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Il manuale si divide in capitoli monografici con l‟attenzione ai più recenti apporti interdisciplinari, con un livello

ulteriore che presenta importanti parole chiave di cui analizza il significato.

1-Geografia urbana

La città è definita come un organismo, un‟entità organica con una sua fisiologica evoluzione. Ma più importante è
parlare della città in sé, come luogo in cui metà dell‟umanità ha scelto di vivere, ed è ciò di cui si occupa la
geografia urbana.
Il problema successivo è lo studio dell‟oggetto città, che obbliga a scelte ed esclusioni; si definiscono allora due
livelli di lettura dello “spazio urbano”, inteso come “luogo sul quale si esercitano le attività dell’uomo”:
-identità dello spazio urbano, per definire e descrivere i vari luoghi (spazio amministrativo, att. economiche,
popolazione, funzioni);
-qualità della città e della vita, quindi giudizi soggettivi che qualificano un dato insediamento.
Questi livelli di lettura però si intrecciato negli studi più recenti, motivo per cui oggi ci si riferisce alle
classificazioni (morfologia, antropologia, sociologia) derivate dallo studio di casi particolari e contrapposti tra
loro. L‟importante nello studio delle città è relativizzare, ricordarsi cioè che non esiste una città medievale, una
moderna e così via, ma solo caratteri di omogeneità.

Nel giro di mezzo secolo, dal 1950 al 2000, si è registrata un‟impennata della popolazione urbana, tanto che il
2005 è ritenuto l‟anno in cui metà della popolazione globale abita in città; è previsto un aumento delle immense
megalopoli, schema a p. 4. Entrando nel dettaglio, analizziamo alcune questioni:
-il calcolo della popolazione urbana è eseguito grazie ad organizzazioni internazionali, l‟Onu su tutte, che
elaborano dati raccolti dagli stati stessi; se andiamo alle singole unità urbane il discorso si complica, in quanto al
variare del criterio di definizione di un abitato “urbano” variano i risultati! L‟Italia chiede ci siano almeno 10000
abitanti per considerarli tali; ogni dieci anni il censimento raccoglie i dati sul territorio nazionale. Al di là dei
numeri, che possono indicare macro tendenze e quantità sommarie, c‟è la questione della forma di popolamento,
cioè i modi e i tempi di questa crescita: l‟inurbamento.
-l‟inurbamento è un fenomeno crescente che deriva da piccoli o grandi movimenti migratori; dalla metà del 1700
in Europa si sente fortemente questa attrazione, tanto che un‟altra metafora si diffonde anche tramite la
produzione letteraria antiurbana: la città è vista come mostro che uccide gli uomini. Malattie infettive,
sovraffollamento, scarse condizioni igieniche portarono all‟aumento della mortalità infantile, tendenza arrestata
solo dal 1930 in Europa. L‟antica polemica antiurbana, soprattutto inglese, oggi si applica alle immense periferie
dell‟America Meridionale e dell‟Africa. Questo fenomeno si va oggi esaurendo in Europa, anzi si parla di
disurbanizzazione che porta le elite urbane in fasce esterne ai centri storici.
-non cala invece l‟urbanesimo, ossia il carattere urbano della popolazione: un dato qualitativo che riguarda
propriamente gli stili e i modi di vita, le abitudini, i riti quotidiani (p. 11). L‟urbanesimo è quindi uno stile di vita,
notato per la prima volta nel 1938 da Louis Wirth il quale fa notare come abbia intaccato anche le piccole
comunità, riducendo il dualismo città-campagna. Le distinzioni tra i diversi gruppi umani si attenuano, i
linguaggi si fanno comuni, la globalizzazione impone ritmi, abitudini e gusti urbani.
Nell‟opera di Wirth si dice che l‟influenza della città sulla vita sociale, l‟urbanesimo appunto, è molto maggiore
di ciò che indica il solo dato quantitativo della popolazione che vive dentro la città; il controllo è molto più esteso,
in quanto essa è centro di vita economica, culturale e politica (p. 12).
Richard Rogers, legato a Renzo Piano, constata che la crisi ambientale della Terra è causata per la maggior parte
proprio dalle città e propone a gran voce un cambio di rotta per ripristinare l‟armonia con l‟ambiente. Cerchiamo
però di capire il problema dell‟ambiente urbano nella sua specificità.
Il concetto di ecologia urbana è legato a quello di Natural Capitalism, cioè la protezione e valorizzazione di
risorse naturali non più infinite, diffuso in Europa e Usa. Dal sovraffollamento delle città preindustriali al
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peggioramento causato dall‟industrializzazione, si trovano numerosi esempi e descrizioni di questi ambienti
malsani, cupi, inquinati. Le questioni ambientali si concentrano quindi su quattro punti fermi: igiene pubblica e
privata, acqua e aria.
La sanità pubblica è gestita dagli amministratori locali, riguarda soprattutto gli spazi comuni, luoghi pubblici,
servizi ai cittadini; l‟igiene privata è legata all‟alimentazione, cura personale, educazione fisica. L‟acqua potabile è
un genere di prima necessità, in Italia la diffusione capillare arriva solo negli anni ‟30 del Novecento; infine l‟aria,
controllata con precisi test scientifici solo in anni recenti.
Dalla pianificazione di queste materie deriva l‟urbanistica, intesa come l‟arte di pianificare lo sviluppo fisico delle
comunità urbane, con l‟obiettivo del generale benessere pubblico (trasporti, condizioni di vita sicure, servizi
efficienti).

Per lungo periodo le città erano descrivibili in quando delineate dalla cerchia muraria. Da una parte il corpo
all‟interno, con i preziosi edifici, abitazioni di qualità, luoghi pubblici (palazzi, abbazie, negozi) e la piazza, luogo
di simbolo per eccellenza; poi c‟erano i borghi esterni, con funzioni secondarie ma sempre orientate verso il
centro. Le mura, così come il castello, le torri, le guarnigioni, rappresentavano il prestigio politico e militare della
città, la stessa architettura variava in base ai progressi militari.
Si pensi alle mura di Ferrara, patrimonio dell‟Unesco, ampliate nel 1500 e che anticipavano la città nuova.
Da fine „700 la città si priva delle mura, perdendo la forma originaria; Goethe nel 1808 introdusse il mito dell‟età
dell‟oro (Affinità elettive), osservando la rinuncia alle mura delle città moderne, per buona parte abbattute
realmente dalle truppe rivoluzionarie francesi. Nell‟epoca della rivoluzione le mura erano viste come inutili
manufatti, limiti all‟indipendenza della città moderna. Anche in Italia arrivò il processo di abbattimento tra fine
„800 e inizio „900, ma alcune conservarono la cinta come Ferrara e Lucca.
Senza i limiti inclusivi delle mura le città potevano svilupparsi con metodi nuovi; le direttive di sviluppo furono
due: la creazione della provincia come luogo fisico e amministrativo; la possibilità di progettare al di fuori
dell‟antico impianto storico.
La posizione rispetto al centro comporta quindi valori diversi al suolo urbano, che vale meno più ci si allontana
dal centro; periferia e centro città identificano quindi la fascia esterna ed interna.
Al tempo stesso nascono esigenze abitative diversificate, dalle abitazioni per i ceti medio e basso, alle esigenze di
distinzione per gli abitanti ad alto reddito.
Nella gerarchia delle città al primo posto stanno le capitali, tali per privilegi naturali, per storia, per la posizione
strategica militare; spesso il rango di un insediamento urbano rappresenta la volontà di primeggiare dei
governanti. Già in epoca tardo antica si hanno carte che rappresentano le grandi capitali (Roma, Antiochia,
Costantinopoli) con grandi cerchi, mentre i centri minori sono indicati da punti.
Oggi una misurazione dell‟importanza riguarda la partecipazione al mercato globale, tuttavia bisogna fare
riferimento al modello ideato da Christaller nel 1933, la cui gerarchia delle città è sviluppata soprattutto in
funzione del ruolo nel settore commerciale, ma considera anche le altre funzioni fondamentali: politica,
amministrazione, cultura.

Londra è un esempio di città facilmente figurabile e definibile; già nel 1889 Charles Booth disegnava una mappa
della capitale inglese suddividendo con sette colori gli abitanti, in base al reddito; a parte poche anomalie, ne
usciva un quadro chiaro e controllato, che divideva la città in precisi quartieri. La stessa cosa rileva il personaggio
della commessa in Henry James: ella è in grado di riconoscere la provenienza ed il quartiere degli abitanti che
vede dal suo negozio. Questo è il concetto di mappa mentale di Lynch, cioè l‟immagine della città presente nella
testa di chi la abita e la vive; se la figurabilità di tale immagine è chiara per Londra, lo è molto meno per le città
italiane e in quelle europee ad alto tasso di integrazione sociale. Non solo, più in generale dal 1970, dall‟inizio
cioè del processo di globalizzazione economica, le città hanno subito numerose divisioni spaziali che vanno ben

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oltre il solo dato economico: cultura, provenienza, occupazione, età e sesso, composizione famigliare...ciò
complica enormemente la comprensione della divisione spaziale, soprattutto nelle cosiddette megalopoli.
Ci sono diversi punti comuni a questi centri globali: accentuazione di una nuova povertà urbana; aumento dei
confini fisici e sociali; aumento delle specializzazioni.
Il mercato globale ha dunque accentuato i processi di separazione che creano “distanze morali”, che trasformano
la città in un mosaico di mondi diversi. Le stesse divisioni definibili come quartieri, le parti del centro urbano,
sono a loro volta città nelle città, specie quando l‟elemento distintivo è la nazionalità.
I cambiamenti della nostra epoca comportano questo fenomeno definito come “citedalization”, cioè l‟isolamento di
cittadelle, la ghettizzazione, la divisione in quartieri e tra quartieri ricchi e poveri.
È il caso di Londra, Tokyo, Shangai, San Paolo e altre megalopoli dei nostri giorni.
A tal proposito è interessante il processo di “gentrificazione”, diffuso tra le città a capitalismo avanzato, in
Europa centrale e nei grandi centri brasiliani. La stessa globalizzazione ha prodotto una nuova classe di manager,
tecnici, professionisti paragonabile alla gentry inglese, una piccola nobiltà, un‟aristocrazia che oggi riqualifica i
quartieri, recupera le periferie e le adatta alle proprie esigenze. È un processo diverso dalla speculazione dei
secoli passati, quelle dall‟opera di Haussmann in poi (vedi Benevolo), poiché la gentrificazione mantiene il
vecchio tessuto urbano intatto. L‟immagine della città è quindi condizionata oggi da valori estetici ed economici,
da criteri di desiderabilità.

