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Appunti X Ripasso Storia - Diritto - Romano
Appunti X Ripasso Storia - Diritto - Romano
Tutto quello che sappiamo lo dobbiamo a storici romani in particolare Tito Livio e
Dionisio di Alicarnasso. Abbiamo poi alcuni ritrovamenti archeologici e possiamo rifarci
anche alla toponomastica. I romani avevano la tendenza a far risalire indietro nel tempo
le istituzioni più importanti, per darvi maggior prestigio; questo avviene anche con
istituzioni di periodo repubblicano; questo ad esempio è il caso di condanna a morte,
dove si poteva fare appello al popolo (provocatio ad popolum).
Monarchia
Roma sorge improvvisamente dal nulla: Romolo (re Albano) dopo essersi allontanato
da Albalonga fonda dal nulla questa nuova città: la fonda nel 754 sul Palatino, riunisce
intorno a sé tutti coloro che non si trovano bene ad Albalonga e tutti coloro che non
possono/vogliono abitare nelle altre città del Lazio. Raggiunto un certo numero di
popolazione, prende 100 fra i più importanti cittadini di Roma e fonda il Senato: i
senatori verranno detti “patres” e daranno origine ai patrizi. Dopo di che Romolo
cercherà moglie (ratto delle Sabine). La città si amplia e Romolo sarà costretto a dare
origine alle curie: dividerà la popolazione in 30 zone e quindi in 30 curie: ogni curia avrà
un decurione a capo di essa: queste curie saranno rappresentate e daranno origine ai
comizi curiati. Sicuramente non si può pensare che Roma sia nata dal nulla: intorno
all’anno 1000 popolazioni indo-europee hanno occupato il Lazio nella zona fra il Tevere
e i colli Albani (latini): intorno all’anno 1000 popolazioni di origine ariana hanno
raggiunto l’Italia (Sabini). I latini erano inceneritori (bruciavano i loro morti): i Sabini
erano inumatori (seppellivano i loro morti). Intorno all’VIII secolo sono giunti gli etruschi:
alcuni villaggi basati sull’agricoltura, altri sulla pastorizia. Dopo varie lotte è nata
l’esigenza di stabilità; quindi una popolazione che derivava da 3 diversi ceppi ha dato
origine ad una civitas. Questo non è sicuramente avvenuto nel 754; probabilmente
intorno all’VIII IX secolo. Già i romani avevano poche notizie certe del periodo: avevano
notizia dell’esistenza di 7 re. Nel 509 era stata fondata la repubblica; la vita media di un
regno era di 35 anni e quindi avevano calcolato da qui la data di fondazione.
Sicuramente Roma all’inizio è governata da un re; il re deve mantenere la pace fra la
popolazione e la divinità. I romani sono molto religiosi. Derivante da questo potere è
quello militare: il re romano ha una potestas vastissima: oltre che a comandare il popolo
decide se e quando è giusto stipulare un’alleanza o attaccare un nemico, se e quando
combattere. Questo potere è di origine divina, perché secondo i romani il re decide in
base a segni, agli “auguria” e agli auspicia”.
Poteri amministrativi che si visualizzano nell’amministrare la giustizia. Il re è colui che
conosce le leggi di tutte le comunità che si sono riunite e hanno fondato una civitas: è
colui al quale i cittadini si devono rivolgere per avere giustizia. Nello svolgere questo
suo compito dà origine alle leges reges. Gran parte della dottrina ritiene che in realtà
siano vere e proprie leggi e che fosse compito dei comizi curiati emanare leggi: in realtà
non è così: non sono altro che ordinanze del rex che decide la singola controversia:
queste leggi avranno poi valore di precedente e costituiranno una norma di diritto che
tutti i consociati dovranno rispettare. Non può però fare tutto da solo: necessita di alcuni
ausiliari; per quanto riguarda i compiti militari sarà aiutato dal magister popolus e dal
magister equitum. Il primo ha il compito di radunare il popolo atto alle armi: è un
sottoposto del rex e ha il potere di sostituirlo in guerra quando il re è occupato a Roma
in questioni politiche; il secondo ha il compito di radunare la cavalleria e di comandarla.
Alla morte di Romolo si pone il problema di chi succederà al trono. I senatori non
riescono a mettersi d’accordo. Viene fondato l’inter-regnum; si decide che vengano
nominati 10 senatori, ognuno dei quali detiene il potere per 5 giorni alternativamente in
attesa che giungano segni divini che disignino un nuovo re. Questo interregno dura un
anno. La plebe comincia ad essere insoddisfatta e minaccia una sommossa.: quindi il
senato affida ai comizi il compito di scegliere il re, anche se questi deve essere
approvato dal senato. La plebe sceglie di rifarsi al senato che nomina Numa Pompilio
che con una lex curiata de imperio viene approvato dai comizi. Così approvato Numa
Pompilio deve sottoporsi alla inauguratio ossia all’approvazione della divinità e poi
assume il potere. Il re è elettivo: sappiamo che esiste un periodo, detto inter-regnum in
cui c’è latitanza di potere. Sappiamo che i comizi hanno il potere di nominare il re e di
dargli tutti i poteri tramite la lex curiata de Imperio. Sappiamo che il senato ha funzioni
consultive e deliberative e che esistono cerimonie religiose per dare valore al re
(inauguratio). Il re era elettivo. Nel momento in cui moriva un re scattava l’inter-regnum.
I comizi hanno il compito, tramite lex curiatia de imperio di dare potere al re: anche se
non si tratta tanto di una legge quanto di un’approvazione del popolo. Il senato avrà il
compito di fare la creatio e a volte di fare il nuovo re. Tutto questo è dimostrato dalla
presenza nel calendario romano della sigla Q.R.C.F. (24 marzo e 24 maggio) (quando
rex comitiavit fas) (i fas sono i giorni fasti in presenza dei comizi). Mentre Romolo era
un re guerriero che si dedicava a guerre di conquista, Numa si dedicò a culti e leggi.
Vennero introdotti i mos majorum e il rispetto dei culti; grazie a Numa vennero istituiti i
collegi dei pontefici, degli auguri e quelli dei fezziali. Il re non poteva dedicarsi a questa
attività sempre, era quindi necessaria l’istituzione di collegi per le leggi e i culti, fra i
quali il collegio dei pontefici, che raccoglieva le leggi, ne tramandava notizia e aiutava i
privati cittadini nel caso di controversie. A questi vanno affidata la memoria dei mores
majorum, cioè l’unico vero diritto che i romani conoscevano in questo primo periodo.
Qualsiasi privato cittadino che volesse conoscere le leggi doveva rivolgersi ai pontefici:
per questo i 5 pontefici a turno erano a disposizione per agere, cavere, rispondere. Cioè
davano ai privati responsi su questioni di diritto; suggerivano ai privati come comportarsi
per porre in essere negozi giuridici. Ai pontefici ci si rivolgeva anche per le prescrizioni
dei riti sacri. I fezzaioli invece avevano il compito di occuparsi dei rapporti internazionali;
spettava a loro decidere eventuali trattati con città; stabilire se tali trattati erano equi o
iniqui. Se era stato rispettato. Se e con chi bisognava combattere, cioè se era il caso di
fare una guerra giusta. Inoltre a loro spettava la dichiarazione di guerra secondo il rito
dovuto. Il feriale doveva rivolgersi al suo corrispondente nemico e fare la dichiarazione
di guerra. Solo dopo questa dichiarazione e dopo la formale risposta poteva iniziare la
battaglia. Sempre secondo Livio sappiamo che fu introdotto il collegio degli auguri.
Questo collegio doveva interpretare i segni che la divinità dava. A seconda
dell’interpretazione si avevano gli “auguria” o gli “auspicia”. I secondi li traevano i
magistrati (cioè il re) e consistevano nel cercare di capire come andrà un singolo atto
che si sta per compiere. Gli auguria sono più complessi e riguardano il destino o “di
tutta la popolazione” o la vita dello stesso rex e avendo ripercussione su tutta la
popolazione possono essere letti solo da poche persone selezionate (collegio degli
auguri: 5 membri vitalizi che custodiscono in segreto il modo di interpretare gli auspicia).
Vige sempre il principio di ubi societas ibi ius: regole per pacifica convivenza. Questa
collettività decide di darsi un capo e sceglie la forma costituzionale più opportuna e dà
origine alla monarchia. Sceglie un rex secondo un modello elettivo. Alla morte del re
inizia l’inter-regnum, si convocano i comizi e il senato ratifica la scelta degli stessi. Dopo
di che avviene l’inauguratio. Al re vengono poi attribuiti poteri particolari. Il re ha funzioni
religiose politico/amministrative e militari. Deve scegliere l’organizzazione migliore della
città ed è giudice supremo. Ha anche poteri di coercitivo, ossia di polizia. Spetta al re
mantenere la pace e ha il compito di far arrestare, fustigare e di erogare le multe. Ha
poi il potere religioso. Nelle sue funzioni religiose si fa aiutare da collegi sacerdotali, dei
feriali, auguri, e dai pontefici. Quest’ultimo è il più importante perché deve controllare
che sia mantenuta la pace e il rispetto delle leggi. Determinando il “fas” ed il “ius” questi
ha già la funzione della interpretatio. I pontefici sono gli unici che conoscono i mores
ossia le norme che regolavano le comunità pre-civiche che hanno anticipato Roma. I
privati devono necessariamente rifarsi ai pontefici. I pontefici possono anche creare una
nuova norma giuridica senza violare i fas (ossia le regole divine). Accanto ai pontefici
c’è il collegio degli auguri: e poi il collegio dei feziali che ha il compito di controllare le
relazioni internazionali. Accanto a questi tre collegi vi è un collegio solo femminile, che è
quello delle vestali, che soprattutto in età arcaica ha grande importanza. Vesta è una
divinità che presiede la pace domestica e familiare. Viene quindi istituito questo collegio
e le vestali sono sacerdotesse della divinità: queste devono essere vergini, scelte fra le
fanciulle patrizie con un’età fra i 6 e i 12 anni. La carica dura 30 anni. Hanno tre compiti:
mantenere vivo il fuoco di Vesta; devono provvedere alla pulizia del tempio e devono
preparare la “mola salsa” (farina e acqua che servivano per i riti sacrificali). Le donne
che diventavano vestali uscivano dalla patrias potestas del pater familias e acquistano
capacità giuridica: ma erano soggette al pontefice massimo. Le vestali che compivano
atti impuri erano soggette a pene quali la vivisepoltura.
Livio menziona subito il senato e i comizi. Dal punto di vista costituzionale Roma ha già
tre organi: re, senato e comizi. La tradizione ci dice che da subito furono scelti 100
patres.questi erano i capi delle gentes o delle familiare che si erano unite per dar vita
alla civitas. Le gentes sono famiglie allargate che pretendono di avere un unico avo in
comune, cioè un’unica stirpe ed un unico nome familiare. I capi di queste famiglie e
delle gentes formano il collegio dei senatori. Questi hanno tre compiti: inter-regnum,
l’auctoritas, consultum. L’altro grande potere è l’auctoritas, che consiste nel potere del
senato nell’approvazione dei comizi. In questo caso l’auctoritas si esplica in due modi:
lex curiatia de imperio e la adrogatio (adozione di un pater familias da parte di un altro
pater familias).
Il consultum sono consulti che il senato da al re; il re ogni volta che prende una
decisione deve presentarsi al senato per averne l’approvazione. Non si rivolgerà al
senato solo per decisioni repentine in campo militare. Accanto al senato ci sono i
comizi, cioè l’assemblea popolare. In età regia i comizi sono comizi curiati. Questa
assemblea nasce dalla divisione territoriale che avviene alle origini; 3 tribù, Ramnes,
Tities, Luceres. Ramnes sono gli abitanti del palatino, il cui nome forse deriva da
romolo. La seconda sono i Tities, di origine sabina, abitanti il campidoglio. I Luceres
sono di origine etrusca. Questi vengono poi divisi in 30 curies (unione di uomini).
Ognuna delle 3 tribù dà origine a 10 curie. A capo di ogni curia c’era un curio che aveva
il compito di radunare le curie. Solo patrizi formavano le curie. La divisione in curie ha
importanza amministrativa, perché dalle curie nasce l’esercito. Ogni curia deve fornire
all’esercito 10 cavalieri e 100 fanti. Ha funzioni politiche durante i comizi curiati. Queste
funzioni sono: convocato dall’inter-rex deve fare la nomina del nuovo re o quando si
riunisce per la lex curiatia de imperio. Può essere riunito dal re una volta al mese
perché davanti ai comizi il re deve presentare il calendario (basato sulle fasi lunari) che
stabilisce i giorni fasti e i giorni nefasti. Giorni nei quali si può chiedere giustizia, feste,…
Nei giorni nefasti al contrario non si può far niente. Oltre a questo il re convoca giudizi
anche per rendere partecipe l’assemblea popolare delle sue decisioni. I comizi saranno
poi convocati anche per giudizi che riguardano la vita privata del re: hanno un duplice
servizio. Funzioni deliberative o di testimoni. Deliberative quando decideranno per la
adrogatio. Le deliberazioni potevano avvenire solo il 24 marzo e il 24 maggio. Solo due
volte l’anno potevano essere convocati i comizi con funzione di testimoni. Non si parla
in questo caso di comizi curiati bensì di comizi calati. Gli atti solenni che causano la
convocazione dei comizi curiati sono la inauguratio, testamentum, calati comiti,
detestatio sacrorum. Quando un pater familias decide di abbandonare la propria gens
deve dichiarare pubblicamente che intende abbandonare i numi di quella gens
(detestatio sacrorum). L’inauguratio è la presa degli auspici per il re. Testamentum
calati comiti che è l’unica forma di testamento dell’età arcaica. Doveva indicare
pubblicamente chi doveva succedergli alla morte. Questo atto doveva essere compiuto
davanti ai comizi curiati. Ma qual è l’ordinamento giuridico di questa fase? Le fonti di
produzione di età regia sono i mores: le leggi rege sono fonti di diritto, ma non sono
leggi in senso tecnico. Norme di diritto criminale e privato e amministrativo.
Erano previsti degli obblighi sia personali che patrimoniali (numera e vectigalia). Norme
di diritto criminale: il crimine sono tutti gli atti lesivi della comunità; sia che la offendesse
direttamente sia che offendesse un singolo individuo che colpisce la comunità. Le
norme del diritto privato: riguardano la patria potestas, il dominius, l’esecuzione
personale e il testamento. Distinguono i beni di primaria importanza (res mancipi) e gli
schiavi. Sono norme che regolano anche il trasferimento di proprietà. Ci sono norme
che riguardano l’esecuzione personale, cioè norme che riguardano il debitore
insolvente. Principio partes secante: uccidevano il debitore e ne dividevano i pezzi fra i
creditori.
Testamento: deve lasciare il patrimonio agli eredi legittimi. Se non ha eredi diretti e non
fa adrogatio si ricorre al testamento. Patrizi sono i senatori e i loro discendenti, gli altri
sono plebei, secondo Livio.
Patrizi sarebbero coloro che con la forza e per primi hanno acquistato un pezzo di terra
nella civitas. Plebei sarebbero coloro che meno forti non sono riusciti ad acquistare una
propria terra e hanno dovuto usare la terra altrui.
Fino alla fondazione vi era una zona destinata a raccogliere coloro che chiedevano
protezione alla nuova civitas: tutti coloro che avevano compiuti atti illegittimi nella
comunità di appartenenza o che erano in disaccordo con i loro capi erano accolti a
Roma. Sembra che la distinzione nasca da questo asilium. Patrizi sarebbero le prime
tre tribù: plebei quelli che hanno chiesto asilo politico a Roma. Nella Roma regia c’erano
anche i “clientes” ossia persone che necessitavano di protezione e la chiedevano ai
patrizi. Questi clienti ricevevano vantaggi ma avevano anche numerosissimi doveri nei
confronti dei loro patroni. Dovevano aiutare i patroni nella dote della figlia, dovevano
pagare i debiti del patrono o il riscatto nel caso in cui il patrono fosse stato fatto
prigioniero in guerra. Dovevano rispettare la buona fede e dovevano sopportare pene
cruente nel caso mancassero la parola data. Chi sono i plebei? È un ordine di cittadini:
il ceto sociale meno forte, meno ricco e con nomi meno altisonanti, senza eponimi (cioè
non avevano discendenti illustri). Patrizi e plebei non potevano sposarsi fra loro.
Pastorizi, agricoltura, anche se molto limitata. Conoscevano solo la produzione di
cereali, in particolare del farro. Il fatto che l’economia si basasse su pastorizia e
agricoltura fa si che sorgano numerose punizioni legate alla coltivazione dei cereali
(tipo: furto notturno di messi).
