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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

PARTE TERZA

FONTI DEL DIRITTO

LE FONTI DEL DIRITTO

Sezione 1
Le fonti in generale

1.1 La norma giuridica

L’approccio allo studio del sistema delle fonti del diritto (regole che disciplinano e ordinano la
comune convivenza dei consociati) non può non partire dall’analisi del concetto di norma
giuridica.

La norma giuridica è:
- oggettivamente vincolante (si attua a prescindere dell’adesione dei singoli consociati)
Inoltre è costituita da:
- precetto primario: dalla regola che l’ordinamento vuole che sia seguita dai consociati.
- precetto secondario: dalla sanzione che l’ordinamento stesso infliggerà nel caso di mancato
rispetto della norma primaria.
Ulteriore caratteristica:
- coattività: intesa quale capacità di imporsi a prescindere dalla volontà e contro il volere dei
consociati.
- generalità: riguarda il fatto che tale norma deve essere idonea a regolare tematiche ampie e
complessive.
- astrattezza: si concretizza nella possibilità di ripetere ed applicare, per un numero indeterminato di
volte, il precetto contenuto nella norma.

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1.2 Fonti di produzione e fonti di cognizione

Nel linguaggio giuridico, la parola fonte sta ad indicare la sorgente del diritto: strumenti grazie ai
quali si origina diritto.

Le fonti del diritto sono costituite da atti o fatti idonei a concretizzare norme giuridiche. Rientrano
in questa categoria:
- Atti normativi: fonti originate dalla volontà di un soggetto o di un organo abilitato
dall’ordinamento a produrre diritto.
- Fatti normativi: fonti che nascono in seguito ad accadimenti o determinate circostanze a cui
l’ordinamento attribuisce valore normativo.

Si può, inoltre, parlare di:


- fonti di produzione: fonti finalizzate a produrre norme capaci di innovare e modificare
l’ordinamento giuridico.
- fonti di cognizione: si fa riferimento a tutti quei documenti che permettono la conoscenza, o
comunque la conoscibilità, del testo relativo alle fonti di produzione. Possiamo citare in questo
caso:
1) La Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana: è quella fonte di cognizione nella quale vengono
pubblicati i testi normativi statati. Svolge una duplice funzione: strumento efficace per l’entrata in
vigore e di pubblicità/notiziale.
2) Bollettini ufficiali delle Regioni: in essi vengono pubblicati i testi degli atti normativi adottati
dalle varie Regioni nei rispettivi ambiti di competenza.
3) Raccolta ufficiale degli usi: assolve unicamente la funzione notiziale, permettendo unicamente la
conoscenza di usi o consuetudini che rappresentano nel nostro ordinamento le principali fonti-fatto.
4) Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea: rientra a pieno titolo tra le fonti di cognizione del nostro
ordinamento nonostante vengono riportati testi normativi prodotti da istituzioni estere.
5) Testi unici compilativi: sono rappresentati da raccolte, in un unico documento, di una pluralità di
atti normativi preesistenti e riguardanti un medesimo oggetto, con lo scopo di facilitare e rendere
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più agevole la conoscenza e l’applicabilità della normativa relativa ad un determinato settore.


Destano qualche in dubbio in merito alla loro classificazione nelle fonti di cognizione data dalla
forma che potrebbe richiamare alle fonti di produzioni meramente formali (presentano la forma
delle fonti di primo grado ma non sono in grado di apportare alcuna modifica nel nostro
ordinamento).

1.3 Identificazione delle fonti di produzione

1.3.1 Le fonti-atto

Le fonti di produzione si possono distinguere in: fonti-atto e fonti-fatto.

Le fonti-atto si caratterizzano in quanto atti giuridici posti in essere in seguito ad un’attività


volontaria di organi istituzionali a cui l’ordinamento attribuisce il potere di creare norme giuridiche.

*Norme sulla produzione: fonti strumentali rispetto alla prime preordinate a individuare e
disciplinare i soggetti, le competenze ed i procedimenti nell’ambito dei quali dare luogo ai processi
formativi delle fonti di produzione.

1.3.2 Le fonti-fatto

Le fonti fatto prescindono da una attività volitiva e volontaria di un soggetto istituzionalizzato.


Si identificano come accadimenti, dei fatti appunto, ai quali in alcuni casi il nostro ordinamento
attribuisce valore di regola giuridica.
Rappresentano nel nostro ordinamento una categoria residuale.
La principale fonte fatto, nel profilo storico, è stata la consuetudine. Nel corso del tempo vi è stata
un’evoluzione ma in alcuni casi anche i moderni ordinamenti, continuano a riconoscere alle
consuetudini un valore normativo.

1.4 La tipicità delle fonti

La tipicità delle fonti permette di creare un collegamento tra una determinata forma e la
conseguente efficacia dell’atto normativo.

Ogni tipo di fonte ha una sua forma tipica ed una serie di elementi di riconoscimento:
1) il soggetto (l’autorità che ha posto in essere quella determinata fonte).
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2) il nome specifico dell’atto


3) il procedimento di formazione cioè la sequenza di passaggi predeterminati alla produzione di
un determinato atto formativo.

A volte, alcune fonti possono presentare delle peculiarità. In questi casi, si può parlare di ‘fonti
atipiche’: ossia di quelle fonti che fuoriescono dai normali atti normativi di riferimento presentando
delle specifiche peculiarità.

Sezione 2
INTERPRETAZIONE DEL DIRITTO E RISOLUZIONE DEI CONFLITTI TRA FONTI

2.1 La differenza tra ‘disposizione’, ‘norma’ e ‘principi’

La disposizione è rappresentata dall’enunciato letterale in cui si articola l’atto normativo, quindi,


corrisponde a qualsiasi espressione linguistica avendo un significato compiuto.
La norma è il risultato dell’attività interpretativa a cui viene sottoposta la disposizione al fine di
ricavarne il significato o i significati.
Si distinguono sia dalle disposizioni che dalle norme i principi, che rappresentano la ratio
ispiratrice di una determinata disciplina. Il nostro ordinamento conosce più tipologie di principi:
- principi fondamentali (1 al 12)
- principi generali dell’ordinamento giuridico
- principi fondamentali della legislazione statale

In definitiva, si parlerà di interpretazione del diritto per indicare l’attività finalizzata a mettere a
fuoco i principi di una determinata materia, ad individuare una disposizione al fine di trarre la
norma regolatrice del caso specifico.
L’interpretazione è un momento preliminare dell’applicazione del diritto. Si tratta di un’attività
necessaria che tutti gli operatori giuridici sono tenuti a svolgere.

2.2 Le c.d “Preleggi”

L’analisi del nostro ordinamento giuridico e dell’interpretazione del diritto hanno storicamente
ricevuto un contributo rilevante dalle Preleggi.
Le Preleggi sebbene siano state inserite come premessa del Codice civile italiano del 1942, di fatto,
non hanno limitato la loro influenza solo al Codice Civile ma presenta delle previsioni riferibili
all’intero sistema giuridico nazionale.
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Inizialmente composto da 31 articoli, gli articoli dal 17 al 31 relativi alla condizione giuridica dello
straniero sono stati formalmente abrogati e sostituiti con la nuova disciplina del diritto
internazionale privato.
Il loro valore risulta essere limitato visto le Preleggi sono contenute nelle fonti di “primo grado”.
La loro funzione è principalmente ‘ricognitiva’ di principi valevoli all’interno dell’ordinamento
giuridico. Tra i principi principali possiamo individuare:
- vacatio legis
- irretroattività della legge
- divieto di interpretazione analoga di leggi penali e eccezionali

La previsione delle Preleggi relativa alla ‘gerarchia delle fonti’ risulta essere obsoleta data
l’introduzione della Costituzione (non menzionata nelle Preleggi).

2.3 I soggetti dell’interpretazione

Possiamo distinguere quattro tipologie di tipi di interpretazione:


1) interpretazione dottrinale:
- operata dagli studiosi del diritto.
- non è giuridicamente vincolante.
- vuole individuare il significato di disposizioni già esistenti.

2) interpretazione giudiziale:
- operata dai giudici nell’esercizio della funzione giurisdizionale.
- non è vincolante se non per le parti chiamate in giudizio.
- può acquisire un valore più ampio, qual ora correnti interpretative si consolidano nel tempo.

3) interpretazione burocratica:
- operata dalla pubblica amministrazione nell’esercizio della propria attività amministrativa.
- sono chiamati a realizzare l’interesse pubblico.
- ruolo di assoluto rilievo la prassi (l’interpretazione di una disposizione giuridica che, ritenuta la
più corretta, si consolida nel tempo)

4) interpretazione autentica:
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- operata dallo stesso legislatore a voler individuare il corretto significato di disposizioni già
esistenti.
- è contenuta in una legge che il Parlamento approva, con lo scopo di chiarire il significato di
disposizioni che risultano essere ‘ambigue’.
- sono sottoposte ad attenta esamina della Corte costituzionale, nel caso in cui il legislatore faccia
una ‘legge di interpretazione fittizia’ allo scopo di ottenere il valore retroattivo.
Questo è vietato dall’art 11 delle Preleggi, ma la Costituzione in merito specifica che questo divieto
è valido solo per i precetti normativi sanzionatori nonostante sia il valore fondamentale della civiltà
giuridica.

2.4 I criteri interpretativi

I principali criteri di interpretazione della legge sono individuati dalle Preleggi:


- Criterio letterale: nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto
dal palese significato delle parole.
- Criterio logico: si può giungere alla corretta interpretazione della legge facendo emergere il
significato derivante dalla ‘connessione’ tra le parole in essa contenuto.
- Criterio originalista: si concretizza nella possibilità di fare riferimento alle originarie intenzioni
del legislatore. Spesso è assai difficile far emergere un’intenzione univoca dal legislatore. In
ragione di ciò, tale criterio viene spesso utilizzato fungendo da rinforzo all’argomento letterale e a
quello logico.
- Criterio storico: facendo riferimento alla disciplina con cui in precedenza era regolata una
determinata materia e valutando l’evoluzione che essa ha subito, si tende a collocare la disposizione
nel suo contesto storico al fine di evidenziarne il significato.
- Criterio sistematico: il significato di una disposizione può essere ricavato mettendola in relazione
alle altre norme che compongono l’ordinamento giuridico. Nell’applicazione di tale criterio
l’interprete può fare ricorso a numerose operazioni logiche e argomentative.

Alla luce di ciò, le disposizioni normative possono essere sottoposte:


- alla interpretazione evolutiva che permette di adeguare il contenuto alle rinnovate esigenze.
- all’interpretazione adeguatrice allorché un atto normativo di grado inferiore venga interpretato
adeguando il suo significato a quello ricavabile da una disposizione gerarchicamente superiore.
- all’ interpretazione costituzionalmente orientata finalizzato ad interpretare una legge adeguando
il possibile significato al dettato costituzionale.
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2.5 Il ricorso alle analogie

Nell’ipotesi in cui l’ordinamento giuridico presenti una lacuna normativa può essere utilizzata
l’analogia.
L’art 12 co. 2 delle Preleggi, prevede il ricorso alla analogia di legge, che permette di applicare una
norma emanata per regolare casi simili.
Differentemente, se non sia possibile trovare una legge analoga, è possibile ricorrere alla analogia
di diritto, in base al quale si potrà decidere la questione applicando i principi generali
dell’ordinamento giuridico.
L’art 14 delle Preleggi stabilisce un duplice limite al ricorso alle analogie in merito: leggi penali e
leggi straordinarie.

Diversa dall’analogia è l’interpretazione estensiva, con cui si attribuisce ad un termine della


disposizione un significato più ampio di quello letterale.
All’opposto, l’interpretazione restrittiva limita e restringe il campo di azione della disposizione.
Il confine di queste due tecniche di interpretazione e l’analogia è molto sottile.

2.6 I criteri di risoluzione delle antinomie normative (c.d criteri ordinatori delle fonti)

Non è raro che all’interno dell’ordinamento giuridico si manifesti una antinomia normativa, che
vuole indicare un conflitto tra più fonti giuridiche che disciplinano la stessa materia.
In questo caso, è compito dei vari operatori del diritto risolvere il conflitto.
A volte la risoluzione di tali antinomie può esaurirsi mediante un’operazione interpretativa, in
altre circostanza dovranno farsi ricorso a specifici criteri:
- criterio gerarchico
- criterio cronologico
- criterio di specialità
- criterio della competenza

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2.6.1 Il criterio gerarchico

Il criterio gerarchico ordina le fonti secondo diversi gradi si efficacia.


Le fonti si distinguono per:
- forza attiva: capacità di innovare l’ordinamento giuridico.
- forza passiva: capacità di resistere alle innovazioni apportate all’ordinamento da altre fonti).
Tale criterio prevede che, nel caso di contrasto tra norme, si deve preferire quella che nella
gerarchia delle fonti occupa il grado più elevato.

La prevalenza della norma di grado superiore rispetto a quella di gerarchia inferiore dà luogo, quasi
sempre, all’ANNULLAMENTO di quest’ultima.
L’annullamento è un effetto ricavabile a seguito della dichiarazione di un giudice che interverrà
sulla fonte subordinata: annullandola o rinviando la questione ad un organo più competente.
Il soggetto chiamato a derimere la questione potrà riscontrare che la norma sovraordinata è violata
da quella di grado inferiore, nel caso in quest’ultima presenti:
- vizi formali
- vizi sostanziali

La presenza di tali vizi si ripercuote sulla validità dell’atto normativo. L’annullamento consisterà
quindi nell’accettare la non conformità dell’atto normativo rispetto le fonti che lo disciplinano,
si parla di una dichiarazione di illegittimità.
L’annullamento, di norma:
- produce effetti generali (non si può più applicare)
- opera non solo per il futuro ma estende i suoi effetti anche retroattivamente

*Non vale sempre questa regola, ad esempio nel caso dell’antinomia tra fonti dell’Unione Europea
e fonti interne, la situazione verrà risolta mediante la DISAPPLICAZIONE della norma nazionale:
- verrà azionata ad opera dei giudici comuni
- non produce effetti generali

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2.6.2 Il criterio cronologico

Ipotesi differente si ha quando il contrasto è tra fonti dello stesso grado gerarchico ma adottati in
tempi differenti.
In questo caso, la fonte successiva prevale su quella precedente producendo
l’ABROGAZIONE di quest’ultima.
L’abrogazione interviene sulla efficacia dell’atto e non essendo reversibile, nell’eventualità del
venire meno della legge abrogatrice non può dare luogo alla riviviscenza della precedente
normativa. Le nuove prescrizioni normative che subentrano avranno solo effetto per il futuro, così
com’è stabilito dal principio dell’irretroattività degli atti normativi (art 11 Preleggi).

Possiamo parlare di tre tipologie di ‘abrogazione’:


- espressa: si avrà per dichiarazione del legislatore
- tacita: per incompatibilità tra le nuove disposizioni e quella precedente
- implicita: nel caso in cui la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore.

2.6.3 Il criterio della specialità

Il criterio della specialità vuole che nel caso di fonti di stesso grado gerarchico, si preferisca quella
avente portata specifica, a prescindere che sia antecedente o successiva.

Non questo risulta sempre facile, l’applicazione concreta di tale criterio è affidata ai giudici comuni
nell’ambito delle funzioni interpretative in merito alle controversie a loro affidate.

Il criterio della specialità opera mediante l’applicazione di una DEROGA alla legge generale a
favore di quella speciale.
La norma derogata non perde né di validità né di efficacia, viene solamente circoscritto il suo
campo di azione. Nel caso di abrogazione della disciplina speciale, tornerebbe in funzione quella di
portata generale.

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2.6.4 Il criterio della competenza

Il criterio della competenza implica la necessità che le varie fonti del diritto intervengano
esclusivamente nei loro ‘ambiti di competenza’.

La ratio di tale criterio risiede nel fatto che, in un sistema articolato come il nostro, a fronte di una
pluralità di fonti, la Costituzione assegna dei settori di competenza specifici entro quali le norme
possono intervenire con le loro discipline.

Il criterio in questione prevede che le singole fonti di produzione intervengano negli ambiti di
competenza assegnati dalle fonti sulla produzione. Il mancato rispetto causerebbe un vizio di
validità della stessa legge statale che potrebbe essere sanzionata dalla Corte costituzionale mediante
l’annullamento.

2.7 La riserva di legge

Nell’ambito dei rapporti tra le fonti del diritto, assume particolare rilievo la riserva di legge. Con
questa, la Costituzione mira a regolare la concorrenza tra più norme, riservando la disciplina di una
determinata materia all’intervento della legge e non di altre fonti ad essere gerarchicamente
subordinate.

La riserva di legge fu uno dei principali elementi che caratterizzarono la transizione dallo Stato
assoluto allo Stato liberale limitando il potere normativo del Sovrano.

Oggi, la ratio di tale strumento è ravvisabile nell’intenzione di sottrare la regolamentazione di


specifici settori alla potestà normativa dell’Esecutivo, riservandola al Parlamento.

La valenza di tale istituto è circoscritta ai soli sistemi istituzionali a Costituzione rigida. Essa non
rappresenta un limite solo per l’esecutivo ma anche per l’Esecutivo lo obbliga ad intervenire nei
limiti e modi stabiliti dalla Costituzione.

È possibile individuare in merito a questo istituto:


- garanzie formali: imponendo che una determinata disciplina normativa venga introdotta mediante
legge, opera una scelta a favore della fonte del diritto (la legge) frutto del dibattito tra maggioranza
e minoranza in Parlamento.
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- garanzia sostanziale: imponendo che una determinata disciplina normativa venga introdotta
mediante legge, tale istituto giuridico permette che le fonti così formate possano essere sottoposte,
tanto, alla verifica da parte della Corte costituzionale, quanto alla valutazione popolare mediante
referendum abrogativo.

Detto ciò, è necessario distinguere le diverse riserve di legge in favore di altre tipologie di atti.
Rientrano:
- La riserva di legge costituzionale: è un istituto con cui la Costituzione sottrae la disciplina di
specifiche materie alla legislazione ordinaria riservando espressamente la trattazione a leggi di
rango costituzionale.
- La riserva dei regolamenti parlamentari: è ricavabile dall’art 64 secondo cui ogni Camera
adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

Tra le riserve di legge bisogna distinguere anche:


- La riserva di legge formale: impone che soltanto la legge possa disciplinare determinate materie,
impedendo, dunque, l’intervento degli ‘atti aventi forza legge’: decreto-legge e decreto legislativo.
- La riserva di legge ordinaria: intende regolamentare alcune materie attraverso l’utilizzo della
legge formale. In questo caso, vengono esclusi interamente o in parte, le fonti gerarchicamente
subordinate alla legge quali, ad esempio, i regolamenti governativi.
- La riserva di legge assoluta: in tutti quei casi in cui la Costituzione esige che l’intera disciplina
di una determinata materia sia offerta esclusivamente dalla legge del Parlamento (atti ad essa
equiparati). Locuzione: “nei soli casi e modi previsti dalla legge”. È ricorrente, per la
regolamentazione di diritti e libertà e, spesso, è affiancata alla riserva di legge di giurisdizione.
*In presenza di tale “doppia riserva” sarà necessario, non solo che sia presente un’apposita
previsione legislativa, ma anche che vi sia una specifica autorizzazione offerta da un atto motivato
dall’autorità giudiziaria. In questo modo, si ridurrà lo spazio di valutazione discrezionale della
pubblica autorità.
- La riserva di legge relativa: la disciplina di una determinata materia può essere offerta dal
concorso tra la legge formale ed altri atti normativi ad essa subordinati. Il legislatore dovrà dettare
almeno i principi fondamentali della materia a cui il Governo dovrà attenersi nell’emanare i
regolamenti della disciplina di dettaglio.
Locuzione: “secondo disposizione di legge” o “in base alla legge”.
- La riserva di legge relativa necessaria: a fronte della determinazione dei principi della materia

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per tramite della legge, ritiene che la regolamentazione di dettaglio offerta dalle fonti di grado
inferiore sarebbe ‘necessaria’. Esempio: l’art 35 comma 5 in merito all’organizzazione di
Università, Accademie e Istituti di Alta Cultura, prescrive l’applicazione delle norme autonome di
tali enti pur nel rispetto delle leggi dello Stato.
- La riserva di legge rinforzata: prevede che il legislatore, nel regolare la materia, debba seguire:
una riserva di legge rinforzata per procedimento o una riserve di legge rinforzata per contenuto.

SEZIONE 3
LE FONTI STATALI

3.0 Introduzione

Lo studio delle fonti del diritto statale non può prendere avvio dall’analisi della Costituzione.
Insieme a questa verranno trattate le fonti di rango costituzionale, rappresentate da quelle altre
fonti che, poste allo stesso livello gerarchico della Costituzione, sono in grado di modificarla ed
integrarla. Successivamente saranno prese in esame le fonti statali di livello inferiore a quelle di
rango costituzionale:
- Le fonti di primo grado o primarie:
1) leggi
2) leggi regionali
3) decreti legge e decreti legislativi
4) atti risultanti dal referendum abrogativo
5) regolamenti parlamentari e regolamento della Corte costituzionale
- Le fonti di secondo grado o secondarie:
1) regolamenti (statali o regionali)
- Le fonti di terzo grado:
1) regolamenti ministeriali o interministeriali (si tratta di atti che, nel caso in cui una specifica legge
ne autorizzi l’intervento, possono essere adottati da uno o più Ministri nell’ambito delle materie di
propria competenza.
2) decreti assessoriali (potranno essere adottati dai singoli assessori)
- Le consuetudini
Tale fonte è costituita dal ripetersi nella collettività di un comportamento fintanto che questo si
consolida e venga recepito dal consociato come obbligatorio.

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3.1 Le fonti costituzionali

La Costituzione rappresenta la legge fondamentale di uno Stato. Essa racchiude l’insieme dei
principi e delle regole organizzative essenziali su cui si basa la convivenza organizzativa di un
gruppo sociale.
Le Costituzioni moderne sono il frutto di un movimento politico e filosofico chiamato
costituzionalismo.
Il potere costituente rappresenta l’elemento genetico della Costituzione e si concretizza in una
serie di scelte relative alle varie opzioni che possono essere adottate per configurare l’assetto
fondamentale di uno Stato.

Le circostanze storiche ed i modi che danno origine ad una Costituzione, infatti, spesso
condizionano l’esercizio del potere costituente, ponendo una serie di limiti:
- limite implicito: caratterizzato dalle condizioni storiche e politiche
- limite esplicito: all’esercizio della podestà costituente.
- condizionamenti intrinsechi: legati alla stessa struttura del potere costituente. In questo senso,
l’impostazione ideologica e la consistenza numerica delle varie forze politiche presenti in
Assemblea costituente hanno influenzato sicuramente le scelte in merito.

La Costituzione repubblicana è entrata in vigore il 1° gennaio del 1948.

Con la sua entrata in vigore, si esaurisce il compito e la funzione del potere costituente che ha
lasciato spazio all’operatività dei poteri costituiti, intesi come l’insieme degli organi a cui è
attribuito il compito di garantire il funzionamento delle strutture statali.

3.1.2 I caratteri della Costituzione

Le Carte costituzionali si distinguono tra loro per alcune caratteristiche. Innanzitutto, bisogna
distinguere:
- Costituzioni scritte: sono quelle in cui i principi e le regole relative alle strutture organizzative
finalizzate al funzionamento dello Stato vengono racchiuse in un documento scritto.
- Costituzioni consuetudinarie si hanno qual ora manca un testo specifico che raccolga le
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disposizioni costituzionali.
In relazione, alla resistenza formale che in grado di opporre alle modifiche, possiamo distinguere:
- Costituzioni flessibili: sono quei documenti modificabili con il normale procedimento di
formazione della legge ordinaria (non oppongono particolare ‘forza passiva’).
- Costituzioni rigide: così definite poiché per essere modificate necessitano di un procedimento
specifico e particolarmente gravoso (oppongono particolare ‘forza passiva’). Le Costituzioni rigide
si distinguono rispetto a tutte le altre fonti del diritto, oltre per il contenuto, per essere collocata al
vertice della gerarchia delle fonti.
*La Costituzione italiana è una Costituzione rigida.

In merito, al contenuto della legge fondamentale, possiamo distinguere:


- Costituzioni corte: vengono così definite perché si soffermano esclusivamente all’assetto
organizzativo fondamentale dello Stato e dei processi legislativi.
- Costituzioni lunghe: oltre a regolare gli aspetti organizzativi e funzionali dei poteri pubblici,
contengono anche una disciplina dettagliata dei diritti, dei doveri e delle libertà dei cittadini.
*La Costituzione italiana è inclusa tra quelle lunghe.

La Costituzione italiana, oltre ad essere rigida e lunga, in merito all’analisi dei profili contenutistici
si può identificare come una Costituzione di stampo convenzionale. Questo perché le previsioni
sono il frutto di un accurato processo di mediazione tra le istanze e le ideologie (spesso antitetiche)
delle forze politiche presenti in Assemblea costituente (prevalente rappresentanza della componente
cattolica).

Volendo tenere in considerazione la modalità di formazione e il fondamento politico legittimante


del Testo fondamentale possiamo distinguere:
- Costituzioni concesse: segnano il passaggio tra Stato assoluto e Stato costituzionale laddove il
sovrano decide di concedere una Costituzione scritta in cui vengono individuati altri poteri e
istituzioni al di fuori di lui.
- Costituzioni votate: ricevono la loro legittimazione direttamente dal popolo.

Infine, l’analisi del Testo permette di individuare: ù


- Costituzione formale: tale formula allude all’insieme delle disposizioni costituzionali racchiuse
nel testo.
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- Costituzione materiale: allude a quelle parti della Costituzione che hanno trovato concretamente
attuazione. In dottrina, alcuni studiosi hanno articolato maggiormente quest’ultimo concetto,
preferendo parlare di Costituzione effettiva per indicare le prescrizioni costituzionali effettivamente
operative.

3.1.3 Leggi di revisione costituzionale e altre leggi costituzioni

La Costituzione rappresenta il patrimonio giuridico di una Nazione ed è preordinata a garantire e


conservare nel tempo i principi ed i valori sul quale si fonda l’ordinamento.
La Costituzione prevede la possibilità di essere modificata mediante:
1) un’interpretazione orientata: capace di rivenire nel rapporto tra Costituzione formale e
Costituzione materiale l’evoluzione normativa delle disposizioni costituzionali.
2) un’interpretazione evolutiva volto a modificare quelle disposizioni ormai non più rispondenti alle
necessità politiche e sociali del tempo in cui operano.
3) L’art 138 Cost pone la disciplina relativa alle leggi di revisione della Costituzione e alle altre
leggi costituzionali.

Le leggi di revisione della Costituzione sono quelle fonti di livello costituzionale capaci di
modificare una o più disposizioni del Testo Costituzionale.
La Costituzioni si pone come norma sulla produzione rispetto alle leggi di revisione costituzionale.
Queste potranno operare nei limiti in cui il potere costituente ha previsto che le Camere possano
adottarle.

Le altre leggi costituzionali non hanno la funzione di modificare le vigenti disposizioni


costituzionali ma possono, invece, intervenire nelle “parti aperte” della Costituzione. La Carta
costituzionale ha predisposto una specifica riserva di legge costituzionale per far si che la
Costituzione stessa possa essere integrata ed aggiornata alle evoluzioni dei tempi.

Le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali sono accomunate da un medesimo


iter di approvazione.
Si tratta di un procedimento aggravato (rispetto all’iter ordinario richiede alcuni passaggi in più e
maggiormente complessi).
L’art 138 prevede alcune fasi necessarie ed altre solo eventuali.
L’iter è composto:

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1) fase necessaria si avvia tramite l’iniziativa; ossia la presentazione di una proposta di legge
avente oggetto l’approvazione di una legge di revisione costituzionale o di un’altra legge
costituzionale.
2) fase istruttoria riguardante l’analisi e l’esame del progetto di legge.
3) Viene richiesto che l’approvazione di tali fonti sia conseguenza di una doppia delibera da parte
di ciascuna delle Camere.
4) Trascorsi almeno 3 mesi dovrà ripetersi la nuovamente la delibera dei due rami del Parlamento.
*La prima delibera basta la normale maggioranza semplice (la metà più uno dei presenti).
*La seconda delibera dovrà raggiungere almeno la maggioranza assoluta (la metà più uno dei
componenti di ciascun ramo).
*L’art 138 prevede che si possa applicare la maggioranza qualificata (due terzi dei componenti).
5) Il raggiungimento di una o dell’altra maggioranza modifica il proseguimento del procedimento:
- Nel caso della seconda votazione si deliberi a maggioranza assoluta, l’art 138 specifica che la
legge verrà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale per tre mesi con ‘valore meramente notiziale’
affinché i soggetti indicati dalla previsione costituzionale possano decidere se: richiedere un
referendum costituzionale o se non ritenuto opportuno si procederà alla promulgazione e ad una
seconda pubblicazione.
- Nel caso della seconda votazione si deliberi a maggioranza qualificata dei due terzi dei
componenti delle Camere, il Costituente ha ritenuto fuori luogo l’eventualità di una consultazione
popolare, presumendo una conformità di vedute tra il popolo ed i suoi rappresenti che, con una
maggioranza tanto ampia, si sono pronunciati favorevolmente all’approvazione di un progetto di
riforma costituzionale. Si procederà direttamente alla promulgazione presidenziale, e
successivamente, alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, affinché la legge entri pienamente in
vigore.

3.1.4 Il referendum costituzionale

La disciplina del referendum costituzionale è contenuta nella legge n°352/1970. Affinché il testo
della legge (di revisione o costituzionale) sia approvato è necessario unicamente il raggiungimento
del quorum funzionale (numero dei voti favorevoli sia superiore a quello dei voti contrari).
Tale referendum, è da considerarsi una fase eventuale del procedimento di revisione costituzionale.
Questa è legata a due fattori:
1) al tipo di maggioranza con cui la Camera ha deliberato la seconda volta (maggioranza assoluta)

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2) alla scelta che i soggetti legittimati riterranno opportuna operare in ordine alla richiesta o meno
della consultazione referendaria.

Relativamente, all’oggetto del referendum costituzionale l’art 138 Cost parla di “leggi”. In questo
caso, tuttavia, parlare di leggi vere e proprie non sembra del tutto appropriato, visto che si tratta di
atti normativi che non sono ancora in grado di produrre i loro effetti in attesa del responso popolare.
Sarebbe più opportuno parlare di ‘leggi sospensivamente condizionate’.

In merito alla natura giuridica di tale referendum, è da scartare ogni tipo di assimilazione rispetto
alla finalità del referendum abrogativo. Il referendum costituzionale interviene su fonti non ancora
efficaci, poiché in attesa di entrare in vigore. L’abrogazione, invece, interviene sull’efficacia di un
atto normativo già vigente.
Nel referendum costituzionale si è voluto individuare un ulteriore strumento per far si che le
minoranze politiche, possano ulteriormente opporsi all’approvazione della legge (costituzionale o di
revisione) rimettendo la scelta definitiva al popolo.

3.1.5 I limiti alla revisione costituzionale

La Costituzione indica anche i limiti da rispettare ove si voglia procedere ad una modifica del Testo
costituzionale.
A ciò viene dedicato l’art 139 Cost, in cui viene disposto che ‘la forma Repubblicana non può
essere oggetto di revisione costituzionale’.

Appaiono desumibili:
- limiti espliciti: in merito alla non revisionabilità della ‘forma repubblicana’.
- limiti impliciti: allude alla ‘forma repubblicana’ come anche a una serie di elementi ugualmente
importanti nel delineare l’assetto irrinunciabile del nostro ordinamento. In questo senso sono da
considerarsi immodificabili: i ‘principi fondamentali’ della nostra Costituzione e tutta la Parte I
della Costituzione.

Restano esclusi da tale limite, gli interventi migliorativi, volti ad estendere in senso ampliativo il
regime giuridico contenuto in quelle previsioni.
Ad esempio, la modifica all’art 27 comma 4 che ha esteso il termine assoluto del divieto alla pena
di morte dando quindi una maggiore copertura costituzionale al diritto alla vita.

3.2 Le fonti di primo grado


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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

3.2.1 Le leggi

3.2.1.1 La potestà legislativa

Nel nostro ordinamento la legge è la fonte di diritto per eccellenza.


La legge rappresenta lo strumento ordinario di espressione della sovranità. Le prescrizioni
contenute nei testi legislativi hanno valore solo per il futuro, nel rispetto del divieto di retroattività
della legge (art 11 delle Preleggi).
La Corte costituzionale ha chiarito che il legislatore può in alcuni casi approvare disposizioni con
efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione.

La legge è una fonte-atto posta in essere dai poteri costituiti eletti dal popolo. In particolare, tra i
poteri dello Stato, il potere legislativo è quello a cui è attribuita la potestà legislativa, vale a dire la
possibilità di creare le leggi.
La Costituzione italiana attribuisce la potestà legislativa allo Stato, che la esercita tramite il
Parlamento, ed a entri di autonomia quale le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.
L’attuale assetto della potestà legislativa ha subito delle radicali modifiche a seguito della riforma
del Titolo V della Costituzione. Il quadro legislativo costituzionale della potestà legislativa è
adesso ricavabile non solo dall’art 70 ma anche dal riformato art 117.
Il nuovo articolo 117 Cost dopo aver individuato i limiti della potestà legislativa tanto dello Stato
quanto delle Regioni ha poi indicato le materie assegnate alla potestà legislativa concorrente,
prima di chiudere con la previsione della potestà legislativa residuale delle Regioni (a statuto
ordinario).

Le Regioni a statuto speciale continuano a riferirsi ai loro testi statutari il fondamento della propria
potestà legislativa sebbene sia stata introdotta una clausola di maggior favore anche per le Regioni
a statuto speciale.

3.2.1,2 Le leggi formali ordinarie

Le leggi formali possiedono la forma e l’efficacia tipiche dello strumento ordinario di produzione
normativa dello Stato.
Esse fanno parte delle fonti di primo grado e qualificano l’intero sistema delle fonti primarie.
Le altre fonti di pari livello vengono anche definite come atti con forza e valore di legge.
Con tale accezione, si vuole indicare che godono:
- forza attiva: di innovare l’ordinamento giuridico e abrogare le leggi subordinate ad esse.

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

- forza passiva: di resistere alla forza abrogratrice delle altre norme giuridiche subordinate.

Le leggi + gli atti con forza e valore di legge costituiscono il complesso delle fonti di primo grado.
Si parla di un sistema chiuso perché non esistono altre fonti a parte quelle costituzionali, che ne
disciplinano la forma e l’efficacia.
Il primato della legge è andato via via sempre più riducendosi perché gli atti normativi del Governo
con forza e valore di legge (decreto-legge) vengono spesso preferiti alla legge formale e inoltre si
assiste sempre di più all’erosione del concetto di sovranità nazionale.

3.2.1.3 Le leggi atipiche

Le leggi atipiche fuoriescono dal ‘tipo’ normativo di legge ordinaria presentando alcune peculiarità
per ciò che riguarda la loro forza o il contenuto. Non sono classificabili all’interno di una categoria
uniforme e secondo parametri univoci, poiché presentano delle caratteristiche eterogenee le une
dalle altre.
Lì dove l’atipicità riguarderà la forza di tali leggi sarà possibile parlare di leggi rinforzate.
Quando, invece, l’atipicità andrà a caratterizzarne il contenuto si tratterà di leggi meramente
formali.

3.2.1.3.1 Le leggi rinforzate

Le leggi rinforzate mostrano elementi atipici riferibili alle diversità del loro procedimento di
approvazione rispetto a quello normalmente previsto per la formazione della legge ordinaria:
- alcune nella fase dell’iniziazione legislativa
- alcune nella fase costitutiva

Sono, in ogni caso, caratterizzate da una particolare forza che le rende non sottoponibili al
referendum abrogativo e dell’esclude che possono essere modificate o abrogate da una comune
legge ordinaria.

Esempio di leggi rinforzate con fase complessa di formazione del disegno di legge: leggi di
esecuzione dei Patti Lateranensi e le leggi che regolano i rapporti fra lo Stato italiano e le regioni
diverse dalla cattolica.
Esempio di leggi rinforzate con aggravato procedimento parlamentare di approvazione: leggi
attuative del regionalismo differenziato o leggi di amnistia e indulto.

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3.2.1.3.2 Le leggi meramente formali

Anche le leggi meramente formali presentano una scissione tra forma e forza. Esse, infatti, pur
possedendone la forma, sono prive del normale contenuto della legge (non sono in grado di
introdurre norme di portata generale e astratta capaci di innovare l’ordinamento).
L’iniziativa di tali leggi è rimessa esclusivamente al Governo, il Parlamento non può disporre del
loro contenuto.
Esempio: leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali e la legge di approvazione
del rendiconto consultivo.

3.2.1.4 La legge di bilancio e gli strumenti normativi relativi alle politiche economiche e finanziarie
dello Stato

La recente legge cost. n 1/2012 ha profondamento innovato la tematica del ‘bilancio dello Stato’
riformulando sostanzialmente la disposizione dell’art 81 Cost. nell’ottica di quello che molti
commentatori hanno definito il principio del pareggio del bilancio.
La rinnovata previsione costituzionale pare più elastica di quanto a prima vista si possa pensare. Il
legislatore di revisione, infatti, facendo riferimento al rapporto tra le entrate e le spese dello Stato,
ha preferito parlare di ‘equilibrio’ piuttosto che di ‘pareggio’.
La norma costituzionale, infatti, prescrivendo la necessità di tener conto ‘delle fasi avverse e delle
fasi favorevoli del ciclo economico’ ha imposto al legislatore l’obbligo di praticare politiche
anticicliche tali per cui l’equilibrio di cui si diceva sarà garantito dall’applicazione di politiche
economiche di segno opposto rispetto all’andamento della congiuntura economica.

La differenza tra pareggio e equilibro è ulteriormente confermata dalla previsione contenuta nel
secondo comma dell’art 81 Cost, dove viene ammesso il ricorso all’indebitamento.
L’indebitamento pubblico che la previsione costituzionale ritiene ammissibile è circoscritto a due
ipotesi:
1) in ragione degli ‘effetti del ciclo economico’.
2) in presenza di ‘eventi eccezionali’ tramite previo atto di autorizzazione del Parlamento, adottato
a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. (l’atto di autorizzazione è indefinito
non essendo specificato se si tratti di una legge o un semplice atto di indirizzo). Gli eventi
eccezionali che giustificano tale indebitamento sono: gravi recessioni economiche, crisi finanziarie
e gravi calamità.

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Il terzo comma dell’art 81 prescrive che la valutazione della copertura finanziaria di ogni previsione
normativa sia attendibile.
In particolare, usa i termini ‘spese’ e ‘nuovi e maggiori oneri’, si può quindi ricavare che si voglia
andare a coprire non solo le uscite ma anche le eventuali riduzioni delle entrate al fine di ottenere un
‘equilibrio finanziario’.
In linea con gli stessi obiettivi, sono intervenuti in materia di Pubblica Amministrazione e di Enti
locali definendo il compito di armonizzazione dei bilanci pubblici esclusivamente allo Stato.

La disposizione costituzionale menziona due atti normativi:


- legge di bilancio: strumento normativo con il quale il Parlamento autorizza il Governo ad
effettuare le spese ed acquisire le entrate necessarie al funzionamento degli apparati statali.
- legge di approvazione del rendiconto consuntivo: il Parlamento esercita il controllo sulla
gestione contabile effettuata dal Governo nell’anno precedente.

In entrambi i casi, al Governo è attribuita la riserva di iniziativa legislativa

In seguito, è stata introdotta recentemente, una nuova legge di bilancio: oltre a soffermarsi sul
bilancio di previsione annuale dello Stato, dovrà individuare gli interventi che il Governo intende
mettere in atto nei successivi tre anni per raggiungere gli obiettivi di finanza pubblica.
Si articola in due sezioni:
1) presenta una parte normativa con cui è possibile introdurre modifiche alle norme che disciplinano
le entrate e le uscite pubbliche.
2) ha prevalentemente funzione contabile. Essa indica le previsioni di entrata e di spesa formate
sulla base della legislazione vigente. Tali previsioni vengono inoltre integrate con gli effetti delle
disposizioni della prima sezione.

La “nuova legge di bilancio” rappresenta lo strumento principale di attuazione degli obiettivi


programmatici definiti con il Documento di Economia e di Finanza.
Nel nostro ordinamento il ciclo della programmazione finanziaria inizia con la presentazione, entro
il 10 aprile di ogni anno del Documento di Economia e Finanza. Questo viene inviato dal
Governo alle Camere e alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, al
fine di assicurare il coinvolgimento delle Assemblee parlamentari quanto dei livelli di governo
territoriali.
Dopo il suo esame, viene inviato alle competenti istituzione del UE che valuteranno le misure
finanziarie e gli obiettivi programmatici che ciascun Paese membro intende adottare per il loro
conseguimento, potendo anche invitare gli Stati a rivedere il programma presentato.

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Successivamente il Governo invia alle Camere la nota di aggiornamento del DEF dove sono
segnalati gli eventuali osservazioni e cambiamenti.

La legge di bilancio deve essere approvata entro la fine dell’anno. Ove ciò non accada si aprirà
l’esercizio provvisorio che, per durata non superiore ai quattro mesi, permette al Governo di
riscuotere le entrate e di effettuare le spese sulla base di quanto è disposto dal disegno di leggi di
bilancio in attesa di approvazione.

3.2.2 Gli atti normativi del Governo con forza e valore legge

3.2.2.1 Premessa: gli atti normativi equiparati alla legge

A comporre il sistema delle fonti di primo grado, oltre alla legge, concorrono anche altri atti con
forza e valore di legge quali il decreto legislativo e il decreto-legge.
Si tratta di fonti-atto che pur, differenziandosi dalla legge sotto il profilo della forma, sono in grado
di incidere sull’ordinamento giuridico con la stessa forza della legge.
La Costituzione ha collocato le previsioni relative a tali fonti, immediatamente dopo le disposizioni
dedicate alla legge in modo da racchiudere in un’unica sezione la disciplina dell’intero sistema delle
fonti primarie.

Gli atti con forza e valore di legge costituiscono dei provvedimenti tramite i quali il Governo può
adottare fonti normative di rango primario.
Elemento comune ad entrambi gli atti è la forma del decreto, strumento tipico tramite il quale il
potere esecutivo esercita le sue funzioni. Le diverse procedure da seguire per la loro adozione
mettono in evidenza le differenti ragioni giustificatrici:
- il decreto legislativo è giustificato dalla capacità del Governo di affrontare tematiche
particolarmente complesse e tecniche.
- il decreto-legge è stato giustificato inizialmente per porre rimedio a casi di emergenze, ad oggi si
pone come rimedio per l’incapacità degli organi di rappresentanza politica di essere tempestivi nel
porre rimedio alle esigenze della società.

3.2.2.2 Il decreto legislativo


3.2.2.2.1. Definizione

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Il decreto legislativo è un atto con forza e valore di legge che può essere adottato dal Governo al
fine di dare svolgimento alla delega conferitagli con legge dal Parlamento.
È giustificato dalla necessità di intervenire in settori particolarmente complessi, la cui
regolamentazione può essere meglio predisposta sulla base delle conoscenze tecniche che il
Governo possiede in quanto organo di vertice dell’amministrazione statale.

3.2.2.2.2. La legge di delega

La disciplina costituzionale della delega legislativa è offerta dalla lettura congiunta degli artt 76 e
77.
L’atto con il quale il Parlamento delega l’esercizio della funzione legislativa deve assumere la
forma della legge.
La delega legislativa pare trovare la sua ragione nel fatto che il destinatario della delega legislativa
può essere solo il Governo, nella sua collegialità, e non i singoli ministri.
Ciò in virtù del legame fiduciario che, nella nostra forma di governo parlamentare, lega il Governo
allo stesso Parlamento.
Ad essere delegata può essere soltanto l’esercizio della funzione legislativa. Il Parlamento, in ogni
caso, mantiene la titolarità, di conseguenza lo stesso Parlamento potrà anche decidere di revocare
la delega in modo espresso o tacito:
- revoca espressa: nel caso in cui, con una legge successiva a quella della delega, le Camere
dispongano esplicitamente di ritirare la deroga prima concessa al Governo.
- revoca tacita: se nel periodo in cui viene concessa la delega, il Parlamento approvi una legge nella
medesima materia oggetto della precedente delega.

L’art 76 Cost. individua il ‘contenuto necessario della legge di delega’ chiarendo che l’esercizio
della funzione legislativa può essere delegato ‘soltanto per tempo limitato’ con riferimento ad
‘oggetti definiti’ e nel rispetto dei ‘principi e criteri direttivi’ stabiliti dal Parlamento.

L’oggetto della delega può essere ampio ma individuato senza alcun margine di dubbio.
Non possono essere conferite deleghe, in quelle materie in cui la Costituzione delinea un rapporto
dialettico tra Parlamento e Governo, prescrivendo una necessaria alterità tra le funzioni dell’uno e
quelle dell’altro.

Il termine entro il quale il Governo può esercitare la delega deve essere assolutamente
determinato e limitato.
*Nel caso si ecceda di due anni vi è l’obbligo per il Governo di richiedere il parere delle
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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

Commissioni parlamentari competenti per materia sugli schemi dei decreti legislativi.
*Almeno 20 gg prima della scadenza del termine indicato nella delega, il testo del decreto
legislativo deve essere trasmesso al Presidente della Repubblica per l’emanazione.

L’art 76 Cost prescrive che la legge di delega dovrà precisare i principi e i criteri direttivi che
dovranno orientare l’attività normativa del Governo. Attribuisce al Parlamento il compito di
determinare, tanto i principi quanto i criteri direttivi. In ogni caso, la prassi relativa all’adozione
della legge di delega ha portato ad una crescente assimilazione tra principi e criteri direttivi, con
conseguente difficoltà di inquadrare autonomamente gli uni e gli altri.

La mancata osservazione di tali indicazioni consegue in un vizio di legittimità costituzionale per


eccesso di delega. In un’ipotesi del genere, la Corte costituzionale, per verificare se l’oggetto del
giudizio sia difforme al parametro costituzionale dovrà utilizzare la legge di delega come
parametro interposto, cioè quale strumento di raffronto fra l’art.76 e la concreta disciplina
normativa contenente nel decreto legislativo.

Le legge di delega, infine, può essere considerata:


- fonte sulla produzione: presupposto necessario al decreto delegato.
- fonte di produzione: si occupa di determinare l’oggetto e le linee guida della nuova disciplina poi
sviluppata dall’attività del Governo.

3.2.2.2.3 Il decreto legislativo delegato

Concluso l’iter parlamentare di approvazione della delega legislativa possono considerarsi


perfezionati i termini ed i modi nel rispetto dei quali all’Esecutivo è data la possibilità di elaborare
il decreto legislativo.
Il processo di formazione:
1) prende avvio dalla proposta: avanzata dal Ministro competente della materia oggetto della
delega.
2) dopo un esame del Consiglio dei ministri, lo schema di decreto legislativo verrà sottoposto agli
adempimenti procedurali prescritti o dall’art 14 della legge n°400/1988 o dalla stessa legge di
delega.
3) interverrà quindi la delibera del Consiglio dei ministri
4) emanazione del Presidente della Repubblica (almeno 20 gg prima dalla scadenza della delega in
modo tale che il Capo dello Stato possa fare i suoi controlli)
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5) Seguirà la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale come ‘decreto legislativo’.


*Nei casi in cui la materia oggetto della delega pare troppo complessa, è possibile che il Governo, a
seguito dell’emanazione di un primo decreto possa adottarne dei successivi correttivi, al fine di
perfezionare il suo intervento (nei termini indicati dalla delega).

L’adozione del decreto legislativo non esaurisce il valore della legge di delega che anzi assume una
duplice funzione: ausilio interpretativo e parametro di legittimità.

3.2.2.2.3.1 I decreti legislativi di attuazione degli statuti speciali

Una particolare tipologia di decreti legislativi è quella a cui si ricorre per dare attuazione agli statuti
speciali.
In questo caso è previsto l’intervento di un apposito organo di rilevanza costituzionale, denominato
Commissione paritetica Stato-Regione.

La nomina dei componenti della Commissione paritetica spetta al Presidente del Consiglio dei
ministri che, di norma, delega tale compito al Ministro per gli affari regionali.
La Commissione paritetica assume una duplice valenza:
- dichiarativa-ricognitiva rispetto alla componente regionale.
- valore sostanziale di nomina per i membri designati dallo Stato.

Per scelta del Presidente viene rispettato il principio di alternanza Stato-Regione. La Commissione
paritetica è rinnovata in seguito all’insediamento di ogni nuovo Governo statale o regionale e i
nuovi componenti sceglieranno tra loro anche il nuovo presidente.

Il provvedimento adottato è rappresentato dal decreto legislativo di attuazione degli statuti speciali.
Tale atto normativo, presenta alcune particolarità che lo differenziano dal modello tipico di decreto
legislativo:
- manca previa delega legislativa
- valore sopraordinario rispetto alle fonti primarie.

Come si sviluppa:
- prende avvio dalla Commissione paritetica Stato-Regione.
- deliberazione da parte del Consiglio dei ministri, alla cui riunione è invitato a partecipare il
Presidente della Regione interessata.
- Il Consiglio dei ministri potrà o accettare o respingere la proposta formulata (no modifiche).

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

- Emanazione del decreto legislativo da parte del Presidente della Repubblica, a cui seguirà la
pubblicazione e quindi l’entrata in vigore del provvedimento.

3.2.2.3 Il decreto-legge

3.2.2.3.1 Definizione

Il decreto-legge è un atto con forza e valore legge che il Governo può adottare, senza preventiva
delega delle Camere, per far fronte repentinamente ad avvenimenti imprevedibili ed eccezionali.
Si tratta di un provvedimento normativo con efficacia immediata ma dalla durata provvisoria di 60
giorni. Entro tale termine, infatti, il decreto governativo dovrà essere convertito in legge, stabilendo
i suoi effetti nell’ordinamento.
Diversamente, in caso di mancata conversione, perderà efficacia retroattivamente (sin dal momento
della sua originaria adozione).
Originariamente, il Costituente aveva immaginato il decreto-legge come un atto straordinario da
utilizzarsi nel caso in cui fosse necessario fronteggiare emergenze inattese. La prassi più recente,
tuttavia, ha visto un crescente ricorso al suo utilizzo per superare le lungaggini dell’iter legislativo,
al fine di dare risposte immediate alle esigenze sociali.

3.2.2.3.2 L’atto normativo del Governo con forza di legge

La disciplina costituzionale del decreto-legge è contenuta nell’art 77 Cost.


