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Barbara Polacchi

Gli intervalli, le scale e gli accordi

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Gli Intervalli

L'intervallo musicale è la differenza di altezza che c'è fra due suoni vicini (puoi
ascoltare nell'esempio musicale n. 01 quanto scritto nell'esempio scritto qui
sotto) o tra due suoni sovrapposti:

es. 2

In base a quanti suoni ci sono fra le due note che compongo l'intervallo, questo
può essere più o meno grande: l'intervallo più piccolo è quello composto da
due suoni consecutivi (nell'esempio qui sopra è il primo caso, in cui abbiamo
DO-RE che, nella scala, sono due suoni consecutivi o congiunti) ed è l'inter-
vallo di 2° (perché ho due suoni), mentre il più grande, all'interno dell'ottava, è
quello di 8°, appunto, cioè la stessa nota ma a distanza di otto suoni.
Il più piccolo intervallo che trovo tra due suoni congiunti è il semitono, che
corrisponde all'intervallo di seconda minore (DO-REb, tanto per capirci).
Due sono i tipi di semitono che possiamo trovare:

il semitono cromatico (DO-DO#), dove le due note hanno lo stesso no-


me
il semitono diatonico (DO-REb), dove il nome delle due note è diverso.

Due semitoni formano un tono, l'intervallo più grande tra due suoni contigui
che corrisponde alla seconda maggiore.

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Ho detto però che i suoni possono essere anche sovrapposti: distinguerò quindi
l'intervallo melodico (che è quello visto qui sopra) da quello armonico, come
il seguente esempio tratto dalla sonata per pianoforte op. 53 di Beethoven (a-
scolta l'esempio musicale n. 02):

es. 3

L'intervallo armonico può dividersi in:

intervallo diatonico (DO-MI dell'esempio qui sopra), i cui suoni appar-


tengono alla scala (maggiore o minore che sia, tranne la scala minore ar-
monica)
intervallo cromatico, in cui uno dei due suoni non appartiene alla scala
diatonica, ma a quella cromatica.

L'intervallo può essere anche:

consonante che dà la sensazione di qualcosa di intonato e quindi dà l'i-


dea di riposo.
Gli intervalli consonanti sono l'intervallo di 3°, di 5°, di 6° e di 8° (ascol-
ta, a questo proposito, l'esempio Musicale n. 03)
dissonante che, invece, è percepito come stonato e come tale dà l'idea
del movimento che si placa solo quando questo intervallo risolve su un
intervallo consonante.
Gli intervalli dissonanti sono l'intervallo di 2° e di 7° (ascolta, a questo
proposito, l'esempio Musicale n. 04).

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Come vedi, in questa distinzione manca un intervallo, che è quello di 4° che,


infatti, è considerato una consonanza imperfetta perché, in base al contesto,
può risultare più o meno gradevole all'orecchio.
Oltre agli intervalli maggiori, minori e giusti, troviamo anche gli intervalli di-
minuiti, più che diminuiti, aumentati e eccedenti, in base al numero di to-
ni e semitoni che li costituiscono.

Ogni intervallo ha il suo rivolto, che si ha quando il suono più grave dei due
diventa il più acuto e viceversa: per esempio SOL-SI ha il suo rivolto in SI-SOL,
dove il SOL viene spostato all'ottava superiore e quindi si troverà sopra il SI:

es. 4

Ascolta, a questo proposito, l'esempio musicale n. 05.


Ti do anche un paio di trucchetti che ti aiuteranno a trovare facilmente il rivolto
di un intervallo, almeno a livello teorico:

la somma numerica dei due intervalli dà sempre 9: nel


nostro caso SOL-SI è un intervallo di 3°, mentre SI-SOL è un
intervallo di 6° (3+6=9)
il rivolto è sempre il contrario del tipo di intervallo ori-
ginale: l'intervallo maggiore diventa minore, il diminuito di-
venta l'aumentato, il più che diminuito diventa eccedente e
viceversa; solo gli intervalli giusti restano giusti).
Nel nostro esempio qui sopra, se SOL-SI è una 3° maggiore,
SI-SOL sarà una 6° minore.