Fase della monarchia etrusca. Livio traccia un racconto piuttosto attendibile; l’ultimo re
latino è Anco Marzio, durante il suo regno nuova gente arriva a Roma, fra cui
Lucumone. Di origine greca si trasferisce a Tarquinia, dove diventa ricco ma non ha
possibilità di carriera. Si trasferisce quindi con Tanatillia a Roma. Giunto alle porte di
Roma si ha il primo prodigio: un’aquila ruba il copricapo a Lucumone e dopo aver
volteggiato per un po’ glielo restituisce. Tanatillia, di origine etrusca, capisce che questo
è un segno divino e che Lucumone diventerà importante. Lucumone diventa talmente
amico del re da diventare tutore dei figli del re. Acquisisce un nome romano, Tarquinio
Prisco. Alla morte di Anco Marzio decide di far radunare i comizi curiati per indire le
elezioni. Indotto il comizio Tarquinio allontana da Roma i due figli di Anco marzio e si fa
eleggere Re. Chiede l’inauguratio. Una volta diventato re cerca di stringere alleanze con
forze minori della popolazione, con coloro che non sono patrizi e per fare questo amplia
il senato: lo espande a 300 elementi. I nuovi senatori vengono definiti senatori delle
genti minori. Provengono probabilmente dalla classe plebea. Decide poi di allargare
Roma: durante una guerra di conquista si rende conto che un esercito di fanti non può
riportare grandi vittorie. Aumenta così il numero delle centurie e dei cavalieri. Torna a
Roma e istituisce dei giochi che verranno celebrati nel circo massimo; se dedica poi alle
alleanze e alla lega latina. Durante il suo regno Tanatillia assiste ad un altro prodigio.
Nella reggia c’è la culla di un fanciullo, figlio di una schiava, e la testa del piccolo prende
fuoco. Quando il bambino si risveglia il fuoco cessa. Da qui capisce che il fanciullo è
destinato a subentrare a Tarquinio Prisco. Questo è Servio Tullio. I figli di Anco Marzio
non hanno mai perdonato al loro tutore di averli privati del potere. Nel momento in cui si
rendono conto che il futuro re sarà il figlio di una schiava ordiscono una congiura che
riesce. Due privati cittadini riescono ad uccidere Tarquinio Prisco. Tanatillia con
l’astuzia riesce a risolvere il problema. Finge che il marito non sia morto e davanti ai
comizi proclama che il re sarà sostituito da Servio Tulio fino alla guarigione del re. E più
tardi con l’aiuto dell’esercito si impone come re. Dopo alcune guerre di conquista Servio
Tullio si occuperà della sistemazione della popolazione. Darà origine ad un censimento
e sarà divisa in classi di reddito. Si avranno 5 classi: 40 centurie di seniores e 40
centurie di juniores; poi 10 centurie di seniores e 10 centurie di juniores; poi 15 centurie
di seniores e 15 di juniores. Poi ci saranno 18 centurie di cavalieri, 4 centurie di artigiani
e musici e infine un’ultima centuria caratterizzata dai nullatenenti. Dividerà poi il
territorio in tribù: 4 tribù urbane e successivamente alcune tribù rustiche. Dopo
quest’opera di censimento si darà all’opera muraria e cingerà Roma delle mura
serviane. Istituirà il Pomerium, zona esterna alle mura nella quale non si potrà tenere
alcuna riunione politica. Ma la sete di potere fa si che questo re provochi inimicizie.
Questo ad opera dei due figli di Tarquinio Prisco, che decidono di regnare. Dopo una
serie di congiure i due riescono ad uccidere Servio Tullio. Sale al trono Tarquinio il
superbo. Superbo per una serie di atti, fra i quali il divieto di sepoltura del suocero (lui
sposa la figlia dell’ex-re). Poi incarica di costruire la Cloaca maxima non agli schiavi ma
ai nullatenenti, che non gradiscono questo fatto (dopo averne iniziata la costruzione
alcuni si impiccano. Questo non permette all’anima di tornare alla terra e l’anima
vagherà tra i vivi per infastidirli). Essendo stato il primo re ad aver ottenuto il potere con
un colpo di stato, non ascolterà il senato e vi toglierà potere, mutando gli equilibri fra le
forze romane. Ha però ampliato il territorio romano e stabilito alleanze con popolazioni
vicine. Durante una di queste battaglie si verifica un episodio che induce la popolazione
a porre fine alla monarchia. Tre cittadini romani nell’accampamento discutono sulla virtù
delle loro mogli: e scommettono che le stesse sono a casa a divertirsi e non li
aspettano. Collatino invece dice che sua moglie Lucrezia è a casa ad aspettare. E
verificano che è così, solo Lucrezia è a casa. Il figlio di Tarquinio il superbo decide di
scoprire quanto sia virtuosa Lucrezia e decide di prenderla con la forza. Lucrezia
manda a chiamare sia il padre che il marito e dopo aver raccontato il fatto si uccide.
Collatino è accompagnato da Giulio Bruto, nipote del re: Giulio Bruto approfitta
dell’accaduto e cerca di togliere potere al re. Fa convocare i comizi dove narra
l’accaduto suscitando l’azione popolare. Tarquinio il superbo e il suo seguito vengono
eliminati: 509 a.C. I comizi curiati nominano due consoli e nasce così la repubblica
romana. I poteri del rex cambiano: il re etrusco è un comandante militare, dedito alle
armi e si dedica principalmente alla guerra delegando gli altri poteri. Non si parla più di
potestas ma di imperio. Il potere fondamentale del re è basato sulla forza e sulla guerra.
Il potere dei consoli è quindi di derivazione etrusca. I littori (coloro che devono portare le
insegne prima del re e poi dei consoli). Imperium perché contrariamente al re latino il re
etrusco si autocrea: diventa il capo dello stato perché lo vuole, non nasce da
un’investitura. Basato sulla forza e comando militare perché non ha bisogno della
inauguratio. E questo fa si che il re non sia più il supremo capo spirituale, tanto è vero
che già in questo periodo viene introdotto il rex sacrificorum, cioè si occupa dei sacrifici.
Anche l’elezione del re cambia: in età etrusca non abbiamo più l’inter-regnum, la
convocazione dei comizi per la nomina e non c’è più l’auctoritas da parte del senato. Si
cambia completamente il modo di investitura, non più elettiva ma previa designazione
del precedente re. Il re delega in particolare per quanto concerne l’amministrazione
della giustizia: in campo criminale acquistano potere i diumviri perduellionis e questores
parricidi. I primi giudicano il reato di perduellio, i secondi sono preposti al reato di
parricidio. Gli unici casi in cui il re svolge l’attività di magistrato sono quelli militari. Il re
etrusco reprime i reati militari. Per quanto riguarda la giustizia civile si fa aiutare da
judices, due, preposti ad aiutare il re e sono i precursori dei consoli. Viene poi istituito il
praefectus urbi. Questi ha gli stessi poteri che ha in campo militare il magister populi
(ausiliario del re in guerra). Anche il capo amministrativo delega; istituisce i tribuni erari,
cioè magistrati che hanno il compito di esigere le tasse e sono due per ogni centuria.
Anche il senato è diverso: per composizione, non più 200 ma 300 senatori, di cui 100
appartenenti ai nuove famiglie e non più ai patrizi. Non può più influire sulla nomina del
re e soprattutto il re etrusco non consulterà mai il senato. Eventualmente un parere lo
chiederà al popolo. Vede aumentare il suo potere anche grazie alla nuova divisione
della popolazione. Per la prima volta viene fatto il censimento della popolazione.
Bisognava censire la ricchezza dei singoli cittadini per collocarli nelle varie classi. Le
classi di censo erano 5, accanto alle quali c’era quella dei cavalieri e quella degli
artigiani e dei nullatenenti. Questa divisione ha due risvolti fondamentali: sia dal punto
di vista dell’esercito sia da quello politico. Già in quest’ultimo periodo perdono
importanza i comizi curiati sostituiti dai comizi centuriati. Cambia il sistema di voto. Si
passa da una riunione del popolo costituito da patrizi ad una riunione costituita dai
ricchi. Si vota per centurie, per classi. Prima vota la prima classe, poi quella dei
cavalieri; se queste due non raggiungono un accordo vengono interpellate le altre 4
classi. Se neanche così si giunge ad un accordo solo allora la classe dei nullatenenti
potrà votare. In realtà si passa dal comando dei patrizi a quello della classe più potente.
La monarchia etrusca si caratterizza anche per la divisione in tribù: tre già esistevano ai
tempi di Romolo; verrà poi istituita una quarta tribù; in età etrusca tribù sono solo
circoscrizioni territoriali. Roma viene divisa in età etrusca in 4 circoscrizioni, Palatina,
Collina, Suburbana, Esquilina. Si osserva il domicilio delle persone per stabilire a quale
tribù appartengano. Vengono poi istituite le tribù rustiche: qui l’appartenenza viene data
in base ai possedimenti, non al domicilio. Coloro che non hanno terreno appartengono
alle tribù urbane, anche se non hanno territori.
Sono prima di tutto distretti di leva: da ogni tribù vengono assoldati i militari. In ogni tribù
vengono riscosse le tasse, che in questa fase non vengono riscosse in base ai redditi
ma all’estensione della proprietà terriera. Questo comporta un tipo diverso di economia:
può coltivare di più: non coltiva solo cereali ma anche vite e ulivo, che impara a
conoscere grazie agli etruschi. Cambia l’economia perché cambia le alleanze con i
sabini e gli etruschi. Questo comporta che Roma diventi città dedita ai traffici
commerciali. È di questo periodo il primo trattato commerciale fra Roma e Cartagine.
Roma si basa anche sull’artigianato. I re etruschi si dedicano alla costruzione di grandi
opere: vengono fatti arrivare in città esperti, che fanno conoscere l’artigianato ai romani.
La lega latina: Roma è costituita sostanzialmente da latini ed è circondata da
popolazioni latine. Ha l’esigenza di allearsi con queste genti per far fronte alle invasioni
degli etruschi. Viene quindi istituita la lega latina che in caso di necessità combattono il
comune nemico etrusco. Accanto ad essa i romani pongono trattati di non belligeranza
con le popolazioni sabine.
Nel 451 a seguito delle richieste dei plebei, volte a volere una legge scritta, viene
istituita una magistratura straordinaria e viene istituito il decemvirato legislativo. A
questo collegio dei magistrati viene affidato il compito di mettere per iscritto tutte le
norme fino ad allora esistenti. L’incarico è annuale. Al termine del primo anno il lavoro
non è ancora stato portato a termine e c’è la nomina di un secondo decemvirato,
formato ancora da patrizi e plebei e deve completare l’opera iniziata. Questi però
crearono due tavole inique, cioè due tavole in cui sono contenute norme contrarie alla
plebe. Questo fa si che il popolo provochi una sommossa. Il lavoro è comunque già
stato finito e le dodici tavole sono redatte e affisse nel foro. Rimangono affisse finché i
Galli non incendiano Roma. Le notizie delle dodici tavole e la trascrizione dei precetti ci
viene da Cicerone e Gaio. Le XII tavole sono la prima fonte autoritativa romana.
Nascono da un accordo fra patrizi e plebei e hanno uguale importanza per i due ordini.
Essendo norme autoritative per le tavole si parla di jus legitum e le legge rogate, che
vengono proposte da un magistrato e approvate dai comizi centuriati. Le XII tavole cosa
contengono? Le varie norme derivano dalle antiche leges rege e dagli antichi mores.
Quando parliamo di XII tavole parliamo o di codice decemvirale o legge delle XII tavole.
Codice non nel senso moderno della parola (cioè non una raccolta di norme rivolte ad
un solo argomento). Raccolta organica di varie norme aventi diverso contenuto. Parlare
di un’unica legge è sbagliato, bisogna parlare di legge delle dodici tavole. Leggi quindi
nel senso di norme giuridiche. Le XII tavole sono divise in 4: quelle che fissano i mores,
leggi che riproducono leggi regie, leggi di età decemvirale di provenienza ellenica, leggi
create ex novo dai decemviri. Leggi che fissano i mores: la maggior parte dei precetti
mette per iscritto i mores majorum. Che ne siano presenti tanto è testimoniato da alcuni
giuristi di età classica, da Ulpiano che nel commentare il jus civile ci dice che la norma
in base alla quale il prodigo per espressa disposizione delle dodici tavole necessita di
un curatore. Analoga disposizione per quanto riguarda il pazzo. Che nascano dai mores
è provato anche dal linguaggio (il diritto romano è casistico, analizza i singoli casi; ma
anche il diritto romano evolve, e i precetti non solo nascono dal caso concreto, ma
cercano anche di creare precetti di portata più generale. In tutte le pronunce concrete il
precetto si apre con una clausola condizionale. Nel caso si tratti di un precetto più
moderno si usa una relativa, “quis”). Molto interessanti sono i precetti 12-13 della tavola
8. Questi dimostrano la loro provenienza dai mores perché trattano il diritto penale.
Roma considera la vendetta privata autorizzata. Ben presto questa vendetta non può
più essere applicata: i primi mores che riguardano il diritto penale stabiliscono una
limitazione a questa libertà di vendetta, dimostrata dai precetti 12 e 13. Si tratta di due
casi gravi di furto. Si prevede che nel caso in cui avvenga un furto notturno, l’offeso sia
legittimato ad uccidere il ladro. Analoga situazione nel caso in cui avvenga un furto
diurno a mano armata. In questo caso è perciò necessario chiamare a raccolta i vicini
per dimostrare che si tratta di un atto giusto. Altro precetto importante è la legge del
taglione. Si parla poi di leggi di origine regia: le XII tavole recepiscono queste leggi. La
ricezione è confermata dalla tavola VIII, precetto 8: Numa elaborò un precetto evoluto.
Previde la distinzione fra atto volontario e atto involontario. Statuò che nel caso in cui
qualcuno avesse ucciso involontariamente, non avrebbe potuto essere ucciso dalla
famiglia dell’offeso. Il colpevole doveva però sacrificare un capro. Le XII tavole hanno
recepito questa norma e l’hanno applicata.
Abbiamo poi le leggi suggerite da modelli ellenici. Grazie a questo influsso i decemviri
su materie complesse recepiscono le norme di Solone (fu il primo a dare una
legislazione molto ampia alla polis di Atene: legislazione che non si esprimeva su casi
concreti). Roma in certi settori recepisce queste norme, in particolare per quello che
riguarda i confini: per evitare che i patrizi privino i plebei della loro terra, questi ultimi
necessitano di una legge chiara e precisa sui confini. Ricorrono così alla legge di
Solone.
Ci sono poi le leggi create dai decemviri. Il diritto romano è caratterizzato per il rispetto
del diritto antico ma anche da un rinnovamento del diritto mediante l’introduzione di
precetti nuovi sotto la parvenza di antichi precetti. Con questa funzione i decemviri
possono introdurre nuove norme. L’esempio più importante è costituito dal precetto due
della tavola 9. il primo esempio di provocatio ad popolum è contenuta in questo precetto
delle XII tavole, dove viene stabilito che la morte di un cittadino può essere decisa solo
davanti al giudice centuriato.
Cacciati i decemviri nel 449 vengono restaurate le antiche funzioni repubblicane e
vengono eletti i consoli (Valerio Potito e Orazio Barbato). Nel corso del loro anno di
carica prenderanno moto provvedimenti conservativi, ma anche provvedimenti
favorevoli alla plebe e che permetteranno alla plebe la lotta per la parificazione dei due
ordini. Lotta che terminerà con le leggi Luciniae Sextie (377). Ma i primi passi per
giungere a questa legge finale sono fatti da Valerio e Orazio con le leggi Valerie e
Orazie. Vengono denominate così con un termine improprio: non emaneranno vere e
proprie leggi, ma provvedimenti approvati mediante auctoritas dal senato. Il primo di
questi provvedimenti è la lex de plebiscitis. Secondo Livio questa legge sarebbe la
legge che prevede la parificazione tra plebisciti e leggi, cioè sarebbe la legge che ha
permesso di ritenere i plebisciti con valore vincolante di legge sia per i patrizi che per i
plebei. In realtà siamo di fronte ad un’anticipazione annalistica. Prima di avere una
parificazione si dovrà aspettare il 287 a.C. Questa legge prevedeva il riconoscimento
dei tribuni plebis come magistrati dello stato romano. È quindi una prima conquista dei
plebei. Accanto a questa lex viene posta in essere la prima lex de provocatione, che
prende in considerazione dal punto di vista sostanziale e processuale la provocatio ad
popolum. Questa legge impone al magistrato di rimettere davanti ai comizi il cittadino
romano che a seguito di una condanna corporale e capitale chieda che la condanna
venga presa in esame dai comizi centuriati. Si tratta di una legge perfetta, perché dopo
aver stabilito il precetto, pone una sanzione a carico del magistrato che non rispetti il
precetto. La sanzione consiste nel dichiarare il magistrato “sacer”, espulso dalla
comunità e abbandonato al suo destino. L’altra disposizione contenuta nelle leggi di
Valerio e Orazio è la legge sulla potestà tribunizia. Quando i plebei si sono radunati
sull’Aventino avevano dichiarato che i loro tribuni sarebbero dovuti essere inviolabili.
