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.1.
collana
per nubes
.1.
Comitato scientifico
Manuel Boschiero (Università degli Studi di Verona)
Gabriella Pelloni (Università degli Studi di Verona)
Marika Piva (Università degli Studi di Padova)
Marco Prandoni (Alma Mater Studiorum – Università di Bologna)
L’EST NELL’OVEST
a cura di
Manuel Boschiero e Gabriella Pelloni
I LIBRI DI
EMIL
Volume pubblicato con il contributo dell’Università
degli Studi di Verona – Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere
Copyright © 2018
Casa editrice I libri di Emil di Odoya srl
isbn (pdf): 978-88-6680-266-2
Premessa
1
1° gennaio 2011. La popolazione straniera residente in Italia. Istat, 22 settembre 2011,
online sul sito www.istat.it [consultato il 23 febbraio 2017].
al valore di questi numeri per il paese di partenza, in proporzione alle
rispettive popolazioni.
Come vedremo, nell’opera di Carmine Abate l’identità culturale
europea è data dalla storia delle divisioni che hanno accompagnato
e paradossalmente continuano a caratterizzare la convivenza sociale
e culturale nel vecchio continente, dalle lotte fra cristianità e islam, in
particolare dal Quattrocento in poi con i Turchi Ottomani, fino alla
cortina di ferro, a proposito della quale vedremo come Abate interpre-
ta gli sviluppi successivi all’abbattimento di questa frontiera europea
interna.
1. Introduzione storico-culturale
2
Si fa riferimento a tale mito in un’opera di Kadaré del 1976. Cfr. Marco Costantino,
Il mito nazionale nella letteratura albanese da De Rada a Kadaré, in Europa Orientalis,
XIII, 1994, pp. 7-24.
144
solo nel 1992, con la fine del governo di Ramiz Alia, successore di
Enver Hoxha, il dittatore che aveva lasciato il governo nel 1983, dopo
39 anni alla guida del paese. Tuttavia non si trattò di una transizione
facile, dato che la crisi economica e sociale dei primi anni del postco-
munismo proseguì fino all’anarchia albanese del 1997. Fabio Bego, in
un acuto saggio del 2014, rilegge la crisi del 1997, in cui entrarono in
conflitto la parte settentrionale e quella meridionale del paese, con la
dicotomia fra due etnie albanesi, i gegё e i toskё, rispettivamente nel
nord e nel sud del paese. Secondo Bego, il grande errore del naziona-
lismo comunista albanese è stato quello di non valorizzare tale aspetto
multiculturale, cancellando forzatamente le peculiarità locali.3 Si trat-
tava di una politica culturale coerente con lo “splendido isolamento”
del regime comunista albanese, che puntava tutto sull’esaltazione del
nazionalismo e sulla costruzione di un’identità fondata sul comunismo
e sulla tradizione, definito da Stepan e Linz “regime sultanistico”.4
3
Fabio Bego, La storia dell’Albania dal 1997 e l’identità albanese del post-comunismo,
in StoricaMente. Laboratorio di storia, X, 2014, pp. 1-26.
4
Juan J. Linz, Alfred Stepan, Transizione e consolidamento democratico, Il Mulino,
Bologna 2000, pp. 85-89.
5
Gianni Amelio, Lamerica, Italia, 1994, 125 minuti.