2-Geografia culturale

La geografia culturale è un approccio della disciplina geografica che sta conoscendo un‟importanza sempre
maggiore, costituendo una chiave di lettura fondamentale. I due momenti storici della sua affermazione sono gli
anni 20/30 (geografia californiana) e 80/90 del Novecento.
Gli scopi sono molteplici: studiare l‟uomo come individuo/attore sociale; comprenderne le diversità, definendo
in paesaggio anche secondo criteri culturali, identificando proprio i caratteri culturali di specifici territori. Le
stesse carte tematiche indicano oggi le differenze etniche (religiose, culturali) dei diversi territori come cause
endogene dei conflitti moderni; la lettura in chiave culturale prevede grande preparazione storica e utilizzo di
fonti diverse, dalle mappe, a foto e dipinti, ai testi narrativi.
Se l‟origine della geografia culturale contemporanea si riferisce a Carl Sauer e alla California del primo
Novecento, le radici ideali sono invece nella Germania dell‟Ottocento: il geografo tedesco Von Humboldt poneva
l‟uomo come scopo ultimo di una descrizione fisica del mondo (p. 27).
Ma il fondatore della geografia culturale è indicato in Friedrich Ratzel (1844-1904) con la sua opera
Antropogeografia. Egli pone il problema del “determinismo geografico” chiedendosi come l‟ambiente influenza
l‟evoluzione dell‟umanità: le teorie cercano di spiegare il modo in cui il clima agisce sull‟uomo, sul suo
comportamento e sulla vita delle popolazioni. È un anticipazione del diffusionismo, ossia la diffusione di
determinati caratteri culturali dal luogo d‟origine. Popoli e culture sono impregnati dell‟ambiente di nascita, per
cui la geografia dell‟uomo dovrà seguire gli stessi criteri di quella delle piante e degli animali, il vero argomento
del geografo è la relazione uomo-ambiente. Questo approccio richiama teorie darwiniane, egli si riferisce alla
biogeografia, da cui trae ad esempio la teoria dello spazio vitale, la lotta per lo spazio della Terra tra esseri
viventi. Ratzel ha indicato la possibilità di distinguere tra ciò che dipende dalla natura e invece ciò che deriva
dall‟uomo come storia, cultura, economia; in tal senso la sua antropogeografia sta alla base della geografia
politica.
Ma dove porta questa idea della lotta per lo spazio? Da qui Ratzel ricava il concetto di stato-nazione come spazio
vitale associato ad un popolo; lo stato è visto come un organismo in evoluzione, e così l‟espansione territoriale
diventa una “necessità insita nella loro essenza”. Non per caso egli fu coinvolto in associazioni che tutelavano gli
interessi coloniali tedeschi ed i suoi successori portano all‟estremo il suo determinismo geografico, fornendo basi

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teoriche per la discriminazione razziale. La geografia viene asservita all‟imperialismo, che è definito come lotta
per la vita, con le conseguenze del caso: espansione, conquista e sfruttamento di territori.
Tornando a Carl Sauer, fondatore della geografia culturale, egli intende la cultura dell‟uomo come insieme di
mezzi e capacità per agire sul territorio, renderlo meno ostile. Studioso degli indiani d‟America e del Messico,
rifiuta l‟omologazione culturale; per Sauer sono gli ambienti a fornire la gerarchia dei problemi primari.
La cultura umana lascia così dei segni nel paesaggio che permettono per Sauer di ricostruire la diffusione delle
culture, rintracciarne i percorsi. Così nei suoi libri (dagli anni ‟50 al 1975) egli ricostruisce proprio questo, le
diverse aree culturali di oggi e anche del passato.
Invertendo i termini del discorso si arriva alla geografia tropicale di Pierre Gourou, per cui la cultura si interpone
tra uomo e ambiente. Dagli studi dei paesaggi africani e ricerche sul campo, la cultura appare come variabile
indipendente: più che essere frutto della relazione uomo-ambiente è essa stessa che influenza il paesaggio fisico, è
la cultura che genera le società e non viceversa. Il suo è un “determinismo culturale”. Gourou parte dagli
insegnamenti di Vidal de la Blanche, fondatore della geografia umana francese.

-Un elemento che si inserisce nello studio delle aree culturali è la religione, intesa come adesione a determinati
valori, omogeneizzazione dei comportamenti. La religione è una variabile che modella il paesaggio; se
dall‟Ottocento ci sono rappresentazioni sul planisfero della distribuzione dei credi e loro percentuali, più
raffinato è lo studio delle ripercussioni materiali sugli insediamenti. Ancora più profondo e delicato è infine lo
studio sull‟influenza religiosa verso i “generi di vita”: dalle semplici abitudini alimentari ai comportamenti
sociali più complessi. A tale proposito gli studiosi si concentrano sullo studio del sacro e del profano in ambito
geografico, cioè sulla loro distribuzione spaziale; in Europa recentemente si parla anche di desacralizzazione del
territorio. Le base della ricerca geografica in questo campo si basa sull‟individuazione di simboli comuni e
riconoscibili; il filone della geografia dei grandi viaggi utilizza proprio gli strumenti delle discipline
antropologiche per le proprie ricerche.
Esempio del geografo francese Bonnemaison che ha studiato il Madagascar e l‟arcipelago delle Nuove Ebridi;
tramite tali studi egli ha supportato la teoria per cui è la cultura di una società che struttura il mondo in cui vive,
attribuendo significato al territorio e a determinati simboli.
La condivisione di fedi, credenze, costumi unisce gli uomini, aumenta il senso di appartenenza ad un gruppo; ciò
perché ogni territorio è un luogo formato a sua volta da spazi carichi di significato, a cui l‟uomo attribuisce
determinate simbologie: santuari, campi di battaglia, monumenti, ecc...
I legami che si creano di conseguenza influenzano lo spazio in modo concreto, dunque il paesaggio è matrice di
identità, ma anche a sua volta modificato da questa identità.

-Il processo di globalizzazione culturale, che ha seguito quella economica, è visibile da tempo: tv, cinema,
l‟inglese come unica lingua internazionale. Ma ai più tale processo appare un impoverimento, non uno scambio
quindi ma un‟imposizione. Nel nostro caso si pensi alla cultura alimentare e a come le catene americane abbiano
creato un marchio e dei prodotti riconosciuti quasi ovunque sul pianeta.
Ma soprattutto in Europa si assiste negli ultimi anni alla spinta opposta, ovvero la valorizzazione delle specificità
locali, tanto che la parola territorio in Europa si avvicina molto a “campagna”, ossia luogo di origine di
determinati prodotti agricoli. La cultura del cibo insiste sulle identità locali, portatrici di saperi trasmessi nelle
generazioni, anche questo è un forte fattore territoriale da considerare.
Lo storico Montanari ci conferma che l‟alimentazione è importante fattore di identità; egli ha studiato i diversi
regimi alimentari delle regioni europee, sottolineando come nelle stesse razioni dell‟esercito tra „500 e „600 ci
fossero forti differenze. Dopo la Riforma di Lutero (1483-1546) i nuovi precetti, meno rigidi di quelli cattolici,
acuirono tali differenze, come l‟uso diffuso della carne nel nord europa rispetto ai paesi mediterranei, più ricchi
di pane. Anche l‟uso dei grassi differisce tra le due regioni, nord e sud, tanto che al nord col tempo all‟olio si è
sostituito il burro.
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Riguardo al cibo i fattori rilevanti sono due: la quantità ed il gusto. Il secondo è difficilmente definibile, ma
costituisce certo il portato di una cultura, spesso influenzato dalle elite.
La questione della quantità è di maggiore importanza, anche perché essa è privilegio recente e comunque solo di
una piccola parte del mondo. È connessa col salto culturale ed economico che ha portato la magrezza ad essere
vista come virtù, quando solo poco tempo prima essere “grassi” era sinonimo di ricchezza.
Tutti gli elementi ulteriori dell‟alimentazione (dalle ricette alle stoviglie, alle tecniche di conservazione) sono
talmente vari e diversi da luogo a luogo che potrebbero costituire una carta geografica a sé.
Sulla cultura mediterranea il manuale afferma che altro non è che una formula dei nostri tempi che serve a
segnalare una cultura territoriale, ma si tratta di uno stereotipo: basta leggere Lucien Febvre per capire che ciò
che viene oggi considerato mediterraneo fu importato dai più diversi paesi del mondo (p. 37).

-Ciò che abbiamo visto sinora, dalle credenze all‟alimentazione, ma anche la cultura più alta che porta a norme
legislative e morali, crea una identità culturale che è un prodotto della storia. La civiltà è a sua volta un sistema di
culture, all‟interno del quale si trovano codici riconoscibili. Gli studi storici più importanti del „900 come quello di
Braudel si sono concentrati sulle civiltà mediterranee nel tentativo di definirne i caratteri tipici, di spiegarne
l‟immagine compatta e coerente che si ha di esse.
Pensiamo per un attimo all‟Europa: una sua definizione geografica precisa è impensabile, eppure essa
rappresenta una entità sovranazionale che grazie al rispetto per l‟individuo e alla tutela per la multiculturalità ha
permesso un livello di aggregazione superiore, una sorta di civiltà quindi.
Geografi come J. Lévy hanno definito una serie di elementi che caratterizzano una certa area come decisamente
“europea”, un‟area culturale con una sua storia che la differenzia dalla altre. I fattori storici sono la cultura greco-
romana e l‟influsso del cristianesimo e del giudaismo, che hanno portato alla caratteristica principe: la centralità
dell‟uomo.
Alcune reti aperte hanno allargato questa area culturale, in particolare la lega anseatica, l‟istmo europeo (zone da
Londra a Milano, passando per Renania e Paesi Bassi) e soprattutto la rete delle città. Il fenomeno che gli studiosi
odierni cercano di comprendere e spiegare è definito “europeanità”.
Il modello culturale europeo da lungo tempo si è diffuso nel mondo, ciò che noi chiamiamo occidentalizzazione,
e lo ha fatto per decenni in modo violento e impositivo. Si pensi alle civiltà americane distrutte dagli europei
stessi, dai maya agli indiani d‟America.
La valorizzazione dell‟elemento locale può tornare in auge solo grazie alla spinta di tensioni intellettuali nate
intorno alla globalizzazione; non tanto quella economica, che ha modificato profondamente lo spazio fisico
imponendo nuove gerarchie tra i luoghi (grandi metropoli, poli di finanza e politica), ma quella culturale che
combatte con una diversa spinta dal basso. È una contesa impari ovviamente, ma la rivolta del locale sul
mondiale, la forza delle tradizioni contro l‟idea di una comunità internazionale, è il tema su cui dibattono oggi
intellettuali e governi.
-Sul concetto di razza solo di recente la medicina ha posto un‟importante revisione concettuale, in quanto la
genetica accomuna tra loro tutti gli uomini. Il razzismo però prolifica lo stesso perché è diffuso il pregiudizio che
ne è all‟origine, ossia che esistano delle razze umane naturali. Burgio evidenzia come il discorso razzistico si
serva delle differenze fisiche visibili per produrre effetti concreti di discriminazione, non fa altro che
naturalizzare delle identità: determinate caratteristiche, nel discorso razzista, assumono connotazioni naturali.
Così ci sono soggetti etichettati come pericolosi per la società, quelli subordinati ad essa, i nemici veri e propri
(zingari, donne, nazionalisti palestinesi,...). Rimane l‟assunto scientificamente dimostrato che il genere umano è
uno e uno solo.

-Nel nuovo sviluppo della geografia postmoderna l‟ambiente ha una “esistenza sociale” solo grazie all‟azione dei
gruppi umani, i quali lo analizzano e lo concepiscono, lo pensano e cercano di valorizzarlo. Siamo negli anni ‟80

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del Novecento in cui si sviluppa una geografia antropocentrica, con l‟uomo al centro, inteso come individuo o
comunità. Altre definizioni coniante sono quelle di geografia della percezione, psicologica, umanistica.
Una geografia contraria a dogmi, a leggi matematiche, che analizza quelle aree privilegiate nate da coloro che
parlano la stessa lingua, hanno la stessa fede religiosa, o una storia comune. Tali tratti culturali comuni si
riconoscono in segni visibili e materiali, i cosiddetti geosimboli. Essi segnano il territorio stesso e lo caricano di
significato, in quanto oggetti che portano messaggi accessibili a tutti: monumenti, manufatti, edifici sacri. Ogni
cultura crea i geosimboli della propria identità, dunque i gruppi culturali con essi hanno trasformato il paesaggio.
Geografi soprattutto angloamericani hanno adottato tecniche di decostruzione del paesaggio, generando
ramificazioni disciplinari molteplici, col rischio però di creare confusione e allontanarsi da ogni teoria
tradizionale. Ma ciò non fa che rispecchiare l‟oggetto di studio, ossia la crisi di valori e identità che l‟uomo sta
vivendo e che i geografi più accorti debbono segnalare, utilizzando anche nuove tecniche di ricerca.
Tra questi nuovi filoni della geografia culturale gli studi sulle donne hanno riscontrato particolare successo. Da
una parte tornano i grandi temi degli studi sul genere, dunque il grande discorso sui diritti, la situazione politica
e lavorativa, il ruolo della donna in società. Ma la questione più recente, che rispecchia una geografia più
soggettiva, che riguarda le scelte spaziali delle donne: luogo di lavoro, di vita, tempo libero. Ciò porta a
considerare la cartografia come uno strumento storicamente maschilista per punti di vista e risultati espressi,
mentre diverse constatazioni sulle differenze tra uomo e donna spingono ad uno studio orientato maggiormente
sulle donne. Capostipite di questo filone “femminista” è Doreen Massey, con il suo storico studio sulle moglie dei
minatori inglesi: si è dimostrato che la condizione sociale di queste donne era fortemente influenzata dalla
presenza delle miniere, per cui le necessità di mariti e parenti maschi le obbligava a vivere quotidianamente in
casa, senza possibilità di svago (p. 45).