Con questa legge viene sancita l’inviolabilità dei tribuni per legge. Nessuno può violare i
tribuni, pena la consecratio. Anche in questo caso una legge perfetta. Che non
rispetterà i tribuni potrà essere ucciso impunemente. I beni dell’offensore vengono
confiscati e messi all’incanto (cioè venduti). Il ricavato andrà ad accrescere il patrimonio
di Cerere, Libero e Libera (divinità plebee). Le leggi Valerie Orazie prevedono poi
un’altra norma. Vengono istituiti gli edili plebei, cioè una nuova magistratura alla quale
viene affidato il compito di osservare i senatus consulti. Tutto questo segna un primo
passo verso l’equiparazione fra i due ordini. Ancora più importante è quello che
succede nel 445; prima era vietato che patrizi e plebei potessero contrarre matrimonio. I
plebei riescono a far ratificare una norma che prevede l’abolizione dei divieto. Fra la
possibilità di diventare consoli e quella di sposarsi fra plebei e patrizi e patrizi scelgono
di concedere quest’ultimo. Questo comporterà che un plebeo possa seguire i culti
familiari dei patrizi. Alle massime cariche magistrali possono partecipare solo quelli che
seguono i sacra patrizi, che permettono di trarre gli auspici e possono solo questi
diventare consoli. I consoli devono necessariamente poter trarre gli auspici: possono
trarre gli auspici coloro che partecipano ai sacra e ai culti patrizi. La plebe però non è
ancora contento e vuole accedere al consolato. Nel 443 viene istituita quindi una nuova
magistratura, vengono istituiti i tribuni militari con potestà consolare. Le fonti ci dicono
che questa magistratura nasce per due esigenze: per le richieste dei plebei di accedere
al consolato e per le continue guerre contemporanee che Roma continua in questo
periodo a porre in essere. I due consoli non possono da soli far fronte a tutte queste
esigenze: vengono perciò creati i tribuni. La loro esistenza è provata dai fasti consolari.
Fra il 444 e il 367 vediamo alternarsi i tribuni militari e i due consoli. La loro creazione
completava alcune esigenze: i consoli a volte sono tre, altre quattro, a volte sei, a
seconda dell’esigenza che si ha a Roma. E non deve stupire il fatto che il primo tribuno
plebeo venga eletto solo nel 400. Un conto è il riconoscimento di un diritto nei confronti
della plebe e un conto è il potere della plebe (per diventare magistrato ci vuole una
campagna elettorale e nel 444 la plebe non ne aveva la forza).
441-450 decemviri le gibus scribundis
449 leggi valerie orazie
a) lex de plebisicitis
b) lex de provocatione
c) lex de tribunizia protestate
d) lex de senatus consoltum custodia
445 Abolizione del divieto di connubio
Dopo l’istituzione dei tribuni militum viene istituita la censura. Fino a quel momento il
compito del censimento era dato ai consoli, che ora non ne avevano più il tempo.
Necessità accompagnata anche dal fatto che i comizi più importanti erano quelli
centuriati, che dividevano la popolazione per censo, per collocare le persone nelle varie
classi. Stranamente i plebei non chiedono un censore e vengono così eletti due censori
patrizi. Le lotte però continuano e nel 421 i plebei riescono ad ottenere che i questori
diventino quattro. Accanto ai questori aerari vengono istituiti altre due questori con
funzioni militari. Il raddoppiamento del numero di magistrati permette alla plebe di
accedere alla questura, ma il primo questore plebeo lo abbiamo solo nel 409. Le lotte
continuano ancora fino al 367 e un’importante conquista è quella del 394. Finalmente
Roma riesce a debellare Veio e procede col solito metodo di annessione tipica dell’età
regia: porta tutta la popolazione di Veio a Roma e proclama terreno pubblico la città di
Veio. La plebe chiede l’assegnazione della terra e ottiene l’attribuzione di questa terra
(7 iugeri per ogni pater familias plebeo). La plebe ritiene di essere ad un passo dal
consolato. Ma i patrizi non vogliono ammettere al consolato la plebe. Vengono nominati
tribuni della plebe Licinio e Sextio. Secondo la tradizione questi due bloccano la vita
politica di Roma per 10 anni (dal 377 al 367) con la loro “intercessio”. Sicuramente per
alcuni anni la vita politica è interrotta: i patrizi nel 368 eleggono Furio Camillo dittatore e
questi si oppone alla plebe. Costretto ad abdicare è rieletto (in spregio alla norma che
non vuole la rielezione del magistrato) e decide di cedere alla plebe. Concede la
possibilità di accedere al consolato: a questo proposito si parla di leges Licinae Sextiae.
Anche in questo caso non si tratta di una proposta dei consoli non ratificata dai comizi
ma dal senato e in più non c’è bisogno di una vera e propria legge, perché grazie al
connubio i plebei sono ammessi per diritto ai culti e possono trarre gli auspici. Questo
accordo non riconosce solo la possibilità ai plebei di ambire al consolato, ma favorisce i
plebei in più modi. Tra le altre cose favorisce la “rogatio de aere alieno” (proposta che
riguarda il denaro altrui). Consiste nel diritto dell’anotocismo: cioè della capitalizzazione
degli interessi (non posso cumulare la somma prestata agli interessi). Ottengono inoltre
la possibilità di ritornare il denaro in rate, in un tempo massimo di tre anni.
La seconda legge fondamentale per i plebei è la rogatio de modo agrorum: legge che
riguarda la modalità di distribuzione della terra. Il possesso dell’ager pubblico era
concessa fino al 377 solo ai patrizi. Ora invece anche i plebei possono sfruttare l’ager
pubblicus: viene poi stabilito il massimo che ognuno può avere, un massimo che è
stabilito in 500 iugeri. La più importante legge è comunque la rogatio de consule
plebeio: cioè la “legge” che permette ai plebei di accedere al consolato. Collegata a
questa è l’istituzione della pretura, ossia il praetor urbanus che è considerato collega
minore dei consoli, ha il compito di ius dicere (rogatio de ius dicere). Al pretore viene
affidata la giurisdizione civile nell’urbe, dove dobbiamo intendere non solo Roma, ma il
territorio fino a 1000 passi dalla mura. In questo caso per la prima volta un’acquisizione
di diritto dei plebei diventa un’acquisizione di fatto. Finalmente si ha una parificazione
quasi totale degli ordini. Questa via apre le strade per quelle cariche che ancora non
potevano essere fatte da un plebeo: nel 366 sono ammessi alla dittatura, nel 351 alla
censura, nel 348 entrambi i consoli possono essere plebei. Nel 337 i plebei possono
essere pretori. Nel 300 i plebei sono ammessi ai collegi sacerdotali, quindi troviamo sia
pontefici sia auguri plebei. Inizia la laicizzazione del diritto. Il primo pontefice plebeo
viene eletto nel 254 con Tiberio Coruncanio. Nel 287 con la legge Ortensia si raggiunge
la prima parificazione fra plebisciti e leggi. Le norme che nascevano per nome dei
concilia plebis prendevano il nome di plebisciti. Il primo passo fu fatto al 449 con le leggi
Valerie Orazie. Nel 339 lex pubblilia philonis che prevede la validità dei plebisciti previa
ratifica (auctoritas) del senato. La prima legge che in realtà è di un plebiscito è la legge
aquilia sul danno. Queste leggi segnano il passaggio ad un assetto costituzionale
maturo: finalmente la repubblica viene caratterizzata in tutti i suoi elementi. Non si tratta
più di norme consuetudinarie dirette dai patrizi, ma l’ordinamento giuridico romano
fonda nel diritto immutabile la sua esistenza. Che cosa succede con queste leggi? La
lotta comporta il venir meno dei vecchi capisaldi della classe patrizia, soprattutto
l’abolizione dei poteri dei patrizi è data dal riconoscimento ai plebei. Questo comporta
l’evoluzione del sistema romano, tanto che Polibio dice che la costituzione romana è ad
un livello evoluto e riesce a riassumere in sé i tre sistemi di Aristotele (monarchia,
oligarchia, democrazia). Secondo Polibio in Roma questi tre sistemi convivono. I
magistrati rappresentano la monarchia. Il regime oligarchico è rappresentato dal senato
che ha il compito di sorvegliare sulle attività poste in essere dai magistrati e dai comizi.
La democrazia è data dalle assemblee popolari. Dove trovano i poteri questi soggetti? I
magistrati fondano il loro potere sul popolo (in quanto sono eletti). Anche il senato
deriva i suoi poteri dal popolo. A partire dal 367 saranno senatori solo ed
esclusivamente gli ex magistrati. I comizi si autolegittimano. Per questo si parla di una
Roma retta da una sovranità popolare. Ma il popolo ha le sue rappresentanze nei
comizi: il che comporta che sui comizi ci sia un controllo da parte del senato. C’è quindi
un reciproco controllo fra patrizi e senatori (S.P.Q.R. senatus popolusque romanus). Il
potere è quindi retto dal popolo e dal senato. In realtà Roma è dominata da
un’oligarchia a base timocratica. Oligarchia perché il rapporto popolo-senato fa si che al
governo siano solo coloro che fanno parte dei comizi (cioè i ricchi oligarchia a base
timocratica). La timocrazia sta alla base anche dei comizi. La cittadinanza viene divisa
in classi di reddito e poi c’è la votazione. Roma caput mundi: la politica è comunque
espansionistica e avvantaggia tutta la cittadinanza. Questo porterà al dominio secolare
di Roma
Assemblee popolari, magistrature e senato.
Iniziamo con l’occuparci delle magistrature: è caratterizzata da 5 casi: elettività,
temporaneità, responsabilità, gratuità e collegialità.
1) Elettività. Il termine magistratus nasce da magister populi (comandante militare). I
romani ritengono di poter dire che il loro magistrati sono comandanti militari e hanno
bisogno dell’imperium (supremo comando militare). Ma i magistrati necessitano anche
dell’approvazione popolare. Per questo i magistrati devono essere eletti secondo un
principio avanzato e democratico. Il magistrato in carica convoca i comizi e da luogo
alla cranio, nel senso che propone ai comizi un elenco di candidati che devo avere
determinati requisiti. In particolare devono aver prestato il servizio militare per almeno
10 anni. A questo punto i comizi scelgono il candidato che dovrà ricoprire la carica.
Scelto il candidato questo deve fare un solenne giuramento alla fides, deve giurare il
rispetto della buona fede verso la repubblica. Dopo il giuramento il magistrato uscente
deve dichiarare che alla fine dell’anno lascerà la carica. Questo per garantire che i
magistrati vengono eletti secondo il volere del popolo. Fino al 300 i magistrati hanno
l’imperium, ossia la facoltà di gestire poteri e funzioni in modo discrezionale. I magistrati
muniti di imperium hanno una serie di poteri vastissimi. Quali sono questi poteri? Poteri
finanziari e di leva, poi hanno il potere di convocare i comizi e di chiedere ai comizi dei
pareri “ius agendi cum populo”. Hanno poi il potere di convocare il senato e di chiedere
pareri al senato “ius agendi com patribus”. Hanno la coercitio, cioè il potere di emanare
ordini e obbligare chi ha ricevuto questi ordini di obbedirli e di punire che non li
eseguisse. Hanno poi iuris dictio, ossia la capacità di regolare i rapporti coi cittadini e di
fare processi. Si tratta dunque di poteri enormi. Ecco perché nasce l’intercessio (diritto
di veto). Questi due poteri sono legati alla collegialità: ogni magistratura deve essere
caratterizzata da almeno due magistrati. L’unica magistratura non collegiale è la
pretura. Ed è strano che il pretore che ha l’imperium non sia accompagnato da un altro
magistrato: il motivo è semplice. Il pretore nasce come collega dei consoli. Quindi in
realtà il pretore non è magistrato senza collegialità, in quanto sono colleghi i due
consoli, che possono porre l’intercessio nei confronti del pretore. Quali sono i magistrati
che hanno imperium? I consoli, il dittatore, il pretore, i tribuni militari con potestà
consolari e i decemviri legibus scribundis. Anche ai censori in un momento successivo
viene data una sorta di imperium. Le altre cariche non hanno imperium ma potestas.
Il magistrato ricorre ai comizi attraverso un editto. Questo editto deve essere pubblicato
nel foro. Questo editto viene scritto su tabulae dealbate; erano importanti perché
permettevano al cittadino di conoscere l’editto. La corruzione delle tavole era punita.
L’annuncio conteneva il giorno in cui si dovevano radunare, il luogo e la proposta che il
magistrato avrebbe fatto davanti ai comizi. I comizi possono essere convocati per una
legge, per l’elezione dei magistrati e per giudicare crimini commessi da cittadini romani.
Quindi possono essere convocati in veste di provocatio ad popolum: nel caso in cui
vengano convocati per scopo legislativo deve esserci anche la promulgatio, cioè il testo
di legge che il magistrato intende sottoporre ai giudizi. Per promulgazione noi facciamo
riferimento ad un testo di camera o senato messo sulla gazzetta ufficiale. La
promulgazione era l’atto attraverso il quale il magistrato rendeva dotto il popolo sulla
legge. Tra il giorno di pubblicazione dell’editto e la convocazione passavano 24/30
giorni. Il motivo per cui doveva intercorrere tempo era determinato dal fatto che una
volta riuniti i comizi, la votazione poteva essere solo un si o un no. Quindi tra il giorno
della pubblicazione e le riunioni doveva esserci un tempo per pensare alla legge o alle
candidature o sulle pene e sui crimini commessi. Dopo la pubblicazione dell’editto
c’erano riunioni formali o contiones. Si riunivano nel foro, esponevano la legge e chi
sosteneva il magistrato cercava di persuadere il popolo in favore della legge o in
sfavore.
Dopo queste riunioni il magistrato si faceva un’idea su come sarebbe andata poi la
votazione. Intanto poteva proporre emendamenti o se era convinto del contrario si
arrivava alla vera e propria convocazione. Il magistrato la notte prima della votazione
doveva produrre gli auspici, ossia se il giorno successivo sarebbe stato positivo per
tenere la riunione. In caso positivo un araldo chiamava a raccolta il popolo che si riuniva
nel luogo fissato. Il luogo di ritrovo dei comizi centuriati non poteva mai essere
all’interno del pomerium. Solitamente il luogo era il campo marzio e non potevano mai
riunirsi in castris, negli accampamenti. La riunione dei comizi rientrava nell’imperium
militiate, diverso da quello politico. Riunitisi fuori dal pomerium inizia la vera e propria
riunione (riunione di tutti gli uomini atti alle armi). Riuniti i comizi l’araldo deve ricordare i
motivi della convocazione. A questo punto inizia la votazione vera e propria: vengono
stabiliti dei luoghi dove le centurie si devono radunare. Riunito il primo gruppo ad una
ad una le persone sono chiamate ad iscrivere il proprio voto: ognuno deve dire la sua
opinione. Il voto deve essere espresso davanti agli scrutinatori, è orale e deve essere
segnato su apposite tavole (ut rogas per approvare una legge; a rogas per non
approvarla; n.l non liquet mi astengo). Nel caso invece di elezione diranno “dico…” e il
nome del candidato. Nel caso di processo diremo a (per absolvo) e c (condamno). Una
volta che tutta la centuria ha votato si stabilisce il voto di quella singola unità di voto. Gli
scrutinatori stabiliscono qual è la maggioranza di quella centuria. Subito dopo votano le
80 centurie della seconda classe. Se si è già raggiunta la maggioranza non si chiamano
le altre centurie. Questo modo di votare è considerato poco democratico soprattutto
perché il voto palese dei primi può influenzare la votazione dei secondi (in età
monarchica c’erano rapporti di clientela; la clientela resiste anche in età repubblicana.
Votando in modo palese i loro protettori sanno come i loro clienti hanno votato e sanno
se concedere ancora favori ai loro clienti). Essendoci scrutatori che devono segnare la
votazione è facile che si sviluppino dei brogli. Questo fa si che le classi meno abbienti
chiedano e ottengano leggi che modifichino l’ordine del votare. Questo farà si che il voto
sia per iscritto, non orale: vengono istituite le urne dove il cittadino depone la sua
votazione. Le sigle verranno utilizzate per segnare sulle schede il proprio parere. I
clienti possono a questo punto promettere ai loro protettori un certo voto e poi votare
come loro credono: libertà di voto e tentativo di dare sicurezza al voto. La legge era
quindi approvata o il magistrato eletto. Nel caso della legge il testo veniva affisso nel
foro, perché questa fosse conosciuta da tutti (non per pubblicazione). A Roma era
immediatamente efficace per tutti e la pubblicazione ne dava solo conoscenza a tutti. Ai
comizi centuriati spettavano dunque tre funzioni: elettorale, legislativa e criminale. I
censori centuriati in età repubblicana votano due tipi di leggi: de bello indicendo e la
legge de protestate censoria. I comizi votano una legge che riguardi la guerra e
approvano sempre anche la legge che dà potere ai censori. Le altre leggi sono invece
approvate dai concilia plebis tributi. Oltre ai comizi centuriati abbiamo i concilia plebis
tributa. Questi sono le riunioni della plebe. Prendono il nome di concilia proprio per
distinguere i due tipi di assemblee; comizi indica la riunione di tutta la popolazione
romana (patrizi e plebei) mentre concilium indica una parte sola della popolazione.