145
Bari stipati sul mercantile Vlora. Fra questi due episodi si colloca un
mutamento polare dell’opinione pubblica e della politica italiane, in
quanto si passa dall’accoglienza di perseguitati rimasti per anni in un
regime carcerario finalmente liberi, alla reazione di fronte ad un pro-
blema di ordine pubblico, un mutamento per certi versi paradigmatico
del capovolgimento dell’immagine dell’est nell’ovest. I profughi della
Vlora, che pensavano di aver raggiunto la terra promessa, vennero
prima rinchiusi nello stadio Vittoria di Bari, senza acqua né cibo, in
condizioni al limite della sopravvivenza, quindi arrestati, identificati e
ricondotti a Tirana con un ponte aereo da varie città italiane.6 Di fronte
alla caduta del muro di Berlino, prima lungamente auspicata, si sono
registrate sulla stampa italiana reazioni molto discordi, che andavano
dalla registrazione di un passo in avanti straordinario verso una unifi-
cazione europea, fino ai timori per i nuovi equilibri e per il possibile
afflusso di massa di profughi dell’est.7
La prima scena del citato film di Gianni Amelio ci introduce ad un
altro elemento importante nella storia dei legami fra Albania e Italia,
ossia la parentesi coloniale a ridosso della seconda guerra mondiale,
rappresentato attraverso le immagini dei documentari di propaganda
fascista dell’Istituto Luce nelle scene iniziali del film. Si tratta certo di
un evento che ha avuto durata troppo breve per lasciare tracce che
possano avvicinarsi al discorso postcoloniale, in quanto l’occupazione
italiana dell’Albania è iniziata nel 1939 e si è conclusa nelle fasi tumul-
tuose della seconda guerra mondiale seguite all’armistizio dell’8 set-
tembre 1943. Tuttavia, il primo romanzo del poeta e scrittore albanese,
poi emigrato in Francia, Ismail Kadare, del 1963, Il generale dell’armata
morta, è dedicato alle tracce di questa breve colonizzazione fascista
6
Valeria Pini, Vent’anni fa lo sbarco dei 27.000. Il primo grande esodo dall’Albania, in
La Repubblica, 6 marzo 2011, online sul sito www.repubblica.it [consultato il 26 aprile
2017].
7
Franco Pittau, Antonio Ricci, Gli albanesi in Italia. Oltre vent’anni prima della
tranquillità, in Alberto Becherelli, Andrea Carteny (a cura di), L’Albania indipendente e
le relazioni italo-albanesi (1912-2012), Edizioni Nuova Cultura, Roma 2013, pp. 310-311.
146
dell’Albania.8 A questo momento storico si trovano riferimenti anche
nel romanzo di Carmine Abate da noi analizzato in questo contributo,
Il mosaico del tempo grande.9
8
Cfr. Costantino, Il mito nazionale nella letteratura albanese, cit., p. 19.
9
Carmine Abate, Il mosaico del tempo grande, Mondadori, Milano 2007. Nel racconto
del viaggio di Antonio Damis nell’Albania comunista troviamo un reduce della seconda
guerra mondiale alla ricerca nostalgica dei luoghi in cui ha combattuto in gioventù (pp.
187-192).
10
Per le informazioni storiche cfr. Peter Bartl, Albanien. Von Mittelalter bis zur
147
La lingua di queste comunità, conservatasi fino ai nostri giorni e
oggi riconosciuta come minoranza linguistica in Italia, l’arbëresh, è
una variante arcaica dell’albanese, che ha dato origine ad una cultura
basata soprattutto su forme orali di trasmissione, come leggende, miti e
canti popolari, anche se non sono mancati importanti figure di scrittori,
come il poeta Girolamo De Rada, nato a Macchia Albanese in provin-
cia di Cosenza nel 1814, considerato fra i fondatori della letteratura
albanese moderna.11
148
stessa.13 Il terzo asse è costituito dall’esperienza personale di emigrazione
dello stesso Abate, partito dopo la laurea per trovare lavoro in Germania,
come Giovanni Alessi, protagonista del romanzo La moto di Scanderbeg.14
Dopo la laurea in lingue straniere, che aveva conseguito realizzando il
sogno del padre di avere un figlio laureato, Abate non trova lavoro nella
sua regione e si deve trasferire, prima per attività stagionali, quindi in
maniera più stabile, in Germania, come racconta lui stesso.15 Completa
il profilo migrante dello scrittore un quarto asse, che risulta significativo
nella cultura e nella letteratura italiana, quello dell’emigrazione italiana
interna, con direzione Sud-Nord, in quanto lo scrittore, rientrato in Ita-
lia, ha avuto la necessità di emigrare nell’Italia Settentrionale per poter
trovare lavoro come insegnante, lasciando la Calabria per approdare a
Besenello, vicino a Trento, dove si è stabilito definitivamente.16
La sommatoria di questi processi migratori in cui si è trovato coin-
volto hanno portato lo scrittore a mettere nero su bianco, nelle proprie
opere, il risultato positivo di tutti questi attraversamenti di frontiere e
culture. La rappresentazione letteraria di questo processo può essere
definita «poetica dell’addizione», utilizzando un termine coniato dallo
scrittore e inserito nel titolo di una già citata raccolta di prose autobio-
grafiche saggistiche e narrative uscita nel 2010: Vivere per addizione e
altri viaggi. Con questa poetica lo scrittore indende rovesciare il deficit
del migrante che lascia e abbandona, con sottrazione d’identità, il pro-
prio spazio di origine, per sottolineare invece i successivi arricchimenti
che l’attraversamento di frontiere offre:
13
Ivi, p. 72.
