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ESPRESSIONISMO

Il termine “Espressionismo” indica un ben definito orientamento artistico che si diffuse tra il 1905 e il 1920
in una vasta area dell’Europa centro-settentrionale. Si tratta di un fenomeno culturale estremamente
eterogeneo. Come l’Impressionismo rappresentava una sorta di moto dall’esterno verso l’interno,
l’Espressionismo deriva dal moto inverso, dall’interno all’esterno, che dall’animo dell’artista si riflette
direttamente sulla realtà, spesso anche deformandone le forme. L’Espressionismo, inteso come proiezioni
immediata di sentimenti e stati d’animo estremamente soggettivi, presenta per sua natura contenuti sociali,
indagini psicologiche, drammatiche testimonianze della realtà. E la realtà è realtà amara di guerra, di
contraddizioni politiche, di perdita di valori ideali, di aspra lotta di classe e proprio questi saranno i temi più
dolorosamente cari agli artisti espressionisti.

EGON SCHIELE
Schiele è stato l’esponente assoluto del primo espressionismo viennese insieme a Kokoschka. Figlio di
capostazione, che muore quando Egon ha solo 15 anni, viene posto sotto la tutela del ricco zio Leopold
che scopre subito il grandissimo talento artistico del nipote. Lo zio lo trascina quasi a forza a
nell'accademia di Belle Arti di Vienna. Klimt, che lo voleva nell’accademia, ne divenne maestro e mentore.
La linea dell’istituto d’arte dove Schiele appunto lavorava, ricalca ancora alla perfezione gli stilemi della
secessione viennese. Ma a lui queste regole stanno molto strette, come si può intuire da uno dei suoi
primissimi dipinti composti in accademia:
Alberi specchiati in uno stagno. Olio su tela dalla forte natura impressionista nel suo colpo d’occhio, ma
ne resta estraneo nel contatto percettivo: è come se fosse stato dipinto da un alieno che ha appena
approfondito l’apprendimento dello stile impressionista, basti guardare il colore e la pennellata cruda e
sporca. Il dipinto ha già una sua cifra stilistica, è un dipinto impressionista deformato che incute timore.
Schiele inizia così a toccare quelli che in futuro saranno i pilastri stilistici della sua pura estetica.

Ma questa sua libertà estetica, come cambio percettivo radicale, porta Schiele ad essere emarginato ed
insieme ad altri artisti fonda il “gruppo della nuova Arte” come atto di autodifesa contro i limiti imposti
dall’accademia.
Se si guarda il RITRATTO DI LEOPOLDO, in cui è rappresentato lo zio, ci viene data l’idea di un artista
che prova a ricreare la propria cifra stilistica anche restando nei limiti canonici, ma fallendo miseramente.
Ad un artista non può essere imposto un limite estetico perché questi non riuscirà mai a sopportarlo dato
che in quel caso la sua stessa opera gli risulterebbe estranea. Infatti a Schiele non basta accontentare la
critica, il gusto generale, e questo porta a un cambiamento abissale nello stile.
Nel 1909, l’anno della secessione viennese, dipinge RITRATTO DI GERTI SCHIELE, sua sorella. Le prime
due cose che saltano all’occhio sono l’aver eliminato lo sfondo, o meglio, aver messo in risalto la figura
centrale, e il colore. Infatti la figura ha un colore pieno e particolare, sul tono del marrone. Il soggetto
umano sembra una fine scultura in legno e, da amante dell’erotismo che era schiele, notiamo una cura
magnifica per il collo della figura femminile, la piega del viso e lo sterno.
Nel 1910 colleziona una serie di autoritratti, da interpretare come studi di stile puramente estetici che
mirano ad arrivare alla perfezione percettiva del modo in cui il pittore vedeva il corpo umano. Infatti le forme
del corpo passano da essere leggermente dure a completamente morbide e lo studio del colore lascia
stupiti.
Autoritratto con camicia a righe: Gli occhi che sembrano spalancati ma allo stesso tempo delicati, che
prendono l’attenzione, sono occhi stanchi. Da notare la vena blu derivata dalle occhiaie, la fronte
leggermente scura, il rosso forte dell’orecchio leggermente più lieve delle labbra, e soprattutto della
guancia, che rende questo viso intimamente umano. Da notare anche quel paio di macchie rosse sulla
tempia, dove passa la vena temporale.
Autoritratto con lanterna cinese si può definire il suo effettivo manifesto: il colore diventa più pastoso,
continua con un utilizzo delle forme del corpo assolutamente sensuale. Ciò che cattura l’attenzione
continuano ad essere gli occhi quasi coscienti del fatto che noi lo stiamo guardando, della sua bellezza.
