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IL MESTIERE DELL'IMPROVVISAZIONE
Etnografia della Jam Session
Relatore:
Chiar.mo Prof. Mariano Longo
Tesi di Laurea di
Igor LEGARI
Matricola n.10030274
INDICE
Introduzione : Un mondo a parte
Cap. 1 Jazz e Scienze Sociali
1.1 La densit del jazz
1.2 L'analisi musicologica e i suoi limiti
1.3 Tra etnomusicologia ed antropologia
1.4 African American Studies: una prospettiva etnica?
1.5 La prospettiva sociologica
1.5.1 L'equivoco di Adorno
1.5.2 Schutz: "Making music together"
1.5.3 H.S. Becker: il mestiere dell'improvvisatore
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convenzionali
3.7 I solisti
3.8 Relazioni di potere, valori musicali e risoluzione dei conflitti
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Conclusione
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Bibliografia
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Un mondo a parte
Man, if you have to ask what (jazz) is, you'll never know.
Louis Armstrong
Ero a tutti gli effetti un newcomer che si sforzava per non essere pi
riconosciuto come tale.
Dopo circa due anni sono ritornato a Lecce, dove ho proseguito gli
studi universitari in Sociologia. Parallelamente ho continuato lo studio
del jazz e del contrabbasso in modo autonomo. Mi ritengo pertanto
fondamentalmente autodidatta nel campo della musica. A partire dal
2000 ho intrapreso una discreta attivit concertistica nel territorio
pugliese, accumulando una mole di esperienze in particolare nel contesto
delle jam session
Nell'ottobre del 2008 sono stato ammesso a frequentare il primo
International Jazz Master Program (In.Ja.M.) organizzato dalla
Fondazione Siena Jazz. Si tratta di un corso di alta specializzazione in
tecniche dell'improvvisazione, al quale partecipano in qualit di docenti
alcuni dei pi importanti artisti internazionali. Parte integrante di questo
Master sono le jam session organizzate in un club della citt nelle quali
capita spesso che gli studenti condividano lo stesso palco con alcuni
mostri sacri della storia del jazz.
Ho deciso di inserire questa breve nota biografica per ricostruire il
percorso individuale e di studio che mi ha portato a maturare l'idea per
questa tesi.
In effetti, quando arrivato il momento di scrivere la mia tesi di
specializzazione in sociologia, ho pensato che fosse una buona idea far
convergere la mia passione per il jazz e gli studi di scienze sociali.
Il primo problema, se cos si pu dire, era quello di individuare un
punto di vista, una prospettiva che mi permettesse di presentare il jazz
con lo sguardo di un sociologo. Su quella che viene considerata la
"musica del XX secolo" per eccellenza sono state prodotte letteralmente
Poco o nulla viene detto riguardo l'atto musicale in s. Una delle cose
che mi affascinano di pi del mondo del jazz il tipo di conoscenza
necessario a creare una musica che si fonda sull'improvvisazione e
sull'interazione tra un gruppo di individui. In questo il jazz diverso da
tutti gli altri generi della musica contemporanea. vero che
l'improvvisazione non sempre sinonimo di jazz e che una certa forma
di interazione sempre necessaria se si vuole fare musica insieme ad
altre persone. Ma in nessun'altra cultura musicale la fusione di questi due
elementi ha assunto una rilevanza paragonabile a quella del jazz.
Esiste un'istituzione nel mondo del jazz in cui quest'azione combinata
di improvvisazione individuale, conoscenze condivise e interazione
collettiva diventa particolarmente evidente: la jam session. Ragionando
sulle caratteristiche di questo tipo particolare di performance, nella quale
un gruppo di musicisti si riunisce in modo estemporaneo e crea musica
insieme, mi sembrato di poter individuare numerosi elementi che
potevano rientrare in uno studio di tipo sociologico. In particolare ho
pensato che mi sarebbe piaciuto rendere conto di quel senso di
appartenenza a una comunit, delle dinamiche interpersonali tra
musicisti e non musicisti e del particolare utilizzo di un repertorio
condiviso di brani standard con i quali mettere alla prova la propria
competenza nel mestiere dell'improvvisazione.