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Le scale

La scala musicale si ha quando i sette suoni vengono messi in ordine succes-


sivo; dopo il settimo suono, si ricomincia daccapo con il primo suono, seguen-
do la stessa successione.
La scala prende il nome dalla prima nota da cui comincia la successione: se, ad
esempio, la prima nota è DO, allora avrò la scala di DO, se è MI, allora avrò la
scala di MI.
La scala può essere:

diatonica, e a questo gruppo appartengono tutte le scale maggiori e mi-


nori del nostro sistema musicale occidentale, che è formata da una suc-
cessione di toni e semitoni
cromatica che invece è formata da soli semitoni (ascolta l'esempio mu-
sicale 06):

es. 5

Le note che compongono una scala si chiamano gradi e sono indicati con i nu-
meri romani.
Vediamoli sommariamente in ordine di importanza:

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il I grado, cioè la prima nota, si chiama tonica o fondamentale perché


fa da base a tutta la scala, che prende il nome da questa nota: se, ad e-
sempio, la mia scala comincia con il MI (e, inevitabilmente, finisce con il
MI), allora il MI sarà la tonica e la scala sarà la scala di MI
il V grado si chiama dominante e si trova al centro della scala e, al
contrario della tonica, ha un carattere di movimento tendente ad una ri-
soluzione, il più delle volte verso la tonica
il IV grado è la sottodominante perché si trova immediatamente prima
della dominante nel corso della scala: la sua funzione è quella di agevo-
lare il passaggio dal I grado al V, contribuendo a rendere più dinamica u-
na melodia.
Nello stesso tempo, però, la sottodominante aiuta anche la dominante,
precedendola, a rafforzare il suo passaggio alla tonica, dando ancora più
carattere di stabilità a questo tipo di conclusione della melodia
il VII grado della scala, la sensibile, è una vera e propria sospensione
del discorso musicale (per avere un esempio di ciò, ti basti ascoltare nel
prossimo esempio, il n. 07, una scala che finisce con la tonica - la prima
- ed una che finisce con la sensibile - la seconda - : sentirai che nella se-
conda, l'orecchio cerca una conclusione melodica, conclusione che si ha
nel DO successivo, che è la tonica)
il III grado, detta mediante perché è esattamente a metà tra la tonica
(I) e la dominante (V), è una nota importante per stabilire il MODO di u-
na scala: è questa nota cioè che mi dice se una scala (e quindi una tona-
lità o un accordo) è maggiore o minore
il II grado, la sopratonica, e il VI grado, la sopradominante, hanno
questi nomi perché sono collocate rispettivamente dopo la tonica e dopo
la dominante: sono due gradi che non hanno particolari caratteristiche.

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Altri tipi di scale

Vediamo ora brevemente altri tipi di scale al di fuori del nostro sistema musica-
le occidentale, chiamato sistema temperato o sistema equabile (le scale
maggiori e minori, infatti, sono proprie di questo sistema musicale) e apparte-
nenti ad altri sistemi diversi, che possono essere formate anche da un numero
diverso di suoni (5, 6 o più) e, ovviamente, con una diversa disposizione di toni
e semitoni.

La scala esatonale

Come la scala cromatica è formata da tutti semitoni, la scala esatonale è for-


mata da tutti toni.
Ne consegue che è una scala formata da sei note (ascolta l'esempio n. 08):

es. 6

Come vedi, dopo il LA# c'è il DO (e la scala ricomincia): bene, pur essendo
LA#-DO un intervallo di terza, comunque tra i due suoni c'è un tono di distanza
(LA#-SI – semitono – SI-DO – semitono).
Questo stesso intervallo di terza lo ritroviamo anche nella scala che, ad esem-
pio, comincia dal DO#:

es. 7

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In questo caso lo troviamo fra il RE# e il FA, ma anche qui l'intervallo risultan-
te sarà di un tono: RE#-MI è un semitono e MI-FA un altro semitono.
Questa scala è chiamata anche scala di Debussy perché proprio Debussy,
compositore francese dell'inizio del '900, la usò abbondantemente nelle sue
composizioni.