Assemblee che assumono importanza dopo la lex ortensia (287) anno in cui si
stabilisce che i plebisciti hanno valore vincolante per tutta la popolazione.
Contrariamente ai comizi questi si riuniscono in tribù. I distretti diventano 35 (4 tribù
urbane e 31 rustiche). L’assegnazione di un individuo ad una tribù urbana piuttosto che
rustica dipende dal possedere terra. Tribù urbane sono costituite da gente che non ha
terreno o lo ha solo nella civitas. Gli altri faranno parte delle tribù rustiche, a seconda di
dove si trovino i loro territori. I concili vengono convocati dai tribuni della plebe: hanno
tre funzioni. Funzioni elettorali, legislativa e criminale. Criminali in quanto spetta a loro
decidere se effettivamente possono irrogare le multe irrogate dagli edili plebei nello
svolgimento delle loro funzioni di polizia nei mercati e quartieri plebei. Hanno funzioni
elettorali in quanto devono eleggere i tribuni della plebe e gli edili della plebe. Hanno
funzioni legislative perché devono votare i plebisciti ossia le norme della plebe stessa e
soprattutto perché votano i plebisciti che hanno valore per tutta la civitas. In questo
caso chi propone la legge sarà il tribuno (uno dei dieci tribuni). Fatta la proposta i
concilia dovranno votare per tribù: ogni tribù formerà una unità di voto, ma su base più
democratica. Tutti coloro che appartengono ad una tribù votano insieme ed esprimono il
voto senza essere influenzati dalle votazioni delle precedenti tribù. In più sarà un voto
democratico perché non c’è una distribuzione timocratica: il voto delle centurie già di
per sé costituisce la maggioranza, qui no. Nei concilia plebis alle tribù appartengono sia
i ricchi che i poveri e tutti hanno lo stesso tipo di voto. In questa assemblea si vota in
modo più democratico. La scelta di una legge è caratterizzata dal fatto che le tribù
rustiche sono più di quelle urbane e il parere di quelle rustiche avrà più importanza.
Stessa situazione nei comizia tributa, che è la quarta assemblea presente a Roma.
Nessuno sa con certezza cosa fossero. C’è chi sostiene che dopo il 287 siano
scomparsi i concilia plebis e che questi li abbiano sostituiti, c’è chi dice che siano esistiti
tutti e due e che abbiano preso nomi differenti a seconda di chi li convocasse. Se era un
tribuno, concilia plebis, se era un altro magistrato comitiva tributa. Le fonti però parlano
di tutte e due le assemblee, di concilia plebis e comizi tributi. Quindi i concilia tributi
hanno aperto la strada per i comizia tributi. Roma ha 4 tipi di assemblee: i comizi tributi
sono quelli convocati più frequentemente. Anch’essi hanno funzioni determinate
elettorali e legislative. Elettorali perché spetta ai comizi tributi l’elezione di magistrati
minori (edili curuli e questori sono eletti dai comizi tributi). Funzione legislativa perché le
leggi rogate vengono decise dai comizi tributi; decisi per tribù perché è più facile
giungere ad una decisione. Inoltre questi comizi possono essere convocati a Roma. Nei
concilia saranno votati leggi del diritto privato, nei comizi tributa si tratterà di diritto
pubblico. Questi sono gli organi fondamentali su cui si basa Roma. Il nexio quando una
persona in prestito, molto spesso a garanzia del prestito dava la propria persona.
Esistendo questo nexio, si verificavano degli abusi. Legge peteia papiria vieterà poi
questo. C’era un accordo fra i tre organi che dominava la civitas: senato, magistrato,
consoli, comizi. Non poteva diventare schiavo a Roma un cittadino romano. Quando
una persona commette un delitto può passare nella famiglia dell’offeso non vome nexia,
né come schiavo, ma per pagare il suo debito. Questa situazione di concordia civium fa
si che Roma non si preoccupi più delle lotte interne fra patrizi e plebei. Roma può
dedicarsi all’espansione e comincia così la serie di guerre che portano Roma a
diventare la più grande potenza di tutti i tempi, a conquistare l’Italia e gran parte dei
territori sul Mediterraneo. Roma si espande ma è pur sempre una civitas, una piccola
città stato. Deve quindi affrontare i problemi che riguardano il controllo delle terre
conquistate. Roma rimane una civitas: non vuole abbandonare questa forma di
governo. Deve trovare un modo che le permetta di dominare le popolazioni e deve
comunque rimanere città stato. Risolve il problema in due modi: con dei foedera
(trattati) e poi procedendo con annessioni. Per i trattati darà vita a trattati equi o iniqui a
seconda del fatto che le città si siano più o meno difese strenuamente. I trattati vengono
usati per le zone più vicine, per quelle più lontane si ricorre a strumenti quali le
annessioni, che sono di tre tipi: i municipi, le colonie e le province. Municipi e colonie
verranno creati in Italia fino alla Gallia, mentre province i territori d’oltre mare coprese le
nostre attuali isole (Sicilia e Sardegna).
Pomponio dice che la forza vincolante dei senatoconsulti nasce dal potere del senato di
ingerirsi costantemente negli affari della vita pubblica romana (il magistrato doveva
sempre rivolgersi al senato). Il magistrato convoca il senato e gli illustra l’ordine del
giorno. I vari senatori esprimono il loro parere; quando è quasi giunta la sera, il
magistrato propone la votazione: in senato si vota per descessionem: coloro che hanno
espresso un parere si devono porre??????? : a favore nella zona del proponente;
contro dall’altra parte. Si fa il conto dei voti e poi viene redatto il testo del
senatoconsulto.
Abolizione dei culti bacchici punendo tutti coloro che vi partecipavano e assistevano.
Viene dato ai consoli un potere extra-ordinem: non c’è possibilità per il condannato di
provocare ad popolum. A partire dal III secolo a.C la condizione delle donne romane ha
subito peggioramenti; nelle campagne abbiamo il ritorno al latifondismo, le contadine
sono dipendenti del proprietario del feudo. In città abbiamo una legge che impedisce
alle donne di possedere più di un certo numero di gioielli. Lex voconia: stabilisce in 200
mila assi il limite delle somme che le donne possono ereditare. A Roma non ci sono
uomini (a causa delle guerre di conquista); esse si dedicano ai culti bacchici (riservati
inizialmente solo alle donne); con l’intervento di Agna Papulla (sacerdotessa campana)
vengono estesi anche agli schiavi e agli uomini.
I riti si svolgono in un bosco sacro a Stimula (dea della follia) e sono caratterizzati da
orgie, vino e accoppiamenti di vario genere. Le donne si giustificano dicendo che sono
preda di stimula è un modo per dare sfogo alla loro sessualità e ai loro sentimenti
che nella vita quotidiana sono repressi. La donna si sposava per interesse e per dare
figli legittimi. (Seneca: è disdicevole amare la propria moglie, bisogna solo rispettarla).
La passione solo con concubine. Le donne si dedicheranno ai veneficia (avvelenamenti)
per liberarsi da mariti scomodi.
Senatoconsulto de bacchanalibus nel 186 a.C. è un superprocesso pubblico alle donne:
2000 donne vengono tutte condannate a morte. L’esecuzione non è pubblica ma in
casa. Fra le 2000 vi è la moglie di un console condannata perché aveva avvelenato
marito e aver dato al figlio di primo letto la possibilità di accedere al consolato.
Gli editti possono essere fatti da: edili curuli, governatori provinciali, pretori. Necessità di
dare vita a nuovi negozia (come quelli di ius civile) per rapporti fra peregrini e romani.
Buona fede: i nuovi negozi si pongono sulla parola data (anche se a volte viene
rispettata, altre volte no). Ricorso da un’azione giudiziaria: che tutela giuridica? No legis
actiones!! I peregrini non comprendono i certa verba. Il pretore deve introdurre delle
azioni che permettano la tutela giuridica delle situazioni che si basano sulla buonafede.
Inizialmente il pretore analizza singolarmente i casi che gli vengono proposti (causa
cognita) e se rileva che è necessaria tutela gli concede un’azione in cui saranno
contenute le indicazioni di massima a cui dovrà attenersi lo iudex privato per emettere
la sentenza. Ma le richieste ai pretori aumentano: egli darà degli editti (programmi di
massima) indicando dall’inizio dell’anno in carica quali sono le situazioni che intende
proteggere e quali azioni concedere con la possibilità di concedere nuovi strumenti di
tutela per nuovi casi. Un tipico esempio di azione è quella concessa nella
compravendita. Ampia discrezionalità al giudice privato (deve prendere in
considerazione tutte le circostanze del caso). Non è necessario che il convenuto
inserisca delle esceptiones perché già compete al iudex verificarlo. Questo sistema
viene presto utilizzato anche dal pretore urbano (editti con azioni più libere rispetto alle
legis actiones. Viene emanata una lex che dà possibilità ai cittadini di scegliere quale
tipo di processo vuole intentare (lex aebutia).
Nasce il ius honorarium: quella parte del diritto di Roma da cui nascono le nuove norme
giuridiche, nuovi istituti no vincolati al rigido formalismo del ius civile. (perché il pretore
urbano concedendo nuove azioni, riconosce nuovi diritti e obblighi). Inizialmente i casi
richiesti al pretore urbano sono pochi, poi aumentarono. Editti del pretore urbanus; fa il
suo programma, enuncia pubblicamente i mezzi processuali ed extra-processuali che
intende concedere ai cittadini. Editto perpetuo per distinguerlo dall’editto stretto o
repentino (per una singola azione). La validità del programma dell’editto è un anno. Il
successore ha la possibilità di confermare (ciò che accade più spesso) o revocare le
decisioni prese precedentemente.
Il pretor deve: richiamare le norme di ius civile indicando una formula tipo; per ogni tipo
di negozio giuridico si enuncia la struttura dell’azione che nasce da quella situazione. La
formula è data secondo processo formulare. Esempio: per le XII tavole eredi del pater
familias sono i figli che ereditano se non c’è espressa disederazione. Se però il pater
familias non cita uno dei figli, il disederedato ha il diritto di proporre querela in officiosi
testamenti che con il processo formulare è un’azione più semplice senza il ricorso al
giuramento.
Enunciazione dei vari sudicia: situazioni che intende tutelare iudicium dabo più
enunciazione della formula tipo (azioni in facto ogni volta che il pretore stabilisce una
nuova situazione da tutela e corrispondente formula). Le actiones cocnesse sono di due
tipi a seconda che il pretore conceda una formula dettagliata.
Comodato: negozio della prassi, non aveva tutela giuridica, i romani erano soliti
prestarsi mezzi agricoli. Il pretor non dà un’azione tipo determinata: possono nascere
autiones in factum oppure iudicia bona fidei.
Esempio di actio in factum: tutela del dominio sulla corruzione degli schiavi.
Azioni utili: quando, dopo aver affermato nell’editto delle regole esistenti per lo ius civile,
riteneva che vi fossero situazioni concrete simili a quello dello ius civile a cui mancava
un elemento.
1 azioni con trasposizione di soggetti
2 azioni fittizie
3 azioni ad exemplum
1 Poteva capitare che un soggetto pur avendo un diritto non potesse usufruire delle
azioni dello ius civile (perché straniero o schiavo). Il pretore concedeva comunque
l’azione con trasposizione di soggetto.
Esempio: peregrino subisce atto illecito. Nell’enunciazione della pretesa si mette nome
peregrino; nella condemnatio quella del patrono.
2 Il pretore finge che esista l’elemento mancante.
Esempio: un romano e un peregrino pongono in essere un contratto di compravendita
ma la proprietà non passa perché la mancipatio non può essere messa in atto dallo
straniero. Si finge l’usucapione: si finge che sia passato un anno dalla compravendita.
3 L’elemento mancante non può essere sostituito con fictio.
Esempio: a. utuli ex lege aquila. Danno provocato corpore corpori: secondo ius civile
non si può parlare di danneggiamento senza contatto fisico. Vengono allora concesse
altre azioni per tutelare ipotesi simili ma non identiche. Il pretore crea legge per
(suplere, adiuvare, correggere) il ius civile. Supplisce il ius civile quando promette
nuove azioni (iudicium dabo), oppure con actiones in facto. Aiuta il ius civile quando
concepisce le azioni utili, corregge in due casi: quando concede azioni tipo con
riferimento ad azioni del ius civile, quando derogando l’azione e concedendo delle
eccezioni (quando due contendenti si presentano nella fase in iure il pretore può
rifiutare l’azione se non gli sembra che il caso concreto sia meritevole di tutela).
Exceptiones: attore afferma un debito. Convenuto non nega ma indica elementi
modificativi o estintivi del fatto. nuovo ius honorarium; nuovo ramo, ius pretorium.
Il ius honorarium si pose di fianco allo ius civile, solo in età giustinianea i due sistemi si
integreranno. Editti= promesse, programmi. Ma fino al 67 a.C i magistrati non sono
vincolati al rispetto del loro programma e spesso ciò accade, soprattutto per i
governatori provinciali.
Il programma contiene sempre anche la promessa di concessioni di mezzi extra-
processuali interdetti sono provvedimenti d’urgenza che richiedono una cognizione
sommaria della situazione.
Stipulatio praetoria: il pretore ordina a una parte di dare una garanzia.
Restituito in integrum: inibizione degli atti che una persona sta ponendo in essere con
l’obbligo di ripristinare la situazione ex-ante.
Bonarum vendito
Bonarum possessio
L’editto del pretore è composto da cinque parti:
1) norme generali sulla giurisdizione
2) azioni ed eccezioni che il pretore intende concedere
3) eredità pretoria
4) esecuzione della sentenza
5) mezzi extra-processuali
creano un honorarium anche gli edili curuli e i governatori provinciali: hanno ius
edicendi, possono anche emanare mezzi extra-processuali.
Spesso venditore vende animale o schiavo con vizi,compratore denunciava la cosa
all’edile: obbligo per il venditore di denunciare i vizi, se ciò non fa segue un’azione
redibitiva (annullamento del contratto) riduzione del prezzo del bene acquistato.
Interpretatione prudentium: interpretazione delle norme ad opera dei giuristi.
Inizialmente solo i pontefici davano pareri in diritto privato ai cittadini, in modo che i
mores potessero essere modificati a loro piacimento all’insaputa della popolazione. Con
la parificazione plebe-patrizi e la laicizzazione del diritto fa si che tutta la popolazione
potesse apprendere i pareri che i giuristi daranno. Questo processo inizia quando Appio
Claudio Ceco pubblica un libro sui diritti reali e le formule necessarie per agire in
giudizio. La completa laicizzazione si ha con il pontefice massimo plebeo Tiberio
Coruncanio: per primo non darà più pareri segreti, ma pubblici. I giurespediti possono
anche essere laici (anche non pontefici). Iniziano ad essere scritti dei veri e propri
commentari. Iniziano ad operare i più grandi giuristi dell’età repubblicana, Manlio
Manilio, Giunio Bruto e Publio Nuzio Scevola: questi interpretarono e commentarono i
mores e le leggi pubbliche. Per la prima volta fanno ricorso al metodo dialettico che
sarà soprattutto utilizzato dai due ultimi giuristi dell’età repubblicana, Servio Sulpicio
Rufo e Alfeno Varo. Il giurista dev’essere sia un tecnico sia uno studioso, non è mai un
avvocato. Dà solo pareri al cittadino e all’avvocato del privato cittadino. Sono tutte
professioni gratuite: avvocato e giurespedito non possono farsi pagare perché si creano
delle clientele, possibilità che le persone che hanno aiutato li voteranno. Possono farsi
fare dei doni (erano spesso enormi; la lex cincia vieta loro di accettare donazioni di un
certo valore, per rendere più indipendente quello spirito che doveva dare parere senza
farsi influenzare da chi glielo chiedeva). Per dare pareri i giurespediti utilizzavano il
metodo dialettico. I giurespediti fanno ricorso sia alla dialettica socratica che a quella
platonica e in più ricorrono all’equità e all’analogia.
Si ha un’opera di laicizzazione del diritto che avviene per opera di Appio Claudio Ceco
(de usurpationibus): l’opera di Gneo Slavio che pubblica il calendario giudiziario e il
formulario per le leggi actiones; poi c’è Tiberio che dà responsi pubblici.
Da questo momento la conoscenza del diritto non è più concentrata nella mani di pochi
e inizia lo studio della giurisprudenza come ars. Alla luce di questa nuova concezione
iniziano le opere di commento alle XII tavole, che si basano su un’interpretazione delle
nomre; tripartita (primo commentario alle norme). Nella prima parte sono riportate le
norme, nella seconda sono interpretate e nella terza parte ci sono i formulari. Da questo
momento inizia l’interpretazione di tutto lo ius civile (mores, XII tavole, leggi comiziali e
dei plebisciti). Magno Manlio, Publio Muzio Scevola ricorrono al metodo didattico; e
partendo dal caso concreto applicano la dialettica e creano nuovi concetti. Da questo
momento si parla di giurisprudenza come forza creatrice di diritto. Si parla qui di ius
contro versus. Abbiamo visto che c’erano due pareri: quello di bruto e degli altri giuristi.