Tale previsione precisa che in casi straordinari, di necessità e di urgenza lo stesso Governo può
emanare, sotto la sua responsabilità, dei provvedimenti provvisori con forza legge.
Nello stesso giorno della loro emanazione, i detti decreti governativi devono essere presentati al
Parlamento al fine di avviare il procedimento di conversione in legge.
*Nell’eventualità che le Camere siano sciolte, queste sono appositamente convocate e si riuniscono
entro cinque giorni.
I decreti-legge perdono efficacia sin da subito nel caso in cui non siano convertiti in legge entro 60
giorni dalla loro pubblicazione. Nell’ipotesi di mancata conversione, il Parlamento può approvare
una legge finalizzata a regolare i rapporti giuridici che sono, sorti o modificati, a seguito
dell’adozione dei decreti-legge e che siano rimasti privi di copertura normativa.
Tale atto normativo con valore legge rappresenta una rottura provvisoria dell’equilibrio
costituzionale tra potere legislativo e potere esecutivo, motivo per cui la stessa Costituzione ritiene

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ammissibile l’adozione, se giustificata dalla sussistenza di specifici presupposti legittimati e che la


rottura sia sanata entro e non oltre 60 giorni.

In merito ai presupposti che giustificano l’adozione del decreto-legge, la Costituzione prevede


che tale provvedimento possa essere emanato in ‘casi straordinari’, di ‘necessità’ e di ‘urgenza’.
I casi straordinari possono concretizzarsi con eventi non previsti e non prevedibili, fuori
dall’ordinario.
La necessità riguarda le ipotesi nelle quali appaia indispensabile ed essenziale l’adozione di un
provvedimento normativo.
L’urgenza riguarda la necessità di predisporre nell’immediato una disciplina normativa (non si
possono aspettare i tempi lunghi dell’iter di approvazione di una legge).

Tutti e tre gli elementi devono sussistere congiuntamente, a ciò si deve aggiungere che la
valutazione circa la ricorrenza di tali presupposti deve essere relativa alla situazione attuale, non
presumibile nel futuro.
*In caso, che durante la valutazione politica riservata al Parlamento, si evidenziasse un ‘evidente
mancanza’ dei presupposti, si ricorrerà al controllo di legittimità da parte della giustizia
costituzionale.

Il procedimento di formazione del decreto legge:


1) prende avvio con la proposta di uno o più ministri
2) delibera del Consiglio dei ministri
3) Il testo approvato viene trasmesso al Presidente della Repubblica che provvederà all’emanazione
4) Seguirà la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale sotto il nome di ‘decreto legge’ (verrà
specificato il momento di entrata in vigore)

In merito al contenuto del decreto legge, questo deve indicare:


- nel preambolo le circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l’adozione
- devono contenere la clausola di presentazione al Parlamento.
- contenere le misure di immediata applicazione
- contenuto omogeneo e corrispondente al titolo

I limiti da rispettare nell’adozione dei decreti legge disposti al Governo che non può:
a) conferire deleghe amministrative
b) provvedere nelle materie coperte da riserva d’assemblea
c) rinnovare le disposizioni di decreto legge dei quali anche solo una Camera abbia negato la
conversione

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d) regolare i rapporti giuridici sorti sulla base di decreti non convertiti


e) ripristinare l’efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale per vizi
attenenti al procedimento

3.2.2.3.3 La conversione in legge del decreto-legge

Immediatamente dopo la sua pubblicazione, il decreto-legge deve essere presentato alle Camere
unitamente con un disegno di legge di conversione, affinché il Parlamento entro 60 giorni possa
procedere alla conversione in legge.
La legge di conversione determina il venir meno della provvisorietà del decreto legge,
stabilizzando e rendendo definitiva la disciplina normativa da questo introdotta.
Il procedimento di approvazione:
1) prende avvio con la presentazione in Parlamento di un disegno di legge finalizzato alla
conversione del decreto-legge.
*Anche se sciolte le Camere vengono richiamate. La conversione dei decreti-legge rientra nelle
funzioni che possono svolgere in regime di progatio.
2) Unitamente al disegno di legge, il Governo deve presentare una relazione con la quale, dato
conto dei presupposti necessari e di urgenza, vengono descritti gli effetti che ci si aspetta con la sua
attuazione.
3) Il procedimento deve concludersi entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto che gode del
‘diritto di precedenza’ ossia scavalca le altre proposte di legge già inserite nei calendari dei lavori
precedentemente.

I regolamenti parlamentari hanno introdotto delle peculiarità procedimentali proprie dell’iter di


conversione dei decreti-legge:
- Il Regolamento della Camera prevede che il disegno di legge di conversione debba essere affidato
innanzitutto alla Commissione referente competente per materia. Tale commissione può richiedere
dei chiarimenti al Governo, successivamente il disegno di legge è sottoposto anche al Comitato per
la legislazione.
- Il Regolamento del Senato prevede che, in via preliminare, la Commissione affari costituzionali
debba pronunciarsi con un parere relativo alla effettiva fondatezza dei requisiti della necessità e
dell’urgenza. Nel caso, la Commissione si esprima negativamente, la decisione sarà rimessa all’aula
che prenderà la decisione finale.

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

Durante l’iter di approvazione è possibile che il Parlamento approvi degli emendamenti rispetto
all’originario testo decreto legge governativo ed hanno efficacia dal giorno successivo a quello di
pubblicazione della legge di conversione.
Possiamo distinguere:
- emendamenti soppressivi: eliminano parte della disciplina introdotta con il decreto governativo.
- emendamenti sostitutivi: sostituiscono una parte della disciplina originaria con una nuova
introdotta dal Parlamento.
- emendamenti aggiuntivi: finalizzati ad ampliare la disciplina introdotta con la legge di conversione
anche in settori non contemplati dall’originario testo (ovviamente operano per il futuro secondo il
principio della irretroattività).

La Corte costituzionale ha escluso la possibilità di inserire nella legge di conversione, emendamenti


del tutto estranei all’oggetto e alle finalità del testo originario.
Al fine di evitare che i troppi emendamenti allungassero eccessivamente l’iter parlamentare,
rischiando di sforare i 60 gg, sempre più spesso si osserva la prassi in base al quale il Governo pone
la questione di fiducia sul disegno di legge di conversione. L’Esecutivo ‘blinda’ il contenuto della
legge al testo originariamente deliberato dal Consiglio dei ministri, aggiornato, eventualmente solo
dagli emendamenti che lo stesso Governo ha ritenuto opportuno recepire.

Il decreto-legge e la legge di conversione sono da inquadrarsi come un unicum nel quale l’oggetto
del decreto-legge tende a coincidere con quello della legge di conversione. Si tratta di una
fattispecie normativa a formazione progressiva con la conseguenza che il difetto dei presupposti
del decreto-legge si traduce in un vizio di procedura di conversione che, quindi, può essere oggetto
di una pronuncia di incostituzionalità anche nel caso in cui il vizio sia stato in riferimento
all’originario decreto legge.

3.2.2.3.4 La mancata conversione del decreto legge


I decreti legge che non vengono convertiti entro 60 giorni perdono efficacia sin da subito.
Si causa, quindi, la decadenza che comporta la perdita di efficacia retroattiva dello stesso,
travolgendo tutti gli effetti giuridici seguiti alla sua approvazione. È come se il decreto legge non
fosse mai entrato in vigore, viene meno la base giuridica che giustifica gli effetti prodotti dalla sua
entrata in vigore.

La Costituzione dice che:


1) nell’art 77 comma 2 si specifica che il Governo adotta ‘sotto sua responsabilità’ tali

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

provvedimenti provvisori.
*La responsabilità del Governo per l’adozione di decreti legge è qualcosa di più rispetto alla
‘responsabilità politica’ ma un ulteriore ‘responsabilità giuridica’ che si assume l’Esecutivo e che
viene attribuita ai Ministri, che avendo preso parte al Consiglio dei ministri in cui è stato deliberata
l’adozione del provvedimento di urgenza, non abbiamo mostrato dissenso. Possono quindi
rispondere alla responsabilità penale (raramente), responsabilità civile (per danni prodotti verso i
terzi) e responsabilità amministrativo-contabile (in caso in cui lo Stato debba intervenire con dei
risarcimenti).
2) nell’art 77 comma 3 si è previsto che il Governo possa approvare una ‘legge sanatoria’.
*Si tratta di uno strumento normativo tramite il quale è possibile introdurre una regolamentazione
per i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti. Al riguardo, va precisato che si
tratta di una mera possibilità (nessun obbligo) strettamente riservata al Parlamento (riserva di legge
formale).

La mancata conversione del provvedimento governativo, tuttavia, non sempre corrisponde ad una
valutazione negativa del Parlamento. A volte, tale mancata conversione può essere causata anche
dalla semplice difficoltà, nei brevi 60 gg, di concludere l’iter parlamentare di approvazione della
legge. Tale ipotesi, invero, si acutizza nel caso di eccessivo ricorso all’utilizzo della decretazione di
urgenza.
Il verificarsi di tali circostanze ha fatto in modo che i Governi facessero ricorso alla reiterazione
dei decreti legge. Tale prassi abusata soprattutto negli anni ’90 è stata dichiarata illegittima dalla
Corte costituzionale.

3.2.2.4 I decreti governativi in caso di guerra

Presentano una particolare veste giuridica gli atti normativi di competenza governativa previsti dalla
Costituzione per fronteggiare lo stato di guerra.
La nostra Costituzione nell’art 11 ha introdotto il principio cardine del nostro ordinamento che
vieta la guerra di aggressione ma è ammissibile l’uso per scopi di legittima difesa e su
autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Il diritto alla legittima difesa è un diritto imprescindibile degli Stati e connaturato alla loro stessa
esistenza. Lo Stato italiano può intraprendere una guerra di legittima difesa quando venga attaccato
oppure quando decida di intervenire in soccorso di un altro Stato aggredito.

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

In caso di guerra:
- proroga della durata delle Camere
- la legge può ampliare la giurisdizione di tribunali militari
- le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono i poteri necessari al governo

Nel caso di interventi umanitari delle Forze Armate italiane in territori di altri Stati, il nostro
ordinamento costituzionale manca di una disciplina in merito alla procedura da attivare, si è
istaurata una prassi istituzionale che vede l’accordo tra Governo e Parlamento.
La decisione del Governo di inviare all’estero le nostre Forze Armate deve essere accompagnato
dall’intervento delle Camere che a seguito di un dibattito deliberano una risoluzione di
approvazione dell’operato dell’Esecutivo.

3.2.3 Il referendum abrogativo

Il referendum è un istituto giuridico consistente in quel quesito tramite il quale si chiede al corpo
elettorale di confermare o di eliminare una scelta normativa compiuta dai suoi rappresentanti
politici.
Il referendum costituisce una manifestazione di democrazia diretta, riconducibile alla previsione
dell’art 1 Cost laddove dispone che ‘la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e
nei limiti della Costituzione’.
Il referendum abrogativo, oltre all’implicita copertura fornita dall’art 1 Cost, risulta disciplinato a
livello costituzionale dall’art 75 Cost e dall’art 2 della legge cost. n. 1/1953. La legge in questione
è rappresentata dalla legge n. 352/1970 recante “Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e
sulla iniziativa legislativa del popolo”.

3.2.3.2 Origini e natura giuridica

Le origini di tale istituto possono farsi risalire alle assemblee medioevali, nelle quali i delegati del
popolo svolgevano un mandato imperativo.
Oggigiorno, invece, nei sistemi di democrazia rappresentativa in cui vige il divieto di mandato
imperativo, la ratio di tale istituto è radicalmente cambiata.

Il referendum abrogativo è uno strumento tramite il quale il corpo elettorale può incidere
direttamente sull’ordinamento giuridico, modificando o abrogando le scelte legislative compiute
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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

dalle istituzioni rappresentative. Il referendum può essere definito come un atto di “legislazione
cattiva” tramite il quale può avvenire l’abrogazione totale o parziale di una legge o un atto avente
valore legge.

Deve essere annoverato tra le fonti di primo grado poiché anche la sola eliminazione di una legge o
di un atto normativo ad essa equiparato comporta un’innovazione nell’ordinamento.
La Corte costituzionale ha chiarito che il referendum è “un atto-fonte dell’ordinamento dello stesso
rango della legge ordinaria”.
Possiamo evidenziare il referendum come atto di legislazione “positiva” in merito alle capacità
dell’istituto referendario di ricavare nuove norme dalla medesima disposizione.

3.2.3.3. I limiti

L’art 75 Cost specifica anche i limiti di tale istituto prevedendo che “non è ammesso il referendum
per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare i trattati
internazionali”

La Corte costituzionale ha ampliato i criteri per valutare l’ammissibilità del quesito referendario
individuando una serie di ‘limiti ulteriori’ sulla base di alcune considerazioni:
- il referendum abrogativo è un atto con forza di legge ordinaria, motivo per cui tutti gli atti
normativi di rango superiore alla legge ordinaria non sono ammissibili ad essa (disposizioni di
rango costituzionale).

Diversamente, per le leggi costituzionalmente obbligatorie, il referendum è stato ritenuto


parzialmente ammissibile, vale a dire, solo se non sono abrogate nel totale.

La Corte ha richiamato, infine, a casi in cui l’ammissibilità non è dovuta all’oggetto ma al modo in
cui è posta la domanda. Si richiede, quindi, la coerenza nel quesito (semplicità, chiarezza,
inconfondibile) in ossequio al principio della libertà di voto sancito dall’art 48.

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

3.2.3.4 Il procedimento
Il procedimento di referendum:
1) prende avvio dalla richiesta di referendum: un’iniziativa popolare (raccolta firme 500.000
elettori) o un’iniziativa regionale (promossa da 5 Consigli regionali)
*Non può essere presentata né nell’anno anteriore alla scadenza della legislatura né nei sei mesi
successivi al rinnovo del Parlamento.
2) Presentare presso la cancelleria della Corte di Cassazione (dal 1°gennaio al 30 settembre di ogni
anno)
3) Inizia l’esame delle richieste affidato all’Ufficio Centrale per il Referendum.
4) Entro il 31 ottobre, il UCR pronuncia un’ordinanza con la quale, riuniti i quesiti che
eventualmente riguardano la stessa materia, può rilevare eventuali irregolarità.
*se sanabili può assegnare un termine ai delegati regionali e ai promotori di sistemare tutto (questi
possono contestare il UCR).
5) L’ordinanza definitiva del UCR deve essere poi trasmessa alla Corte costituzionale, che sarà
chiamata a svolgere un giudizio sull’ammissibilità del referendum.
6) Con la decisione di ammissibilità può considerarsi chiuso il procedimento davanti alla Corte.
7) Spetta al Presidente della Repubblica con un suo decreto, dietro deliberazione del Consiglio dei
ministri, indire il referendum (si celebra in una domenica compresa dal 15 aprile al 15 giugno).
*Se il Parlamento modifica la legge oggetto di referendum nei suoi ‘principi ispiratori’ questo non
avverrà.
8) Nella data fissata per la celebrazione del referendum verrà sottoposto agli elettori un quesito che
prevede come risposta si o no.
*Affinché il referendum sia valido è necessario che si raggiunga il quorum strutturale (la metà più
1 aventi diritto a voto) e successivamente (al termine della procedura referendaria) è richiesto il
quorum funzionale (ovvero che i si superano i no).
9) Se questa accadrà, il Presidente della Repubblica con proprio decreto proclamerà l’avvenuta
abrogazione.
10) Verrà immediatamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e l’abrogazione avrà effetto dal
giorno successivo a quello della pubblicazione.

In merito agli effetti dell’abrogazione referendaria la Corte costituzionale ha chiarito il divieto di


ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare.
Nel caso in cui, il risultato del referendum sia favorevole al mantenimento dell’atto legislativo non

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

potrà essere avanzata una nuova proposta referendaria sulla stessa legge prima che siano trascorsi
almeno 5 anni, a meno che la prima volta non sia stato raggiunto il quorum strutturale.

3.3 Le fonti di secondo grado

3.3.1 I regolamenti governativi

3.3.1.1. La potestà regolamentare

Le principali fonti secondarie sono i regolamenti governativi. Tali atti sono da considerarsi
formalmente amministrativi (in quanto adottati dall’organo posto al vertice delle amministrazioni
pubbliche) e sostanzialmente normativi (contengono norme in grado di innovare l’ordinamento
giuridico).
Sono fonti di rango secondario poiché nella gerarchia delle fonti si collocano al di sotto rispetto
alle norme di primo grado poiché pur nel rispetto del principio di legalità possono essere
liberamente istruite sulla base di previsioni delle norme primarie. Quindi, il sistema delle fonti
secondarie è detto aperto.

3.3.1.2. I regolamenti governativi: tipologie


L’attuale disciplina in materia di regolamenti governativi è contenuta nell’art 17 della legge n.
400/1988. Tale legge indicando sia il procedimento di formazione che le varie tipologie di
regolamenti, si pone come norma sulla produzione di tali fonti di secondo grado.
Il procedimento di formazione dei regolamenti:
1) prende avvio con la proposta di uno o più Ministri avanzata in sede di Consiglio dei ministri.
2) la proposta (formalizzata in uno schema di regolamento) dovrà essere sottoposta al Consiglio di
Stato che entro 45 giorni dalla richiesta, dovrà pronunciarsi con un parere (obbligatorio ma non
vincolante).
3) Il Governo potrà discostarsene e trascorsi i 45 giorni dalla richiesta di parere, il regolamento
verrà adottato sulla base di una delibera del Consiglio dei ministri.
4) Sarà emanato con la forma del decreto del Presidente della Repubblica.
5) Sottoposto al controllo di legittimità della Corte dei conti.
6) Verrà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Vi sono diverse tipologie di regolamenti:


a) Regolamenti di esecuzione: finalizzati alla ‘esecuzione delle leggi o dei decreti legislativi
nonché dei regolamenti comunitari’. Tali fonti possono essere adottati in presenza di una riserva di

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

legge assoluta.
b) Regolamenti di attuazione o interpretazione: per ‘l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei
decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla
competenza regionale’. Potranno essere adottati anche in presenza di riserva di legge relativa.
c) Regolamenti autonomi o indipendenti: utilizzabili per disciplinare ‘le materie in cui manchi la
disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie
comunque riservate alla legge’.
d) Regolamenti di organizzazione: finalizzati a disciplinare ‘l’organizzazione ed il funzionamento
delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge’.
e) Regolamenti autorizzati (o di delegificazione): questa tipologia di regolamenti viene utilizzata
per dar luogo al fenomeno della delegificazione ovvero la sostituzione di una normativa di rango
legislativo con una di rango regolamentare. La delegificazione produrrà una fittizia successione tra
una legge ed un regolamento, infatti, la legislazione vigente verrà abrogata da una legge di pari
grado, solo che gli effetti di tale abrogazione si produrranno dall’emanazione del regolamento. Si
precisa che tali regolamenti possono essere adottati in materie che non prevedono la riserva assoluta
di legge.
f) Regolamenti di riordino normativo: si tratta di una previsione finalizzata al riordino ed alla
razionalizzazione delle normative di livello secondario succedutosi nel tempo. Hanno il compito di
abrogare esplicitamente quelle precedenti disposizioni regolamentari che non sono più in vigore.

3.3.1.3 I testi unici compilativi


Il nuovo art 17-bis alla legge n. 400/1988 ha predisposto una specifica normativa riguardante i
testi unici compilativi.
Questi rappresentano delle raccolte di una pluralità di atti normativi preesistenti e riguardanti un
medesimo oggetto ed hanno lo scopo di coordinare le varie normative succedutesi nel tempo al fine
di facilitare e rendere più agevole la conoscenza e l’applicabilità della disciplina riguardante un
determinato settore.
Le fonti in questione presentano alcune somiglianza rispetto ai regolamenti di riordino normativo
ma i regolamenti di riordino normativo sono destinati ad occuparsi delle disposizioni regolamentari
di secondo grado, invece, i testi unici compilativi dovranno intervenire nell’ambito delle fonti
legislative o ad esse equiparate di primo grado.
Si configurano come atti normativi di secondo grado meramente formali poiché nella sostanza non

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

innovano in nulla l’ordinamento giuridico, proponendosi solo di razionalizzare e di coordinare le


disposizioni già vigenti in determinati settori.

3.3.2 I regolamenti regionali


3.3.2.1 Presupposti e riferimenti costituzionali

L’art 117 comma 6 ripartisce la potestà regolamentare tra Stato e Regioni.


- Il Governo può adottare regolamenti unicamente nelle materie assegnate alla legislazione
esclusiva dello Stato.
- Le Regioni, invece, possono intervenire con i propri regolamenti in tutte le altre materie. Le stesse
Regioni, in caso di espressa delega statale, possono adottare propri regolamenti anche nell’ambito
delle materie assegnate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. In tal modo, è stato introdotto il
principio del parallelismo tra le funzioni legislative e funzioni regolamentari.

Non è stato espresso quale organo regionale deve adesso esercitare il potere di adottare i
regolamenti. La questione è stata risolta dalla Corte costituzionale che ha precisato che il riformato
Testo costituzionale, non attribuendo la potestà regolamentare a nessun organo, ha voluto lasciare
discrezione di scelta agli Statuti regionali.

3.4 Le fonti di terzo grado

3.4.1 I regolamenti ministeriali e interministeriali

Le fonti di terzo grado sono rappresentate dai regolamenti ministeriali e interministeriali,


consistenti in atti normativi adottati direttamente dai Ministri.
I regolamenti ministeriali sono quegli atti normativi posti in essere dai singoli Ministri nelle
materie di competenza. Tali fonti possono essere emanate solo nel caso in cui una legge
espressamente ne autorizzi l’intervento.
I regolamenti interministeriali vengono utilizzati per disciplinare materie di competenze di più
Ministri. Tali atti, adottati con forma del decreto interministeriale, necessitano di una previa
autorizzazione legislativa.

Sono fonti di terzo grado perché “non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti
emanati dal Governo”. Quindi non possono contenere previsioni difformi dalle leggi.
Il procedimento di approvazione di regolamenti in questione necessita del parere, obbligatorio ma
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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

non vincolante, del Consiglio di Stato. Successivamente, gli atti verranno comunicati al Presidente
del Consiglio che può sospendere l’adozione di atti da parte dei ministri competenti in ordine a
questioni sociali e amministrative, sottoponendoli al Consiglio dei ministri con riunione immediata.
Ove il Presidente del consiglio non ritenga di avvalersi di tale potere, i regolamenti verranno
emanati con decreto ministeriale o interministeriale. Seguirà poi il visto e la registrazione della
Corte dei conti e, infine, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

3.5 Le fonti normative dell’emergenza: natura e limiti del D.P.C.M.

Gli accadimenti verificatosi all’inizio del 2020 legati alla pandemia da Covid-19 hanno offerto
rilievo anche agli strumenti normativi per fronteggiare le straordinarie ed emergenziali necessità
legate al tentativo di evitare un’incontrollata diffusione del virus.
Il nostro ordinamento costituzionale non prevede una disciplina generale volta a regolamentare le
forme ed i modi di intervento dei vari poteri pubblici in ipotesi di emergenza, eccezion fatta per l’art
78 ma che specifica l’ipotesi di un eventuale guerra.
Al fine di definire le azioni da intraprendere per circoscrivere il dilagare del virus, il Governo ha
fatto uso dell’emanazione di alcuni decreti legge, per l’attuazione dei quali sono stati
successivamente adottati una serie di d.p.c.m (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri).
Gli effetti si sono concretizzati con un lungo periodo di ‘confinamento domiciliare’ che ha
comportato una serie di restrizione delle libertà fondamentali.
I menzionati provvedimenti pongono all’attenzione una serie di perplessità, in particolar modo
derivanti dal fatto che, a fronte di previsione quanto mai ampie e non tassativamente contenute nei
decreti legge, nei fatti, concrete restrizioni sono prevalentemente state ricavate dal d.p.c.m. Tali
provvedimenti pur avendo una natura formalmente amministrativa, nella sostanza sono sembrati
spingersi un po' oltre i confini dell’atto amministrativo.

3.6 Gli atti di regolamentazione

Le Autorità Amministrative Indipendenti nell’esercizio delle competenze attribuitegli dalla legge,


realizzano delle linee guida ed altri atti di regolazione, talvolta ascrivibili alla categoria dei
regolamenti, altre volte degli atti amministrativi generali.
Gli atti di regolazione devono rispondere a precisi requisiti.
Secondo il Consiglio di Stato tali atti devono essere:
a) impugnati davanti al giudice amministrativo

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

b) adottati con le forme e i metodi della consultazione dei portatori di interessi.


c) adottati seguendo appositi percorsi utili a valutare l’impatto regolamentare
d) funzionali al loro inserimento organico all’interno di appositi Testi Unici omogenei per materia
e) pubblicati anche nella Gazzetta Ufficiale.

3.7 Le consuetudini

3.7.1 Origini ed elementi costitutivi

Le origini delle norme consuetudinarie sono risalenti agli ordinamenti primitivi, successivamente,
invece, i processi di produzione normativa sono stati sempre più formalizzati, individuando soggetti
istituzionali a cui è stato attribuito il compito di realizzare le fonti-atto.
Le consuetudini nascono da un comportamento ripetuto nel tempo, è condizionata da due elementi:
- elemento oggettivo o materiale: ripetizione nel tempo
- elemento soggettivo o psicologico: convinzione di doversi uniformarsi ad un determinato
comportamento.

3.7.2 Fondamento normativo e tipologie di consuetudini ‘proprie’ (o usi normativi)

Le consuetudini o usi sono riconosciute dal nostro ordinamento all’interno del sistema delle fonti.
In questo senso, si può parlare di consuetudine ‘proprie’ per far riferimento a quelle aventi valore
normativo.
Le tipologie di consuetudini riconosciute nel nostro ordinamento sono:
- la consuetudine secundum legem: quando le leggi o regolamenti operino un rinvio espresso alla
disciplina ricavabile dagli usi.
*L’unica che ha nella sostanza qualche rilievo e trova esplicito richiamo nel Codice civile.*
- la consuetudine praeter legem: costituita da quelle fonti consuetudinarie che possono operare
nelle materie non ancora regolate da leggi o regolamenti, sempre che ovviamente queste non siano
coperte da riserva di legge.
- la consuetudine contra legem: contrastante con disposizioni normative di rango superiore, non
può invece operare, in ragione della sua collocazione all’ultimo posto della gerarchia delle fonti.

3.7.2.1 Segue: le consuetudini costituzionali e le convenzioni costituzionali

Qualche dubbio sorge in ordine alla possibilità di riconoscere le consuetudini costituzionali. Il


riferimento è a quelle norme consuetudinarie tendenti a conferire un potere, o a disciplinare
l’esercizio, negli ambiti costituzionali non coperti da esplicita disciplina.
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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

In dottrina, hanno ritenuto di poterne giustificare l’esistenza sulla base delle lacune rinvenibili in
alcune parti del Testo fondamentale. In questo senso è stato ritenuto che, la lacunosità della Carta
del 1948 fosse una scelta non casuale.
Esempio: procedimento di formazione del governo che risulta scarna nella sua previsione (art 92)
consentendo per decenni al Capo dello Stato di effettuare le consultazioni prima di dare luogo alla
formazione del nuovo esecutivo.
Non sempre, tuttavia, gli studiosi si sono pronunciati a favore delle consuetudini costituzionali,
infatti, riprendendo l’esempio citato si ritiene già adesso che consultazioni abbiano un valore
meramente formale.

La differenza tra la regola (quale fonte del diritto) e regolarità (come ripetizione di un
comportamento) permette di evidenziare le differenze intercorrenti tra le consuetudini costituzionali
e le convenzioni costituzionali.
Queste ultime si sostanziano in un accordo, più o meno esplicito, che intercorre tra soggetti politici
o istituzionali (si nutre l’aspettativa che tale accordo venga rispettato).

3.7.2.2. Segue: le consuetudini internazionali

La nostra Costituzione si sofferma esplicitamente nel menzionare una particolare tipologia di norma
consuetudinaria. Il riferimento è alla previsione dell’art 10 comma 1 secondo la quale
‘l’ordinamento italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente
riconosciute’.
A tale riguardo, l’opinione prevalente in dottrina ritiene di poter includere nel ‘diritto internazionale
generalmente riconosciuto’ tanto i principi dell’ordinamento quanto le consuetudini internazionali.
La disposizione costituzionale in questione, in pratica, stabilisce che in presenza di consuetudini
internazionali si determinerà nel nostro ordinamento la nascita di una norma di contenuto
corrispondente.
La norma interna sarà da inquadrare nell’ambito delle fonti-fatto, trovando la propria giustificazione
nel solo fatto dell’esistenza di una norma di diritto internazionale generale.
Si parla di ‘rinvio mobile’ proprio perché in presenza di un’eventuale modifica della norma
consuetudinaria di provenienza internazionale il nostro ordinamento si adeguerà automaticamente,
non necessitando ogni volta di una creazione di una specifica disposizione interna di rinvio.

3.7.3 Le consuetudini ‘improprie’

Le consuetudini ‘improprie’ non assumono rilievo nel sistema delle fonti e vengono definite
consuetudini impropriamente.

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

Rientrano in tale categoria:


- le consuetudini interpretative rappresentate dalla costante interpretazione che gli operatori del
diritto danno ad una disposizione di legge. Fuoriescono dall’onore delle consuetudini:
1) non sono configurabili quali comportamenti vincolanti per i consociati.
2) nascono avendo come presupposto una fonte-atto e si soffermano sull’interpretazione di questa.
- le consuetudini facoltizzanti che consentono dei comportamenti non diversamente vietati da altre
fonti-atto scritte. Tipico esempio, al riguardo, è quello relativo alla nomina degli organi non
necessari del Governo come: i ministri senza portafoglio, i sottosegretari ecc..

Sezione 4

LE FONTI EXTRA STATALI

4.0 Premessa: le relazioni esterne all’ordinamento giuridico statale

L’ordinamento italiano predispone specifiche previsioni finalizzate a regolare i propri rapporti con
ordinamenti esterni e con le fonti da questi prodotte.

4.1 Le fonti internazionali

4.1.1 L’adattamento dell’ordinamento interno alle fonti internazionali

Le fonti internazionali rappresentano quelle norme grazie alle quali i membri delle comunità
internazionali regolamentano le loro reciproche relazioni.
Tali tipologie di fonti vincolano gli Stati tra di loro sul piano internazionale.
Le previsioni della Costituzione italiana dedicate all’influenza delle fonti internazionali sul nostro
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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

ordinamento prendono in considerazione sia:


- il diritto internazionale generalmente riconosciuto: si tratta dei principi e delle consuetudini
internazionali.
- il diritto internazionale pattizio: si tratta dei trattati internazionali (vale a dire gli accordi
conclusi tra due o più Stati per regolamentare tematiche di comune interesse).

4.1.1.1 Segue: le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (ovvero le


consuetudini internazionali)

Nel diritto internazionale, le consuetudini rappresentano le fonti più importanti poiché,


diversamente dagli accordi, vincolano tutti gli Stati a prescindere dalla singola adesione di ciascuno
di essi.
Le consuetudini internazionali si sostanziano in quei comportamenti relativi alle relazioni tra gli
Stati che si sono consolidati nel tempo tanto essere ritenuti obbligatori.
L’incidenza del diritto internazionale consuetudinario sul nostro ordinamento è presa in
considerazione dall’art 10 comma 1 che stabilisce che ‘l’ordinamento italiano si conforma alle
norme del diritto internazionale generalmente riconosciute’.
La Costituzione italiana ha previsto l’adattamento automatico ove la sola esistenza di una
consuetudine internazionale determina, nel nostro ordinamento, la nascita di una norma di
contenuto corrispondente alla fonte internazionale, senza la necessità dell’intervento di disposizioni
normative interne di recepimento.
Si può configurare come una fonte-fatto ed eventuali loro modifiche non verranno formalmente
sancite da un apposito intervento normativo ma saranno automaticamente conseguenza del
modificarsi dell’elemento materiale posto alla base delle stesse consuetudini.
In ragione di ciò, si usa il termine ‘rinvio mobile’ capace cioè di tenere conto e di adeguarsi alle
eventuali modifiche che andranno ad interessare le consuetudini internazionali.
L’art 10 comma 1 Cost rappresenta una norma sulla produzione che abilita l’ordinamento nazionale
a generare norme interne di contenuto corrispondente a quelle esistenti sul piano internazionale.
Le norme in questo modo immesse nel nostro ordinamento, trovando una diretta copertura
costituzionale, sono da considerarsi sovraordinate alla legge ordinaria e collocate ad un livello
immediatamente inferiore alla Costituzione, potendosi assimilare (gerarchicamente) alle leggi
costituzionali.

4.1.1.1.2 Segue: le norme di diritto internazionale pattizio (ovvero i trattati internazionali)


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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

Il diritto internazionale pattizio è costituito dai trattati internazionali vale a dire gli accordi
conclusi tra due o più Stati che si impegnano reciprocamente in determinati settori di comune
interesse.
I trattati internazionali sono conclusi a seguito di un procedimento articolato, disciplinato da:
- norme di diritto internazionale: disciplina prevalentemente le regole in base alle quali si svolgono i
negoziati e la successiva stipula dei trattati.
- norme di diritto interno: prende in considerazione il recepimento di tali trattati internazionali e di
conseguenza gli effetti da questi prodotti nell’ambito dell’ordinamento.

L’iter è composto così:


1) prende avvio (su piano internazionale) dalla negoziazione ove i rappresentanti dei Governi
interessati trattano i contenuti di un futuro accordo.
2) tali negoziati si concludono con la firma dei rappresentanti degli Stati.
3) inizia la procedura nazionale finalizzata a recepire il trattato.
*Il nostro ordinamento prevede la legge di autorizzazione alla ratifica attraverso cui il Parlamento
acconsente che il Presidente della Repubblica proceda alla ratifica del trattato, vale a dire a
esprimere solennemente la volontà del nostro Stato di assumere gli obblighi ed i diritti ad scaturiti.
4) a livello internazionale, seguirà lo scambio delle ratifiche.
5) a livello nazionale, seguirà l’esecuzione del trattato.

La previsione costituzionale disciplina che la ratifica del Capo dello Stato sarà preceduta
dall’autorizzazione delle Camere unicamente ‘quando occorra’.
I casi in cui tale previo passaggio parlamentare è necessario sono chiariti dall’art 80 Cost laddove
si dispone che ‘le Camere autorizzano con legge di ratifica dei trattati internazionali che sono di
natura politica o che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del
territorio o oneri alle finanze o modificazioni di leggi’.
La legge di autorizzazione alla ratifica ha un contenuto formale standard, che si concretizza nella
seguente formula: “Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare il trattato (..)”.
Tale legge è una legge meramente formale che esplica i suoi effetti unicamente nei rapporti tra
organi costituzionali, autorizzando il Capo dello Stato ad esercitare il potere di ratifica attribuitogli
dalla Costituzione.
Al di fuori dei casi richiamati dall’art 80 Cost, invece, si può prescindere dalla ratifica presidenziale
e spesso si procede mediante accordi in forma semplificata.

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

Concluso il procedimento di ratifica, tuttavia, il trattato non è ancora in grado di esplicare i suoi
effetti all’interno dell’ordinamento nazionale. Per far si che ciò accada, è necessario l’intervento
dell’ordine di esecuzione.
Normalmente, l’ordine di esecuzione è contenuto nella stessa legge di autorizzazione alla ratifica.
Cosicché, a seguito dell’intervento del Capo dello Stato, il trattato è astrattamente in grado di
produrre i suoi effetti.
Nello specifico, le previsioni dell’accordo internazionale saranno concretamente operative a seguito
dell’ordine di esecuzione solo nel caso in cui il trattato è autoapplicativo (non necessitano
dell’introduzione di ulteriori disposizioni interne per la loro attuazione).
Differente è il caso del trattato non autoapplicativo dove sarà necessario adottare appositi atti
normativi nazionali finalizzati a dare esecuzione agli impegni assunti sul piano internazionale.

Si consideri ancora che, per estendere le garanzie proprie della legge di autorizzazione alla ratifica
anche alle leggi che permettono la concreta operatività dei trattati, la Corte costituzionale ha
ritenuto che anche la legge contenente l’ordine di esecuzione debba:
- essere sottoposta alla riserva di assemblea
- sia esclusa dal novero delle fonti sottoponibili al referendum abrogativo.

L’adattamento al diritto internazionale pattizio si concretizza in un rinvio fisso: così un eventuale


modifica di tale accordo necessiterà di riavviare l’iter interno, procedendo nuovamente alla ratifica
ed all’ordine di esecuzione al fine di recepire il trattato nel nuovo testo risultante dalle modifiche
apportatevi.
L’ordine di esecuzione essendo contenuto in una legge si concretizzerà in una fonte-atto.
Il trattato, quindi, rappresenta un presupposto esterno in presenza della quale verranno a riprodursi
nel nostro ordinamento delle disposizioni idonee a recepire la fonte internazionale.
In ordine alla collocazione gerarchica delle norme di adattamento al diritto internazionale
pattizio, si registrano rilevanti novità a seguito della riforma costituzionale introdotta con la legge
cost n.3/2001.
In seguito alla novella costituzionale del 2001, la previsione dell’art 117 comma 1 Cost sottopone
l’esercizio della potestà legislativa al rispetto degli “obblighi internazionali”, cambiando
radicalmente il rilievo delle disposizioni finalizzate al recepimento dei trattati.
Le norme di recepimento dei trattati internazionali andranno a configurarsi come fonti sub-
costituzionali (posizione intermedia tra norme costituzionali e leggi ordinarie). In questo modo,

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

eventuali norme interne contrastanti con norme pattizie recepite saranno da considerarsi illegittime
per violazione della Costituzione, secondo il modello del parametro interposto.

4.2 Le norme dei Patti Lateranensi

4.2.1 L’adattamento alle norme concordatarie che regolano i rapporti tra lo Stato e la Chiesa
cattolica

Lo studio delle relazioni tra l’ordinamento giuridico nazionale e gli altri ordinamenti esterni, sotto il
particolare profilo delle conseguenze che ne discendono sul sistema delle fonti interne, non può non
prendere in considerazione anche le norme che regolano le relazioni che intercorrono tra lo Stato e
la Chiesa Cattolica.

L’art 7 comma 1 riconoscendo l’indipendenza e la sovranità tanto dello Stato quanto della Chiesa
cattolica, ciascuno nel proprio ‘ordine’ attribuisce a quest’ultima la dignità di ordinamento
giuridico.
Su livello extranazionale: questo rapporto viene disciplinato, laddove si svolgono le trattative e si
stipulano gli accorsi contenenti la disciplina dei reciproci rapporti.
Su livello nazionale: questo rapporto viene disciplinato mediante le norme esecutive di tali accordi.

Originariamente, le relazioni tra Stato italiano e la Chiesa Cattolica ricevettero una disciplina con la
stipula dei Patti lateranensi. Successivamente nel 1984, tali Patti vennero modificati dal
Concordato conseguente all’accordo di Villa Madama.
Le norme di esecuzione dei Patti Lateranensi sono dotate di una particolare forza all’interno del
nostro ordinamento:
- da punto di vista attivo: possono derogare anche alle previsioni costituzionali, purché non si
pongano in contrasto con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale.
- dal punto di vista passivo: richiedono che si dia luogo ad una particolare procedura per poterle
modificare. In questo caso, infatti, si dovrà procedere ad approvare una particolare legge atipica, in
quanto preceduta da accordi bilaterali e rispettosa degli stessi.

Ne deriva che le fonti esecutive delle norme concordatarie sono classificabili come leggi atipiche,
poiché, pur possedendone la forma della legge, sono dotate di una efficacia superiore a quella della
normale legge statale.

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

SEZIONE 5

5.1. Il diritto dell’Unione Europea

5.1.1. Diritto originario e diritto derivato

Nella prima metà degli anni 50 del secolo scorso un piccolo gruppo di Stati del continente europeo
stipularono tra di loro trattati internazionali aventi, perlopiù, finalità di tipo economico.
A seguito di ciò videro la luce le prime organizzazione europee, dall’evoluzione delle quali ha preso
origine quel sistema giuridico che oggi conosciamo Unione Europea.
Nel corso degli anni, la sottoscrizione di numerosi altri trattati ha fatto si che tale organizzazione
fuoriuscisse dai tipici schemi del diritto internazionale, determinando la nascita di una nuova
tipologia di ordinamento che possiamo definire sovranazionale.

L’UE non ha mai assunto le sembianze giuridiche di uno Stato, le sue competenze sono conferite a
titolo ‘derivato’, secondo quanto deciso dagli Stati membri, in base alle attribuzioni previste nei
Trattati istitutivi.

Il diritto eurounitario può essere suddiviso in:


- diritto originario: costituito dai Trattati istitutivi che sono rappresentati dal Trattato sull’UE e dal
Trattato sul funzionamento dell’UE. Allegati a questi trattati figurano numerosi protocolli e
dichiarazioni. Particolare rilievo assume la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
- diritto derivato: rappresentato dagli atti normativi previsti e disciplinati dagli stessi Trattati
istitutivi ed adottati dagli organi dell’Unione Europea, nell’ambito di competenza ad essa riservata e
seguendo dei processi decisionali autonomi rispetto a quelli degli Stati membri.

5.1.2 Le competenze dell’UE

5.1.2.1. La delimitazione delle competenze

L’esercizio dei poteri normativi dell’UE risulta circoscritto dal principio di attribuzione, in virtù
del quale gli Stati membri non hanno conferito all’UE delle competenze di natura generale ma solo
quelle specificamente indicate nei Trattati.

L’applicazione concreta del principio di attribuzione non è poi così rigida, infatti, tanto i Trattati
quanto la Corte di giustizia hanno introdotto strumenti finalizzati a rendere maggiormente flessibili
i margini entro i quali si può estendere la competenza dell’UE:
- clausola di flessibilità: in virtù alla quale se un’azione dell’UE appare necessaria per realizzare
uno degli obiettivi previsti dai Trattati, senza che questi ultimi abbiamo previsto i poteri di azione a
tal fine necessari, le Istituzioni europee possono adottare le disposizioni che appaiono più
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appropriate.
- teoria dei poteri impliciti: l’attribuzione di una determinata competenza dell’UE comporta anche
il potere di adottare tutte le misure necessarie per assicurare un esercizio efficace ed appropriato di
tale competenza.

5.1.2.2. Le tipologie di competenze

I Trattati individuano tre tipi di competenze normative:


1) Competenze esclusive: riguardano quei settori, tassativamente indicati nei Trattati, nell’ambito
dei quali solo l’EU può adottare atti normativi giuridicamente vincolanti. In tali ambiti, gli Stati
membri non possono intervenire se non autorizzati dall’UE.
2) Competenze concorrenti: hanno carattere residuale, riguardando quelle materie che non
ricadono né nelle competenze esclusive né in quelle di sostegno, coordinamento o completamento
dell’azione degli Stati membri.
La regola principale è che l’intervento competente agli Stati membri, mentre quello dell’UE
rappresenta un’eccezione.
Il TUE ha introdotto il principio di sussidiarietà, in base al quale l’UE è legittimata ad intervenire
solamente nel caso in cui, non potendosi conseguire determinate finalità in misura sufficiente a
livello nazionale, l’azione della stessa UE appaia necessaria per un miglior raggiungimento degli
obiettivi in questione.
3) Competenze di sostegno, coordinamento e completamento dell’azione degli Stati membri:
ricadono in settori specificamente indicati nei Trattati. In tali ambiti l’UE può con provvedimenti
finalizzati al sostegno, coordinamento o completamento dell’azione degli Stati membri.

5.1.3 Gli atti normativi dell’UE

Il sistema delle fonti dell’UE, delineato dai Trattati istitutivi, costituisce uno degli elementi che
maggiormente caratterizza l’ordinamento giuridico europeo in ragione dell’eccezionale limitazione
di sovranità che impone agli Stati membri.
Possiamo distinguere gli atti vincolanti e gli atti non vincolanti.
Gli atti non vincolanti sono:
- Le raccomandazioni possono essere definite degli atti di indirizzo, svolgono un importante
funzione in sede di interpretazione delle altre fonti del diritto, orientandone la lettura nel senso più
conforme alle esigenze europee.
- I pareri sono degli atti con i quali ciascun organo dell’UE può rappresentare il proprio punto di
vista in merito ad una determinata questione.
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Gli atti vincolanti sono:


- I regolamenti sono quelli che presentano maggiore similitudine rispetto alla nostra legge
ordinaria. Dal punto di vista precettivo ha ‘portata generale’, ossia contiene disposizioni generali e
astratte che non si rivolgono ai singoli destinatari determinati ma a categorie astrattamente
considerate nel loro insieme. Inoltre, esso è ‘obbligatorio in tutti i suoi elementi’ e ‘direttamente
applicabile’.
I regolamenti UE prevalgono sulle leggi nazionali e contro quelle in conflitto giudici saranno
chiamati a disapplicare le leggi interne garantendo l’applicazione della normativa europea.
Producono effetti tanto verticalmente (impongono i loro precetti a tutti gli Stati membri) quanto
orizzontalmente (creano vincoli giuridici diretti anche nei rapporti intercorrenti tra i singoli soggetti
di diritto operanti negli ordinamenti nazionali).

- La direttiva rappresenta un atto normativo che obbliga uno o più Stati membri a raggiungere un
determinato risultato in un margine di tempo prefissato, lasciando però liberi gli Stati membri
destinatari circa i mezzi da utilizzare per ottenere tale obiettivo.
Produce unicamente effetti verticali perché vincolano unicamente lo Stato a cui si rivolgono.
Lo Stato a cui le direttive sono indirizzate ha un obbligo di risultato, pur mantenendo un certo
margine di discrezionalità interna in ordine all’individuazione di soggetti e modi ritenuti più idonei
per raggiungerlo. Nell’esercizio di tale discrezionalità, comunque, lo Stato destinatario deve tenere
conto delle finalità della direttiva stessa ed a garanzia di ciò la Corte di Giustizia ha elaborato il
principio di interpretazione conforme.
In merito ai mezzi giuridici da utilizzare per l’attuazione delle direttive, nel caso in cui la materia
interessata dalla direttiva risulti già disciplinata da un precedente atto normativo nazionale, la Corte
di giustizia ha precisato che il recepimento della direttiva dovrà avvenire con un provvedimento
normativo dello stesso rango dell’atto interno che dovrà essere modificato per attuare le direttive.
! Non sono ammesse delle mere procedure amministrative !
Le direttive assegnano agli Stati destinatari un lasso di tempo per raggiungere lo scopo in esse
indicato, comportando delle responsabilità nel caso di uno Stato inadempiente.
Questo potrà essere citati innanzi alla Corte di Giustizia e potrà infliggere pesanti sanzioni
pecuniarie.
Il mancato recepimento delle direttive può andare anche a scapito dei cittadini dello Stato membro
inadempiente, in numerose sentenze la Corte di Giustizia si è appellata alla teoria dell’estoppel ove
lo Stato inadempiente risulta impedito dall’applicare la propria normativa non conferme alle
direttive disattese.
La stessa Corte ha riconosciuto in alcuni casi la possibilità di ricavare dalla stessa fonte UE degli
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effetti diretti, permettendo cioè di applicare direttamente il precetto in essa contenuto anche in
assenza di un atto normativo nazionale di recepimento.

- Le decisioni sono atti normativi obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili. Pur
avvicinandosi per caratteristiche ai regolamenti, si distinguono da questi poiché le decisioni non
hanno portata generale ma sono indirizzate a destinatari determinati (Stati, persone fisiche, persone
giuridiche). Viene utilizzata per applicare a dei casi concreti le disposizioni generali e astratte
contenute nei Trattati o in altre fonti europee. Vengono spesso accomunati ai nostri provvedimenti
amministrativi.

- Le decisioni senza destinatari (recentemente aggiunti dal Trattato di Lisbona) sono quei
provvedimenti spesso utilizzati nel campo della politica estera e di sicurezza comune. È funzionale
ad introdurre delle disposizioni interne all’Ue relative al funzionamento delle istituzioni europee,
ovvero a dettare disposizioni di portata generale i cui effetti non ricadono direttamente sugli Stati.
Le decisioni senza destinatari vengono pubblicate nella Gazzetta ufficiale, a differenza delle altre
che vengono notificate ai destinatari e producono effetto in seguito a tale notificazione.

5.1.4 Atti normativi delegati

Gli atti normativi dell’UE spesso non si soffermano nel porre una normativa particolarmente
dettagliata, limitandosi a regolamentare gli elementi essenziali di una determinata disciplina.
In questi casi, è prevista la possibilità che tali atti legislativi possano delegare alla Commissione il
potere di emanare provvedimenti che integrino determinati elementi non essenziali dell’atto
legislativo.
Sebbene si tratta formalmente di ‘atti non legislativi’ è da rilevare come di fatto tali provvedimenti
assumano carattere normativo.
Gli atti normativi delegati, emanati dalla Commissione, sono da considerare subordinati rispetto
agli atti legislativi. Gli elementi essenziali sono riservati all’atto legislativo e non possono essere
oggetto di delega. Inoltre, bisogna precisare che gli stessi atti legislativi hanno il compito di porre i
“limiti” e le “condizioni” al rispetto delle quali è subordinata l’attività normativa della
Commissione.
La stessa disposizione attribuisce agli atti legislativi il compito di fissare le condizioni cui è
soggetta la delega.

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5.2 I rapporti tra il diritto dell’Unione europea e l’ordinamento giuridico italiano

5.2.1 Unione europea e riferimenti costituzionali

A partire dalla stipula dei primi Trattati europei, negli anni, ’50, sino alle più recenti revisioni degli
stessi, l’ordinamento comunitario ha fortemente inciso sugli ordinamenti giuridici dei singoli Stati
membri.
Il potere della Comunità europea, prima, e dell’UE, oggi, di adottare atti normativi propri, con
efficacia vincolante e in grado di prevalere sulle leggi interne dei Paesi aderenti, ha comportato un
forte e crescente ridimensionamento della sovranità nazionale di tali Stati. In ragione di ciò, si è
posto il problema di individuare uno specifico fondamento costituzionale idoneo a giustificare le
limitazioni di sovranità conseguenti all’adesione alle organizzazioni europee. Il percorso dei vari
Stati non è stato tuttavia univoco.
In Italia, l’unico riferimento normativo relativo all’adesione alla Comunità europea è stato
rappresentato dalla legge di ratifica del Trattato di Roma. La natura di tale fonte, in particolare, è
subito apparsa inappropriata ad offrire un adeguata copertura al ridimensionamento dei poteri
sovrani dello Stato italiano.
La Corte costituzionale ha ritenuto di poter giustificare la partecipazione del nostro Paese
all’ordinamento comunitario sulla base dell’art 11 Cost che prevede che l’Italia consente in
condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento
che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni. La disposizione non presenta degli espliciti
richiami testuali ad organizzazioni europee (ancora inesistenti), motivo per cui, per lungo tempo, si
era ritenuto che tale previsione fosse stata pensata unicamente per giustificare l’adesione italiana
alla Società delle Nazioni.
Le originarie organizzazioni europee, istituite dagli anni 50, hanno poi avuto una lenta ma continua
evoluzione.
La stipula di nuovi trattati ha portato ad una crescente estensione delle competenze comunitarie, di
conseguenza, la copertura costituzionale offerta dall’art 11 Cost è sembrata sempre più inadeguata a
regolare l’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.
Il legislatore di revisione, quindi, ha introdotto un’apposita previsione nell’art 117 comma 1 Cost,
che dice: ‘la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto (..) dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario’.
Essa rende finalmente esplicito come il potere sovrano di fare leggi debba essere subordinato al
rispetto dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.