3-Geografia e cartografia

Nei moderni sistemi informatici di riferimento la cartografia ha mantenuto un ruolo essenziale, che riprende
quello delle carte tradizionali: fino al „700 infatti cartografo era sinonimo di geografo. Oggi le ultime frontiere
sono i Gis e Gas (sistemi informativi geografici, sistemi di analisi geografica); tramite i database, foto aeree o
satellitari, la nuova tecnologia permette la creazioni di carte sempre più specifiche, si ha anche la possibilità di
costruire carte personalizzate grazie agli immensi strumenti del web.
La carta, o mappatura, rimane quindi un ottimo modo per rappresentare i dati raccolti; il geografo che utilizza le
nuove tecnologie lavora al computer, elaborando dati tramite i Gis, non soltanto analizzando i processi in essere,
ma delineando prospettive future, tendenze di determinati fenomeni. In tal modo si prospetta una ricerca
applicata, con possibili relazioni alle attività di progettazione e interventi sul territorio; tutto questo con forte
utilizzo di rappresentazioni cartografiche.
Un approccio più teorico riprende l‟importanza della “carta” come di un calco fedele della realtà; ciò che
possiamo leggere diventa oggetto d‟indagine, ciò che possiamo scrivere è il risultato della nostra ricerca.
La carta topografica è dunque un medium, un mezzo primario per la conoscenza geografica. Nel particolare le
topografie descrivono le caratteristiche morfologiche del territorio: viabilità, idrografia, uso del suolo, ecc...
Si deve evidenziare che la cartografia ha un duplice ruolo: quello già definito di strumento per la
rappresentazione di dati raccolti, e quello antecedente di fonte per le indagini stesse. Nella difficile costruzione di
linee di tendenza dei fenomeni naturali oltre che nell‟utilizzo del suolo delle epoche precedenti (analisi delle
forma antropiche), la fonte storica è fondamentale, e così le carte.
La “modellazione” e l‟analisi di opportuni piani di intervento, magari per la costruzione di grandi infrastrutture,
prevedono una ricostruzione del quadro territoriale in un arco di tempo più o meno ampio.
Dall‟età moderna la cartografia geometrica e poi geodetica ha permesso la raccolta di dati, misure, distanze con
un occhio di riguardo allo sviluppo nel tempo dei metodi di ricerca.

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Nelle ricerche sull‟evoluzione delle forme del paesaggio la cartografia è fondamentale, soprattutto quella a
grande scala: sia di tipo topografico che quella cabreistico-catastale (dati su strutture produttive e dei proprietari
terrieri); non di meno per ricerche sincroniche, la carta si può usare per un‟indagine mirata o su analisi di
un‟area.
In Italia la cartografia a grande scala è opera dell‟istituto geografico militare (Igm), per cui l‟obiettivo è riferire più
informazioni rilevanti possibili all‟utente: morfologia del terreno, insediamenti, vegetazione, vie di
comunicazione. Altri elementi per così dire immateriali sono specificati, dagli acquedotti alle reti tecnologiche,
altrimenti invisibili. Da tutto questo ci capisce l‟importanza dell‟utilizzo della cartografia per indagare le
trasformazioni dovute a fenomeni naturali come antropici.
Ma la riflessione critica sull‟uso delle carte ne mette in luce due limiti. In primis ogni carta agisce come un filtro
alla realtà, è una rappresentazione parziale di essa, dunque va letta di conseguenza (conoscenze del cartografo,
scopo del documento, contesto in cui si realizza...); è definibile come un testo composto di vari linguaggi, che va
interpretato tenendo conto del percorso di realizzazione.
Il secondo limite sta nelle caratteristiche stesse di una carta topografica, che risponde ad esigenze pratiche e non
scientifiche: alle informazioni sugli oggetti presenti, naturali o antropici, aggiunge quelle su nomi (toponimi) e
confini.
L‟uso della carta come medium per la ricerca geografica deve dunque tenere conto che si tratta anzitutto di un
“testo” già frutto di semplificazione ed interpretazione della realtà, nonché costituito dal linguaggio grafico, il
quale si concentra sugli aspetti materiali e quantitativi. Vista l‟importanza crescente di elementi immateriali la
ricerca deve quindi dotarsi di metodi di analisi ed elaborazione che tengano conto di questi fattori fondamentali:
identità locali, le geografie urbane, reti informative.

La storia della cartografia, disciplina sviluppatasi tra fine „800 e inizio „900, analizza gli oggetti materiali (carte)
nonché il loro uso nel tempo, il percorso tecnico e scientifico che hanno portato al loro impiego.
Essendo valutate per la loro attendibilità all‟inizio della storia della cartografia, in una fase iniziale in cui per
carta si intendeva un vero e proprio calco tecnico, si sono escluse quelle poco verosimiglianti, tracciando un
percorso rettilineo e in costante crescita di precisione e attendibilità, salvo l‟epoca medievale, considerata un‟era
buia per la cartografia.
A metà ‟900 il concetto di “carta” si è aperto ad una concezione più flessibile, quella della vasta opera di Storia
della cartografia del 1987, in cui si pone maggiore attenzione al documento di per sé, al contesto con l‟ambiente di
utilizzo. Dunque si è allargato il panorama dei documenti da esaminare.
La carta è dunque esaminata come un testo che contiene un discorso, codifica in un linguaggio specifico e che
costituisce una espressione significativa della concezione dello spazio per la cultura e la società che l‟ha prodotta.
La capacità umana di dare forme concrete ad elementi spaziali è antecedente alla scrittura e appartiene al vasto
campo dell‟arte preistorica, ma solo pochi dei milioni di reperti trovati sono qualificabili come rappresentazioni
spaziali; devono verificare tre condizioni: intenzione di ritrarre una relazione tra oggetti e spazio; compresenza di
tutti gli oggetti; adozione di una modalità ricollegabile alla tecnica cartografica.
I documenti individuati con tale criterio possono appartenere a tre categorie: topografie, rappresentazioni della
volta celeste, immagini del cosmo. Un esempio sono le incisioni su pietra sulle Alpi francesi, anche se rimane
poco chiaro lo scopo di tali raffigurazioni.
Le grandi società del passato hanno lasciato preziose testimonianze, dai papiri egiziani con le prime pratiche di
misurazione di territori, alle culture della Mesopotamia tra IV e II millennio a.C. I sumeri e gli assiro-babilonesi
introdussero innovazioni economiche (agricoltura, strutture urbane, divisione in classi) e culturali (scrittura
pittografica). Nel loro caso le raffigurazioni spaziali sono un numero esiguo, ma indicano una chiara concezione
del cosmo nonché capacità di disegnare la pianta di un territorio.
La tradizione individua in Anassimandro il primo autore noto di una “carta”, per quanto non pervenuta fino a
noi. Filosofo di Mileto del VI secolo a.C. elaborò un pensiero filosofico tramite le conoscenze acquisite nei suoi
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viaggi, nonché lo sviluppo della geometria, che gli permise di formulare una concezione nuova del cosmo: i
fenomeni erano interpretati in base al movimento degli astri. Suo è il primo tentativo di rappresentare l‟ecumene,
cui ne seguirono altri (p. 55).
Non solo carte, ma anche trattati, resoconti di viaggi e descrizioni più o meno fantasiose; arcinoto è il trattato il 17
libri sulla Geografia di Strabone, contemporaneo di Augusto. Egli dedica ampio spazio al tema della
rappresentazione, progettando anche una grande carta. In epoca romana l‟organizzazione ed il controllo del
territorio da Augusto in poi fece sì che la maggioranza delle rappresentazioni spaziali fossero per catasti e
censimenti. I catasti soprattutto erano realizzati su pelle, carta, legno o bronzo e fornivano le informazioni
necessarie; ci furono anche esempi di costruzioni in marmo, tra cui la celebre Forma urbis, pare una delle più
accurate piante di Roma fino all‟epoca moderna.
Ma il geografo più rilevante dell‟età romana fu Claudio Tolomeo (90-168 d.C.) vissuto ad Alessandria d‟Egitto;
nella sua opera espone i fini della geografia (disegno della totalità della terra), fornendo inoltre gli elementi
tecnici fondamentali per la costruzione delle carte su cui rappresentare le località.
La più nota carta di epoca romana è la Tabula Peutingeriana, giunta tramite una copia medievale; del IV secolo
d.C., sono rappresentati Europa, Asia e Africa con l‟oceano intorno, anche se lo spazio è compresso dilatandosi
verso est e ovest. Ma a fronte di questo difetto vi sono informazioni dettagliate su elementi fisici, antropici (reti
stradali, distanza tra località, nomi) e altre indicazioni. Si può annoverare tra le prime Itineraria Picta, ossia
descrizioni grafiche di percorsi che ricalcano la rete stradale romana, a cui si accompagnavano gli Itineraria
Adnotata, testi con informazioni scritte.
Il Medioevo è definito come l‟età oscura della cartografia, tanto che anche i grandi mappamondi murali erano
definiti come mostruosità senza alcuna veridicità. Una tradizione ottocentesca attribuì poi alla concezione
medievale la rappresentazione della terra piatta o simile ad un tabernacolo, ma erano metafore religiose: a teologi
e filosofi la sfericità del globo era ben nota.
Solo le carte nautiche sfuggivano al controllo religioso, in quanto essenziali alla navigazione commerciale; le
prime fra esse, come la Carta Pisana, sono di epoca tardo medievale e presentano gli elementi essenziali della
costa, senza alcun abbellimento né informazioni aggiuntive.
In numerosi mappamondi di epoca medievale, detti “T in O”, si trovano precisi riferimenti religiosi del Vecchio e
Nuovo Testamento. La T rappresenta Mediterraneo, Don e Nilo, così come tre sono i continenti; la O è l‟oceano
che circonda tutto. Spesso Gerusalemme è al centro del mondo, così si evidenzia la tripartizione dei continenti
colonizzati dai tre figli di Noè, non a caso questo tipo di mappamondi spesso figuravano a margine dei codici,
con funzione didascalica.
Nel Medioevo erano dunque assenti le rappresentazioni su ampia scala, con la prevalenza di fonti letterarie utili
per i viaggi, resoconti e informazioni pratiche; l‟epoca moderna ha apportato una serie di fattori rivoluzionari che
hanno influenzato la cartografia, dal ritorno sull‟importanza della Geografia di Tolomeo, allo sviluppo di nuove
classi urbane e commerciali, la stampa e la sua diffusione, istituzioni politiche laiche.
Lo stesso Cristoforo Colombo alla vigilia del suo viaggio si avvalse di documenti importanti, sintetizzati da tre
manufatti: il mappamondo di fra Mauro, monaco veneziano, che utilizza carte nautiche aggiornate e relazioni di
viaggio come quella di Marco Polo (fa parte della consolidata tradizione di mappamondi richiesti da autorità
religiose e civili); la carta del mondo facente parte di uno scritto più esteso di Enrico Martello, cartografo di
origine tedesca, che aggiorna specialmente la conformazione dell‟Africa grazie alle spedizioni portoghesi. Infine
il globo policromo in legno di Behaim, il più antico a noi pervenuto.
Del 1500 è la prima carta che comprende il nuovo mondo, di Juan de la Cosa, marinaio di Colombo; si tratta di un
abbozzo del profilo costiero, superato nel 1506 dalla mappamondo di G.M. Contarini. Quest‟ultimo indica più di
preciso le nuove terre, le isole scoperte da Colombo e l‟inizio del Sudamerica.
Un anno dopo il planisfero di Waldseemuller col suo ampio commento proponeva di chiamare America il nuovo
continente, in onore ad Amerigo Vespucci.

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È l‟epoca che pone le basi per la cartografia moderna (tecniche tolemaiche, carte nautiche, nuove informazioni),
grazie alla spinta delle potenze europee che richiedono alle nascenti officine cartografiche documenti sempre più
precisi; si diffonde maggiormente anche la corografia, la delineazione di territori ridotti a media scala. L‟avvento
dello stato moderno, con le nuove pianificazioni urbanistiche, le tattiche militari, il bisogno di controllo sul
territorio, porterà agli estremi questa disciplina di rappresentazione dello spazio.