14
Carmine Abate, La moto di Scanderbeg, Fazi Editore, Roma 2001.
15
Id., Vivere per addizione e altri viaggi, Mondadori, Milano 2010, pp. 39-40.
16
Ivi, pp. 43-54.
149
semplicemente io, una sintesi di tutte quelle definizioni, una persona che
viveva in più culture e con più lingue, per nulla sradicato, anzi con più
radici, anche se le più giovani non erano ancora affondate nel terreno
ma volanti nell’aria.17
Ivi, p. 144.
17
Per questi concetti facciamo riferimento a Kien Nghi Ha, Hype um Hybridität.
18
150
sentazione letteraria della propria identità multipla, come affermato da
lui stesso in occasione della presentazione del libro a Carfizzi:
19
Le parole dello scrittore vengono riferite in un articolo di Pino Pantisano, Abate e
l’intrigante «Mosaico» di personaggi, in Il Crotonese, 7 marzo 2006.
20
Troviamo una biografia molto dettagliata dell’artista sul sito del Museo Missionario
Cinese di Sava, in provincia di Taranto (www.museomissionariocinese.org; [consultato
il 13 febbraio 2017]).
151
Ci ha raccontato invece un suo ricordo di gioventù, di quando aveva
visto per la prima volta esibirsi il gruppo Shkendija: all’inaugurazio-
ne dell’immenso mosaico che campeggia sopra la facciata del Museo
Nazionale di Tirana, e che pure lui aveva cotribuito a realizzare. Quel
giorno, dall’elegante e sorridente compagno Enver Hoxha, il dittatore,
aveva ricevuto un bel diploma di merito con cui molti anni dopo, scap-
pando dall’Albania, si sarebbe pulito il culo, ha detto Gojari diventando
irruente e un po’ inquieto, come se fosse sul punto di perdersi nel fitto
intricato del bosco che lui stesso stava creando.21
21
Abate, Il mosaico del tempo grande, cit., p. 18.
22
Sugli aspetti problematici del ritorno del migrante mi permetto di fare riferimento al mio
contributo: Angelo Pagliardini, La tematica del ritorno del migrante in Abate, Pascoli, Pavese,
Consolo, in Alexandra Vranceanu, Id. (a cura di), Migrazione e patologie dell’humanitas nella
letteratura europea contemporanea, Peter Lang, Frankfurt a. M. 2012, pp. 83-100.
152
si conclude con il massacro dei due viaggiatori, quindi testimonia l’or-
rore e la separazione violenta dell’Albania dall’Europa in questa fase
della storia europea, caratterizzata dalla frontiera orientale dell’Europa
con l’Impero ottomano, su cui vengono narrate storie di tradimenti e di
albanesi cristiani convertiti che hanno fatto guerra al proprio popolo,
mentre su tutto campeggia l’orrore del supplizio di Jani Tista:
23
Abate, Il mosaico del tempo grande, cit., p. 120.
153
lo aveva portato a re-integrare la doppia identità arbëreshe-albanese.
Come racconta il narratore Michele:
Gojari raccontava del vecchio padre che abitava da solo a Fshatirì: aveva
ottantadue anni, il padre, ma ancora lavorava in campagna e aveva una
memoria formidabile. Purtroppo non si vedevano da un anno e mezzo,
e questo era il cruccio di Gojàri, il vero dolore della sua lontananza: che
il padre potesse avere bisogno di lui o morisse senza averlo accanto.25
Ivi, p. 144.