Le impressioni che avevo ricevuto nelle numerose jam alle quali
avevo partecipato nel corso degli anni in qualit di spettatore o musicista
mi apparivano ora sotto una luce diversa. Stavo maturando l'idea di poter
presentare questo tipo di fenomeno a chi non ne conoscesse il
"funzionamento", cercando di rivelare i meccanismi nascosti che
agiscono dietro l'apparenza di un gruppo di persone che semplicemente
si riunisce per suonare insieme.
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quella
del
compositore
nell'immediatezza
dell'atto
musicale,
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La
musica
diventa
vitale
nel
momento
in
cui
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Stile fondamentale del jazz moderno, il be bop nasce nei primi anni 40 ad opera di alcuni
giovani musicisti per lo pi afroamericani e soprattutto fuori dal contesto stabile delle big
band. I nuovi musicisti della scena newyorkese (Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Art Tatum,
Charlie Christian, Thelonious Monk ed altri), si riuniscono do
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celebrer negli anni '60, con le nuove tendenze culturali della new thing
e del free jazz.
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una
partitura.
Dobbiamo
per
notare
che
l'elemento
23
con
l'attenzione
al
contesto
mutuata
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Monson
discorso,
affrontando
la
complessa
sfuggente
materia
dell'improvvisazione.
Trattandosi di un argomento piuttosto complesso, ho scelto di seguire
un approccio pi pratico, evitando di addentrarmi troppo in profondit
nelle varie interpretazioni filosofiche connesse al concetto di
improvvisazione e privilegiando invece quelle prospettive analitiche che
io stesso ho poi utilizzato come strumenti di sistematizzazione del
materiale empirico e del corpus di esperienze accumulate nel corso della
ricerca.
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2. Il mestiere dell'improvvisazone
I used to think, how could jazz musicians pick notes out of thin air? I had no idea
of the knowledge it took. It was like magic to me at the time.
Calvin Hill (contrabbassista) (da Berliner: 1994, p. 1)
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quartetto
per
registrare
36
minuti
23
secondi
di
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delle
tecniche
di
improvvisazione
(o
piuttosto
di
variazione
strettamente
musicologici,
ma
piuttosto
di
una
sua
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mestiere
dell'improvvisazione
richiede
dunque
un
lungo
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uguale a se stesso, cos com' stato registrato quella prima volta. Viene a
mancare, cio, uno degli elementi essenziali della performance jazz, vale
a dire la costante e continua interazione tra solista e sezione ritmica.
Proviamo ad immaginare un diligente autodidatta che ha acquistato tutta
la serie di queste basi musicali e che dopo lunghe ore passate nel suo
studio a provare e a riprovare i propri assolo decide di provare a suonare
in una jam session con una "vera" rhythm section. Si ritrover a suonare
con dei musicisti che non eseguono una parte in maniera statica, ma che
rispondono colpo su colpo, in modo interattivo, alle sue improvvisazioni.
Da una parte la situazione potrebbe entusiasmarlo, poich si troverebbe
finalmente catapultato nella materia viva e pulsante del "vero" jazz. Ma
d'altra parte, ci potrebbe condurre a dei risultati disastrosi,
sottoponendo il poveretto allo scherno degli altri musicisti pi esperti,
che individuerebbero in lui il tipico solista "da aebersold", incapace di
fare interplay3.
Nella tradizione jazzistica, lo studio individuale ha comunque
rappresentato la principale forma di addestramento all'improvvisazione
creativa. Intere generazioni di musicisti hanno seguito un percorso di
formazione che comprende alcune tappe fondamentali. Paul Berliner
(1994) ha delineato questo percorso, ricorrendo allo strumento
dell'intervista. Proviamo ora a sintetizzare i risultati di tale ricerca.
Bisogna anzitutto chiarire una preliminare distinzione tra le esperienze
dei musicisti nord americani e quelle dei loro colleghi europei. Essendo
nati nel Paese che ha dato i suoi natali al jazz, molti dei musicisti
americani, in particolare coloro che provengono dalla comunit
afroamericana, hanno avuto l'esperienza di trovarsi immersi direttamente
nella tradizione viva del jazz e della Black Music in generale. I primi
3
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al
riguardo
la
testimonianza
di
Bruno
Tommaso,
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su
improvvisazione,
pi
livelli:
apprendimento
costruzione dell'evento
delle
sonoro,
tecniche
di
interazione
tra
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interattivo
collaborativo
che
rende
possibile
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gli
ascoltatori
pi
appassionati
presenti
in
sala
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"ideali"
di
performance
per
descriverne
l'effettivo
il
ricorso
costante
metafore
similitudini
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culturali,
responsabili
di
etichette
discografiche
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maggior parte dei jazzisti ritiene che nessuno possa capire il jazz o i
musicisti che lo suonano eccetto gli stessi jazzisti. Ci diventa chiaro
quando notiamo come i jazzisti esibiscano un atteggiamento quasi
"religioso" in determinate questioni di ordine artistico, utilizzino un
gergo esoterico e solitamente non siano n preparati n disposti a rilevare
similarit tra il loro modo di vivere e quello delle altre persone"
(Cameron: 1954, p. 177. trad.mia).
