiva, oltre-
tutto a livello nazionale, si spiega allora con la malcelata volontà di
ostacolare l’ingresso in Parlamento dei partiti rappresentativi della mi-
noranza curda, fortemente radicata nelle province orientali del Paese.
Nel complesso il sistema elettorale turco è stato, giustamente, de-
finito come un sistema proporzionale antipluralistico funzionale a ga-
rantire l’esclusione dal Parlamento dei partiti non turchi, segna-
tamente quelli curdi, peraltro più volte messi al bando dalla Corte co-
stituzionale (Carducci, Bernardini d’Arnesano 2008, 99).
Nelle elezioni del 2002, come si è già ricordato al par. 3, la clau-
sola di sbarramento del dieci per cento ha avuto l’inatteso effetto di
consentire la formazione di una solida maggioranza da parte dell’AKP
e ha consentito di avviare il sistema politico verso uno schema ten-
86 QUADERNI “LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE”

denzialmente bipartitico. Questo bipartitismo fino al 2007 si è retto su


una distorsione maggioritaria molto forte, destinata però ad attenuarsi
significativamente nelle tornate elettorali del 2007 e del 2011.
Il predominio di AKP e CHP è solo in parte attenuato dalla pre-
senza in Parlamento del partito nazionalista di destra MHP e dei rap-
presentanti della minoranza curda che, a partire dal 2007, hanno sapu-
to conquistare una significativa rappresentanza parlamentare attraver-
so una sapiente strategia di presentazione di candidature indipendenti.
Nel 2011 sono stati eletti 35 candidati indipendenti e il partito curdo
BDP (Bariş ve Demokrasi Partisi, Partito per la pace e la democrazia)
è stato in grado di formare un suo gruppo parlamentare. La soglia di
sbarramento nazionale può quindi essere elusa da parte dei gruppi po-
litici fortemente radicati su base provinciale.
In Europa le soglie di sbarramento sono in genere non superiori al
cinque per cento e l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa
auspica che «nelle elezioni legislative delle democrazie consolidate
non dovrebbero essere applicate soglie di sbarramento superiori al 3
per cento» (risoluzione del 18 aprile 2007). La materia però è di piena
competenza dei legislatori nazionali, liberi di intervenire discrezional-
mente, come conferma la decisione Yumak e Sadak c. Turchia del
2008 della Corte europea dei diritti dell’uomo che ignora le implica-
zioni di tale soglia in relazione alla rappresentanza delle minoranze e,
pur considerandola eccessiva da un punto di vista generale, ne giusti-
fica l’esistenza in quanto ha «avuto per scopo legittimo quello di evi-
tare una frammentazione eccessiva della compagine parlamentare e
dunque quello di rinforzare la stabilità di governo».

6. – Le riforme costituzionali.- Dal 2010 il tema dell’approvazio-


ne di una Costituzione civile, in contrapposizione alla Costituzione mi-
litare vigente dal 1982, è prepotentemente presente nell’agenda politi-
ca turca dopo che il tentativo di avviare un riforma complessiva attra-
verso la commissione presieduta dal costituzionalista Ergun Özbun-
dun non aveva avuto il successo sperato.
Nel corso degli anni Novanta e, soprattutto, Duemila, quasi non
passa anno senza che sia approvata una legge di revisione della Costi-
tuzione, nonostante la previsione di un procedimento aggravato da alte
maggioranza qualificate, dal controllo del Presidente della Repubblica
e dall’eventualità di un referendum popolare.
L’art. 175 della Costituzione stabilisce che in materia di revisione
costituzionale l’iniziativa legislativa spetta a un terzo dei membri del
COSTITUZIONE E DEMOCRAZIA IN TURCHIA 87