25
154
altri governi dell’Europa orientale comunista, organizzavano viaggi di
propaganda marxista in Albania negli anni Ottanta.26 Antonio Damis
decide quindi di ritornare dopo quasi cinque secoli in Albania alla
ricerca della vecchia Hora, ma soprattutto alla ricerca di Drita, cono-
sciuta in una tournée del suo gruppo di ballo in Calabria. Arrivati a
Durazzo, i turisti italiani vengono accolti in un albergo di lusso con
spiaggia privata, da cui vedono gli albanesi, separati da loro con reti di
recinzione, che si godono le vacanze a spese del partito, avvicendandosi
ogni settimana. Ma il racconto ufficiale non convince Antonio che,
notando come siano state selezionate solo persone con corpo atletico
e senza nessun problema fisico, capisce che si tratta di comparse ingag-
giate per dare un’immagine ideale dell’Albania agli stranieri. Questa
costruzione di una falsa immagine si conferma nella visita alla città di
Durazzo, sempre in gruppo e accompagnati dalle guide del partito,
senza alcuna possibilità di fotografare liberamente gli albanesi, sotto
lo stretto controlla della guida comunista albanese, Albert:
Ancor più deluso fu il giorno dopo, quando andò con il gruppo a visi-
tare la città di Durazzo, e provò a fotografare due bambini dagli occhi
grandi e neri, il moccio al naso, in canottiera bianca e pantaloncini,
scalzi, somiglianti a lui quand’era bambino. Albert, il buon Albert, gli
abbassò con un gesto di stizza la macchina fotografica. «Eh, no, no,
fotografate monumenti, quello là, fotografate» e mostrò una bruttissi-
ma statua con la testa cacata dagli uccelli, «o quella là» e mostrò una
bellissima chiesa con l’insegna di un ristorante sul portone.27
26
Si trovano informazioni su queste iniziative nella tesi di dottorato di Nysjola Dhoga,
politologa dell’Università di Tirana, che analizza la formazione dell’Associazione di
amicizia Italia-Albania, sorta nel 1952 per iniziativa del Partito comunista italiano (cfr.
Nysjola Dhoga, L’Italia nella politica estera dell’Albania (1957-1985), La Sapienza, Roma
s.d., pp. 158-161, disponibile online sul sito http://padis.uniroma1.it [consultato il 15
febbraio 2017]).
27
Abate, Il mosaico del tempo grande, cit., p. 88.
155
Ottanta seguendo un programma simile a quello descritto nel romanzo,
come ha raccontato in un’intervista rilasciata a Lisa Puzella nel 2015, in
cui descrive il forte richiamo che lo ha spinto a «tornare» nella patria
lontana negli anni Ottanta, e racconta tuttavia di aver provato tutta la
delusione nel trovare, invece del paese degli avi, una prigione senza
scampo per i suoi abitanti:
[…] volevo tornare nella terra che avevo sognato e sono rimasto delu-
sissimo, ho trovato una terra oppressa da una cappa grigia e soffocante,
e poi noi turisti eravamo tenuti rigorosamente separati dagli albanesi,
non potevamo nemmeno parlarci, né fotografarli.28
Zef non ha capito subito quali fossero le mie intenzioni; quando ha visto
la riva sotto gli occhi ha cominciato a scalciare e, appena gli sono arriva-
te sulle labbra le prime gocce d’acqua salata, dal suo piccolo petto si è
liberato l’urlo più isterico e doloroso del mondo, un urlo interminabile
che ha fatto girare verso di noi tutti i bagnanti.29
28
L’intervista è pubblicata in Lisa Puzella, Intervista a Carmine Abate, in Mangialibri
2015, online sul sito www.mangialibri.com [consultato il 4 ottobre 2016].
29
Abate, Il mosaico del tempo grande, cit., p. 188.
156
Come raccontato in seguito da Laura, cugina di Zef, il bambino era
scampato due anni prima al naufragio del gommone, in cui erano morti
entrambi suoi i genitori, che non sapevano nuotare. Erano partiti dal
porto di Valona con uno scafista che trasportava, oltre ogni capienza
del mezzo, albanesi, curdi e kossovari in fuga, e che era naufraga-
to nel disperato tentativo di sfuggire alla polizia italiana, essendoci a
bordo anche un carico di droga. La rappresentazione più completa
dell’Albania postcomunista è affidata a un capitolo successivo, in cui
si raccontano gli antefatti di questa vicenda, cioè il crollo del regime
comunista e gli esodi di massa del 1990 di cui abbiamo parlato all’inizio
del presente contributo.