Nella mia esperienza ho rilevato spesso questo genere di
atteggiamenti, nonostante la considerazione del valore artistico del jazz
da parte dell'opinione pubblica sia cresciuta in modo esponenziale dai
tempi in cui svolgevano le loro ricerche Becker, Cameron e Stebbins.
In ogni caso, il jazzista rimane sempre un outsider fuori dal suo
ambiente. La sua professionalit spesso messa in discussione, in
particolare dagli ascoltatori comuni. La necessit di suonare in posti ed
in contesti poco edificanti o di "svendersi" alla musica commerciale, o
ancora di dividere il proprio tempo tra musica e lavoro extra musicale, di
conciliare impegni familiari e urgenze artistiche; sono tutte situazioni
che ancora oggi costituiscono delle fonti di frustrazioni per gli artisti,
fatta esclusione ovviamente per coloro che riescono a far riconoscere il
proprio lavoro a livelli pi alti e in condizioni pi appaganti e dignitose.
Come spesso accade, la manifestazione pi evidente dell'esclusivismo
della comunit proprio l'uso di un linguaggio comune, di uno slang
quasi incomprensibile agli "esterni".
I jazzisti, come altri gruppi professionali, adottano una terminologia
tecnica convenzionale per parlare della materia musicale, ma anche per
indicare gli aspetti pratici del lavoro.
Numerosi sono stati negli anni gli studi su quello che viene
comunemente chiamato jive talk, ossia il gergo del jazz. In un testo del
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Alcuni dei nickname pi usati: Satchmo o Pops (Louis Armstrong), Hawk (Coleman
Hawkins), Bird (Charlie Parker), Diz (Dizzie Gillespie), Miles (Miles Davis),Trane (John
Coltrane), Prez (Lester Young) ecc..
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questo
punto,
vorrei
introdurre
una
mia
proposta
di
PROFESSIONISTI:
hanno
quasi
sempre
una
formazione
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considerazione nei confronti degli studenti oscilla tra il rispetto per chi
studia jazz ad alti livelli e dimostra di "prendere la cosa sul serio" e la
convinzione che "il jazz non si studia al conservatorio, ma sui dischi e
nelle jam".
"Sono stato cacciato dalla scuola, ma poi mi sono diplomato al 'Art
Blakey College', al 'Miles Davis Conservatory of Music' e alla 'Charlie
Parker University'", affermava il pianista Walter Bishop Jr, sottolineando
l'influenza dei grandi del jazz nella sua formazione "non accademica"
(Berliner: 1994, p. 36.trad.mia.).
La jam session rappresenta l'istituzione centrale per la comunit, che
in essa celebra una sorta di rituale collettivo in cui i vari membri
convergono e le differenze tendono a livellarsi e a sfumare. Nell'atto
contingente della performance, le considerazioni relative allo status di un
musicista o alla categoria a cui appartiene diventano irrilevanti. Ad
entrare in gioco sono piuttosto le dinamiche interne della jam, con le sue
regole, i suoi riti e la sua etichetta. Nei prossimi paragrafi prover a
spiegare come tale istituto sia nato e quale sia il suo effettivo
"funzionamento" e il ruolo giocato nella comunit dei jazzisti.