Il suo stile è ora maturo, con un tratto e colore violento come propria cifra estetica. I suoi dipinti non sono
puri, cesellati, sono sanguigni, impuri ma fortemente erotici. Se Klimt può essere definito come il maestro
dell’erotismo, Schiele ne è il genio percettivo perché non aveva bisogno del canone estetico per far
trasparire la bellezza.
Tuttavia Schiele era popolare per aver scelto ragazzine molto giovani come sue modelle, come nell’opera
RAGAZZA CON I CAPELLI NERI, in cui la ragazza giace delicatamente a terra, nuda, con un
atteggiamento chiaramente provocatorio data la scelta di dipingere di rosso le labbra, il seno ed il pube.
Negli ultimi anni della sua vita, Schiele ha una relazione con una diciassettenne che gli fa da modella ma
anche da amante a Vienna, finché non decidono di spostarsi in campagna alla ricerca di tranquillità. Però
nella prima città, vengono cacciati perché convivono senza essere sposati. Invece nella seconda,
addirittura viene accusato di aver traviato, sedotto, rapito, stuprato una bambina non ancora 14enne. Viene
processato e giudicato colpevole con reclusione di 24 giorni, però non per le accuse iniziali ma solo per
aver mostrato i suoi dipinti. Dopo l’uscita di prigione accade l’esplosione estetica totale della sua arte.
Albero autunnale in movimento: Si osservino le curve, come si piegano questi rami, il colore che dà
chiaramente importanza alla parte centrale colorata in marrone. Quello che noi in realtà stiamo osservando
è il puro movimento umano: partendo dal basso e andando verso destra abbiamo gambe, culo/pube,
schiena, testa, braccia.
Lottatore: Nel disegno acquarellato vi è tutta l'istintività di un’artista che ha già maturato il suo stile. Si
tratta di uno dei numerosissimi autoritratti nei quali Schiele è solito raffigurarsi nudo e in posizioni
anticonvenzionali. La spigolosità del segno, la geometrizzazione della postura e l’esasperata nodosità di
arti e giunture, rimandano a una visione drammatica dell’intera umanità, condannata ad angosce e tensioni
senza fine.
Nudo femminile seduto di schiena con drappo rosso. Il personaggio, ritratto di spalle, con la testa
ruotata verso sinistra e le braccia sollevate in alto, presenta un profilo sgraziato, soprattutto per l’anatomia
delle mani e delle spalle. Nel segno crudo del disegno, emerge la forza espressiva del drappo rosso che
cinge i fianchi della modella. Ripetuti tocchi di acquerello verdi e azzurri sulla schiena, sulle mani e sul volto
contribuiscono a sottolineare nel personaggio il conflitto tra spiritualità dell’amore e crudezza della
sessualità. Una decisa linea di contorno, infine, isola la figura in uno spazio vuoto, nel quale il personaggio
campeggia, solo con sé stesso e con la propria storia.

Schiele modella il corpo in modo che ciò che vedi non è una figura convenzionale di bellezza, ma la pura
rappresentazione dell’animo erotico. I corpi sono dai tratti curvi, il cui colore non sta donando una semplice
pelle ma un'epidermide di sentimenti palpabili; come se qualcuno avesse infilato le mani in un dipinto di
Klimt e poi ne avesse tirato fuori la figura violentemente e profondamente carnale dello stesso.
La summa dei suoi studi si ha con due dei suoi ultimi dipinti.
L’abbraccio. È un olio su tela che mostra due amanti (intesi nella loro definizione più pura) che si
stringono, nudi, in un abbraccio di intensa e coinvolgente passione. Lei è sdraiata con le gambe piegate,
con un braccio prende lui e con l’altra mano lo accarezza. Lui è come se si fosse appena girato di scatto
verso di lei, non la sta abbracciando, la sta afferrando con le braccia (sottile ma evidente differenza); i suoi
muscoli della schiena e delle braccia sono tirati; la annusa, sta assaporando il profumo della sua pelle e dei
suoi capelli. Stiamo osservando ciò che Schiele intende come amore, descrivendolo col colore che è in lui,
il sentimento primario dell’essere umano. Intorno ai due corpi, costruiti lungo una delle diagonali del dipinto,
una grande coperta spiegazzata isola l’atto d’amore in uno spazio esclusivo. Una sorta di scomposto
campo di battaglia nel quale i due personaggi riconoscono di essere nudi e soli di fronte al mondo, e di non
aver altro rifugio possibile se non l’una nell’altro.