Questo voleva dire che un caso concreto era stato risolto in due modi. Questo modo di
creare diritto si perfeziona sempre più e fanno ricorso all’analogia e all’equità. Sempre
da questo momento nascono gli editti e i magistrati hanno bisogno di consultarsi con i
giurespediti. In più i pareri richiesti ai giuristi si fanno sempre più numerosi, perché i
contatti fra romani e stranieri sono sempre più numerosi. Questo ricorso ai pareri fa
nascere generi nuovi; nascono le prime raccolte di responsa, di questiones. Per la
prima volta sorgono i digesta (ordinare); per la prima volta nascono opere che ordinano
tutti i responsi per materia seguendo l’editto del pretore. Vi sono poi dei commentari
all’editto del pretore e dei commentari sulle XII tavole. Gli ultimi giuristi dell’età
repubblicana danno nuovi pareri, una forma ai pareri. Dal caso concreto danno la
soluzione specifica e delineano ulteriori ipotesi per analogia. Così il diritto romano
riuniva il ius. L’interpretatio diventa fonte di produzione del diritto. I romani sostengono
che i giuristi non creano nulla di nuovo, ma realizzano quelle norme che sono nel diritto
a livello latente.
Accanto all’interpretatio Cicerone ci parla delle sentenze dei giudici privati. Cicerone ce
ne parla perché creano diritto in modo indiretto. Quano un iudex privatus dà una nuova
sentenza che interpreta una norma già esistente, questa interpretazione diventa prassi
e diventerà una nuova norma giuridica. Nel ’93 a.C Curio era stato citato in giudizio
dagli eredi ex lege di un certo Caponio. Caponio aveva scelto come erede pupillare
Curio se il figlio di Caponio non avesse raggiunto la maggiore età. Morto Caponio senza
figli Curio si impossessa delle cose. Gli eredi chiedono giudizio, perché nel caso non
fosse nato nessun figlio, il diritto indicava come eredi gli eredi ex lege. Vinse Curio e per
la prima volta fu introdotto l’aspetto della volontarietà. Nei casi di atti di ultima volontà
prevale sempre la volontà del testatore. Questa norma diventa norma giuridica.
L’ultimo elemento è l’equità, che è un principio riformatore di tutta la realtà romana.
Criterio rispettato per creare nuove norme. Dall’esame delle affermazioni possiamo
trarre un bilancio. Abbiamo fonti in senso tecnico e fonti di produzione in via indiretta.
Sono fonti di produzione tecniche i mores, la legge delle XII tavole, le leggi comiziali, i
plebiscita, l’interpretatio prudentum e gli editti dei magistrati. Sono fonti di produzione
indirette i senatus consulta e le sentenze dei giudici privati. Dal punto di vista storico
Roma è rimasta all’espansione fino al Mediterraneo, Roma ha cercato comunque di
rimanere città stato. È ricorsa a foedera e annessioni. Questo ha portato Roma a
diventare un impero, dall’altra ha creato notevoli problemi interni. Gli uomini per anni si
sono dedicati alle guerre, trascurando Roma. Questo ha provocato impoverimento delle
campagne; il fenomeno del latifondismo tornò a farsi vedere. Le persone più ricche vista
la mancanza di uomini con la forza hanno tolto alle donne i pochi appezzamenti di
terreno dei cittadini. Ha fatto uso indiscriminato degli schiavi, che se da un lato avevano
grandi conoscenze tecniche per operazioni importanti (banchieri, medici) dall’altro ha
fatto si che lo schiavo diventasse una res scambiabile. Questo uso indiscriminato ha
portato all’impoverimento della classe medio bassa e ha aperto la strada per una nuova
e profonda crisi sociale, sconfinata nel continuo flusso a Roma di gente affamata.
Questo stato di degrado è quello che ha visto Tiberio Gracco: tornato in città dopo un
viaggio in Toscana, Tiberio si è fatto eleggere tribuno per dare vita ad una riforma
agraria. Prima cosa che fece fu di far votare la prima legge agraria, che chiedeva
l’applicazione della legge “de modo agrorum” che era una delle leggi Luciniae Sextiae.
Questa stabiliva un limite di 500 jugeri di terra. Chiede un correttivo, chiedendo che il
limite preveda l’assegnazione di 250 jugeri al primo dei figli, e 250 al secondo, in modo
che ogni famiglia potesse avere 1000 jugeri. Tutta la terra eccedente deve essere
confiscata e ridistribuita fra coloro che hanno meno di 1000 jugeri. Per questo Tiberio
Gracco nomina un triumvirato, per scoprire la quantità di terra di ciascuna famiglia e
ridistribuire gli eccessi e risolvere eventuali problemi. Questa legge viene approvata, ma
la legge non piace alla nobilitas, che tenta di eliminare il potere di Tiberio istigando
tramite l’intercessio l’opera di Tiberio. Questo tentativo fallisce. Nel frattempo muore
Attalo re di Pergamo e lascia tutto il suo regno al popolo romano. Attalo era legato alla
famiglia dei Gracchi, e Tiberio chiede che il tesoro di Attalo venga distribuito fra i poveri
romani. Questa nuova iniziativa non piace alla nobilità. Il senato decide di votare il
senatus consultum ultimum, che viene usato per la prima volta e consiste nell’abolizione
totale delle garanzie istituzionali, con l’incarico ai consoli, in forza del loro imperium
militare, di eliminare il nemico della civitas. Uno dei consoli non accetta e non vuole
uccidere Tiberio. L’ultimo espediente riesce: il pontefice massimo, in forza di una norma
desueta ma mai abolita arma un gruppo di cittadini che devono combattere contro il
nemico pubblico. Si ha uno scontro fra fazioni diverse in cui Tiberio Gracco muore. Il
movimento della plebe però non cede. E dopo 10 anni riesce ad avere un nuovo capo
carismatico, Caio Gracco. La fazione dei popolari ha un nuovo capo: si fa eleggere
tribuno della plebe e cerca di portare a termine l’opera del fratello, con un nuovo
triumvirato. Emana poi una serie di leggi che servono ad aiutare la classe meno
abbiente: fa approvare una legge frumentaria, che preveda la distribuzione gratuita al
popolo di olio e frumento. Fa votare poi una legge che è lex Acilio rapetundarum, che
toglie potere ai senatori di decidere su azioni che riguardano il malgoverno dei
governatori provinciali. Fa poi votare una legge sul diritto di vita e di morte per i cittadini
romani. Una legge che prevede la possibilità per il cittadino romano condannato a morte
di scegliere l’esilio. Anche in questo caso il senato comincia ad osteggiare Caio Gracco,
ma questi ha creato una forza politica coerente ed omogenea che lo sostiene. Prima
che il senato possa operare fa approvare una legge contro l’iterazione del tribunato
(cioè lo stesso tribuno poteva essere rieletto). Ma in questa politica si inserisce un
evento imprevedibile: gli italici, privi della cittadinanza romana, avanzano delle pretese.
Caio Gracco fa una nuova proposta: chiede che venga cocnessa ai latini la cittadinanza
romana e agli italici gli ius latii (diritti di tutti i latini). Una parte della plebe viene
fomentata dicendo che se questa proposta verrà approvata la plebe sarà danneggiata.
Ci sarà quindi divisione fra la stessa plebe. Lotta che finisce in un tumulto nel quale
muore Caio Gracco. La strada aperta da Caio porta al costituirsi a Roma di due nuove
fazioni: populares da una parte e optimates dall’altra. Populares sono coloro che stanno
dalla parte dei ceti meno abbienti. Gli optimates rappresentano la nobilitas, cioè la
classe patrizia e dei più ricchi. Da questo momento gli anni della repubblica saranno
caratterizzati dalla lotta fra questi due partiti. Sarà il primo passo verso la caduta
definitiva del regime repubblicano. In questo clima si inserisce la figura di un homo
novus, Mario. Nel momento in cui i romani si trovano a combattere contro Giugurta, re
della Numibia, mandano un uomo forte come comandante militare. E dopo aver eletto
console Mario, lo mandano a combattere Giugurta. Mario torna vincitore e forte di
questo suo nuovo potere introduce due nuove innovazioni. Nella costituzione, perché
istituisce un esercito di volontari. L’esercito è ora costituito da soldati pagati e possono
spartirsi il bottino di guerra e hanno diritto ad avere delle terre. I soldati non sono più
mossi da senso civico, ma dal desiderio di soldi, ricchezza e dal rispetto per il loro
comandante. Mario fa poi votare un’altra legge agraria. Una legge che prevede che le
nuove terre conquistate siano anzitutto assegnate ai veterani e poi se ne rimane,
spartita fra gli altri cittadini romani. In questa operazione è aiutato da Silla. Mentre Mario
rappresenta il partito dei popolari, Silla è l’uomo degli optimates. E gli ottimati
approfittando di una battaglia fuori Roma di Mario danno il consolato a Silla e ordinano
a Mario di consegnare le legioni. Mario però forte dell’appoggio dei suoi veterani non
accetta e per la prima volta entra a Roma un console con le legioni. Si ha lo scontro
diretto fra due fazioni. Nello scontro esce vincitore Silla e istituisce per la prima volta
una dittatura senza termine. Prende la scusa di dare nuove leggi alla repubblica e una
nuova costituzione. Diventa dictatura le gibus scribundis e rei pubblicae costituende”.
Forte di questo potere abolisce alcune garanzie. Elimina la possibilità per i tribuni di fare
intercessio. Toglie ai concilia plebis tributa la possibilità di fare plebisciti con valore di
legge. È il capo assoluto dello stato. Dà vita a numerose proscrizioni. Dà potere al
senato aumentando a 600 il numero di senatori e facendo eleggere come senatori solo
ed esclusivamente persone del suo partito. Questo per riportare al vecchio splendore
senato e nobilitas. Tanto che nel 79 a.C, una volta che ritiene di aver concluso la sua
opera, si ritira dalla vita politica e riesce a vivere ancora un anno giusto per veder
crollare tutto quello che aveva posto in essere. Vengono restaurate le antiche garanzie
istituzionali che però non sono quelle del III, II secolo, perché nel frattempo c’è stata
anche la guerra italica che si conclude con la concessione della cittadinanza romana
agli italici, cambiando la configurazione della civitas, facendo crollare il modello della
città stato. Si va sempre più verso un impero guidato da un uomo solo e porteranno al
principato tre figure; Pompeo, Cesare e Ottaviano.
Nonostante il grande sforzo di Silla, subito dopo il suo ritiro il suo operato va in frantumi.
Si ritorna ad un assetto simile a quello antecedente alle lotte civili. Obiettivo è far
prevalere l’interesse personale. Caduto l’astro di Silla nasce quello di Pompeo,
sostenuto dagli ottimati. Diventa console nel 70 e poi princeps rei publicae. Una volta
divenuto princps rei publicae gli viene data la potestà proconsolare e poi l’imperium su
tutte le province romane. Vengono cos’ create nuove magistrature e in più si danno
poteri enormi ed illimitati ad un unico soggetto. Questo fa si che gli animi dei romani si
preparino gradualmente al cambio istituzionale. Nel 52 gli viene affidato il consolato
sine collega; soprattutto emerge e spicca la figura di Cesare. Sarà lui che preparerà il
terreno definitivo per il nuovo assetto costituzionale. Cesare nel 60 a.C insieme a
Pompeo e Crasso dà vita al primo triumvirato. Primo triumvirato che è solo un accordo
privato fra cittadini per la spartizione del potere. Subito dopo, nel 59 a.C Cesare viene
eletto console e propone subito una serie di leggi, dette leggi Giulie nella quali una è
particolarmente importante. Una nuova legge agraria. È la prima legge agraria che si
preoccupa veramente dell’economia rurale e contadina. Cesare per la prima volta si
occupa della terra. Dopo aver fatto votare questo gruppo di leggi, i tre uomini del
triumvirato si spartiscono le aree di competenza. Cesare viene mandato in Gallia a
combattere Cibri e Teutoni; Pompeo in Spagna e Crasso in Siria per sconfiggere i Parti.
I due personaggi forti sono però Cesare e Pompeo. Quando nel 53 Crasso muore
durante una delle battaglie la lotta fra Pompeo e Cesare si verifica sia sul piano politico
che militare. Pompeo si trova a Roma, è rappresentante della nobilitas e forte del loro
appoggio fa votare una legge, che impedisce a coloro che sono fuori da Roma di
postulare le magistrature. Come conseguenza viene chiesto a Cesare di restituire le
legioni e l’imperium. Cesare si sente offeso e quindi nel 49 varca il Rubiconde e dichiara
guerra a Pompeo e agli optimates che Pompeo rappresenta. Nel 48 nella battaglia di
Farsalo Cesare sconfigge definitivamente Pompeo e rientra a Roma come uomo forte e
incontrastato e inizia la sua politica di restaurazione di una monarchia di tipo ellenistico.
Basa il suo regime da un lato sul terrore (proscrizioni) e sulla clemenza rivolta verso gli
ex pompeiani che hanno deciso di redimersi. Si fa poi nominare console, poi dittatore; si
fa concedere l’inviolabilità tribunizia pur senza essere tribuno. Si fa assegnare una
dittatura per 10 anni. Fa istituire una nuova legislatura che è molto simile alla censura e
infine si fa dichiarare dittatore a vita. Esautora i poteri del senato e delle magistrature.
Porta a 900 i senatori e fa eleggere in senato tutti gli uomini nuovi (che appartengono
alle province, quindi ai peregrini). Poi nello stesso anno nomina più coppie di consoli,
per trasformale il consolato in una carica onorifica. Dal punto di vista legislativo dà un
codice scritto di leggi, immutabile. Questo corpo di leggi che non verrà finito nasce per
togliere potere ai giuristi e ai magistrati. Si fa poi conferire l’imperium a vita e fa in modo
che sia trasmissibile per via ereditaria. Fa poi un testamento, per assicurare la sua
successione: nomina suo figlio Ottaviano erede universale. L’unica prerogativa che gli
manca è il rapporto con la divinità, cioè di essere diventato monarca per potere divino.
Già aveva convinto la popolazione di essere discendente di Enea. Prima di farsi
divinizzare vuole però sconfiggere definitivamente i Parti. Il suo intento non riesce. Il
senato per scongiurare questa trasformazione arma la mano ad alcuni congiurati e alle
idi di marzo del 44 viene ucciso. La monarchia di tipo ellenistico non prenderà quindi
corpo, ma la costituzione del nuovo sistema è il modello seguito poi anche da
Napoleone e dal Kaieser. Dopo le idi di marzo eredi politici di Cesare sono due suoi
fedelissimi generali, Antonio e Lepido. Già si pone il problema di chi si affermerà, ma la
situazione si complica perché l’eredità dovrà essere trasmessa al figlio adottivo di
Cesare, Ottaviano. Ottaviano è però il più intelligente dei tre, e nonostante la giovane
età riesce nello stesso tempo a non scontentare il senato e a non creare dissidi fra
Antonio e Lepido. Dà vita al secondo triumvirato, ma mentre il primo era in accordo fra
privati, il secondo è una vera e propria magistratura. Tramite un plebiscito i tre uomini
vengono istituiti triumviri rei publicae costituende. Nel 43 vengono insigniti di questo
potere. Dure cinque anni, con lo scopo di riformare la costituzione repubblicana. In
realtà i tre triumviri non portano avanti questo compito se non per ottenere più potere. Si
spartiscono le aree di influenza. A Lepido viene dato solo il governo delle province
d’Africa. Ad Antonio tutte le province d’oriente e ad Ottaviano tutte quelle d’occidente
compresa Rima. Conclusosi il primo triumvirato nel 37 a.C si dà vita ad una riconferma
del triumvirato con effetti retroattivi. Ottaviano comincia a diventare impaziente e fa
pressione su Lepido: nel 36 toglie a Lepido le province d’Africa dandogli solo il ruolo di
pontefice massimo. Ottaviano si fa poi riconoscere l’inviolabilità tribunizia. Intanto in
oriente Antonio non combatte e si occupa di Cleopatra: questo fa si che Ottaviano
faccia un’altra manovra: fa testamento e il suo testamento è conservato dalle vestali. Fa
rubare il testamento dalle vestali e ne dà pubblica lettura. Antonio nel suo testamento
ha lasciato come eredi i figli avuti da Cleopatra. In forza di questo testamento Ottaviano
manipola la realtà facendo passare la voce che vuole Antonio intenzionato a creare un
regno con capitale Alessandria. Questo provoca la reazione delle province occidentali e
di Roma. Le province giurano fedeltà al loro comandante e gli prestano tutto il
necessario per combattere il nemico. Ottaviano è legittimato a muovere guerra contro il
nemico. Ma Ottaviano agisce d’astuzia. Non fa dichiarare guerra contro Antonio, non
vuole una guerra civile. Fa dichiarare guerra a Cleopatra, all’Egitto. Farà fare questa
dichiarazione ai feriali e nel 31 a.C con la battaglia di Azio Ottaviano sconfiggerà
definitivamente il nemico. Antonio e Cleopatra si suicidano e l’Egitto diventa una
provincia romana. Ottaviano è solo, padrone incontrastato della civitas romana e inizia
la sua opera di trasformazione del sistema costituzionale. Lo fa in tre fasi. La prima va
dalla battaglia di Azio al 28 a.C, dove sulla base delle macerie di Roma sconvolta dalle
guerre civili deve fondarsi e ricostruirsi e attiva una politica per consolidare i confini
dell’impero romano. Poi dal 27 al 23 trasforma il regime repubblicano, e lo trasforma
dall’interno. Fa che tutto rimanga inalterato nella forma ma che cambi nella sostanza.