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Tali vincoli, adesso, al pare della Costituzione, si pongono come limite espresso alle leggi interne
(statali o regionali). La prevalenza delle fonti europee su quelle nazionali, quindi, riceve un
inquadramento costituzionale idoneo a chiarire l’effettiva incidenza dell’ordinamento eurounitario
sul nostro sistema giuridico.

5.2.2 L’evoluzione del rapporto tra fonti eurounitarie e norme nazionali nel dibattito
giurisprudenziale tra Corte costituzionale e Corte di Giustizia

Nell’evoluzione del sistema giuridico comunitario un contributo determinante è stato offerto dagli
interventi giurisprudenziali della Corte di Giustizia e delle Corti Costituzionali degli Stati membri.
In particolare, tra il nostro organo di giustizia costituzionale e la Corte europea negli anni si è
istaurato una sorta di ‘dialogo indiretto’ che ha permesso di definire meglio i termini
dell’integrazione tra ordinamento eurounitario e quello italiano, delineando il rapporto che
intercorre tra le fonti dell’UE e gli atti legislativi nazionali.
1) Con la sent. n 14/1964, la Corte costituzionale manifestò di aderire alla teoria dualistica basata
sul riconoscimento di due ordinamenti distinti e separati, nei quali le norme dell’uno non possono
produrre effetti all’interno dell’altro se non in virtù di uno specifico atto di recepimento.
La Corte stabilì che tali atti normativi avrebbero assunto nel sistema giuridico interno un’efficacia
parificabile a quella della norma che ne permetteva l’ingresso, e cioè della legge ordinaria di ratifica
del Trattato. Con la conseguenza che, richiamando i normali criteri ordinari delle fonti, gli eventuali
contrasti tra fonti interne e quelle comunitarie si sarebbero dovuti risolvere applicando il criterio
cronologico.
2) L’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale diede luogo alla ferma obiezione della Corte
di Giustizia. Con la sentenza Costa/Enel del 1964, sottolineò come con l’entrata a vigore dei
Trattati istitutivi era stato istituito un ordinamento di nuovo genere, cui atti normativi prevalgono
sulle fonti interne dei Paesi aderenti. La Corte di Giustizia manifestò la sua adesione alla teoria
monista, basata sul riconoscimento di un unico ordinamento giuridico sopranazionale caratterizzato
dalla prevalenza gerarchica delle fonti comunitarie su quelle interne.
3) Al fine di avvicinarsi alle posizioni espresse dalla Corte di Giustizia, la Corte Costituzionale
avvertì la necessità di identificare una specifica copertura costituzionale in grado di legittimare
l’adesione del nostro Paese alle Comunità europee, e di conseguenza, garantire la prevalenza del
diritto comunitario su quello interno. La Consulta identificò nell’art 11 Cost la previsione
costituzionale preordinata dagli stessi Costituenti. Quindi, la Corte Costituzionale modificò il suo
precedente orientamento e riconobbe la prevalenza della normativa comunitaria su quella interna

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contrastante facendo ricorso al criterio gerarchico. Per arrivare a questa soluzione, venne
identificato come mezzo idoneo a garantire l’applicazione e la prevalenza della fonte comunitaria il
rinvio della questione alla Corte Costituzionale.
4) Anche questa seconda posizione, sollevò alcune perplessità da parte della Corte di Giustizia circa
la mancata immediatezza e uniformità dell’applicazione dello stesso diritto comunitario. La Corte di
Giustizia con la sentenza Simmenthal del 1978 rivendicò, oltre alla prevalenza, anche la necessità di
una diretta ed immediata applicabilità delle fonti comunitarie.
5) I timori divennero fondanti durante gli anni’70, a causa dei vari intasamenti che portarono al
ritardo di 10 anni sul ricorso sulla presunta incostituzionalità per una violazione indiretta dell’art 11
Cost.
6) La stessa Corte mediante la sentenza Granital, precisò che la legge di esecuzione del Trattato ha
trasferito alla Comunità europea le competenze normative in determinate materie.
In tali settori, quindi, la Comunità può emanare norme giuridiche che si impongono direttamente
nell’ordinamento nazionale. Eventuali conflitti, vanno risolti dal giudice italiano utilizzando il
criterio della competenza. La norma interna verrà disapplicata solamente nello specifico caso
sottoposto al giudice.

5.2.3 I ‘modi’ della prevalenza delle fonti dell’UE sulla legislatura nazionale

Le fonti UE direttamente applicabili (regolamenti e decisioni) prevalgono, sempre e comunque, su


eventuali disposizioni nazionali con queste contrastanti. La stessa Corte costituzionale ha
successivamente preferito parlare di “non applicazione” della legge nazionale piuttosto di
“disapplicazione” poiché quest’ultima “evoca vizi della norma in realtà non sussistenti in ragione
proprio dell’autonomia dei due ordinamenti”.
Gli effetti della ‘disapplicazione-non applicazione’, in definitiva, consistono nella preferenza della
normativa eurounitario, a fronte della quale non si applica.

Le fonti UE non direttamente applicabili (direttive) differentemente dalle prime, non sono in grado
di prelevare direttamente ed immediatamente sulla legislazione nazionale.

5.2.4 Fonti UE e strumenti di tutela dei diritti

La Corte costituzionale è arrivata a riconoscere la capacità della normativa eurounitarie di apportare


delle deroghe anche alle norme costituzionali. Non a tutte, però, poiché è stato sottolineato come le
fonti UE non possono comunque intaccare il “nucleo duro” del nostro impianto costituzionale.

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

La Corte si è riservata il potere di intervenire nel caso in cui la normativa dell’UE entri in contrasto
con i principi fondamentali o i diritti inviolabili costituzionalmente tutelati.
In questo modo, è stata applicata la teoria dei controlimiti consistente in una verifica di
costituzionalità relativa alla compatibilità della normativa eurounitaria con la parte intangibile del
nostro ordinamento costituzionale.
Il giudizio di costituzionalità dovrebbe incentrarsi sull’ordine di esecuzione dei Trattati istitutivi
che, essendo adottato con legge ordinaria, rientra nell’ambito di attribuzione della stessa Corte.
Diversamente, utilizzando lo strumento delle sentenze di accoglimento parziale, la Corte dovrebbe
limitarsi a dichiararne la incostituzionalità “nella parte in cui..” permette l’ingresso nel nostro
ordinamento di quella singola disposizione UE contrastante con i principi fondamentali o i diritti
inviolabili della nostra Costituzione.
Il Trattato di Lisbona ha introdotto significative novità in argomento. Infatti, viene adesso attribuito
valore giuridicamente vincolante alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, ha inoltre aperto la
strada all’adesione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali. I due documenti in questione, senza dubbio alcuno, offrono una tutela ampia e
articolata dei diritti dell’individuo. A volte addirittura superiore a quella riconosciuta dalle singole
Costituzioni nazionali.
Cosicché, se oggi, il giudice di uni Stato membro dovesse verificare una ipotesi del genere, la
questione relativa alla normativa europea in contrasto con i diritti individuali dovrebbe essere
rinviata alla Corte di Giustizia che, accertata la situazione, sarebbe chiamata a sanzionare il diritto
eurounitario per violazione dell’art 6 TUE.
Ciò nonostante, la Corte costituzionale italiana ha comunque ribadito, in più occasioni, il proprio
potere di verificare se la normativa europea, nell’interpretazione della Corte di Giustizia, non si
ponga in conflitto con altre norme della Costituzione.

5.2.5 L’attuazione interna del diritto UE

La diretta applicabilità non è una caratteristica di tutte le fonti UE. Il nostro ordinamento si è dotato
di appositi strumenti normativi funzionali al costante e periodico recepimento delle normative
eurounitarie.
Questo sono:
- la legge di delegazione europea, su iniziativa del Governo deve essere presentata al Parlamento
entro il 28 febbraio. Contiene deleghe legislative ed autorizzazioni regolamentari finalizzate a
conferire all’Esecutivo gli strumenti necessari per il recepimento delle normative UE.
- la legge europea, non prevede un termine di scadenza per la sua presentazione, è un

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LE FONTI DEL DIRITTO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

provvedimento che modifica e/o abroga precedenti leggi nazionali in contrasto con obblighi
dell’UE.
La riforma del Titolo V della Costituzione ha attribuito alle Regioni un ruolo specifico nell’ambito
dell’attuazione del diritto eurounitario che interviene in materie di competenza regionale.
Molte regioni italiane hanno provveduto alla creazione di una legge europea regionale che,
similmente a quanto avviene a livello statale, viene approvata ogni anno per garantire il
recepimento e l’attuazione delle normative eurounitarie che ricadono nei settori di competenza
regionale.

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RIASSUNTO COSTITUZIONE ITALIANA: PRINCIPI, DIRITTI, LIBERTA’ E DOVERE (QUINTA EDIZIONE LIBRO)|
ALEXIA ROSELLI

Capitolo terzo, sezione 1


Principi supremi, diritti, libertà e doveri nell’ordinamento costituzionale italiano
▪ Premessa;
Le Carte costituzionali hanno sempre avuto una duplice funzione:
1) Delineare l’organizzazione dello Stato: individuare gli organi e gli enti deputati
all’esercizio del potere, i loro rispettivi ambiti di interesse e i rapporti che intercorrono tra
loro.
2) “Tavola dei valori”: testo normativo che contiene i principi basilari del patto sociale, di
cui lo Stato è espressione. Serve ad indicare: gli ideali di base e le finalità.
La costituzione sancisce tali valori con un duplice significato:
1) Indicare gli ideali di base che lo stesso corpo sociale riconosce come propri;
2) Specificare le finalità che l’ordinamento intende perseguire ed il modello di società che esso
si propone di realizzare.
La nostra carta si apre con un catalogo di disposizioni, cioè i “Principi fondamentali”.
1. ART. 1 COST.: forma repubblicana, principio democratico e “costituzionalismo”;
“L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che
esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
La disposizione delinea i due principi-cardine che concorrono a determinare la forma di Stato propria
dell’ordinamento italiano: il principio repubblicano e il principio democratico-costituzionale.
Il comma 1 definisce lo Stato come “Repubblica”: l’assetto repubblicano è la forma che esprime al
meglio la pienezza del carattere democratico dell’ordinamento italiano, in relazione del principio di
parità di accesso a tutti i cittadini alle cariche pubbliche elettive.
Corollario del carattere repubblicano è il principio democratico che individua del popolo la fonte
della sovranità, bensì il soggetto giuridico titolare della sovranità, che gli compete in virtù di un vero
e proprio “diritto pubblico soggettivo” e che esercita in due modi:
o In forma immediata: attraverso i diritti politici riconosciuti ai cittadini e gli istituti di
democrazia diretta previsti dalla Costituzione;
o In forma mediata: della rappresentanza politica, attraverso il diritto di voto.
La sovranità popolare è espressa attraverso il diritto di voto vincolato dalle “forme e limiti della
Costituzione” per evitare che si cada nella tirannia della maggioranza.

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RIASSUNTO COSTITUZIONE ITALIANA: PRINCIPI, DIRITTI, LIBERTA’ E DOVERE (QUINTA EDIZIONE LIBRO)|
ALEXIA ROSELLI

2. ART. 2 COST.: “diritti inviolabili” e “doveri inderogabili” della persona umana fra
pluralismo e solidarismo;
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili
di solidarietà politica, economica e sociale”.
Nel disporre che la Repubblica “riconosce e garantisce” i diritti inviolabili dell’uomo, sia nella
dimensione individuale che sociale, qualifica come determinante il primato della persona umana.
L’insieme dei diritti di libertà sono qualificati come “inviolabili”, e questa inviolabilità assume due
caratteri:
o Intangibilità in senso negativo: lo stato ha l’obbligo di astenersi da ingerenze o compressioni
arbitrarie su di essi;
o Intangibilità in senso positivo: sostanzia nel dovere dello stato di garantire ad essi ogni tutela,
protezione e promozione.
Il carattere dei diritti della persona umana risiede nell’impossibilità di sottoporre tali diritti a
procedimento di revisione ex art. 138, in senso restrittivo o peggiorativo. Si pongono veri e propri
limiti impliciti alla stessa modifica costituzionale. Perché ne vorrebbe inficiato il carattere
democratico della forma repubblicana.
Altre conseguenze dell’inviolabilità dei diritti sono la loro onnicomprensività e la loro pre-statualità.
La garanzia dei diritti non è assicurata solo ai cittadini, ma a tutela di tutti coloro si trovino sul terreno
della Repubblica. La circostanza che li “riconosca”, implica una concezione di tipo innatistico: i
diritti inviolabili sono connaturati alla persona umana, e preesistono allo stato stesso.
L’art. 2 assicura tutela alla dimensione sociale della persona, garantendo i diritti inviolabili del
singolo e delle formazioni sociali. Si tratta di contesi aggregativi che scaturiscono dall’interazione fra
i più soggetti e perseguono le proprie finalità esistenziali e realizzano la propria personalità.
L’articolo non limita la propria garanzia alle formazioni sociali tipiche, ma le estende a tutti gli altri
corpi intermedi che concorrano comunque alla realizzazione della personalità dei singoli che vi diano
luogo (convivenze di fatto).
La seconda parte precisa che la Repubblica “richiede l’adempimento degli inderogabili doveri di
solidarietà politica, economica e sociale”: la persona non può limitarsi a pretendere dallo Stato
illimitati spazi di libertà personale, ma è chiamata alla mutua assistenza e alla collaborazione.
Il carattere inderogabile dei doveri di solidarietà: se i singoli non ottemperassero ai doveri, ne
risulterebbe compromesso il patto sociale, tali doveri sono espressamente specificati dalla stessa Carta
(es. nell’ambito della “solidarietà politica” vi è il diritto-dovere civico di voto).
3. ART. 3 COST.: il principio d’eguaglianza davanti alla legge e il superamento delle
disuguaglianze di fatto;
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso,
di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito
della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico, che, limitano di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’affettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

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RIASSUNTO COSTITUZIONE ITALIANA: PRINCIPI, DIRITTI, LIBERTA’ E DOVERE (QUINTA EDIZIONE LIBRO)|
ALEXIA ROSELLI

Nel comma 1 è racchiusa l’affermazione dell’eguaglianza in senso formale, tutti i cittadini sono
eguali davanti alla legge e non possono essere riconosciuti privilegi o emanate leggi che creino
discriminazioni. L’eguaglianza è stata estesa a tutte le persone, cittadini, apolidi e stranieri.
L’espressione “pari dignità sociale” significa che ogni persona deve essere tratta e riconosciuta in
quanto tale. La costituzione impone a tutti i consociati l’eguaglianza davanti alla legge, e nessuno
può porsi al di sopra di quest’ultima.
Al principio di eguaglianza formale, si accompagna quello di eguaglianza sostanziale: giustifica
quelle leggi che “apparentemente discriminatrici nei confronti di categorie o gruppi di cittadini, nella
sostanza ristabiliscono l’eguaglianza delle condizioni di queste categorie e gruppi”. Cioè sono azioni
positive che il legislatore compie per promuovere situazioni di pari opportunità fra uomini e donne.
L’eguaglianza sostanziale tende ad assottigliare la rigidità dell’eguaglianza formale, evita che le
azioni positive possano tramutarsi in forme di sperequazione ingiustificata. Da tutto questo
discende il CANONE DI RAGIONEVOLEZZA: la legge deve prevedere trattamenti normativi
uguali per fattispecie simili e trattamenti differenti per situazioni oggettivamente diverse. Si
configura un limite generale alla discrezionalità del legislatore.
4. ART. 4 COST.: il principio lavorista;
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuovere le condizioni che rendano
effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la
propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della
società”.
Questo articolo ribadisce il valore fondamentale del lavoro, che costituisce un diritto fondamentale,
riconosciuto e promosso della Repubblica in favore di tutti i cittadini. Non può essere interpretato
come pretesa giuridica assoluta del cittadino ad ottenere un’occupazione, né come dovere dello
Stato ad assicurarla, né come diritto incondizionato del singolo alla conservazione della propria
occupazione.
L’art. 4 deve intendersi come riconoscimento della generale possibilità da parte del singolo di ottenere
un’occupazione conforme alle proprie capacità ed attitudini e come mandato di realizzare un
ordinamento che la possa rendere effettiva. Ciò attraverso l’adozione di concrete e idonee misure
volte ad assicurare la creazione di posti di lavoro.
5. ART. 5 COST.: principio unitario e principio autonomista;
“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che
dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della
sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
Stabilisce che la Repubblica italiana è chiara nel porre il principio unitario come garanzia di
inviolabilità dell’integrità territoriale e politica della Nazione.
Il carattere di unità della Repubblica va inteso come preservazione dell’indirizzo politico generale
del Paese, e come primato dell’interesse nazionale della Repubblica sui particolarismi locali e su ogni
disuguaglianza territoriale nella tutela dei diritti fondamentali. Deve considerarsi come un limite di
tipo elastico all’autonomia legislativa delle Regioni e a quella amministrativa degli Enti locali, tenuti
ad esercitarle in un rapporto di leale collaborazione con lo Stato.

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RIASSUNTO COSTITUZIONE ITALIANA: PRINCIPI, DIRITTI, LIBERTA’ E DOVERE (QUINTA EDIZIONE LIBRO)|
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La garanzia di indivisibilità va considerata come limite “assoluto e cogente” a qualsiasi ipotesi di


smembramento dell’integrità territoriale e politica del paese o di secessione. La disposizione può
considerarsi una norma di sistema del nostro ordinamento costituzionale, volta a preservarlo da
qualsiasi rischio di diminuzione territoriale.
Sottolinea la rilevanza del principio autonomista, quale criterio di articolazione ed esercizio a più
livelli del potere pubblico sul territorio nazionale. Un’articolazione pluralista esalta nel sistema
costituzionale il ruolo delle “autonomie locali”. Esse si intendono come soggetti istituzionali che
costituiscono la repubblica.

6. ART. 6 COST.: tutela delle minoranze;


“La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”.
Il contenuto di questo articolo si salda con altre disposizioni del testo: art. 2 (formazioni sociali), 3
(relazione alle minoranze), 9 (rilevanza culturale). Esso ha lo scopo di conservare il patrimonio
linguistico e culturale di altre minoranze.

7. ART. 7 COST.: la laicità “inclusiva” come “principio supremo dell’ordinamento”;


“Lo stato e la chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro
rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non
richiedono procedimento di revisione costituzionale”.
La carta accorda ampia tutela al fenomeno religioso come libertà del singolo, sotto il profilo
aggregativo delle confessioni religiose e dei loro enti ed associazioni di riferimento, e dei relativi
rapporti con lo Stato, quest’ultima ha delineato il carattere laico dello Stato italiano come “principio
supremo dell’ordinamento costituzionale”.
Gli artt. 3, co. 1 e 19 Cost. scolpiscono la laicità dello Stato in termini di pari dignità delle credenze
e di piena libertà del loro esercizio.
L’art. 7 co. 1 sancisce la laicità dello stato, proclamando la sua piena indipendenza dalle ingerenze
della Chiesa, rinunciando alle intromissioni delle questioni religiose. Resta inteso che appartiene allo
stato la competenza delle competenze, ossi la decisione ultima su quali materie rientrino nell’ordine
statale e quali invece debbano restare sottratte alla sua competenza.
L’art. 7 co. 2 precisa che i rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi, tale disposizione consacra nella
carta del ’48 il principio concordatario: i rapporti sono oggetto di una disciplina che sia frutto di un
accordo fra entrambe le parti. La legge di esecuzione del concordato assume un valore di legge
rafforzata, cioè contiene parziali deroghe rispetto alle disposizioni della costituzione, ma non potrà
ledere i principi supremi dell’ordinamento.
8. ART. 8 COST.: la laicità “inclusiva” come “principio supremo dell’ordinamento”;
“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose
diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non
contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge
sulla base di intese con le relative rappresentanze”.

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L’art. 8 co. 1 regola la norma costituzionale che connota la laicità dello stato, infatti il costituente ha
inteso di sancire la dignità e la rilevanza del fattore religioso nello spazio pubblico, all’insegna dei
principi di libertà e di riconoscimento di diritti inviolabili delle confessioni religiose (formazioni
sociali). Emerge l’idea di una laicità di tipo “inclusiva”, basata sulla reciproca indipendenza e
collaborazione (nell’interesse della persona umana) fra stato e confessioni.
L’art. 8 co. 2 e 3, detta le disposizioni relative ai rapporti tra lo stato e le altre confessioni acattoliche,
a cui è data la facoltà di stipulare, con lo stato, organiche intese che disciplinano i rapporti bilaterali
nelle materie d’interesse comune nel modello dei Patti Lateranensi. Lo stato provvede ad introdurle
nel sistema giuridico nazionale con una legge di “approvazione” (fonti rafforzate non modificabili,
da adattarsi ai principi supremi dell’ordinamento).
Le altre religioni che non hanno interesse a stipulare intese con lo stato restano soggette al diritto
comune (legge dei culti ammessi).
La laicità del nostro ordinamento si pone come un “metodo” di realizzazione di un pluralismo
cooperativo e personalista, all’insegna del dialogo e della condivisione.
9. ART. 9 COST.: la Repubblica italiana come “stato di cultura” e “stato dell’ambiente”;
“La repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il
paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Nell’ordinamento italiano la cultura viene intesa come “bene giuridico materiale”. La ratio
ispiratrice dell’art. 9 è da ricercarsi nel paesaggio del “patrimonio storico e artistico della Nazione”,
attraverso una concezione personalista, dove la cultura è connessa alla “realizzazione della
personalità umana”.
Esso conferisce alla promozione culturale la dignità di dovere costituzionale, imposto allo Stato,
alla Repubblica e a tutti gli enti locali.
Nell’art. 9 vi è un cenno alla “questione ambientale”, infatti la corte ha riconosciuto l’ambiente
come meritevole di apprezzamento e alla preservazione delle condizioni necessarie alla sua
sopravvivenza. E vi è una necessità di offrire protezione alle prossime generazioni, attraverso la tutela
ambientale (principio culturalista e ambietalista)
10. ART. 10 COST.: la condizione giuridica del “non cittadino”;
“L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente
riconosciute. La condizione giuridica di straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e
dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle
libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della
Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero
per reati politici”.
L’art. 10 parla della condizione giuridica dello straniero, con l’introduzione della cittadinanza
europea è stato diversificato lo status giuridico dei cittadini euro unitari, rispetto a quello dei cittadini
extracomunitari o apolidi.
Il comma 2 introduce una riserva di legge da considerare di tipo assoluto, il legislatore è libero di
accordare allo straniero condizioni di maggior favore rispetto ai parametri normativi internazionali.

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Si riconosce allo straniero una condizione di eguaglianza tendenziale rispetto al cittadino italiano
per il godimento dei diritti fondamentali.
Il comma 3 è stato dedicato al diritto d’asilo, esso implica un diritto di accentramento e di
comparazione fra lo standard di libertà democratiche garantite al cittadino italiano e quello offerto
allo straniero nel proprio paese d’origine. Perciò anche laddove l’ordinamento di origine preveda il
riconoscimento dei diritti fondamentali (in modo formale, ma non pratico) lo straniero (anche gli
apolidi) potrà ottenere l’asilo politico in Italia.
Una particolare disciplina normativa regola lo status di rifugiato politico, che a differenza dell’asilo
politico è subordinato alla dimostrazione di essere vittima di una specifica e personale persecuzione
per motivi di razza, religione e altro.
Il comma 4 si riferisce all’estradizione, cioè quel procedimento amministrativo e giurisdizionale, al
quale è possibile disporre la consegna di colui che si trovi nel nostro paese, per sottoporlo ad un
procedimento penale in corso a suo carico in altro stato. La costituzione sancisce il divieto in due
casi: reato politico o dove vi sia ragione che l’imputato sia perseguibile per motivi di razza, sesso o
lingua.
11. ART. 11 COST.: i rapporti internazionali;
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le
Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
La prima questione che affronta è la guerra, intesa come ricorso alla forza armata nelle controversie
internazionali:
o Risulta assoluto ed incondizionato il ripudio alla guerra offensiva, volta alla sopraffazione
della libertà di altri Stati e popoli;
o Il divieto di quelle azioni che tendono a favorire e agevolare logisticamente uno stato
promotore;
o Risulta censurabile un permesso di utilizzare basi ed istallazioni militari presenti nel nostro
territorio a favore di uno stato promotore di aggressione armata;
o Non sarebbe giustificabile una fornitura d’armi a un paese impegnato in una guerra
d’aggressione.
Si ritiene lecita la guerra di tipo difensivo, per la salvaguardia della collettività e del territorio da
qualunque aggressione esterna. L’autodifesa costituisce un diritto fondamentale ed irrinunciabile di
ogni ordinamento, a patto che non si trasformi in una guerra offensiva.
È lecita l’autodifesa collettiva, cioè interventi militari in ambito internazionale, in difesa di un paese
alleato vittima di aggressione.
L’art. 11 giustifica la partecipazione italiana alle organizzazioni internazionali, come l’ONU, cioè
associazioni di Stati a fini di cooperazione politica. Tale disposizione rappresenta il fondamento
costituzionale che ha permesso al nostro paese di partecipare alla fondazione dell’UE, che ha
progressivamente dato vita a un ordinamento giuridico, col potere di emanare norme vincolanti per
gli stati e i loro cittadini.

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12. ART. 12 COST.: “La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e
rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”.
Tale disposizione è di particolare importanza, poiché il tricolore è espressione primaria dell’unità e
identità della Repubblica e segno distintivo della personalità dello Stato, anche sul piano
internazionale.
Ciò giustifica il reato di vilipendio alla bandiera (art. 292 c.p.) che stabilisce: chiunque vilipende la
bandiera nazionale o altro emblema dello stato è punito con la reclusione da uno a tre anni, con
sanzioni e inasprimento di pena se l’autore sia un appartenente alle Forze Armate della Repubblica.
La bandiera è stata per molto tempo l’unico simbolo della Repubblica meritevole di espressa
menzione costituzionale, dopo è stata indicata anche la città di Roma (art. 114)

Capitolo terzo, sezione 2


Diritti e libertà
13. ART. 13 COST.: la libertà personale;
L’art. 13 co. 1 afferma che la libertà personale è inviolabile e nel suo co. 2, ammette restrizioni della
libertà personale ma “nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
La libertà personale trova le sue origini nell’habeas corpus (l’ordine che il re impartiva all’autorità
di polizia, che doveva indicargli i detenuti e i motivi dell’arresto).
La libertà personale consiste nella libertà fisica e libertà morale (libera autodeterminazione
dell’individuo in ordine ai propri comportamenti). Nella disciplina prevista dall’art.13 rientra
qualunque imposizione che leda la dignità della persona e la degradazione giuridica: menomazione o
mortificazione della dignità o persona.
L’art. 13 co. 2 individua in modo preciso delle misure restrittive per la libertà della persona:
• Detenzione: qualsiasi forma di costrizione sulla persona tale da impedire la libertà di
movimento;
• Ispezione personale: attività volta ad acquisire le tracce del reato, disposta dal P.M e dal
giudice. Durante la sua esecuzione dovranno essere salvaguardati la dignità e il pudore di chi
vi è sottoposto;
• Perquisizione personale: finalizzata a cercare il corpo del reato quando vi è fondato motivo di
ritenere che qualcuno lo occulti. Anche in questo contesto devono essere garantite la dignità
e il pudore dell’ispezionato.
Il co. 2 prevede che la libertà personale può essere sottoposta alle limitazioni individuate nei “soli
casi e modi previsti dalla legge”. Si tratta di una riserva assoluta di legge a cui spetta “indicare le
circostanze che legittimano le singole misure restrittive della libertà personale”.
La costituzione richiama ulteriori limiti sostanziali alla penalizzazione a cui il legislatore deve
attenersi:
- Principio della irretroattività delle norme penali: secondo cui “nessuno può essere punito
se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”;

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- Principio della personalità della responsabilità penale: non è possibile addebitare ad un


soggetto la responsabilità per un fatto commesso da altri;
- Principio di colpevolezza: sono punibili le condotte materiali collegate ad un atteggiamento
soggettivo di colpevolezza;
- Principio di offensività e lesività del reato: nei confronti di beni costituzionalmente protetti
e collegati con altri valori costituzionali (dignità umana);
- Divieto di pene consistenti in trattamenti contrari al senso di umanità e della pena di
morte.
L’art. 13 richiede una garanzia: l’atto motivato dell’autorità giudiziaria. L’emanazione del
provvedimento limitativo della libertà personale è di “esclusiva competenza del giudice”, indicando
la motivazione che giustifica l’atto restrittivo della libertà personale. La decisione riporta ragioni di
fatto e di diritto che hanno convinto il giudice all’adozione della misura limitativa, consentendo al
soggetto di comprendere le ragioni della restrizione e di esercitare il diritto di difesa.
L’art. 13 co. 3 prevede anche per l’autorità di pubblica sicurezza la possibilità di adottare misure
limitative della libertà personale.
La costituzione ha previsto che la restrizione potrà avvenire in casi eccezionali di necessità ed
urgenza e predeterminati tassativamente dalla legge. I provvedimenti devono essere motivati, ma
hanno carattere provvisorio e una volta adottati, l’autorità di polizia dovrà darne comunicazione
all’autorità giudiziaria, affinché quest’ultima possa valutare se convalidarli. In caso di mancata
convalida, le misure applicate si intenderanno revocate e resteranno “prive di ogni effetto”.
Tra i casi eccezionali, ricordiamo le misure precautelari:
➢ Arresto in flagranza: nei confronti di coloro che siano sorpresi a commettere un rato, o subito
dopo il reato;
➢ Fermo di indiziato: eseguito nei confronti di una persona “indiziata di un delitto” e
presupporre che essa possa fuggire. Il fermo richiede la presenza di gravi indizi di
colpevolezza a carico dell’indagato.
Nell’ultimo comma dell’art. 13 la disposizione attribuisce al legislatore il compito di prescrivere i
limiti massimi della carcerazione preventiva: “limitazioni della libertà che devono rispettare il
principio di proporzionalità”.
L’interesse pubblico all’accertamento della verità che richiede e giustifica l’esecuzione della
carcerazione preventiva deve essere bilanciato con il principio di presunzione di non colpevolezza
(imputato non colpevole fino a condanna definitiva).
Di conseguenza vi deve essere una legge che preveda un’eventuale estensione della custodia
cautelare, sindacabile da parte del giudice delle leggi in termini di “ragionevolezza”.
L’autorità giudiziaria è tenuta al rispetto dei principi di adeguatezza e di proporzionalità, nella
scelta delle misure da disporre. Il giudice dovrà applicare misure meno gravose per l’imputato.
14. ART. 14 COST.: l’inviolabilità del domicilio;
Il co. 1 dell’art. 14 definisce “inviolabile” il domicilio, nel nostro ordinamento sono presenti diverse
nozioni di domicilio: civilistica, propria del diritto tributario e penalistica.

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Ma la nozione costituzionale di domicilio comprende l’abitazione come “qualunque luogo” di cui si


disponga legittimamente a titolo privato.
Il co. 2 estende le garanzie assicurate alla libertà della persona anche alla libertà domiciliare, assistita
dalla riserva assoluta di legge, di giurisdizione, dall’obbligo di motivazione del provvedimento
restrittivo della libertà in esame e la possibilità di ricorrere in Cassazione per violazione di legge.
L’autorità di pubblica sicurezza non può accedere nel domicilio al fine di eseguire:
➢ Ispezione: diretta ad accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato;
➢ Perquisizione domiciliare: volta alla ricerca di persone, cose o documenti qualora vi sia un
fondato motivo;
➢ Sequestro: del corpo del reato o cose ad esso connesso all’accertamento di fatti inerenti ad
una fattispecie criminosa.
In casi eccezionali di necessità e urgenza l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti
provvisori restrittivi della libertà in questione, affinché quest’ultima possa decidere sull’eventuale
convalida. Nel caso di mancata convalida, i provvedimenti adottati si intendono revocati.
La costituzione presenta un elenco definito in merito agli atti limitativi della libertà domiciliare:
“ispezioni o perquisizioni o sequestri”. Ma la corte ha chiarito che l’elenco non ha carattere tassativo
(non da vita ad una tipizzazione delle restrizioni permesse).
Un’ampia deroga alla riserva di giurisdizione e all’inviolabilità del domicilio è contenuta nell’ultimo
comma dell’art. 14: leggi speciali possono consentire accertamenti e ispezioni, motivate da sanità,
incolumità pubblica e fini economici e fiscali, senza l’intervento dell’autorità giudiziaria.
Tra le limitazioni previste per motivi di sanità ed incolumità pubblica, abbiamo: disinfestazioni,
ispezioni e prelievi di campione e ispettori del lavoro.
Invece, per le limitazioni previste per motivi economici e fiscali, abbiamo: perquisizione domiciliare
(polizia tributaria) e ispezioni o verifiche (accertamenti IVA).
15. ART. 15 COST.: la libertà e la segretezza della corrispondenza e della comunicazione;
L’art. 15 tutela la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni forma di comunicazione,
garantendone l’inviolabilità.
Vi è un nesso nel testo fondamentale tra la libertà in esame e la libertà personale e di domicilio,
definite inviolabili. La libertà in questione rappresenta “un ampliamento e precisazione del
fondamentale principio di inviolabilità”, che garantisce la persona da illegittimi interventi e assicura
un certo “ambito spaziale”, e viene tutelata “la forma più diretta ed immediata di collegamento alla
persona con il mondo esterno”.
Il secondo elemento dell’art. 15 è la “segretezza del contenuto”, cioè la libertà in discorso. Il
costituente si è preoccupato di garantire la libertà di comunicare e che nessun soggetto possa prendere
coscienza del contenuto del messaggio. I due aspetti sono inscindibili e vanno considerati
congiuntamente in quanto l’uno trova fondamento nell’altro e nessuno dei due può realizzarsi
compiutamente in assenza dell’altro.
L’art. 15 al fine di tutelare libertà e segretezza della comunicazione, contempla la riserva di legge,
definita nella disposizione costituzionale mediante la formula delle “garanzie stabilite dalla legge”.

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Inoltre, prevede l’istituto della riserva di giurisdizione, sicché la limitazione deve essere disposta
dal giudice con atto motivato. In tal modo si mira ad assicurare una ampia garanzia alla libertà in
parola rispetto a quella riservata alla libertà personale e di domicilio.
Il diritto tutelato dall’art. 15 può subire restrizioni soltanto nel caso in cui le stesse risultino
necessarie alle esigenze di indagine volte alla repressione dei reati. Le restrizioni che può subire la
libertà in esame consistono nel sequestro della corrispondenza spedita dall’imputato o a lui diretta e
nelle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni telefoniche, telematiche ed informatiche.
Il diritto alla riservatezza o alla privacy è fondamento costituzionale nella disposizione contenuta
nell’art. 15, la tutela di siffatto diritto è costituito dalla sfera di intimità della persona, che dev’essere
protetta da intrusioni altrui che raccolgono aspetti della vita privata.
Il diritto alla riservatezza è individuabile, grazie all’evoluzione giurisprudenziale, in diversi precetti
costituzionali. A livello sovranazionale viene riconosciuta dall’art. 8 della Convenzione europea.
Il legislatore nazionale ha adempiuto agli obblighi comunitari attraverso il codice della privacy. Si
pone l’obiettivo di tutelare i dati personali ed in particolare la raccolta e il trattamento degli stessi. Il
codice ha previsto una disciplina restrittiva per i “dati sensibili”, ossia dati personali idonei a rivelare
l’origine razziale ed etnica, le opinioni politiche.
Per utilizzazione di questo tipo di dati è necessario sia il consenso dell’interessato, sia l’autorizzazione
preventiva del Garante per la protezione dei dati personali.
16. ART. 16 COST.: la libertà di circolazione e soggiorno;
L’art. 16 prevede la libertà di “ogni cittadino” di circolare e soggiornare nel territorio dello Stato,
salvo limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e sicurezza.
La libertà di circolazione va intesa come libertà “spaziale e residenziale” del cittadino.
Sotto il profilo della soggettività, la previsione costituzionale riserva la libertà di circolazione e
soggiorno ai soli cittadini. Stranieri e apolidi non potrebbero invocare le garanzie, ma la libertà di
circolazione è un diritto universale (esigenza dei cittadini), e in quanto tale deve trovare tutela da
parte degli ordinamenti.
L’art. 16 prescrive una riserva di legge rinforzata, infatti le restrizioni della libertà di circolazione e
soggiorno, possono essere disposte sono in “in via generale e per motivi di sanità e sicurezza”.
I motivi di sanità o sicurezza possono nascere da situazioni generali o particolari, e può esserci la
necessità di vietare l’accesso e località infette o pericolanti, di ordine di sgombero e sa esigenze che
si riferiscono a casi individuali.
Per sicurezza si intende l’attività di prevenzione dei reati anche se attribuito il significato di
incolumità pubblica, e altre volte è stata interpretata in senso ampio, sino ad includervi anche
“l’ordinato vivere civile”, ovvero “l’ordine pubblico”.
Se da un lato la sicurezza rappresenta un limite alla libertà di circolazione e soggiorno e non si può
prescindere dal riconoscimento di un “diritto di sicurezza”.
L’art. 16 sancisce accanto alla libertà di circolazione anche la libertà di soggiorno. I padri costituenti
vollero garantire il diritto di tutti i cittadini di determinare il domicilio o la residenza in qualunque
parte del territorio nazionale al fine di potervi svolgere qualsiasi attività o funzione.

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Con il termine “soggiorno” si può intendere ogni tipo di sosta in un determinato luogo senza che tale
concetto si sovrapponga con la libertà di domicilio.
L’art. 16 co. 2 garantisce ad ogni cittadino la libertà di espatrio, libertà di uscire dal territorio della
Repubblica e di rientrarvi senza alcuna limitazione specifica, salvo “gli obblighi di legge”.
Nel nostro ordinamento la libertà di espatriare costituisce un diritto soggettivo e il rilascio del
passaporto è garantito da una legge che riduce al minimo il potere valutativo dell’autorità
amministrativa che deve rilasciarlo senz’altro.
17. ART. 17 COST.: la libertà di riunione;
La libertà di riunione e di associazione sindacale o politica costituisce il sistema delle garanzie
predisposte a tutela delle libertà collettive. Libertà il cui esercizio presuppone il concorso di una
pluralità di soggetti, accomunati da un unico fine.
L’art. 17 co.1 garantisce a tutti i cittadini “il diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi”.
Del concetto di riunione la disposizione non fornisce alcuna definizione, tuttavia qualunque
raggruppamento di una pluralità di persone.
Con la formula “stesso luogo” deve intendersi come prossimità che deve sussistere tra le persone che
vogliono riunirsi. Anche il corteo, definito “riunione in movimento” va fatto rientrare nella libertà in
esame.
L’art. 17 co. 1 individua due limitazioni rafforzative, che devono svolgersi pacificamente e senz’armi,
e per le riunioni in pubblico vi è bisogno di un preavviso.
I primi due limiti costituiscono le condizioni di legittimità delle riunioni per garantire “ordine legale
su cui poggia la convivenza sociale”, cioè l’ordine pubblico che si manifesta con lo svolgimento
regolare e pacifico delle attività nella comunità statale.
La violazione di uno dei due limiti comporta lo scioglimento della riunione in luogo pubblico o
aperto al pubblico. Dobbiamo ulteriormente distinguere le armi in:
➢ Proprie: arma la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona;
➢ Improprie: strumenti atti ad offendere, il cui uso è vietato in maniera assoluta (mazze ferrate).
Le riunioni possono svolgersi in luogo privato e si intendono quegli incontri che si svolgono in ruoli
destinati all’accesso solo con il consenso del soggetto che ha la disponibilità giuridica del luogo.
Le riunioni in luogo aperto al pubblico sono quelle in cui l’ammissione è consentita a determinate
condizioni.
Le riunioni in luogo pubblico sono quelle che si svolgono in luoghi a cui tutti possono liberamente
accedere. Ma in queste riunioni è necessario dare un preavviso.
Nelle riunioni in luogo privato o aperto al pubblico, lo scioglimento può avvenire solo in casi di
commissione di reato (arresto o fermo).
Il preavviso consiste nella mera comunicazione in forma scritta con cui si notifica al questore data,
luogo, ora, oggetto della riunione e coloro che prenderanno parola. Esso si configura anche come:
o Obbligo: così facendo gli organizzatori collaborano con l’autorità di pubblica sicurezza;

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o Onere: per promotori, poiché essi potranno beneficiare i componenti della riunione di
adeguata protezione da parte dell’autorità di pubblica sicurezza (che può disporre il divieto
“preventivo” della riunione, anche in presenza del preavviso, solo qualora vi siano
“comprovati motivi di sicurezza e incolumità pubblica”)

18. ART. 18 COST.: la libertà di associazione;


Le associazioni vanno annoverate nell’ambito delle “formazioni sociali” e costituiscono il
fondamento della democrazia pluralista delineata dalla nostra costituzione. Esse sono costituite e
organizzate al fine di soddisfare fini comuni dei consociati.
Gli elementi costituitivi dell’associazione sono la pluralità dei soggetti che la compongono, un
insieme di regole che disciplinano i comportamenti dei membri dell’associazione ed
un’organizzazione idonea a raggiungere il fine sociale.
La costituzione ha inteso garantire ai cittadini la libertà di associarsi; non è richiesta alcuna
autorizzazione.
L’unico limite di carattere “generale” che la costituzione pone all’esercizio del diritto attiene al
perseguimento di “fini che non sono vietati ai singoli dalle leggi penali”, escludendo la possibilità
di porre limiti e divieti specifici alla libertà di associarsi.
Sono ammesse tutte le associazioni, purché non aventi proibiti al singolo della legislazione penale.
Accanto alla libertà positiva di associarsi, l’art. 18 riconosce la libertà negativa di associazione,
ossia la libertà di non essere obbligati a aderire ad una determinata associazione o di recedervi.
La corte ha riconosciuta la legittimità delle associazioni coattive: obbligatorie per l’esercizio di
determinate attività (ordini professionali).
Alla libertà di associazione si collega la libertà nelle associazioni, ossia la sfera di libertà
dell’associato che lo Stato è tenuto a far rispettare anche all’interno della struttura organizzativa.
La norma, garantisce la libertà delle associazioni, ossia il diritto di dar vita ad un numero indefinito
di associazioni aventi anche medesimi fini.
L’art. 18 co. 2 prevede due divieti relativi alle associazioni segrete (a seguito delle vicende della
“Loggia P2” ha provveduto ad attuare la previsione costituzionale relativa alle associazioni segrete)
e paramilitari che perseguono scopi politici (anche indirettamente).
Per definire un’associazione “a carattere militare” non è necessario che presenti un’organizzazione
militare in senso stretto, né che riconosca l’utilizzo di armi, ma è sufficiente che presenti
un’organizzazione gerarchica di tipo militare e che persegua scopi politici.
19. ART. 19 COST.: la libertà di religione e di coscienza;
Secondo l’art. 19 il nostro ordinamento attribuisce a tutti il diritto di professare qualunque fede
religiosa individualmente o collettivamente. Tutti possono propagandare la propria fede, attraverso
il proselitismo: ciascuno può portare a conoscenza di altri ideali, sapere e informazioni al fine di farli
convertire.
I giudici della Corte hanno affermato il divieto di coinvolgere i figli minori nel credo religioso al
quale il genitore ha aderito, sul criterio del “superiore interesse della prole” deve essere garantita
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l’assenza di fattori che possano incidere negativamente sulla salute psico-fisica del minore e del suo
sviluppo. È obbligo dei genitori educare il minore tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione
naturale e delle aspirazioni dei figli.
Un aspetto della libertà di religione consente di esercitare il culto in privato o in pubblico, purché
esso non si manifesti attraverso riti contrari al buon costume (morale o pudore sessuale).
L’art. 19 racchiude diversi aspetti della libertà di religione: i singoli hanno anche il diritto di non
essere costretti a professare o esercitare il culto, in quanto la libertà non deve essere interpretata
soltanto come libertà di professione religiosa di culto, ma deve essere intesa come “libertà da ogni
coercizione che imponga il compimento di atti di culto propri di questa o quella confessione da
persone che non siano della confessione alla quale l’atto di culto appartiene”.
Il testo garantisce la libertà di coscienza, ossia di credere o di non credere in un’entità trascendente:
“la tutela della libertà di coscienza dei non credenti rientra nella più ampia libertà in materia
religiosa”. Questa libertà riceve tutela dalle norme che garantiscono la obbiezione di coscienza:
diritto della persona a comportarsi in modo coerente e conforme alle proprie convinzioni.

20. ART. 20 COST.: libertà di religione e di coscienza;


Nell’art. 20 per ente a carattere ecclesiastico si intende l’istituzione facente parte della Chiesa
cattolica, mentre con l’espressione ente a fine di culto o religioso si fa riferimenti a enti acattolici.
Tale differenza concettuale sembra essere superata, considerando che le intese stipulate con le
confessioni cristiane diverse dalla cattolica si è utilizzato sempre l’aggettivo “ecclesiastico”.
Il fenomeno religioso nel nostro ordinamento richiede l’analisi della libertà di religione e di
coscienza dal punto di vista individuale e nel rispetto delle norme che ne disciplinano il profilo
“collettivo”. Si invia allo studio di norme che regolano la condizione giuridica delle confessioni
religiose a differenza tra queste e la confessione cattolica.
21. ART. 21 COST: la libertà di manifestazione del pensiero;
Costituisce il diritto di comunicare il proprio pensiero ad un numero indefinito di destinatari, ma vi è
una disciplina particolare per i membri del Parlamento e i consiglieri regionali, che sono esonerati da
responsabilità di “opinioni espresse e u voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Un’ampia libertà
di espressione è prevista per i rappresentanti del popolo.
L’oggetto della tutela della previsione è costituito dalla garanzia della manifestazione del pensiero
che viene riconosciuta come diritto il cui esercizio può avvenire con la “parola, lo scritto e ogni altro
mezzo di diffusione”.
L’oggetto tutelato comprende anche il diritto al silenzio, ossia il diritto di non esprimere il proprio
pensiero e a mantenere riservatezza delle proprie opinioni, salvo quanto previsto dalla legge in merito
agli obblighi di riferire notizie.
La libertà di manifestazione incontra anche dei limiti:
• Buon costume: si tratta di un concetto non univoco, flessibile e risente della rapida e costante
evoluzione dei costumi della società e della sensibilità collettiva. Questa nozione implica che
il pensiero manifestato non sia contrario al comune senso del pudore (offesa).

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• Impliciti o logici: derivano dalla necessità di tutelare altre libertà costituzionalmente garantite
(es. il diritto di cronaca dovrà essere bilanciato con i diritti della personalità/ segreto militare).
In ambito nazionale, la giurisprudenza costituzionale ha ricompreso nell’alveo dell’art. 21 la libertà
di cronaca e la libertà di informare.
Con riferimento alla libertà di manifestazione del pensiero, bisogna sottolineare il profilo:
➢ Attivo: fa riferimento alla libertà di informare, ossia comunicare e divulgare notizie, fatti,
opinioni e idee;
➢ Passivo: tutela la libertà di essere informato e la libertà di accedere alle informazioni.
Il giudice costituzionale chiarisce che il diritto all’informazione deve esser qualificato e
caratterizzato da:
a) Pluralismo delle fonti, in modo tale che il cittadino possa dar vita ad una propria opinione
attraverso punti di vista differenti;
b) Dall’obiettività e dall’imparzialità dei dati forniti;
c) Dalla completezza, correttezza e continuità dell’attività di informazione erogata;
d) Dal rispetto della dignità umana, dall’ordine pubblico, dal buon costume e dal libero sviluppo
psichico e morale dei minori.
La costituzione dedica i co. 2, 3, e 4 alla libertà di stampa, come mezzo di comunicazione di massa
più diffuso: “non può essere soggetta ad autorizzazioni e censure”.
È esclusa qualsiasi forma di intervento preventivo alla pubblicazione degli stampati. La corte ha
chiarito il significato del provvedimento di autorizzazione disponendo il divieto di quei
“provvedimenti preventivi che potrebbero impedire la pubblicazione degli scritti destinati al
pubblico”.
È vietata la censura, ma la Costituzione al fine di prevenire e reprimere gli abusi, consente di
procedere al sequestro preventivo degli stampati, imponendone la diffusione qualora ricorra la
fattispecie di delitto prevista dalla legge sulla stampa, o nell’ipotesi di violazione delle norme
sull’indicazione dei responsabili e solo sulla base di un atto motivato dall’autorità giudiziaria.
Il sequestro può essere adottato anche nel caso in cui sia violato l’obbligo di indicazione dei
responsabili. I lettori devono essere messi nelle condizioni di poter risalire all’autore responsabile
qualora dovessero subire un danno.
La legge stabilisce che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica, poiché
consente di risalire al nome dei proprietari e dei finanziatori e ai loro orientamenti.
Vi è anche prevista l’istituzione di un registro nazionale della stampa, la pubblicità dei bilanci delle
imprese editoriali e una migliore trasparenza della pubblicità su giornali e periodici.
Il sistema radiotelevisivo italiano non trova una esplicita mozione nella Costituzione, poiché
inizialmente evitava situazioni di monopolio o oligopolio che avrebbero potuto mettere in pericolo la
libertà di manifestazione del pensiero.
Nel corso degli anni, si è assistito a una parziale evoluzione e i giudici hanno ribadito che la legittimità
del monopolio statale è per le trasmissioni su scala nazionale, dando così impulso al fenomeno della
liberalizzazione delle emittenti private e locali.

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22. ART. 22 COST.: il diritto alla capacità giuridica, alla cittadinanza e al nome;
La costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili della persona, ma si preoccupa anche di
tutelare alcuni aspetti dello status del cittadino.
Essa sembra voler scongiurare il verificarsi di quanto accaduto nei sistemi totalitari, che limitavano
la capacità giuridica dei cittadini.
Anche il diritto al nome è stato ridimensionato durante il regime previgente, infatti veniva imposta
l’italianizzazione dei cognomi di cittadini appartenenti alle minoranze linguistiche (Russovich –
Russo).
Un’eccezione alla disposizione costituzionale era rappresentata dal XIII disposizione transitoria e
finale della Costituzione, secondo cui: “i membri e i discendenti di Casa Savoia non sono elettori e
non possono ricoprire uffici pubblici e cariche elettive, ed è vietato il loro ingresso nel territorio
nazionale”, abrogata con la legge n. 1/2002.