La scala pentatonica

La scala pentatonica, come dice il nome, è formata da cinque note ed è una


scala particolarmente usata nel blues (ascolta l'esempio n. 09):

es. 8

Ascoltando questa scala, si ha sensazione di ascoltare una scala orientale, tan-


to che è anche chiamata scala cinese, fermo restando che è una scala diffu-
sissima in occidente.
La particolarità di questa scala è che non contiene, al suo interno, intervalli di
semitono.
Tu mi dirai:

“Ma anche la scala esatonale non aveva semitoni”.

È vero, ma in quel caso avevamo solo intervalli di tono.

Qui, invece, le note si trovano tra di loro a distanza di seconda


maggiore o di terza minore:

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es. 9

Possiamo, a questo punto, fare un'osservazione.


Mettiamo a confronto la scala di DO maggiore e la scala pentatonica appena vi-
sta qui sopra:

es. 10

Vediamo che c'è una forte somiglianza tra le due scale, come se nella pentato-
nica fossero stati tolti il IV e il VII grado (cioè il FA e il SI), proprio quelle due
note che ci permettono di avere intervalli di semitono nella scala maggiore!

Anche nelle scale pentatoniche troviamo la scala maggiore, che è quella che
abbiamo visto qui sopra, e la scala minore, relativa alla maggiore.
Se prendiamo la pentatonica maggiore di DO, la relativa pentatonica minore a-
vrà le stesse note della maggiore e sarà costruita a partire dal LA (ascolta l'e-
sempio musicale n. 10):

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es. 11

Anche qui, come puoi vedere, mancano le note che nella scala minore naturale
servono a formare gli intervalli di semitono: il SI e il FA, che sono rispettiva-
mente il II e il VI grado.

La scala blues

La scala blues non è altro che una pentatonica a cui sono state aggiunte alcune
note alterate (ascolta l'esempio musicale n. 11):

es. 12

Come puoi vedere, rispetto alla scala di DO maggiore qua manca il RE, il LA e il
SI mentre troviamo il MIb, il FA# o SOLb e il SIb, note caratteristiche che ren-
dono la tonalità non ben definita tra modo maggiore e minore.
Queste note alterate sono le famose blue note, tipiche del blues, che, creando
questo indefinitezza tonale e modale, esprimono tutta la malinconia tipica della
musica blues.

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Gli accordi

L'accordo non è altro che la riproduzione simultanea di tre o più note (per l'in-
tervallo si parla di DUE note, per l'accordo devono essere TRE O PIU') e queste
note saranno lette dal basso verso l'alto, quindi dal suono più grave a quello
più acuto.
Abbiamo una prima classificazione degli accordi in base a quante note lo for-
mano.
L'accordo più semplice sarà quello formato da tre suoni, che viene chiamato
triade.
Il suono più basso della triade si chiama fondamentale e dà il nome all'intero
accordo (fondamentale è anche il nome dato alla prima nota della scala, al I
grado); ad esempio, se ho un accordo formato dalle note sovrapposte di SOL-
SI-RE, dirò che ho una triade di SOL, poiché questo è il suono più basso:

es. 13

Gli altri due suoni, nel nostro esempio SI e RE, vengono chiamati, rispettiva-
mente, 3° e 5° dell'accordo, in quanto distano dal SOL, cioè dalla fondamenta-
le, rispettivamente una 3° (SOL-SI è infatti un intervallo di 3°) e una 5° (SOL-
RE è un intervallo di 5°).
Le note che formano un accordo non devono PER FORZA essere a distanza di
3° l'una dall'altra: infatti nell'esempio qui sotto vedi che sono molto distanziate
l'una dall'altra, a differenza invece dell'esempio messo qui sopra, ma l'accordo
è sempre quello di SOL:

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es. 14

Nel caso in cui le note sono disposte a distanza di 3° l'una dall'altra, diciamo
che l'accordo è a parti strette, nel caso, invece, siano disposte più distanziate
(come qui sopra), si dice che l'accordo è a parti late e questo sarà il modo in
cui useremo, prevalentemente, gli accordi in questo corso.
Un'altra cosa da notare in un accordo è questa: se, ad esempio, suoni la chitar-
ra, vedi che questa ha sei corde, mentre l'accordo che sto esaminando ha tre
suoni: in questo caso alcuni suoni dell'accordo vengono ripetuti.
L'accordo di SOL maggiore suonato con la chitarra è formato da queste note,
che ora sono sei:

es. 15

Come vedi il mio accordo è formato da tre SOL, due SI e un RE; abbiamo quin-
di dei raddoppi (così si chiamano le note ripetute più di una volta) e anche di
questo ci occuperemo in questo corso.
Bene, torniamo alla nostra triade.
Come per gli intervalli, anche per gli accordi ho diversi tipi di accordo a secon-
da degli intervalli che li formano.
L'accordo maggiore ha la terza è maggiore: nell'esempio dell'accordo qui so-
pra SOL-SI-RE, l'intervallo SOL-SI è una 3° maggiore, pertanto l'accordo sarà
di SOL maggiore, mentre l'accordo minore ha l'intervallo di terza minore.
La 5° dell'accordo resta sempre uguale, in entrambi i casi, e sarà sempre una

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quinta giusta.
Proprio questa nota, invece, sarà importante per la formazione di altri due tipi
di triadi:
la triade aumentata (chiamata da qualcuno anche eccedente) formata
da una 3° maggiore e da una 5° aumentata o eccedente:

es. 16

la triade diminuita formata da una 3° minore e da una 5° diminuita:

es. 17

Possiamo trovare l'accordo in tre forme diverse in base alla nota che trovo nel-
la parte più grave: infatti non sempre trovo la fondamentale come base dell'ac-
cordo.
Quando questo succede allora ho un accordo allo stato fondamentale.
Se invece trovo una delle altre due note, allora ho un accordo allo stato di ri-
volto: più precisamente al I rivolto se ho la 3° come nota più grave e al II ri-
volto se ho la 5°:

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es. 18

La nota più grave dell'accordo, qualunque essa sia, si chiama basso d'armo-
nia o anche nota del basso e l'uso dei rivolti (in particolare il I) sono molto u-
tili per creare una linea di basso piuttosto melodica.

Alla triade io posso sovrapporre altri suoni e formare così nuovi accordi: l'im-
portante è che le nuove note siano a distanza di 3° (non importa se maggiore
o minore) dalla nota più acuta:

es. 19

Le note scritte in nero sono quelle aggiunte e che mi permettono di formare:

un accordo di 4 note (il primo) detto accordo di settima (7°)


un accordo di 5 note (il secondo) detto accordo di nona (9°)
un accordo di 6 note (il terzo) detto accordo di undicesima (11°)
un accordo di 7 note (l'ultimo) detto accordo di tredicesima (13°).

“Perché questi nomi?”,

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ti starai chiedendo.
Semplicemente perché:

la 7°, la 9°, l'11° e la 13° è la distanza che c'è tra il SOL e la nota
più acuta dell'accordo.

Infatti tra il SOL e il FA del primo accordo ho un intervallo di 7°, tra il SOL e il
LA superiore ho un intervallo di 9°, tra il SOL e il DO ho un intervallo di 11° e
tra il SOL e il MI ho un intervallo di 13°.
Anche qui avrò tante classificazioni diverse a seconda del tipo di intervallo che
si forma (maggiore, minore, aumentato, diminuito, ecc ecc) e approfondiremo
in seguito questi accordi.
L'accordo di 4 suoni è chiamato quadriade, mentre per gli altri di solito si usa
chiamarli con il numero di suoni che li compongono, quindi accordi di 5 suoni
(qualcuno li chiama quintiadi), accordi di 6 suoni e accordi di 7 suoni.
Più note si aggiungono e più, come puoi ben immaginare, gli accordi si colora-
no al punto che alcuni, soprattutto quelli di 5 e 6 suoni, sono più utilizzati nel
jazz e nel blues che nell'armonia cosiddetta tonale e potrò formare accordi
consonanti e accordi dissonanti.
Ti dicevo prima, a proposito degli intervalli dissonanti, che hanno una loro riso-
luzione: lo stesso avviene con gli accordi.
Gli accordi dissonanti avranno bisogno di appoggiarsi, e quindi di risolvere, su
un accordo consonante successivo, a meno che, come nel jazz, l'accordo disso-
nante sia usato più per il suo colore che per la funzione armonica.

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