Nel capitolo del romanzo intitolato La fuga,30 Carmine Abate passa in
rassegna i fatti del 1990-91, con il progressivo dissolvimento delle strut-
ture istituzionali e sociali dell’Albania, rappresentata con una metafo-
ra sintetica: «La fuga era nell’aria, inevitabile come l’acqua impazzita
dopo il crollo di una diga».31 Nel romanzo troviamo le vicende di due
fughe dall’Albania verso l’Italia, quella di Gojàri e quella di Arben, il
fratello di Drita. Gojàri, dopo aver passato qualche settimana nell’am-
basciata italiana, accetta di uscire con la promessa di salire su una nave
italiana, la Appia Venezia,32 compiendo il passo fatale dell’esilio:
La grande nave su cui era salito Gojàri lasciò il porto alle prime luci
dell’alba, si chiamava Appia Venezia e per molti profughi divenne il
sinonimo della libertà. Gojàri ha detto che all’improvviso si era sentito
vuoto, come se non avesse una mente, un cuore, degli organi dentro il
corpo. Non aveva più né fame né sete, ora che sulla nave gli offrivano
da bere e da mangiare. Si specchiava negli occhi degli altri profughi e
30
Ivi, pp. 188-256.
31
Ivi, p. 207.
32
A conferma della fitta e variegata composizione autofinzionale con elementi
parzialmente documentari presente nel romanzo, è esistita una nave Appia, registrata
a Venezia, che dopo un servizio di linea fra Brindisi e la Grecia è stata impegnata dal
1983 nel trasporto dei profughi fra Beirut e Larnaca per conto del Ministero degli Esteri
Italiano, e quindi fino al 1991 sulla linee fra Ancona e la (ex-)Jugoslavia (cfr. il sito www.
adriaticandaegeanferries.it [consultato il 13 aprile 2017]).
157
non si riconosceva, erano fantasmi, sporchi, trasparenti, con le facce
scavate, nere di barba, cotte dal sole.33
33
Abate, Il mosaico del tempo grande, cit., p. 210.
34
Ivi, p. 210.
35
Si tratta del film di Gianni Amelio, Lamerica; a proposito del forte impatto della
migrazione albanese sull’opinione pubblica e sulla scena culturale italiana, possiamo
ricordare che nel 2002 il giornalista e saggista Gian Antonio Stella sceglie il titolo L’orda.
158
che il nocciolo di questo libro non scritto è confluito nel capitolo che
stiamo analizzando.
A questo punto abbiamo però un mutamento profondo nella visio-
ne dell’altro che caratterizza il nuovo atteggiamento degli italiani, e
anche degli altri europei occidentali, nei confronti degli albanesi. Si
tratta della seconda grande ondata di profughi di cui abbiamo parlato
nell’introduzione, con l’arrivo della nave Vlora, che imbarcava secondo
le fonti giornalistiche oltre ventimila profughi:
La foto della nave brulicante come un alveare di api fece il giro del mon-
do. I nuovi profughi furono rifiutati e, siccome non volevano andarsene,
scoppiarono dei tafferugli e gli albanesi furono rinchiusi nello Stadio
Della Vittoria a Bari. All’improvviso, il governo cominciò ad applicare
la legge alla lettera, gli italiani non erano più solidali, avevano paura di
essere invasi da una massa di profughi con la fama di violenti attaccabri-
ghe, pigri vagabondi senza voglia di lavorare. Nello stadio era rinchiuso
anche il fratello di Drita, che patì la sete sotto il sole cocente, vide con
i suoi occhi il pane cadere dal cielo, buttato dagli elicotteri come a cani
feroci, e si sentì umiliato nel profondo. Poi, il 17 agosto, fu rispedito
a casa sua in aereo con tutti quelli che non erano riusciti a fuggire.36
Quando gli albanesi eravamo noi per un volume in cui denuncia il razzismo manifestato
dagli italiani verso gli immigrati arrivati in Italia, ricordando le pagine drammatiche
dell’emigrazione italiana nel continente americano e in Europa (Gian Antonio Stella,
L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi, Rizzoli, Milano 2002).
36
Abate, Il mosaico del tempo grande, cit., p. 213.
159
solidarietà (Arben si sente umiliato, il pane che cade dal cielo
è metafora biblica, qui rovesciata in immagine diabolica e ani-
malesca, enfatizzazione dell’alterità nella formula «casa sua»);
• l’ingiustizia profonda di questo trattamento, denunciato da Aba-
te indirettamente, in quanto, a causa di questo primo respin-
gimento, Arben e la moglie sarebbero annegati nel successivo
tentativo di lasciare l’Albania.