23. ART. 23 e 53 COST.: i principi costituzionali del diritto tributario;


Il sistema tributario italiano si basa su alcuni principi fondamentali:
o Dovere inderogabile di solidarietà politica, economica e sociale: l’obbligo di tutti i
consociati di pagare le imposte e le tasse;
o Principio di eguaglianza: tutti i cittadini sono tenuti al pagamento delle imposte;
o Principio della capacità contributiva: richiede il concorso di tutti i soggetti dell’ordinamento
alle spese pubbliche sulla base della loro capacità contributiva;
o Principio della progressività: l’aliquota aumenta in modo proporzionale rispetto
all’aumentare della base imponibile;
o Principio di legalità tributaria: l’impostazione di prestazioni personali o patrimoniali solo
sulla base i un intervento del Parlamento.
Possiamo notare che dall’art. 23 si ricava con facilità la garanzia della norma stessa posta a difesa
della persona contro possibili interventi arbitrari al P. A.
Per “prestazioni personali” la dottrina intende l’impostazione di un’attività che si traduce
nell’esplicazione di energie fisiche ed intellettuali (obbligo di istruzione inferiore; dovere al voto;
dovere di difesa della patria).
Per “prestazioni patrimoniali” si fa riferimento a quelle prestazioni obbligatorie poste a carico di
una persona da un atto autoritativo senza che la volontà di questa vi debba concorso. La categoria più
importante delle prestazioni patrimoniali è rappresentata dai tributi che si suddividono in:
➢ Imposta: si tratta di una prestazione pecuniaria patrimoniale richiesta al soggetto che presenta
una determinata capacità contributiva. Le imposte si distinguono in:
• Imposte dirette: colpiscono la ricchezza del soggetto nel momento in cui essa viene
prodotta;
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• Imposte indirette: incidono sulla ricchezza del contribuente nel momento in cui essa
viene spesa.
➢ Tassa: è il corrispettivo di denaro dovuto all’ente pubblico per uno specifico servizio richiesto
dal privato e di cui lo stesso usufruisce. Essa è indipendente dal principio della capacità
contributiva (es. tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche);
➢ Contributo: è l’entità tributaria percepita dall’ente impositore e a carico di determinati
soggetti che ricevono vantaggi direttamente da determinati servizi pubblici.
L’art. 23 consacra il principio di legalità tributaria, tradotto dallo Statuto Albertino: “nessun tributo
può essere imposto o riscosso, se non è stato consentito dalle Camere e sezionato dal Re”.
Prevede una riserva relativa di legge, e la dottrina e la giurisprudenza costituzionale e amministrativa
concordano nel qualificare soltanto “relativa” la natura di tale riserva. Il legislatore è chiamato a
disciplinare gli aspetti essenziali delle prestazioni, ossia gli elementi che identificano e caratterizzano
il tributo.
▪ Il principio della capacità contributiva ed il criterio della progressività:
Un limite alle prestazioni patrimoniali è rappresentato dall’art. 53: l’onore fiscale è suddiviso fra tutti
i soggetti che producono un reddito nel territorio italiano, in base alla propria capacità contributiva.
La capacità contributiva è l’attitudine economica del singolo soggetto a concorrere le spese pubbliche,
ossia le spese sostenute dalla collettività, al fine di contribuire all’organizzazione di servizi destinati
a tutti i consociati indistintamente.
Il contribuente deve essere titolare di una fonte di reddito e la prestazione imposta non dovrà essere
mai tale da colpire il “minimo” di risorse necessarie ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa.
Il principio della progressività dell’imposta richiamato dal co. 2 e prevede un sistema tributario in cui
il carico fiscale cresce all’aumentare del reddito in maniera non proporzionale bensì progressiva.
L’aliquota dell’imposta aumenta in misura più che proporzionale rispetto all’incremento della base
imponibile.
È compito della repubblica garantire l’equità sociale, rimuovendo gli ostacoli di natura economica e
sociale, che limitano l’uguaglianza e la libertà dei cittadini, nonché il pieno sviluppo della persona
umana. Il principio in questione costituisce un valido strumento di perequazione del reddito tra le
diverse fasce sociali.
I diritti del contribuente sono disciplinati dallo Statuto del contribuente. Tale provvedimento
disciplina i rapporti tra contribuente e Amministrazione Finanziaria, regolamenta la produzione della
legislazione fiscale, elenca i diritti e doveri del contribuente nei confronti dell’amministrazione
pubblica. Lo statuto introduce i principi di garanzia, trasparenza ed imparzialità.

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Capitolo terzo, sezione 3


Diritti e formazioni sociali
1. ARTT. 29-31 COST.: la famiglia;
La famiglia assume rilievo sotto una duplice prospettiva:
- Primordiale sede degli affetti e di un progetto di vita condiviso;
- Luogo di educazione e di cura dell’infanzia;
Rappresenta la cellula di base che concorre a determinare il tessuto sociale del paese.
L’art. 29 sancisce il riconoscimento e la garanzia, da parte della Repubblica, dei diritti che le derivano
in quanto “società naturale”, di cui il matrimonio costituisce il fondamento giuridico.
La famiglia come “società naturale”, i cui diritti sono “riconosciuti e garantiti” come preesistenti:
la costituzione vuole assicurare e difendere l’autonomia della famiglia nello sviluppare in piena
libertà il proprio progetto di vita, di formazione umana e personale e di affettività fra i suoi
componenti.
Delinea un sistema matrimoniale basato sulla piena eguaglianza morale e giuridica fra i coniugi, con
il solo limite della salvaguardia della “unità familiare”.
L’art. 30 emerge il profilo della reciprocità dei coniugi nel loro diritto-dovere di mantenimento e
formazione della prole e l’intervento dello Stato nella dimensione familiare o sulla prole si giustifica
dove essa non sia in grado di esercitare la propria funzione ed i propri diritti.
È particolarmente significativa la tutela ai “figli al di fuori del matrimonio”: viene esplicitata il
dovere di mantenimento ed educazione con la stessa intensità garantita a quelli nati dentro al
matrimonio. L’ultimo comma si preoccupa di attribuire al figlio nato fuori dal matrimonio il diritto
di conoscere, ritrovare e stabilire una relazione affettiva e giuridica con i genitori naturali.
L’art. 31, co 1 è chiaro nell’attribuire alla Repubblica il compito di “agevolare la formazione della
famiglia”. La posizione centrale della famiglia nel tessuto sociale del paese giustifica il dovere
assegnato ai pubblici poteri di promuovere e favorirne la creazione e il ruolo, in termini di sostegno
per il tramite di opportune misure economiche.
▪ Unioni civili e convivenze di fatto;
Le unioni di fatto sono convivenze di natura eterosessuale o omosessuale, diffuse in maniera
crescente.
La consulta ha chiarito che non risulterebbe legittima un’equiparazione normativa delle unioni di
fatto al modello familiare, e non può trovare fondamenti nell’art. 29. Però, per quanto riguarda
l’articolo 30 in cui si tutelano “i figli al di fuori del matrimonio”, la corte ha affermato che “per
formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità. In tale nazione è annoverata anche
l’unione omosessuale intesa come stabile convivenza a cui spetta il diritto fondamentale di vivere
una condizione di coppia, ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”.
La consulta ha esteso, alle convivenze di fatto, taluni diritti fondamentali già valevoli per i coniugi.
È stata recentemente approvata la Legge Cirinnà, dove vi è una “regolamentazione delle unioni civili
tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”.

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La scelta operata dal legislatore è stata quella di contemplare due modelli differenti:
▪ Unione civile, cioè “specifica formazione sociale ai sensi degli art. 2 e 3 Cost.”, riservato alle
coppie formate da persone maggiorenni dello stesso sesso;
▪ Convivenza di fatto, aperto indistintamente a tutte le coppie (omosessuali e eterosessuali).
L’unione civile è l’unione di due persone maggiorenni dello stesso sesso costituita mediante
dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni.
A fronte della disciplina normativa di recente introduzione, la legge cirinnà aveva avuto modo di
riconoscere il rilievo delle unioni omosessuali, ma la Corta ha riconosciuto che l’unione omosessuale
rappresenta una formazione sociale non idonea a costituire una famiglia fondata sul matrimonio stante
l’imprescindibile “finalità procreativa”. Il nostro sistema costituzionale delinea un modello di
relazioni familiari incentrato sulla eterosessualità delle figure genitoriali.
La corte ha ribadito la legittimità di quelle normative che precludono alle coppie omosessuali
l’accesso alle tecniche di procreazione mediante assistita.
La convivenza di fatto è definita dalla legge come quella formazione sociale che riguarda “due
persone maggiorenni unite da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale”,
la stabile convivenza potrà essere dimostrata sulla base della certificazione anagrafica rilasciata dal
comune di residenza. I conviventi possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita
comune e gli sono riconosciuti dei diritti.
2. ART. 32 COST.: il diritto alla salute;
Il diritto alla salute è protetto in via primaria ed assoluta, ed è un diritto “fondamentale”.
Il valore del diritto alla salute come “interesse della collettività” non sminuisce affatto il significato
di diritto individuale “fondamentale”, ma ne esalta la sua dimensione di “principio supremo
dell’ordinamento”.
Il collegamento dell’art. 31 all’art. 2 attribuisce al diritto alla salute un contenuto di socialità e
sicurezza. La tutela della salute pubblica e della vita altrui implica anche il dovere di non ledere e
mettere a rischio la salute di altri soggetti.
La Corte costituzionale, sulla base di quanto afferma l’art. 32 ha riconosciuto quale diritto
fondamentale della persona, il diritto di vivere in un ambiente salubre come presupposto necessario
per assicurare la salute psicofisica dei singoli.
I principi dell’art. 32 in materia di libertà di cura e di osservanza “dei limiti imposti dal rispetto della
persona umana” sono rilevanti ai fini della tutela costituzionale del diritto alla vita, nella sua fase
iniziale e terminale.
La pretesa di cui all’art. 32 si estrinseca nel diritto di ogni persona alla prevenzione, cura e
riabilitazione da qualunque genere di patologia che ne possa mettere in pericolo o compromettere la
vita o l’integrità psicofisica, mediante trattamenti erogati dallo stato nelle apposite strutture sanitarie.
È obbligo della repubblica provvedere all’erogazione di cure gratuite agli “indigenti” che non
possono affrontare le spese sanitarie.

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Il comma 2 consacra il principio della “libertà di cura”, e in base ad esso vi è la condizione che un
trattamento sanitario sia libero, spontaneo e consapevole al paziente, poiché esso non può essere
obbligato a sottoporsi a cure di qualsiasi tipo se le ritenga lesive, rischiose o inutili alla propria salute.
Ne discende il diritto del paziente al consenso informato e cioè alla completa, dettagliata ed esaustiva
informazione sul trattamento sanitario proposto, sui suoi effetti e sulle possibili conseguenze.
Il principio della libertà di cura ed il correlativo divieto di trattamenti sanitari obbligatori possono
trovare un limite laddove lo richiedono straordinarie esigenze di tutela dell’incolumità e della salute
pubblica.
Vi è la possibilità di istituire per legge trattamenti sanitari obbligatori, anche se vi è la clausola
limitativa sulla salvaguardia della dignità umana da qualsiasi rischio di degrado e di sofferenza tali
da umiliare la personalità stessa del paziente, costituisce l’invalicabile confine della possibilità del
legislatore di imporre come obbligatorio un trattamento sanitario.
La nostra costituzione non fa esplicitamente menzione del diritto alla conservazione della propria
vita, e appare innegabile che la tutela della vita sia da reputarsi come presupposto necessario all’intera
trama dei diritti inviolabili della persona umana.
La relazione fra vita e diritto alla salute era emersa nella giurisprudenza della Consulta con
riferimento alla fase inziale della vita: materia di interruzione volontaria di gravidanza. La corte
ha evidenziato come la necessaria tutela della salute e dell’integrità psicofisica della madre sia l’unico
limite alla tutela del nascituro quale “persona da diventare”.
Ma è la “fine vita” che ha creato un conflitto con altri valori costituzionali. Nel comma due si
vorrebbe garantire in maniera netta il diritto dell’ammalato di rifiutare i trattamenti sanitari che
aumenterebbero il degrado della sua dignità personale. Ma appare incerto se sia ammissibile estendere
il diritto di rifiutare le cure fino a una “legittima pretesa a lasciarsi morire” o “all’eutanasia”.
In casi del genere ci si interroga su quale rilevanza giuridica attribuire alle eventuali dichiarazioni di
rifiuto ed intervento medito dettate da questi soggetti quando erano in condizione di coscienza:
testamento biologico. L’interruzione dei trattamenti sanitari potrebbe ledere il principio di
precauzione, che imporrebbe di mantenere il soggetto in vita.
La corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p nella parte in cui non esclude
punibilità a chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio autonomamente”. Si apre la strada alla
necessità di riconoscere rilievo alla volontà coscientemente formulata da quei soggetti che non
intendono avvalersi di strumenti di sostegno esterno per essere mantenuti in vita, e la consulta ha
riconosciuto che il divieto indiscriminato di aiuto al suicidio “finisce per limitare la libertà di
autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, anche quelle che possono liberarlo dalla
sofferenza”.
3. ARTT. 33 E 34 COST.: il diritto all’istruzione, scuole e università;
L’art. 33 co. 1 stabilisce la garanzia della libertà dell’arte e della scienza e del loro insegnamento
quale premessa e linea guida. Assicura agli enti e privati il diritto di “istituire scuole e istituti di
educazione senza oneri per lo Stato”, in tal modo pur imponendo allo stato di finanziare direttamente
gli istituti scolastici eretti dal privato sociale, la norma permette la possibilità di un sostegno indiretto
alla scuola non statale mediante interventi a favore degli studenti e delle loro famiglie.

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Il comma 4 contempla la possibilità che gli istituti non statali possano richiedere ed ottenere la parità
con la scuola statale, secondo modalità la cui disciplina è riservata alla legge. Può essere ottenuta nel
rispetto di due condizioni: la garanzia della piena libertà degli istituti non statali nello sviluppo del
loro indirizzo educativo e l’assicurazione che sia riservato agli alunni un trattamento equipollente a
quello degli studenti della scuola statale.
Il comma 5 tutela il criterio meritocratico e come pendant alla garanzia della “scuola aperta a tutti”,
impone la prescrizione dell’esame di Stato “per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per
la conclusione di essi”, oltre che “per l’abilitazione dell’esercizio professionale”.
Il comma 6 suggella il diritto delle Istituzioni di Alta cultura, università e delle accademie alla
propria autonomia statutaria e organizzativa, nei limiti della legge dello stato.
Il dettato costituzionale sull’istruzione è completato dall’art. 34 della Carta, tale disposizione
riconosce a ciascuno un diritto effettivo all’accesso all’istruzione, vuole assicurare a tutte le persone
la possibilità di accedere ad un percorso di crescita umana e culturale, finalizzato alla piena
promozione della personalità di ogni individuo.
Riconosce un vero e proprio diritto soggettivo azionabile nei confronti delle istituzioni pubbliche,
motivo per cui il diritto all’istruzione può essere configurato come un diritto di prestazione in
funzione del quale non è sufficiente il suo riconoscimento.
L’istruzione viene identificata come diritto e obbligo, poiché rappresenta la premessa indispensabile
per concorrere in chiave solidaristica al progresso morale e materiale della collettività, essa viene
garantita ai “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi”. Il raggiungimento dei gradi più elevati
degli stuti non può essere pregiudicato per ragioni personali, sociali o economiche.
Viene identificata la scuola dell’obbligo quale base per la concretizzazione del diritto all’istruzione,
la costituzione attribuisce alla repubblica il compito di “rendere effettivo” questo diritto con “borse
di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze”.
L’art. 34 co. 1 assicura a tutti l’accesso alla scuola, con l’obiettivo di porre le basi per una società
inclusiva, fondata sul rispetto dell’altro e la valorizzazione delle differenze, che consenta ad ogni
individuo di ricevere un’educazione adeguata alle proprie possibilità di sviluppo.
4. ARTT. 35-47.: la costituzione economica e del lavoro;
Gli articoli dal 35 al 47 delineano la Costituzione economica e del lavoro. È possibile cogliere lo
sforzo compiuto per giungere ad una sintesi fra i differenti orientamenti ideologici e culturali.
L’art. 35 assegna alla Repubblica quello della tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni,
da realizzarsi mediante “la cura della formazione e dell’evoluzione professionale dei lavoratori”,
promuovendo “gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti
del lavoro”, attraverso il più ampio riconoscimento alla “libertà di emigrazione” nei limiti degli
“obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale”.
La norma contenuta nell’art. 36 individua i fondamentali diritti del lavoratore, quali: retribuzione,
durata massima della giornata lavorativa, il riposo settimanale e il periodo di ferie retribuite. È
utilizzato dai giudici come parametro per estendere l’efficacia dei contratti collettivi di lavoro,
stipulati delle maggiori confederazioni sindacali e anche ai lavoratori non iscritti ad esse.

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L’art. 37 sancisce il principio della parità lavorativa fra uomo e donna, riconoscendo alla lavoratrice
la salvaguardia del suo ruolo nella famiglia, da garantire in accordo con le esigenze lavorative.
Dispone che “la legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoratore salariato”, precisando che
“la repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi il diritto alla parità
di retribuzione” a salvaguardia dei minori dal rischio di sfruttamento nel loro impiego lavorativo.
L’art. 38 riveste rilevanza nel sistema costituzionale di garanzia del lavoro, con l’introduzione del
diritto alla assistenza e previdenza sociale, cui corrisponde l’inderogabile dovere dello Stato ad
assicurare il sostentamento a tutti gli inabili al lavoro per qualsiasi causa che non possiedano i
necessari mezzi di sussistenza. Prevede l’intervento dello stato di fronte di situazioni di disabilità è
da intendersi come un diritto incomprimibile del cittadino.
Il doveroso intervento dello stato si realizza attraverso due forme di garanzia:
• Assistenza sociale: riservata a tutti i cittadini non in grado di svolgere un’attività lavorativa e
privi dei mezzi minimi di sopravvivenza;
• Previdenza sociale: destinata ai lavoratori temporaneamente inabili all’attività o costretti alle
definitiva cassazione del rapporto di lavoro per invalidità o vecchiaia.
Gli art. 39-40 disciplinano le due forme di autotutela dei diritti dei lavoratori: il diritto d’associazione
sindacale e il diritto di sciopero.
Il sindacato è un’associazione di lavoratori finalizzata alla difesa dei diritti ed alla salvaguardia degli
interessi di una determinata categoria.
L’art. 39 co. 1 stabilisce che “l’organizzazione sindacale è libera”, garantendo il diritto di ogni
lavoratore di associarsi a fini di autotutela. Tale norma assicura il diritto del singolo lavoratore ad
associarsi o meno, e offre garanzie ai sindacati in quanto formazioni sociali.
L’art. 40 si occupa dell’altro fondamentale strumento di autotutela dei lavoratori, stabilendo che “il
diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”, consacra così l’astensione della
prestazione da parte del lavoratore ai fini di difesa dei propri interessi quale vero e proprio diritto.
Si limita a rimettere al legislatore il compito di disciplinare la concreta attuazione del diritto di
sciopero, sotto il profilo delle finalità e delle modalità d’esercizio e dei limiti cui esso deve sottostare.
Nell’assenza di un organico intervento legislativo in materia, è stata la corte ad esercitare una sorta
di supplenza normative con diverse pronunce, che hanno individuato i limiti intrinseci (attinenti alle
modalità di esercizio) e i limiti estrinseci (incidenza di tale diritto su altre pretese garantite sulla carta)
allo svolgimento dello sciopero.
Diverse sono le forme di sciopero che la corte ha legittimato:
• Sciopero puro: astensione vera e propria del lavoro;
• Sciopero bianco: attuato mediante la rallentata e meticolosa applicazione in dettaglio delle
procedure lavorative previste;
• Sciopero contrattuale: al sostegno di rivendicazioni di tipo economico, assistenziale o
organizzativo;
• Sciopero di solidarietà: a sostegno di categorie lavorative diverse da quelle scioperanti;
• Sciopero politico: iniziative di governo e della sua maggioranza parlamentare.

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Vi è la legge che disciplina l’attuazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali: impone
l’osservanza dei precisi oneri, preavvisi e turnazioni che scongiurino l’interruzione o l’intollerabile
affievolimento dei servizi. È prevista l’istituzione di un’apposita commissione di garanzia per
l’attuazione delle disposizioni normative in materia (composta da nove membri nominati dai
presidenti delle camere).
Vige il divieto di sciopero per talune categorie di pubblici dipendenti in ragione della delicatezza
delle funzioni da esse svolte, e giova sottolineare come il legislatore abbia provveduto all’attuazione
dello Statuto dei lavoratori: delinea una disciplina dei principali diritti legati all’occupazione, in
ambito disciplinare, sindacale e di garanzia della persona nell’esercizio delle prestazioni sul luogo di
lavoro. La corte ha evidenziato elementi di incostituzionalità, rilevando l’illegittimità delle previsioni
in materia di licenziamento senza giusta causa e conseguente indennità da corrispondere in favore del
lavoratore.
▪ L’artt. 41-47 individuano i principali fondamenti in materia economica.
L’art. 41 stabilisce che “l’iniziativa economica privata è libera” ma che, in ogni caso “non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, recando danno alla sicurezza, libertà e dignità umana”:
compromesso di valori realizzato in materia economica. Il comma 3 individua nel metodo della
programmazione il principale strumento per una armonizzazione economica del paese.
L’art. 42 stabilisce che la “proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge” e affida alla legge
il fondamentale scopo di “assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti” mediante
specifiche disposizioni riguardanti “modi d’acquisto” e “godimento”. La prospettiva del costituente
è di netta rottura rispetto alla concezione della proprietà privata dettata dallo Statuto albertino in
termini di diritto di tipo assoluto e inviolabile.
L’art. 42, co. 3 detta i principi della espropriazione (provvedimento amministrativo mediante il quale
lo stato può acquisire da privati la proprietà di beni per destinarli a finalità di interesse pubblico).
Stabilisce che “la proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale” e ha
precisato che l’indennizzo dovuto al proprietario in caso di espropriazione “deve rappresentare un
ristoro in modo serio, congruo e adeguato”. Ad analoghi fini si ispirano:
o Art. 44: razionale sfruttamento del suolo agricolo;
o Art. 45: relativo alla valorizzazione della cooperazione economica mutualistica;
o Art. 46: sul diritto dei lavoratori alla collaborazione nella gestione delle aziende, nei modi e
limiti stabiliti dalla legge in armonia con le esigenze della produzione;
o Art. 47: posto a garanzia della tutela del risparmio in tutte le sue forme.

5. I diritti politici;
I diritti politici sono quelle situazioni giuridiche soggettive riconosciute ai cittadini per consentire
loro di partecipare alla vita politica.
Rappresentano le differenti modalità attraverso cui è possibile esercitare direttamente e indirettamente
la sovranità e si caratterizzano per la loro incidenza sul funzionamento dello Stato e
dell’organizzazione amministrativa.
Circa la loro natura giuridica, si contrappongono due diversi orientamenti, frutto di concezioni
ideologiche del rapporto tra comunità statale e singoli.
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Secondo la prospettazione elaborata da Jellinek, i diritti politici sarebbero riconducibili ad una


funzione pubblica e come tali, sottoposti alla discrezionalità del legislatore, che potrebbe limitare la
capacità elettorale dell’interesse generale.
Per la teoria giusnaturalista i diritti di partecipazione politica vanno annoverati fra i diritti naturali
dell’individuo, inviolabili e suscettibili di restrizioni solo in ipotesi eccezionali: il livello di
democrazia raggiunto da un determinato sistema si misura anche dall’estensione del diritto di voto.
I diritti politici costituiscono il nucleo duro dello status acrivae civitatis, essendo riservata unicamente
ai cittadini la titolarità di siffatti diritti.
La cittadinanza rimane diritto indispensabile per il godimento dei diritti politici, ma nell’ultimo
decennio si è assistito a una rivisitazione di tale principio.
L’integrazione del nostro ordinamento con quello comunitario ha portato ad attribuire al cittadino
comunitario il diritto di presentare petizioni al parlamento europeo, di rivolgersi al mediatore
europeo, di voto alle elezioni comunali e europee, l’eleggibilità a consigliere comunale e la nomina
a componente della giunta comunale.
Il titolo IV della Parte I della carta (rapporti politici) riconosce ai soli cittadini i seguenti diritti politici:
il diritto di voto, diritto di associarsi ai partiti politici, diritto di petizione e diritto di accedere ai
pubblici uffici e alle cariche elettive.
DIRITTO DI VOTO: rappresenta il diritto politico fondamentale in quanto mezzo che consente al
cittadino di partecipare all’assunzione delle decisioni collettive, si lega ad esso il principio di
universalità del suffragio. Ai sensi dell’art. 48 il diritto-dovere di voto presenta dei caratteri
fondamentali:
➢ È “personale” in quanto esercitabile soltanto dal singolo cittadino senza possibilità di deleghe
o di procure;
➢ È “eguale” poiché ogni voto espresso ha un valore pari a quello di ogni altro cittadino;
➢ È “plurimo” poiché è di valore e peso superiore rispetto ad altri voti espressi;
➢ È “libero” in quanto espressione dell’esclusiva e consapevole autodeterminazione politica del
cittadino;
Il diritto di voto svolge una duplice finalità: quella di procedere alle selezione dei migliori con il
compito di assumere decisioni politiche fondamentali e quella di rimettere direttamente ai cittadini il
potere di determinazione delle decisioni pubbliche.
La sovranità viene esercitata secondo due modelli: quello della democrazia rappresentativa, in cui
il corpo elettorale elegge i propri rappresentanti agli organi di vertice e quello della democrazia
diretta dove vi è la partecipazione in prima persona dei cittadini alle scelte politiche, attraverso istituti
mediante i quali è possibile l’esercizio immediato della sovranità. Essi sono il referendum abrogativo
e costituzionale, il referendum consultivo (modificazioni territoriali di regioni, province e comuni),
il referendum di approvazioni dello statuto regionale, l’iniziativa legislativa popolare e il diritto di
petizione.
Il diritto di voto è un dovere civico, e accanto ad esso prende rilevanza il diritto di elettorato attivo
e passivo dei cittadini italiani residenti all’estero, infatti è riconosciuto loro il diritto di voto per
l’elezione del Parlamento italiano “senza spostarsi dal luogo di attuale residenza”. Gli italiani

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residenti all’estero hanno la possibilità di esprimere la loro preferenza nella Circoscrizione Estera per
eleggere 6 senatori e 12 deputati.
Con riferimento all’età utile per acquisire l’elettorato attivo, l’art. 48 stabilisce che “sono elettori
tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età” (25 anni per il senato). Per
quanto riguarda l’elettorato passivo, ossia l’idoneità ad essere destinatari del voto degli elettori
dispone che “sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto
i venticinque anni d’età” (eletti senatori a 40 anni).
Un’ulteriore declinazione della categoria dei diritti politici è costituita dal diritto all’accesso agli
uffici pubblici e alle cariche elettive. L’art. 51 prevede il diritto di presentare la propria candidatura
nelle diverse competizioni elettorali e di partecipazione ai pubblici concorsi.
Al riguardo, la legge n. 1/2003 ha introdotto il principio delle pari opportunità tra uomini e donne
nell’accesso ai pubblici incarichi.
DIRITTO DI ASSOCIARSI AI PARTITI POLITICI: L’art. 49 stabilisce che “tutti i cittadini
hanno diritto di associarsi liberamente in partiti politici”. La XII disposizione transitoria e finale
afferma che “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.
I partiti politici svolgono un ruolo fondamentale negli ordinamenti democratici, ponendosi come
raccordo permanente fra corpo elettorale e istituzioni. Essi si pongono come i detentori e i monopolisti
della rappresentanza politica: il moderno stato democrazia pluralista sia stato definito come un vero
e proprio “Parteienstaat” (stato dei partiti) in cui non vi è autentica democrazia senza la presenza e
l’azione dei partiti politici.
A partire dalla riforma elettorale del 1993 i partiti si sono presentati dinanzi al corpo elettorale in
coalizioni alternative, contenendosi il diritto di assumere la guida del paese. Tale evoluzione ha
favorito la semplificazione del quadro politico e l’affermazione della regola dell’alternanza di
governo tra due grandi coalizioni di partiti.
Con riferimento al metodo democratico, quale condizione posta ai partiti nella loro azione politica si
è posto l’interrogativo se esso si riferisca alle sole modalità dell’attività del partito, al programma,
ideologia e all’organizzazione interna.
La XII disposizione transitoria della carta pone una netta preclusione alla ricostruzione di partiti a
matrice dichiaratamente fascista. Nei confronti di tali partiti si è posta una convetio ed excludendum:
una convenzione costituzionale basata sul tacito accordo tra i partiti volto ad escludere le formazioni
ritenute “antisistema” dalla maggioranza di governo.
Il “metodo democratico” va inteso come esigenza che i partiti politici si adeguino alla democrazia
procedurale, cioè al rispetto delle regole di partecipazione democratica, senza alcune implicazione
per la loro ideologia o per lo loro struttura interna.
L’esigenza di una maggiore democraticità interna ai partiti politici che assicuri un coinvolgimento
dei cittadini e dei militanti nella formazione delle loro decisioni, con riguardo alla partecipazione
popolare nella scelta dei componenti delle liste elettorali e dei leaders dei partiti.
Fra i diritti di partecipazione politica una posizione di sicuro rilievo riveste il referendum
abrogativo, volto a privare di efficacia un atto di normazione primaria. Risponde all’esigenza di
garantire una partecipazione diretta dal popolo alle decisioni collettive. Il suo ricorso è tanto più

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frequente quanto maggiore è la crisi della rappresentanza politica e la disaffezione dei cittadini alla
vita politica di un paese.
Diversa natura ha il referendum costituzionale, concepito dal costituente quale fase eventuale del
complesso procedimento delle leggi di revisione costituzionale. L’orientamento per lungo tempo
prevale circa la funzione di tale istituto ha teso a sottolineare la natura oppositiva di tale referendum
rispetto alle scelte della maggioranza parlamentare: identificandolo quale strumento di garanzia delle
minoranze.
Fra gli istituti legislativi di democrazia diretta la costituzione contempla l’iniziativa legislativa
popolare che consiste nel potere conferito ad una frazione del corpo elettorale di dare avvio al
procedimento di formazione della legge ordinaria ed a quello di revisione costituzionale.
Non vi sono limiti all’iniziativa legislativa popolare, salve le materie riservate all’iniziativa
governativa.
Si tratta di un istituto di partecipazione di limitata portata, in quanto non è previsto alcun obbligo alle
camere di pronunciarsi sul progetto di legge di iniziativa popolare.
PETIZIONE: ha un importanza assai ridotta. Sebbene il diritto di petizione sia ritenuto un istituto di
partecipazione istituzionale, si è da sempre assistito ad una sostanziale disinteresse per la perizione
che, sono state discusse nel merito degli organi legislativi.

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Capitolo terzo, sezione 4


I doveri costituzionali
1. Le radici dei doveri;
I doveri costituzionali vengono specificamente definiti “inderogabili”, così sottolineando
l’impossibilità per il cittadino di sottrarsi agli stessi. Non si tratta della espressione di una mera
soggezione del cittadino nei confronti dello stato, bensì di doveri che in quanto espressione del
principio di solidarietà abilitano il legislatore a porre ai diritti individuali limiti ragionevoli, a
pretendere che ciascuno si astenga da comportamenti lesivi dei diritti altrui e che contribuisca al
perseguimento dell’interesse generale e del bene comune.
Ecco il carattere inderogabili dei doveri di solidarietà sanciti dall’art. 2: se i singoli non
ottemperassero agli stessi risulterebbe compromessa l’assenza stessa del patto sociale e la vita della
comunità politicamente organizzata.
Nelle costituzioni di matrice liberale cominciano a comparire anche brevi enumerazioni di doveri
pubblici, che fungono da strumenti utili a temperare in chiave sociale i diritti di origine liberale.
2. Il catalogo costituzionale dei doveri;
I doveri sono in alcuni casi espressamente specificati dalla stessa Costituzione (diritto-dovere del
voto, dovere di fedeltà alla repubblica e di osservanza della Costituzione e delle leggi, il dovere
fiscale, diritto-dovere al lavoro e il sacro dovere di difesa della patria).
La costituzione contemplerebbe doveri non immediatamente riducibili al principio di solidarietà,
e la riserva relativa di legge prevista dall’art. 23 stabilisce che “nessuna prestazione personale o
patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” in tema di “fattispecie del dovuto”, e affida
al legislatore la previsione di nuove prestazioni funzionali ad articolare il principio solidarista.
3. La difesa della patria;
L’art. 52 co. 1 stabilisce che “la difesa della patria è sacro dovere del cittadino”. La configurazione
“sacro” sottolinea la condivisione da parte dei cittadini di tale vincolo solidaristico volto alla tutela
della comunità.
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Il comma 2 della medesima disposizione traduce tale dovere nell’obbligo di prestare il servizio
militare “nei limiti e modi stabiliti dalla legge”.
La legge ha riconosciuto il diritto alla obiezione di coscienza introducendo il servizio civile
sostitutivo o alternativo. La Corte costituzionale ha esplicitamente riconosciuto pari dignità tra leva
militare e servizio civile quali strumenti utili a difendere la patria, valorizzando adeguati strumenti di
impegno sociale non armato. Successivamente, venne sospeso il servizio obbligatorio di leva e
introducendo il servizio militare professionale.
4. La partecipazione alle spese dello Stato;
L’art. 53 stabilisce “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva”; specificando di seguito che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
La parola “tutti” fa riferimento a coloro i quali che hanno interessi economici in Italia.
La “capacità contributiva” va intesa quale basilare parametro democratico che richiede sacrifici
economici più significanti a chi ha un reddito più elevato. La previsione costituzionale individua i
tributi quale strumento avente funzione redistributive.
5. La fedeltà alla repubblica;
L’art. 54 sancisce il dovere di fedeltà alla Repubblica, stabilendo “Tutti i cittadini hanno il dovere
di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la costituzione e le leggi”. Il dovere di fedeltà tracciato
dal testo non implica una incondizionata obbedienza consentendo di discostarsi dal volere dei
governanti allorché si traduca in atti contrari ai principi e ai valori consacrati nella carta costituzionale.
La dottrina ha riconosciuto il diritto di resistenza, quale posizioni giuridica in forza della quale i
cittadini devono potersi attivare in difesa delle istituzioni ove la legge si discosti da specifici e
inviolabili precetti costituzionali.
Il dovere di fedeltà si rivolge ai valori fondati l’ordinamento repubblicano così come consacrati nella
costituzione italiana. Particolare declinazione è quella contemplata nell’art. 54 che si riferisce al
dovere di fedeltà dei cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche: “hanno il dovere di adempiere
con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.

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ESTRAPOLATO E SISTEMATO DAI RIASS. DI ALESSANDRA LEONARDI I ALEXIA ROSELLI

Parte terza,
La giustizia Costituzionale

Nel sistema giuridico italiano la Corte Costituzionale è il maggiore organo di garanzia della
Costituzione repubblicana e la sua esistenza è intimamente connessa alla rigidità della nostra
Costituzione. Circa la composizione della Corte costituzionale bisogna fare riferimento all’Art. 135
Cost. il quale stabilisce che la Corte è formata da 15 giudici dei quali 1/3 nominati dal Presidente
della Repubblica, 1/3 nominati dal Parlamento in seduta comune ed 1/3 dalle supreme
magistrature ordinaria ed amministrative: 3 dalla Corte di cassazione, 1 dal Consiglio di Stato e
1 dalla Corte dei conti.
Precedente della corte costituzionale italiana è stata L’Alta Corte della Regione Siciliana,
successivamente soppressa. All’indomani del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, le forze
politiche non erano concordi in merito ai caratteri dell’organo di garanzia del futuro ordine
costituzionale. Solo nel 1955 il Parlamento trovò l’accordo per l’elezione dei giudici di propria
spettanza, il 23 gennaio 1956 la Corte s’insediò.
Per GIUSTIZIA COSTITUZIONALE, s’intende un sistema di controllo giurisdizionale del
rispetto della Costituzione, nonché principale garanzia della rigidità della Costituzione. In Italia è
organizzata su un giudizio successivo, ovvero che investe leggi già in vigore, accentrato in quanto è
l’unico organo a svolgere tale ruolo, indiretto poiché non sono i singoli cittadini ma soltanto i
Giudici a poterla investire.
La Corte, in virtù della potestà di autoregolamentazione, con l’Art. 14 della legge n. 87/1953, si è
data norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale e per quelli d’accusa, un
regolamento generale ed altri regolamenti concernenti uffici e personale.
L’Art. 135 della Cost. ci illustra la COMPOSIZIONE della Corte:
Il numero dei giudici è pari a 15, nominati per 1/3 dal Presidente della Repubblica, per 1/3 dal
Parlamento in seduta comune con scrutinio segreto a maggioranza dei 2/3 dei componenti, ed infine
1/3 eletto dalle supreme magistrature ordinarie ed amministrative.
I giudici sono scelti tra i magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori ordinarie ed
amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno 20
anni di esercizio. Tale composizione della Corte viene definita “ORDINARIA”.
Ma possiamo avere anche la c.d. “composizione integrata” ovvero quando viene integrata per i
giudizi d’accusa nei confronti del P.d.R. da 16 giudici popolari scelti a sorte dalle liste compilate
dal Parlamento.
Una volta nominati i giudici della Corte giureranno nelle mani del Capo dello Stato ed inizierà a
decorrere il loro mandato novennale. Nel caso in cui il giudice volontariamente e
ingiustificatamente, si assentasse per 6 mesi dall’esercizio delle sue funzioni, è prevista la misura
della DECADENZA. Inoltre, vige l’incompatibilità sia con le cariche politiche elettive che con le
professioni o con attività inerenti ad una associazione o partito politico.
ESTRAPOLATO E SISTEMATO DAI RIASS. DI ALESSANDRA LEONARDI I ALEXIA ROSELLI

I giudici NON sono rieleggibili e godono di alcune prerogative quali:


• Inamovibilità → I giudici non possono essere sospesi o spostati se non con decisione della
Corte, presa a maggioranza dei due terzi dei presenti e solo per sopravvenuta incapacità
fisica o civile o per gravi mancanze nell’esercizio delle sue funzioni;
• Insindacabilità → I giudici non sono sindacabili per le opinioni espresse e per i voti dati
nell’esercizio delle loro funzioni;
• Immunità penale → Finchè durano in carica godono della stessa immunità accordata nel
co. 2 dell’Art. 68 della Costituzione ai membri delle due Camere.
• Idonea retribuzione e di diversi vantaggi → Hanno un trattamento economico che non
può essere inferiore a quello di magistrato ordinario investito delle più alte funzioni;
La corte elegge il PRESIDENTE tra i suoi componenti, il quale rimane in carica per 3 anni ed è
rieleggibile. In caso di impedimento, il presidente viene sostituito dal Vicepresidente. Affinchè il
collegio possa validamente operare è necessaria la presenza di almeno 11 giudici, 21 nei giudizi
d’accusa.
Svolge un ruolo di particolare importanza: può porre “nel nulla” leggi ed atti aventi forza di legge,
adottati dagli organi che traggono la propria legittimazione dal consenso popolare.
FUNZIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE Art. 134 → Alla Corte ha il potere di:
• Sindacare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti
aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni;
• Risolvere i conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, sui conflitti di attribuzione tra
lo Stato e le Regioni, sui conflitti di attribuzione tra le Regioni;
• Gestire il giudizio d’accusa contro il Presidente della Repubblica;
• Gestire il giudizio di ammissibilità dei referendum abrogativi.
In base a quanto stabilito nell’Art. 134, quindi può essere chiamata a giudicare in ordine alla
conformità alla Costituzione di una legge o di un atto avente forza di legge in due modi:
• Il GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE attraverso il quale la questione di legittimità viene
proposta direttamente alla Corte costituzionale da parte dello Stato oppure della
Regione (non nel corso del giudizio) ed il suddetto giudizio ha lo scopo di dirimere i
conflitti di competenze legislative tra lo Stato e le Regioni;
• Il GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE il quale si verifica quando un giudice nel corso di
un giudizio (civile, penale oppure amministrativo) ritenendo che la disposizione di legge
oppure l’atto avente forza di legge sia in contrasto con una o più disposizioni costituzionali,
solleva la questione di costituzionalità dinnanzi alla corte costituzionale
Nel GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE, si presuppone lo svolgimento di un processo (requisito
oggettivo) davanti ad un qualsiasi giudice (requisito soggettivo) e se nel corso di questo processo
le parti coinvolte o il giudice d’ufficio stesso, dovessero dubitare della legittimità costituzionale di
una legge o di un atto avente forza di legge, il giudice “a quo”, dopo aver verificato che la
questione proposta sia rilevante (cioè necessaria ai fini della decisione) e non manifestamente
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infondata (cioè dotata di un minimo di fondamento), sospende il processo e investe, con


un’ordinanza motivata, la Corte costituzionale.
Il GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE invece, può essere promosso dagli esecutivi di Stato,
Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano, quando si ritiene che una legge regionale
eccede la sua sfera di competenza oppure può verificarsi quando una regione ritiene che una
legge o un atto avente valore di legge dello Stato (o di un’altra regione) leda la sua sfera di
competenza. Nel caso dell’impugnazione governativa delle leggi regionali in via principale
abbiamo un giudizio di costituzionalità successivo rispetto all’entrata in vigore della legge mentre,
nel caso del giudizio d’incostituzionalità sulle deliberazioni di modifica degli Statuti regionali si
svolge preventivamente rispetto all’entrata in vigore delle stesse.
DECISIONI ADOTTATE DALLA CORTE COSTITUZIONALE
Possono avere la FORMA di un’ordinanza oppure di una sentenza:
• Sentenza quando la Corte costituzionale giudica in via definitiva;
• Ordinanza invece per tutti gli altri provvedimenti di sua competenza;
Le sentenze possono essere di accoglimento oppure di rigetto:
➢ Attraverso le SENTENZE DI ACCOGLIMENTO la Corte costituzionale dichiara
l’illegittimità costituzionale della disposizione o della norma impugnata ed hanno
un’efficacia erga omnes perché eliminano dall’ordinamento la norma impugnata, la
quale cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione;
➢ Attraverso le SENTENZE DI RIGETTO la Corte dichiara infondate le questioni
sottoposte, per cui le suddette sentenze producono degli effetti giuridici vincolanti
esclusivamente per il giudizio a quo poiché, in un periodo successivo, un altro giudice
potrà sollevare la questione di costituzionalità in ordine alla stessa disposizione.
IL CONTROLLO DI COSTITUZIONALITÀ DELLE LEGGI
Il controllo sulle Leggi viene esteso sia ai vizi formali derivanti dalla violazione di norme
procedurali che ai vizi materiali derivati dalla violazione dei limiti espliciti o in via di
interpretazione posti dalla Costituzione. Sono escluse dal sindacato di legittimità della corte le fonti
– fatto. La Corte può quindi sindacare tutte le leggi e gli atti aventi forza di legge direttamente
collegati alle fonti dell’ordinamento generale.
Un caso particolare sono le SENTENZE INTERPRETATIVE di rigetto ovvero quando la corte
dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale, non perché il dubbio di legittimità
sollevato dal Giudice non sia giustificato, ma perché esso si basa su una cattiva interpretazione
della disposizione impugnata.
Nel novero delle SENTENZE DI ACCOGLIMENTO, la dottrina distingue pronunce nelle quali
non si interviene con l’annullamento nella sua interezza della disposizione censurata, ma si incide
“chirurgicamente” al fine di renderla conforme alla Costituzione. Possiamo avere:
• DI ACCOGLIMENTO PARZIALE: solo una parte del testo viene dichiarata illegittima,
“nella parte in cui”;
• ADDITIVE: dichiara illegittima la disposizione nella parte in cui non prevede qualcosa che
andava invece costituzionalmente previsto, “nella parte in cui non prevede”;
ESTRAPOLATO E SISTEMATO DAI RIASS. DI ALESSANDRA LEONARDI I ALEXIA ROSELLI

• SOSTITUTIVE: viene dichiarata l’illegittimità di una disposizione legislativa nella parte in


cui “prevede x anziché y”.
POTERI CAUTELARI DELLA CORTE:
Ha il potere di sospendere l’efficacia dell’atto impugnato, in modo da evitare che, pendente judicio,
possano prodursi effetti dannosi cagionati dall’esecuzione dello stesso atto.
La corte nel decidere deve valutare il fumus boni iuris e periculum in mora: il primo requisito
sussiste laddove l’esecuzione potrebbe produrre gravi danni; il secondo quando, sulla base di una
prima sommaria deliberazione, il ricorso appaia suscettibile di accoglimento. Resta impregiudicata
la possibilità della Corte, in sede di decisione definitiva, di cambiare orientamento in merito alla
fondatezza del ricorso e di discostarsi, dunque, dalla decisione resa in sede cautelare.
I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA I POTERI DELLO STATO:
Sono lo strumento con cui un potere dello Stato può agire davanti alla Corte per difendere le proprie
attribuzioni costituzionali compromesse dal comportamento di una altro potere dello Stato. Per
potere dello Stato non si deve intendere esclusivamente uno dei tre tradizionali (esecutivo,
legislativo e giudiziario) ma deve intendersi anche il complesso di organi concorrenti nell’esercizio
della medesima funzione. Per POTERE devono intendersi tutti i soggetti che hanno un ruolo cioè
una attribuzione assegnata dal testo costituzionale.
Il conflitto può sorgere sia in caso di usurpazione del potere sia per intralcio.
I conflitti di attribuzione, il cui giudizio spetta alla Corte costituzionale ai sensi dell’art. 134 Cost.,
sono di due diversi tipi: i conflitti tra poteri dello Stato (conflitti interorganici) e quelli tra Stato e
Regioni o tra le stesse Regioni (conflitti intersoggettivi).
I CONFLITTI INTERORGANICI - (legge n. 87/1953) Insorgono tra organi statali, cioè tra
articolazioni organizzative appartenenti al medesimo soggetto (lo Stato, appunto) e riguardano
comportamenti (azioni e/o omissioni) o atti lesivi delle attribuzioni costituzionalmente previste.
• Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, non sono ammessi conflitti
meramente ipotetici: è necessario che il comportamento (o l’atto) sia suscettibile di
produrre una lesione concreta dell’altrui attribuzione.
• Per quanto riguarda la legittimazione ad essere parte (attore o convenuto) di un conflitto
interorganico, tale conflitto deve insorgere «tra organi competenti a dichiarare
definitivamente la volontà del potere cui appartengono» (l. n. 87/1953).
La Corte costituzionale, comunque, ha ammesso la legittimazione di una serie di organi che va ben
al di là della tradizionale tripartizione (legislativo, esecutivo e giudiziario) risalente a Montesquieu
(Separazione dei poteri) e che pure, a stretto rigore, non sarebbero organi di vertice: oltre, infatti, ai
singoli rami del Parlamento, al Consiglio dei ministri e ad ogni singolo giudice e pubblico ministero
(con la motivazione che il potere giudiziario costituisce un potere diffuso, cioè non soggetto al
principio gerarchico → Magistratura), sono legittimati a un sollevare conflitto di attribuzione anche
il Presidente della Repubblica, la stessa Corte costituzionale, la Corte dei conti, il Consiglio
superiore della magistratura (nonché la sua Sezione disciplinare), le Commissioni parlamentari di
inchiesta, il Presidente del Consiglio dei ministri (solo per le attribuzioni di rilievo costituzionale a
lui riservate), il Ministro della giustizia, nonché, addirittura, figure esterne allo Stato-apparato,
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come il Comitato promotore di un referendum abrogativo, anche se limitatamente per ciò che
attiene allo svolgimento del procedimento referendario.
• Per ORGANO-POTERE s’intende un organo facente parte di un sistema organizzativo
complesso, che con le proprie determinazioni può impegnare in via definitiva il potere
costituzionale cui appartiene (es. potere giurisdizionale diffuso).
• Per POTERE-ORGANO si intende, invece, un unico organo che non rientra nella tradizionale
tripartizione dei poteri, ma che svolge un’attribuzione costituzionalmente garantita (es. il Capo
dello Stato).
È stata negata, invece, la legittimazione ai partiti politici. Per quanto riguarda gli atti, è stata
esclusa, in linea di massima, la possibilità di sollevare un conflitto di attribuzione nei confronti di
un atto legislativo, con qualche parziale e recente ripensamento da parte dello stesso giudice
costituzionale.
Il conflitto, oltre alle ipotesi-limite di VINDICATIO POTESTATIS, può più frequentemente
assumere le forme di conflitto da menomazione (un potere invade l'ambito di un altro) o da
interferenza (due poteri reclamano la stessa competenza).
Rimane infine da sottolineare come la pronuncia della Corte costituzionale riguardi sia l'atto
impugnato sia, per il tramite di esso, la competenza e l'attribuzione.
I CONFLITTI INTERSOGGETTIVI – (legge n. 87/1953), soggetti legittimati sono lo Stato (nella
persona del Presidente del Consiglio dei ministri o di un Ministro da lui delegato, previa
deliberazione del Consiglio dei ministri), la Regione (nella persona del Presidente della giunta
regionale, previa deliberazione della Giunta regionale), e le Province autonome di Trento e
Bolzano (l. n. 87/1953 e art. 98, co. 2, dello Statuto del Trentino-Alto Adige). Essi insorgono
quando un ente ritiene che l’altro abbia invaso con un suo atto la sfera di competenza assegnatagli
dalla Costituzione. A differenza dei conflitti interorganici, non è ipotizzabile un conflitto
intersoggettivo che abbia ad oggetto un’omissione, benché parte della dottrina sia di diverso avviso:
l’omissione, infatti, può essere valutata solo a condizione di considerarla «atto negativo». Anche in
questo caso, il conflitto deve essere reale e non ipotetico.
È invece escluso che possa essere oggetto di un conflitto intersoggettivo un atto legislativo. Nei
conflitti intersoggettivi, a differenza di quelli interorganici, il ricorso è soggetto al termine
perentorio di sessanta giorni, che decorre dalla notificazione o dalla pubblicazione dell’atto, ovvero
dalla sua avvenuta conoscenza.
Anche nel giudizio che risolve un conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni, così come quello tra
poteri dello Stato, oggetto del giudizio, per il tramite dell'atto, è la competenza, sia in astratto sia in
concreto. Particolare rilevanza presenta, nel giudizio di cui si sta trattando, il problema del
contraddittorio. Soprattutto dopo la riforma del titolo V della Costituzione, infatti, si è riconosciuta
una sfera di competenze anche agli enti locali subregionali, i quali rimangono privi di strumenti di
tutela attivabili presso la Corte costituzionale.