Parlamento: non sono contemplate le ipotesi di proposte di revisione


di bandiera. In seguito a una doppia lettura in assemblea la legge di
revisione deve essere approvata con la maggioranza dei tre quinti dei
deputati a scrutinio segreto. La legge così approvata è trasmessa al
Presidente della Repubblica che può decidere se rinviare la legge al
Parlamento o lasciare che su di essa si svolga un referendum popolare.
In caso di rinvio, il Parlamento può riapprovare la legge a maggioran-
za dei due terzi e in tal caso il Presidente deciderà discrezionalmente
se promulgare la legge o se sottoporla a referendum. Del pari le leggi
di revisione costituzionale approvate, prima di un eventuale rinvio
presidenziale, con la maggioranza dei due terzi sono o promulgate dal
Presidente o da lui sottoposte al giudizio referendario.
In sostanza le modifiche della Costituzione approvate a maggio-
ranza dei tre quinti devono poter contare contemporaneamente sul fa-
vore del Presidente e sul consenso del corpo elettorale; mentre in caso
di approvazione con la più ampia maggioranza dei due terzi la conso-
nanza con il Presidente della Repubblica è alternativa al sostegno po-
polare espresso tramite referendum.
Il procedimento di revisione fissato dalla Costituzione prevede
quindi delicati equilibri che, però, devono essere valutati in relazione
alla legge elettorale che consente la formazione di amplissime mag-
gioranze di governo, occasionalmente in grado di soddisfare le mag-
gioranze qualificate richieste.
Senza pretese di esaustività si possono schematicamente ricordare
i punti salienti delle numerose revisioni del testo del 1982.
Nel 1987 si è avuta la modifica del procedimento di revisione co-
stituzionale; l’abbassamento dell’età di voto da 22 a 20 anni; l’aumen-
to dei membri del Parlamento da 400 a 450. Nel 1993 è stato abrogato
il monopolio radiotelevisivo statale. Nel 1995 sono approvati l’abro-
gazione del divieto di attività e collaborazione politica per associazio-
ni commerciali, fondazioni, cooperative; l’ulteriore abbassamento
dell’età di voto a 18 anni; il definitivo allargamento a 550 membri del
Parlamento; il riconoscimento del diritto di voto ai cittadini residenti
all’estero; il riconoscimento del diritto di associazione sindacale per i
dipendenti pubblici; l’abrogazione del divieto di iscrizione ai partiti
politici per docenti e studenti e del divieto di istituire organizzazioni
giovanili, femminili o estere affiliate ai partiti politici; l’introduzione
del divieto di mandato imperativo (in precedenza il venir meno
dell’iscrizione al partito era causa di decadenza dalla carica di deputa-
to); la decadenza dalla carica di deputato per i soli parlamentari diret-
88 QUADERNI “LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE”

tamente responsabili dell’eventuale scioglimento di un partito. Nel


1999 i militari sono estromessi dalle Corti per la sicurezza dello Stato
e sono approvate le norme necessarie per la privatizzazione delle im-
prese pubbliche.
Nel 2001 si ha uno degli interventi di revisione più significativi. È
modificato l’art. 13 Cost. che, nel testo precedente, recitava: «l’eserci-
zio dei diritti fondamentali e delle libertà può essere limitato per leg-
ge, in conformità con la lettera e lo spirito della Costituzione allo sco-
po di salvaguardare l’integrità dello Stato incluso il suo territorio e la
nazione, la sovranità nazionale, la Repubblica, la sicurezza nazionale,
l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica, l’interesse pubblico, la pub-
blica morale e la salute pubblica e per i motivi specifici stabiliti dalle
norme della Costituzione» e che nel nuovo testo vede l’eliminazione
delle clausole di carattere generale e stabilisce che le limitazioni sono
possibili solo «per i motivi specifici stabiliti dalle norme della Costi-
tuzione». Inoltre, il comma 2, dell’art. 13 introduce esplicitamente il
principio di proporzionalità, sulla scorta della giurisprudenza della
Corte europea dei diritti umani e del Tribunale costituzionale tedesco,
così fornendo ai giudici uno strumento aggiuntivo per una miglior pro-
tezione dei diritti dell’uomo (Gönenç 2004, 100; Özbundun 2007,
181).
Inoltre sono accorciati i termini della detenzione preventiva ed è
abrogato il riferimento alle «lingue proibite» che pure era caduto in
desuetudine.
Sul piano della tutela dei diritti fondamentali, l’applicazione della
pena di morte è ora circoscritta alle situazioni di guerra o di un perico-
lo di guerra e ai reati di stampo terroristico.
L’art. 118 è revisionato per modificare la composizione del Con-
siglio di Sicurezza nazionale di cui ora fanno parte anche i vice Primi
ministri e il Ministro della giustizia: in tal modo i membri di estrazio-
ne civile sono in netta maggioranza. È inoltre rimarcata la funzione
meramente consultiva dell’organo rispetto alle competenze del Go-
verno.
Infine, è modificata la norma transitoria (art. 15) che precludeva il
controllo di costituzionalità sugli atti adottati dal Consiglio di sicurez-
za nazionale negli anni successivi al colpo di Stato (1980-1983) e che,
di fatto, aveva garantito l’esistenza di una zona franca dell’or-
dinamento rispetto al controllo di costituzionalità.
Nel 2002 si ha un intervento marginale: sono modificate le norme
sull’ineleggibilità ora limitata ai reati di terrorismo e non più a reati
COSTITUZIONE E DEMOCRAZIA IN TURCHIA 89