A metà „400 il teorico e umanista Leon Battista Alberti (prospettiva) introdusse la tecnica della triangolazione, con
cui misurare le distanze tra i vertici di un teorico triangolo. La usò per la planimetria di Roma ma anche
nell‟ambito più generico della rappresentazione. Da ciò nasce la “prospettiva a punto unico di fuga”, già
elaborata dal Brunelleschi; in tal modo si rappresenta la realtà partendo da un punto centrale che è quello
dell‟occhio di chi osserva, permettendo di mettere sul piano bidimensionale la realtà (p. 61). Nel secondo „400
Leonardo da Vinci utilizza la prospettiva per la realizzazione di pregiate carte, oltre a suggerire originali metodi
di misurazione.
La corografia a media scala prosegue con la formazione di governi regionali e nuove figure di cartografi, tra cui
Giacomo Gastaldi in Italia.
Il Cinquecento fu periodo di svolta per la cartografia regionale, e solo a metà secolo la triangolazione verrà
introdotta tra i cartografi; le prime carte di questo tipo appaiono nelle Fiandre, anche grazie alle elaborazioni del
matematico olandese Gemma Frisius. Eppure un suo allievo divenne ancora più famoso come cartografo, il
tedesco Gerhard Kremer, noto come Mercatore. Dal suo planisfero in 18 fogli del 1569 si arriva alla raccolta di
carte che contiene per la prima volta il termine “atlante”: da quel momento tale parola indica una serie di carte
dedicate alle varia parti del mondo.
Contemporaneo e amico di Mercatore fu Ortelius, anch‟egli produttore di una famosa raccolta di carte nel 1570,
caratterizzata da informazioni aggiornate e raffinata tecnica cartografica. I Paesi Bassi rimangono all‟apice della
produzione cartografica: Waghenaer, e le scuole di Hondius e Blaeu, che raggiunsero uno dei livelli più alti della
cartografia olandese.
Alcune informazioni immaginarie rimasero però presenti a lungo nelle carte, eredità mitica a lungo consolidata;
tra queste la più resistente fu quella della Terra Australis, già peraltro teorizzata in età classica, che fu poi
verificata nel 1801 dai viaggi di Flinders e Cook.
Nel 1500 la rappresentazione del territorio si lega alle richieste di autorità civili e religiose, che nei palazzi
richiedono atlanti affrescati su soffitti, pareti e anche mobili. In Italia già dal 1400 si realizzano topografie a scala
ampia, media e piccola, quest‟ultima influenzata dalla ripresa della cartografia tolemaica, tanto che l‟immagine
della penisola avrà un‟immagine deformata per lungo tempo proprio a causa degli errori di Tolomeo. Due carte
fondamentali dell‟Italia appaiono però nel 1561 e nel 1608 dai geografi Gastaldi e Magini; sono due esempi
dell‟impegno nel campo della cartografia in Italia.
La minor fortuna della tecnica cartografia italiana rispetto all‟olandese fu dovuta all‟importanza della
committenza per i Paesi Bassi e all‟espansione commerciale nel nord Europa, che centri che divennero nodi del
commercio mondiale:Bruges, Anversa, Amsterdam. Anche le ricerche dell‟università di Leida contarono, mentre
i cartografi italiani rimasero all‟interno dei propri confini.
Sempre il XVI secolo è caratterizzato dall‟attenzione di Portogallo e Spagna alla raccolta dati sul nuovo mondo,
su Asia e Africa, producendo carte notevoli, mentre a partire dal Seicento la creazione di stati moderni spinge alla
produzione di carte di grande scala, con esigenze militari e di controllo del territorio.
La Svezia è la prima a dotarsi di una rappresentazione topografica, seguono richieste di altri regni nei decenni del
1600. Ci sono però notevoli imprecisioni nelle misurazioni delle forme del terreno, con tali problemi tecnici che in
Francia e Inghilterra si creano accademie scientifiche apposite. Dall‟Accademia delle scienze di Parigi iniziarono
le prime misurazioni della terra. Questi complessi studi, che portarono ad una rete di triangolazione su tutto il
territorio francese, sfociarono nella Carta generale della Francia: una carta di 106 fogli la cui realizzazione durò
settant‟anni, prima rappresentazione scientifica a grande scala.
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La cartografia moderna si avvale di operazioni atronomico-geodetiche unitamente a quelle topografiche; le prime
usano la triangolazione per determinare l‟esatta posizione geografica di determinati punti e le loro distanze,
mentre la seconda ricostruisce planimetria e altimetria della superficie terrestre.
A metà Settecento per volere di papa Benedetto 14 nasce la prima carta su porzione di territorio italiano con
“inquadramento geodetico”, mentre con l‟avvento dell‟800 la cartografia topografica è sempre più sotto la tutela
degli organismi militari; nascono così le carte nazionali (Francia e Svizzera, Russia e Polonia, Inghilterra...p. 67).
In Italia la copertura geografica venne influenzata dallo status politico successivo al congresso di Vienna:
cartografie sono ordinate nel regno di Sardegna, poi nel Lombardo-Veneto, ducato di Modena, granducato di
Toscana e stato pontificio grazie all‟iniziativa dell‟istituto geografico militare austriaco.
Per le Due Sicilie fondamentale fu l‟apporto di Antonio Rizzi Zannoni per una cartografia preunitaria.
Gli uffici militari fornirono la spinta necessaria per realizzare carte precise in tempi brevi, rispetto alle ricerche di
singoli, per quanto esperti e precisi.
Oggi la cartografia dimostra l‟attestazione dell‟autorità statale ed è inoltre utile strumento di governo e difesa del
territorio: da qui deriva la nascita di servizi cartografici di stato (cartografia catastale, tematica, topografia). Per la
topografia hanno operato quasi del tutto organismi sottoposti alle autorità militari.
Dopo la seconda guerra mondiale si sono diffusi standard europei (scala 1: 50000) e si è rivalutata l‟importanza
strategica della cartografia topografica con la costituzione della NATO. Si osserva inoltre il passaggio a ministeri
diversi da quello della difesa, oltre al decentramento verso poli periferici ed iniziative private. Sono nati inoltre
organismi internazionali, come l‟Eurostat (ufficio statistico cartografico dell‟unione europea) che raccoglie,
elabora e diffonde dati, oltre a mettere in pratica la decisioni politiche dell‟UE. Le difficoltà stanno
nell‟integrazione di dati nazionali raccolti con tecniche e parametri diversi. Il nodo cruciale oggi è quello dei
“geo-dati”, che a causa delle logiche di mercato non sono più di monopolio statale; sono questi beni
“semicomuni”, non soggetti a usura per utilizzo. Questa privatizzazione della raccolta di geo-dati è una
conseguenza del passaggio dei servizi cartografici dall‟ambito militare a quello civile.
La seconda metà del Novecento vede l‟applicazione delle nuove tecnologie: pc portatili, Gps, foto aeree. Lo stesso
concetto di carta è cambiato e così la professione di cartografo: si punta alla realizzazione di un database
elettronico con un programma software che raccoglie, elabora e presenta i dati. La grande potenzialità è quella di
costituire un database riferito agli “oggetti” della topografia del territorio (p. 70).

4-Geografia e paesaggio

Negli Usa è in atto dal 1992 una iniziativa per raccogliere dati sulla copertura del suolo, il modo cioè di utilizzare
il territorio e potere in seguito pianificare successivi interventi.
In Europa progetto simile è il Corine, del 1985 per creare una banca dati comune sull‟uso del suolo (land cover,
land use). L‟adesione ai protocolli di questo progetto è uno dei requisiti per far parte dell‟Unione Europea; viene
utilizzata una sorta di grande fotografia digitale del paesaggio, dove per esso si intende un insieme di unità
territoriali, ognuno caratterizzata da una prevalente copertura del suolo. Del 2000 è la Convenzione europea sul
paesaggio, inteso come elemento essenziale dell‟ambiente di vita delle società umane, che va dunque tutelato in
ogni fase di progettazione futura.
Paesaggio può essere inteso quell‟insieme di elementi di uno spazio percepiti dalla visuale di un osservatore, che
sia un uomo o uno strumento. La prima modalità espressiva del paesaggio è l‟arte in epoca moderna; la pittura di
paesaggi diventa un genere nel „500, con le grandi scuole fiamminghe e italiane. Nel tempo il rapporto uomo-
natura si sviluppa sottoforma di intervento del primo sulla seconda, per cui dal paesaggio propriamente naturale
si passa a quello coltivato, ai giardini e poi le città, connotati dal senso di ordine che mostra il controllo dell‟uomo
sullo spazio. A metà Ottocento l‟approccio al paesaggio è quello romantico, in pittura e letteratura, con
invenzione e rappresentazione che si mescolano tra loro. Le opere di Turner e Friedrich rielaborano in chiave
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lirica e allegorica le forme del reale. Ritter e Humboldt sono invece esponenti della geografia borghese, che
premeva per un approccio scientifico all‟indagine geografica, e con essa il paesaggio che perde valenza estetica a
favore della connotazione tecnica.
Il paesaggio è al centro anche della letteratura geografica, oltre che delle arti e di altre dottrine; ed anche in
geografia c‟è un paesaggio visivo, “sensibile”, i cui numerosi componenti sono filtrati dall‟osservatore e dal suo
punto di vista (fisico e metaforico). Da questo paesaggio sensibile vanno isolati alcuni caratteri dominanti e
distintivi che permettono la classificazione del paesaggio “geografico razionale”. Quest‟ultimo fissa alcune
caratteristiche visive che permettono una classificazione: paesaggio polare, fluviale, forestale...la geografia del
Novecento ha identificato spesso grandi regioni terrestri come “paesaggi geografici naturali”, ma il passo
successivo è quello di considerare anche l‟uomo (che in questa letteratura è ai margini) come fattore di
trasformazione, se non di creazione, di un certo paesaggio.
Il concetto di paesaggio si complica quando oltre le componenti visibili si cerca di inserire la comprensione delle
reciproche relazioni tra uomo e natura.
Per una classificazione globale un elemento che sintetizza diversi fattori naturali (clima, suolo, idrografia...) è la
vegetazione; si sono così delimitate fasce climatiche latitudinali in base al tipo di vegetazione. Le aree forestali,
che coprono circa il 30% delle terre emerse, subiscono costanti e preoccupanti deforestazioni a causa dell‟uomo,
denunciati da geografi e ambientalisti.
A nord e sud dell‟equatore c‟è un clima caldo costante, con piovosità che varia stagionalmente solo presso la zona
dei tropici: foresta pluviale, la giungla dell‟area monsonica, la savana ai tropici, conformazioni naturali che si
formano in base al diverso clima.
La società umana ha avuto origine nella vasta regione intertropicale, dove vive attualmente un terzo della
popolazione mondiale. Le zone temperate ai margini della fascia intertropicale fanno da passaggio alle due fasce
fredde, a nord e sud, oltre il 60° parallelo. Nell‟area temperata avviene una marcata alternanza di stagioni, con
grandi catene montuose e aree continentali vaste; proprio in queste ultime la vegetazione presenta foreste (vicino
le coste, per piogge e umidità) e steppe (zone interne, aridità).
L‟area mediterranea presenta un clima a sé, dovuto al grande bacino marino interno che mitiga soprattutto la
stagione invernale: si alternano la macchina mediterranea (arbusti, cespugli) ad alberi ad alto fusto.
Le fasce latitudinali estreme presentano temperature sotto lo zero per oltre metà anno, poche le precipitazioni
(nevose); nelle aree più temperate sono presenti foreste di betulle e conifere.
Il quadro delle regioni mondiali del paesaggio naturale presenta una situazione teorica che considera i pochi
elementi naturali sviluppatisi per effetto del solo clima, prescindendo dalle attività antropiche.
Ciò è limitativo, poiché la stessa copertura vegetale del suolo è influenzata dalla presenza delle società umane,
spesso con risvolti negativi: dalle piogge acide all‟effetto serra.
Più probabilmente fenomeni globali come l‟innalzamento delle temperature e la desertificazione nascono
dall‟interazione di attività umane (eccessivo sfruttamento) e cicli naturali, con gravissime conseguenze.