IL GIUDIZIO DI AMMISSIBILITÀ DEI REFERENDUM ABROGATIVO:


L’attribuzione di questo tipo di sindacato alla Corte non deriva direttamente dal testo
Costituzionale. È stato introdotto con la legge cost. 1/1953 che recita “spetta alla Corte
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Costituzionale giudicare se le richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell’art. 75


siano ammissibili ai sensi del co.2 dello stesso articolo”.
Possono partecipare alla discussione orale in camera di consiglio o presentando memorie il
Presidente del Consiglio dei Ministri, i delegati dei consigli regionali proponendi o i presentatori
delle 500.000 firme del corpo elettorale. Il referendum non è ammesso per leggi tributarie, leggi di
bilancio, leggi di amnistia e indulto o per leggi di ratifica dei trattati internazionali. La Corte decide
sempre con sentenza entro il 10 febbraio successivo.
IL GIUDIZIO PENALE SUL CAPO DELLO STATO:
Sono quelle funzioni che la Corte svolge quando deve giudicare le accuse contro il P.d.R.
Quest’ultimo è messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta
dei suoi membri e giudicato dalla Corte Costituzionale in composizione integrata da sedici membri
tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore che il Parlamento
compila ogni nove anni. I Giudici aggregati godono dello stesso status dei membri togati della
Corte.
A seguito della messa in stato d’accusa del parlamento, la deliberazione è preceduta da un’attività di
indagine svolta da un Comitato costituito dai membri delle Giunte per le immunità di Senato e
della Camera che dispone di un termine di 5 mesi prorogabile una sola volta di tre mesi, per
acquisire e valutare il materiale probatorio relativo alla notizia criminis. Al termine dell’attività di
indagine il Comitato può:
• Ritenere palesemente infondata l’accusa e procedere con propria ordinanza
all’archiviazione;
• Presentare una relazione sulla messa in stato di accusa;
• Dichiarare la propria incompetenza nel caso in cui il reato di cui si tratta non rientri tra
quelli previsti dall’art.90 Cost. (ovvero alto tradimento o attentato alla Costituzione).
Sulle conclusioni presentate dal Comitato, il Parlamento in seduta comune procede alla
votazione: il procedimento ha fine se nessuno presenta ordini del giorno favorevoli all’accusa,
altrimenti la messa in stato d’accusa deve essere approvata a maggioranza assoluta dei propri
componenti con l’indicazione degli addebiti e delle prove su cui si fonda l’accusa. In attesa del
giudizio, il P.d.R. può essere sospeso con ordinanza della Corte Costituzionale in via cautelare. La
seconda fase eventuale, si svolge di fronte alla Corte Costituzionale nella sua “composizione
integrata”.
Riassunti Parlamento (Quinta edizione) | ALEXIA ROSELLI

Parte seconda, l’organizzazione della Repubblica


Il Parlamento6
PR* Presidente della Repubblica

1. La struttura bicamerale paritaria del Parlamento italiano;


Il Parlamento è un organo complesso che possiede una struttura bicamerale, infatti si compone da
due organi collegiali: Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica.
La nostra costituzione affida il potere legislativo a due camere elettive, e in Assemblea costituente
venne preferito un meccanismo in cui la seconda camera svolgesse una funzione moderatrice e di
freno nei confronti della prima (X. un sistema unicamerale porterebbe verso una dittatura). La
seconda camera attua un principio di equilibrio nella organizzazione dello Stato, infatti è il motivo
per cui venne scelto un bicameralismo paritario, in cui due assemblee avessero identità e funzioni
(bicameralismo perfetto).
2. Il parlamento in seduta comune;
L’art. 55, co. 2 Cost. prevede che il Parlamento si riunisce in seduta comune, ed essa costituisce una
deroga al principio di bicameralismo. Le funzioni sono (prevalentemente) elettive:
➢ Elezione e giuramento del PR (Presidente della Repubblica);
➢ Messa in stato d’accusa del PR;
➢ Elezioni di un terzo dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte
costituzionale;
➢ La compilazione dell’elenco di 45 cittadini fra i quali estrarre i giudici aggrediti ai fini del
giudizio d’accusa contro il PR;
L’art. 63, co. 2 Cost. spiega che il Parlamento in seduta comune è presieduto dal Presidente della
camera, e che l’ufficio della camera funge da ufficio di presidenza. Si ritiene che il Parlamento in
seduta comune sia un organo a sé stante, cui viene attribuita una autonoma potestà regolamentare.
A norma dell’art. 85, co. 2 e 86, co. 2. il Presidente della camera indice l’elezione del PR, per creare
un equilibrio fra i presidenti dei due rami parlamentari: infatti, il presidente del Senato può ricoprire
il ruolo del PR nel caso in cui egli non possa adempierlo.
Riassunti Parlamento (Quinta edizione) | ALEXIA ROSELLI

Il parlamento in seduta comune è un collegio imperfetto, poiché non è legittimato a discutere prima
di decidere. È ammissibile che l’organo sia chiamato a discutere su questioni di carattere preliminare
o pregiudiziale. Per quanto riguarda le questioni elettorali, si rischierebbe di delegittimare i soggetti
chiamati a ricoprire ruoli istituzionali.
Le camere possono anche “in seduta comune, deliberare di adunarsi in seduta segreta” ovviamente
se prima di deliberare, si sia discusso in merito alla seduta segreta.
3. I procedimenti elettorali;
I sistemi elettorali sono meccanismi giudici che servono a trasformare i voti in seggi, ed è anche il
sistema attraverso il quale i cittadini con il voto, scelgono i loro rappresentati negli enti locali, regioni,
Parlamento europeo e nel Parlamento italiano. Essi si distinguono in:
➢ Sistema elettorale proporzionale: garantisce a tutti i partiti politici un numero di seggi
proporzionale ai voti ottenuti. Infatti, viene rispecchiata la volontà del corpo elettorale, ma i
partiti vengono eccessivamente frammentati e vi è una grave instabilità degli esecutivi;
➢ Sistema elettorale maggioritario: il seggio viene attribuito al candidato che abbia ottenuto
la maggioranza dei voti, incentivando la stabilità politica.
In principio vi era la legge elettorale “porcellum”, che venne dichiarata incostituzionale dalla Corte
e sostituita dalla legge “Italicum” che si basava su un sistema proporzionale, con un premio di
maggioranza da attribuire alla lista che avesse raggiunto almeno il 40% dei voti validi. Se nessuna
lista l’avesse raggiunto, si sarebbe proceduto ad un ballottaggio tra le due liste di maggioranza (vincita
di 340 seggi). La legge prevedeva che i capilista e il voto di preferenza fossero bloccati. La Corte
intervenne, dichiarando:
➢ Il sistema di ballottaggio incostituzionale, poiché lesivo del principio di rappresentatività e di
eguaglianza del voto;
➢ Ragionevole il premio di maggioranza, infatti punta a bilanciare il principio costituzionale
della necessaria rappresentatività con gli obiettivi della stabilità del governo e della rapidità
del processo decisionale;
➢ Compatibile la scelta dei capolista bloccati, cosicché l’elettore possa esprimere due
preferenze;
➢ Incostituzionale il sistema che consentiva al candidato, nel caso di multi candidature, di
scegliere in quale collegio essere eletto. Tale sistema viola il principio di uguaglianza e
personalità del voto.
➢ Invita il legislatore a sostituire il criterio del sorteggio con una regola adeguata e rispettosa
della volontà degli elettori;
L’Italicum è quindi una legge proporzionale, a turno unico, con premio di maggioranza e sistema
misto (capilista bloccati e preferenze). Esso è valido solo per le elezioni della Camera dei deputati,
infatti il Parlamento ha approvato una nuova legge elettorale “Rosellatum” (sia per Camera e sia per
Senato) con un sistema misto di attribuzione dei seggi.
La Rosellatum ha un sistema maggioritario-uninominale e proporzionale: i collegi plurinominali sono
piccoli e assegnano un minimo di due seggi a un massimo di otto, ed ogni partito prende un numero
di seggi in proporzione ai voti ottenuti. Per accedere alla ripartizione dei seggi proporzionali ogni
lista dovrà ottenere il 3% dei voti a livello nazionale, ma solo per il Senato sono ammesse le liste che
hanno raggiunto il 20% dei voti in una Regione.
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Per favorire l’equilibrio di genere, la legge è in linea con l’art. 51 Cost, e prevede che: “nessuno dei
due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60%”.
Il 4 marzo 2018 le elezioni per il rinnovo delle camere, vennero eseguite con la legge elettorale
Rosellatum.
4. La composizione e la durata in carica del Parlamento;
La Camera dei deputati ed il Senato della repubblica durano in carica cinque anni, inizialmente i
deputati erano 630 (12 eletti nella circoscrizione estera) e i senatori erano 315 (di cui 6 nella
circoscrizione estera).
Ma l’8 ottobre del 2019 venne approvata in via definitiva la legge che prevede la riduzione del
numero dei parlamentari: 400 deputati e 200 senatori. Il Parlamento ha approvato la legge del 27
maggio 2019 n. 51 per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero
dei parlamentari, e per rendere neutra la normativa elettorale per le camere.
Come stabilisce l’art. 138 Cost. la legge può essere sottoposta a referendum popolare, solo se entro
tre mesi dalla sua pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o
cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali.
Un quinto dei senatori ha richiesto di sottoporre la riforma al vaglio popolare, ma in relazione
all’emergenza Coronavirus è stato considerato opportuno un differimento all’autunno 2020 del
referendum (inizialmente previsto per marzo). Il referendum si è svolto il 20 e 21 settembre 2020, e
gli elettori si sono pronunciati in maggioranza per il SÌ, portando la riduzione del numero dei
parlamentari in vigore nella prossima legislatura.
La costituzione prevede un numero ristretto di Senatori a vita nominati dal capo dello Stato, ed ai
sensi dell’art. 59 Cost. possono essere nominati senatori a vita “cinque cittadini che hanno illustrato
la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Chi è stato PR è
senatore di diritto e a vita, salvo rinuncia.
Il numero complessivo dei senatori a vita non può essere maggiore di cinque, e una recente modifica
consente ai senatori a vita e di diritto a vita di non entrare a far parte di alcun gruppo, risolvendo il
nodo interpretativo dei cinque senatori di nomina presidenziale come “numero chiuso”.
L’elettorato passivo spetta a tutti i cittadini che abbiano compito nel giorno delle elezioni i 25 anni di
età per la Camera e i 40 per il Senato. Vi sono state delle proposte di leggi costituzionali che vogliono
abbassare il limite di età (18/25), riuscendo a realizzare l’uniformità dei requisiti di elettorato attivo
e passivo per il Senato della Repubblica con quelli già previsti per la Camera.
Secondo l’art. 6, co. 2 Cost. “finché non si riuniscano le nuove camere sono prorogati i poteri delle
precedenti”: le camere scadute sono chiamate a svolgere le loro funzioni in regime di proroga. Esse
sono tenute a compiere atti indifferibili ed urgenti, quali: approvazione della legge di bilancio,
deliberazione dello stato di guerra e il riesame delle leggi rinviate.
La costituzione prevede un obbligo per le Camere, che nel caso di presentazione di decreti-legge per
la loro conversione, sono “appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni”, anche se
sciolte. Fa espresso divieto alle camere scadute o che sono alla fine del mandato di procedere
all’elezione del nuovo PR, affidando così al nuovo parlamento il compito di eleggerlo.
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La costituzione esclude la proroga della durata in carica delle Camere, salvo sia disposta per legge
e in caso di guerra. L’art. 60, co. 1 Cost stabilisce che la “Camera e il Senato sono eletti per cinque
anni”.
Il potere di convocare per la prima volta le camere spetta al PR in una data fissata nel decreto, che
deve avvenire “non oltre il ventitreesimo giorno dalle elezioni”. Le camere si riuniscono di diritto il
primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre, di fatto se una camera si riunisce in via
straordinaria (su iniziativa del suo Presidente, del PR o di un terzo dei componenti) è convocata di
diritto anche l’altra: per consentire il contemporaneo svolgimento dei lavori.
5. I principi che regolano il funzionamento delle Camere;
L’art. 64, co. 2 Cost ammette che “ciascuna delle due camere e il parlamento in seduta comune
possono deliberare di adunarsi in seduta segreta”. La pubblicità dei lavori è garantita con la
pubblicazione degli atti parlamentari: il principio di pubblicità di estende ai lavori delle
Commissioni e nei casi di sedute in sede deliberante e redigente, il Presidente del Senato può disporre
che la stampa o il pubblico siano ammessi a seguire le sedute (in un’altra sede tramite impianti
audiovisivi).
Ai principi di pubblicità e trasparenza si informa l’attività di rappresentanza di interessi svolta verso
i membri della camera, a tal fine è istituito presso l’Ufficio di presidenza un registro di soggetti che
svolgono l’attività di rappresentanza di interessi nei confronti dei deputati (registro delle lobby).
Per quanto riguarda la validità delle deliberazioni prese dalle Camere, la costituzione stabilisce che
“esse non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti e se non sono adottate
a maggioranza dei presenti”: il numero legale per la validità delle sedute è fissato nella metà più uno
degli appartenenti all’organo.
Secondo i regolamenti camerali, il numero legale è sempre presunto ma se si tratta di una votazione
palese, venti deputati e dodici senatori possono chiedere la verificazione del numero legale. Al
quorum della maggioranza, le due camere adottano lo stesso criterio non considerando gli astenuti
come votanti.
La nuova disciplina prevede, per le modalità di voto, la regola del voto palese. Il voto segreto è
un’eccezione concessa solo per:
• Le votazioni concernenti le persone;
• Su richiesta di una minoranza parlamentare per i principi di libertà, famiglia e persona umana;
• Sulle modifiche del regolamento;
• Istituzione di commissioni parlamentari d’inchiesta;
• Leggi ordinarie relative agli organi costituzionali dello Stato;
• Organi delle Regioni;
• Leggi elettorali.
Lo scrutinio palese è obbligatorio per le votazioni alle leggi di bilancio, le leggi connesse ad essa e
le deliberazioni con conseguenze finanziarie. Il voto palese assicura la trasparenza nei rapporti tra
eletti e corpo elettorale: finché i parlamentari si assumano la propria responsabilità pubblicamente.
Questo tipo di voto viene fatto attraverso un dispositivo elettronico, ad esso può essere fatto ricorso
ogni volta sia richiesta la controprova per alzata di mano. La votazione con appello (dispositivo
elettronico) ha luogo nelle votazioni sulla fiducia e sulla sfiducia al governo.
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Le camere devono rispettare il metodo della programmazione: il programma dei lavori viene
deliberato dalla Conferenza dei presidenti di gruppo per un periodo di almeno due mesi. Il presidente
di uno dei due rami, prima di convocare la conferenza, contatta il presidente dell’altra camera ed il
governo, che comunica le proprie indicazioni in ordine di priorità con almeno due giorni d’anticipo
rispetto al giorno della riunione. Il programma contiene l’elenco degli argomenti che la camera
intende esaminare, con l’indicazione del periodo nel quale se ne prevede l’iscrizione all’ordine del
giorno.
È stata introdotta la regola della maggioranza qualificata: alla camera “il programma è approvato
con il consenso dei presidenti dei gruppi la cui consistenza numerica sia pari almeno ai tre quarti
dei componenti della Camera”. Il senato adotta la regola dell’unanimità e se non viene raggiunta il
presidente predispone uno schema da sottoporre all’Assemblea che può votare sulle singole proposte
di modifica.
Il calendario specifica: programma, data/ora delle sedute e gli argomenti da trattare (non si possono
discutere argomenti non inseriti nell’ordine del giorno).

6. L’organizzazione interna delle due Camere. I gruppi parlamentari. Le commissioni


parlamentari e le giunte;
Le camere hanno pari dignità e godono di un potere di auto-organizzazione. L’art. 63, co. 1 attribuisce
a ciascuna di esse il compito di eleggere fra i suoi componenti il Presidente e l’ufficio di presidenza,
mentre l’art. 64 assicura che ciascuna camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta
dei suoi componenti.
Con riferimento alle modalità di elezione dei presidenti, si notano differenze tra le due camere anche
per ciò che riguarda i loro regolamenti:
• Per la Camera dei deputati, l’elezione del Presidente ha luogo per scrutinio segreto a
maggioranza dei due terzi dei componenti, dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza
assoluta dei voti. La previsione di quorum più elevati sembrerebbe rispondere all’esigenza di
assicurare un ampio consenso che provenga anche dalle opposizioni;
• Per il Senato della repubblica, risulta eletto chi detiene la maggioranza assoluta dei voti dei
componenti. Se non si raggiungesse anche nel secondo scrutinio, si passa ad un terzo dove
sarà necessaria la maggioranza dei voti dei presenti. Se sarà negativa anche questa votazione,
si passa ad un ballottaggio per coloro che hanno raggiunto più voti, in caso di parità verrà
eletto il più anziano d’età. Qui prevale l’opportunità di ricoprire quanto prima il ruolo di
Presidenza.
Sono assimilabili i compiti dei due presidenti, infatti si tratta di un ruolo di rappresentanza e di
esternazione della volontà dell’organo. Egli fa osservare il regolamento, dirige la discussione, pone
questioni, stabilisce l’ordine delle votazioni, sovraintende alle funzioni attribuite ai questori e ai
segretari.
Per via della logica maggioritaria e degli effetti di bipolarizzazione, il ruolo di presidente
d’assemblea acquista un nuovo significato: con l’abbandono delle convenzioni istituzionali, le
colazioni politiche uscite vittoriose da alcune consultazioni elettorali, hanno dato vita alla prassi in
forza della quale gli scranni più alti delle Camere vanno ricoperti da esponenti della maggioranza
parlamentare. Infatti, vi sono proposte di riforma per l’introduzione di maggioranze qualificate, per
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evitare che i presidenti siano espressione della sola maggioranza di governo, e quindi vengano scelti
anche dall’opposizione.
I gruppi parlamentari sono organi necessari delle Camere, essi trovano menzione nella costituzione
che stabilisce che: le commissioni competenti devono essere composte in modo tale da rispecchiare
la proporzione dei gruppi parlamentari e che ciascuna camera può disporre inchieste di pubblico
interesse.
Essi costituiscono la proiezione dei partiti politici all’interno delle camere, i regolamenti
parlamentari richiedono una soglia minima per dare vita ad un gruppo, per evitare una eccessiva
frammentazione organizzativa e un dispendio inutile di risorse: 20 deputati e 10 senatori.
I gruppi parlamentari hanno natura giuridica di associazioni necessarie di diritto pubblico, che li
distingue dai partiti politici. Al loro interno si decide la linea politica comune da tenere nei dibattiti e
si procede alle designazione dei rappresentanti nelle commissioni.
I presidenti dei gruppi definiscono il calendario dei lavori delle camere, vengono ascoltati dal capo
dello stato per le consultazioni presidenziali funzionali, alla formazione del nuovo governo.
Il rapporto tra singolo parlamentare e gruppo è importante perché nel caso di inosservanza alla
disciplina del gruppo, il parlamentare resta libero di aderire a un altro gruppo, continuando a svolgere
il suo mandato (art. 67).
Il singolo parlamentare è obbligato ad aderire a un gruppo, chi invece non vuole esprimersi viene
inserito in un gruppo misto. Con lo scopo di razionalizzare il passaggio dei parlamentari, vi è stata
una modifica della camera dove il presidente può autorizzare all’interno del gruppo misto la
formazione di componenti politiche a condizione che ciascuna consista di almeno dieci deputati.
L’assenza di vincolo di mandato ha reso possibile il verificarsi di transfughismo parlamentare,
ossia il cambiamento di partito o di coalizione, che è percepito dal corpo elettorale come un
tradimento della volontà popolare espressa attraverso il voto.
Per arginare questo fenomeno, il Senato ha approvato una modifica in cui si afferma il principio di
corrispondenza tra le liste sottoposte al vaglio elettorale e i gruppi parlamentari che possono essere
costituiti (escludendo la nascita di nuovi gruppi).
Il 20 dicembre 2017 il Senato ha approvato il testo di “riforma organica di regolamento” (proposto
dalla medesima giunta). L’aspetto interessante della riforma è costituito dai requisiti richiesti per la
formazione di gruppi parlamentari:
➢ Deve rappresentare un partito o movimento politico;
➢ Deve presentare alle elezioni del Senato propri candidati con lo stesso contrassegno,
conseguendo l’elezione dei senatori;
➢ Il cambio di gruppo comporta la decadenza delle cariche di presidenza e membri di ufficio di
presidenza delle commissioni permanenti e da quelle di vicepresidente o segretario di
assemblea.
Le commissioni permanenti sono organi necessari, che svolgono funzioni legislative. Esse devono
essere composte in modo da assicurare, tra maggioranza ed opposizione, lo stesso rapporto numerico
all’interno dell’assemblea, in omaggio al principio di sovranità popolare. Le commissioni sono 14
(alla camera e al senato) e si distinguono per ambiti di competenza (es. Giustizia, Affari esteri,
Difesa etc.…).
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Esse si riuniscono in sede referente per l’esame delle questioni sulle quali devono riferire
all’assemblea; in sede consultiva per esprimere pareri; in sede legislativa per l’esame e approvazione
dei progetti di legge; in sede redigente per la formulazione degli articoli di un progetto di legge; per
ascoltare e discutere comunicazioni del governo e per esercitare funzioni di indirizzo, controllo e
informazione.
Hanno una composizione monocamerale, ma esistono al loro interno anche organi bicamerali
formati da un numero uguale di deputati e senatori.
La Costituzione italiana istituisce la sola Commissione delle questioni regionali: viene consultato in
relazione al decreto motivato dal Presidente della Repubblica, che ci si pone per lo scioglimento di
un consiglio regionale o la rimozione del presidente di una giunta regionale.
Il comitato parlamentare per i procedimenti di accusa ha compito di costituire il procedimento
di messa in stato di accusa per alto tradimento e attentato alla Costituzione nei confronti del
Presidente della Repubblica.
Nel tempo sono state istituite per legge ulteriori diverse commissioni bicamerali che hanno la
funzione: vigilanza o indirizzo, vigilanza o controllo, ovvero consultive. Tali commissioni hanno
per carattere permanente, ad esempio, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.
Hanno ‘carattere temporaneo’ le commissioni bicamerali chiamate a dare pareri sui decreti
legislativi predisposti dal Governo.
La Commissione parlamentare antimafia è una commissione bicamerale d'inchiesta, composta
dallo stesso numero di deputati e senatori. Sebbene si tratti formalmente di una commissione
temporanea, ormai ha sostanzialmente assunto le vesti di un organo permanente poiché la sua
istituzione viene rinnovata alla via di ogni legislatura.
Le Giunte sono organi delle Camere. Esse sono composti in proposizione alla consistenza dei
diversi gruppi parlamenta ed hanno compiti assai rilevanti concernenti l'attività dell'organo
parlamentare.
Abbiamo ad esempio: la Giunta delle elezioni e dell’immunità parlamentari o la Giunta per il
regolamento delle Camere.

7. L’ineleggibilità, l’incompatibilità, l’incandidabilità e la verifica dei poteri;


In base all’art. 65 con i casi di ineleggibilità e di incompatibilità, vi è il divieto di appartenere
contemporaneamente alle due camere.
L’ineleggibilità mira ad evitare che il candidato possa influire indebitamente sul diritto di voto, in
forza del ruolo professionale svolto. Le cause di incompatibilità rispondono all’esigenza di vietare il
contemporaneo l’esercizio di funzioni.
La legge prevede l’esclusione di alcune categorie di persone titolari di alcuni uffici (magistrati,
prefetti, vice-prefetti), persone legate allo stato per particolari rapporti economici (in modo da evitare
che il loro mandato interferisca con interessi personali) e persone che abbiano impiego alle
dipendenze di un governo estero (impedire interferenze straniero durante i periodi elettorali).
La rimozione delle cause di ineleggibilità deve avvenire prima del termine fissato per la
presentazione della candidatura, attraverso un atto di volontà dell’interessato, se ciò non avverrà
l’elezione sarà nulla.
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Le cause di incompatibilità possono essere rimosse dal soggetto successivamente all’elezione


(incompatibilità tra senatore e deputato; parlamentare e presidente).
L’istituto di non candidabilità riguarda le elezioni regionali, provinciali, comunali e circostanziali:
causa ostativa alla eleggibilità che colpisce coloro che abbiano subito condanne in via definitiva per
delle fattispecie criminose (mafia, traffico di droga, armi, abuso di potere). La Corte afferma che la
misura di non candidabilità non si applica a coloro che siano stati condannati con sentenza non ancora
passata in giudicato.
La legge anticorruzione ha affermato che non siano temporaneamente candidabili coloro che
abbiano riportato condanne definitive superiori a due anni di reclusione, per delitti che destano
allarme sociale. Questo serve per tutelare i beni di rilievo costituzionale: prestigio delle istituzioni,
buon andamento e la trasparenza della pubblica amministrazione.
L’istituto della verifica dei poteri è previsto dalla norma contenuta nell’art. 66 Cost. dove il termine
per la definizione del giudizio e la procedura per lo svolgimento del contenzioso elettore, sono definiti
dai regolamenti di Camera e Senato.
Il richiamo al Plenum e l’assenza di riferimenti all’organo camerale conferisce la titolarità a
disciplinare la materia del contenzioso elettorale alle assemblee, rafforzandone l’autonomia e trascura
il ruolo che la fonte regolamentare riserva alla giunta per le elezioni. Il completo svuotamento del
diritto di difesa dei soggetti coinvolti nella vicenda elettorale è in contrasto con i principi dell’art. 24
(ampia garanzia alle potenzialità difensive in ogni momento processuale).
Il giudizio sul contenzioso elettorale rappresenta un residuo della concezione tradizionale tendente a
considerare i corpi elettivi giudici delle questioni relative alla loro composizione.
8. Il divieto di mandato imperativo;
L’art. 67 Cost. prevede che il parlamentare rappresenta la Nazione intera, non soltanto gli elettori
del collegio in cui risulta eletto. Ciò conferisce indipendenza dai gruppi di elettori e dal partito
politico.
In virtù del divieto del mandato imperativo, il parlamentare non è tenuto ad obbedire alle direttive
che provengono da partito o dal gruppo parlamentare alla quale ha aderito. I parlamentari “ribelli”
mantengono integro il loro status parlamentare, poiché nessuna norma potrebbe disporre delle
conseguenze a carico del parlamentare, per il fatto di essere andato contro il partito. I regolamenti
parlamentari hanno tutela dei parlamentari dissenzienti rispetto alle posizioni assunte dai loro gruppi,
infatti:
➢ L’art. 84, co. 1 (Reg. Sen) prevede la facoltà di parlare ai senatori che dissentano delle
posizioni del gruppo di appartenenza;
➢ L’art. 116, co. 3 (Reg. Cam) prevede la parola ai deputati che intendono esprimere voto
diverso sulla questione di fiducia.
9. Le prerogative parlamentari e l’indennità;
Lo status di parlamentare indica la posizione di cui godono deputati e senatori in ragione dell’ufficio
che sono chiamati a svolgere. Le previsioni cost. che delineano la guarentigia dei parlamentari, si
pongono in linea di continuità con lo Statuto Albertino.
Si tratta di guarentigie connesse allo svolgimento delle funzioni parlamentari, per assicurare
l’autonomia e l’indipendenza delle Camere contro ingerenze provenienti dall’esterno. La funzione
strumentale, esclude che siano “privilegi”.
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L’art. 68 Cost regola il principio della insindacabilità peri voti dati e per le opinioni espresse dal
parlamentare nell’esercizio delle loro funzioni. Riconosce, il principio di manifestazione di pensiero
in misura rinforzata: i parlamentari godono di una libertà di espressione ampia, cosicché possano
valutare e decidere senza subire condizionamenti. Essi sono esenti da responsabilità civile, penale
ed amministrativa per le opinioni espresse e per i voti dati.
Il regime di irresponsabilità per le opinioni espresse fuori dalle camere, viene invocato quando
sussista un nesso funzionale. La prerogativa riguarda l’occasione in cui le opinioni sono manifestate
in ambito parlamentare e il loro contenuto storico, nel caso di riproduzione all’esterno di quella sede
è necessario che sussista l’insindacabilità, a condizione si riscontri l’identità sostanziale di
contenuto fra l’opinione espressa prima nelle aule, e poi al di fuori di esse.
La corte ha esercitato un controllo interno e sostanziale degli atti di Camera e Senato, giungendo ad
annullare delibere di insindacabilità. Il giudice delle leggi ha stabilito che l’attività svolta in seno agli
organi parlamentari ha l’identica natura di quella svolta nelle altre articolazioni in cui i parlamentari
sono chiamati a svolgere attribuzioni.
La legge ha previsto anche la pregiudiziale parlamentare, e viene affidata alla camera la decisione
per affermare la sussistenza dei presupposti dell’irresponsabilità dei propri componenti in relazione
alle opinioni espresse lesive di diritti altrui.
L’autorità giudiziaria può impugnare la deliberazione camerale, chiedendone l’annullamento alla
Corte costituzionale, qualora ritenga inesistenti i presupposti per dichiarare la prerogativa prevista al
co. 1 dell’art. 68.
La divulgazione di idee prive del requisito della sostanziale corrispondenza può inquadrarsi nella
normale attività di critica politica del parlamento.
L’art. 122, co. 4 prevede l’estensione della prerogativa dell’insindacabilità anche ai consiglieri
regionali che non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati
nell’esercizio della loro funzioni.
L’art. 68, co. 2 e 3 nessun membro del parlamento non può essere:
➢ Sottoposto a perquisizione personale o domiciliare;
➢ Arrestato o privato della libertà personale, salvo che in esecuzione di una sentenza
irrevocabile di condanna (colto in flagranza);
➢ Sottoposto a intercettazioni di comunicazioni, conversazioni e sequestro di corrispondenza.
Nel 1993 è stato abolito l’istituto dell’autorizzazione a procedere, esso subordinava l’avvio del
processo penale a carico del parlamentare alla deliberazione favorevole della camera di appartenenza.
È stata mantenuta l’autorizzazione per limitare la libertà personale e sottoporre a perquisizione il
domicilio del parlamentare.
Nella nuova formulazione dell’art. 68 non è più richiesta l’autorizzazione quando debba darsi
esecuzione ad una sentenza irrevocabile di condanna nei confronti di un parlamentare. La competenza
a decidere sulla richiesta di autorizzazione è attribuita a:
➢ Giunta: svolge funzioni istruttorie, invita il parlamentare a fornire chiarimenti e formula la
proposta di concessione o di diniego dell’autorizzazione;
➢ Assemblea: ad essa spetta la decisione finale, e gode di un margine di discrezionalità e può
disattendere le conclusioni della Giunta.
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Le camere verificano se vi sono intenti persecutori o l’uso distorto della magistratura, che possa
intralciare il normale compimento dell’attività del parlamentare.
L’autorizzazione per sottoporre i parlamentari a intercettazioni, crea delle perplessità, poiché tali atti
sono utilizzati per la ricerca di materiale probatorio e quindi se il parlamentare fosse a conoscenza di
eventuali intercettazioni, egli starebbe attento a ciò che dice/fa. Le intercettazioni possono essere:
• Dirette: disposte su utenza intestata al parlamentare o sulla sua disponibilità;
• Indirette: comunicazioni o conversazioni in cui il parlamentare viene intercettato di
“riflesso”, poiché viene controllato un soggetto diverso che possa “avere informazioni”.
L’art. 69 riconosce ai parlamentari delle “indennità”, dove si mira a superare la concezione elitaria
della partecipazione alla vita politica: in un regime democratico, il legislatore ha l’obbligo deve
consentire anche ai non abbienti l’accesso alle cariche pubbliche e l’esercizio delle funzioni connesse.
La legge n° 1261 ha previsto una indennità di quote mensili (vitalizi) per sterilizzare gli impedimenti
economici all’accesso alla carica di rappresentanza democratica. A luglio del 2018 l’ufficio di
presidenza deliberò il ricalcolo dei vitalizi, percepiti sulla base del sistema contributivo degli ex
parlamentari.
10. I regolamenti parlamentari;
La funzione svolta dei regolamenti evidenzia l’aspetto garantistico del regolare ed imparziale
svolgimento delle attribuzioni delle camere.
L’art. 64, co. 1 dice appunto che ciascuna camera adotta il proprio regolamento a maggioranza
assoluta dei suoi componenti. Si tratta di una riserva di regolamento, espressione dell’autonomia di
cui gode ciascuna assemblea legislativa nei confronti dell’altra e dell’autonomia dell’organo
parlamentare nei confronti degli altri poteri dello stato. Per tale riserva, la legge non può intervenire
a disciplinare l’organizzazione interna e lo svolgimento delle funzioni camerali.
I regolamenti parlamentari sono fonti del diritto che sfuggono ad una collocazione nel sistema
gerarchico delle stesse: la disciplina riservata ai regolamenti parlamentari appare attuativa di
previsioni costituzionali.
Le camere hanno approvato per la prima volta i loro regolamenti nel 1971, e contengono:
• Nella parte prima, norme relative ad organizzazione e funzionamento;
• Nella parte seconda, norme riguardanti il procedimento legislativo e nella parte terza le
disposizioni concernenti le procedure di indirizzo, controllo e di informazione, mozioni,
risoluzioni, interrogazioni, interpellanze;
• In uno specifico capo vengono delineate le procedure di collegamento con l’attività di
organismi comunitari ed internazionali.
Nel 2012 furono approvate modifiche ai rispettivi regolamenti allo scopo di garantire trasparenza e
correttezza nella gestione contabile e finanziaria, disposto che ciascun gruppo approva il rendiconto
annuale e si avvale di una società di revisione legale che verifica che la contabilità sia regolare.
L’erogazione delle risorse finanziarie a carico del bilancio della camera è subordinata all’esito
positivo del controllo delle conformità del rendiconto.
La riforma del regolamento del senato il 20 dicembre 2017, ha modificato 66 articoli su 167, con:
l’introduzione di requisiti stringenti per la costituzione di nuovi gruppi parlamentari; previsione di
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sedute d’aula uniche con la riserva di due settimane al mese dedicate ai lavori di commissione;
previsione di un codice di condotta dei senatori; la regola secondo cui il voto di astensione viene
computato ai soli fini del numero legale e non potrà più essere considerato equivalente al voto
contrario.
I regolamenti parlamentari sono sottoposti al giudizio di legittimità costituzionale, con orientamento
nella direzione di massima salvaguardia delle prerogative dell’organo parlamentare.
Ciascuna camera approva anche regolamenti minori per la disciplina di un settore della sua
organizzazione interna: ad esempio il regolamento interno della giunta delle elezioni alla camera e al
senato il regolamento per la verifica dei poteri.
11. Le commissioni d’inchiesta;
L’art. 82, co. 1 prevede il potere di entrambe le camere di disporre inchieste su materie di pubblico
interesse.
Si tratta dell’unico caso in cui la Costituzione assegna una competenza ad una commissione, l’art. 82
conferisce specifici ad un articolazione interna della camera, allo scopo di assegnare direttamente alla
commissione compiti di natura ispettiva.
Le commissioni possono essere monocamerali o bicamerali, quest’ultime vengono istituite con
legge, in quanto ciò esclude che la decisione di una sola camera ne comporti una revoca. L’istituzione
mediante legge consente di porre a carico dello stato le spese per il suo funzionamento e di prolungare
la durata della commissione anche oltre quella della legislatura.
Per istituire una commissione d’inchiesta è necessaria una determinazione della maggioranza
politica. L’inchiesta costituisce uno “strumento di maggioranza” anche nel caso in cui venga riservato
ad un esponente dell’opposizione il ruolo di presidente. Le finalità dell’inchiesta possono essere:
➢ Legislative: finalizzate all’esame di una materia sulla quale il Parlamento deve intervenire
con legge, assumendo valore conoscitivo;
➢ Politiche: strumentali alla verifica di certi accadimenti anche allo scopo di individuare
responsabilità di soggetti pubblici e privati, eventuali provvedimenti sanzionatori restano
riservati alla autorità giudiziaria.
I poteri delle Commissioni d’inchiesta sono i medesimi di quelli attribuiti all’autorità giudiziaria
(sentire i testimoni etc…). Essa riscontra limiti che derivano dal diritto di alcuni soggetti di astenersi
dal testimoniare o di opporre il segreto per circostanze conosciute per ragioni d’ufficio.
Nel corso del XVIII legislatura sono state istituite: la commissione sul femminicidio, quella sulla
violenza di genere, condizioni di lavoro e sfruttamento e sicurezza nei luoghi di lavoro.

12. Lo statuto dell’opposizione;


L’affermazione di un sistema politico “bipolare” ha inaugurato l’era della democrazia
dell’alternanza, dove maggioranza ed opposizione hanno assunto una connotazione di alterità
reciproca.
Con ciò vi fu la necessità di rielaborare la costituzione con l’intento di destinare uno spazio alle
prerogative dell’opposizione e realizzare un bilanciamento tra i diritti e la valorizzazione del ruolo
dell’esecutivo e della sua maggioranza.
Riassunti Parlamento (Quinta edizione) | ALEXIA ROSELLI

Il ruolo delle opposizioni parlamentari comincia a manifestarsi a partire dalla riforma che ha
introdotto il sistema maggioritario: quest’ultimo ha posto il problema delle garanzie da riconoscere
alla coalizione sconfitta dalle elezioni. Infatti, numerose sono state le leggi tendenti a
istituzionalizzare la posizione e le funzioni dell’opposizione.
L’opposizione trova radici nel sistema britannico, ma laddove la bipolarizzazione non è radicata le
dinamiche politiche non riescono a svilupparsi nell’ottica della rotazione tra maggioranza e
opposizione. In questo caso l’opposizione risulta costituita da un insieme eterogeneo di forze politiche
minoritarie: si parla di opposizioni, alle quali è attribuito il compito di moderare e criticare l’indirizzo
governativo per migliorare le decisioni della maggioranza.
13. La funzione legislativa;
L’art. 70 dice che “la funzione legislativa è esercita collettivamente dalle due camere”: il progetto
o il disegno di legge diviene legge dopo l’approvazione di un identico testo da parte di entrambi i
rami del parlamento.
Se il testo subirà delle modifiche nella seconda camera, dovrà essere nuovamente trasmesso alla
camera di partenza (navetta): trasmissione del testo da una camera all’altra, finché il progetto venga
approvato.
Spetta poi al PR promulgare la legge entro un mese dall’approvazione, la legge verrà pubblicata ed
entrerà in vigore dopo quindici giorni (tranne che la legge richieda un termine diverso).
Il procedimento di formazione della legge prende avvio con l’iniziativa legislativa, l’art. 71 dispone
che essa appartiene al governo, ai membri delle camere, agli organi, enti, popolo, Consiglio Nazionale
e Consiglio regionale. L’iniziativa legislativa del governo gode di maggior rilievo, poiché:
➢ Il governo ha il sostegno della maggioranza parlamentare;
➢ Ha una iniziativa legislativa strumentale all’attuazione dell’indirizzo politico, di cui
l’Esecutivo è responsabile dinanzi alle camere;
➢ La costituzione prevede casi in cui l’esercizio dell’iniziativa legislativa è riservato alla
esclusiva competenza del governo.
L’iniziativa spetta a ciascun parlamentare che può esercitarla individualmente, attraverso una
proposta di legge sottoscritta da più soggetti.
Il corpo elettorale esercita l’iniziativa attraverso una proposta sottoscritta da cinquantamila elettori,
che deve essere presentata a uno dei presidenti delle camere. I regolamenti delle camere, prevedono
che i progetti di legge di iniziativa popolare presentati nella precedente legislatura devono essere
assegnati alla commissione competente, senza ripresentarli.
I consigli regionali esercitano l’iniziativa mediante la deliberazione della proposta del consiglio
regionale e la presentazione alle camere da parte del Presidente della Giunta regionale. Il regolamento
del senato stabilisce che le commissioni competenti debbano iniziare l’esame dei disegni di legge non
oltre un mese dalla trasmissione.
Al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro la Costituzione attribuisce il diritto di iniziativa
legislativa ed il compito di contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale
secondo i principi ed entro i limiti di legge.
Un diritto di iniziativa particolare è tratteggiato dalla disposizione contenuta nell’art. 113: “il
mutamento delle circoscrizioni provinciali e l’istituzione di nuove province sono stabiliti su iniziativa
Riassunti Parlamento (Quinta edizione) | ALEXIA ROSELLI

dei comuni, sentita la Regione”. Tale iniziativa è indispensabile per procedere con legge ordinaria
al mutamento delle circoscrizioni provinciali o alla istituzione di nuove province, integrerebbe una
nuova forma di iniziativa legislativa, anche se non in senso tecnico.
L’art. 72 prevede tre (+ uno) diversi procedimenti di formazione della legge:
Procedura ordinaria: è disciplinata dal co. 1, precisa che ogni disegno di legge è esaminato da una
commissione competente per materia e conclude con l’approvazione di un testo accompagnato da una
o più relazioni (operare in sede referente). La relazione è unica se i componenti convengono sul
medesimo testo e viceversa.
La seconda fase si svolge dinanzi l’assemblea, che comprende:
➢ Discussione del testo: interventi dei relatori per la maggioranza, per la minoranza, il Governo
e un deputato per gruppo;
➢ Discussione degli articoli: esame di ciascun articolo nel complesso degli emendamenti ed
articoli aggiuntivi ad esso proposti;
➢ Votazione sui singoli articoli;
➢ Votazione finale sull’intero testo di legge;
Procedura d’urgenza: La disposizione costituzionale contenuta nell’art. 72, co. 2 rinvia alla fonte
regolamentare per ciò che concerne l’eventualità di adottare procedimenti abbreviati per i disegni di
legge urgenti. È una variante della procedura normale, infatti è abbreviata nel termine dell’esame in
commissione: per la proposta di legge il termine è dimezzato, mentre per i disegni di legge di
conversione dei decreti-legge è ridotto a quindici giorni.
Procedura legislativa di commissione: l’art. 72, co. 3 assegna alle commissioni competenti l’esame
e l’approvazione definitiva dei progetti di legge. Si parla di commissioni che agiscono in sede
deliberante, che si può adottare quando un disegno di legge tratta questioni che non hanno rilevanza
di ordine generale.
Procedura redigente o mista: è prevista dalle fonti normative delle camere. Alla commissione
competente viene affidato il compito di redigere i singoli articoli che compongono il testo di legge
(sede redigente) e:
➢ Alla Camera il plenum dell’assemblea è chiamato per l’approvazione con il voto diretto finale
sul progetto di legge con dichiarazione di voto;
➢ Al Senato il voto dei singoli articoli spetta alla commissione, mentre al plenum è riservato il
voto finale.
Per questa procedura valgono i limiti previsti per la sede deliberante: il limite procedurale, che
attribuisce al Governo e alle minoranze il potere di rimessione del disegno di legge alla camera, fino
al momento della sua approvazione definitiva, al fine di procedere l’approvazione con procedura
ordinaria.
Per particolari leggi viene imposta la procedura ordinaria (materia costituzionale, elettorale,
delegazione legislativa, autorizzazione a ratificare trattati internazionali, approvazione di bilancio e
consuntivi). I disegni di legge di conversione dei decreti-legge e le leggi rinviate con messaggio dal
parlamento, devono essere approvati con procedura ordinaria.
La parte finale dell’approvazione della legge: le leggi approvate vengono mandate dall’ultima camera
al governo, che le trasmetterà al PR che dovrà promulgarle.
Riassunti Parlamento (Quinta edizione) | ALEXIA ROSELLI

Il capo dello stato può rinviare le leggi (insieme a un messaggio dove ne esplicherà i motivi) qualora
riscontri nella legge vizi di legittimità o vizi di merito, questo accade di rado o nei casi di mancato
rispetto dell’art. 81, co. 4.
Se le camere approvano nuovamente il progetto di legge il PR è tenuto a promulgarla, ma se il testo
presentasse aspetti di violazione il PR potrebbe rifiutare la promulgazione sulla base di ipotesi di alto
tradimento o attentato alla costituzione.
La legge subito dopo la promulgazione, munita del sigillo del ministro di giustizia, viene pubblicata
nella Gazzetta ufficiale ed entra in vigore dopo 15 giorni, salvo vi sia stabilito un termine diverso.
14. La funzione di controllo. Le procedure di indirizzo. Le procedure di informazione;
Il nostro ordinamento ha previsto una serie di istituti che consentono alle Camere di esercitare
funzioni di indirizzo e di controllo nei confronti del potere esecutivo.
L’art. 94 esplica che il governo, entro dieci giorni dalla sua formazione deve presentarsi alle camere
per ottenere la fiducia del Parlamento, ciascuna camera accorda la fiducia con mozione motivata e
votata per appello nominale.
La fiducia viene conferita sulla base del programma che il Presidente dei ministri espone in
Parlamento, e definisce le linee di indirizzo politico dell’Esecutivo. L’approvazione della mozione di
fiducia serve ad impegnare la maggioranza parlamentare a collaborare per compiere il programma e
richiamare il governo all’osservanza degli impegni assunti al momento in cui si ottiene la fiducia.
I regolamenti parlamentari disciplinano una serie di strumenti utili alle camere per verificare la
rispondenza dell’atteggiamento del Governo rispetto agli indirizzi espressi nel programma all’inizio
del mandato. L’interrogazione e l’interpellanza sono espressione della funzione di controllo
sull’Esecutivo.
L’interrogazione consiste nella domanda rivolta per iscritto se un fatto sia vero su una informazione
giunta al governo, e se è esatta se il governo intenda comunicare alla camera notizie se abbia preso
provvedimenti o meno.
Le interrogazioni sono poste al primo punto all’ordine del giorno dalla prima seduta nella quale sia
previsto lo svolgimento delle stesse, esse possono essere:
➢ Risposta immediata: hanno luogo una volta a settimana (mercoledì) e vi è una domanda
chiara e concisa su un argomento di rilevanza generale, urgente o di attualità politica. Il
rappresentante del governo deve rispondere entro pochi minuti, e l’interrogante può
dichiararsi soddisfatto o meno della risposta ottenuta. Il governo può anche valersi della
facoltà di non rispondere alla interrogazione;
➢ L’interpellanza: è una domanda per iscritto, e ha una maggiore caratterizzazione politico-
istituzionale, poiché il governo è chiamato a spiegare i suoi comportamenti all’indirizzo
politico perseguito. Se l’interpellante è insoddisfatto può fare una mozione dove si arriverà a
una discussione sulle spiegazioni del governo ed il voto dell’assemblea.
Le mozioni e le risoluzioni sono strumenti con cui le camere svolgono una funzione di indirizzo nei
confronti del governo: mediante la presentazione della mozione è possibile promuovere una
deliberazione dell’assemblea su un determinato argomento. Quando viene approvata, essa vincola il
governo ad operare in modo conforme alla stessa.
Riassunti Parlamento (Quinta edizione) | ALEXIA ROSELLI

La risoluzione presenta analogie con la mozione, ma è diversa perché può essere presentata dal
singolo parlamentare sia in assemblea che in commissione (ultimo caso: dove il governo può chiedere
la rimessione della risoluzione al Plenum).
I regolamenti camerali prevedono strumenti conoscitivi di cui le camere possono usufruire per
disporre indagini dirette ad acquisire informazioni o documenti per l’espletamento delle loro funzioni:
attività alla conoscenza di dati per la quale le commissioni non godono di potere coercitivo nei
confronti ai soggetti terzi che possono decidere di offri la loro collaborazione. L’assemblea e le
commissioni possono anche chiedere ad organi ausiliari di fornire chiarimenti o documenti, di
esprimere pareri nelle materie di loro competenza e ad enti specializzati di compiere rivelazioni,
elaborazioni, studi statistici.
Il governo non è un organo a termine, perché le camere possono porre fine al suo mandato con una
mozione di sfiducia (sanzione nei confronti del governo): la mozione deve essere firmata da un
decimo dei componenti della camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla
presentazione. Ciò obbliga il governo alle dimissioni, insieme al voto contrario di una o entrambe le
camere.
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

II.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

1. Elezione e durata del mandato presidenziale

Ai sensi dell’art 87, il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità
nazionale.
Ad esso è riconosciuto un ruolo di garanzia, moderazione e di stimolo nei confronti degli altri
poteri, nonché raccordo fra gli altri organi ed enti dello Stato.

Il Presidente della Repubblica è collocato dalla Costituzione Italiana “al di fuori dei tradizionali
poteri dello Stato e naturalmente al di sopra di tutte le parte politiche”.

La sua concreta influenza sul funzionamento dell’ordinamento è caratterizzata da un’intensità


elastica (fisarmonica cit.) capace di dilatarsi o di contrarsi a seconda dei momenti storici e degli
equilibri politici del paese.

La Costituzione stabilisce in merito ai requisiti per l’elezione che ogni cittadino che abbia
compiuto 50 anni di età e goda dei diritti civili e politici possa essere eletto. La carica di Presidente
della Repubblica risulta incompatibile con qualsiasi altra funzione.

*Storicamente, la carica presidenziale è stata affidata soltanto a personalità appartenenti al


Parlamento o comunque incarichi di governo.

Il collegio elettorale del Capo dello Stato è rappresentato dal Parlamento in seduta comune che
viene integrato di tre delegati per ogni Regione (1 per la Valle D’Aosta) che hanno lo scopo di
rafforzare la figura del Presidente della Repubblica quale rappresentante dell’Unità Nazionale.
Tuttavia, la loro presenza non appare in grado di alterare la natura istituzionale del collegio
chiamato ad eleggere il Capo dello Stato.
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PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

Ai sensi dell’art 85 per procedere all’elezione del Presidente della Repubblica:


1) Il parlamento in seduta comune in composizione integrata viene convocato dal Presidente della
Camera 30 giorni prima della scadenza del mandato presidenziale.
*Solo qual ora le camere siano sciolte o manchino 3 mesi al naturale scioglimento, le elezioni si
terranno entro 15 giorni dall’insediamento del nuovo Parlamento. Nel frattempo, i poteri del
Presidente in carica saranno prorogati.
2) Non è previsto il preventivo deposito di candidature.
3) Si dà luogo a votazioni a scrutinio segreto senza precedenti dibattiti in aula.
4) Si necessita del raggiungimento della maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti del
Parlamento in seduta comune integrata.
*Nel caso in cui in quorum non si raggiunga subito, la Costituzione richiede la medesima
maggioranza anche nelle seguenti due tornate elettorali. Soltanto a partire dal quarto scrutinio è
sufficiente la maggioranza assoluta (metà+1 degli aventi diritto al voto).
5) Avvenuta l’elezione, il Presidente della Repubblica presta giuramento di fedeltà alla
Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi il Parlamento in seduta comune. In tale
occasione è consueto che il Presidente neo-eletto legga un discorso dinanzi il Parlamento. Si tratta
dell’unico messaggio letto personalmente dal Presidente, infatti, la Costituzione prevede che i suoi
messaggi possano essere soltanto inviati alle Camere.

Per l’adempimento delle sue funzioni, al Presidente è prevista una dotazione finanziaria
determinata per legge.
Inoltre, si è provveduto a definire l’insieme degli Uffici di alta amministrazione di ausilio alla
Presidenza della Repubblica. La struttura amministrativa prevede al suo vertice il Segretario
Generale della Presidenza della Repubblica.
Gli atti attinenti di questo organismo rientrano nell’amministrazione domestica e sono adottati dal
Presidente della Repubblica senza alcun bisogno di controfirma ministeriale.