ideologici in generale ed è stabilito che nel caso in cui siano venuti


meno tutti i deputati eletti in una circoscrizione si svolgano elezioni
suppletive entro 90 giorni.
Il 2004 è l’anno della riforma fortemente voluta dall’Unione Eu-
ropea nel quadro dei negoziati per l’adesione: la pena di morte è abro-
gata senza eccezioni; sono introdotte azioni positive in favore del-
l’eguaglianza di genere; sono abrogate le corti per la sicurezza dello
Stato; è consentita l’estradizione dei cittadini; il bilancio delle forze
armate è sottoposto al controllo della Corte dei conti; il rappresentante
dell’esercito è estromesso dal Consiglio superiore dell’educazione.
Inoltre, e soprattutto, è modificato l’art. 90 ai sensi del quale in caso di
conflitto fra la legge interna e il diritto internazionale pattizio relativo
alla tutela dei diritti fondamentali, prevale il diritto internazionale.
Nel 2005 si ha una riforma in materia di bilancio dello Stato, nel
2006 l’età per l’elettorato passivo al Parlamento è abbassata a 25 anni.
Il 2007 è l’anno della crisi costituzionale legata all’elezione del
Presidente della Repubblica Gül in concomitanza della quale è intro-
dotta l’elezione diretta del Presidente della Repubblica con un manda-
to di cinque anni in luogo dei sette precedentemente previsti; anche la
durata della legislatura è ridotta da cinque a quattro anni. La riforma è
confermata dal 68,9 per cento degli elettori nel referendum popolare
indetto dal Presidente della repubblica uscente Sezer.
Nel 2008 la maggioranza dell’AKP si fa promotrice di una rifor-
ma costituzionale al contempo altamente simbolica e controversa: la
modifica degli artt. 10 e 42 per abolire il divieto di indossare il velo
femminile nelle università che è, però, annullata dalla Corte costitu-
zionale.
Infine, come si è ricordato in apertura di paragrafo, il 2010 è
l’anno di avvio della politica della maggioranza per una Costituzione
civile.
La contrapposizione politica fra AKP e CHP è, ancora una volta
totale. Le proposte di riforma costituzionale della maggioranza sono
impugnate, da parte dell’opposizione, davanti alla Corte costituzionale
che le annulla. Il contropotere rappresentato dalla Corte costituzionale
non si rivela però efficace e il testo è riapprovato, con lievi modifiche,
dal Parlamento con la maggioranza dei tre quinti, ed è sottoposto a re-
ferendum popolare il 12 settembre 2010, data di grande portata simbo-
lica per la ricorrenza del trentennale del colpo di Stato del 1980.
Il referendum è approvato con il 58 per cento dei voti e si traduce
in un grande successo politico per l’AKP capace di coagulare un vasto
90 QUADERNI “LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE”