Coppia accovacciata (La famiglia): Fu presentata al pubblico incompleta (vedasi la mano sinistra
dell’uomo). La tela, di formato quadrato, racchiude una composizione a piramide rovesciata. Nella porzione
superiore si trova una figura maschile accovacciata su una bassa poltrona, in una posa articolata: le gambe
flesse sono divaricate, mentre il braccio destro è stretto al petto e quello sinistro, piegato a 90°, poggia sul
ginocchio. Fra gli arti inferiori, accoccolata a terra, si trova una donna, che non corrisponde alla moglie
Edith, distaccando il quadro dal piano reale per proiettarlo in quello immaginario. In questa chiave deve
essere ugualmente letta la presenza del bambino avvolto in una coperta multicolore. Il figlio concepito dalla
coppia, infatti, non vedrà mai la luce. Entrambi nudi, i corpi dei personaggi risaltano con il loro chiarore
(giallo per l’uomo, rosa per la donna) sullo scuro sfondo bruno. Pur uniti dal vincolo familiare, ciascuno
mantiene una propria separatezza pensosa, esemplificata dagli sguardi rivolti in direzioni diverse.

Nel 1917 apre con Klimt un nuovo spazio espositivo ma il progetto dura ben poco. Nel febbraio muore il
suo maestro, e nell’ottobre del 1918 Schiele lo raggiunge all’età di solo 28 anni.
OSKAR KOKOSCHKA
Oskar Kökoschka, viennese per cultura e formazione, nel 1905 inizia gli studi alla Scuola d'arte e mestieri
di Vienna, la stessa a suo tempo frequentata anche da Klimt. Kokoschka si rivela ben presto un
personaggio scomodo, sia a causa del proprio temperamento artistico sia per le posizioni politiche assunte
sia per le amicizie con intellettuali progressisti e artisti innovatori e fuori dal coro. Allo scoppiare della
guerra, si arruola volontario e nel 1915 rimane ferito: inizierà il decennio più intenso della sua attività di
pittore e di scenografo.
Da Klimt, Kokoschka ereditò la convinzione che un buon artista deve essere anche un profondo
conoscitore delle varie tecniche di esecuzione, prima tra tutte il disegno. Molte delle sue opere grafiche
sono studi per successivi dipinti, ma hanno sempre quella compiutezza che le fa sembrare opere
indipendenti.
In Donna seduta, Kokoschka sintetizza la forma del personaggio con poche decine di segni dal tratto nero
e deciso. Nonostante ciò, il corpo prende mirabilmente volume, aiutato da pochi tocchi di acquerello: grigio
per i capelli, bruno e appena rosato per il volto e il braccio sinistro, giallognolo per il busto e le gambe.
Ritratto di Adolf Loos. È comunque nei dipinti a olio che Kokoschka esprime il massimo della sua arte.
Nella ritrattistica egli arriva a scavare dentro ai suoi personaggi giungendo quasi a una loro indagine
psicoanalitica. Nel Ritratto di Adolf Loos, Kokoschka dimostra di aver già abbandonato la lezione più
decorativa di Klimt a favore di una ricerca nuova e tutta personale. Le nitide linee di contorno e le squillanti
campiture di colori piatti usate da Klimt, cedono qui il passo a pennellate brevi e frammentate su un intenso
sfondo blu. In questo modo l'artista tralascia qualsiasi verosimiglianza anche proporzionale, come ben si
nota anche dalla caratteristica e ricorrente enfatizzazione delle mani.
L'espressione del volto è ricercata con moti rotatori del pennello che rimandano, entro certi limiti,
all'espressività di alcuni ritratti di Van Gogh. La struttura complessiva del personaggio, infine, pur
apparendo incerta e quasi deformata, è in realtà frutto di una precisa scelta compositiva, in cui le braccia e
le grandi mani intrecciate seguono un andamento geometrico tutt'altro che casuale, disegnando con
chiarezza un esagono al centro del dipinto.
Annunciazione. Alcuni caratteri salienti della ritrattistica di Kokoschka si ritrovano anche
nell'Annunciazione del 1911, con la quale l'artista si confronta con un soggetto biblico. Sullo sfondo di un
immaginario paesaggio vagamente orientale Kokoschka rappresenta l'angelo nunziante e la Vergine
annunziata. Quest'ultima, semisdraiata, con la gamba sinistra raccolta indietro e la mano premuta
simbolicamente sul ventre già gravido, riempie di sé la metà inferiore del dipinto, delimitata da una delle
due diagonali. Le braccia spalancate dell'insolito angelo individuano una sorta di grande cerchio che
racchiude il volto di Maria. Le pennellate vivaci, che accendono di colori improvvisi e violenti sia il
paesaggio in lontananza, sia la figura dell’Annunziata, testimoniano la ricerca di una pittura dai forti
contenuti espressionistici, ribadito anche dalle posture delle mani di entrambi i personaggi.