Formalmente non c’è alcuna differenza ma in realtà è tutto modificato. Poi c’è la fase
dal 23 al 235, fase del principato. Nel 42 è stata emanata una legge che prevedeva che
anche le donne romane dovessero pagare le tasse, dei tributi a scopi bellici. Questo
provocò una reazione, determinata da un motivo pratico. Le donne erano escluse dalla
vita politica quindi non capivano perché non partecipando alla civitas dovessero pagare
dei tributi. Approvata questa legge le donne cercarono un oratore che patrocinasse la
loro causa, ma non trovarono nessuno. Quindi una di loro, Ortensia, la figlia di Ortensio
Ortalo (uno dei più grandi oratori romani) si recò dai triumviri sostenendo questa causa
con un’orazione semplice ma persuasiva: noi paghiamo le tasse solo se siamo
ammesse ai diritti politci. La motivazione delle donne, che si concluse con l’esenzione
del pagamento, è una motivazione utilizzata sia nel 1770 (rivolta del te) sia nel 1775
(rivoluzione americana). Questo ha fatto si che gli uomini romani si accorgessero del
vuoto legislativo dato dal fatto che nessuno vietava alle donne di fungere da avvocato.
Fino a quel momento il rispetto della pudicizia non aveva fatto notare la cosa. Questo
vuoto doveva essere colmato e fu fatto il divieto di postulare pro aliis e il divieto per le
donne di ricoprire uffici pubblici. Le donne romane non potranno mai essere curatrici, fu
vietato dalla legge. C’è una prima fase nella quale Ottaviano cerca di ricostruire Roma;
riappacifica l’impero sedendo le rivolte delle popolazioni conquistate, sia le guerre
interne, sia sconfiggendo i pirati. Dopo aver sedato queste rivolte Ottaviano si dedica
alla trasformazione del regime, che avviene in modo graduale. Sappiamo ciò tramite la
lex gestae devii augusti (la sua autobiografia). Essendo stato nominato princeps
senatus convoca il senato perché approvi ciò che lui vuole. Fa approvare questo senato
consulto che ha forza di legge e che attribuisce poteri ad Ottaviano.
Nel 527 Giustiniano sale al potere nell’impero romano d’oriente. Si trova in un regno
estremamente ellenizzato, di cultura greca. Gli intenti di Giustiniano sono di far rivivere
l’impero romano, sia dal punto di vista territoriale che del diritto. Dal punto di vista del
diritto dà vigore al diritto romano. Dal punto di vista militare riconquista l’Africa, Spagna
e l’Italia. Dal punto di vista legislativo inizia un’opera, il corpus iuris civilis. Grande opera
legislativa che si compone di 4 parti. Una prima parte è il primo codice, cioè una
raccolta di leggi. Una volta raccolte si dedica agli iura ed emana il digesto. Emana poi le
istituzioni, manuale per la didattica, aborga il primo codice e lo sostituisce con un
secondo codice a noi pervenuto, e poi inizia la stesura delle novellae istitutiones.
Appena salito al potere giustiniano si rende conto che c’è un gran numero di
costituzioni: elegge quindi una commissione con il compito di raccogliere tutte le
costituzioni appartenenti al codice gregoriano e di includervi anche le costituzioni
successive. Questo lavoro deve essere fatto attraverso direttive particolari. Emana una
prima costituzione, nella quale da compiti alla commissione; questa costituzione è haec
quae necessarie emanata nel 528. con questa costituzione Giustiniano impartisce
direttive: ordina di eliminare le costituzioni inutili, le contraddizioni delle varie costituzioni
e di attuare modifiche alle costituzioni. In meno di un anno la commissione termina il
lavoro e nel 529 viene emanata una costituzione che dà vigore al codice, C.Summa rei
publicae. Giustiniano ribadisce le costituzioni dei suoi predecessori (in tutte le
costituzioni c’è sempre un richiamo a Dio e alla provvidenza). Giustiniano decide di
raccogliere la giurisprudenza classica in un’unica opera: questa decisione è presa per
trasformare l’opera della giurisprudenza classica in diritto vigente. La commissione si
allarga e vengono emanate una serie di costituzioni per impartire le direttive necessarie
per dare vita a questa nuova opera, il digesto (o pandette). Emana quindi 50
costituzioni, ed emana poi la costituzione con la quale formalmente predispone la
costituzione di una nuova opera, deo autore, riassumendo le 50 costituzioni (raccolgono
tutti gli originali e i loro commenti e li esaminano. Fatto questo ai compilatori viene dato
il potere di eliminare tutto quello che è inutile. Compito di modificare e correggere tutto
quello che non va, aggiungere ai testi classici frasi o istituti che si sono aggiunti poi).
Giustiniano da la possibilità di applicare delle interpolazioni. Dice anche come dovrà
essere formulato questo testo: formato da 50 libri divisi in titoli, a loro volta divisi in
frammenti. Poi i medioevali hanno diviso i frammenti in paragrafi (principium il primo,
1,2,3,4…i successivi). Dà un’altra direttiva, cioè raccoglie per argomento il materiale e
ogni titolo conterrà una serie di frammenti che riguarda un aspetto particolare di
quell’argomento. Questo ha fatto si che uno stesso passo fosse inserito in momenti
diversi: si parla in questo caso di leges geminatae. Un’altra indicazione è quella di
lasciare sempre la paternità del frammento, ossia il nome del giurista da cui è tratto il
frammento. Nel digesto sono presenti 39 giuristi. La prevalenza dei passi è per Ulpiano:
almeno un terzo dell’opera. Questo lavoro viene fatto in meno di tre anni, tanto che nel
533 viene emanata la Tanta (o Dedoken). La prima teoria è quella del Blume: i
compilatori giustinianei avrebbero diviso il amteirale in 4 masse: una conteneva gli scritti
dei giuristi classici che commentassero lo ius civile. Una seconda massa che contiene
opere di commento all’editto. Una terza che contiene opere di commento all’opera di
Papiniano. E una quarta, detta appendice, che contiene tutto quello che non poteva
essere contenuto nelle altre 3 masse. La commissione si sarebbe poi divisa, in modo di
curare ciascuna una massa. E alle fine si sarebbe data origine ai 50 libri. C’è un’ipotesi
che parla dei pre-digesta i compilatori avrebbero preso dalle opere già esistenti in cui
autori post-classici avevano già raccolto le opere di giurisprudenza ancora vigenti. I
compilatori dovevano quindi solo correggere quest’opera per dare origine al nuovo
codice. Sicuramente hanno diviso l’opera in masse, ma non si sono divisi in sotto-
commissioni, ognuno si occupava di un argomento. Ogni compilatore si occupava di
certi argomenti. Fatto questo lavoro avrebbero poi creato il digesto. Giustiniano ritiene
che le istituzioni di Gaio siano superate: decide quindi di dare incarico ad una
commissione di compilare un nuovo manuale di istituzioni privato. Non è un puro e
semplice manuale, ma sono manuale e legge: con la costitutio imperatoriam
maiestatem pubblica questo nuovo manuale. Nelle istituzioni giustinianee non sono
contenuti solo passi di Gaio, ma di altri, fra cui Ulpiano e Fiorentino. La modifica
principale sta nel fatto che contrariamente al digesto non c’è alcun cenno sui nomi dei
giuristi: sono scritte in prima persona. Essendo un manuale per studenti riguarda il
diritto vigente. Giustiniano, con una costituzione, la Omnem, crea una riforma
universitaria. Gli studenti devono studiare le istituzioni di giustiniano al primo anno e poi
le altre opere del corpus iuris civilis. Abroga poi il primo codice e ne emana un
successivo, la constitutio cordi, che emanava un nuovo codice. Ha dato vita quindi alla
raccolta delle novelle. Le modifiche apportate riguardano anche le vecchie costituzioni.
Giustiniano ha poi vietato di commentare la sua opera, quindi digesto, codex e
istituzioni. Ma il divieto non fu poi rispettato.
Le novellae sono iniziate dopo la pubblicazione del secondo codice. Ogni sei mesi le
costituzioni dell’imperatore venivano emanate per esigere le novellae costitutiones. Ma
nessuno raccolse tutte le novellae, nessuno si dedicò alla raccolta; ci furono solamente
raccolte private, fra cui quella Epitane Iuliani, di 122 novellae e l’Autenticum, che ne
conta 128.
Diritto criminale.
I romani distinguono tra crimina e delicata: questi portano a conseguenze particolari. I
delicata sono sanzionati con la vendetta privata. I crimina sono puniti dallo stato con il
potere/dovere di sanzionare gli specifici crimini. I romano non distinguevano i crimini, li
raggruppavano a seconda dalla sanzione comminata. Vengono distinti tre tipi di
supplizio. Una prima categoria detta scelus espiabile. Qui rientrano gli illeciti puniti con
un “piaculum”. Una seconda categoria riguarda i crimini puniti con la sacertà, che
comporta la consecratio del colpevole. Questa sanzione riguarda gli atti illeciti che
minano la pace con la divinità. Vi è poi una terza categoria, che vengono puniti con la
pena di morte. La pena di morte aveva triplice funzione e a seconda del delitto veniva
utilizzata. Funzione espiativi; doveva lavare l’onta e l’inimicizia creata fra uomini e
divinità offesa. Funzione di castigo, all’interno delle casa da parte del pater familias e
comminata dal rex. E poi funzione di vendetta privata, pubblica. Vediamo ora i reati per
cui è richiesto il “piaculum”: si tratta di reati che offendono la famiglia. Prima di tutto
commette tale reato la concubina che si reca all’altare di Giunone a pregare e tocca
l’altare (questo perché Giunone rappresenta la moglie legittima e il suo altare può
essere toccato solo da moglie legittima). Per espiare la sua colpa deve sacrificare un
agnello alla divinità. Altro reato è commesso dalla vedeva che si risposa prima della fine
dell’anno di lutto. Deve sacrificare alla divinità una mucca gravida. Un altro reato che
deve essere pagato è quello del marito che ripudia la moglie senza giustificato motivo
(legittimato solo se la donna ha bevuto vino o se commette adulterio). Deve fare
un’offerta alla divinità e l’altra metà alla moglie ripudiata. Quindi si parla di morte civile.
Ci sono poi i crimini che vengono puniti con la sacertà. Primo la violazione dei confini
(che erano sacri). I confini potevano essere modificati solo tramite un cerimoniale
religioso anticipato dagli auspicia. Per quanto riguarda i confini pubblici non si potevano
restringere le mura della città, solo allargare. Questo fa si che chi viola i confini mini la
pace sociale fra le comunità e la divinità preposta ai confini. Un altro reato in questo
modo espiabile è quello del figlio che percuote il genitore. Il pater familias percosso
deve porre in essere la “ploratio”, cioè deve urlare a gran voce per farsi sentire dai
vicini, che possano eventualmente testimoniare in un processo. Inoltre i romani
credevano nella magio e la ploratio aveva quindi funzione di maledire il soggetto che
percuoteva il pater familias. Un altro caso punito con la sacertà è il caso di colui che
espone il figlio deforme senza aver chiamato a raccolta i 5 vicini; se non li chiama a
raccolta viene punito. In questo caso non solo consecratio capitis ma anche bonorum. Il
soggetto viene espulso dalla civitas, viene allontanato dalle mura e consacrato alla
divinità che ha offeso. Uscito dalle mura il soggetto non è più protetto e chiunque può
ucciderlo impunemente, ma lo stato non punisce l’uccisore. Ci sono poi crimini puniti
con la pena di morte. Pena di morte con funzione espiativi. Sicuramente il crimine più
grave è la perduellio, reato di alto tradimento delle istituzioni rege. Usurpazione dei
poteri del rex o del pater familias. In questo caso abbiamo l’applicazione della lex
orrendi carminis: secondo tale legge il colpevole di perduellio doveva essere sospeso
ad un albero infelice con il volto coperto. Una teoria dice che questa consisteva
nell’impiccagione, un’altra nella crocifissione (esclusa perché la legge fa riferimento alla
corda, che non viene utilizzata nella crocifissione. Questa consisteva nel legare a due
pali il condannato e lasciarlo morire di stenti e a seguito dei morsi delle bestie. Questa,
di origine greca viene apprezzata dai romani, che frustano il condannato e poi lo
inchiodano alla croce). (le pene di morte variavano anche a seconda del soggetto che
avesse commesso il delitto). Un’ultima teoria parla della fustigazione a morte. Veniva
legato ad un palo, coperto sul volto e frustato fino alla morte. Doveva essere legato ad
un albero infelice (alberi che non producevano frutto o alberi che erano diventati infelice
a causa dell’impiccagione di qualcuno). Altro reato punito in questo modo era il caso si
furto notturno di messi. Colui che rubava dal campo del vicino le messi pronunciando
parole magiche doveva soggiacere alla suspendio, ossia fustigazione a morte legato ad
un albero che si trovava nel bosco sacro di Cerere.
Un altro reato punito così è l’unione sessuale con una vestale. Se scoperti la vestale
veniva vivisepolta e il suo amante punito con la sospensione all’albero infelice. Oltre alla
pena di morte espiativa è la precipitazione dalla rupe Torpea (questa era la figlia del
custode della città e fece entrare Tito Tazio in città: compiuto tradimento ma non
perduellio. La punizione le è stato inflitta da Tito Tazio che l’ha gettata dalla rupe). Tutti
coloro che si macchiano di tradimento grave subiscono la pena della precipitazione. Il
problema è: quale funzione ha? È una pena di morte o una scommessa con la divinità?
Probabilmente un’ordalia (scommessa). Spettava alla divinità giudicare se la persona
era colpevole oppure no.
Un altro modo di messa a morte è la pena ullei, cioè la pena del sacco. Coloro che si
macchiavano di parricidio. Commetteva parricidio anche colui che uccideva un patrizio
(non solo un parente). La pena espiativi comminata ai parricidi era particolarmente
cruenta e particolare: doveva indossare zoccoli di legno, per non contaminare la
collettività; doveva avere un cappuccio, per non farsi vedere. Doveva essere chiuso in
un sacco insieme ad alcuni animali (cane, gallo, vipera, scimmia). E poi viene gettato
nel Tevere. Il cane perché era considerato feroce, nemico dell’uomo. Il gallo, anzi il
cappone che essendo castrato è più cattivo: vipera, perché i figli della vipera se non
riescono ad uscire uccidono la madre; scimmia perché è simile all’uomo e perché ama i
suoi piccoli al punto che spesso li soffoca in un abbraccio mortale.
Pena di morte come castigo si divide in castigo inflitto nelle case e castigo inflitto in
città. Quello nelle case è caratterizzato del problema su come regolare il potere
coercitivo del pater familias. Come regolare dunque questo potere punitivo? Essendo il
potere punitivo del pater familias più antico di quello coercitivo dello stato ha deciso di
lasciare al pater familias il potere di punire, se punire i sottoposti o delegare alla civitas
il compito di mettere a morte i propri sottoposti. La civitas non sembra preoccupata di
stabilire in quali casi il pater familias possa uccidere: esistono però la legge di Romolo,
nella quale viene stabilito che il marito può uccidere la moglie se adultera o ubriaca. Il
problema è capire come mai la civitas che ha deciso di non stabilire un catalogo di reati
abbia evidenziato i casi nel quale il marito possa uccidere la moglie (l’unico matrimonio
possibile è quello in cui la donna esce dalla patria potestas del padre per entrare in
quella del marito o del padre del marito). Stabilisce questi casi perché la donna non
perde completamente i legami con la vecchia famiglia tanto che il pater familias della
figlia può decidere di uccidere la figlia adultera e di sciogliere il matrimonio. Il pater
familias della donna può scegliere quindi di sciogliere il vincolo. Per evitare i conflitti fra
le due parti Romolo statuisce espressamente i casi nei quali il marito può uccidere la
moglie. Può uccidere la figlia anche se non si sposa vergine. Quali sono le pene inflitte
alla donna? Morte di inedia, vivisepoltura. Analoga sorte spetta alle vestali (il loro capo,
colui che svolge il ruolo di pater familias e il pontefice massimo) contrariamente alle
donne comuni la vivisepoltura delle vestali, queste sono accompagnate da segni
esteriori. La vestale macchiata da questa colpa deve essere alla luce di tutto il popolo,
che deve essere informato. La donna romana può trovare la morte anche tramite il
loqueum, cioè morte per strangolamento, che era considerato un privilegio riservato ad
alcune categorie di persone, donne e uomini particolarmente valorosi, o se per motivi
politici non fosse stata possibile l’esecuzione pubblica dell’uomo. La morte più utilizzata
è comunque la morte per inedia, che è considerata morte dolce, non cruenta. Ma il
castigo nelle case non viene irrogato solo alle donne, ma anche nei confronti dei figli
familias. Mentre nel caso delle figlie la situazione è più semplice, ora le cose si
complicano, perché esistono due tipi di capacità giuridica; di diritto privato e pubblico.