L’art 85 fissa la durata del mandato presidenziale in sette anni. Resta salva la possibilità di una
rielezione, che si è verificata solo una volta con l’eccezione costituita dall’ex presidente Giorgio
Napolitano (2013).

Oltre alla naturale scadenza del mandato, ulteriori cause di cessazione del mandato presidenziale
sono: la morte del titolare, le dimissioni volontarie, la decadenza (quando cadono i termini
eleggibilità), la destituzione (sanzione accessoria dovuta ad alto tradimento) e l’impedimento

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PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

permanente.
L’impedimento del Capo dello Stato può essere causa di cessazione del mandato presidenziale.
Può essere:
- PERMANENTE: quando ragionevolmente se ne possa dedurre l’irreversibilità (malattia grave ed
invalidante). Il verificarsi di impedimenti permanenti dà luogo alle nuove elezioni indette dal
Presidente della Camera dei deputati.

- TEMPORANEO: situazione reversibile di momentanea impossibilità nell’esercizio delle


funzioni. Ad esempio: visite ufficiali, o malattie temporanee. Il verificarsi di impedimenti
temporanei dà luogo alla ‘supplenza’ esercitata dal Presidente del Senato.

Circa l’accertamento dell’impedimento e della sua natura occorre rifarsi all’esperienza maturata
nel tempo che vede:
- nei casi di impedimento temporaneo: lo stesso Presidente attiva la ‘supplenza’ tramite una vera e
propria delega.
- nei casi di impedimento permanente: la ‘supplenza’ mediante un apposito decreto-legge firmato
dal Presidente della Repubblica e controfirmato dal Presidente del Consiglio. Qual ora il Presidente
per ovvi motivi non possa firmare nulla, si ritiene maggiormente aderente alla Costituzione che
l’intesa fra Presidente del Consiglio e Presidenti delle Camere avvenga dopo un dibattito
parlamentare.

Per quanto riguarda, l’ampiezza e l’entità dei poteri esercitabili dal Presidente del Senato
durante la supplenza, vi sono dottrine differenti cha danno interpretazioni più restrittive da un lato
e articolate dall’altra parte.

Il Presidente della Repubblica (fuori dei casi di destituzione o decadenza) diviene senatore di
diritto e a vita. (può anche rinunciare alla carica in questione).

2. Funzioni ed atti presidenziali: classificazioni e tipologie

Nella sua duplice qualità di ‘Capo dello Stato’ e di ‘rappresentante dell’unità nazionale’, la
Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica l’esercizio di diverse funzioni di garanzia,
controllo, di impulso e di raccordo istituzionale fra tutti i poteri dello Stato.

Per classificare e analizzare la natura dei poteri presidenziali è necessario soffermarsi sulla

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‘titolarità sostanziale’ degli atti formalmente adottati dal Presidente della Repubblica.
Seppur emanati sotto forma di atti presidenziali, i loro contenuti non sempre sono rimessi al Capo
dello Stato.
Possiamo distinguere:
- Atti formalmente e sostanzialmente presidenziali (frutto della volontà del Capo dello Stato)
- Atti solo formalmente presidenziali (che pur emanati dal Presidente della Repubblica sono
imputati ad altri organi costituzionali)

Infine, tra i provvedimenti emanati dal Capo dello Stato, possono evidenziarsi gli atti duumvirali
(o complessi), il cui contenuto è determinato dall’incontro fra la volontà del Presidente e quella di
un altro organo costituzionale.

*Ad ogni modo, tutti gli atti del Presidente della Repubblica sono soggetti per la loro validità, alla
controfirma ministeriale.

2.1 I poteri presidenziali che interessano le attività parlamentari

Le attribuzioni conferite al Presidente della Repubblica che riguardano le attività parlamentari


esprimono la valenza garantista e propulsiva della figura del Capo dello Stato, quale ‘potere
neutro’. Possiamo citare:
- La possibilità di integrare il Parlamento con alcuni componenti scelti dal Presidente della
Repubblica.
*Il Capo dello Stato può conferire la nomina di senatore a vita a cinque cittadini che ‘hanno
illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario’. Questo
potere ha assunto varie interpretazioni nel tempo, a si reputa che non ci possono essere più di cinque
senatori a vita nel totale.
- Il Capo dello Stato ha il compito di indire le elezioni e convocare in via straordinaria ciascuna
Camera.
- Potere di autorizzare la presentazione alle Camere dei disegni di legge deliberati dal Governo.
- Promulgazioni delle leggi, emanazione decreti avente valore legge e rinvio alle Camere dei testi
già inviati per un loro riesame.
*Tanto in sede di promulgazione quanto di emanazione, l’intervento presidenziale vale ad accertare
la regolarità delle procedure seguite e della conseguente entrata in vigore.
*Il Presidente della Repubblica gode del potere di rinvio delle leggi alle Camere, sollecitando una

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PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

nuova deliberazione in materia. Il rinvio può essere applicato solo una volta ed il Capo dello Stato è
legittimato al rinvio della legge alle Camere solo qual ora il testo presenti delle palesi illegittimità
costituzionali o per mancanza di copertura finanziaria. La dottrina prevede che il Capo dello Stato si
possa rifiutare di procedere alla promulgazione di una legge rinviata già la prima volta, qual ora
questa si mostri in netto contrasto con la Costituzione, rendendo la promulgazione da parte del Capo
dello Stato come che esso compie di ‘alto tradimento o attentato alla Costituzione’.

Una sorta di ‘promulgazione condizionata’ a successive modifiche è stata adottata dal Presidente
della Repubblica Napolitano nel 2009 per la legge di conversione ‘decreto-legge sicurezza’

Analogo potere di controllo e di rinvio può essere esercitato in sede di emanazione dei decreti
legislativi. La legge stabilisce che il testo del decreto del Consiglio dei ministri debba essere
trasmesso al Presidente della Repubblica ai fini della sua emanazione almeno ’20 giorni prima della
scadenza’ del termine indicato nella legge-delega.
Prevista, anche in questo caso, il riesame del provvedimento normativo.
Più limitato, sembra essere il controllo presidenziale sui decreti-legge essendo deliberati dal
Governo.

Ai sensi dell’art 87, il Presidente della Repubblica può inviare messaggi alle Camere
escludendo la presenza fisica del Presidente della Repubblica dinanzi alle Assemblee per la lettura
del messaggio. Le Camere possono formulare risposte scritte al messaggio presidenziale oppure
prenderne semplicemente atto.
Il messaggio si può considerare un atto formalmente e sostanzialmente presidenziale ed è oggetto di
controfirma presidenziale.

Assimilabile al potere del messaggio, è la facoltà di esternazione tramite discorsi, interventi,


comunicazioni ecc. Potrebbe considerarsi come una sorta di ‘responsabilità politica diffusa’.

L’art 87 affida al Capo dello Stato il potere di indire referendum con proprio decreto, in seguito
alla deliberazione del Consiglio dei ministri. Successivamente, se il referendum ha un esito positivo
tramite decreto presidenziale dovrà essere proclamata l’avvenuta abrogatio legis e non potrà
posticipare l’esito abrogativo per non più di 60 giorni.

L’art 88 assegna al Capo dello Stato il potere di scioglimento delle Camere. È impossibile
procedere allo scioglimento delle Camere negli ultimi sei mesi del mandato presidenziale tranne che
quest’ultimo periodo coincida al termine naturale della legislatura.
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PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

Al di fuori, della naturale decadenza si può dare luogo allo scioglimento anticipato delle Camere,
tuttavia l’art 88 non dice nulla dei motivi per il quale procedere allo scioglimento. La dottrina e la
prassi costituzione ha individuato:
- scioglimento funzionale: dato da insanabili contrasti fra le due Camere o dalla rappresentanza
parlamentare e il corpo elettorale.
- scioglimento tecnico: ipotizzabile laddove vi è un radicale mutamento della legge elettorale e dei
criteri che suggeriscono l’opportunità di tornare alle urne al fine della creazione di nuove
Assemblee realmente rappresentative del corpo elettorale.
- scioglimento sanzionale: nel caso in cui le Camere tentasse la sovversione per ‘vie legali’
dell’ordinamento costituzionale e dei suoi principi fondamentali.
- auto-scioglimento: laddove il Presidente della Repubblica prenda atto della volontà delle forze
parlamentari di maggioranza di sottoporsi al giudizio elettorale nella speranza di uscirne più
rafforzarti.

Lo scioglimento anticipato solitamente nella pratica viene disposto come extrema ratio
permettendo di configurare il decreto presidenziale di scioglimento come un atto sostanzialmente
complesso.
Il potere di sciogliere le Camere, inoltre, è condizionato nel suo concreto dalla formula elettorale
prescelta.

2.2 Il potere presidenziale di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri

Il ruolo del Capo dello Stato si dirama anche nelle molteplici attribuzioni che si riflettono nel
potere esecutivo.

L’art 92 stabilisce che il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei
ministri e su proposta di questo, i Ministri, raccogliendo il giuramento di fedeltà alla Repubblica,
alla Costituzione e alle leggi.
A causa della stringata formulazione, il potere di nomina dei componenti del Governo è stato
fortemente condizionato dalla prassi e dall’evoluzione politica della forma di governo del nostro
Paese.
- Il primo quarantennio è stato caratterizzato da un parlamentarismo di tipo proporzionalistico,
fondato sull’assoluta libertà dei partiti presenti in Parlamento di creare, dissolvere e modificare le
maggioranze di governo post-elettorale.
In tale contesto, il potere presidenziale di nomina del Presidente del Consiglio e dei Ministri aveva

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PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

ampio margine di intervento nonché una maggiore mediazione fra le forze parlamentari.
- L’evoluzione di una forma di governo in senso maggioritario ha sensibilmente ridotto tale
ruolo di mediazione politica del Presidente della Repubblica che non può che limitarsi a recepire
l’orientamento popolare, nominando Presidente del Consiglio, il leader della coalizione che ha vinto
le elezioni. (consultazioni presidenziali)
Il 2013 ha rappresentato un nuovo equilibrio politico-parlamentare, dovuto alla presenza non più di
due coalizioni ma bensì di tre principali formazioni politiche. Inoltre, vi sono delle nuove riforme
in materia di legge elettorale che in questo caso seguono una linea prevalentemente proporzionale.
Il ruolo delle ‘consultazioni presidenziali’ risulta nuovamente rilevante per consentire la
costituzione di nuove compagini governative e di una maggioranza parlamentare a suo sostegno.
Esempio: Conte I (sostenuto dal Movimento 5 stelle e la Lega).

In ordine al decreto con il quale il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio
sono necessarie alcune ulteriori precisazioni.
Il provvedimento in questione è un atto che viene controfirmato dallo stesso Presidente del
Consiglio appena nominato per due motivazioni in particolare:

1) funge da accettazione della nomina


2) serve ad evitare atteggiamenti di ostruzione da parte del precedente Presidente del Consiglio

La nomina dei Ministri spetta al Capo dello Stato su proposta del Presidente del Consiglio.
Al riguardo, per lungo tempo si era tenuto che tale provvedimento fosse fa considerarsi un atto
formalmente presidenziale ma sostanzialmente governativo ma la prassi ha più volte dimostrato la
natura duumvirale di tale nomina.
A seguito della nomina, come previsto dall’art 93 della Costituzione, il Presidente del Consiglio e i
Ministri prestano giuramento di fedeltà alla Repubblica innanzi al Capo dello Stato.

2.3 Le attribuzioni del Presidente della Repubblica rispetto alla Pubblica amministrazione

Sempre in relazione alla funzione esecutiva ma in rifermento alla polita estera dello Stato, il
Presidente della Repubblica risulta essere titolare di numerose attribuzioni meramente formali e
rappresentative essendo la politica estera assegnata all’indirizzo politico del Governo responsabile
di fronte alle Camere.
Il Capo dello Stato gode:

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PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

- potere di difesa e del comando delle Forze Armate che non ha valore né operativo né
sostanziale ma sta a indicare la preminenza del Capo dello Stato sull’apparato militare che è
vincolato dall’articolo 53 della Costituzione in merito allo spirito democratico della Repubblica.
- la presidenza del Consiglio Supremo Di Difesa permette al Capo dello Stato di avere una
costante e dettagliata informazione sulle questioni attinenti alla difesa nazionale.

Sul piano del rapporto con la Pubblica Amministrazione, l’art 87 comma 7 attribuisce al Capo
dello Stato, nei casi indicati dalla legge, la nomina dei funzionari dello Stato cui conferire i più alti
incarichi di responsabilità.
È da considerare un atto sostanzialmente governativo, al Presidente della Repubblica è riservato
soltanto un controllo relativo alla mera regolarità formale del procedimento di nomina.
Ugualmente da intendersi è il potere di conferire le onorificenze della Repubblica (art.87).

Relativa alla funzione amministrativa esercitate dal Governo, il Presidente della Repubblica gode
del:
- potere di emanare con proprio decreto tutti gli atti amministrativi deliberati dal Consiglio
dei ministri.
- In materia di contenzioso amministrativo, può ricorrere all’emanazione dei decreti che decidono
i ‘ricorsi straordinari’ a lui indirizzati, previa conforme deliberazione del Consiglio di Stato.
- previo parere della Commissione bicamerale per le questioni regionali può emanare lo
scioglimento dei Consigli regionali o rimozione del Presidente delle Giunte regionali.
- scioglimento e rimozione degli organi di vertice degli Enti locali.

2.4 Le funzioni del Presidente della Repubblica relative al potere giurisdizionale

Il Capo dello Stato in materia giurisdizionale preside il Consiglio Superiore della Magistratura
che è un organo di rilevanza costituzionale, preposto all’autogoverno dell’ordine giudiziario.
Gli atti posti in questo caso non sono soggetti a controfirma (molto importante!!).
In qualità del presidente del CSM, il Capo dello Stato è solito conferire un’ampia delega di funzioni
al vicepresidente dello stesso organo (eletto dal collegio fra i componenti laici, ossia tra quelli scelti
dal Parlamento).

Il Presidente della Repubblica emana con proprio decreto ‘atti di nomina e conferimento di
incarichi direttivi a magistrati ordinari, amministrativi e militari’.

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PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

Si tratta soltanto, anche in questo caso, di competenze meramente formali.

Il Presidente della Repubblica ha il potere di concedere la grazia e di commutare le pene.


Esso è frutto di quel risalente potere di concezione da parte del Sovrano. Molto si è discusso sulla
titolarità sostanziale di tale potere, la Corte costituzionale ha riconosciuto il provvedimento di
grazia quale atto sostanzialmente presidenziale. In questo caso, la controfirma ministeriale assume
soltanto la funzione di attestare l’autenticità della provenienza del provvedimento e della sua mera
regolarità formale.

Fra gli atti di competenza esclusiva del Capo dello Stato rientra la nomina dei senatori a vita e dei
giudici costituzionali.
Infine, gode del potere di nominare un terzo di 15 giudici della Corte costituzionale.

3. La controfirma ministeriale e l’irresponsabilità funzionale del Presidente della Repubblica

A salvaguardia della più ampia autonomia del Capo dello Stato nell’esercizio delle sue funzione, il
Costituente ha inteso disegnare un sistema di irresponsabilità giuridica e politica che trova il suo
fulcro nell’artt 89 e 90 Cost.

L’art 89 attraverso la previsione della controfirma ministeriale costituisce il presupposto logico


dell’irresponsabilità funzionale del Capo dello Stato sancita poi nell’art. 90.
L’istituto della controfirma è esteso a tutti gli atti compiuti dal Capo dello Stato nell’esercizio delle
sue funzioni.
A controfirmare l’atto presidenziale dovrà essere non il ministro proponente bensì quello
competente in relazione alla materia trattata.
Le funzioni della controfirma sono:
1) è quella di conferire piena validità ed efficacia giuridica agli atti del Capo dello Stato.
2) permette il trasferimento in capo al Governo della responsabilità giuridica e politica.
3) assolve la funzione di garantire il reciproco controllo fra Presidente della Repubblica e
Governo.
4) impedisce al Presidente della Repubblica di abusare dei suoi poteri adottando atti
illegittimi.

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PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

Gli atti che sfuggono all’obbligo della controfirma ministeriale sono pochi.
Tra questi: le dimissioni del Presidente della Repubblica, il conferimento dell’incarico a formare un
nuovo Governo ed infine gli atti posti in essere dal Capo dello Stato nella veste di Presidente del
CSM o del Consiglio supremo della difesa.

Strettamente legata all’istituto della controfirma è la disciplina dell’art 90 relativa


all’irresponsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue
funzioni con l’eccezione dei casi di alto tradimento e attento della Costituzione.
La Costituzione non dice nulla in ordine alle responsabilità extra funzionali ossia le responsabilità
conseguenti gli atti compiuti quale privato cittadino.
La dottrina ha sempre sostenuto l’improcedibilità ossia l’impossibilità di convenire in giudizio il
Capo dello Stato fino a scadenza del suo mandato. Ciò allo scopo di garantire piena libertà e
serenità do giudizio nell’esercizio delle sue funzioni e di evitare eventuali ed indebite interferenze
da parte dell’ordine giudiziario.

Le Camere avevano approvato la legge ‘Lodo Alfano’ che prevede la sospensione dei processi
penali per le quattro più alte cariche dello Stato, pur con talune garanzie a tutela del diritto di difesa
art. 24 Cost e della ragionevole durata del processo art. 111 Cost.
Tale legge, criticata in dottrina è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale
motivando la propria decisione rilevando, in primo luogo, la violazione dell’art 3 Cost e il mancato
rispetto dell’art 138 Cost.

I reati di “altro tradimento” e di “attentato alla Costituzione” rappresentano le uniche due


eccezioni al principio dell’immunità funzionale del Capo dello Stato.
Nella prassi, non si è, fino ad ora, verificato il caso di un Presidente della Repubblica messo in stato
d’accusa per tali reati. Neanche l’art 90 Cost fornisce elementi utili per delineare i tratti delle due
fattispecie in questione.

Ove si possano configurare tali reati, a norma dell’art 90 Cost, soltanto il Parlamento in seduta
comune, con una votazione a maggioranza assoluta dei suoi membri, potrà deliberare la messa in
stato d’accusa del Presidente della Repubblica, cui seguirà un giudizio penale affidato alla
cognizione della Corte costituzionale. In tale giudizio, la composizione della Corte sarà integrata da
16 giudici popolari estratti a sorte da un elenco predisposto dal Parlamento in seduta comune e
composto di cittadini che posseggono i requisiti per l’elezione al Senato.

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RIASSUNTO “IL GOVERNO” (QUINTA EDIZIONE) l ROSELLI ALEXIA

Parte seconda, l’organizzazione della Repubblica


Il Governo
1. Il ruolo del governo;
Il governo incarna il potere esecutivo, costituisce il vertice della pubblica amministrazione e
definisce l’indirizzo politico amministrativo. È il potere attraverso cui lo stato apparato si manifesta
e svolge le sue attività che garantiscono l’ordinata e pacifica convivenza civile.
Il governo rappresenta l’interlocutore privilegiato delle istituzioni dell’UE, così le decisione assunte
a livello sovranazionale possono tenere in considerazione le esigenze espresse dalle singole realtà
nazionali.
2. Le origini della disciplina costituzionale in materia di governo;
La carta costituzionale italiana presenta una scarna disciplina che riguarda il potere esecutivo, infatti
le disposizioni sono definite a “fattispecie aperta”: disponibili alle integrazioni che provengono dalle
prassi.

Storia: La lacunosità sarebbe addebitabile al “complesso del tiranno”, che fece timore alle forze
politiche del tempo che vollero evitare l’eccessiva concentrazione dei poteri che aveva sentito
l’avvento del regime fascista. Escogitarono la disciplina che permetteva che “in nessun caso la vittoria
di un partito avrebbe determinato l’esclusione delle altre formazioni politiche”.
L’attuale forma di governo parlamentare si caratterizza per il ruolo svolto dai partiti e dal sistema
in esso operante. La costituzione delinea la cornice entro cui i partiti sono chiamati ad operare,
lasciando norme convenzionali a regolamentare le dinamiche di relazione e funzionamento.
3. La formazione del governo;
L’art. 92, co. 2 stabilisce che il PR nomina il PC e i suoi ministri, l’attività precedente alla nomina
costituisce un procedimento: insieme di atti coordinati e tesi alla realizzazione di siffatto obiettivo.
Le attività attraverso cui si perviene alla formazione dell’Esecutivo sono prassi consolidate che
possono essere considerate fonti di fatto: convenzioni o consuetudini costituzionali. Il procedimento
di formazione dell’Esecutivo si può suddividere in quattro fasi:
1) Fase preparatoria: consultazioni presidenziali;
2) Fase costitutiva: conferimento dell’incarico;
3) Fase perfettiva: prevede i decreti di nomina;
4) Fase integrativa dell’efficacia del procedimento: giuramento del PC e dei ministri nelle mani
del PR.

3. 1) Le consultazioni e il conferimento dell’incarico;


RIASSUNTO “IL GOVERNO” (QUINTA EDIZIONE) l ROSELLI ALEXIA

Il procedimento di formazione del governo prende avvio a seguito delle elezioni o dopo una crisi di
governo. In entrambi casi il PC in carica deve recarsi dal Capo dello stato presentandogli le sue
dimissioni, che verranno accettate con riserva e con l’invito rivolto al dimissionario di continuare ad
occuparsi degli affari correnti e dell’ordinaria amministrazione.
A seguito il PR inizia le consultazioni, con ciò prende avvio la formazione del nuovo esecutivo. Le
consultazioni non sono esplicate in costituzioni, ma si ritengono delle consuetudini costituzionali.

Storia: Fino al 1994 le consultazioni costituivano un momento essenziale, dove il PR aveva modo
di rendersi conto delle concrete possibilità che è una maggioranza si potesse creare, e del soggetto al
quale conferire l'incarico. Le indicazioni e suggerimenti ottenuti durante gli incontri lo aiutavano
all'individuazione della personalità politica che avrebbe potuto coagulare attorno a sé un ampio
consenso. L'esecutivo sostenuto da una compagine partitica prendeva il nome di Governo di
coalizione. Il conferimento dell'incarico era vincolato dal raggiungimento di un obiettivo: costituire
un governo che avrebbe potuto ottenere la fiducia delle camere.
In passato, alcuni Esecutivi sono stati definiti i Governi del Presidente, per indicare la maggiore
responsabilità che assumevano nei confronti del capo dello Stato.
A partire dalla XII legislatura, con il nuovo sistema elettorale di stampo maggioritario si
ridimensionò il margine di scelta del PR, il quale non ha potuto fare altro che prendere atto della
volontà espressa dal corpo elettorale.
Dopo le elezioni del 2013 e dell'avvio della XVII legislatura, il sostanziale bipolarismo è stato
superato dalla presenza di tre principali formazioni politiche che si sono contese le preferenze del
corpo elettorale.
Il quadro istituzionale si evolve con la legge Rosellatum, nelle elezioni del 4 marzo 2018 nessuno
schieramento politico ottenuto la maggioranza sufficiente per formare un governo, infatti le
consultazioni acquisirono un ruolo di assoluta centralità.
Le consultazioni hanno un peso politico maggiore quando si apre una crisi di governo, e al PR spetta
il compito di tentare la ricostituzione della maggioranza intorno una nuova personalità politica
(personalità esponente della coalizione uscita vincitrice dalle ultime elezioni). Le personalità che
vengono consultate sono i presidenti delle due camere, i presidenti dei gruppi parlamentari, segreti
ali dei partiti politici e gli ex presidenti della Repubblica. Il coinvolgimento di ciascuna categoria
nella fase preparatoria di costituzione del governo assume un significato diverso:
➢ I Presidenti vengono ascoltati poiché sono a conoscenza degli umori delle camere e la loro
posizione di garanzia li rende idonei ad effettuare valutazioni di ampio respiro;
➢ L’incontro con i capigruppo parlamentari tendono a saggiare le capacità e le volontà di
collaborazione delle forze politiche per addivenire ad una soluzione positiva alla crisi;
➢ La consultazione degli ex capi dello Stato è un gesto di galatea istituzionale, ed offre un punto
di vista qualificato derivante dall' esperienza maturata nello svolgimento del loro precedente
mandato;
Le consultazioni si concludono con il conferimento dell'incarico, ma se lo scenario politico
funzionale alla formazione non risulti chiaro il PR può decidere di assegnare degli strumenti
attraverso i quali egli ottiene informazioni necessarie ai fini della formazione della compagine
ministeriale:
RIASSUNTO “IL GOVERNO” (QUINTA EDIZIONE) l ROSELLI ALEXIA

➢ Mandato esplorativo: attribuito ad uno dei presidenti delle camere e svolge indagini
aggiuntive e articolate;
➢ Preincarico: viene accordato al premier in pectore, affinché tale soggetto possa verificare in
prima persona la disponibilità delle forze politiche a sostenere un'eventuale esecutivo da lui
guidato.
L’incarico viene conferito oralmente e comunicato alla stampa dal Segretario della presidenza della
repubblica.
La fase dell’incarico è indispensabile, poiché depone una prassi consolidata ed i tre fondamentali
principi costituzionali relativi al governo:
➢ Il governo è un organo complesso e non può aversi un premier già nominato e privo di
ministri;
➢ È un organo continuo e non possono aversi interruzione fra il precedente governo e quello
nuovo;
➢ Deve ottenere la fiducia da parte delle camere in un'unica circostanza, cosa che non saprebbe
quella del presidente venisse nominato prima degli altri componenti.
L'incarico viene accettato con riserva e dopo iniziano le piccole consultazioni, che permettono
all'incaricato di predisporre il programma di governo e di formare la lista dei ministri. Il PR non gode
di un vero e proprio spazio nelle decisioni dell'incaricato, ma costituisce una sorta di proposta quasi
vincolante solo quando i soggetti indicati fossero inadeguati a ricoprire l'incarico.
Il PR potrebbe suggerire una scelta differente avendosi di poteri informali, e in queste occasioni i
partiti della coalizione e il presidente incaricato seguono il suggerimento presidenziale, selezionando
una personalità diversa. Il PR non può revocare l'incarico, se non in casi eccezionali:
➢ Trattative prolungate;
➢ Le forze politiche interne alla maggioranza si dissociano dalle scelte dell’incaricato.
Nel caso in cui la prima fase si concluda positivamente, l’incaricato può costruire una Esecutivo: si
reca al Quirinale per sciogliere positivamente la riserva o rinunciare all' incarico (in quest’ultimo
caso il procedimento riprende dall'inizio).
3. 2) la nomina e il giuramento dei componenti del governo;
I decreti di nomina del PC e i ministri integrano la terza fase. In tale momento viene emanato il
decreto di accettazione delle dimissioni del precedente governo.
Viene destituito l’esecutivo precedente, le cui dimissioni erano state accettate con riserva dato che
l’avvicendamento fra la vecchia e la nuova compagine governativa deve avvenire senza soluzione di
continuità.
Ai sensi dell'art. 93 il PC ed i suoi ministri presentano giuramento nelle mani del PR. Il nuovo
governo assume così le sue funzioni ed entro dieci giorni deve presentarsi alle camere per chiederne
la fiducia.
4. Il rapporto di fiducia con il Parlamento;
Il rapporto di fiducia che unisce il governo alle camere costituisce l'ossatura della nostra forma di
governo parlamentare.
RIASSUNTO “IL GOVERNO” (QUINTA EDIZIONE) l ROSELLI ALEXIA

L'art. 94 co. 1 dice che il governo deve godere della fiducia da parte di entrambe le camere, ma se il
legame fiduciario dovesse venir meno il governo si troverebbe privo del sostegno politico, e dopo le
dimissioni il PR si troverebbe davanti due alternative:
➢ Se vi sono ancora i margini per la formazione di un nuovo governo, conferirà l'incarico a un
soggetto che potrebbe ottenere la fiducia;
➢ In caso contrario, egli procederà con lo scioglimento delle camere.

4.1) Il governo in attesa della fiducia;


Si dice che il governo in attesa di fiducia sia nella stessa posizione del governo dimissionario, ma non
è così.
Il governo nominato dal PR attende che la procedura di conferimento della fiducia si concluda
positivamente e gode di uno spazio di manovra maggiore. Esso può compiere alcuni atti di notevole
importanza: approva il programma di governo, delibera la nomina dei sottosegretari di Stato e del
vicepresidente, la presentazione dei disegni di legge, l'adozione di decreti legislativi in scadenza, la
deliberazione del decreto-legge in casi di urgenza. Se la fiducia non dovesse essere accordata non
vanificherebbe l'attività svolta.
Invece il governo dimissionario assiste a un depotenziamento del proprio ruolo, infatti viene
chiamato al disbrigo degli affari correnti e allo svolgimento delle attività di ordinaria amministrazione
nel rispetto del principio di continuità del funzionamento degli organi pubblici.
4.2) Il conferimento della fiducia;
L’art. 94 prevede che entro 10 giorni il governo si presenta alle camere per ottenere la fiducia.
La carta costituzionale non fa riferimento al programma di governo anche se esso costituisce un atto
di primaria importanza, poiché il governo fissa in esso gli obiettivi che intende raggiungere e che
devono essere resi noti alle camere e al paese.
A seguito del voto di fiducia il programma costituisce l'indirizzo politico dello Stato, la sua
presentazione avviene dinanzi all' uno e all'altra camera (per evitare la duplicazione del discorso del
PC).
Il dibattito si conclude con l'approvazione della mozione di fiducia, che deve essere motivata e votata
per appello nominale. Con il voto palese sulla fiducia si rendono note all' opinione pubblica le ragioni
del consenso parlamentare: ciascun parlamentare è chiamata ad esprimere la propria posizione
favorevole o contraria.
La carta non dice nulla con riferimento al quorum, è sufficiente che la mozione di fiducia venga
approvata dalla maggioranza semplice, fermo restando il quorum strutturale della metà più uno dei
componenti.
La fiducia integra il procedimento di formazione del governo, dopo aver ricevuto il voto favorevole
di entrambi i rami del Parlamento.
4.3) Le alterne vicende del rapporto di fiducia: la crisi di governo;
L'esistenza del governo dipende dal mantenimento della relazione fiduciaria, infatti le crisi di
governo nascono da una frattura tra governo e maggioranza parlamentare. Si possono verificare:
RIASSUNTO “IL GOVERNO” (QUINTA EDIZIONE) l ROSELLI ALEXIA

➢ Crisi parlamentari: sono riconducibili all' approvazione di una mozione di sfiducia da parte
delle camere, ed il governo è costretto a rassegnare le dimissioni nelle mani del PR;
➢ Crisi extraparlamentari: si aprono a seguito di una crisi politica interna alla maggioranza,
dove l'esecutivo si dimette volontariamente senza un passaggio parlamentare.
La costituzione prevede che la mozione di sfiducia sia firmata da almeno 1/10 dei componenti e
venga messa in discussione non prima dei tre giorni dalla sua presentazione.
Il tempo tra la presentazione della mozione e la votazione, permette una riflessione da parte dei
parlamentari: finalizzata a impedire gli assalti alla diligenza (colpi di mano da parte
dell'opposizione), che potrebbe sfruttare l'assenza di numerosi esponenti e ottenere la
defenestrazione del governo.
La votazione per appello nominale impedisce che i parlamentari sfruttano il paravento del voto
segreto e possano minare l'esecutivo senza assunzione di responsabilità nei confronti dell'elettorato
(si devono rendere note le ragioni per le quali si intende sfiduciare il governo).
L’art. 94 co. 4 prevede che il voto contrario di una di entrambe le camere non comporti l'obbligo di
dimissioni. Si è voluta correlare la sfiducia alla mozione approvata, così che un incidente di percorso
non determini una crisi.
Se le camere rifiutano le proposte del governo o vengano rigettati disegni di legge, l'esecutivo
dovrebbe prendere coscienza della rottura del legame fiduciario e comportarsi di conseguenza.
Le ipotesi di crisi extraparlamentari non possono considerarsi incostituzionali, poiché si sono
verificate nel corso degli anni, le cause sono ricondotte: all' interruzione degli equilibri politici, al
ritiro dell'appoggio di un partito che fa parte della compagine, l'insuccesso della maggioranza che può
indurre il governo a riflettere sull'effettivo sostegno da parte del core pettorale.
I ripetuti dissensi su molteplici disegni di legge potrebbe rappresentare una manifestazione di non
gradimento, oppure è possibile che il governo non ottenga la fiducia iniziale ed è tenuto a rassegnare
le dimissioni.
Diverse sono le dimissioni che il governo presenta al momento dell'avvio di una nuova legislatura: se
viene confermata la stessa maggioranza si tratta di un mero dovere di correttezza costituzionale,
mentre se i rapporti di forza all'interno del Parlamento dovessero registrare cambiamenti si configura
un vero e proprio obbligo giuridico.
Rispondono a un canone di galateo costituzionale le dimissioni che il governo presenta al neo eletto
PR, volendo rappresentare il PR nella pienezza dei suoi poteri, dove egli è tenuto a respingere dato
che non vi è stata interruzione del legame fiduciario.
La minaccia delle dimissioni è sempre stata utilizzata come un'arma da parte del Premier per indurre
il governo ad assecondare la sua linea politica, questo deve fungere da extrema ratio. La morte o
l'impedimento permanente è una causa automatica di crisi di governo dato l'insostituibile ruolo del
premier.
In tutti gli anni i PR hanno teso a parlamentarizzare la crisi, cioè hanno invitato i governi
dimissionari a presentarsi dinanzi alle camere per spiegare i motivi della rottura e sollecitare un
confronto, per rendere note, anche alle collettività, le ragioni che hanno determinato il contrasto tra
Parlamento e governo.
4.4) Il rimpasto, la sfiducia individuale e la revoca;
RIASSUNTO “IL GOVERNO” (QUINTA EDIZIONE) l ROSELLI ALEXIA

Il rimpasto avviene quando uno o più ministri vengono sostituiti, mantenendo inalterata la struttura
complessiva essenza aprire una crisi di governo.
Il rimpasto ministeriale scaturisce da una verifica di maggioranza promossa dal PC, invece sul piano
politico può nascondere una debolezza del governo che si manifesta se si ripetono più volte nell'arco
di uno stesso mandato.
L’art. 5 della legge n. 400/1988 obbliga il premier a comunicare alle camere ogni mutamento
intervenuto nella composizione di governo, ed è opportuno far seguire tale avviso da un voto di
fiducia.
La linea di demarcazione tra rimpasto e crisi di governo è assai labile, infatti vi possono essere
differenti situazioni:
➢ Quando più ministri decidono di rassegnare le dimissioni contemporaneamente, se la
relazione di fiducia sia integra ci si troverebbe dinanzi a un mero rimpasto o altrimenti ad una
crisi di governo;
➢ Se un componente dell'esecutivo rassegna il mandato per ragioni personali, il rimpasto
costituisce un rimedio ottimale per evitare la crisi;
➢ Se invece uno più ministri si dimettono per ragioni politiche la crisi è inevitabile;
➢ Se invece i dimissionari fossero così tante da modificare l'equilibrio politico del governo
l'apertura della crisi della crisi risulterebbe quasi obbligata.
La sfiducia individuale è quel passaggio parlamentare che colpisce il singolo componente
dell'esecutivo, costringendolo a lasciare l'incarico. La presentazione e l'approvazione della mozione
da parte delle camere avviene con le stesse modalità previste per la “sfiducia collettiva”. Appare,
però, difficile tracciare una netta linea di demarcazione: il biasimo nei confronti di un componente
dell'esecutivo potrebbe trasformarsi facilmente nella critica verso l'intero governo.
(unico caso di sfiducia individuale verso un ministro risale al 1995- Filippo Mancuso messo in cattiva
luce dalle indagini mafiose e di Mani Pulite e fu accusato di avere un atteggiamento persecutorio
verso la Magistratura)
La sfiducia individuale potrebbe poi essere considerata un rimedio alla mancata previsione di un
esplicito potere di revoca da esercitarsi nei confronti del ministro dissenziente. Il potere di revoca
sarebbe implicito nel “potere di nomina”, mentre per altri non potrebbe essere desunto dal testo. Ma
comunque molteplici sono le carte costituzionali che hanno previsto siffatto istituto: l'Italia lo aveva
prima nello Statuto Albertino e poi nella legge fascista.
4.5) La questione di fiducia;
In alcuni casi è il governo a suscitare un voto che lo costringerebbe alle dimissioni: cioè la questione
di fiducia, disciplinata dai regolamenti camerali.
Il governo assume l'iniziativa e dichiara che farà dipendere la propria permanenza in carica
dall'approvazione di un atto all'esame del Parlamento, la questione può essere posta su
provvedimenti di diversa nature, come: un articolo o un disegno di legge, una mozione o risoluzione
(non può esserci una proposta di inchiesta parlamentare).
L'oggetto della fiducia costituisce un momento essenziale per il per la realizzazione del programma
di governo. Questa è stata utilizzata dagli esecutivi per restare in carica, poiché il governo rivendica
la propria responsabilità nell'attuazione dell'indirizzo politico e impone una verifica alla propria
maggioranza in Parlamento, inducendola mostrarsi compatta e coesa attorno a delle scelte concordate.
RIASSUNTO “IL GOVERNO” (QUINTA EDIZIONE) l ROSELLI ALEXIA

La fiducia comporta alcuni vantaggi: la votazione per appello nominale, viene bloccata alla votazione
degli emendamenti e viene utilizzata come tecnica anti ostruzionistica.

5. La composizione del governo e i rapporti intercorrenti tra organi;


Il governo è un organo costituzionale complesso costituito da più organi. L’art. 92, co. 1 sancisce
che esso è composto dal PC e dai ministri.
L’art. 95, co. 3 rinvia alla fonte primaria che provvede più specificamente all' ordinamento della
presidenza del consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei ministeri.
I principi basilari per cogliere appieno le relazioni che si instaurano fra le componenti essenziali del
governo sono tre: la monocraticità (PC), la collegialità (ministri) e l'autonomia ministeriale.
La lettura delle norme costituzionali emerge una posizione differenziata del PC, il quale dotato dal
potere di incidere sul Consiglio dei ministri. Il premier esercita in via esclusiva alcuni poteri:
convoca la seduta, determina all'ordine del giorno e conduce la riunione. Esso detiene il potere di
aprire la crisi, attraverso la minaccia delle sue dimissioni.
Al Consiglio dei ministri viene riservata la competenza a deliberare sugli atti più importanti e sulle
linee di politica generale. Ai ministri è conferita la cura di uno specifico ambito del pubblico interesse.
Infine, su tutto si eleva l'opera di reductio ad unum del premier, attraverso il potere d'impulso,
direzione e raccordo.
Il principio collegiale e l'autonomia ministeriale si realizzano in maniera diversa, a seconda degli
equilibri complessivi del sistema, dalla compattezza della coalizione e del grado di autorevolezza del
PC.
5.1) Il presidente del Consiglio dei ministri;
Secondo l’art. 95 il PC dirige la politica generale del governo e ne è responsabile, mantiene l'unità di
indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri.
Il premier ha compiti direzionali la cui concretizzazione è fondamentale affinché l'esecutivo possa
svolgere correttamente le proprie numerose attività. Esso impartisce direttive politiche ed
amministrative in attuazione delle deliberazioni del Consiglio dei ministri. La locuzione “direttiva”
evita di gerarchizzare il rapporto con i ministri.
Il PC gode del potere di manifestare all'esterno gli indirizzi politici generali del governo,
concorda con i ministri le pubbliche dichiarazioni che essi intendono rendere ogni qual volta e che
possano impegnare la politica generale del governo. Spetta al premier e l’approvazione e la diffusione
dei comunicati sui lavori dei singoli consigli.
Il PC incentiva l’adozione delle decisioni da parte dell’organo collegiale, promuovendo
l’individuazione dell’indirizzo politico governativo: egli può sospendere l’adozione di atti in ordine
a questioni politiche ed amministrative, sottoponendoli al CDM (consiglio dei ministri), poiché
stabilisca le direttive alle quali i comitati debbano attenersi.
RIASSUNTO “IL GOVERNO” (QUINTA EDIZIONE) l ROSELLI ALEXIA

I poteri presidenziali imprescindibili sono:


➢ L’informazione su ogni iniziativa ministeriale capace di interferire con la politica governativa
che deve essere previamente illustrata al Premier;
➢ La possibilità di sospendere queste iniziative;
➢ La decisione sull’avocazione o la rimessione delle decisioni al collegio dei ministri.
Il premier può promuovere verifiche sul funzionamento sul funzionamento dei pubblici uffici e anche
relazioni e verifiche amministrative.
Il PC rappresenta l'intero governo in molte circostanze, come:
• In sede di dichiarazioni programmatiche;
• Di sottoposizione della questione di fiducia alle camere;
• Di controfirma delle leggi e degli atti aventi forza di legge e di contratto con il PR;
• Di instaurazione dei giudizi di costituzionalità e di relativo intervento;
• Di assunzione delle decisioni proprie del governo nei procedimenti legislativi salvo gli
emendamenti che modificano in misura rilevante il disegno di legge o incidano sulla politica
generale del governo (approvati la l'organo collegiale).
Al premier vengono riconosciute attribuzioni concernenti la direzione dell'organo collegiale:
dispone del potere di fissare la data delle riunioni del consiglio, di redigere l'ordine del giorno e di
individuare gli argomenti da trattare.
Il PC presiede le conferenze permanenti per i rapporti fra lo stato, le regioni e gli enti locali e poi
istituire speciali comitati di ministri con funzioni istruttorie.
Egli gode di importanti compiti in materia di sicurezza nazionale e presiede il Comitato
interministeriale per la sicurezza della Repubblica, per lo svolgimento di funzioni di consulenza,
proposta e deliberazione sugli indirizzi e sulle finalità generali della politica dell'informazione per la
sicurezza.
Sul sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica vigila il Comitato parlamentare per
la sicurezza della Repubblica, un organo bicamerale composto da 5 deputati e 5 senatori. Esso è stato
istituito per garantire che il sistema di informazione svolga le proprie attività, ed è dotato di poteri di
controllo e di molteplici funzioni consultive, svolge: audizioni del PC che tenuta a trasmettere una
relazione sull'attività dei servizi di informazione e di sicurezza.
La sede istituzionale del PC si trova dal 1961 a Palazzo Chigi, la presidenza del consiglio è composta
da numerosi dipartimenti, uffici e servizi ed è dotata di autonomia contabile e di bilancio, oltre che
organizzativa.
5.2) Il Consiglio dei ministri;
Il Consiglio dei ministri è titolare delle funzioni governative: esso determina la politica generale del
governo e l'indirizzo generale dell'azione amministrativa, delibera su ogni questione relativa
all'indirizzo politico fissato dal rapporto di fiducia. Si può dire che ogni deliberazione assunta
dall'organo collegiale incide sulla politica generale del paese.
La figura del premier dirige la politica generale del governo, mentre il CDM determina una
significativa funzione decisoria, le sue attribuzioni sono numerose:
RIASSUNTO “IL GOVERNO” (QUINTA EDIZIONE) l ROSELLI ALEXIA

• Decisioni politiche: delibera sulle dichiarazioni relative all' indirizzo politico, impegni
programmatici e alle questioni su cui il governo chiede la fiducia al Parlamento;
• Attività normativa: nel libere disegni di legge e le proposte di ritiro del disegno di legge già
presentati, adotta i decreti legislativi ed i decreti-legge;
• Politica internazionale ed euro unitaria: il consiglio determina le linee di indirizzo e
delibera i progetti dei trattati e degli accordi internazionali di natura politica o militare;
• Rapporti con le Regioni: individua le direttive da impartire tramite il commissario del
governo per l'esercizio delle funzioni amministrative delegate alle regioni;
• Rapporti con le confessioni religiose: decide gli atti concernenti i rapporti tra lo stato e la
chiesa cattolica;
• Pubblica amministrazione: conferisce le nomine alla presidenza di enti, istituzioni e aziende
di carattere nazionale; delibera sulle determinazioni concernenti l'annullamento straordinario
degli atti amministrativi illegittimi, previo parere del Consiglio di Stato e anche della
commissione parlamentare per le questioni regionali.
L’organo collegiale delibera la nomina di un o più vice presidenti del consiglio e dei Commissari
straordinari del governo, esso deve anche essere sentito per la delega di funzioni ai ministri senza
portafoglio, per la nomina dei sottosegretari e per l'attribuzione di incarichi speciali a uno o più
ministri.
Il consiglio è dotato di un regolamento interno che fissa le modalità di inserimento dei
provvedimenti e delle questioni che i ministri intendono proporre all'ordine del giorno, esso descrive
il contenuto dei processi verbali e contiene la disciplina del seguito delle iniziative del Consiglio dei
ministri.
È lo stesso regolamento a sancire l'obbligatorietà della partecipazione dei ministri alle riunioni
del consiglio, salva vi sia un impedimento motivato e in casi di non partecipazione.
Le riunioni sono presiedute dal premier, dal vicepresidente, dai presidenti delle Regioni a statuto
speciale e dalle due province autonome: prendono parte alle sedute con voto consultivo, qualora
venissero trattate materie di loro interesse.
Nessun sottosegretario di Stato ha titolo per partecipare alle sedute, tranne il Sottosegretario alla
presidenza del consiglio che esercita le funzioni di segretario del collegio.
5.3) I ministri;
I ministri sono posti al vertice dei ministeri, ossia degli apparati in cui è suddivisa la pubblica
amministrazione. Per essere nominati bisogna essere un cittadino che goda dei diritti politici (nel
nostro paese frequentemente viene nominato ministro un soggetto che già membro del Parlamento).
In momenti di crisi in Italia vengono costituiti dei governi tecnici composti da ministri competenti
nei settori loro assegnati.
Vi sono anche i ministri senza portafoglio che esercitano funzioni loro delegate dal PC, possono
rivestire incarichi di rilevanza e si avvalgono delle strutture amministrative della presidenza del
consiglio e degli uffici di diretta collaborazione. Si possono individuare due categorie di ministri
senza portafoglio:
• Incarico di stampo politico: ad esempio il Ministro per i rapporti con il Parlamento che
provvede agli adempimenti riguardanti assegnazione la presentazione alle camere dei disegni
di legge ed assicura l'espressione unitaria della posizione di governo;
RIASSUNTO “IL GOVERNO” (QUINTA EDIZIONE) l ROSELLI ALEXIA

• Funzioni complesse: che gli sono stati conferiti dal premier, come per esempio il Ministro
della funzione pubblica, i quali gestiscono settori di particolare rilievo.
Il PR, su proposta del PC, conferisce al premier stesso o ad un ministro l'incarico di reggere ad
interim un dicastero, per diminuirne l'utilizzo a casi di reale e provvisione necessità, e per evitare la
concentrazione di poteri nelle mani di un solo soggetto.
5.4) Gli organi costituzionalmente non necessari;
a) vicepresidenti del Consiglio dei ministri;
Il CDM può nominare uno o più vicepresidenti su proposta del PC, essi servono a supplire il premier
quando è assente o in impedimento temporaneo. Non vi è alcuna ipotesi di sostituzione in caso di
morte, impedimento o dimissioni.
La carica è nata per garantire rilievo al secondo partito della coalizione, ma nel caso in cui il governo
dovesse essere guidato da un'esponente di partito minoritario, essa permetterebbe la maggioranza di
vigilare sull'operato del premier.
b) Sottosegretari;
I sottosegretari di Stato sono i più stretti collaboratori dei ministri o del premier, e coadiuvano il
ministro ed esercitano i compiti ad essi delegati con decreto ministeriale pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale.
Essi possono intervenire ai lavori parlamentari, ossia sedute delle camere delle commissioni
parlamentari, purché sostengano la discussione in conformità alle direttive del ministro. Essi possono
rispondere ad interrogazioni e interpellanze.
Fra i sottosegretari distingue il Sottosegretario di Stato della presidenza del consiglio, ottiene
l'incarico previo assenso del Consiglio dei ministri, le funzioni che svolge sono di: segretario del
Consiglio dei ministri, cura la verbalizzazione e la conservazione del registro delle deliberazioni e
dirigere l'ufficio di segreteria del Consiglio dei ministri, insieme a dipartimenti uffici.
c) Viceministri;
Invece i ministri hanno questo titolo solo nel caso in cui siano state loro conferite deleghe ampie,
relative all'intera area di competenza di una o più strutture di direzioni generali di un ministero. Essi
possono essere invitati dal PC a partecipare alle sedute del consiglio per riferire su argomenti e
questioni attinenti alla materia loro delegata.
d) Alti commissari e commissari;
Gli alti commissari sono figure che appartengono di più al passato ed erano attribuite loro
considerevoli responsabilità in ambito amministrativo, venivano chiamati allo svolgimento di
specifici compiti di natura contingente.
Essi potevano considerarsi organi governativi e il loro ruolo compare oggi nei Commissari
straordinari del governo, che vengono nominati al fine di realizzare obiettivi determinati in relazione
a programmi o indirizzi deliberati dal Parlamento o dal consiglio o per particolari e temporanei
esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali.
Il procedimento di nomina della natura di organi straordinari e temporanei, cioè non assumono
responsabilità di tipo governativo. L’incarico viene conferito per un tempo determinato ed è
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suscettibile di proroga o di revoca. L'attività dei commissari è sottoposta a monitoraggio da parte


delle camere.
e) Comitati interministeriali e Consiglio di gabinetto;
I comitati di ministri e interministeriali sono veri e propri organi collegiali governativi, composti dai
ministri con l'assistenza di tecnici ed esperti.
I comitati di ministri sono organi con funzioni consultive e preparatorie e possono essere costituiti
con un decreto dal PC.
Ai comitati interministeriali sono conferite funzioni deliberative e competenze di indirizzo che
necessitano di una legge istitutiva.
Si distingue il consiglio di Gabinetto, organo di supporto politico del PC, che esercita su di esso
poteri di direzione e organizzazione.
6. Le funzioni del governo;
6.1) L’indirizzo politico;
Il governo incarna il potere esecutivo, e detiene quel complesso che attribuzioni che si esprimono
nella funzione di governo (fini da perseguire e la loro realizzazione) e nelle funzioni amministrative
(attività di esecuzione e attuazione delle leggi).
Il governo è posto al vertice della pubblica amministrazione, un apparato complesso e articolato
che pone atti attività che traducono il programma politico.
La funzione di indirizzo politico determina dei grandi obiettivi della politica nazionale,
nell'individuazione delle linee fondamentali di sviluppo dell’ordinamento e nella scelta degli
strumenti idonei al raggiungimento di tali scopi. Nel percorso di implementazione dell’indirizzo
politico, si possono distinguere tre aspetti: la scelta dei fini da raggiungere, la scelta dei mezzi
necessari e la loro attuazione.
L’indirizzo politico prende forma in un articolato procedimento, dove partecipano una pluralità di
soggetti:
• I cittadini concorrono a determinare la politica nazionale. Il corpo elettorale esercita un
opzione, orientando le scelte di coloro che saranno chiamati a governare;
• Il governo passa all’attuazione dell’indirizzo politico: si tradurrà nelle leggi approvate dal
parlamento e nelle previsioni di normazione primaria e secondaria adottate dal governo;
• Le autonomie locali e le numerose strutture presenti nel territorio nazionale che svolgono
compiti di primo piano nella vita sociale ed economica del paese.
Si possono menzionare alcuni atti che concretizzano il programma politico:
a) La determinazione del programma su cui viene chiesta la fiducia costituisce il primo
provvedimento di politica generale.
b) La relazione che l’Italia intrattiene con gli altri paesi e con l’UE: esercita la sua azione
attraverso i trattati, accordi internazionali e la partecipazione agli organismi eurocomunitari.
È il ministero degli esteri a svolgere funzioni di rappresentanza e di tutela degli interessi
italiani in sede internazionale. Al CDM spetta le funzioni di partecipazione dello stato in
Comunità europea;
RIASSUNTO “IL GOVERNO” (QUINTA EDIZIONE) l ROSELLI ALEXIA

c) Il Consiglio supremo di difesa esamina le questioni generali relative alla difesa nazionale in
materia di politica militare. Esso è composto dal PC e dai ministri;
d) In materia di sicurezza pubblica e politica informativa, il PC è posto a capo dei servizi
segreti;
e) La politica di bilancio e finanziaria, dove il governo è tenuto ad elaborare le leggi che
delineano il quadro finanziario dello Stato: documento di economia e finanza, disegno di legge
di bilancio pluriennale. Il Ministero dell’economia e Finanza si occupa dell’analisi dei
problemi economici, monetari e finanziari interni ed internazionali, vigilanza sui mercati
finanziari e sistema creditizio.
f) Le relazioni con le confessione religiose sono disciplinate dall’art. 8 Cost.