La sposa del vento. Nella Sposa del vento, Kokoschka esprime nel modo più intenso e compiuto
l'esigenza di proiettare fuori di sé le proprie tensioni vitali, i propri dubbi e le proprie angosce esistenziali. Il
dipinto rappresenta infatti la fine del travolgente e tormentato rapporto d'amore che, per oltre due anni,
aveva legato l'artista alla fascinosa Alma Mahler. I due amanti sono rappresentati in una sorta di
scomposto letto di nubi, circondati dalla tempesta di passioni, vissute con l'intensità devastante d'un amore
totale. Le due figure, infatti, sembrano essere contenute all'interno di due circonferenze simbolicamente
unite da dense pennellate.
Al convulso agitarsi della scena si oppone il sonno sereno della donna che dorme tranquilla,
rannicchiandosi con tenerezza contro il corpo dell'amato. Kokoschka, dal canto suo, si rappresenta ben
sveglio e pensieroso, con gli occhi spalancati che guardano lontano e le nodose mani intrecciate. I colori
torbidi partecipano con materiale evidenza al disordine interiore e all'angoscia che dilaniano l'autore per
l'amore finito.

EDVARD MUNCH
Nacque a Loten, in Norvegia, nel 1863. A cinque anni perde la madre e la sorella; durante la sua
giovinezza muoiono anche il padre e il fratello. La salute di Edvard è fragile e lo costringe a letto per lunghi
periodi, durante i quali si dedica al disegno. Contro il volere paterno, intraprende studi artistici. Gli eccessi
di una vita frenetica lo portano a una crisi nervosa, risolta dopo un ricovero a Copenaghen. Ripresosi,
Munch si stabilisce di nuovo in Norvegia, dove dagli anni Dieci del Novecento consolida la propria fama.
Membro dell’Accademia tedesca delle arti figurative, Munch conosce anche le persecuzioni naziste: il
regime definisce “degenerate” ben 82 sue opere. Muore nel 1944.
Dopo gli inizi nel segno del naturalismo, il contatto con gli Impressionisti illumina la tavolozza di Munch, il
contatto con gli Impressionisti illumina la tavolozza di Munch, che a Parigi frequenta l’ambiente post-
impressionista. Il pittore trova il proprio linguaggio negli anni Novanta, quando le tematiche affrontate lo
renderanno partecipe dell’atmosfera simbolista. In questi anni inizia a dedicarsi una grandiosa narrazione
ciclica intitolata “Il fregio della vita”, composta da numerose tele e articolata in 4 grandi temi:
 La nascita dell’amore
 La fioritura e la dissoluzione dell’amore
 La paura di vivere
 La morte
Alle radici della sua arte è anche una ricca culturale letteraria, che comprende la filosofia esistenzialista di
Kierkegaard e i drammi di Ibsen, che ne riflettono la visione della realtà, profondamente permeata dal
senso incombente e angoscioso della morte.
La fanciulla malata. La pittura di Munch parte dall’abbandono di ogni tradizionalismo. La scena
rappresenta una ragazza dai capelli rossi in poltrona, le spalle appoggiate a un enorme cuscino bianco.
Accanto vi è una figura femminile dal capo reclinato. La fanciulla, con la testa di profilo, guarda con
tenerezza la donna, che le accarezza la mano sinistra. L’intreccio delle mani, delineato con pochi colpi di
colore, costituisce il centro narrativo del dipinto e ricade perfettamente all’incrocio delle diagonali della tela.
La prospettiva della stanza è angusta. La poltrona sembra compressa tra il comodino e una parete, da cui
pende un tendaggio verdastro. L’unica luminosità proviene dal cuscino e dal volto pallido della ragazza: è
come se la federa e la pelle emanassero una loro luminescenza intrinseca. Assai criticata all’epoca per il
suo effetto di incompiutezza, la tecnica qui sperimentata prevede l’alternanza di colori molto asciutti, che
fanno quasi intravedere la tela sottostante, a stesure più corpose, al fine di indirizzare più efficacemente
l’attenzione dell’osservatore al doloroso tema dell’opera.