Privato è riservato al pater familias, pubblico tale che tutti coloro che hanno raggiunto la
maggiore età possono rivestire cariche pubbliche. I romani risolvono il problema
dicendo che vale lo ius puniendi del pater familias, che ha priorità in quanto più antico.
A questo punto il pater familias può comunque decidere di affidare la questione allo
stato. Il figlio di famiglia viene ucciso a frustate se la punizione è eseguita a casa. La
punizione da parte della civitas: che il re possa castigare è provato dal fatto che il re
essendo sommo magistrato ha potere di coercitio e l’applica nei confronti dei cittadini
per reati particolari. L’applica nei casi di reati militari principalmente nel caso di prodigio
(tradimento col nemico), diserzione, defezione di un alleato, codardia, sedizione,
passaggio al nemico. In tutti questi casi il re castiga facendo ricorso alla decapitazione
con la scure. Ricorre a questo metodo perché le insegne del suo potere (fasci littori)
rappresentano una scure e delle verghe: quindi ricorre al mezzo che simboleggia il suo
potere. La decapitazione infatti è preceduta da fustigazione, che ha funzione di pena
accessoria. Il condannato dopo essere stato fustigato deve camminare per le vie più
popolari della città e subire la passeggiata ignominiosa. La decapitazione con la scure è
però un tipico supplizio regio, perché simboleggia il potere regale. L’ultimo caso infatti
avviene nel primo anno della repubblica (i figli di Bruto si erano macchiati di un tentativo
di restaurazione della tirannide etrusca e vengono condannati a morte; Bruto può
decidere in qualità di pater familias se affidare il compito allo stato, cioè metterli a morte
pubblicamente. Ritenendo la colpa grave e che potesse servire da deterrente li fa
condannare pubblicamente, e vi deve assistere in qualità di console. Questa è l’ultima
messa a morte per decapitazione). Altro esempio è quello che il re, come sommo
sacerdote, infligge agli appartenenti al collegio sacerdotale che si siano macchiati di ius
sacrum. Li castiga ricorrendo alla pena del sacco, che assolve a duplice funzione
perché da un lato è castigo imposto dal re dall’altro è pena espiatoria.
Pena di morte come vendetta: pubblica o privata utilizzata dalla civitas come pena della
civitas stessa. Vendetta pubblica; lo stato funge da vendicatore pubblico dell’offesa
subita. Un caso è quello di Mezio Fufezio. Tullio Ostillio aveva deciso di allearsi con
Albalonga, con Mezio Fufezio, che aveva garantito a Roma il suo appoggio. Questo
però dopo essersi alleato con Roma si allea con le popolazioni nemiche di Roma: ma
Tullio scopre l’inganno e dopo aver sconfitto le popolazioni limitrofe, senza far capire
nulla invita Mezio e i suoi comandanti per festeggiare la vittoria. Tullio rivela poi di aver
scoperto l’inganno e che lo lascerebbe in vita se avesse imparato dalla cosa; ma
conoscendolo lo castiga. Il supplizio applicato consiste nel legare braccia e gambe a
quattro cavalli. Punizione cittadina: la civitas ad un certo punto si rende conto che
lasciare alla vendetta privata la punizione di alcuni comportamenti può sfociare in una
catena di vendette; deve quindi regolamentarle stabilendo i reati in cui è possibile farsi
vendetta da sé. Prende i vendicatori dei soggetti autorizzati a farsi vendetta evitando la
formazione di nuove catene. In quali casi la civitas stabilisce questo potere? Nel caso
dell’omicidio volontario. Lo stato autorizza i parenti della vittima a farsi giustizia. Da
Numa in avanti si conosce la distinzione fra omicidio volontario e involontario. Nel caso
di omicidio involontario colui che ha compiuto il gesto può pagare il fio sacrificando un
animale /duplice funzione: il sacrificio deve lavare l’offesa che la famiglia ha subito e di
pena peculiaria). In quali altri casi è autorizzato a farsi vendetta? Nel caso in cui subisca
furto notturno. Furto diurno compiuto a mano armata. Il soggetto che subisce il furto non
può uccidere il ladro senza aver chiamato i vicini. C’è anche un caso di vendetta
autorizzata che riguarda un delitto, cioè legge del taglione applicata in caso di iniuria,
ossia offesa fisica. Rottura di un arto, di un osso, percosse lievi. Nel primo caso aveva
da parte della famiglia offesa l’autorizzazione statale al ricorso alla legge del taglione.
La legge si limitava a stabilire che ci fosse proporzione fra offesa e reazione. Stabiliva
anche un principio tipico anche del nostro procedimento giuridico che riguarda la
legittima difesa. In tutti questi casi i crimina vengono puniti con pene severissime. Il re
giudicava i crimina. Re che però non sempre riusciva a giudicare da solo, perché
diventavano sempre più numerosi. Quindi la necessità di creare ausiliari che lo
aiutassero nel giudicare reati particolari. Vengono istituiti i diumviri perduellionis e i
questores parricidi (giudicano i casi di omicidio). Questi avevano ampi poteri e
dovevano verificare se l’omicidio era stato compiuto dal soggetto indagato. I diumviri
giudicavano solo in caso di perduellio fragrante. Re diumviri e questori dovevano
svolgere il processo davanti al popolo riunito. L’unico caso senza popolo era quello per
reati compiuti da appartenenti ai collegi sacerdotali, che giudicava in qualità di sommo
sacerdote.
Il diritto criminale in età repubblicana: bisogna dividere l’età in due fasi: dalla nascita
della repubblica fino al II secolo. Poi dal III secolo fino all’avvento di Augusto. Abbiamo
un lento passaggio, graduale. A partire dal III secolo i romano cominciano a dividere i
crimini secondo le varie fattispecie e stabiliscono pena determinate per ogni tipo di
reato con un’unica differenza, perché i soggetti non sono uguali davanti alla legge:
uomini (cittadini romani), donne e schiavi. Il reato a seconda della classe comporta
pene differenti. L’età regia dal punto di vista criminale si distingue tra atti illeciti presi in
considerazione in quanto lesivi dell’autorità: quindi il diritto criminale statale dell’età
regia sul compito di perseguire i reati della pax deorum per gli altri atti o lascia al singolo
la vendetta specificando i limiti che il pater familias incontra nella possibilità di punire i
sottoposti. In epoca successiva si assiste ad una laicizzazione del diritto criminale.
Questo accade per il diritto sostanziale e processuale (diritto sostanziale stabilisce i
precetti…non rubare…; diritto processuale costituito dalle norme che permettono ai
soggetti di intentare una causa e spiega come intentare la causa). E a partire dai primi
anni dell’età repubblicana che si può parlare di diritto criminale e diritto processuale
criminale. Innanzitutto le XII tavole riprendono alcuni reati già tipici dell’età regia:
accanto a questi crimina troviamo anche crimini nuovi, creati dai decemviri o se si tratta
di crimini di cui non c’è pervenuta traccia prima. Primo reato è quello di colui che
patrono o cliente non rispetta i doveri legati a questo rapporto. Secondo i romani il
rapporto di patronato si basava sulla fiducia ed era analogo a quello fra genitori e figli.
Chi non lo rispettava violava la pace con la divinità. Analoghi doveri aveva il patrono nei
confronti del cliente. Nel caso in cui venissero violati questi doveri, ci sarebbe stata la
consecratio ma non solo consecratio capitisi, ma anche la consecratio di tutto il suo
patrimonio. Le XII tavole prendono in considerazione altri precetti: il primo reato magico
introdotto consiste nel danneggiare le messi tramite la pronuncia di parole magiche. La
pena era la suspensio a Cerere. Altro reato di questo tipo è il reato di colui che fa
pascolare il proprio gregge nel campo del vicino. In questo caso la suspensio a Cerere.
Altri reati: il reato che si attua mediante “accentare” e “malum carmen incantare”.
Malocchio contro colui che gli ha fatto un torto. Colui che fa malocchio deve portarsi
davanti alla porta del suo nemico e pronunciare parole magiche per far aprire le porte e
far cadere la maledizione. Il malum carmen incantare consiste nell’incantare con parole
un persona con parole magiche volte al malocchio ma accompagnate da gesti
particolari. Colui che poneva in essere questo reato era armato di una frusta e oltre a
pronunciare parole magiche doveva picchiare il suolo facendo una sorte di minaccia
verso l’obiettivo del malocchio. La punizione era purificativi, suspensio o caduta dalla
rupe. Un reato nuovo è il reato di incendio. Per la prima volta viene previsto questo
crimine. L’incendio della case e dei covoni appoggiati alla casa o nel suo terreno. La
pena in questo caso era il contrappasso, cioè la pena corrispondente al rogo, al
corrispettivo del danno fatto. L’incendiario previa fustigazione viene affisso ad un palo e
bruciato vivo. Prima di fissarlo i romani fanno indossare al condannato una tunica
impregnata di pece o zolfo (la morte sul rogo viene inflitta in particolare in età imperiale
e viene il dubbio che questa sia una giustificazione per permettere il rogo in età
imperiale). Il rogo è pena laica o ha funzione di espiazione? Sicuramente è pena
antichissima: è conosciuta fin da età antichissima (Muzio aveva giurato che avrebbe
ucciso Porsenna e aveva tentato ciò. Porsenna cattura Muzio e il piano non riesce. Per
dimostrare il valore dei romani e che non era una semplice minaccia quella verso
Porsenna decide quindi di far accendere un braciere e di porre la mano sopra al
braciere. Se la mano non si fosse bruciata Porsenna sarebbe stato ucciso in poco
tempo, se invece fosse bruciata si sarebbe vista la perseveranza romana. Da lì Muzio
Scevola, che vuol dire Muzio il mancino). Non solo: i romani e alcuni tribuni della plebe
ricorrono al rogo per uccidere i colleghi che hanno tradito la fiducia della plebe.
Sicuramente i romani conoscevano la pena del fuoco e la usavano spesso (è pena
espiativi perché i covoni sono dedicati a Cerere). Venivano chiamati ambusti, quando
non potevano essere condannati o assolti. Quando un giudice privato si trova in
situazione tale che le prove legali testimoniano la colpevolezza del soggetto e prove
dimostrano la sua correttezza il giudice può dichiararsi incapace di giudicare. Nel
campo criminale il giudice dichiara gli imputati “ambusti”. Le persone così assolte hanno
problemi con la collettività perché possono incorrere nel biasimo della collettività (questi
casi erano frequenti quando le persone compivano vendetta). Viene introdotto il reato
del giudice che non autorizzato si pone in collusione con una delle parti in causa. La
pena per questo reato è la precipitazione dalla rupe; pena laica perché non c’è alcuna
divinità offesa. Viene perseguito per non aver prestato fede ai suoi doveri. La sua pena
deve essere esemplare. Viene introdotto un altro reato, colui che confone le prove in un
processo per vincere la causa. La pena è solo pecuniare. Sono poi previsti altri reati. La
falsa testimonianza: colui che compie falsa testimonianza compie reato grave, che
comporta l’impossibilità di chiamare testimoni in un eventuale futuro giudizio che lo
vedrà come parte e nel divieto di fare testamento. Altro reato compiuto da colui che si
rifiuta di testimoniare. Originariamente chi si rifiutava di testimoniare viene precipitato
dalla rupe, poi invece con una pena pecuniaria. Dopo l’emanazione delle XII tavole la
punizione consiste in denaro. Le XII tavole non si limitano a ribadire i reati: stabiliscono
ulteriori limiti che riguardano la vendetta privata, nuovi limiti sempre più rigorosi. Qui si
pone un problema perché nonostante il diritto sancisca dei limiti alla vendetta privata la
collettività ha visione completamente diversa, soprattutto per quanto riguarda i reati
sessuali. Fino ad Augusto nessuna norma punisce l’uomo che violenta/possiede una
donna protetta; ma questo non vuol dire che restasse impunito, perché era legittimata la
vendetta e a nessuno importava di questa vendetta. Quando si ribadisce che la
vendetta si può effettuare solo per i casi consentiti dalla legge ora ci si può vendicare
sull’amante della donna, anche se la vendetta continua, senza però ricorrere alla morte
ma con pene alternative forse più gravi per l’offensore. Gli adulteri vengono puniti con la
pena del rafano o del muggile. La prima è una pianta piccante; mentre il muggine è
un’anguilla di mare. La pena consiste nella sodomizzazione. Oppure gli tagliavano le
orecchie.
Il diritto romano criminale è quel complesso di norme che lo stato pone in essere per
tutelare interessi superiori, della collettività e prevedono sempre una sanzione affittiva.
Questo succede anche nel nostro diritto moderno. In un ordinamento giuridico avanzato
devono esistere norme penali scritte, che siano conoscibili da tutti i consociati.
L’ignoranza della norma penale non scusa. Un altro elemento di un diritto criminale
evoluto è il fatto che debba esistere un nesso di causalità (a seguito di un’azione deve
verificarsi un evento; solo se a seguito si verifica l’evento esiste il nesso di causalità).
Altro elemento tipico del nostro ordinamento giuridico è il fatto che il soggetto agente
deve essere consapevole di quello che sta facendo. Deve cioè esistere sempre un
criterio di imputabilità. Questo precetto esiste già nella legge delle XII tavole. Prima
delle XII tavole non importava che il soggetto fosse consapevole di quello che stava
facendo: l’importante era la connessione diretta fra azione ed evento che è sufficiente
per integrare il reato. Nelle XII tavole non rimane traccia per alcuni diritti privati (tipo
legge del taglione, per il fatto che ci sia stato danno deve esserci punizione). L’elemento
più importante è sicuramente l’imputabilità (elemento soggettivo del reato). La colpa si
ha nel caso in cui una persona pur consapevole che una certa azione sia rischiosa,
confidando nelle proprie capacità la esegue. Si parla di negligenza. Abbiamo tracce di
questa concezione nelle XII tavole. Una legge di Numa stabiliva che rispondeva di
omicidio colui che commetteva un omicidio coscientemente (questa legge era
necessaria per le vendette, per evitare il formarsi di continue catene). Numa afferma
anche che se viene commesso un omicidio senza volontarietà, l’omicida dovrà
sacrificare un animale. Chi uccide volontariamente un uomo può essere parimenti
ucciso. Altrimenti non è possibile la vendetta. Le XII tavole prendono i due precetti di
Numa e sulla base di questi precetti ampliano la sfera dei crimini che sono dolosi e
colposi. Questa operazione non viene fatta in modo generale. Non possono essere solo
dolosi e colposi perché alcuni reati esistono solo se c’è dolo e poi perché le XII tavole si
occupano di alcuni atti lesivi, non di tutti. Gli altri sono affidati alla vendetta privata.
Distinzione solo per i reati più gravi. Altro caso: incendio voluto o non voluto. Azione
compiuta con dolo (coscienza e volontà) e caso in cui per negligenza o impudenza
(colpa) accada senza che sia voluto. Imputabilità non vuole solo dire distinzione fra dolo
e colpa: implica possibilità di rendersi conto di cosa si sta facendo. Io posso essere
imputabile solo se mi rendo conto di ciò che sto facendo, se sono in grado di intendere
e volere. Sono imputabili solo coloro che sono capaci di agire. Non sono imputabili i
pazzi e i minori (sotto i 10 anni). Nel diritto romano questo è stabilito per legge. Per i
minori che si trovano dopo i 10 anni hanno già capacità di discernere e devono essere
puniti, ma non con la stessa pena con cui viene punito il soggetto adulto. Si distingue
chi commette reato in base a due precetti: se il soggetto è pubere viene sospeso a
Cerere, se invece è impubere spetta al pretore decidere se l’impubere ha capito ciò che
stava facendo. Lo può far fustigare come castigo e condanna gli aventi potestà ad una
pena pecuniaria. L’altro caso è quello di furto manifesto; nelle XII tavole per il delitto di
furto c’è ancora confusione. In alcuni casi i romani considerano furto come crimine, in
altri come delitto. Circostanze aggravanti di un reato: tutte le volte che sottrae un bene
appartenente ad altre persone contro la volontà del proprietario commetto furto. Ci sono
circostanze che possono rendere più grave l’atto illecito: la violenza è la circostanza
aggravante del reato. Distinguevano fra reato base considerato delitto e reato evoluto
definito crimine. Il furto manifesto viene punito dalle XII tavole ma con distinzione: se si
tratta di ladro libero, di impubere, di schiavo. Spetterà al magistrato l’analisi
dell’impubere. Lo schiavo viene precipitato dalla rupe. L’impubere entra nella famiglia
del derubato come schiavo, vi rimarrà per ripagare la pena ma in realtà diventa schiavo
(per i romani erano adulti che era in grado di procreare, quindi erano impuberi adulti).