Il paesaggio agrario è l‟emblema dell‟interazione tra condizioni ambientali ed intervento umano; come la società
che lo utilizza, tale paesaggio non è statico ma in mutamento continuo. Come esempio si pensi alla grande
richiesta di fiori recisi in occidente, che influenza aree di grandi dimensioni nei paesi più poveri con condizioni
ambientali favorevoli (pp. 81-82).
I paesaggi agrari vedono spesso la compresenza di componenti residuali e attuali; i primi sono i risultati di un
processo pregresso (edifici rurali, filari di viti) non più in uso, cui si sovrappongono edifici attualmente utilizzati.
Queste forme miste derivano da scelte che tengono conto del mercato, dei costi e delle normative a livello
nazionale ed internazionale (es. a p. 82).
In ambito europeo il paesaggio agrario ha una storia antica e lunga: grande innovazione fu la centuriazione
romana, con l‟ordinamento degli spazi agricoli distinti dalle aree boschive. Le condizioni locali influenzano il

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paesaggio, si pensi all‟Europa mediterranea: scarse precipitazioni, terreni poco fertili, pianure non estese. Vite e
olivo condividono le zone bonificate, su terreni in pendenza, divisi con le necessarie colture cerealicole.
La frammentazione politica dell‟era Medievale ha sconvolto l‟ordine della centuriazione, indebolendo la pratica
agricola spesso a favore dell‟allevamento. Si passa alla struttura organizzativa della curtis, con un paesaggio
composito (agro-silvo-pastorale).
La rottura dell‟organizzazione curtense si osserva a partire dal 1700, ma nel frattempo storici come Marc Bloch
hanno individuato e classificato paesaggi agrari caratterizzanti, con una precisa identità economica e sociale. Egli
proponeva a inizio „900 alcune tipologie di campi per la Francia.
Storici e geografi hanno individuato tre tipologie di spazio agrario europeo, di lunga durata e grande diffusione:
openfield, bocage, paesaggio mediterraneo.
Oltre agli elementi visibili, come la chiusura o meno tra appezzamenti, la dislocazione degli abitati e
l‟articolazione delle colture, si è cercato di studiare elementi non visibili ma importanti: si pensi alle tradizioni
giuridiche di stampo latino e germanico, con il primo che divide l‟eredità tra tutti i figli a differenza dell‟erede
unico del secondo.
-openfield: la forma evidente di questa tipologia è costituita da spazi aperti, estesi, senza frammentazioni fisiche.
La popolazione vive in villaggi rurali ad alta coesione sociale, l‟uso del suolo è visto come proprietà della
comunità, seppure ogni famiglia abbia diversi appezzamenti di modo da usufruire di colture diverse (rotazione).
Paesaggio e struttura socioeconomica si affermano tra il 1400 e 1500, resistendo fino alla svolta moderna nel 1700,
quando questo tipo di paesaggio viene modificato: meno manodopera, meccanizzazione e produzione orientata
verso un mercato sempre più globale.
-bocage/enclos: presenta un aspetto opposto all‟openfield, con appezzamenti delimitati da recinti e insediamenti
sparsi, collegati da feti di viabilità rurale. Più che sulla comunità, la struttura sociale è fondata sulle aziende
famigliari; in alcune aree di Francia e Gran Bretagna si è riscontrato una precedente prevalenza di campi aperti,
con l‟affermazione del bocage solo in età moderna, nell‟epoca della rivoluzione industriale. L‟economia
capitalistica, l‟agricoltura commerciale, l‟importanza delle città, tutto ciò ha sconvolto il tradizionale paesaggio
rurale.
La proprietà della terra era divisa tra diversi livelli: nobile, feudatario, comunità, affittuario. L‟economia di
mercato ha trasformato la terra stessa in merce, non più vista come mera componente produttiva, portando alla
formazione di una nuova classe proprietaria fondiaria. Da qui è derivata la disgregazione di molte comunità, con
conseguente immigrazione nei centri urbani. Uno dei fenomeni più incisivi furono le enclosures, ossia la chiusura
fisica degli appezzamenti, per affermare così l‟unicità della proprietà.
A sua volta questo paesaggio a bocage è andato in crisi con le innovazioni tecnologiche del secondo Novecento e
le ultime richieste del mercato globale.
-paesaggio agrario mediterraneo: ambiente articolato, a causa dell‟esiguità di grandi pianure. Insediamenti
accentrati, adattati alla morfologia irregolare, agricoltura intensiva con coesistenza di colture erbacee (cereali),
arbustive (vite) e arboree (olivo, frutti). Tipico esempio è la huerta, paesaggio mediterraneo reso possibile da
un‟attenta organizzazione sul controllo delle acque (scarse in questa fascia climatica), connotata infatti da fitte reti
di canali con una produzione intensiva di ortaggi, riso, agrumi, cotone.
La gestione è affidata ad una solida struttura comunitaria, con elevato numero di abitanti.
Alla coltura promiscua e alla huerta si aggiunge la terza tipologia, quella monoculturale, con una copertura
univoca del suolo a cereali, vigne o oliveti. Una specializzazione che negli ultimi tempi si è affermata
ulteriormente a scapito della promiscua, mentre l‟allevamento ha sempre avuto un ruolo rilevante per il
paesaggio mediterraneo.
La pastorizia ha richiesto lo sviluppo di un sistema di allevamento itinerante, che durante l‟inverno porta le
greggi verso zone pianeggianti, a volte costiere, in concomitanza con la conclusione del ciclo di colture.
Le trasformazioni hanno interessato anche l‟area mediterranea: crescita delle città, attività commerciali (metà
„800), turismo (metà „900) hanno portato allo spopolamento di montagne e colline, degrado di questi paesaggi
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agrari, e maggiore pressione antropica sulle coste. Escluse da queste forti trasformazioni rimangono alcune zone:
quelle dell‟ex Unione Sovietica per l‟agricoltura collettiva, o le repubbliche dell‟Europa orientale. Anche le zone
alpine hanno conosciuto da tempo costruzioni artificiali di vari tipi.
Oggi il mercato internazionale dei prodotti agricoli comporta una produttività esasperata che conduce alla
intensificazione dei terreni oppure alla loro marginalizzazione. Nel primo caso si usano tecniche standard, con i
terreni che sono uniti sotto grandi aziende, con produzioni specializzate e forte meccanizzazione.
Questi nuovi paesaggi agrari tengono in considerazione i mercati e le tecnologie molto più che le condizioni
naturali di base, tanto che terreni una volta usati per attività rurali sono abbandonati perché non in grado di
sostenere questo tipo di agricoltura aggressiva.

Per la tutela di aree con un certo valore paesaggistico esperti di vari settori hanno elaborato griglie di valutazione
con vari parametri, a partire dalla fine dell‟Ottocento con la formazione dei primi grandi parchi naturali negli
Usa. È del 1972 la Convenzione dell‟Unesco a cui quasi tutti gli stati hanno aderito per la tutela di patrimoni
artistici e culturali, così come di aree naturali (di recente si sono introdotte le Cinque Terre liguri, paesaggi agrari
in Francia e Svezia, allevamenti sui Pirenei). Si è così sviluppato il “landscape planning”, che tiene conto dei
mutamenti del paesaggio, ma anche del ritmo di tale mutamento, accelerato negli ultimi decenni soprattutto a
causa dell‟intervento umano. Proprio a seguito della distanza introdotta in età moderna tra uomo e natura, il
paesaggio è diventato un soggetto autonomo a cui conferire valori e funzioni, culturali ed economiche. Ma tale
valore, ad esempio di un parco naturale, è attribuito in base alla scarsa qualità ambientale della nostra vita
quotidiana, mentre l‟approccio di chi ci vive sarà del tutto diverso dal nostro.
La pianificazione del paesaggio può risultare utile laddove venga introdotto il concetto moderno di sviluppo
sostenibile, che nel lungo periodo porti ad un impatto minore sull‟ambiente. La conoscenza delle relazioni delle
società umane con l‟ambiente nel corso del tempo è necessaria. Per comprendere la complessità dei problemi
riscontrati dalla pianificazione del paesaggio si pensi alla produzione di energia elettrica e agli ultimi sviluppi su
modalità rinnovabili; centrali idroelettriche e geotermiche, torri eoliche sono tutte strutture che incidono su
paesaggi naturali, eppure migliorano la “qualità” dell‟energia ottenuta.

5-Geografia sociale

La questione delle abitazioni popolari era indicata come urgente già a inizio „900, ma non si tratta solo di un
problema organizzativo: il genere umano sviluppa attitudini solo se situato in un ambiente di vita favorevole. La
casa è dunque un importante indicatore sociale delle persone, dei cittadini in particolare.
Già nell‟Ottocento le grandi capitali applicavano lo zoning, cioè la programmazione urbana per aree distinte,
come la costruzione di case operaie in determinate zone. In Italia l‟edilizia popolare modificò la geografia sociale
della città, rompendo l‟impianto tradizionale per accogliere le famiglie di operai e collocarle in edifici che
stridevano nettamente con la tradizione.
La geografia sociale tratta della varietà nella città, delle differenze e delle gerarchie. Si è già visto come Charles
Booth abbia costruito una mappa di Londra nel 1889, suddividendola in base al censo; è un esempio di mappa
urbana che permette lo studio sulle forme abitative dell‟uomo, introducendo temi come la disuguaglianza e la
qualità della vita. La geografia sociale si occupa di questo, del rapporto tra strutture sociali e spazio. Fra i temi
più frequentati ci sono la povertà, fame e malattie.

È dall‟Ottocento che i medici italiani definirono i termini di miseria congenita e povertà ereditaria; gli stessi
medici igienisti condussero una campagna contro quel modo di concepire le condizioni di vita, una rivoluzione
culturale che proponeva buona alimentazione, esercizio fisico e istruzione come strumenti.
Si diffuse questa presa di coscienza, vedendo nel rifiuto dell‟inevitabilità il riscatto dalla povertà di contadini e in
un secondo momento classe operaia. Nonostante i progressi scientifici è ancora forte il nesso povertà-malattia,
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mentre oggi ricchezza e povertà sono da considerare come “sistemi sociali”, non solo mere condizioni materiali.
Persino nell‟Italia preindustriale, vedi lo Stato della Chiesa, i poveri erano schedati, marchiati come tali con una
sorta di documento, la “fede di povertà”, con l‟assistenza garantita nelle sue varie forme a patto che si accettasse
la condizione di povero.
In età moderna il povero è diventato il marginale, un uomo ai margini della società, con carenza di sicurezza e
beni; per il povero assistito si tende a parlare di povertà relativa.
L‟Italia si è certamente arricchita a fine „900, aumentando il proprio Pil, eppure il numero dei poveri non ha mai
cessato di crescere (vedi dati a p. 98). Ci avviciniamo alle percentuali dei paesi ricchi: è povero il 17% della
popolazione degli Usa, il 12% dell‟Australia.
Questa è la contraddizione dei paesi ricchi, in cui la ricchezza globale aumenta e aumentano anche i poveri;
questi esclusi, chiamati nei modi più diversi, aumentano a causa della crisi di settori dominanti fino a qualche
decennio fa, soprattutto in ambito industriale. La disoccupazione è un fattore determinante.
Ci sono rappresentazioni spaziali di ricchezza e povertà, ma sono visioni semplificate: la povertà è un fenomeno
a varie dimensioni, comprende il reddito, l‟istruzione e la formazione, le case, la disoccupazione, la salute. Se
sono stati fatti grandi miglioramenti negli ultimi anni del Novecento, come rilevato dall‟Onu, ciò non toglie che
ancora più di un miliardo di persone viva sotto la soglia di povertà. L‟estrema povertà affligge più l‟estremo
oriente e il sud asiatico che l‟Africa, aggravata invece dall‟Aids.
L‟ineguaglianza dei guadagni è un dato crescente anche nei paesi in via di sviluppo o non molto ricchi,
disuguaglianza tra classi sociali ma anche tra aree di uno stesso paese (pensa al sud Italia).
Ricchezza e povertà sono dunque definizioni che indicano una condizione di vita oggettiva e misurabile tramite
diversi valori. Il “livello di vita”, definibile anche come benessere, è un indicatore qualitativo della ricchezza, a
cui si contrappone la miseria, o malessere.
Il livello di vita si compone di tutti gli elementi strutturali di una società, dei benefici materiali che può offrire:
ambiente, lavoro, svago, cultura, sanità. Tale dimensione di benessere è stata presa come riferimento per la
questione dello sviluppo delle società, così a partire dal primo Rapporto mondiale sullo sviluppo umano del 1990
si sono sviluppati indicatori Isu (ind. sviluppo umano) per delineare povertà e ricchezza delle nazioni. L‟Isu va
da 0 a 1 ed indica la distanza di ogni paese verso un obiettivo congiunto di tre elementi del benessere: istruzione
per tutti, durata media di vita di 85 anni, livello di reddito di 5000 dollari. Nel 2003 l‟Italia era ano ventunesimo
posto con 0,916.
Con tali stime risultano esserci 50 paesi racchiusi nella recente espressione “quarto mondo”, non bastando più
quella di terzo mondo coniata nel 1952.
Altro indicatore è l‟indice di povertà, usato che i paesi in via di sviluppo: con criteri simili all‟Isu serve per
valutare la parte di popolazione che vive in stato di indigenza.
Un diverso approccio allo studio della disuguaglianza è quello del premio Nobel per l‟economia Amartya Sen,
che propone lo studio della capacità dell‟individuo di sfruttare risorse, nonché della sua libertà di scelta. È uno
studio che va oltre i dati numerici, indagando il vivere in tutto e per tutto più che il consumare: non è dunque il
reddito il principale elemento da valutare, la qualità della vita per Sen va misurata in termini di libertà, di facoltà
di gestire le risorse e le propria capacità.
Sull‟origine della povertà delle nazioni ci sono diverse teorie più o meno accreditate: da quelle che incolpano la
debolezza degli stati poveri, alla mancanza di investimento sul capitale umano, al necessario sfruttamento e
controllo dei paesi ricchi su quelli sottosviluppati.
L‟ineguale distribuzione delle risorse naturali è spesso indicata come causa prima delle divergenze tra paesi, ma
come si spiega allora che tra i paesi più ricchi del mondo ce ne siano alcuni poveri di risorse?
Questo rapporto tra risorse e popolamento ci porta al determinismo, sviluppatisi a inizio Ottocento e dominante
in geografia per diverso tempo: è l‟idea per cui, conoscendo le cause di un fenomeno, se queste si manifestano in
un dato momento il fenomeno si produrrà sicuramente. In geografia il determinismo svolge un ruolo rilevante, in
quanto descrive le risorse naturali di cui l‟uomo può disporre, ma che deve sfruttare al meglio con le sue capacità.
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Poiché la storia dimostra che gli uomini hanno prodotto disuguaglianze tra luoghi di uguali potenzialità, la
conclusione generale è che sia l‟ineguale accesso alle risorse sia la diversa capacità di sfruttamento di alcuni
popoli sono fonte di un diverso grado di sviluppo.
Il determinismo geografico, così come le teorie evoluzionistiche (frutto di una spinta culturale positivistica)
hanno improntato la cultura ottocentesca, dando vita a classificazioni di territorio ma anche antropologiche che
sono diventati stereotipi veri e propri (geografia medica). Le teoria localistica nell‟800 imponeva ad ogni medico
una precisa conoscenza geografica, in quanto si riteneva che le condizioni di un certo ambiente fossero causa di
determinate malattie. Da qui la creazione di carte tematiche che associavano ad ogni territorio la propria malattia.
Studiando il territorio si può così definire il tipo fisiologico umano di determinati luoghi, la predisposizione cioè
di quelle persone ad essere affette da particolari malattie, dunque le malattie “vere” saranno le devianze da
quelle tipiche; per il determinismo la relazione uomo-territorio è così forte da influenzare anche il carattere fisico
e morale delle persone.
Il maggiore contributo alla teoria localistica viene dalla disciplina definibile come geografia medica, per la quale
le località stesse possono variare, togliere e curare una malattia.
Solo a inizio „900 l‟ambiente fu messo da parte, con la scoperta dei batteri, dei microrganismi, dei virus,
concentrandosi sull‟uomo e il contagio, la geografia scomparve dalla medicina. Non così fu per la geografia, dove
si continuò per molto tempo ad associare tipi umani a determinati ambienti.
Per una visione generale della distribuzione spaziale delle società, la salute risulta un fattore essenziale per la
comprensione delle dinamiche spaziali. Basti pensare alla recente diffusione dell‟Aids, a partire dagli anni ‟80; si
è diffusa con enorme rapidità e in modo del tutto ineguale, come si nota dalle cartine a p. 110/111. Se nel nord si
è ridotto di molto il suo impatto, nel sud dell‟equatore peggiora di continua a causa della miseria: Africa sub
sahariana e India i paesi più colpiti.