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Uno su tutti era il leggendario Cotton Club. Si trattava di un enorme night sito nel quartiere
nero per eccellenza di New York City con un'ambientazione piuttosto kitsch che richiamava
gli ambienti selvaggi dell'Africa Nera. Ovviamente si trattava di un locale white only al quale i
neri potevano accedere solo in veste di musicisti o di lavoratori delle cucine, e in entrambi i
casi solo dalla porta di servizio. La borghesia bianca affollava ogni sera il Cotton Club per
ballare la nuova musica, selvaggia e misteriosa. Pur essendo una dimostrazione
dell'effettivo apartheid praticato all'epoca negli USA, il Cotton Club ha avuto il merito di
lanciare alcuni grandi bandleader come Fletcher Henderson, Duke Ellington o Count Basie, i
quali hanno materialmente scritto la storia del jazz.
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membri della sezione ritmica, gli unici che ne ricavano un cachet, seppur
minimo. Per evitare di farsi un'inutile concorrenza, questi musicisti in
genere si organizzano tra loro per evitare di sovrapporre due o pi jam
nella stessa serata, specie nelle piccole citt, oppure per mantenere pi o
meno costanti i cachet (soprattutto di non farli abbassare!). La creazione
di questi piccoli "cartelli" piuttosto frequente nei contesti in cui non
presente una scena jazz particolarmente ricca. Se in una citt ci sono due
o tre bassisti jazz professionisti (in grado cio di "reggere" una jam),
questi tenderanno a dividersi il lavoro (cio i locali in cui suonare) per
evitare di "mettersi i bastoni tra le ruote" a vicenda.
Il fatto che la ritmica riceva un compenso contribuisce alla solidit
dell'organizzazione della jam. Se un trombettista o un sassofonista non
hanno grandi problemi a portarsi dietro il proprio strumento per andare
alla ricerca di una jam in qualche locale della citt, piuttosto
improbabile che un contrabbassista o un batterista vadano in giro
"armati" della propria strumentazione. Essendo pagati per garantire la
propria presenza nella jam, i membri della ritmica si faranno trovare nel
locale ben prima dell'orario ufficiale di inizio della jam, come se si
trattasse di un ingaggio "normale".
Questi aspetti commerciali sembrano in qualche modo "tradire"
l'aspetto ricreativo e "rituale" della jam. Nei contesti da me frequentati in
qualit di musicista, le occasioni per proporre un evento jazz pi
strutturato come un concerto sono piuttosto rare. I gestori di locali spesso
non hanno la possibilit n la voglia di rischiare economicamente per
proporre eventi di questo tipo, soprattutto se si tratta di invitare musicisti
di alto livello che si devono spostare dalle loro localit di origine con
tutto quello che ci comporta in termini di costi e di organizzazione
logistica (trasferte dei musicisti, alloggio, compensi elevati e cos via). In
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questi contesti dove non presente una "scena" jazzistica forte, le jam
rappresentano spesso le uniche occasioni che i musicisti hanno per
suonare in pubblico e, nel caso della sezione ritmica, di guadagnare
anche qualcosa. Tuttavia, anche in questa forma pi "commerciale",
ritengo che la jam mantenga alcuni degli aspetti chiave che la
contraddistinguono dai concerti organizzati nei teatri o nei festival. Se si
esclude il fatto che i musicisti della sezione ritmica stanno suonando
dietro compenso (e quindi stanno a tutti gli effetti "lavorando"), la jam
rimane comunque quella che Cameron definiva una "riunione creativa
transitoria di un lite" (Cameron, 1954, pag. 177, trad. mia). I solisti si
presentano alla jam a titolo gratuito, con la pura e semplice intenzione di
suonare insieme senza vincoli commerciali. Per indicare questo
atteggiamento, Cameron utilizza l'espressione idiomatica "busman's
holiday" (vacanza da autista di autobus), intendendo cio un momento
ricreativo nel quale si svolgono le stesse attivit che si fanno in genere
per lavoro.
A prescindere dal fato che la jam sia informale o organizzata da un
locale, rimangono del tutto invariate le caratteristiche pi strettamente
performative dell'evento. Se il contesto da me osservato assai differente
rispetto alle jam indagate da Cameron e Becker, le modalit di
"funzionamento" della pratica musicale rimangono invariate. La
disposizione degli strumenti, la scelta degli standard, gli arrangiamenti
informali dei brani (head arrangements), la successione dei solisti, il
trattamento riservato ai newcomers che vogliono accedere alla jam: sono
tutti comportamenti vincolati ad un'etichetta piuttosto rigida che rimane
sostanzialmente invariata.