37
Le informazioni bibliografiche sono state ricavate dal sito della casa editrice Einaudi
(www.einaudi.it [consultato il 23 febbraio 2017]). Possiamo osservare per inciso in
questa sede la scelta particolare fatta da Vorpsi per quanto riguarda la lingua di scrittura,
in quanto la scrittrice albanese, pur vivendo in Francia, sceglie di scrivere in italiano.
38
Ornela Vorpsi, Il paese dove non si muore mai, Einaudi, Torino 2005, p. 59.
160
protagonista Eva, che fugge dall’Albania con la madre per approdare
in Italia, dove spera di trovare accoglienza e giustizia. L’incontro con
gli italiani riflette lo stesso tipo di rovesciamento della solidarietà e
la stessa frustrazione per le aspettative che gli albanesi avevano nei
confronti dell’Italia, vista come terra della libertà e della giustizia. Ap-
pena sbarcate, la prima domanda che viene posta alla protagonista è:
«A quanto scopi?».39 L’epilogo è particolarmente incisivo in quanto
la prostituzione era stata analizzata come uno dei procedimenti per
attuare il consenso e il controllo da parte del partito comunista. Nel
capitolo Bel-Ami si narrava infatti la vicenda di una madre e di una fi-
glia costrette a prostituirsi per sopravvivere, quindi emarginate da tutta
la società che costituiva in blocco una specie di «occhio» del partito di
governo, e infine rinchiuse in un campo di rieducazione da cui riesco-
no a evadere solo tramite il suicidio. Come Abate, la Vorpsi denuncia
la visione occidentale dell’Albania postcomunista, in particolare delle
albanesi, come un tradimento, in quanto quella che si era presentata
come una sorta di terra promessa non aveva mantenuto la promessa.40
Conclusioni
39
Ivi, p. 110.
40
Ivi, pp. 206-210.
161
certi versi di nuovo drammaticamente attuale. A questo conflitto suc-
cede nella seconda metà del Novecento un’altra linea di sutura sulla
quale si è giocata la costruzione dell’identità europea, una linea che
è oggetto centrale del presente volume, la quarantennale cortina di
ferro fra Europa occidentale ed Europa comunista, con le particolarità
dell’Albania, non inclusa nemmeno nello spazio dell’Europa orientale.
Si evidenzia così una significativa analogia fra l’imperialismo ottomano
e il comunismo sovietico, due imperi che non hanno avuto una penetra-
zione culturale pervasiva, come è stato invece il caso dell’Impero roma-
no. In questa plurisecolare storia della divisione europea, piuttosto che
della sua unione, si inseriscono le vicende degli scrittori migranti, che
hanno giocato un ruolo fondamentale come motori della circolazione
e dell’integrazione culturale: nel caso di Abate, la comunità arbëreshe
dalla vicenda della migrazione antica ricava la sua stessa ragione di
esistere, in particolare facendo riferimento alla misura epica del «tempo
grande»; nel caso di Vorpsi l’esperienza del comunismo rimane centra-
le nell’opera anche a decenni di distanza dalla fine del regime e della
fuga, ma è l’attraversamento di più culture a formare veramente la sua
identità letteraria, in quanto scrive in una lingua «altra», l’italiano, che
pone la sua scrittura in uno spazio «terzo».41
Su queste premesse si colloca per Abate la visione dell’est nell’ovest
dopo la fine del comunismo reale in Europa. La grande occasione, co-
stituita dalla caduta del regime comunista albanese e degli altri regimi
comunisti, in seguito all’inarrestabile effetto domino partito nel 1989
con il crollo del Muro di Berlino, non è stata colta dagli occidentali,
che hanno prima combattuto il muro e lanciato proclami di solidarietà,
quindi negato, o meglio rimosso la sua caduta lasciando in piedi bar-
riere invisibili ma tangibili, di natura culturale, sociale ed economica,
fra le due Europe, con un equivoco che costituisce fino ad oggi uno dei
massimi problemi da risolvere per una definizione totalmente inclusiva
dell’identità europea.
Per la coniazione del concetto di third space si veda Homi K. Bhabha, The location of
41
162