Distinguevano in infanzia minor e maior. Tutti coloro che sono nell’infanzia minor (tipo 8
anni) non sono imputabili. Se hanno età compresa tra gli 8-12 sono imputabili ma hanno
una pena più lieve di quella data al soggetto adulto. Altra concezione tipica dei paese
europei è stabilire distinzione fra reato perfetto e tentativo solo di reato perfetto. Cambia
il concetto di pena: non ci può essere spazio per la punizione di un tentativo di delitto,
perché non c’è alcuna vendetta; esisterà quando la pena sarà usata come deterrente
per correggere e scoraggiare eventuali tentativi. Questo non significa che non punissero
i tentativi: li punivano come se fossero stati atti perfetti. Esimenti da reato: questa
azione è antigiuridica ma per circostanze particolari io ho compiuto questo atto illecito in
circostanze che giustificano il reato (legittima difesa; conoscono il concetto di legittima
difesa e parecchi casi di omicidio legittimo). L’onore della famiglia è un valore talmente
alto che determinati soggetti della famiglia sono autorizzati alla vendetta. Stessa cosa
nel caso di furto notturno o di furto diurno a mano armata. L’uccisione del ladro è
legittima difesa. La cosa è giustificata dalla paura per l’azione del ladro. In questo
periodo i romani giustificano un altro caso, il consenso dell’avente diritto. Colui che
commette atto illecito con il consenso dell’avente diritto non è punito.
Bisogna stabilire norme processuali per stabilire chi deve eseguire la punizione e in
quali forme e modi bisogna accertare se la persona è colpevole o no del reato. I primi
magistrati romani nascevano dall’imperium del re etrusco. Avendo l’imperium questi
avevano anche la coercitio, che consisteva nella possibilità di irrogare
discrezionalmente multe, pene detentive e pene di morte. Lo stato quindi affida ai
magistrati il compito di perseguire tutti coloro che trasgrediscono ai precetti stabiliti. Ma
il magistrato applica le varie regole in modo discrezionale. Questo fa si che i magistrati
incorrano in problemi legati alla lotta fra patrizi e plebei. I magistrati si vedranno opporre
l’intercessio da parte dei tribuni. Viene posto così un primo principio in base al quale i
magistrati per evitare il veto dei tribuni, prima di irrogare definitivamente le pene di
morte chiederanno consiglio al senato, o concedono al condannato la possibilità di
andare in esilio. Accanto a questo c’è la lotta fra patrizi e plebei, che fa si che si ponga
un precetto in forza del quale nessuno può essere messo a morte se non previo
giudizio dei comizi centuriati. Non solo vengono tutelati i plebei, come in questo caso,
ma anche i patrizi. Nelle XII tavole viene fatto un precetto in tutela dei plebei (in forza
del quale la pena di morte deve essere irrogata dai comizi centuriati) e in tutela di patrizi
(nessuno può essere messo a morte senza un processo fatto da un organo riconosciuto
dalla civitas; i tribuni non erano ancora riconosciuti dalla civitas, quindi i patrizi erano
protetti contro di loro). C’è poi una norma, la provocatio ad popolum. Secondo una
legge, il cittadino condannato a morte in forza della coercitio del senato poteva fare
appello ai comizi perché rivedessero questa condanna a morte. Subito dopo
l’emanazione delle XII tavole una delle leggi Valerie Orazie stabilisce e ribadisce il
divieto per il magistrato di mettere a morte il cittadino che ha provocato. Questa
stabilisce che a partire dal 449 non possono essere istituite magistrature esenti da
provocazione. La dichiarazione di sacertà implicava l’allontanamento dalla comunità e
la possibilità di essere uccisi. Quindi i patrizi che non avevano rispettato i tribuni
venivano uccisi liberamente dai tribuni. La punizione consisteva nella precipitazione
dalla rupe, anche perché non è ancora pena istituzionalizzata ma è anche molto
religiosa, e non cruenta. Il primo episodio di precipitazione ad opera dei tribuni è del
491. In questo periodo c’era stata una forte carestia e i plebei avevano chiesto a
Coriolano di discutere su derrate alimentari gratuite. Coriolano si era rifiutato di
presentarsi davanti ai tribuni e a seguito di ciò Coriolano era stato dichiarato sacer e fu
stabilito che fosse buttato dalla rupe. Noi abbiamo una coercitio magistrale. Il magistrato
ha il potere di emanare ordinanze e di far eseguire i propri ordini e di dare pene si
questi non vengono eseguiti. Per limitare il potere viene stabilita la possibilità di
provocare ad popolum. Accanto a questo principio c’è quello in base al quale nessuno
potrà essere condannato senza regolare processo. Esistono tutte e tre queste norme.
Nel caso in cui il magistrato nell’anno di carica irroghi in forza della sua coercitio una
pena di morte senza rispettare la norma decemvirale, il cittadino condannato può
rivolgersi ai comizi per chiedere giustizia. La coercitio è un diritto di giudicare o no? No.
Quando il magistrato applica la pena di morte in potere della sua coercitio lo fa per il
suo potere di polizia. La coercitio incontra limiti: rientrando nell’imperium la provocatio
vale solo domi, nell’urbe. Si può provocare solo se si sta in città o non oltre i 1000 passi
dalla città. Fuori dal pomerium vige l’imperium militare e il condannato non può fare
nulla. Ci sono poi limiti soggettivi, cioè donne, schiavi, stranieri non possono provocare.
Incontra limiti per il tipo di reati. Siamo in un’epoca in cui dopo l’introduzione della
repubblica c’è stata divisione dei poteri. Il magistrato è sommo magistrato, non capo
religioso della civitas. Quindi un limite della provocatio riguarda i reati compiuti dagli
appartenenti ai collegi sacerdotali. C’è poi un altro gruppo di reati, esenzione della
provocatio per reati di tipo diverso: per chi tradisce la patria (perduellio, prodigo) non
potrà provocare. [nasce qui la distinzione fra diritto criminale normale e militare]. Il
problema è che i tribuni hanno la summa coercendi potestas che comporta la possibilità
di mettere a morte chiunque e quindi il precetto voluto dai patrizi è volto a limitare
questa “potenza” dei tribuni: per questo deve esserci processo. I comizi sono
competenti in tre casi: legislativo elettorale e giudiziario. Stessa procedura per la
convocazione dei comizi con funzione legislativa. Un magistrato convoca i comizi
facendo un ordine del giorno, stabilendo che è il reo o presunto tale e indicando i capi
d’imputazione. Dopo la convocazione ci sono delle contiones, cioè riunioni che seguono
la convocazione e precedono i comizi. Ci sono tre riunioni, dette udienze, nel corso
delle quali il magistrato che ritiene si sia compiuto un illecito svolge la sua accusa. Il
magistrato fa valere le proprie ragioni, spiega le prove a carico dell’imputato, viene poi
data parola all’imputato che si deve difendere solo o con l’avvocato; vengono sentite le
prove in favore dell’indiziato e poi il magistrato emana un decreto, che può essere di
proscioglimento o di condanna. Se sarà prosciolto la quarta udienza non si terrà. Se
sarà condannato si passerà alla quarta udienza, riunione dei comizi che dovranno
esprimere il loro voto. Il processo si divide in due fasi: anquisitio che è la fase istruttoria,
divisa in tre: accusa difesa testimoni e prove pro e contro imputato. Nel caso in cui sia
condannato si passa alla seconda fase, dove i comizi esprimono il loro voto, quindi
giudicano sulla colpevolezza o innocenza e votano nei modi che consociamo. Dapprima
oralmente e poi su tavolette. Alla fine si stabilisce se è stato condannato oppure no: se
è condannato sarà condannato a morte. A questo punto: quale pena di morte? Alcuni
dicono decapitazione con scure, ma è stata tralasciata (cavallo d’ottobre: a Roma
veniva fatta una cerimonia durante la quale venivano decapitati dei cavalli: testa e coda
erano affissi nella reggia in onore a Marte). La teoria che trova fondamento è un’altra:
potevano applicare l’interditio aqua et igni: in forza di questo principio spesso i
condannati a morte avevano la possibilità dell’esilio.
Il termine incesto ha un duplice significato: uno ampio e uno tecnico giuridico. Deriva da
non-castum, quindi tutti gli atti contro il buon costume. In senso tecnico l’incesto è
l’unione sessuale posta in essere fra due persone di sesso diverso legate fra loro da
rapporto di consanguineità o di affinità. L’incesto è legato quindi hai divieti matrimoniali.
La condotta di questo reato è l’unione sessuale fra persone di sesso diverso: in più
sono indicate le persone con le quali si compie incesto; consanguigni, cioè parenti in
linea retta e collaterale (collaterali: fratelli, cugini). I gradi parentela variano col tempo.
L’unione sessuale fra affini viene punita (parenti di un coniuge con l’altro coniuge).
Erano protette determinate donne: quindi si aveva incesto nel caso in cui la donna fosse
sposata (che era anche adulterio) e nel caso in cui una donna non sposata entrasse a
far parte di quel gruppo di donne protette. Non era integrato il reato fra zio e attrice (che
fosse sua parente). La pena prevista era la relegatio, cioè la relegazione in un’isola.
Accanto a questa era stabilita una pena accessoria: alla donna veniva tolto metà del
patrimonio ricevuto in dono e un terzo del patrimonio parafernali, all’uomo metà del
patrimonio. Questa pena poteva essere temporanea. Essendo provvedimento non
assoluto non comportava la perdita dei diritti civili. Introduce poi un nuovo tipo di
processo, la cognitio extra ordinem. Caratterizzata da tre organi competenti in materia
criminale: il principe, i funzionari imperiali e il senato. Bisogna creare corti di giustizia
che permettano al principe di ingerirsi come e quando vuole. Nel momento in cui nasce
il principato nascono i funzionari imperiali (carica ambita dal punto di vista economico e
di carriera). Le persone più colte e preparate iniziarono questa attività a discapito della
carriera dei giudici. Quindi i giudici non saranno così preparati come in precedenza. Un
altro problema è determinato dal fatto che dal punto di vista sostanziale la
giurisprudenza si è evoluta: riesce a stabilire che ci devono essere pene diverse a
seconda della partecipazione al reato. Ha poi concepito l’esistenza di un concorso di
reati, concetto in base al quale mediante un’unica azione è possibile ledere più norme
giuridiche. Si ha concorso formale di reati e bisogna graduare la pena. Io pongo in
essere reati distinti (ex: rubo un quadro: violo il domicilio, rubo). Quando viene
concepita questa possibilità le pene vengono inasprite. Concorso materiale si ha
quando un soggetto per raggiungere uno scopo compie più atti. Era necessario stabilire
una graduazione delle pene. Il rigido schema delle pene per ogni reato deve essere
superato. Questa evoluzione porta al superamento del sistema tipico delle questioni. I
romani individuano poi un altro criterio, la valutazione della pericolosità del reo: più sarà
pericoloso più la pena sarà severa. Questo non è possibile nell’ambito delle questioni
perpetue, che nascono da una legge che stabilisce per ciascun reato una pena fissa. È
quindi necessario che nascano nuove norme. La nascita di questi nuovi organi non è
causato solo da motivi politici, ma anche dall’evoluzione di quelli criminali. Il primo
organo che giudicherà le questioni extra-ordinem sarà il principe. Il principe funge da
giudice non solo per espressa richiesta del privato, ma anche per sua decisione. In
diritto criminale il principe agisce non solo per esplicita richiesta del cittadino ma anche
quando riteneva opportuno; e lo fa in base alla sua auctoritas. Il fondamento giuridico
del principe è la sua auctoritas, ossia dove per la collettività un suo intervento può
essere utile. Non giudica però mai da solo. Il principe è sempre aiutato da un consilium,
che fino ad Adriano sarà composto di volta in volta da persone scelte specificatamente
dall’imperatore fra i suoi amici conoscitori del diritto. Dopo Adriano questo consilium
sarà stabile e formato da giuristi di chiara fama. Il principe può giudicare su qualsiasi
tipo di reato, in particolare su reati di lesa maestà. Avocando a sé molto spesso
processi che sarebbero di competenza del senato (caso tipico è il processo a Ovidio.
Ovidio viene processato per lesa maestà. Non si capisce esattamente cosa abbia fatto.
Si sa però che il suo reato non è stato posto in essere con dolo, quindi non l’ha
compiuto volontariamente, né per colpa dovuta a negligenza. Si tratta di colpa lata.
Questo ci permette di capire che il criterio di imputabilità è molto graduato. Ovidio si è
trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Ha visto qualcosa che non doveva
vedere; la nipote di Augusto che recitava/o insieme ad un uomo. Questo ha fatto si che
qualcuno conoscesse il reato compiuto da una delle donne dell’imperatore. Augusto
dice che si è comportata così dopo aver letto l’ars amatoria di Ovidio. Una sorta di
corruzione indiretta quindi. Il processo dovrebbe avvenire davanti al senato, Augusto
però avoca a sé il potere di giudicare e di porre in essere questo processo. Una deroga
quindi alle normali regole. Ulteriore deroga: nel caso di lesa maestà per persone di
rango elevato la pena è la deportatio e i suoi beni non cambiano di proprietà. Non è
privato dei diritti civili e politici. Una sorte di deroga alla pena ordinaria. C’è quindi una
graduazione della pena. Altra cosa che apprendiamo che pur essendoci delle
competenze per materia il principe può avocare a sé un giudizio criminale. Il principe
poi è anche in grado di giudicare il grado di appello (così come nel processo privato).
Giudica solo nel caso in cui non sia stato giudice di primo grado, e giudica in particolare
le sentenze dei governatori provinciali. Accanto alla cognitio criminis la cognizione
ordinaria spetta ai funzionari imperiali. Sono l’organo competente ordinario. Quando
scompaiono definitivamente le “questioni”, sono competenti anche per i reati che una
volta erano di stretta competenza delle questioni. Questo processo davanti ai funzionari
imperiali è inquisitorio. Ma in maniera diversa da quello dei comizi. Il funzionario
imperiale dà impulso al processo, promuove l’accusa. Ma la notizia del reato può
essere o di cognizione diretta, o nasce da informazioni dell’ausiliario imperiale, oppure
attraverso i delatori. Delatori che in questo periodo non hanno più compito di
promuovere l’accusa e di dare impulso al processo, hanno semplicemente compito di
dare notizia del reato. Questo non significa che la delazione potesse essere anonima. Il
delatore doveva comunque fare la sua denuncia per iscritto e se era infondata poteva
agire in un processo di calunnia. Il funzionario doveva esaminare prima di tutto la
presenza di indizi gravi che permettessero l’inizio del processo. Se c’erano iniziava il
processo e spettava al funzionario l’obbligo di raccogliere le prove (nelle questioni
perpetue le prove erano solo quelle date da accusa e difesa. Ora il compito di reperire
le prove spetta al funzionario). Questi aveva anche il potere di interrogare i testimoni
sotto tortura (nell’altro processo si potevano torturare solo gli schiavi: ora anche i liberi,
purché appartengano a classi basse). Poi emana la sentenza discrezionalmente e
stabilisce la pena più adeguata al caso specifico o concreto. Nel momento in cui il
tribunale trova un’argomentazione dettagliata, il funzionario addetto entro 100 Km dalla
città il processo è dato al prefectus urbis. Stessa cosa nell’ambito criminale. Fino ad
arrivare ad un’argomentazione competa e dettagliata del processo. Questo fine alla fine
del II secolo, dove nascono competenze determinate o regole stabili, fra cui la
competenza specifica del prefectus urbis per crimini compiuti a Roma e a 100 Km da
Roma. In Italia invece è competente il prefetto del pretorio. Il problema è diverso nelle
province. Sicuramente competente è il governatore provinciale, ma il processo ha un
iter leggermente diverso. Ancora in età del principato esiste la provocatio ad popolum; il
cittadino romano può chiedere di essere condotto a Roma e può chiedere di essere
giudicato a Roma. Nel momento in cui scompare questa provocatio scompaiono le
guarantige concesse ai cittadini romani che vivono nelle province: la cittadinanza viene
estesa a sempre più soggetti e diviene impossibile mandare a Roma tutti i cittadini che
vogliono rivedere la sentenza. Viene concessa al governatore la facoltà, la ius gladii,
cioè diritto di mettere a morte con la spada. Gli imperatori conferiscono ai governatori il
diritto di processare e mettere a morte i cittadini romani residenti nelle province. Questa
ius gladii all’inizio viene concessa come diritti a tutti i governatori delle province
senatorie e a partire dal II secolo ormai è diritto di tutti i governatori provinciali. Altro
organo competente a giudicare è il senato, “cognitio senatus”. La competenza a
maggior ragione è estesa al senato in età imperiale. Questo perché il princeps senatus
è l’imperatore. A partire dall’età del principato il senato ha giurisdizione criminale, ma ha
competenza sia per materia sia per determinate categorie sociali. È competente in
materia criminale, nei casi di crimina repetundarum (concussione) ed è competente nei
casi di reati più gravi di lesa maestà. Per quanto riguarda le persone il senato giudica
qualsiasi tipo di reato compiuto dai senatori o dagli appartenenti all’ordine senatorio.
Erano analizzati dal senato perché essendo persone in vista i processi dovevano
essere svolti non pubblicamente. I senatori saranno puniti severamente, salvi i casi di
intervento del princeps.