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solo pochi solisti, oppure che si crei una folla di musicisti ansiosi di
esibirsi (da cui il significato originario del verbo to jam, "affollare").
Quando i primi solisti cominceranno ad unirsi alla ritmica, si
creeranno diversi tipi di formazione. A questo punto i musicisti dovranno
organizzare in tempo reale lo svolgimento della performance. I quesiti a
cui bisogner dare una soluzione sono i seguenti: cosa suoniamo? e
soprattutto: come lo suoniamo?
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jazzisti degli anni '30 e '40 memorizzavano con facilit le melodie perch
erano costantemente riproposte dalla radio e suonate in ogni occasione.
Utilizzando le strutture armoniche come basi per le loro improvvisazioni,
i jazzisti "rimaneggiavano" questo repertorio a proprio uso e consumo.
Utilizzare una melodia popolare per creare delle improvvisazioni pu
essere visto come una "mossa di avvicinamento" ai gusti del pubblico e
soprattutto alle richieste dei gestori. La melodia iniziale rappresentava in
realt per questi musicisti un semplice pretesto, un compromesso tra
esigenze artistiche e spinte commerciali e sociali. Questo atteggiamento
sar messo in discussione con la rivoluzione del be bop, con la crescente
presa di coscienza artistica dei musicisti afroamericani e la decisione di
produrre anche delle composizioni originarie e individuali. Un passaggio
necessario per l'affrancamento del jazz dalle "gabbie" della musica
commerciale e il suo successivo sviluppo come forma d'arte autonoma e
potente.
Tuttavia molti di questi brani sono oramai rimasti nel repertorio jazz e
vengono continuamente riproposti non solo nelle jam ma anche in sala
d'incisione. Ancora oggi non sono pochi coloro che considerano un
passaggio obbligato per un artista emergente quello di introdurre almeno
uno standard nel suo disco d'esordio, come per dimostrare di aver ben
"digerito" la tradizione jazz.
La seconda categoria di brani corrisponde a quelli che vengono
indicati come jazz standards. Si tratta di brani composti da musicisti jazz
che esulano dal repertorio "Tin Pan Alley" ma che hanno raggiunto un
tale livello di popolarit da rappresentare un patrimonio comune per tutti
i jazzisti. Sono composizioni che risalgono in genere al periodo be bop
(met anni '40) e arrivano fino agli anni '60. Gli autori che hanno
prodotto il maggior numero di brani che sarebbero poi divenuti dei jazz
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85
("sei un bassista,
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3.4.2
Come
lo
suoniamo?
Head
arrangements
trattamenti
convenzionali
Una volta che questa negoziazione ha portato alla scelta di un brano (e
sia chiaro, ci avviene solitamente nel giro di pochi secondi), la
questione diventa: come lo suoniamo?
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tratta
di
una
prassi
fondamentale
nell'estetica
musicale
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5 chorus
Piano
Basso
1 chorus
TRADING (four)
Sax 1 (4 batt.) - Batteria (4 batt.)
Sax 2 (4 batt.) - Batteria (4 batt.)
Tromba (4 batt.) - Batteria (4 batt.)
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si
alterneranno
non
soltanto
negli
assolo
ma
anche
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3.6.3 Il bassista
Inizio questa rassegna sui membri della ritmica partendo dal bassista.
Si tratta di una scelta dettata da ragioni personali: come ho gi detto,
negli ultimi anni ho svolto l'attivit di bassista jazz, con crescente
impegno e dedizione. Le informazioni raccolte sui modelli di interazione
all'interno di un gruppo, e in particolare di una sezione ritmica, sono il
frutto di queste esperienze.
L'altro elemento che mi ha spinto a trattare innanzitutto il ruolo del
bassista legato alla centralit di questo strumento nel contesto della
ritmica. opinione diffusa tra i musicisti jazz che il basso rappresenti il
perno su cui ruota una performance basata sull'improvvisazione
collettiva.
Nel corso dei miei studi musicali mi sono sentito ripetere la stessa
affermazione innumerevoli volte, in particolare dai musicisti americani
con cui ho avuto modo di studiare e suonare: bass is the foundation. Il
basso getta le fondamenta su cui tutta la musica viene costruita. Questo
genere di affermazioni dimostrano che tra tutti i membri della sezione
ritmica, il bassista quello con il ruolo pi definito ed esplicito: egli
costruisce le basi ritmiche e armoniche su cui poggia tutto il resto,
partendo dall'accompagnamento ritmico della batteria e armonico del
piano, fino ad arrivare alle invenzioni del solista.