6.2) Le funzioni normative;


Il governo gode di attribuzioni normative: presentazione di disegni di legge alle camere; l’adozione
di decreti legislativi e decreti-legge; l’elaborazione di regolamenti, provvedimenti di rango
secondario, indispensabili per garantire l’effettiva attuazione delle leggi.
6.3) Le funzioni amministrative;
La legge attribuisce al governo delle funzioni amministrative. Il Consiglio dei ministri gode di
poteri di nomina: la quota di componenti del Consiglio di Stato e della Corte dei conti di spettanza
del governo e la nomina dei dirigenti generali dei ministeri. È altresì coinvolto nella nomina dei
componenti degli organi gestionali dei maggiori enti pubblici.
Vi sono alcuni poteri di stampo amministrativo dove il PC svolge tutte le attività necessarie a
dirigere e coordinare le funzioni dei singoli ministeri per procedere nell'implementazione del
programma di governo; il consiglio di rime conflitti di attribuzione fra i ministri e stabilisce le
direttive alla quale comitati ministeriali debbano ottenere gli atti amministrativi illegittimi.
Il premier ed i ministri sono titolari delle competenze amministrativi concernenti l'organizzazione
dei dicasteri, svolgendo numerose funzioni.
7. La responsabilità governativa ministeriale;
Il governo è un soggetto istituzionale responsabile politicamente e giuridicamente.
La responsabilità politica è un tratto caratterizzante dell'intero mandato del governo e comporta che
un organo dotato di potere politico debba rendere conto alla propria azione ad uno o più soggetti
istituzionali, legittimati a controllarlo e ad estrometterlo qualora riscontro dovesse essere negativo.
L’art. 94 costituisce il fondamento di tale responsabilità governativa all'interno del nostro
ordinamento. Il governo risponde dinanzi al Parlamento delle decisioni attraverso cui dà attuazione
al programma che era stato presentato dinanzi alle camere.
Il governo ha l'onore di mantenere il consenso della maggioranza parlamentare per poter procedere
alla propria azione politica. Le risposte che l'esecutivo è tenuto a dare coinvolgono il corpo elettorale
che può giudicare l'operato del governo.
I ministri possono andare incontro alla responsabilità giuridica:
• La responsabilità civile è riconducibile all’art. 28 che sancisce che i funzionari e i dipendenti
sono responsabili secondo le leggi penali civili e amministrative degli atti compiuti. I ministri
RIASSUNTO “IL GOVERNO” (QUINTA EDIZIONE) l ROSELLI ALEXIA

sono funzionari onorari dello Stato e tenuti a rendere conto dei danni cagionati nell'esercizio
delle loro funzioni;
• La responsabilità amministrativa: i ministri sono chiamati dinanzi alla Corte dei conti per i
danni erariali arrecati alla pubblica amministrazione anche in forma diretta;
• La responsabilità penale ricorre nei casi in cui vengono commessi dei reati ministeriali.
Dal 1937 il PC ed i ministri sono sottoposti alla giurisdizione ordinaria: i reati del premier e dei
ministri integrano fattispecie criminose comuni e devono essere commesse nell'esercizio delle
funzioni ministeriali.
Qualora il ministro dovesse violare la legge penale nell'ambito delle sue funzioni verrebbe sottoposto
alla giurisdizione ordinaria e ai pari di ogni altro cittadino, anzi la legge sancisce che la pena possa
essere aumentata fino a 1/3 in presenza di circostanze che rivelino la eccezionale gravità del reato.
Le camere possono negare questo provvedimento a maggioranza assoluta dei componenti, qualora
ritengano che l'acquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato e per il perseguimento di
un preminente interesse pubblico.
L’insindacabilità di tale provvedimento sembra sconfinare nell’arbitrio e rischia di introdurre una
“ragione di Stato” o una “ragion di partito” qualora le camere dovessero abusarne.

Come avviene la Notitia Criminis?


RIASSUNTO FORME DI GOVERNO DAL LIBRO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

IV: LE FORME DI GOVERNO

I. Premessa

La nozione di forma di governo è strettamente connessa a quella di forma di Stato.

FORMA DI STATO: diverse modalità attraverso cui si possono strutturare i rapporti tra gli organi
dotati di podestà di imperio, la società civile e i fini generali che lo Stato intende raggiungere.

FORME DI GOVERNO: evoca le differenti modalità di ripartizione di potere politico tra i


supremi organi dello Stato: Legislativo ed Esecutivo.

Le forme di governo attraverso cui è possibile organizzare lo stato liberale democratico sono:

- La monarchia costituzionale
- La forma di governo parlamentare (nelle sue diverse varianti)
- La forma di governo presidenziale (Stati Uniti)
- La forma di governo semi presidenziale (Francia)
- La forma di direttoriale (Svizzera)
- La forma neoparlamentare (Israele)

2. Dalla monarchia Costituzionale alla monarchia parlamentare

La monarchia Costituzionale nasce in Inghilterra.


La rivoluzione che avvenne nel 1688 (a seguito di diverse tensioni) determinò il passaggio dalla
monarchia assoluta a quella costituzionale nel Regno Unito.
Nel resto di Europa, la monarchia costituzionale si è, invece, affermata soltanto in un secondo
momento e con dinamiche assai travagliate: in Italia, il passaggio risale allo Statuto Albertino
(1848).

La caratteristica fondamentale della monarchia costituzionale è: la presenza di una Costituzione


concessa dal sovrano volta a limitare la sua sovranità assoluta.
RIASSUNTO FORME DI GOVERNO DAL LIBRO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

Si comincia, inoltre, ad applicare il principio di separazione dei poteri:


- Re: potere esecutivo
- Parlamento: potere legislativo
- Magistrati: potere giurisdizionale

Nel corso di esperienza della monarchia costituzionale si determinò il progressivo rafforzamento


del ruolo del Parlamento.
La forma monarchico-costituzionale si è naturalmente evoluta in MONARCHIA
PARLAMENTARE nel momento in cui il Parlamento è riuscito ad imporre al Re la nomina di un
Governo che incontrasse anche la sua fiducia. Governo che deve politicamente dare conto sia al
Parlamento che al Re.
La figura del Re mantiene intatto il suo ruolo di rappresentanza della nazione, formalmente
nomina e revoca i ministri, concede la grazia, inoltre ha il ruolo di garanzia e di arbitro.

3. La forma di governo Parlamentare

La forma di governo Parlamentare (tipica in Italia) si caratterizza per la necessità del rapporto di
fiducia tra Parlamento e Governo.
La necessità della relazione fiduciaria obbliga l’Esecutivo a presentarsi immediatamente dinanzi
alle Assemblee parlamentari per ottenere consenso sul programma che intendono realizzare.
L’esistenza della relazione fiduciaria incide, sul principio di separazione dei poterei che nella forma
parlamentare si presenta temperato poiché Parlamento e Governo sono in stretto collegamento tra
loro.
La responsabilità politica segna l’intera vita del Governo che per rimanere in carica deve
conservare integra la fiducia delle Camere.

Il capo di Stato assume in questo contesto un ruolo di garanzia costituzionale. (In Italia=ruolo a
fisarmonica).

Oltre al Capo dello Stato, esistono altri meccanismi volti ad assicurare il corretto svolgimento della
relazione fiduciaria tra maggioranza parlamentare e Governo. In particolare, in Europa continentale
si è proceduto con l’introduzione di clausole di razionalizzazione della forma di governo
parlamentare ossia alla traduzione in norme delle regole che presiedono i rapporti tra Governo e
Parlamento.

La Germania (a differenza dell’Italia) ha preferito razionalizzare la propria forma di governo in


maniera forte. La versione tedesca della forma di governo parlamentare viene qualificato come
RIASSUNTO FORME DI GOVERNO DAL LIBRO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

Cancellierato per sottolineare la figura principale del Cancelliere (Merkel oggi) che viene eletto
dalla Camera bassa in maggioranza assoluta e su proposta del Presidente federale.
Altro istituto che caratterizza la forma parlamentare tedesca quale fortemente razionalizzato è la
“sfiducia costruttiva”: ossia la Camera bassa può esprimere sfiducia al cancelliere ma eleggendo a
maggioranza un successore e chiedendo al Presidente federale la revoca di quello in carica. Il
Presidente a sua volta deve aderire alla richiesta di nominare l’eletto. Il tutto ha come scopo quello
di evitare la “crisi al buio” (vuoti di potere).

Il funzionamento della forma di governo parlamentare dipende, tuttavia, anche dall’importantissima


variabile rappresentata dal sistema politico e dagli assetti politici:
- Modelli bipartitici: nelle quali due formazioni politiche si contendono la guida del paese e le
elezioni indicano immediatamente i vincitori e dunque la forza chiamata ad esprimere il Governo.
(Gran Bretagna)

- Modello multipartitico: sono presenti più partiti spesso differenti per ideologie che rendono
difficile la formazione di coalizioni omogenee.

- Assetto multipartitico bipolare: un quadro di partiti assai complesso ma le stesse forze politiche
tendono ad allearsi in maniera stabile tra loro.

- Sistema multipolare: si formano una pluralità di aggregazioni eterogenee poiché le forze


politiche non riescono ad allearsi tra loro.

- Il parlamentarismo maggioritario a prevalenza del Governo: è il modello tipico della Gran


Bretagna dove vi è la valorizzazione dell’Esecutivo a cui viene data una notevole stabilità. Centrale
è il ruolo del Premier che gode di doppia investitura: di partito e di elettorato. Si parla di un
Governo di legislatura poiché il premier e il Governo godono dell’appoggio del Parlamento.
In Gran Bretagna, gode un ruolo di rilevanza anche il leader di opposizione che gode di
un’indennità speciale e fa parte del Gabinetto-ombra dove vi sono i membri più autorevoli
dell’opposizione.
- Governo di coalizione: governo frutto di accordi politici-elettorali che indeboliscono l’Esecutivo
con un significato rafforzamento del ruolo del Parlamento quale sede del compromesso tra le forze
politiche (parlamentarismo compromissorio).
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4. La forma di Governo Presidenziale

La forma di governo presidenziale è adottata negli Stati Uniti d’America e si caratterizza per
un’applicazione rigida della separazione dei poteri.
Il Legislatore e l’Esecutivo non sono legati tra loro da un rapporto fiduciario.

La figura principale è il Presidente della Repubblica:


- vertice del potere Esecutivo
- eletto direttamente dal corpo elettorale
- dirige il Gabinetto dei Ministri
- Può essere eletto dai 35 anni di età, deve essere cittadino americano nato negli Stati Uniti e che
risiede nel paese da oltre 14 anni.
- Il meccanismo di elezione si basa su una sostanziale investitura popolare alla carica di
Presidente.
- La Costituzione americana non né elenca le competenze, in modo tale da lasciare al Presidente
ampio spazio di manovra nell’espletamento delle sue funzioni.
- Il mandato dura 4 anni e si può essere rieletti solo 1 volta (non è sempre stato così ma dopo
Roosevelt è stato definito questo limite)
- Le elezioni si tengono il martedì successivo al primo lunedì di novembre, dove vengono scelti: il
Presidente, il Vice, i deputati ed i senatori del Congresso ed altre figure di spicco nell’ambito statale
e locale.

- Il Presidente ha la sicurezza della fine del suo mandato e nel caso di impeachment (tradimento,
corruzione o altri gravi reati) non si dà luogo a nuove elezioni ma viene sostituito dal suo Vice.

Il Gabinetto è composto dai Segretari di Dipartimento di nomina e revoca presidenziale, assiste il


Presidente nello svolgimento delle sue funzioni ma non si può assimilare del tutto all’organo di
Governo tipico delle forme parlamentari.
RIASSUNTO FORME DI GOVERNO DAL LIBRO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

Il Congresso (potere legislativo ed altre funzioni) si compone di due Camere:


- Senato: tutti gli Stati sono in modo paritario rappresentati (2 rappresentanti di ogni Stato membro).
Presieduto dal Vicepresidente (in caso di assenza si può eleggere un sostituto)
- Camere: ogni Stato è rappresentato in relazione al proprio peso demografico.
È presieduta dallo Speaker (eletto dalla stessa assemblea).

L’unico evento in cui Legislativo ed Esecutivo si incontrano ufficialmente avviene alla fine del
mese di gennaio di ogni anno quando il Presidente va dinanzi al Congresso e pronuncia il discorso
sullo stato dell’Unione.

Il sistema si regge su un insieme di meccanismi che vogliono evitare che il potere si concentri in
mano ad un solo organo (Checks e Balances).
Inoltre, la forma statunitense presenta alcuni importanti meccanismi di raccordo: è possibile che il
Congresso esprima una maggioranza diversa rispetto a quella del Presidente (governo diviso).

Tra gli strumenti di controllo, si segnala anzitutto il potere di impeachment nelle mani del
Congresso che può rimuovere Presidente e Vicepresidente per “corruzione, tradimento ed altri reati
gravi”.

Il senato approva le nomine presidenziali di alcune alte cariche (ad esempio, Segretari di
partito) e può convocare i funzionari dell’amministrazione per esercitare un controllo sulla
politica del Presidente.

Il Capo dello Stato ha potere di voto sospensivo delle leggi che può essere superabile dal
Congresso con un’ulteriore approvazione del testo a maggioranza dei 2/3.

La forma presidenziale si regge dunque su un dualismo paritario tra Capo dello Stato e
Congresso

5. La forma di Governo Semipresidenziale

La forma di governo semipresidenziale (tipica della Francia) è stata ideato con lo scopo di
razionalizzare i meccanismi tipici del governo parlamentare.
RIASSUNTO FORME DI GOVERNO DAL LIBRO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

Sommariamente, è presente una relazione fiduciaria ma è stata maggiormente valorizzata la


figura del Capo dello Stato.

Il potere esecutivo spetta sia al Governo che al Capo dello Stato, secondo una struttura di tipo
dualistico.

La “V Repubblica Francese” è l’esempio della forma di governo presidenziale.

L’attuale distribuzione del potere in Francia prevede:


- Capo dello Stato:
1) eletto a suffragio universale e diretto dal corpo elettorale tramite un sistema a doppio turno.
2) È chiamato a governare il paese in condizioni di indipendenza dal Parlamento.
3) È garante della Costituzione, presiede il Consiglio dei Ministri ed è titolare di consistenti poteri
di Governo, alcuni dei quali come la nomina del Primo ministro però necessitano di una controfirma
ministeriale.
4) Art 16: gli stabilisce poteri speciali al Presidente in caso di situazioni speciali. Ma per evitare
derive autoritarie in questi casi appunto il Parlamento si riunisce di diritto e che l’Assemblea
nazionale non possa essere sciolta.
- Governo:
1) presieduto dal Primo Ministro di nomina presidenziale che deve godere della fiducia del
Parlamento.
2) Determina e dirige la politica nazionale.
3) Dispone della Pubblica Amministrazione e delle Forze Armate.
4) Esercita ampi poteri di influenza sull’Assemblea legislativa.
- Parlamento:
1) vota le leggi
2) controlla l’azione del Governo e valuta le politiche pubbliche.
3) Si compone di due Camere: l’Assemblea nazionale e il Senato.

Inoltre:
- Struttura diarchica o bicefala: il potere esecutivo è diviso tra Presidente e Governo.
- Un sistema ove il Presidente e il Parlamento sono espressioni di due diversi schieramenti
politici.
- I procedimenti elettorali del passato hanno reso possibile la coabitazione. Questa è stata ridotta
sensibilmente dopo la Riforma del sistema elettorale del 2000.
RIASSUNTO FORME DI GOVERNO DAL LIBRO (QUINTA EDIZIONE) | CARMEN PENNISI

*Nel luglio 2008 la Costituzione Francese è stata sottoposta ad un’ampia revisione con lo scopo di
modernizzare e razionalizzare le istituzioni repubblicane.

6. La forma di Governo Direttoriale

La forma di governo direttoriale è presente solo nella Confederazione Elvetica e si caratterizza


dalla presenza di un Parlamento bicamerale.

- Funzione legislativa: è svolta dall’Assemblea federale composta: il Consiglio nazionale e il


Consiglio degli Stati.
- Funzione esecutiva: è esercitata dal Consiglio federale composto da sette membri. Il Consiglio è
eletto per 4 anni e svolge le funzioni di Governo e Capo dello Stato.
- Il Direttorio non può essere sfiduciato e l’Assemblea federale non è soggetta a scioglimento
anticipato.
- Il sistema svizzero non conosce mozioni di sfiducia, né crisi di governo.
- Per evitare una “dittatura di maggioranze”, ai cittadini viene riconosciuto il diritto di esercitare
controllo sull’attività di governo tramite i referendum.
- Il Tribunale federale vigila sull’applicazione uniforme del diritto federale in 26 cantoni svizzeri.

Il buon funzionamento della forma di governo direttoriale dipende dalla spiccata omogeneità
politico-sociale che caratterizza la Svizzera.

7 La forma di governo Neoparlamentare

L’elemento peculiare della forma di governo neoparlamentare è costituito dall’elezione a suffragio


universale diretto del Primo Ministro.
Essa prevede inoltre meccanismi che garantiscano maggiore stabilità nell’esecutivo: qual ora il
Parlamento ritirasse la fiducia al Governo si scioglierebbero immediatamente le camere.

Di questa forma di governo, non è stato possibile verificare il l’effettivo funzionamento perché stata
adottata per pochissimo tempo in Israele.
L’ART. TERRITORIALE DELLA REP. (QUINTA ED.) I ROSELLI ALEXIA

Parte seconda, l’organizzazione della Repubblica


L’articolazione territoriale della Repubblica

1. Tipi di Stato: accentrati o composti;


Per Stato s’intende il complesso degli enti territoriali che sono chiamati all’esercizio che sono
chiamati all’esercizio delle funzioni legislative, amministrative e giurisdizionali. L’equilibrio che
intercorre fra il mantenimento al centro di queste funzioni e la devoluzione delle stesse agli enti
territoriali, è a fondamento della distinzione tra “stati unitari” e “stati composti”.
La differenza si fonda sulle modalità di riparto dei poteri a livello territoriale, infatti si avrà:
• Stato accentrato: poteri posti al centro;
• Stato composto: distribuzione verticale dei poteri, dove si distinguono gli Stati confederali,
federali e regionali.
Nello Stato Federale è attribuita alla Federazione la potestà legislativa in materia di politica estera,
difesa, giustizia, politica economica e monetaria. Un carattere tipico degli stati federali è l’assetto
parlamentare a bicameralismo differenziato e la previsione costituzionale della partecipazione delle
entità federate al procedimento di modifica della costituzione federale.
Nella Confederazione di Stati vi è un accordo fra distinte entità statuali che decidono di agire in
maniera congiunta in determinati ambiti, mantenendo intatta la propria sovranità.
Lo Stato regionale si caratterizza per una consistente devoluzione di competenze e funzioni a favore
delle Regioni. L’ordinamento regionale in talune materi garantisce maggiore autonomia agli enti
territoriali.
Il vero stato composto è connotato dal riconoscimento alle entità sub-statali del potere di determinare
e perseguire un proprio indirizzo politico, sia pure nell'ambito ed entro limiti dell'indirizzo politico
generale determinato dal più elevato livello territoriale di governo, che mantiene il carattere di
ordinamento sovrano.
La maggior parte degli stati del mondo ha una struttura composita, come: il continente americano,
Africa, Asia e Unione europea. Negli Stati membri dell'Unione europea vi è stata una ridefinizione
dei rapporti fra livelli territoriali di governo e ciò a fronte di una serie di spinte, che si muovono in
direzioni opposte:
➢ Verso l'alto: in favore di ordinamenti sovranazionali;
➢ Verso il basso: in favore delle autonomie territoriali.
L’art. 4 co. 2 del trattato dell'unione europea recita che “l'Unione rispetto alle funzioni essenziali
degli stati, in particolare le funzioni di salvaguardia dell'integrità territoriale, di mantenimento
dell'ordine pubblico e della sicurezza nazionale”.
Nelle esperienze menzionate prima, l'assetto della organizzazione parlamentare si basa su un
bicameralismo differenziato, dove vi sono:
➢ Una camera bassa o politica: vengono rappresentati interessi unitari;
➢ Una camera alta o territoriale: che si occupa degli interessi delle entità sub statali.
L’ART. TERRITORIALE DELLA REP. (QUINTA ED.) I ROSELLI ALEXIA

La presenza di una seconda camera è un tratto Comune di tutte le esperienze federali, le loro
composizioni e attribuzioni sono diversificate. In alcuni casi gli enti territoriali sono rappresentati in
maniera paritaria (es. Senato degli Stati Uniti), o in altri il numero dei parlamentari varia sulla
base della popolazione dell'entità sub statale di provenienza (es. Bundesrat tedesco).
La presenza di una “camera delle autonomie” risulta funzionale alla creazione di sedi dove possono
emergere le istanze dei territori. Perciò la camera rappresentativa dei territori costituisce la
massima espressione del principio di leale collaborazione fra centro e periferia, poiché è preordinata
allo scopo di agevolare il dialogo fra livelli territoriali in cui si articola la comunità politicamente
organizzata.
La maggioranza delle costituzioni degli stati composti è caratterizza dal riparto delle competenze
legislative sulla base del principio di residualità, da tale principio discende la giustiziabilità delle
competenze: ossia la potestà riconosciuta agli enti territoriali che compongono la Federazione o lo
Stato regionale di ricorrere contro le violazioni dei loro ambiti di competenza innanzi ad un organo
giurisdizionale (es. Corte costituzionale italiana).
1. 1) Unità e autonomia nell’art. 5 Cost;
La Repubblica italiana va collocata all’interno dei tipi di Stato “composti” e in quelli “regionali”.
L’art. 5 Cost dispone che “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie
locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo;
adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del
decentramento”.
Unità e indivisibilità, autonomia e decentramento costituiscono i cardini intorno a cui ruota
l’articolazione territoriale dei poteri nell’ordinamento italiano.
In Assemblea costituente venne riconosciuta alle Regioni a statuto ordinario la potestà legislativa
concorrente e la potestà regolamentare e statuaria, come strumenti di razionalizzazione delle
competenze pubbliche e dimensione del principio di separazione dei poteri. Mentre nelle Regioni a
statuto speciale venne riconosciuta una potestà legislativa piena.
Uno dei caratteri distintivi degli ordinamenti a struttura complessa è il bicameralismo differenziato,
ma in Italia venne scelto un bicameralismo paritario: il Senato fu concepito come una camera di
“raffreddamento” che vale a imporre “doppie e più meditate decisioni”.
2. L’attuazione dell’ordinamento regionale;
L’originaria stesura della costituzione comprendeva un’organizzazione territoriale di tipo
complesso. Le disposizioni contenute all'interno del Titolo V hanno subito rilevanti modifiche a
seguito della revisione operata con la legge Cost. n. 3/2001.
L'art. 114 (originariamente) leggeva che “la Repubblica si riparte Regioni, Province e Comuni”:
Province e Comuni costituivo un’eredità dell'età repubblicana, ma le Regioni erano una novità poiché
la costituzione gli riconosceva un ruolo istituzionale insieme delle competenze rilevanti di
autonomia legislativa, finanziaria e amministrativa.
Ai sensi dell'art. 83 co. 2 ogni consiglio regionale integra il Parlamento in seduta comune per
l'elezione del presidente della Repubblica inviando tre delegati.
L’ART. TERRITORIALE DELLA REP. (QUINTA ED.) I ROSELLI ALEXIA

Il 20 maggio del 1970 fu approvata la legge n. 281 che recava le norme per l'attuazione delle regioni
a statuto ordinario, mentre la legge del 17 febbraio 1968 n. 108 aveva introdotto la disciplina delle
elezioni dei consigli regionali.
3. Evoluzione Dell'organizzazione territoriale della Repubblica a costituzione invariata: le leggi
Bassanini;
L'articolazione territoriale della Repubblica ha subito importanti mutamenti, a seguito della revisione
del Titolo V della II parte, che hanno ridisegnato il sistema dei rapporti tra Comuni, Province, Regioni
e Stato, recependo alcuni principi anticipati con legislazione ordinaria.
La prima importante evoluzione fu promossa con le leggi Bassanini (legge n. 59/1997) che
introdussero i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, che nel 2001 si aggiunsero al
rango dei principi costituzionali.
La prima legge ha introdotto una nuova modalità di allocazione delle competenze, attribuendo alle
Regioni agli Enti locali l'esercizio delle funzioni residue secondo criteri ispirati ai principi indicati
all'art. 4, co. 3 della legge stessa. Ha poi invertito il rapporto tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali
nella distribuzione delle funzioni amministrative e ha delineato un sistema che individua nelle regioni
e nelle autonomie locali i destinatari della maggior parte delle competenze.
La seconda legge Bassanini ha portato contributi al funzionamento degli enti locali per adeguare la
loro struttura alle successive competenze.
Poco prima della revisione del Titolo V è stato adottato il Testo unico delle leggi sull'ordinamento
degli enti locali, che tiene conto degli interventi normativi hai delle stanze di derivazione
giurisprudenziale.
4. La revisione del Titolo V;
Il nuovo testo dell’art. 114, dispone che: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province,
dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane
e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla
Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo
ordinamento.”
Si vince che lo stato assume la nuova connotazione nell'ambito dell'organizzazione territoriale della
Repubblica, infatti lo stato compare accanto agli altri enti territoriali nell’elencazione, che vada a
livello di governo più vicino al cittadino (Comune) a quello più lontano (Stato). Viene attribuita a
tutti gli enti territoriali, comuni, province, città metropolitane, regioni pari dignità istituzionale,
annoverandoli fra gli elementi costitutivi della Repubblica (insieme allo stato).
La legge Delrio hai introdotto una nuova disciplina della provincia come ente di “secondo grado”, in
cui gli organi sono scelti dagli organi dei comuni che li compongono, istituendo le Città metropolitane
nei più grandi capoluoghi italiani (Catania, Palermo, Milano ecc).
➢ A seguito di alcuni ricorsi, la Corte ha ritenuto non fondata la questione di legittimità
costituzionale relativa al meccanismo di elezione di secondo grado degli organi politici degli
enti di area vasta. il sistema elettorale di secondo grado è stato considerato espressione di un
principio di grande riforma economico sociale e vincolante per le regioni a statuto speciale.
➢ la Corte ha affermato che le disposizioni costituzionale garanzia degli enti locali si intendono
estese anche quelli delle regioni a statuto speciale, in ragione “dell’identità di interesse che
L’ART. TERRITORIALE DELLA REP. (QUINTA ED.) I ROSELLI ALEXIA

comuni e province rappresentano riguardo alle rispettive comunità locali, quale che sia la
regione di competenza”.
La riforma del 2001 ha riconosciuto importanti competenze normative alle regioni e attribuito
l'esercizio delle funzioni amministrative ai comuni, sulla base del principio di sussidiarietà e di
differenziazione e adeguatezza (art. 118, co. 1). L'art. 120 prevede che l'esercizio dei poteri sostitutivi
da parte del governo sia assistito da norme procedurali che garantiscano il rispetto dei principi di
sussidiarietà e adeguatezza.
Il principio di sussidiarietà, in senso verticale, comporta l’attribuzione della generalità dei compiti
e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle città metropolitane, secondo le
rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni
incompatibili con le dimensioni medesime.
In senso orizzontale, si prevede che gli enti territoriali debbano favorire l'assolvimento di compiti di
rilevanza sociale da parte dei cittadini, singoli o associati.
La revisione costituzionale del 2021 ha inciso in ordine alle competenze legislative, regolamentari e
amministrative, attribuendo rilievo senza precedenti a regioni ed enti locali.
Il potere sostitutivo (riconosciuto a regioni, città metropolitane, provincia e comuni) può essere
esercitato nel caso di mancato rispetto di trattati o norme internazionali europee: quando lo richiedono
l'unità giuridica ed economica dell'ordinamento.
Si tratta di presupposti che si riannodano ad eventi patologici in grado di lambire le ragioni
fondamentali della convivenza politicamente organizzata. L’art. 120 co. 2 configura uno strumento
straordinario, posto a tutelare le esigenze unitarie dell'ordinamento, ricollegabili agli interessi propri
dell'intera comunità: quindi il potere va esercitato nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale
collaborazione.
Il principio di leale collaborazione nasce dall'esigenza di conciliare istanze in cui si incrociano
molteplici interessi pubblici, e riveste un ruolo fondamentale in tutti gli ordinamenti composti. Si
tratta di un canone organizzatorio che si diffonde nell'intero ordinamento costituzionale e ispira la
totalità dei rapporti fra enti territoriali, nell'ambito di un sistema in cui tutti sono tenuti a collaborare
per il soddisfacimento dei pubblici interessi. Questo principio va declinato su due piani:
o Attività: ogni situazione si confronta con altri portatori di interessi pubblici concorrenti per
addivenire a soluzioni, secondo le procedure proprie di un assetto istituzionale pluralista.
o Organizzazione: comporta la necessità di sedi operative dove la leale collaborazione possa
trovare traduzione in atti giuridici espressivi della collaborazione tra i diversi livelli di
governo.

5. Gli Statuti regionali e le fonti degli enti locali;


Il Titolo V ha apportato rilevanti modifiche alla potestà statutaria delle regioni, alla collocazione
degli Statuti nell’ambito delle fonti dell’ordinamento e nell’ambito delle fonti regionali. Gli enti
regionali si distinguono in:
➢ Regioni a statuto ordinario: la struttura istituzionali e le competenze sono disciplinate dal
Titolo V;
L’ART. TERRITORIALE DELLA REP. (QUINTA ED.) I ROSELLI ALEXIA

➢ Regioni a statuto speciale: il loro ambito di autonomia è il frutto di accordi fra lo Stato e
talune comunità regionali, recepiti con leggi costituzionali.
Gli statuti ordinari sono una fonte “rinforzata”, che ai sensi dell’art. 123 è “approvata e modificata
dal Consiglio regionale, con due deliberazioni votate con intervallo non minore di due mesi”.
Il co. 3 prevede la possibilità che lo statuto venga sottoposto a referendum confermativo, si tratta
di un passaggio previsto entro tre medi dalla pubblicazione della delibera statutaria (su richiesta di un
cinquantesimo degli elettori della regione o di un quinto dei componenti del Consiglio reg.).
Il co. 2 prevede che il Governo della Rep. può promuovere la questione di legittimità costituzionale
sugli statuti entro 30gg dalla loro pubblicazione.
Alle Regioni ordinarie l’autonomia è riconosciuta nei termini del “regionalismo differenziato” ,
quindi alle regioni che lo richiedono potranno essere riconosciute particolari condizioni di autonomia
nelle materie di potestà legislativa concorrente e in alcune materie di potestà statale.
Nel contenuto degli statuti si distinguono il:
➢ Contenuto necessario: s'intende quanto la costituzione imponga che gli statuti contengano la
disciplina della forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione funzione, le
modalità di esercizio del diritto di iniziativa e del referendum sul leggi e provvedimenti
amministrativi della regione, la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali e la
disciplina del consiglio delle autonomie locali;
➢ Contenuto non necessario: allude al fatto che gli statuti non devono limitarsi a tale contenuto,
poiché possono includere in armonia con la costituzione anche altri istituti e principi.
Gli statuti degli enti locali si limitano a dettare norme fondamentali di organizzazione e
funzionamento di minori enti territoriali, e vi hanno particolare rilievo i regolamenti dei minori enti
territoriali: fonti di rango gerarchicamente inferiore agli statuti e rappresentano la tipica fonte
normativa con cui gli enti territoriali minori sorgono la potestà amministrativa loro conferita
dall'art.118.
6. La forma di governo regionale;
A livello regionale si parla di “forma di governo” per designare le distribuzioni dei poteri fra i vari
organi e i rapporti intercorrenti fra questi.
Gli organi della Regione, elencati dall’art. 121, sono:
➢ Il Consiglio regionale: esercita le potestà legislative attribuite alla Regione e può fare
proposte di legge alle camere;
➢ La Giunta regionale: è l'organo esecutivo delle regioni;
➢ Il Presidente della Giunta: dirige la politica della giunta e ne è responsabile, promulga le
leggi ed emana i regolamenti regionali, dirige le funzioni amministrative delegate dallo stato
alla regione conformandosi alle istruzioni del governo della Repubblica.
Le disposizioni costituzionali relative alla forma di governo regionale sono state sottoposte a
revisione con la legge cost. n. 1/1999, che ha introdotto l’elezione diretta del Presidente della Giunta
regionale, mutando la forma di governo da parlamentarismo a “neoparlamentare”.
L’ART. TERRITORIALE DELLA REP. (QUINTA ED.) I ROSELLI ALEXIA

Il presidente della Regione nomina la sua giunta e in vista della clausola simul stabunt, simul cadent,
l'art. 126 dispone che “la mozione di sfiducia nei confronti del presidente dell'aggiunta o la rimozione,
l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie comportano le dimissioni della giunta
e lo scioglimento del consiglio”. Tale conseguenza costituisce un'efficace contrappeso in favore
dell'esecutivo che scoraggia l'utilizzo della sfiducia.
L’ultimo co. dell'art. 122 dispone che il presidente della giunta regionale eletto a suffragio
universale e diretto, ma: ove lo statuto preveda l'elezione diretta, la forma di governo dovrà essere
quella di scritta in costituzione. In alternativa, ciascuna regione potrà scegliere con apposita legge di
revisione statutaria il ritorno alla originaria forma di governo parlamentare.
L'art. 126 prevede inoltre che il PR possa disporre “lo scioglimento del consiglio regionale e la
rimozione del presidente della giunta che abbiano compiuto atti contrari alla costituzione o gravi
violazioni di legge e che lo scioglimento e la rimozione possono altresì essere disposti per ragioni di
sicurezza nazionale”.
7. Il riparto della potestà legislativa tra stato e regioni;
Nella costituzione italiana alcune materie sono attribuite alla competenza legislativa esclusiva dello
stato, altre assegnate alla competenza concorrente dello Stato e delle regioni e altre ancora vi opera
la potestà legislativa generale e residuale delle regioni.

Storia: nella costituzione del 1948 la fonte del diritto a competenza generale era la legge statale.
Alle regioni a statuto ordinario era riconosciuta una potestà concorrente, esercitando anche una
potestà legislativa attuativa. Mentre quelle a statuto speciale godevano di un potestà legislativa
esclusiva o piena.
A seguito della novella del 2001 il riparto di competenze legislative tra lo Stato e le regioni è stato
modificato.
L’art. 117 co. 1 è dedicato ai limiti alla potestà legislativa, infatti stabilisce che “la potestà
legislativa è esercitata dallo stato e dalle regioni nel rispetto della costituzione, nonché dei vincoli
derivanti dall' ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, determinando una
tendenziale pianificazione tra le leggi statali e quelle regionali.
Con riferimento alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la previsione attribuisce al legislatore
statale la competenza sulle materie enumerate nell'art. 117 co. due.
Viene mantenuta la potestà legislativa corrente nell'art. 117 co. 3. In tali ambiti allo stato è affidato
il compito di fissare i principi fondamentali della materia con le leggi cornice, mentre le regioni
potranno dettare disposizioni di dettaglio.
In caso di mancata approvazione delle leggi cornice, le regioni possono intervenire ricavando i
principi della materia, in via interpretativa, dalla legislazione vigente. Ma in caso di inerzia
regionale, lo stato potrà adottare una normativa cedevole, che si applicherà provvisoriamente in tutto
il territorio nazionale sino a quando le regioni non approveranno le normative di loro competenza.
Una novità è la potestà legislativa residuale delle regioni (art. 117 co. 4), dove le regioni vengono
individuate come enti con competenza legislativa generale in tutti quei settori non assegnati alla
potestà esclusiva statale (quella concorrente).
Le regioni a statuto speciale invece continuano a rinvenire la disciplina della propria competenza
normativa nei rispettivi statuti che avevano attribuito una potestà legislativa esclusiva. L'unica novità
L’ART. TERRITORIALE DELLA REP. (QUINTA ED.) I ROSELLI ALEXIA

è rappresentata dalla clausola di maggior favore (art. 10 legge cost. 3/2001), le regioni a statuto
speciale potranno estendere la propria potestà legislativa piena in tutti quei settori che l'art. 117 co. 4
affida alla legislazione esclusiva delle regioni a statuto ordinario.
Con riferimento alla potestà regolamentare, il co. 6 dell'art. 117 dispone e che questa potestà spetta
allo stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle regioni e che, in ogni altra materia,
la stessa aspetti alle regioni.
7.1) La giurisprudenza della Corte cost. sul riparto di competenze;
La formulazione dell’art. 117 è stata “rivista” dalla Corte, che ha elaborato criteri utili all'
individuazione del soggetto istituzionale competente ad adottare una determinata disciplina
legislativa, qualora questa si rivolga più materia. È stato applicato il criterio della prevalenza laddove:
➢ Prevalenza materiale: una certa disciplina legislativa atteneva in modo prevalente ad una
materia. Questo criterio si applica appaia evidente, all'interno dell'intreccio delle materie, un
nocciolo duro che appartenga ad una di esse;
➢ Prevalenza teologica: oppure quando in assenza di materia prevalente era possibile rinvenire
una finalità prevalente. Questo è utilizzato dalla Corte con riferimento alla radio della
disposizione (finalità che intende perseguire).
In presenza di discipline riconducibili a più ambiti il principio di leale collaborazione sottolinea la
necessità di attivare procedure di raccordo e coinvolgimento tra lo stato alle regioni, per adottare la
normativa condivisa concordata tra tali soggetti. Per la concreta forma di raccordo e per garantire
rispetto di tale principio sono stati indicati differenti strumenti da attivare: scambio di informazioni,
accordo formale tra stato e regioni e l'acquisizione del solo parere regionale.
Il principio di leale collaborazione è stato uno dei parametri più utilizzati dal giudice delle leggi, la
Corte gli riconosce un ruolo residuale nei giudizi per la violazione del riparto di competenze
legislative; vi fa ricorso solo avere non sia possibile utilizzare quello di prevalenza.
La giurisprudenza costituzionale successiva ha segnato il tramonto del principio di leale
collaborazione, ritenuto non invocabile poiché requisito di legittimità costituzionale, e quindi non è
possibile individuare un fondamento costituzionale del l'obbligo di adottare procedure collaborative
idonee a condizionarla.
7.2) Strumenti di flessibilità del riparto di competenze;
La geometria costituzionale degli elenchi di materie e la delimitazione degli ambiti delle connesse
competenze hanno dato luogo ad un notevole contenzioso dinanzi alla Corte. Le Regioni hanno
lamentato l'invasione della propria sfera di competenza e lo Stato ha rivendicato la necessità di
un'unica disciplina normativa a salvaguardia delle esigenze unitarie dell'ordinamento.
In queste occasioni la porte elabora criteri e strumenti di flessibilità, utile a consentire la concreta
applicazione dell'art.117.
La formale suddivisione delle competenze per campi materiali non può essere letta in modo
successivamente rigido. Infatti, la Corte ha parlato di “materie non materie”, ossia un insieme di
compiti e funzioni o di differenti livelli di interesse.
Sono state individuate anche le materie trasversali per indicare i casi in cui le funzioni legislative
statali possiedono la forza di penetrare anche in settori astrattamente assegnati alla competenza
regionale.
L’ART. TERRITORIALE DELLA REP. (QUINTA ED.) I ROSELLI ALEXIA

L’art. 117 co. 2 rimette allo stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”: la determinazione
dei livelli si configura come “una competenza del legislatore stradale idonea ad investire tutte le
materie”.
Un altro strumento per rendere flessibile il riparto delle competenze è stato ricavato dalla Consulta,
mutuando il principio di sussidiarietà espresso dall' art. 118 co. uno.
Quando anche una materia è astrattamente assegnata alla potestà concorrente sulla base della
sussidiarietà legislativa, non si configura alcuna lesione della potestà legislativa regionale nel caso
in cui lo stato regoli per intero con proprie leggi l'esercizio di determinate funzioni amministrative.
Onde evitare che con tale deroga si possa costituire una sorta di esproprio in danno delle regioni, è
stata individuata la necessità di un preventivo confronto fra lo Stato e gli Enti regionali nel segno
delle leale collaborazione tra i differenti livelli di governo.
8. I raccordi tra livelli territoriali di governo;
Negli ordinamenti composti il principio di sussidiarietà implica un assetto flessibile delle
competenze, con lo scopo di ricercare il livello più adeguato alla cura di determinati interessi e per
l'esercizio delle relative funzioni.
Se i rapporto fra i livelli di governo è ispirato ad una collaborazione leale, si dovrebbe conseguire
un esercizio ottimale del potere, dove si rende necessaria la previsione di sedi istituzionali in cui la
cooperazione possa trovare svolgimento, come: sistema delle conferenze e i consigli delle autonomie
locali.
Per sistema delle conferenze si intende l'insieme di quelle sedi concertative di cui fanno parte la
conferenza permanente per i rapporti tra lo stato, le regioni e le province autonome e la Conferenza
Stato città e autonomie locali, che danno vita alla conferenza unificata.
8.1) La conferenza Stato-Regioni;
La conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e provincie autonome di Trento e Bolzano,
è la più antica dove si confrontano le posizioni del governo e dei rappresentanti delle regioni, al fine
di mediare le istanze dei due maggiori livelli territoriali di governo.
La conferenza Stato-Regioni è stata definita una “sede privilegiata del confronto della negoziazione
politica tra lo Stato e le Regioni”.
L’art. 12 della disposizione, attribuisce alla Conferenza taluni compiti: informazione, consultazione
e raccordo in relazione agli indirizzi di politica generale suscettibili di incidere nelle materie di
competenza regionale, esclusi indirizzi relativi alla politica estera, difesa, sicurezza nazionale e
giustizia.
Esso è composto dai presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, ed è
convocata e presieduta dal PC. È sentita obbligatoriamente su tutti gli schemi di disegni di legge,
decreto legislativo o di regolamento del governo nelle materie che risultino di interesse delle regioni
e province autonome, su ogni altro oggetto di interesse regionale che il PC ritenga opportuno
sottoporre al suo esame.
Le funzioni della conferenza sono state riordinate, ampliate ed estese ai pareri su tutte le questioni
attinenti al coordinamento intersettoriale delle attività di programmazione in rendere apporto tra lo
stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti infra regionali.
L’ART. TERRITORIALE DELLA REP. (QUINTA ED.) I ROSELLI ALEXIA

8.2) La conferenza Stato-Città ed autonomie locali;


Essa è la sede di raccordo fra lo stato e gli enti locali ed è presieduta dal PC, dal ministro dell'Interno
o dal ministro per gli affari regionali. Ne fanno parte i ministri dell'economia e delle finanze, delle
infrastrutture e della salute insieme ai presidenti di ANCI, UPI, UNCEM, sei presidenti di provincia
e 14 sindaci (5 di città metropolitane).
Questo organo è stato istituito nel 1996, e gli sono stati attribuiti compiti di coordinamento nei
rapporti tra lo stato e le autonomie locali, studio, informazione confronto sulle problematiche
connesse agli indirizzi di politica generale che possono incidere sulle funzioni proprie di Comuni e
Province su quelle delegate ai medesimi enti da leggi dello Stato.
È sede di discussione ed esame delle questioni relative all'ordinamento degli enti locali, insieme agli
aspetti di politiche finanziarie di bilancio, risorse umane strumentali e iniziative legislative e degli
atti generali di governo.
8.3) La Conferenza unificata;
Essa è costituita dall'unione dei membri della conferenza Stato-Regioni e della conferenza Stato-città
e da autonomie locali. Essa è competente per i casi in cui regioni, province, comuni e comunità
montane debbano esprimersi su una medesima questione.
L'esercizio della maggior parte delle sue attribuzioni si articola nella formulazione di pareri sui
documenti relativi alle politiche economiche fiscali dello Stato.
8.4) Le altre sedi della collaborazione;
Le dinamiche concertative non trovano svolgimento nelle conferenze che si limitano a ratificare
decisioni assunte in altre sedi.
La Conferenza delle Regioni è un organismo di collaborazione orizzontale, destinato a promuovere
la collaborazione fra enti ello stesso livello territoriale. È la sede in cui si cerca di mediare tra interessi
che possono essere anche assai divergenti, in modo che gli enti regionali partecipano alla Conferenza
Stato regioni con una posizione di compromesso già elaborata.
L’art. 123, co. 4 dispone che il Consiglio delle autonomie locali (CAL) è il luogo dove siedono i
rappresentanti degli Enti locali in una simmetria lineare con l’art. 114 Cost.
La sua composizione ha il problema dell’impossibilità di garantire un rappresentante per ogni ente,
ed è necessario trovare un criterio selettivo che assicuri un’adeguata rappresentatività: consentire
l’equilibrata rappresentanza dei territori e delle tipologie degli enti locali.
Le regioni si sono regolate in ordine alla composizione del CAL: alcuni statuti indicano il numero dei
componenti, altri il numero massimo demandandone la concreta quantificazione alla legge
regionale…
Dalla disposizione non si comprende de il CAL debba o meno prevedere la presenza stabile all’interno
dell’organo anche di rappresentanti della Regione, occorre stabilire se la consultazione indicata
dall’art. 123, co. 4 debba avvenire “dentro l’organo oppure attraverso l’organo”.
L’ART. TERRITORIALE DELLA REP. (QUINTA ED.) I ROSELLI ALEXIA

Già prima della revisione, le regioni avevano istituito organi di raccordo con gli enti locali, tra loro:
➢ Conferenza: il suo modello è proprio dei raccordi con le Giunte regionali. Esse sono
caratterizzate dalla compresenza dei rappresentanti degli esecutivi degli enti locali e dei
rappresentanti dell’esecutivo regionale;
➢ Consiglio: il suo modello indica organi che intrattengono relazioni con i consigli regionali.
Essi riuniscono i rappresentanti degli enti locali.
I nuovi statuti prevedono la strutturazione del CAL presso il consiglio regionale, affiancando un altro
organo di cooperazione con l’esecutivo regionale (conferenza).
L’art. 9, co. 2 (legge n. 131/2003) riconosce ai CAL il potere di proporre alle regioni di avviare il
giudizio in via principale dinanzi alla Corte, per tutelare le attribuzioni degli enti locali, che, com’è
noto, non hanno il potere di accedere direttamente al giudice delle leggi.
9. Il federalismo fiscale;
Gli ordinamenti connotati da uno spiccato policentrismo istituzionale sono caratterizzati dal principio
dell’autonomia finanziaria dei vari livelli di governo. Si parla di “finanze separate”, quando lo Stato
centrale e gli enti periferici si procurino i mezzi necessari per far fronte alle attività loro attribuite
grazie al riconoscimento a ciascuna entità di autonomo potere impositivo.
Un margine di autonomia fiscale appare necessaria anche in ordine a quel principio di accountability,
che evoca la possibilità da parte dei cittadini di controllare l’operato degli amministratori e di fare
valere la responsabilità politica di questi in sede di rinnovo degli organi elettivi.
L’autonomia fiscale e finanziaria non può essere spinta oltre un certo limiti, poiché il soggetto passivo
dell’imposizione è unico, e la circostanza che la forma di stato sociale importa la garanzia di standard
di prestazioni per la cui erogazione potrebbe essere necessario un intervento del più alto livello di
governo (potestà di coordinamento della finanza pubblica che spetta agli stati centrali).
Per quanto dispone l’art. 119, il testo cost. novellato sottopone l’autonomia fiscale degli enti
territoriali al rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci e riconosce una responsabilità degli stessi in
relazione agli obblighi posti in sede europea.
Queste norme sono legale alla nuova disposizione dell’art. 81 e riconoscono una responsabilità diretta
dei singoli enti in relazione al patto di stabilità e crescita, che lega gli stati membri al rispetto di
parametri di bilancio stabiliti in funzione degli obiettivi dell'unione.
Per quanto riguarda il principio perequativo fa riferimento a meccanismi che rispondono all’esigenza
di garantire livelli essenziali di qualità della vita per i propri cittadini senza differenziazioni
territoriali.
La nuova formulazione dell’art. 119 sancisce il principio di autonomia finanziaria delle regioni,
prevedendo tre distinte forme di finanziamento regionale.
La perequazione finanziaria: riservata alla potestà esclusiva dello stato, che tramite un congegno
redistributivo di ricchezza, è chiamato ad assolvere al prioritario obiettivo di determinare i livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
La perequazione mista: è intermedia tra quella verticale e orizzontale, ed è disciplinata nel co. 2 e 3,
dove si prevede che le regioni e gli altri territoriali minori “dispongono di comparte citazione al
gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio” e che lo stato “istituisce un fondo di
perequazione, senza vincoli di destinazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante”.
L’ART. TERRITORIALE DELLA REP. (QUINTA ED.) I ROSELLI ALEXIA

Nel co. 5 si prevede l'erogazione da parte dello Stato di risorse finalizzate a gengive, la realizzazione
di interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni, per
promuovere “lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri
economici e sociali”.
Nel co. 6 si dispone che gli enti territoriali possano ricorrere all' indebitamento solo per finanziare
spese di investimento. Mentre la legge n. 1/2012 aggiunto che il ricorso all' indebitamento richiede
“la contestuale definizione di piani di ammortamento” e impone “che per il complesso degli enti di
ciascuna regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio”.
RIASSUNTO PRIME 3 SEZIONI (QUINTA EDIZIONE) + FORME DI STATO I ROSELLI ALEXIA