Sera nel corso Karl Johann. Alla serie “La paura di vivere” appartiene questo olio su tela, che raffigura il
tranquillo passaggio serale nella principale arteria dell’antica Christiania, centro pulsante della vita
economica e politica della città. La prospettiva degli edifici di sinistra, pur essendo volutamente incerta,
suggerisce comunque un punto di fuga lontano. Munch interpreta il rito della passeggiata come una
processione di spettri dagli occhi sbarrati. Dell’umanità dei personaggi non sono rimasti che gli attributi
esteriori; i volti, invece, sono maschere anonime e scheletriche. Il senso che se ne ricava è quello di un
feroce attacco alla borghesia e alla sue vuote ritualità, nelle quali sono coinvolte le istituzioni (l’edificio sullo
sfondo a destra è il Parlamento). L’unico elemento di apparente disarmonia è dato dalla figura che
s’incammina sulla destra, ombra incerta e solitaria. Nel semplice simbolismo di Munch essa rappresenta
l’artista stesso che, incurante del consenso della massa, va controcorrente, anche a costo
dell’emarginazione. L’uso espressionista del colore si riscontra con evidenza nell’ombra viola al lato destro
della via, così come nel cielo di un azzurro spento. Gli edifici di sinistra, dal canto loro, conservano l’ultimo
riflesso rosaceo del giorno morente, contribuendo a dare rilievo alla massa dei passanti.
Il grido. Il dipinto appartiene alla serie “La paura di vivere” e racconta di un evento vissuto dallo stesso
autore: mentre camminava con due amici, il cielo si tinse di rosso, e lui iniziò a tremare di paura per via di
un urlo infinito che aveva pervaso la natura. Nella solitudine della sua individualità, l’uomo in primo piano
esprime il dramma collettivo dell’umanità. Il ponte, la cui prospettiva si perde all’orizzonte, richiama i mille
ostacoli che ciascuno deve superare nella propria esistenza, mentre gli stessi amici che continuano a
camminare tranquillamente rappresentano con cruda disillusione la falsità dei rapporti umani. La forma
diventa preda delle angosce più profonde dell’artista. L’uomo, che leva il suo urlo è un essere serpentinato,
fatto della stessa materia filamentosa con cui è realizzato il cielo infuocato. Al posto della testa è un
enorme cranio, privo di capelli, come di un sopravvissuto a una terribile carestia. Le narici sono ridotte a
due fori, gli occhi sbarrati sembrano aver visto qualcosa di abominevole, le labbra bluastra rimandano a
loro volta alla morte. E l’urlo disperato e primordiale che esce da quella bocca sembra propagarsi ovunque:
è l’urlo di chi si è perso dentro sé stesso e si sente solo, sopraffatto da una natura prepotente e matrigna.
Pubertà. Questo olio del 1894 raffigura un’adolescente nuda, seduta di traverso su un letto appena rifatto,
simbolo di una verginità ancora intatta. Il corpo della ragazzina, definito da una decisa linea di contorno,
appare ancora sessualmente acerbo: ai fianchi che sono già di donna, infatti, fanno stridente riscontro le
spalle ancora infantili e i seni appena abbozzati. Lo sguardo è fisso, quasi sbigottito, e le braccia si
incrociano pudicamente sul pube in un gesto istintivo di protezione e vergogna. In quegli occhi che
scrutano l’osservatore con sospettoso smarrimento ci sono il rimpianto per la fanciullezza perduta e il
contemporaneo turbamento per una maturità alla quale non si sente ancora preparata. Tale angosciosa
sensazione è quasi materializzata dall’enorme ombra scura proiettata sul muro. Un’ombra informe e
inquietante, quasi indipendente dal personaggio che la genera, evocatrice di paura e di incognite.
Madonna. La tormentata riflessione sulla figura femminile culmina in questo dipinto che ha dato molto
scandalo per la forte carica erotica. Riproposta negli anni in diverse versioni, l’opera è conosciuta con titoli
differenti. La tela rettangolare raffigura una giovane donna, nuda fino alla vita: la testa, coronata da
un’aureola rossa e rivolta in alto, è leggermente piegata verso la sua sinistra, lasciando i capelli neri sciolti
sulle spalle; gli occhi sono chiusi e le braccia portate dietro la schiena. La donna è come sospesa in uno
spazio indefinito percorso da onde di colore (tonalità scure) che sembrano emanare dalla protagonista
stessa. L’immagine raccoglie tutti i significati legati alla femminilità, con cui Munch si sarebbe scontrato per
tutta la sua esistenza: sacro e profano, sensualità del rapimento carnale, origine della vita nel
concepimento e incombere della morte.

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