Questa centralit rappresentata anche fisicamente dalla posizione del
basso in un set tipico, tra la batteria e il piano. Il bassista si colloca tra gli
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contemporanei
suonano
dei
contrappunti
elaborati
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3.6.4 Il batterista
Concordo pienamente con le affermazioni di Ingrid Monson, la quale
ritiene il ruolo del batterista come il pi sottovalutato all'interno del
gruppo.
"Molti ritengono erroneamente che il batterista suoni semplicemente il
ritmo e pertanto non partecipa nel flusso melodico e armonico della
musica. Da una prospettiva interattiva, tuttavia, la batteria rappresenta un
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batteria
consiste
di
un
set
di
percussioni
azionate
bacchette
di
legno
alle
"spazzole"
(ma
pu
usare
118
occasionalmente
anche
le
mani
"nude")
Ogni
batterista
pu
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120
121
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3.6.5 Il pianista
Nel jazz delle origini il piano non era un elemento imprescindibile
della sezione ritmica. Il suo ruolo poteva essere ricoperto da altri
strumenti come la chitarra o il banjo e nel caso in cui il piano fosse
presente, gli altri due strumenti rimanevano comunque in forze alla
ritmica, con il compito di sostenere e rafforzare l'accompagnamento del
piano.
Originariamente il piano era considerato uno strumento solista e
veniva utilizzato in particolare nei piccoli bar o nelle case di tolleranza a
New Orleans, dove forniva un sottofondo musicale continuo per gli
avventori.
124
al
minor
numero
di
limitazioni.
Il
suo
apporto
composta da una
125
degli
accordi
assume
quello
stesso
carattere
di
126
127
collaudata" venga spesso assunta "in blocco" dai gestori dei locali o dai
solisti.
In conclusione di questa rassegna sui ruoli dei membri della ritmica,
vorrei far notare come il modo di operare di questi musicisti rappresenti
una perfetta dimostrazione del lavoro di interazione necessario per
realizzare un performance basata sull'improvvisazione.
Monson ha descritto questo scambio continuo di stimoli e segnali tra i
vari membri del gruppo in termini di "tensione" tra l'urgenza espressiva
individuale e coesione dell'intero gruppo.
"Poich l'ensemble diviso in solisti e sezione ritmica, si potrebbe
dire che esistono due livelli in cui questa tensione individuo-gruppo
opera: la relazione tra solista (che all'occasione pu anche essere un
membro della ritmica) e la sezione ritmica, e la relazione tra i singoli
componenti della stessa sezione ritmica" (Monson: 1996, p. 67; trad.
mia).
Nel successivo paragrafo cercher di indagare i modelli di
organizzazione e di interazione interni al gruppo dei solisti o front line,
con particolare riferimento a quella che Becker ha indicato come
"etichetta della jam session"
3.7. I solisti
Nel paragrafo precedente ho trattato le dinamiche che si instaurano tra
i membri della sezione ritmica, concentrandomi sul parallelo ruolostrumento e considerando i tre componenti tradizionali della ritmica
128
129
quella
che
Becker
ha
indicato
come
"etichetta
dell'improvvisazione".
Una delle regole di questa etichetta prevede che ogni musicista suoni
l'esatto numero di chorus del suo predecessore.
Come ho spiegato precedentemente, dopo che il tema principale
(melodia o head) di uno standard stato esposto, i vari solisti si
alternano
ripercorrendo
la
struttura
armonica
del
brano
ed
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che la
ritmica assolver il
proprio
compito
di
modo
gli
altri
solisti
presenti
in
sala.
L'obiettivo
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nonostante
l'apparente
individualismo
della
pratica
dell'assolo, a sua volta "coperto" dal rispetto di tutta una serie di regole
di cortesia che possono apparire puramente formali.
133
punto
rendersi
conto
che
il
suo
personale
approccio
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sentirsi
legittimato
"scomporre"
la
pulsazione
ritmica
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Conclusione
forma
particolare
di
pratica
musicale
stata
dettata
138
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musicali.
Il
tipo
di
competenze
che
il
"mestiere"
140
il
comportamento
dell'"uomo
comune".
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