6-Geografia politica

Una recente teorizzazione ha battezzato l‟Europa come paradiso geopolitico, che da 50 anni svolge il confronto
tra le nazioni senza guerre ma con la competizione economica; eppure è un paradiso alieno a ciò che accade nel
resto del mondo, dove l‟unica vera potenza di valenza mondiale rimangono gli Stati Uniti (soprattutto dopo il
1991, col crollo dell‟Unione Sovietica). La guerra preventiva in Iraq nel 2003 ne è la prova. All‟interno della stessa
Europa si è creata una articolazione geopolitica tra chi appoggia gli Usa, chi è neutrale e chi è contro il loro
intervento (la vecchia Europa: Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo). Eppure la stessa Europa sta cercando di
presentarsi come una entità unica agli occhi del mondo, una potenza economica, politica e militare.
Il venir meno del confronto bipolare degli anni della guerra fredda (p. 116) ha portato l‟Europa ai margini della
strategia Usa; se Italia e Spagna manterranno postazioni fisse militari, nuove basi si installeranno in Bulgaria e
Romania, con la Turchia che perderà il proprio ruolo geopolitico visto l‟apertura di ulteriori basi in Asia nonché
piccole installazioni nel nord Africa.
Geografia politica e geopolitica si occupano proprio delle alterne vicende politiche in determinate aree; la fortuna
di queste discipline ha avuto alti e bassi, fino alla loro ripresa sul finire del „900.
Temi della geografia politica sono le regioni politiche ed i processi politici (guerre, nazionalismi...); fin
dall‟antichità uno studioso come Strabone esponeva l‟importanza politica delle conoscenza geografiche, utili
come strumento politico. Ma la nascita della geografia politica è riferita a fine „800, col trattato del tedesco F.
Ratzel il cui principale oggetto di studio è lo stato moderno. Massima espressione della capacità costruttiva
dell‟uomo, lo stato è per Ratzel un organismo vivente che tende ad espandersi e crescere, confrontandosi con le
condizioni materiali dell‟ambiente come con gli altri stati. Da qui nasce il concetto, poi molto utilizzato, di spazio
vitale.
Nel Novecento gli studi di geografia politica hanno identificato delle tipologie di stati in base alle condizioni
geografiche, valutandone l‟importanze nelle relazioni internazionali: così son definite grandi potenze in base alla
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valenza marittima o terrestre (Usa, Russia...), collocando la zona cruciale per il controllo del globo nell‟Europa
continentale. Si era ai tempi dei conflitti mondiali, della cercata supremazia terrestre tedesca su quella marittima
inglese.

Il termine geopolitica nasce nel 1916, in un‟opera dello svedese R. Kjellén, conoscitore dell‟opera di Ratzel. Per
essa si intende l‟insieme di fattori geografici che influenzano le caratteristiche di uno Stato e la sua evoluzione.
Egli intende lo Stato come organismo geografico a cui aggiungere tutte le condizioni demografiche, culturali e
socioeconomiche e sessuali. L‟utilizzo del sesso nei vari paesi è un dato fondamentale per la ricostruzione delle
abitudini. Lo svedese propose tre tipi di confini, tema centrale in geopolitica: naturali, culturali, costruiti.
La geopolitica si sviluppò soprattutto nella Germania sconfitta e ridimensionata dal trattato di Versailles (1919);
perse le colonie, nati nuovi stati indipendenti (Polonia, Cecoslovacchia) durante la Repubblica di Weimar (1919-
1933) si diffonde il concetto di spazio (Raum) come elemento che influenza la stessa società umana. Una
concezione che prevedeva la superiorità del Raum europeo su quello di altri popoli, e la necessità di riportare
l‟equilibrio tra lo spazio naturale e lo stato tedesco, defraudato. La conseguenza fu di vedere i tedeschi come
popolo “senza spazio”, confermato in questo dal declino demografico e dalla crisi del mondo rurale. Dal 1923 si
sviluppa la geopolitica a partire dal lavoro del geografo Haushofer, che esaspera il concetto di spazio che va ad
influire sulle strutture politiche; da questi indirizzi di ricerca maturò l‟apparato ideologico alla base del nazismo,
per la successiva espansione politica e azione razzista in Europa. Fu una convincente opera di persuasione
dell‟opinione pubblica, il fatto che la grande nazione tedesca fosse stretta e impedita ad espandersi nel proprio
legittimo Raum dalle nazioni confinanti.
Le geopolitica si è poi ripresa negli ultimi decenni del „900, finita la fase della guerra fredda che valutava gli stati
in base all‟appartenenza all‟uno o all‟altro blocco: liberali capitalisti contro i regimi socialisti.
Dalla caduta del muro di Berlino alla globalizzazione, dalla nascita di nuovi stati (disgregazione URSS) ai
processi di decolonizzazione, l‟attenzione si è spostata su altri fattori: differenze demografiche tra paesi
sviluppati e non, divario socioeconomico, ruolo delle nuove tecnologie, problematiche ambientali.
Oggi la geopolitica vuole riproporre lo studio delle componenti geografiche che influenzano il dinamismo delle
entità statali, si pensi alla frantumazione della Jugoslavia, o alla Guerra del Golfo (1991) causata dalle
rivendicazioni dell‟Iraq sul Kuwait. La geopolitica cerca di spiegare la rappresentazione di un determinato “stato
di cose” nata da conflitti di natura territoriale, mette in luce gli aspetti che sviluppano tale rappresentazione, che
varia per ogni comunità nazionale.
Le vicende dell‟ex Jugoslavia sono un valido esempio di costruzione di una rappresentazione, p. 123.
Oltre a questo ambito di ricerca, esiste anche la geopolitica critica, che cerca di smontare proprio le teorie
geopolitiche costruite ad hoc, evidenziandone la soggettività e l‟appartenenza ad un ambito territoriale e
temporale specifico.

Con un passo avanti e un occhio al futuro, si è predetto spesso che le guerre del 2000 saranno causate dal
controllo di risorse naturali, petrolio e acqua su tutto. Un‟analisi precisa sulla collocazione di conflitti per l‟uso
dell‟acqua rivela precise zone del pianeta, in cui la disponibilità pro capite è tra i valori più bassi: Medioriente,
penisola arabica, zone a est dell‟Himalaya. Motivo del contrasto è il controllo strategico dei grandi fiumi: Nilo,
Tigri ed Eufrate, fiumi himalaiani.
Basti pensare che raramente una regione fluviale corrisponde con i confini amministrativi e politici. La questione
dell‟acqua è molto diversa da quella del petrolio in quanto bene essenziale alla vita umana, animale e vegetale;
problema essenziale è la sua distribuzione, non tanto il suo esaurimento, oltre che la qualità richiesta per i bisogni
primari dell‟uomo. Dei 50 litri ritenuti sufficienti come quantità minima di acqua potabile a persona, gli stati
sviluppati ne usano molti di più, mentre in Africa si fatica ad arrivare ai 20 litri; oltre un miliardo di persone nel
mondo non ha sufficiente disponibilità di acqua potabile.

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Nel corso di due Convenzioni degli anni ‟90 il diritto internazionale ha cercato di sancire accordi ra paesi che
sfruttano lo stesso corso d‟acqua, facendo nascere accordi in diverse parti del mondo.
Le critiche al controllo pubblico dell‟acqua stanno portando velocemente alla trasformazione dell‟acqua in merce
per essere gestita da enti privati; ci sono già grandi multinazionali che hanno la concessione per gestire la
distribuzione di acqua potabile, interessate ad acquisirne i diritti in cambio di una garanzia di efficienza, che
dovrebbe equivalere a maggiore disponibilità per la popolazione.
[per multinazionale si intende un‟impresa che controlli almeno una filiale estera, di cui detenga minimo il 10% di
capitale. Esportano tecnologie nei paesi ospitanti e offrono quasi sempre salari migliori delle imprese locali, ma al
tempo stesso hanno un forte impatto politico oltre che controllare il mercato globale]
Le soluzioni alla questione dell‟acqua sono conflittuali: da una parte enti come il Comitato internazionale per la
promozione del Contratto mondiale dell‟acqua, per cui quest‟ultima è un bene dell‟umanità dunque al di fuori di
ogni privatizzazione; dall‟altra ad esempio la Banca mondiale, che vede come soluzione proprio l‟intervento dei
privati. Ciò garantirebbe gli investimenti necessari e la creazione di un mercato globale dell‟acqua, alla cui base
c‟è la definizione del costo di questa materia prima in termini meramente economici.