consenso anche nell’elettorato progressista, dove il CHP è invece per-


cepito come il difensore dello status quo determinato dal colpo di Sta-
to (Marcou 2012, 73).
Rispetto ai contenuti, la riforma costituzionale del 2010 ha come
obiettivo, innanzitutto, il ridimensionamento delle alte gerarchie giu-
risdizionali: la composizione della Corte costituzionale è modificata
così come il Consiglio superiore dei giudici e dei procuratori. Inoltre è
abrogata la norma transitoria che garantiva l’immunità ai responsabili
del colpo di Stato del 1980. In questo modo si mette in crisi in modo
strutturale il sistema politico e di potere derivato dal colpo di Stato
(Nocera 2011, 121).
Contestualmente sono realizzate anche altre riforme del testo co-
stituzionale: l’art. 20 per garantire la tutela dei dati personali; l’art. 41
per garantire i diritti dei bambini; l’art. 53 in materia di accordi di la-
voro collettivi; l’art. 54 sul diritto di sciopero; l’art. 74 per istituire
l’Ombudsman; l’art. 94 sull’ufficio di presidenza del Parlamento;
l’art. 125 in materia di sindacabilità degli atti del Consiglio militare
supremo; gli artt. 128 e 129 in materia di pubblico impiego; gli artt.
145 e 157 in materia di giustizia militare.
Dopo le elezioni del 2011, l’idea di riformare complessivamente
la Costituzione scaturita dal colpo di Stato del 1980 è stata sostenuta
dai rappresentati di tutti i partiti presenti in Parlamento. A questo sco-
po è stato istituito un gruppo di lavoro paritetico significativamente
chiamato Comitato di riconciliazione costituzionale per elaborare una
Costituzione civile ampiamente condivisa.
Il Comitato, in cui tutti i gruppi parlamentari sono rappresentati
da tre membri, è incaricato di procedere all’elaborazione di una pro-
posta all’unanimità attraverso un procedimento di consultazione di
esperti e associazioni rappresentative della società civile in modo da
soddisfare le alte aspettative che si sono generate (Ozertem, Yegin
2012).
È stato osservato che i tempi per l’approvazione di una nuova Co-
stituzione sono maturi dopo anni di intenso dibattito (Kentel, Köker,
Genç 2012, 3, 4) per tre ragioni principali: a) la Costituzione in vigore
non permette di affrontare con successo alcuni dei problemi più im-
portanti. La sua dimensione “monoculturale” non lascia margini per
una soluzione soddisfacente della questione curda e per affrontare con
serenità il rapporto fra lo stato laico e la sfera religiosa degli individui;
b) nonostante i numerosi emendamenti degli ultimi anni permane
l’impronta autoritaria di stampo militare che ostacola la soddisfazione
COSTITUZIONE E DEMOCRAZIA IN TURCHIA 91

delle richieste per una piena democratizzazione che provengono dalla


società; c) la Turchia è lo stato membro del Consiglio d’Europa che
incorre nel più alto numero di violazioni, anche a causa delle forme di
tutela dei diritti previste dalla Costituzione.
Il Comitato di riconciliazione ha ritenuto di dotarsi di un metodo
di lavoro basato sull’unanimità e formalmente molto aperto e parteci-
pato attraverso la consultazione di individui e gruppi capaci di rappre-
sentare le diverse istanze provenienti dai cittadini.
Tuttavia, questo metodo, come era prevedibile in un contesto for-
temente polarizzato, non è stato sinora capace di sbloccare le contrap-
posizioni reciproche e prevale fra gli osservatori un diffuso pessimi-
smo sull’effettiva possibilità di approvare la riforma prima delle ele-
zioni del 2015.
Il peso dei partiti, e la contrapposizione che ne deriva, è stato
inoltre accentuato dal rapido abbandono del metodo inizialmente deli-
neato dal Comitato stesso che ha iniziato a lavorare sul testo della
nuova Costituzione prima di consultare i soggetti “sociali” (Uçum,
Genç 2012, 3).
Anche la prospettiva di una revisione costituzionale promossa dal
solo AKP, al di fuori del percorso avviato all’interno del Comitato di
riconciliazione, non ha molte probabilità di successo. Il partito di
maggioranza non è in grado, da solo, di raggiungere la minima mag-
gioranza qualificata dei 3/5 richiesta per modificare la Costituzione e
il dialogo con i partiti di opposizione non sembra lasciare molti mar-
gini di manovra (Turan 2013).
Il 12 luglio 2013 il Comitato ha raggiunto un accordo in relazione
a 48 articoli della Costituzione, in prevalenza attinenti al catalogo dei
diritti fondamentali, senza toccare i temi più controversi come la que-
stione della lingua e del decentramento politico-amministrativo.
L’eventuale approvazione di questa sola parte della riforma, a questo
punto desiderata da Erdoğan per superare lo stallo ma considerata im-
probabile dagli osservatori, da un lato, contraddirebbe le premesse del
percorso finalizzato all’approvazione di una Costituzione ex novo,
dall’altro, attesterebbe definitivamente l’impossibilità di risolvere le
vere questioni aperte dell’ordinamento costituzionale turco (Köker
2013).