7-Città
Braudel ha definito la città come “un‟anomalia del popolamento” che si distingue per “l‟insolito concentramento
di uomini”. Essa è definita in base all‟alto tasso di popolamento, che ne garantisce al tempo stesso l‟essenza: si
vive a ritmi accelerati, si intrecciano rapporti e relazioni. Oggi è sfumata anche le distinzione città-campagna
valida sino ad un secolo fa; i modi di vita si sono avvicinati, gli uomini europei si somigliano tutti nei gusti, nei
modi di vita.
Eppure oggi parlare di città in termini generali è impossibile, tante sono le tipologie e i modelli a cui questa
parola si riferisce; per l‟Europa la civiltà urbana è stata uno dei tratti caratteristici subendo imitazioni in tutto il
mondo a partire dall‟Ottocento. Nel Novecento si sono accentuate le differenze nella distribuzione geografica,
cioè spesso i dati statistici sono influenzati dai grandi agglomerati. Insomma dire oggi “vivo in città” significa
poco, bisogna specificare. Le denominazioni denotano un adattamento alla varietà delle forme, sulla base delle
differenze di popolamento: intendiamo per città gli abitati con più di 100000 abitanti, metropoli quelle che
superano il milione, megalopoli quelle con più di 10 milioni, di cui nessuna in Europa.
-In Italia l‟attribuzione del titolo di città è un atto formale derivato da importanza attuale, monumenti storici o
particolari meriti. Durante il Medioevo e la modernità erano considerate città i luoghi con sede del vescovo; solo
nel tardo Cinquecento si riprese un criterio già conosciuto in epoca tardoantica, quello del numero di abitanti, del
volume di traffici e della potenza militare.
-Metropoli. Significa “città madre”, un centro che dirige la vita politica ed economica del sistema urbano che lo
circonda; per la Chiesa è invece il centro con sede dell‟arcivescovo. Nell‟uso corrente la parola è sinonimo di città
rumorosa e problematica, un‟accezione negativa della vita urbana. Se negli Usa vige il modello doughnut
(ciambella), con insediamenti sparsi, in città come Tokyo, Giacarta e Bangkok lo sviluppo della popolazione ai
confini periferici ha sviluppato il concetto di Regione metropolitana allargata. In Italia l‟area metropolitana si
riferisce ad aree urbane che superano i 3 milioni di abitanti, come Milano, Roma e Napoli. La proposta prevedeva
forme di aggregazione urbane, con l‟accorpamento di comuni limitrofi per il decentramento e la
razionalizzazione dei servizi.
-Megalopoli. Invenzione teorica, che indica un sistema urbano di almeno 25 milioni di abitanti, collocato intorno
ad un punto nodale (vedi costa nord-orientale Usa, p. 133). Per Jean Gottmann è l‟inizio di un nuovo
ordinamento pubblico. La struttura ricorda una nebulosa, una vasta area povera di risorse naturali, nata grazie
alla capacità dell‟uomo di sfruttare lo spazio: nelle grandi città di Boston, New York, Filadelfia, Baltimora e
Washington si concentrano circa 40 milioni di abitanti.

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Non solo concentrazione urbana, ma anche qualità della vita elevata: la Megalopoli organizza anche lo spazio ed
il tempo, oltre che le risorse. Conseguenza estrema sarebbe l‟ecumenopoli, l‟urbanizzazione del mondo intero in
una sorta di città unica.
Per Mainardi in Italia si evidenzia la megalopoli padana, caratterizzato da una metropoli, centri che fanno da
collegamento con la regione, centri medi e centri locali.
-Conurbazione. Termine coniato dall‟inglese Geddes per descrivere Londra in quanto galassia di città, una città
regione come ne ce sono altri esempi in Inghilterra, tra tutti Manchester. Il termine oggi fa riferimento a unità
urbane legate tra loro da relazioni funzionali; ne è esempio l‟insieme di città lungo il Reno, la Rurhgebiet. Le
varianti della conurbazione sono le città-regione o regione-città. Se la prima identifica un centro principale che
fornisce i servizi più importanti, per la seconda si prende come esempio l‟Emilia Romagna: Farinelli indica nella
via Emilia un “corridoio urbanizzato”, da cui parte il processo di conurbazione della regione.
-città lineare. Progetto utopico dello spagnolo Soria y Mata, come critica alla città tradizionale. L‟idea è un nastro
di larghezza limitata, con una grande via centrale percorsa da ferrovia elettrica; gli edifici, dei villini isolati,
possono coprire solo la quinta parte del terreno a favore di spazi liberi e giardini. Una città vivibile, con
spostamenti facilitati dalla sua struttura. Soria y Mata tentò di realizzarla a fine „800, riuscendoci parzialmente,
ma l‟idea fu ripresa in Urss tanto che è alla base del piano urbanistico di Stalingrado. Essa è infatti sviluppata
lungo il Volga in sei fasce parallele.
Il termine è usato per indicare ogni forma urbana sviluppatasi lungo un asse stradale, un chiaro esempio è la
riviera romagnola, con una fascia urbanizzata di oltre 50 km.
-città diffusa. In ogni parte del mondo si assiste per Gottmann a soluzioni abitative alternative ai grandi
agglomerati; i modi di urbanizzare le campagne possono avvenire per edge cities (estensioni della città con
residenze della classe media) o per technocities (cittadelle tecnologicamente avanzate).
Per l‟Italia si segnalano le villettopoli, gruppi di eleganti abitazioni isolate o a schiera, che puntellano le
campagne del nord-est spostando in ambiente rurale comportamenti e segni tipicamente urbani.
-città globali. Con la globalizzazione questi centri sono nodi nevralgici per attività produttive e commerciali su
larga scala. New York, Londra e Tokyo sono luoghi di investimenti e scambi internazionali. Se la globalizzazione
tocca quasi tutte le città, molte di esse non si adattano o prendono le distanza da tale processo; all‟apice di una
ipotetica gerarchia stanno le cosiddette città globali in virtù del loro ruolo economico e finanziario. Ad oggi
Tokyo risulta il più grande agglomerato del mondo con i quasi 30 milioni di abitanti; sede del governo, capitale
finanziaria e culturale, la sua crescita ha causato enormi problemi in fasi di risoluzione, come il decentramento e
una redistribuzione delle funzioni tra diverse città della regione.

8-Carte
Una carta geometrica ha bisogno di tre elementi: reticolato geografico, riduzione delle distanze reali (scala), segni
geometrici convenzionali.
Il reticolato nasce dall‟incrocio di meridiani e paralleli che attribuiscono coordinate univoche ad un punto:
longitudine e latitudine. Gli errori sono limitati per le carte topografiche, mentre aumentano al diminuire della
scala. La scala è il rapporto tra la distanza lineare misurata su carta (1 cm) e l‟equivalente distanza reale misurata
sulla superficie curva della terra; dunque ci sono diversi tipi di carte in base alla scala:
-carte topografiche, a grande scala (1:150000), in cui 1 cm della carta equivale a 1500 metri.
-carte regionali, a media scala (1:1000000)
-planisferi, con scale inferiori a 1:1000000.
Nella cartografia la scala viene adottata dal 1500, ma solo nei due secoli successivi viene adottato il sistema
metrico decimale come riferimento. Nelle carte troviamo poi due tipi di espressioni grafiche, simboli e segni
convenzionali.

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I primi sono elementi che rimandano direttamente a fattori reali (montagne, fiumi...), mentre i segni richiedono
una esplicita modalità di lettura: ciò avviene tramite la legenda. Nel tempo si è osservata una affermazione dei
segni sui simboli, con lo sviluppo di una cartografia sempre più evoluta.
La legenda compare intorno al 1500 e mostrava soprattutto segni di origine antropica (diversi tipi di
insediamento). Nel 1802 una Commissione francese fissa le norme comuni per la realizzazione di carte
topografiche: si passa allora da una simbologia mista (con vista prospettica e zenitale) ad una governata dalla
resa in pianta e presenza totale della legenda per i segni.
Fu una codificazione nata dai rilevamenti degli ingegneri militari francesi a seguito delle campagne
napoleoniche, ma influenzò la cartografia europea. Se nelle carte a piccola scala si privilegia lo sguardo d‟insieme,
con i segni che individuano gli elementi naturali maggiori, nelle carte tematiche invece la simbologia fa da sfondo
ai segni specifici che riguardano il tema scelto. Nei cartogrammi gli elementi della topografia sono proprio
assenti.

A partire da metà „800 si fece uso della fotografia per un miglior studio del terreno, per poi sviluppare nella
seconda metà del secolo la fotogrammetria, ossia lo foto da mezzi aerei: con appositi strumenti, gli stereoscopi,
era possibile sovrapporre i fotogrammi scattati ottenendo la struttura tridimensionale del terreno. Un valido
aiuto per le topografie.
Con un salto notevole, negli anni Sessanta si è sviluppato il telerilevamento, ossia foto da satelliti con finalità
militari, quindi l‟utilizzo di sensori multi spettro (che colgono cioè differenti bande spettrali: infrarosso,
microonde, ultravioletto...) permise di raccogliere informazioni di vario tipo.
Negli anni Settanta invece si sono avviati progetti per lanci satellitari con obiettivi civili di raccolta dati:
dall‟americano Landsat, al francese Spot, all‟europeo Ers.
In precedenza la fotogrammetria forniva immagini ad elevata qualità, per una accurata cartografia topografica,
mentre il telerilevamento era più indicato per immagini su vaste aree della terra, consentendo lo studio di
fenomeni naturali e la realizzazione di carte tematiche a media e piccola scala.
Oggi le differenze si sono ridotte, grazie ai nuovi strumenti digitali, ai potenziati sistemi di elaborazione dati e ai
sensori sui satelliti di ultima generazione.
[il Gps è un sistema che determina la posizione sulla terra di un ricevitore grazia a satelliti presenti in orbita; la
prima seria di satelliti è in orbita dagli anni ‟80 grazie agli Usa, poi è arrivata la Russia e negli anni 2000 l‟Europa
col sistema Galileo. Per individuare la posizione tridimensionale del ricevitore il sistema ha bisogno di almeno 4
satelliti; basti pensare che la sola Russia ne ha inviati 21. Alle funzioni militari si affiancano quelle civili:
rilevamenti topografici, protezione civile, ricerca di giacimenti...]
Per “carta di base” si intende una rappresentazione cartografica dove prevale la localizzazione e forma degli
elementi materiali della topografia (vegetazione, insediamenti...), mentre nella “carta tematica” prevalgono
informazioni relative a quantità e qualità di questi e/o altri elementi (temperature, profondità mari, densità di
popolazione...). quest‟ultima tipologia mantiene una presenza di fondo topografico, ma risalta uno o più temi
grazie all‟uso di simbolismi specifici, come si è detto.
In tal caso i segni convenzionali possono essere qualitativi e quantitativi; i primi delineano una posizione nello
spazio degli elementi trattati, i secondi una misurazione o valutazione di un dato fenomeno.
I segni qualitativi hanno forma lineare o areale, e in tal caso superfici con qualità omogenee sono dette campiture.
Per le quantità riguardanti temi discontinui nello spazio si usano invece punti o aree che variano la dimensione in
base al valore registrato; per fenomeni con continuità spaziale ci possono essere punti uniformi, modalità a
mosaico e curve isometriche.
-punti uniformi: si sceglie un valore minimo che viene reso nella grafica con un punto. La distribuzione dei punti
sulla superficie può far cogliere indicazioni quantitative e qualitative.

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-mosaico: la carta necessita di una griglia di base, in cui le superfici minime identificate vengono poi riempite con
una tonalità legata ad una scala di valori. È una tecnica utile per indicare ad esempio la densità di popolazione di
comuni o regioni.
-linee isometriche: utilizza delle isolinee, cioè forme geometrica in cui un fenomeno presenta il medesimo valore;
sono usate soprattutto per mostrare valori di natura fisica come temperatura, precipitazioni, altitudine.
Per rendere graficamente la misurazione di variabili “invisibili”, come può essere il tempo di percorrenza tra
diversi centri, occorre una geometria non euclidea, ma fondata su misure differenti. Ne risulteranno
rappresentazioni deformanti la realtà (p. 146).
[oggi le carte non hanno più lo scopo di mostrare i risultati finali di un‟indagine, ma grazie alle immagini grafiche
(uso pc) esse sono diventate strumenti di indagine usati durante il processo di ricerca, grazie alla possibilità di
visualizzare le variazioni immettendo dati diversi di volta in volta. È la tecnologia denominata Visc, ossia
visualizzazione computerizzata. L‟innovazione degli ultimi anno è il 3d, per la realizzazione di immagini
tridimensionali].
La cartografia tematica europea si afferma dal 1600 grazie alle grandi scoperte scientifiche, ma non solo. Galileo,
Newton, Keplero, Cartesio innovano la scienza e il modo di osservare la natura; a contribuire allo sviluppo di
questa disciplina hanno contribuito le richieste delle autorità politiche, ma anche la crescente domanda
dell‟opinione pubblica e le richieste delle grandi imprese industriali che sfruttano le risorse del sottosuolo.