7. La questione curda: riforma costituzionale e accordo di pace.-


La soluzione della questione curda, come si è visto, non è disgiunta
dalla riforma della Costituzione e, ragionevolmente, passa attraverso
92 QUADERNI “LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE”

un accordo politico fra il Governo di Ankara e i rappresentanti della


minoranza etnica “dissidente” impersonati dal PKK e dal suo leader
Ocalan, da anni in carcere.
Sul piano costituzionale la principale difficoltà consiste nella ri-
forma dei presupposti della cittadinanza oggi definita su base “coatti-
vamente” etnica attraverso una assimilazione di ogni minoranza alla
nazione turca: «Chiunque sia legato allo Stato turco dal vincolo della
cittadinanza è un turco» (art. 66 Cost.).
All’interno del Comitato di riconciliazione si è delineato un diva-
rio fra le posizioni dei nazionalisti dell’MHP e i kemalisti del CHP da
una parte e il partito islamico AKP e i rappresentanti curdi del BDP
dall’altro.
MHP e CHP si ergono a difensori dell’identità turca e dello status
quo mentre il partito di Erdoğan è in grado di meglio dialogare con la
minoranza curda in nome della sua storica avversione ai principi fissa-
ti dal nazionalismo di impronta kemalista dove identità turca e caratte-
re laico dello stato tendono a saldarsi. Al momento tali posizioni ap-
paiono inconciliabili, il che porrebbe il Comitato di fronte a un ostaco-
lo insormontabile (Mahçupyan, Uçum, Genç 2013, 4 ss.).
L’accordo politico tra il Governo e il PKK presuppone contatti
segreti di cui i giornali hanno tentato di ricostruire il contenuto, pro-
babilmente sulla base di intuizioni più che di indiscrezioni. Dal 2010 il
Presidente Gül (sul versante dell’AKP) e il leader del CHP
Kılıçdaroğlu avrebbero dato il via libera ai contatti fra il Governo e
Ocalan che, da quel momento, ha smesso di rivolgersi all’alto coman-
do dell’esercito preferendo interloquire con rappresentanti politici
(Ergil 2010, 153 ss.).
I fatti sono circoscritti alle iniziative del PKK che nella primavera
del 2013 ha, per bocca del suo leader Ocalan, dichiarato la tregua, ri-
lasciando alcuni ostaggi turchi e disponendo il ritiro unilaterale delle
sue unità armate nel Kurdistan iracheno e in Siria dove avrebbe peral-
tro iniziato a combattere contro le truppe del Presidente Assad, di cui
in precedenza era “alleato”.
Il cambio di campo del PKK nello scenario siriano sarebbe uno
degli elementi dell’accordo con il Governo di Erdoğan così come, se-
condo i rumors giornalistici, il presunto sostegno dei curdi alla candi-
datura di Erdoğan in vista delle presidenziali del 2014 (Economista
2013; New York Times 2013).
La difficoltà nel negoziato fra Governo e PKK è testimoniata da
un continuo succedersi di stop and go come sembra emergere fra le
COSTITUZIONE E DEMOCRAZIA IN TURCHIA 93

righe del recente comunicato urgente pubblicato sul sito del PKK il 5
luglio 2013 con cui si chiede un miglioramento dell’assistenza sanita-
ria prestata a Ocalan in carcere nel momento in cui si ribadisce l’in-
tenzione di giungere a un accordo: «Il nostro leader Ocalan ha avviato
un processo pacifico e democratico che prefigura l’unione, libera e
eguale, dei popoli turco e curdo; a questo scopo, la tutela della salute e
della sicurezza del nostro leader è un imperativo per il futuro pacifico
e democratico dei nostri popoli».
Negli ultimi mesi si sono susseguiti una serie di eventi che po-
trebbero rappresentare una svolta: Ocalan è stato trasferito in una cella
più ampia; i ribelli curdi hanno sospeso ufficialmente il ritiro dalla
Turchia in seguito a uno scambio di accuse reciproche con il Governo;
infine, il 30 settembre 2013, il Primo Ministro Erdoğan ha annunciato
un nutrito pacchetto di riforme che potrebbero effettivamente soddi-
sfare alcune delle esigenze manifestate dalla minoranza curda e prelu-
dere a un’effettiva pacificazione attraverso un negoziato che non sem-
bra essersi mai interrotto.
Le riforme illustrate da Erdoğan, che nei prossimi mesi dovranno
per la gran parte essere tradotte in concreti provvedimenti legislativi,
incidono su alcuni dei temi più sensibili nell’evoluzione della demo-
crazia turca e contengono alcuni provvedimenti diretti a soddisfare le
indicazioni del Progress Report del 2012 dell’Unione Europea. Sono
anche previsti alcuni cambiamenti simbolici come l’abolizione del-
l’inno quotidiano degli alunni delle scuole elementari il cui incipit at-
tuale, «Io sono turco», è uno degli emblemi dello spirito nazionalistico
della maggioranza; o il cambio del nome di un’università dell’A-
natolia centrale per compiacere la minoranza alevita; è poi prevista la
restituzione dei territori del monastero siriaco di Mor Gabriel alla co-
munità siriaca e l’istituzione di centri di cultura per la tutela dei rom.
Su un piano più generale le riforme annunciate consistono: nella
possibilità di indossare il velo islamico all’interno delle istituzioni
pubbliche con l’esclusione della magistratura, delle forze di polizia e
dell’esercito; nell’abolizione del bando dell’alfabeto curdo; nel ripri-
stino dei nomi delle località non turche e nella possibilità di insegnare
le lingue locali diverse dal turco nelle scuole private; nell’innalzamen-
to da uno a tre anni di reclusione della sanzione per i reati discrimina-
zione razziale, etnica o religiosa; nell’estensione del diritto di riunione
in luoghi pubblici alla mezzanotte, mentre il limite attuale coincide
con il tramonto del sole; nella revisione della soglia di sbarramento
del dieci per cento prevista dalla legge elettorale vigente.
94 QUADERNI “LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE”

È interessante notare che la legalizzazione del velo islamico nei


luoghi istituzionali, già annullata nel 2008 dalla Corte costituzionale
con riferimento alle università, è ora presentata come una forma di
estensione delle libertà individuali (sollecitata peraltro anche dall’U-
nione Europea) e non come una forma di affermazione dell’identità
religiosa della maggioranza mussulmana.
La riforma della soglia di sbarramento è la più rilevante del pac-
chetto e potrebbe essere strutturata sulla base di una delle tre opzioni
delineate da Erdoğan: 1) mantenimento del sistema attuale; 2) abbas-
samento della soglia al cinque per cento con contestuale ampiamento
delle circoscrizioni; 3) riforma elettorale organica con un sistema ba-
sato su collegi uninominali.
La riforma elettorale include anche la possibilità di svolgere la
campagna elettorale in altre lingue e l’abbassamento dal sette al tre
per cento della soglia necessaria per accedere ai fondi del finanzia-
mento pubblico dei partiti.
Nel complesso è importante segnalare il giudizio positivo tempe-
stivamente espresso dall’Unione Europea che identifica la chiave del
successo delle riforme presentate nell’«attuazione in collaborazione
con gli attori sociali interessati e in linea con gli standard europei»
(Progress Report 2013, 6). Inoltre, la reazione della comunità interna-
zionale alla brutale repressione delle manifestazioni di piazza Taksim
sembra aver giocato un ruolo non secondario nella presentazione di
alcune delle proposte di riforma quali l’espansione della libertà di riu-
nione.
Gli altri punti del negoziato con i curdi non sono, al momento,
oggetto delle annunciate riforme ma potrebbero essere ripresi in un
secondo momento: la concessione di un reale decentramento politico-
amministrativo; la liberazione degli attivisti curdi detenuti in carcere
nonché la posizione personale di Ocalan che potrebbe risolversi con la
concessione di un regime di arresti domiciliari.
L’interesse del Governo di Ankara, e con esso di Erdoğan, a un
accordo di pacificazione potrebbe essere visto sotto diverse angolatu-
re. Il più immediato sarebbe il prestigio personale che toccherebbe ai
protagonisti dell’accordo, Erdoğan in testa. Anche se l’avversione dei
nazionalisti all’accordo potrebbe in parte compensare questa nuova
eventuale popolarità.
Su un piano materiale e immediato la tregua implicherebbe il ve-
nir meno di uno stato di mobilitazione permanente dell’esercito nelle
province orientali che ha avuto un costo stimato in 40.000 morti e 300
COSTITUZIONE E DEMOCRAZIA IN TURCHIA 95