9-Comunicazione
Processo essenziale nell‟ambito della geografia culturale, è lo strumento di trasmissione di informazioni di vario
tipo. Quando lo scopo della comunicazione è più complesso del solito, diffondere magari il senso di
appartenenza ad un gruppo, evidenziare l‟unità di una società, entra in gioco il simbolo. Strumento di facile
diffusione grazie alla immediatezza visiva, spesso è legato all‟elemento spaziale (monumenti) e rappresentano
una vera identità culturale. Tali elementi sono stati utilizzati nel tempo per imporre tendenze nazionalistiche ai
popoli, si pensi alle celebrazioni della patria, all‟esaltazione delle antiche radici e quant‟altro.
Se nel 1992 il geografo O‟Brien proclamava la fine della geografia tradizionale, a causa dell‟annullamento della
distanza come fattore determinante degli scambi finanziari, lo disciplina geografia cambia anch‟essa e si adatta a
nuovi oggetti di studio: è il caso della geografia delle comunicazioni. Considerata la concentrazione
dell‟economia globale in pochi centri finanziari internazionali (Londra, N.Y, Tokyo) l‟elemento dominante nella
cartografia è diventato questo network delle capitali mondiali, a discapito dei tradizionali spazi politici.
Nonostante la globalizzazione, l‟elemento locale è sempre forte e spesso si rinnova; per Johnston i luoghi stessi si
sviluppano in modo diverso perché sono diversi gli abitanti. Distanza ridotte e comunicazioni veloci non hanno
portato alla formazione di società multi appartenenti, ma anzi si rinforza il legame con le comunità locali e il
senso di appartenenza ad un dato territorio. Il regionalismo è sempre più diffuso, paradossalmente, nell‟epoca
della globalizzazione totalizzante.
Il cyberspazio in cui sempre più persone navigano ogni giorno è termine coniato nel 1984 dallo scrittore William
Gibson, e nella descrizione che ne fa prefigura l‟era di internet. In questa dimensione si mescolano il reale e il
quotidiano col virtuale, l‟ambiente fisico con quello non fisico.
In un mondo in cui ogni terra è stata esplorata, le ultime frontiere geografiche riguardano l‟analisi dei nuovi
rapporti uomo ambiente, e in questo strumento fondamentale sono i già citati Gis, sistemi informativi geografici.
Immagini digitali del paesaggio di un luogo, devono svilupparsi per annullare la differenza col reale.

10-Stato, nazione, regione


A partire dal 1500/1600 lo stato moderno in Europa è così definito sulla base di alcuni elementi costitutivi: uno
spazio geografico limitato da un confine, con una popolazione, sovranità del territorio, esercitata tramite strutture
politiche, amministrative, legislative.

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Per definire meglio i concetti di regione e stato, meglio analizzare prima quello di territorio: elemento geografico
con valenze politiche. Dalla correlazione tra il territorio e i soggetti politici che lo abitano, deriva il concetto di
territorialità, come propensione a occupare e difendere un lembo di terra per conseguire vantaggi individuali o
sociali. D‟altronde non è un fenomeno esclusivo degli uomini, dato che coinvolge anche le diverse specie animali.
Stato e regione non sono che modi differenti di organizzare e percepire lo spazio.

-regione. La sua definizione è incerta, la geografia la utilizza per identificare uno spazio intermedio con
omogeneità di caratteri. Due sono gli ambiti da cui si sviluppa il concetto di regione, quello geografico e quello
politico.
Nel secondo caso la partizione è frutto di azioni politiche che portano ad un mosaico territoriale;oggi ci sono
confini ben delineati che non lasciano dubbi. Già Augusto divise l‟impero in 11 regioni, non a caso l‟origine della
parola è latino: regere significa guidare, governare. Le regioni contemporanee derivano da una precisa politica
statale, che mira a trovare un patto tra centro e periferia per la gestione concordata delle risorse.
La partizione geografica nasce dallo studio delle diversità naturali. È un concetto più sfuggente a cui spesso va
aggiunto un aggettivo qualificante (regioni naturali, storiche, amministrative...). Alcuni geografi la concepiscono
addirittura come uno spazio vissuto, definito dal senso di appartenenza di chi lo abita.
L‟idea più forte rimane quella di regione naturale, nata durante l‟illuminismo e derivante dalla semplice
constatazione dell‟influenza della natura sulle società umane; altra tipologia è la regione omogenea, definita in
base al valore etnico/culturale di una determinata area. Quest‟ultima rimane una forma per nulla irreversibile di
organizzazione territoriale, non bisogna pensare a qualcosa di assoluto.
C‟è la definizione di regione funzionale, sulla base dei flussi di mercato che passano in un dato territorio e si
avvicina ad un'altra definizione, quella di regione economica. Infine c‟è la tipologia più immediata e diffusa in
Italia, quella amministrativa. La regionalizzazione presente nel nostro paese, cioè la formazione delle regioni
istituzionali, nasce da un compromesso tra forze politiche che mostra oggi tutti i suoi limiti, tanto che le stesse
regioni chiedono une revisione forte in senso federalista (scheda p. 160).

-Stato. È anzitutto composto da due fattori: la forma di organizzazione sociale e il territorio su cui esercita la sua
sovranità. Lo stato moderno nasce, concettualmente, in epoca rinascimentale da Machiavelli in poi, prendendo gli
esempi storici degli stati francese e inglese; due grosse novità furono il controllo legittimo della violenza da parte
del potere pubblico (esercito) e la prestazione di servizi tramite un apparato amministrativo (espropriazione
mezzi di produzione agli artigiani).
Formatosi in seguito ad azioni politiche di un numero ridotto di individui, esso deve presentare un territorio con
una popolazione stabile ed efficaci sistemi di circolazione; ma la caratteristica principe è la sovranità, il controllo
sugli individui che lo abitano e sulle strutture politiche minori. La sovranità si basa essenzialmente sul
monopolio legittimo dell‟uso della forza ed è regolata tramite il corpus di leggi e norme giuridiche.
[il vero fine dello Stato è la libertà, in quanto cerca di concedere agli uomini la sicurezza necessaria per
esprimersi; la società si è formata proprio per questo, gli uomini hanno cioè rimesso il loro diritto naturale nelle
mani della società, dunque dello stato, che è diventato l‟unico detentore del diritto; questo è il passaggio dal
diritto naturale, del singolo in mezzo alla natura, al diritto dello stato. P. 161].
Sulle funzioni dello stato ci rifacciamo all‟elenco del Johnston: protezione, arbitrato, forza coesiva, di supporto a
economia e comunicazione, di tramite per gli investimenti, burocratica.
Dalla rivoluzione francese in poi lo stato è divenuto progressivamente nazionale, con la sovranità che da “regale”
è divenuta “democratica”, cioè espressa dalle istituzioni in nome dei cittadini stessi. Ma se i governi tra „800 e
„900 hanno rafforzato il senso di appartenenza nazionale, oggi sappiamo quanto sia limitante e artificioso la
corrispondenza tra stato e nazione, almeno in termini assoluti.

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-nazione. È una comunità di individui che condivide una serie di valori, materiali e/o immateriali, con una
propria storia e una forte coesione interna; tutti loro hanno la percezione di appartenere a questa comunità, e
questo sentire collettivo è definibile nazionalismo.
In alcuni caso stato e nazione coincidono, quando una società cioè è presente in un territorio chiuso e forma il
cosiddetto “stato-nazione”; ci sono poi stati con più nazioni al suo interno: Urss, Cina e Canada.
Ci sono anche comunità nazionali senza stato, ossia dispersi per il mondo senza una vera e propria patria statale:
curdi, baschi, palestinesi.
L‟Onu raccoglie al suo interno quasi tutti gli stati riconosciuti, ma non tutti i popoli: basti pensare che più di 30
milioni di persone non vivono in uno stato riconosciuto, sono le famose minoranze di cui si parlava.

11-Confini
Dopo la dichiarazione dell‟esistenza nella Nsa americana, da parte del presidente Bush nel 2002, gli Usa hanno
implementato la strategia della guerra preventiva giustificando così la violazione di confini territoriali
riconosciuti a livello internazionale.
La carta costitutiva dell‟Onu prevede questa possibilità in due casi specifici: o nel caso di un attacco subito
oppure nel caso di minacce alla pace con prove certe. Questo secondo caso lascia spazio ad interventi di guerra
preventiva; ricordiamo che gli stati permanenti hanno però il diritto di veto su queste iniziative (Usa, Russia,
Francia, Gran Bretagna, Cina). Esempi sono l‟intervento Onu in Kosovo nel 1999 per salvaguardare la
popolazione albanese, invadendo così i confini della Jugoslavia, e l‟operazione anglo-americana in Iraq nel 2003.
Il concetto di confine è presente fin da greci e romani, come limite da non oltrepassare, pena lo scontro. Può
essere materiale o virtuale, si pensi oggi al cosiddetto digital divide, ossia la differenza tra chi ha accesso ad
internet e chi no nel mondo. Dall‟alba dei tempi la relazione dell‟uomo con la terra comporta una occupazione e
conseguente delimitazione terrestre: ciò comporta un diritto sul terreno segnato.
Con le scoperte e le colonizzazioni dei grandi imperi europei nasce anche un diritto marittimo internazionale,
inizialmente spartito tra le potenze scopritrici (Spagna e Portogallo). L‟estensione delle acque territoriali fornì
dibattiti politici già nel 1500 e alla fine si adottò come criterio la portata di cannoni costieri. Nel corso del
Novecento l‟Onu ha dovuto lavorare per decenni alla ristrutturazione del diritto marino, visto anche la crescita
delle potenzialità delle acque così come del fondo.
L‟impero romano definisce il limes come linea di separazione con l‟esterno: terrapieni, fossati, fortezze. L‟epoca
medievale complica le cose, con una presenza plurima di giurisdizioni e autorità, mentre potere pubblico e
privato si intrecciano; l‟epoca moderna sancisce il confine come elemento centrale del diritto internazionale (pace
di Westfalia che pone fine alla guerra dei Trent‟anni, 1648). In tal caso il confine diventa non solo politico ma
anche religioso, in quanto l‟entità politica è identificata con una precisa credenza religiosa. Con la formazione
degli stati nazionali europei si sviluppa il confine naturale, grazia anche agli studi della cartografia geometrica
nel 1700. I confini naturali degli stati si basano su elementi evidenti della natura, ma non è così automatico che un
crinale di montagna costituisca un preciso confine politico.

12-Spazio
Non esiste una sola definizione di spazio, ma tante quante sono le discipline che lo studiano: geografico,
economico, sociale, letterario...lo spazio geografico nasce quando una società, un gruppo umano, si stabilisce e si
identifica con un territorio. Non è dunque solo qualcosa di fisico, ma anche l‟insieme delle rappresentazioni e
percezioni che di esso hanno i suoi abitanti; le stesse pratiche della società lo modificano e gli conferiscono
l‟identità. Ciò spiega perché oggetto di studio della geografia non possa essere l‟ambiente fisico, ma anche i
rapporti umani che vi intercorrono, in tutti gli ambiti.
Circoscrivendo la definizione, possiamo parlare di spazio urbano ma non per questo intendere solo le dimensioni
fisiche della città; ci sono gli abitanti, le loro relazioni, i rapporti con l‟esterno, tutto ciò che insomma tocca
l‟attività quotidiana dell‟uomo. La doppia natura della disciplina geografica, fisica e antropologica, ha prodotto
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diverse risposte sul come interpretare il rapporto uomo-ambiente. In particolare si sono sviluppati due
paradigmi, quello positivista e quello storicista.
Ad oggi nella disciplina geografia non esiste uno spazio sociali dato e unico, ma una serie di spazi; anzi si cerca
di indagare il sistema delle reti che attraversa i vari territori. Si studia questo oggi, lo spazio come prodotto della
società umana, ed è qualcosa di molto complesso come oggetto di studio. Ad esempio Teresa Isenburg propone
tre punti forti per la comprensione dello “spazio socialmente prodotto”: prevalenza urbana, accelerazione scambi
informativi, economia illegale (p. 179).
Da p. 179 sono indicati esempi di “spazi” per far comprendere questo complesso concetto geografico: dallo
spazio costruito (centuriazione romana) a quello disegnato (progettazione di Versailles) allo spazio letterario,
sono tutte considerazioni che rientrano nella branca della geografia umana.

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