miliardi di dollari spesi. Negli ultimi anni è cresciuta la consape-


volezza dei costi di un nazionalismo esasperato e, con essa, la diffusa
esigenza di una pacificazione (Ergil 2010, 153 ss.).
In prospettiva, e forse questo è il vero nocciolo della questione, la
pacificazione fra turchi e curdi porterebbe con sé l’aperura di nuovi
mercati e la liberazione di risorse, umane e naturali, ora bloccate. Lo
sviluppo economico degli ultimi anni potrebbe presto arrivare a un
punto di saturazione e la guadagnata stabilità politica nelle regioni
orientali del paese aprirebbe nuovi orizzonti di sviluppo economico
(Biancacci 2013, 117).

Conclusioni.- Per chiudere l’analisi formulata in precedenza e


senza pretesa di esaustività riteniamo utile prospettare, in conclusione,
alcuni scenari possibili rispetto ad alcuni aspetti che sembrano costi-
tuire i punti nodali del futuro della Turchia sotto il profilo dell’evo-
luzione della democrazia:
– Comitato di riconciliazione costituzionale: le possibilità di un
accordo unanime che consenta di adottare in tempi rapidi una nuova
Costituzione civile appaiono molto limitate. La vicinanza con
l’appuntamento elettorale del 2014 è un ostacolo molto forte per gli
oppositori dell’AKP;
– Negoziato di pace con il PKK: il negoziato sembra ben avviato
e potrebbe essere l’elemento politico capace di occupare la scena poli-
tica, interna ma anche internazionale, nei prossimi mesi. I suoi risvolti,
innanzitutto sulle elezioni presidenziali, potrebbero essere dirompenti
ma anche imprevedibili;
– Piazza Taksim: la fase della contestazione più dura si è avviata
a un fisiologico ridimensionamento. Il danno di immagine per Erdo-
ğan sembra ormai fatto ed è difficile immaginare un cambiamento di
rotta sotto questo aspetto;
– Elezioni presidenziali del 2014: saranno il momento decisivo. O
meglio: sarà decisivo il momento della nomina del candidato
dell’AKP, inevitabilmente favorito;
– Futuro politico di Erdoğan: le chances di Erdoğan non si esauri-
scono però nell’appuntamento delle presidenziali, egli ha disposizione
una soluzione subordinata: ottenere la modifica delle norme statutarie
dell’AKP che, ad oggi, gli impediscono di candidarsi per un nuovo
mandato parlamentare e da primo ministro. Se così fosse ci si trove-
rebbe di fronte a un prolungamento senza grossi scossoni dell’espe-
rienza degli ultimi anni;
96 QUADERNI “LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE”

– Rapporto con l’Unione Europea: indipendentemente dall’ade-


sione della Turchia alla Ue, rispetto alla quale è difficile fare previsio-
ni, il lungo negoziato e il ruolo di osservatore permanente e privilegia-
to dell’Ue nei confronti della Turchia rappresentano uno stimolo co-
stante a proseguire sulla strada delle riforme, costituzionali e legisla-
tive, necessarie a un progressivo sviluppo della democrazia, anche su
aspetti di dettaglio.

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