Parte prima
Capitolo primo, sezione 1
Il diritto pubblico, una realtà in continuo divenire
1. Diritto, società e ordinamento giuridico;
Il termine diritto ha molteplici significati legati alle regole di comportamento che disciplinano i
rapporti tra i componenti di una comunità.
Il gruppo sociale è retto da un insieme di regole ed i principi che disciplinano le relazioni tra i soggetti
che lo compongono. Ogni raggruppamento umano che si forma in vista del perseguimento di
obiettivi comuni possiede un proprio ordinamento giuridico.
Per ordinamento giuridico si intende quel complesso di istituzioni, e di regole di condotta che
impongono comportamenti consociati per assicurare la pacifica convivenza di una determinata
comunità.
Il vocabolo società indica un insieme di soggetti cui rapporti sono stabiliti da norme, garantiti da
istituzioni comuni e da sanzioni che tendono a rendere possibile una tranquilla coesistenza.
Il concetto di diritto è strettamente collegato a quello di società.
2. La pluralità degli ordinamenti giuridici;
L'etimologia della parola ordinamento descrive l'insieme delle norme che regolano la vita di una
comunità. Il diritto elemento costitutivo di ogni corpo sociale e la sua funzione primaria è quella di
disciplinare la convivenza e le relazioni sociali.
Secondo la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, il numero di ordinamenti che possono
qualificarsi come giuridici è illimitato. La natura dei fini perseguiti vale a distinguere gli ordinamenti
giuridici particolari da quelli generali.
Sono enti a fini generali le comunità internazionale, l'unione europea e gli enti territoriali: mirano al
soddisfacimento di interessi generali, potenzialmente propri, indistintamente, di tutti i consociati.
Gli ordinamenti particolari si caratterizzano per la circostanza che si propongono di realizzare fini
specifici di varia natura: economica, culturale ec…
Di fronte alla pluralità degli ordinamenti giuridici efficaci si pone l'esigenza di assicurarne la
coesistenza risolvendo eventuali antinomie. Il principio di non contraddizione è garantito da talune
“norme di riconoscimento”: poste dall' ordinamento giuridico sovrano che regolano le condizioni e
limiti di efficacia delle norme di altri ordinamenti del medesimo ambito territoriale.
Ad esempio, l’art 18 Cost precisa che “i cittadini sono liberi di associarsi per fini che non siano
vietati ai singoli dalla legge penale”.
3. Diritto costituzionale;
Con l'adozione dello statuto albertino l'insegnamento di diritto costituzionale fu attivato in modo
stabile in alcuni atenei italiani e conquistò autonomia, rispetto alle altre discipline del diritto.
Si deve a Vittorio Emanuele Orlando il merito di aver delineato il metodo già conferito specificità
alla scienza di diritto costituzionale. Dopo di lui Santi Romano quando parla di diritto costituzionale
dice che “s'intende accennare ad una parte del diritto dello Stato e precisarne a quella parte che ne
rappresenta il fondamento, e per così dire, i muri maestri e la prima armatura”: il diritto
costituzionale è l'ordinamento supremo dello Stato.
RIASSUNTO PRIME 3 SEZIONI (QUINTA EDIZIONE) + FORME DI STATO I ROSELLI ALEXIA

Il diritto costituzionale è la disciplina che studia le strutture costitutive dell’ordinamento, cioè


l'organizzazione costituzionale e dello statuto dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone.
4. Diritto pubblico e diritto privato;
Il concetto di diritto è correlato alla tradizionale distinzione tra diritto pubblico e privato utilizzata da
Ulpiano.
La differenza tra le due branche del diritto consiste nella diversa intensità con la quale le norme
tutelano il fine ultimo del diritto, ossia la conservazione della società.
Il raggiungimento di questa finalità è affidato alle norme di diritto pubblico; diversamente le norme
volte al soddisfacimento di un interesse individuale e sola mediatamente di un interesse pubblico sono
a norma di diritto privato.
Le norme di diritto pubblico si occupano della normativa di diretta interesse collettivo. il diritto
pubblico è quella branca del diritto che studia le norme concernenti l'organizzazione dello Stato, enti
pubblici e si occupa dei rapporti fra il cittadino e gli enti.
Il diritto privato riguarda i rapporti tra i singoli.
Il confine tra diritto pubblico e diritto privato è sempre stato incerto, poiché la scelta di come tutelare
i fini e gli interessi appartiene all' ordinamento nel suo complesso.
RIASSUNTO PRIME 3 SEZIONI (QUINTA EDIZIONE) + FORME DI STATO I ROSELLI ALEXIA

Capitolo primo, sezione 2


Lo stato e i suoi elementi costitutivi
1. Stato “istituzione”, stato “apparato”, stato “comunità;
Lo stato è un ordinamento giuridico originario, composto da un gruppo sociale, ordinato da regole
e stanziato su un determinato territorio.
Con l'espressione “stato istituzione” si vuole indicare l'ordinamento giuridico statale come corpo
sociale e politico organizzato e onnicomprensivo di tutte le altre realtà intermedie adesso sottoposte.
la costituzione italiana designa sovente lo stato istituzione con il termine Repubblica: art 114 Cost
“la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo
stato”.
Con il termine “stato apparato” o “stato persona” s'intende l'insieme dei governanti, ossia di organi
e di enti ai quali è attribuito il potere di approvare applicare le norme gli atti attraverso cui lo stato
esprime la propria supremazia e persegue le proprie finalità. è chiamato anche stato persona perché
esso possiede personalità giuridica, ed è sottoposto ai pari degli altri soggetti pubblici e privati, all'
ordinamento.
Per “stato comunità” si allude all'interno delle istituzioni dei governati, cittadini e formazioni sociali
sottoposti all'autorità dello Stato apparato, e si evoca quel processo di continua integrazione della
sfera dell'autorità con quella della libertà.
2. Gli elementi essenziali dello Stato;
Lo stato viene concepito come la risultante di tre elementi costitutivi: territorio, popolo e sovranità.
TERRITORIO: costituisce il luogo di stabile radicamento del popolo, entro cui vige l'ordinamento
giuridico dello Stato. Il territorio è lo spazio dello Stato, ovvero l'ambito territoriale in cui esso
esercita il potere.
La sua precisa delimitazione è definita dal diritto internazionale, che ha elaborato un complesso di
norme dirette ad individuare l'ambito spaziale in cui ciascuno stato può esercitare la propria sovranità.
Il territorio comprende:
• Terraferma: è quella porzione di territorio delimitata dal mare o da confini “naturali” o
“artificiali”.
Nel caso dei confini naturali, il diritto internazionale elaborato una serie di criteri diretti a
definire la linea di demarcazione: se il confine coincide con una catena montuosa, essa è data
dalla linea che congiunge le vette più elevate; se due stati sono divisi da un fiume navigabile,
coincide con la linea della più alta o più forte corrente; se invece il fiume non è navigabile,
con la linea mediana.
I confini artificiali sono quelli segnati sulle carte geografiche, a tavolino: vi sono alcuni
continenti (Africa) che sono divisi a seconda di partizioni territoriali in base a confini
artificiali.
• Le acque e spazio aereo;
• Mare territoriale: se il territorio è delimitato dal mare, occorre distinguere il mare
territoriale che è prospicente il territorio dello Stato ed è soggetto alla sua sovranità, del mare
libero che non costituisce oggetto di dominio essendo di comune utilizzabilità.
L'estensione delle acque territoriali italiane sottolinea come sia stato da tempo abbandonato il
tradizionale criterio della gittata massima dei cannoni, oggi fissato dall’art. 2 del Codice
civile della navigazione in 12 miglia (convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare
del 1982).
RIASSUNTO PRIME 3 SEZIONI (QUINTA EDIZIONE) + FORME DI STATO I ROSELLI ALEXIA

Il richiamo a tale convenzione permette di evidenziare la “doppia natura” naturalistica e


giuridica del concetto di territorio, che partecipa anche di qualificazioni “immateriali” ed
eminentemente legali. Un importante esempio di ciò è la creazione di quello spazio senza
frontiere interne grazie all'adozione dell'atto unico del 1986 e il successivo trattato di
Schengen, in materia di libera circolazione delle persone, capitali e merci nell'ambito degli
stati aderenti all'unione.
• Piattaforma continentale: essa si trova al di fuori della linea costiera ed è quella parte del
fondo Marino che circonda le terre emerse, le cui risorse naturali sono utilizzate dallo stato
attraverso, ad esempio, la ricerca e la coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi.
Collegati al territorio sono gli istituti della extraterritorialità e dell’immunità territoriale.
L'ordinamento consente che parti del territorio statale risultino sottratti al potere sovrano del
medesimo stato, con il fine di garantire interessi di altri ordinamenti sovrani. Il fenomeno della
immunità territoriale riguarda le sedi delle rappresentanze diplomatiche straniere e ogni luogo in cui
risieda un agente diplomatico accreditato presso lo stato ospitante. (Un caso specifico è quello a
piazza San Pietro, che pur facendo parte dello Stato Città del Vaticano, in virtù dell'articolo 3 del
trattato fra la Santa Sede e l'Italia, è aperta al pubblico).
L'extraterritorialità è una finzione giuridica in base alla quale le navi aeromobili militari stranieri
sono assoggettati alle leggi dello Stato nel quale battono bandiera (art. 4 C. c): i limiti cui è soggetta
la sovranità dello stato ospite.
L'ultraterritorialità indica quel fenomeno secondo cui la normativa statale si estende oltre i confini
dello Stato (navi e aeromobili che si trovano fuori dalle acque o dallo spazio aereo italiano):
l’estensione della sovranità dello stato di appartenenza.
Il territorio è uno strumento di sviluppo della personalità individuale, perché con la libertà di
circolazione e soggiorno (art. 16 Cost e art. 120 Cost), il territorio diviene quell’ambito spaziale in
cui il cittadino si può muovere, circolare e soggiornare per cogliere le migliori occasioni di
aspirazione.
POPOLO: è l’insieme di coloro ai quali l’ordinamento giuridico statale assegna lo status di cittadino.
Differenze è il concetto di popolazione: indica il complesso indifferenziato di soggetti, compresi gli
stranieri (cittadini di un altro stato) e gli apolidi (coloro che non hanno cittadinanza) che risiedono,
in un determinato momento storico, nel territorio dello stato.
La cittadinanza è uno status giuridico che riconosce al cittadino i godimenti dei diritti politici: il diritto
di partecipare alla vita politica e sociale dello stato, attraverso l’elezione e le cariche pubbliche,
l’adesione ai partiti politici e l’esercizio del diritto di voto.
La condizione di cittadino implica l’adempimento di alcuni doveri inderogabili come “il sacro
dovere” di difendere la patria (art. 52), quello di essere fedeli alla repubblica e di osservare la
costituzione e le leggi (art. 54, co. 1), di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria
capacità contributiva (art. 53, co. 1).

Gli Stati contemporanei seguono due criteri fondamentali per l'attribuzione della cittadinanza al
momento della nascita, la legge n. 91 del 1992 e prevede alcuni criteri di attribuzione della
cittadinanza:
1. IUS SANGUINIS: criterio tradizionale, ed in base ad esso diventa cittadino il figlio di uno o
di entrambi gli individui che sono cittadini italiani (il cittadino può acquisire anche due
cittadinanze in alcuni paesi, altri invece vietano questa cosa).
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2. IUS SOLI: nei paesi del nuovo mondo (Sud America, Nuova Zelanda ecc) viene data
prevalenza rispetto allo Ius sanguinis (che è prevalente nei paesi Europei). Lo Ius Soli nel
nostro paese opera nei casi in cui non può operare lo ius sanguinis, ad es. se un bambino di
stranieri (cittadini di paesi dove non vige lo ius sanguinis) nasce nel nostro territorio e acquista
la cittadinanza italiana / es. un individuo (con genitori stranieri) nato in Italia, può decidere
(al compiere del diciottesimo anno di età) se mantenere la cittadinanza straniera o prendere
quella italiana.
3. IURIS COMMUNICATIO: si ha nei casi in cui si verifica una comunicazione giuridica
(matrimonio, adozione e casi analoghi).
4. CONCESSIONE AMMINISTRATIVA: possiamo dire che in alcuni casi la cittadinanza può
essere concessa quando il cittadino straniero ha servito il nostro paese (forze armate italiane,
ambasciate all’estero), si vuole quindi premiare lo straniero che ha dimostrato lealtà al nostro
paese. ES. Madre Teresa di Calcutta aveva la concessione del passaporto italiano.
Rari i casi in cui è possibile che un soggetto si trovi ad avere più di una cittadinanza: nel caso il
figlio di cittadini appartenenti ad uno stato in cui vige la regola dello ius sanguinis, nasca nel territorio
di un altro paese in cui vale il principio dello ius soli.
L’art. 22 dice che: “Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della
cittadinanza e del nome” (la cittadinanza, la capacità giuridica e il carattere identificativo sono
elementi fondamentali rilevanti dell’identità personale di ognuno di noi). E.S morte civile, una
sanzione che risparmiava la vita fisica del cittadino deviante, ma veniva privato di diritti (zombie per
l’ordinamento, privato della propria identità).
La cittadinanza perduta può essere riacquistata allorché l’interessato decida di interrompere il
rapporto di dipendenza da uno stato estero e risieda dal almeno due anni nel territorio della repubblica;
prestando servizio militare o accettando un impiego alle dipendenze dello Stato italiano; nel caso in
cui dichiari di volerla riacquistare e stabilisca la propria residenza in Italia entro un anno dalla
dichiarazione, o ho ritenuto da oltre un anno nel territorio della Repubblica.
Il trattato di Maastricht del 1992 ha introdotto l'istituto della cittadinanza europea, art. 20 TFUE
“è cittadino dell'unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. la cittadinanza
dell'unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce”. tra le previsioni ha
riconosciuto a tutti i cittadini degli Stati membri dell'unione europea una serie di diritti di doveri:
A. Il diritto alla libera circolazione e il diritto di soggiorno sul territorio degli stati membri;
B. Il diritto di voto attivo e passivo alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali
nello stato membro di residenza con le stesse condizioni previste per i cittadini di questo stato;
C. Il diritto di beneficiare sul territorio di uno stato terzo (non appartenente quindi all’UE) della
protezione diplomatica o consolare di uno qualsiasi dei 27 stati membri nel caso in cui lo stato
di origine non sia rappresentato nel paese;
D. Il diritto di petizione al Parlamento europeo e il diritto di rivolgersi al Mediatore europeo
(difensore civico UE).
Infine, il concetto di popolo non deve essere confuso con i concetti di:
• Nazione: insieme di individui che condividono la stessa cultura, lingua o identità (caratteri
che identificano la nazione italiana). Ma ci possono essere soggetti che hanno in pieno
un’identità italiana (nazione) ma che non sono cittadini,
E.S gli italiani che si trovano nei territori persi alla fine della Seconda guerra mondiale (Istria,
Fiume, Dalmazia).
• Corpo elettorale: insieme di cittadini che hanno il diritto di voto.
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SOVRANITA’: è oggetto fondamentale del diritto pubblico e si intende il supremo potere di governo
attribuito a quell’organo o istituzione, che ha il monopolio dell’uso della forza legittima. Ed assume
rilievo da un punto di vista interno ed esterno.
Nella prospettiva interna, la sovranità consiste nel supremo potere di governo, che, in un
determinato territorio, non riconosce alcuna supererà autorità. Pur potendo esistere molteplici centri
di potere nell'ambito dell'ordinamento giuridico statale, a nessuno di questi può essere attribuito
rilievo pari o superiore a quello dello Stato sovrano.
Nella dimensione esterna, la sovranità si identifica con i caratteri dell'originalità e dell’indipendenza
dell’ordinamento nei confronti degli altri stati. L'ordinamento statale non discende da altri
ordinamenti, ne è soggetto ad essi, in quanto si auto legittima e trova in sé stesso la giustificazione
giuridica della propria esistenza del proprio dovere. Il carattere originario consente di distinguerlo da
quei sistemi giuridici che possono considerarsi derivati.
Il carattere cruciale della sovranità nella configurazione dello Stato spiega la ragione per cui la
dottrina giuspubblicistica e politologica si siano impegnate per i costituirne origine e consistenza sin
dalla nascita dello Stato moderno. Sono emerse varie teorie:
TEORIA TEOCRATICA: la sovranità è suprema potestà di governo discendente dal diritto divino.
In questo senso si riteneva che il monarca fosse l'incarnazione della sovranità e che esercitasse relativi
poteri per “grazia di Dio”. “Omnis potestas a Deo” (ogni potere deriva da Dio) infatti il potere politico era
legittimato dalla base della legge divina.
Questa teoria vigeva nel Sacro Romano Impero, che era una Respubblica Christaiana, dove vi
erano le due teste dell’Imperatore e del Romano Pontefice. Quest’autorità politica bicefala si
contendeva il primato tra Guelfi (pontefice) e Ghibellini (imperatore), e nessuno metteva in
discussione che la sovranità spettasse sia al papa che all’imperatore, infatti il simbolo del Sacro
Romano Impero è un’aquila a due teste che rappresenta il potere temporale e il potere spirituale.
Questa costruzione politica imperiale venne messa in discussione quando Lutero avviò la riforma
protestante e quando iniziarono le guerre di religione.
In quel momento si ruppe l’unità religiosa dell’Europa, e il venir meno della figura del Papa comportò
il venir meno la fonte di legittimazione spirituale del potere politico.
I sovrani non si sentono sottoposti all’Imperatore al Papa, e pretendono di esercitare sul proprio
territorio la sovranità assoluta e scoppiano le guerre di religione, molto sanguinose (Strage degli
Ugonotti in Francia).
Il Trattato di Westfalia del 1648 portò la fine delle guerre di religione, stabilendo il principio “Rex
in regno suo est Imperator” (Il Re nel suo regno è imperatore) affermando la sovranità assoluta del
Re che non dipendeva più dall’Imperatore e dal papa.
In questa fase la sovranità assume i suoi contorni di assolutezza e indivisibilità.
Viene elaborato il concetto di sovranità, poiché senza questa autorità assoluta che potesse coordinare
la comunità, si poteva ricadere nel flagello della guerra.
TEORIE DELLA SOVRANITA’ di Bodin, Locke e Rousseau: il potere assoluto del monarca è
giustificato in quanto ritenuto l'unico strumento per garantire la vita e la libertà dei suoi sudditi di
fronte al rischio dell’anarchia e del bellum omnium contra omnes. Infatti, sarebbero stati gli stessi
uomini a decidere di uscire dallo stato di natura e di sottomettersi volontariamente, attraverso
l'immaginaria sottoscrizione di un contr volontà o consapevolezza di assegnare al monarca in via esclusiva
il monopolio legittimo della forza, per far cessare la violenza.
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Il primo autore da ricordare che ha ben presente questa prospettiva (poiché subì le tragedie delle
guerre religiose) era Juan Bodin (1529-1596), insieme a Thomas Hobbs (1588-1679) autore del libro
“Leviathan” in cui compare un mostro che emerge dalle acque, composto da tanti piccoli uomini che
amministra la giustizia con un potere assoluto ed indivisibile, e lo fa dal presupposto che ciascun
uomo sia spinto da due istinti: appagamento del desiderio (uomo egoista, individualista, disposto a
tutto) e la paura (di soccombere a causa della violenza) e allora questi due istinti determinano la
volontà degli uomini di mettersi insieme e sottoscrivere un contratto sociale, per rinunciare all’uso
della forza comune, mettendola a disposizione di un solo soggetto (sovrano, monarca).
Il sovrano secondo Bodin doveva esercitare i suoi potere in conformità alla legge divina e ha un
parametro di valutazione che consente di stabilire il suo comportamento (sovrano o tiranno). Per
Hobbes dal momento in cui si riconosce al sovrano l’uso della forza, ciò che egli stabilisce è legittimo.
Questa differenza vi è perché Hobbes riteneva che se si fosse precostituito un parametro di
valutazione del modo in cui il sovrano esercitasse i suoi poteri, si sarebbe aperto il cancello verso la
rivolta.
Oltre questi autori, bisogna ricordare anche la teoria di John Locke (1632-1704) riteneva che per
garantire la pace sociale si dovesse concludere un contratto attribuendo un potere esclusivo per l’uso
della forza legittima al Re, individuando in maniera precisa gli scopi per cui il re riceveva questa
podestà: il re doveva tutelare attraverso questi poteri la vita, la libertà e la proprietà dei suoi sudditi.
La differenza del suo pensiero sta che nel caso in cui il monarca avesse fatto cattivo uso del suo potere
esclusivo, e che non avesse tutelato i sudditi, potesse essere contestato per arrivare allo scioglimento
del contratto sociale (risolubile).
Nello stato moderno la sovranità non è monopolio del Re, poiché per evitare che questo potere sarebbe
stato vittima di abuso a seconda del sovrano, si pensò di frammentarlo in più poteri.
TEORIA GIUSNATURALISTICA: è formulata nella filosofia politica di Grozio ed i Kant, si fonda
sul presupposto secondo cui la sovranità dello Stato è necessaria per la garanzia dei diritti inviolabili
dell'individuo: espressione del diritto naturale.
TEORIA DELLA SOVRANITA’ DELLA NAZIONE: attribuisce la titolarità del potere sovrano alla
nazione, entità metafisica che evoca una comunità di valori, tradizioni, lingua, razza e religione di cui
lo stato è incarnazione giuridica ipostatizzata. Gli interessi della nazione devono essere individuati
e perseguiti da organi rappresentativi, eletti con suffragio ristretto per censo o per cultura. Tale
impostazione è valsa a giustificare nello stato liberale ottocentesco la limitazione del suffragio.
L’accennato dibattito dottrinario sulla sovranità, si innesta nello scenario creato dalle tre grandi
Rivoluzioni (la Gloriosa rivoluzione inglese 1688; Rivoluzione americana 1773; Rivoluzione francese
1789) a partire dalle quali prende avvio la costruzione del moderno stato democratico di diritto e le
teorie del costituzionalismo, rivolte alla garanzia dei diritti e della libertà dinanzi al rischio di abusi
da parte del potere statale.
Il problema della titolarità formale degli atti di sovranità viene risolto dagli ordinamenti democratici
attraverso l'attribuzione della stessa al popolo, variamente organizzato nelle differenti forme di
governo, ma, sempre riconosciuto titolare del potere di assumere le decisioni fondamentali della
comunità politicamente organizzata.
La disposizione contenuta nell’art. 1, co. 2 Cost. italiana, afferma che “la sovranità appartiene al
popolo” vero titolare della potestà Suprema, che l'esercito secondo due modelli:
o Democrazia rappresentativa: il corpo elettorale sceglie attraverso il voto i propri
rappresentanti negli organi pubblici elettivi, i quali esercitano le funzioni connesse alla
determinazione dell'indirizzo politico;
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o Democrazia diretta: comporta la partecipazione in prima persona dei cittadini alle scelte
politiche del paese, con strumenti che valgono ad integrare o correggere gli indirizzi degli
organi rappresentativi: petizioni, iniziativa legislativa popolare e referendum.
Il co. 2 dell’art. 1 afferma che “il popolo può esercitare la propria sovranità nelle forme e nei limiti
della costituzione”, cioè il carattere limitato costituite della sovranità popolare: essa trova la sua fonte
di legittimazione la sua disciplina nella costituzione e non al di fuori di essa, infatti continua dicendo
che “fuori dalla costituzione del diritto non c'è sovranità”.
La sovranità si manifesta come indipendenza dello Stato rispetto a qualsiasi altro soggetto o persona
giuridica. Con questo concetto è stato mitigato nella nostra carta costituzionale, e infatti l'art. 11 dice
che: “L'Italia consente, alle limitazioni di sovranità necessarie di un orientamento che assicuri la
pace o la giustizia fra le nazioni”.
Tale formulazione ha permesso l'adesione del nostro paese all'organizzazione delle Nazioni unite
(ONU). tali limitazioni alla sovranità nazionale hanno assunto maggiore rilievo in seguito
all'istituzione di organizzazioni sovranazionali: la comunità europea del carbone dell'acciaio, la
comunità europea per l'energia atomica e la comunità economica europea.
Nell'art. 1 della carta del 1948 vi è il principio che qualsiasi decisione riguardante la Repubblica
spetta al popolo, che titolare della sovranità nelle “forme e nei limiti della costituzione”.
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Capitolo primo, sezione 3


Lo stato e le Organizzazioni Internazionali
1. Premessa;
L'istituzione di organizzazioni internazionali o sovranazionali ha comportato che ciascuno stato
accettasse limitazioni della propria sovranità, in condizione di parità con gli altri stati. Tale fenomeno
comporta al potere sovrano un parziale e condizionato trasferimento delle stesse in capo ad istituzioni
extra statali.
Art. 11 Cost; l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità
necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce
le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”,
2. L’organizzazione delle Nazioni Unite: struttura e poteri;
L’ONU prende vita con il trattato di San Francisco, stipulato il 26 giugno del 1945, alla fine della
Seconda guerra mondiale.
La prima organizzazione internazionale fu la Società delle Nazioni, con sede a Ginevra, fondata
seguito della firma del trattato di Versailles nel 1919. La società delle Nazioni fallì nel
raggiungimento dei suoi obiettivi interruppe ogni attività politica a partire dal 1939.
Gli obiettivi che l'Onu intende raggiungere sono descritti nel preambolo del trattato istitutivo, a norma
del quale paesi aderenti uniscono le loro forze per “salvare le future generazioni dal flagello della
guerra” e per “riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità nel valore della
persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne delle Nazioni grandi e
piccole” e “promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà”.
Gli organi fondamentali delle Nazioni unite sono:
L’ASSEMBLEA GENERALE: composta da tutti i rappresentanti dell’Onu. Essa tiene una sessione
da settembre a dicembre e si riunisce appositamente anche in via straordinaria. Può formulare
raccomandazioni sui principi generali di cooperazione per il mantenimento della pace e della
sicurezza internazionale. L'assemblea può intervenire qualora il consiglio di sicurezza non riesca ad
agire a causa del voto negativo di un membro permanente. Infine, può vagliare immediatamente la
questione, per formulare raccomandazioni ai paesi membri, tese all'adozione di misure collettive
necessarie al mantenimento o al ripristino di condizioni politiche.
IL CONSIGLIO DI SICUREZZA: ha il compito di mantenere la pace e la sicurezza, interviene in
ogni questione che potrebbe condurre a conflitti internazionali e propone metodi di conciliazione.
esso si compone di 15 membri (5 permanenti, le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale, e
10 non permanenti, eletti dall’assemblea per due anni). La differenza fondamentale consiste nel potere
di veto. Le risoluzioni del consiglio sono vincolanti, mentre quelle emanate dall’assemblea generale
assurgono solo in alcuni settori.
Sono state avanzate proposte di riforma del consiglio di sicurezza, sia tutto il profilo della
composizione che delle modalità di votazione. Germania, Giappone, India e Brasile ambiscono un
seggio permanente, che avrebbe dovuto essere conferito se non vi fosse stata la ferma opposizione di
Stati Uniti e Cina.
L'Italia fa parte del gruppo uniting for consensus, particolarmente attivo nell’elaborazione di proposte
innovative per l'Onu. L'obiettivo comune è riformare il consiglio di sicurezza in senso più
democratico, efficiente e rappresentativo.
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La coalizione vuole aumentare il numero dei membri non permanenti, istituendo otto o dieci seggi di
durata biennale, sui quali ruoterebbe in maniera più frequente un gruppo di paesi scelti garantendo
l'equa distribuzione geografica e tenendo conto del contributo fornito alle attività dell’organizzazione.
Tali paesi potrebbero assumere maggiori responsabilità nel finanziamento dell'Onu e delle operazioni
di peacekeeping. L'Italia promuove la creazione di una nuova categoria di seggi non permanenti di
durata superiore.
IL SEGRETARIO GENERALE: è nominato nell'assemblea generale su indicazione del consiglio di
sicurezza e incarna l'organo esecutivo, vertice dell’apparato amministrativo che conta circa 40.000
dipendenti. Esso porta all'attenzione del consiglio di sicurezza qualsiasi questione che sia tale da
minacciare il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
L’Onu ha registrato evidenti insuccessi che hanno alimentato perplessità nei confronti di una struttura
farraginosa e poco incisiva nella risoluzione dei conflitti, poiché priva di un esercito che i paesi
avrebbero dovuto contribuire a costituire.
3. Dalla Comunità Economica Europea all’Unione europea;
E fenomeno dell'integrazione europea appare diverso da quello che ha interessato tutte le altre
esperienze internazionali. l'unione europea è nata grazie a trattati stipulati da sei stati fondatori. Il
trattato di Parigi del 18 aprile del 1951 ai trattati di Roma del 25 marzo 1957, diedero rispettivamente
vita alla CECA e alla CEE.
I trattati di Roma sono stati sottoposti a numerose modifiche ed integrazioni, fino al tentativo di
approvare una costituzione europea. Ciò ha determinato un allargamento del numero delle
competenze rimesse alla comunità europea e una limitazione della sovranità dei singoli stati. Adesso
sono stati trasferiti importanti poteri, sia sotto il profilo dell’azione di norme giuridiche vincolanti,
sia sotto il profilo politico, per cui l’Unione europea decide in settori che prima erano riservati agli
stati.
L’art. 3 del TUE spiega che la Comunità ha il compito di promuovere “lo sviluppo sostenibile
dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrante e sulla stabilità dei prezzi, su
un’economia sociale di mercato competitiva, mira alla piena occupazione e al progresso sociale…”.
Si fa riferimento alla parità tra uomo e donna, alla solidarietà intergenerazionale e tra stati membri,
alla tutela dei minori.
Dal 1957, il numero dei paesi è aumentato: oggi l’Europa si compone di 27 stati. Le tappe
fondamentali che hanno segnato la trasformazione della Comunità economica europea in Unione
europea sono:
- Trattato di Bruxelles (1965): sulla fusione degli esecutivi prevedeva l’istituzione di un
consiglio unico e di una commissione unica per le tre comunità europee;

- Atto relativo all’elezione dei membri del Parlamento europeo: emanato dal consiglio nel
1976, rese i parlamentari elegibili a suffragio universale diretto (prima lo erano dai singoli
parlamenti nazionali);
- Atto unico europeo (1986): fu la prima modifica del Trattato istitutivo e con esso si assiste a
una espansione delle competenze, e la comunità viene dotata di procedure decisionali agili.
Per realizzare il mercato unico, ossia uno spazio senza frontiere nel quale fosse assicurata la
libera circolazione delle merci, persone, servizi e capitali. Nel suo preambolo viene espressa
la volontà degli statu membri di trasformare l’insieme delle loro relazioni promuovendo
aspetti economici e politici;
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- Trattato di Maastricht (1992): si assiste al raggiungimento dell’obiettivo economico della


Comunità e si afferma la sua vocazione politica. Il trattato intende conseguire cinque obiettivi
essenziali: rafforzare la legittimità democratica delle istituzioni e renderle più efficaci;
instaurare un Unione economica e monetaria; sviluppare la dimensione sociale della
comunità; istituire una politica estera di sicurezza comune.
Questo trattato crea l'unione europea, costituita da tre pilastri:
➢ Il primo, racchiude le tre comunità europee (Ceca, comunità europea ed EURATOM);
➢ Il secondo, si riferisce alla politica estera e di sicurezza comune;
➢ Il terzo, relativo alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
Nel primo si applica il metodo comunitario cioè si marginalizzano i governi nazionali a
favore delle istituzioni europee perché governi gli Stati possono intervenire solo nelle forme
e secondo le procedure previste nei trattati, bilanciando il loro ruolo come quello delle
istituzioni.
Ho negli altri due la collaborazione di tipo intergovernativo: il potere decisionale è
attribuito agli Stati membri. le competenze dell'unione vengono ampliate.
Tra le grandi innovazioni del trattato figura l'istituzione della cittadinanza europea che si
aggiunge a quella nazionale, inoltre adotta come norma generale il principio di sussidiarietà.

- Trattato di Amsterdam (1997): si valorizza la cittadinanza europea, integrando l'elenco dei


diritti civili e politici di cui fruiscono i cittadini dell'unione e precisando la concessione tra
cittadinanza nazionale ed europea. L'Europa assume l'impegno ad una politica
occupazionale, prevedendo la definizione di strategie coordinate con gli Stati membri e il
coordinamento nelle politiche nazionali.
Viene introdotto il concetto di sviluppo sostenibile secondo cui il progresso deve rispondere
alle esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di
soddisfare le proprie.
Il consiglio vota a maggioranza qualificata e non all'unanimità; si valorizza il ruolo del
presidente della commissione si rafforzano le funzioni della Corte di giustizia nel settore dei
diritti fondamentali in ambiti che riguardano il problema della sicurezza interna dell'unione
europea.

- Carta di Nizza (2000): costituisce la sintesi dei valori condivisi dagli Stati membri dell'unione
europea. la sua finalità è enunciata nel preambolo: “è necessario rafforzare la tutela dei diritti
fondamentali alla luce dell’evoluzione della società, del progresso sociale degli sviluppi
scientifici e tecnologici”. Si trovano riuniti in un unico documento tutti i diritti e essa
contribuisce a sviluppare il concetto di cittadinanza dell'unione a creare uno spazio di
libertà, sicurezza e giustizia.

- Trattato di Nizza (2001): risolve le questioni lasciate aperte dal trattato di Amsterdam del
1997, ossia i problemi istituzionali legati al l'ampliamento dell'unione. Mutano alcuni
importanti aspetti relativi alla forma di governo comunitaria, in vista dell'allargamento da 15
a 25 stati.
In una dichiarazione sull’avvenire dell'unione, si auspicava l'avvio di un dibattito più ampio
più approfondita sul futuro dell'unione europea. Venne istituita una convenzione di
rappresentanti dei governi e dei parlamenti nazionali rappresenta dire al Parlamento europeo
e dalla commissione. La convenzione ha elaborato un progetto di trattato con il compito di
istituire una costituzione per l'Europa.
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4. La costituzione europea e il Trattato di Lisbona;


L’adozione del Trattato che adotta la costituzione europea è un importante passo nella costruzione
di una Europa politica. nel caso dell’Unione europea ci si sarebbe trovati dinanzi a un atto dotato di
una duplice natura.
o Da una parte, un trattato, fonte tipica del diritto internazionale;
o Dall'altro lato, una costituzione, norma fondamentale di un dato ordinamento giuridico.
Il trattato che adotta una costituzione viene firmato a Roma il 29 ottobre del 2004 dei capi di Stato o
di governo. Qualora fosse entrata in vigore avrebbe consacrato i valori, gli obiettivi dell'unione, i
diritti dei cittadini grazie all' inclusione della carta europea dei diritti fondamentali della costituzione;
avrebbe determinato la fusione della comunità europea, attribuendole così una personalità giuridica.
Per entrare in vigore necessitava della rettifica da parte di tutti gli Stati membri tramite procedura
parlamentare un referendum popolare. Il testo prevedeva che il processo di ratifica durasse due anni
e che le entrate in vigore sarebbe avvenuta entro il 1° novembre del 2006. L'Italia ha ratificato il
trattato attraverso la procedura di cui all'articolo 80 della costituzione ha subito una battuta di arresto
Tale complicazione ha indotto i leaders europei a dare vita a un diverso accordo. Il 13 dicembre del
2007, i capi di Stato e di governo dei 27 stati hanno firmato il Trattato di Lisbona si propone con:
o Modifiche strutturali;
o Il riconoscimento della personalità giuridica all'unione europea;
o L'inclusione dei parlamenti nazionali nell’iter di approvazione delle leggi;
o L'aumento delle materie su cui può intervenire Parlamento europeo;
o La possibilità di proporre iniziative legislative.
Il trattato prevede la creazione di due figure chiave nel potenziale sviluppo dell'Europa: il Presidente
del Consiglio europeo e l'Alto Rappresentante della politica estera. L'Europa viene dotata di
istituzioni che le garantiscono maggiore coesione.
3. Struttura dell’Unione Europea;
Il trattato ha modificato il Trattato sull’Unione europea e il trattato istitutivo della Comunità europea.
Esso ha inciso sulla forma di governo europea, si compone ancora oggi di numerose istituzioni:
- Il Parlamento europeo è l’unico organo eletto dai cittadini. I suoi deputati sono scelti ogni
cinque anni. Accanto al potere legislativo il parlamento europeo gode del potere di iniziativa.
Al consiglio il potere di bilancio gode di un potere di controllo ad ampio raggio: riceve
petizioni presentate dai cittadini europei e nomina un Mediatore che si occupa dei reclami.
Ha la facoltà di istituire commissioni temporanee di inchiesta per esaminare “denunce di
infrazione o di cattiva amministrazione nell’applicazione del diritto dell’Unione”.
Può ricorrere alla Corte di giustizia europea. Il parlamento partecipa alla commissione e può
approvare una mozione di censura. È stato sostenuto che l’unione europea soffrisse di un
deficit democratico.
Il trattato ha consolidato le prerogative del Parlamento in materia finanziaria, legislativa e di
approvazione dei trattati internazionali. Adesso partecipa all' elaborazione della normativa
comunitaria, attraverso la procedura legislativa ordinaria.

- Il Consiglio europeo venne istituito dal summit di Parigi del 1974 ed era nato come organo
informale di cooperazione politica. Oggi comprende il suo presidente e il presidente della
commissione, mentre il ministro degli esteri dell’Unione partecipa ai lavori.
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Esso dà all’unione l’impulso al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti politici generali;
contribuisce ad affrontare le grandi questioni politiche relative al livello politico più elevato
nelle situazioni di crisi e propone soluzioni in caso di disaccordo tra gli stati membri.
Il consiglio europeo viene reso molto affine al Consiglio (modalità di funzionamento e
procedure decisionali).

- Il Consiglio è l’organo decisionale della comunità. Fanno parte i ministri dei singoli governi
nazionali che cambiano a seconda dell'ordine del giorno e delle materie trattate.
La costruzione comunitaria contempla due strutture diverse sotto il profilo degli interessi
tutelati: mentre la commissione, rappresenta il momento di sintesi e di difesa di quelli
comunitari, il consiglio è organizzato in modo tale che venga data voce agli interessi delle
singole realtà nazionali.
È presieduto a turno, per sei mesi, da ciascuno dei paesi membri della comunità, seguendo
l'ordine stabilito del consiglio stesso.
Coordina le politiche economiche generali degli Stati membri e definisce e implementa la
politica essere di sicurezza comunale della UE.
Conclude accordi internazionali tra l'unione europea e uno o più stati ovvero organizzazioni
internazionali e insieme al Parlamento approva il bilancio della comunità.
Nello svolgimento delle sue funzioni, è coadiuvato dal comitato dei rappresentanti
permanenti, che è responsabile della preparazione del lavoro del consiglio e dall’esecuzione
dei compiti che esso gli assegna.

- La Commissione europea è l’organo esecutivo dell’Unione europea e ha il compito di


difendere gli interessi generali. Si compone di ventisette personalità, la cui elezione è messa
al consiglio e al parlamento europeo, per un mandato quinquennale. Essi sono scelti in base
alla loro competenza generale e sono tenuti ad offrire ogni garanzia di indipendenza.
I membri della commissione esercitano la loro autonomia, non sollecitano e né accettano
istruzioni da alcun governo né da alcun altro organismo nazionale.
È un organo formato da soggetti non in rappresentanza degli stati ed agisce nell’esclusivo
interesse della comunità.
Dispone del potere di proposta normativa che rappresenta la condizione necessaria affinché il
consiglio ed il parlamento possano emanare atti vincolanti; detiene il potere esecutivo sotto il
profilo dell’emanazione degli atti di esecuzione; rappresenta la comunità europea nei rapporti
esterni e decide sull’entità e la distribuzione fra tutti i paesi dei fondi strutturali, innalzando la
qualità della vita dei cittadini europei.

- La Corte di giustizia europea costituisce l’istituzione giurisdizionale comunitaria. È


composta da più organi giurisdizionali: la corte di giustizia, il tribunale di primo grado e i
tribunali specializzati. Il suo compito consiste nel verificare la legittimità degli atti comunitari
nel garantire un’interpretazione e un’applicazione uniformi del diritto comunitario su tutto il
territorio della comunità e nel giudicare le violazioni del diritto comunitario commesse dagli
stati o dalle istituzioni.
È composta da un giudice o da otto avvocati generali, designati di comune accordo dai governi
degli stati per un mandato di sei anni rinnovabile.
Il trattato di Lisbona ha istituito un comitato tenuto a dare un parere sull’adeguatezza dei
candidati all’esercizio delle funzioni di giudice ed avvocato generale.

- La Corte dei conti europea è composta da ventisette membri, nominati per sei anni dal
consiglio, esercita il controllo sulla gestione finanziaria della comunità, attraverso gli audit,
con i quali monitora la discussione l'utilizzo dei fondi dell'unione europea.
RIASSUNTO PRIME 3 SEZIONI (QUINTA EDIZIONE) + FORME DI STATO I ROSELLI ALEXIA

- Il Presidente del Consiglio europeo è eletto dal consiglio europeo a maggioranza qualificata
per un mandato di due anni e mezzo. Egli ha il compito di garantire la preparazione la
continuità dei lavori del consiglio europeo è detenuto ad attivarsi per facilitare la coesione il
consenso in seno al consiglio europeo.

- L’Alto rappresentante dell'unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza è nominato
dal consiglio europeo e delibera a maggioranza qualificata con l'accordo del presidente della
commissione. Il ministro degli Esteri dell'unione assume una doppia veste: e responsabile del
consiglio per la politica estera e di sicurezza comune, nonché ai vicepresidente della
commissione, incaricato delle relazioni esterne.

- Il Comitato economico e sociale è un organo consultivo che garantisce la rappresentanza ai


gruppi di interesse, dando la possibilità di esprimere il loro punto di vista sulle questioni
europee oppure su richiesta delle istituzioni europee o di propria iniziativa. I membri sono
indicati dal governi nazionali e nominati dal consiglio dell'unione europea per quattro anni
rinnovabili.

- Il Comitato delle regioni è un organo consultivo ed è composto dai rappresentanti delle


collettività regionali, titolari di un mandato elettorale nell'ambito locale che conferisce loro
un mandato quadriennale rinnovabile.

- Il Garante europeo della protezione dei dati personali, e istituito dalla autorità di controllo
indipendente, preposto la protezione dei dati personali e della privacy alla promozione di
prassi corrette nelle istituzioni e negli organismi.

- La Banca centrale europea e istituita il 1° giugno del 1998 e la banca centrale dei 19 Stati
membri dell'unione europea che hanno aderito all'euro. Ha l’obiettivo di mantenere la stabilità
dei prezzi nell’area euro e preservare il potere di acquisto della moneta unica. La banca è
preposta alla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi insediati nell'area euro e contribuisce
alla sicurezza alla solidità del sistema bancario, nonché alla stabilità del sistema finanziario
dell'unione e in ogni Stato membro.

- Il Meccanismo europeo di stabilità, detto anche fondo salva stati, fu istituito nel 2012 e ha
l'obiettivo di dare sostegno finanziario agli Stati membri dell'unione in caso di crisi
economiche o rischio di default. Si tratta di un meccanismo volto mantenere la stabilità
finanziaria della zona euro, emettendo prestiti sulla base di rigide condizioni. Le modalità di
azione sono individuate nell’art. 3 del suo trattato istitutivo: lo stato in difficoltà avanza al
presidente del Consiglio dei governatori del fondo salva stati, una richiesta di assistenza. La
commissione chiamata dal MES, a valutare lo stato di salute del paese e di definire il suo
bisogno finanziario. Dopo tale valutazione l'organo plenario del MES decide di agire e aiutare
attraverso prestiti lo stato in difficoltà.
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Capitolo secondo
Le forme di Stato
1. Le forme di Stato: classificazione e profili evolutivi;
Con l'espressione “forma di Stato” s'intende: “il rapporto tra chi detiene il potere e coloro che ne
rimangono assoggettati, e quindi il vario modo di realizzarsi della correlazione fra autorità e
libertà”.
Attraverso tale espressione si descrive la sfera di rapporti intercorrenti tra governanti e governati e
l'orizzonte di valori e l'assetto fondamentale delle relazioni politiche, sociali ed economiche che lo
stato si propone di affermare.
È possibile ricostruire caratteri attuali dello Stato nella ricognizione delle diverse realizzazioni che si
sono affermate nei secoli. Secondo una dinamica che, prendendo le mosse delle prime monarchie
feudali, ha visto l’affermazione dello Stato assoluto. Dal crollo di quest’ultimo, determinato dalle
grandi rivoluzioni, prese avvio l’esperienza dello Stato liberale classico. Tale forma di stato è stata
l’embrione da cui è sorta la forma di stato democratico-pluralista.
Occorre mettere in evidenza come esista un ulteriore classificazione delle forme di Stato, dettata dall'
evoluzione storica dall’articolazione territoriale dell’ordinamento stesso. È possibile distinguere le
forme di Stato accentrate da quelle decentrate; queste ultime articolate secondo un assetto
territoriale che spazia dal tipo federale alla forma regionale.
2. La genesi e l'affermazione dello Stato moderno: dalle monarchie feudali allo stato assoluto;
La dottrina individua nel XV secolo l'avvio del processo di nascita dello Stato moderno, con la fine
della Respubblica Christiana e delle monarchie feudali.
In queste ultime si riscontrava l'inesistenza di una chiara distinzione fra diritto pubblico e diritto
privato, il territorio si atteggiava patrimonio privato del sovrano e dei feudatari e il diritto si limitava
all' insieme dei rapporti di vassallaggio. Le norme erano prevalentemente di tipo consuetudinario e
frammentate con il variare dei feudi e della condizione personale dei destinatari. Si fondavano su
rapporto di fedeltà (patto di soggezione) e protezione fra il Sovrano, il Vassallo e il suddito.
Diversi fattori favorirono la decadenza al superamento del modello medievale: la Guerra dei
trent’anni ridimensionarono il potere imperiale, mentre la riforma protestante (1517) spezzò l'unità
spirituale tra stato e chiesa.
A partire dalla Pace di Westfalia (1648) gli Stati nazionali infransero gli equilibri feudali, attraverso
un processo di autoaffermazione dei sovrani rispetto alle stanze universalistiche temporali e
spirituali.
È questo il periodo di affermazione della prima forma di stato in senso moderno, cioè lo stato
monarchico, che si fondò sull’accentramento di tutti i poteri pubblici nelle mani della Corona, intesa
come organo di vertice dell’organizzazione politica, per investitura divina.
Nel corso dell’evoluzione l’assolutismo conobbe diverse caratterizzazioni:
o Stato di Polizia (o dispotismo illuminato): lo stato assoluto conserva una connotazione rigida,
dove il sovrano ha il compito di garantire la felicità e il benessere dei sudditi, secondo un
modello in cui la individuazione degli interessi del gruppo sociale procede dall’alto;
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o Mercantilismo: presupponeva una ingerenza burocratica dello stato nella sfera economica, in
virtù della concezione secondo cui la prospettiva finanziaria e dei commerci, doveva essere
considerata il principale segno di grandezza della nazione e della corona.

3. Le “grandi Rivoluzioni” del XVIII secolo e l’affermazione dello stato “liberale”;


Il secolo XVIII segnò la crisi del modello assolutistico e la nascita dello Stato liberale, affermatosi
durante l’800, embrione di una società di diritti, in cui cominciano a trovare spazio le istanze di
Costituzionalismo (tecnica di limitazione del potere sovrano a fini di garanzia).
Tale processo fu scandito dalle tre grandi rivoluzioni che smantellarono l’impalcatura dell’Ancien
Regime. Diversi fattori sociali e ideologici costituirono i presupposti della Glorious Revolution
inglese del 1649-1689, quanto la Rivoluzione americana del 1773-1781 e della Rivoluzione Francese.
Alla base di esse vi fu l’ascesa della Borghesia imprenditoriale, che si affermò come una classe
sociale titolare di crescenti ricchezze ed esigeva lo smantellamento di ogni residuo di particolarismo
giuridico medievale e il superamento della concezione di potere tipica dello stato assoluto.
L’affermazione della classe borghese spinse la Corona a mal tollerare la sua esclusione dal potere
politico con il monopolio della sovranità nelle mani del re e dell’aristocrazia.
L’Età dei lumi contribuì al tramonto dell’assolutismo: fino al ’600 questo pensiero si era sviluppato
sulla concezione giusnaturalista dell’individuo come titolare di diritti innati, inviolabili e persistenti
agli ordinamenti statali. Locke, Mill e Hume vedevano nello stato la tutela del binomio liberty and
property (libertà personale e diritto di proprietà: strumenti di realizzazione dell’individuo).
L’assolutismo venne eroso anche da Montesquieu, che attaccò la concezione del potere alla Corona,
postulando la separazione dei poteri e il loro controllo, per realizzare un ordinamento teso alla
garanzia dei diritti del cittadino.
Rousseau giunse a contare il fondamento dello stato assoluto della corona, rintracciando la
legittimazione dello stato in un immaginario libero contratto fra i cittadini per la salvaguardia
delle loro libertà fondamentali. Per esso la sovranità discende dalla volontà generale dei consociati,
sancita dal principio di maggioranza ed espressa con leggi generali ed astratte.
La rivoluzione inglese rappresenta la prima iniziativa della borghesia liberale tesa alla disgregazione
delle tendenze assolutiste che rischiarono di condizionare l’assetto istituzionale inglese. La monarchia
degli Stuart voleva imporre un regime assolutistico, ma trovò l’opposizione della borghesia, guidata
dal Parlamento in nome di Higher Law (norma fondamentale) di tutela del binomio liberty and
property e di un governo fondato sull’equilibrio tra i poteri. La rivoluzione segnò la fine della
dinastia Stuart e il fallimento di qualsiasi distorsione in senso assolutista e sancì alcuni dei caratteri
che diventeranno propri dello Stato liberale.
La rivoluzione americana, con cui le tredici colonie inglesi si ribellarono alle imposizioni fiscali
della Corona britannica, ritenute illegittime dai coloni poiché deliberate senza il coinvolgimento dei
loro rappresentanti. Le colonie proclamarono secessione dalla Madrepatria con la Dichiarazione
d’Indipendenza. L’emancipazione culminò nella promulgazione della Costituzione degli USA, che
dava vita ad uno stato confederale. La rivoluzione segna un traumatico vulnus all’assolutismo
settecentesco e la prima concreta realizzazione del costituzionalismo. Per la prima volta i diritti
fondamentali furono sanciti da una legge superiore (i diritti alla base del patto sociale). L’idea della
costituzione, si garantì dalla rigidità costituzionale e sul controllo di legittimità delle leggi ordinarie.
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La Rivoluzione francese, si assiste a uno stravolgimento dei presupposti teorici dello stato assoluto
e Ancien Regime. Con la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo e del cittadino, furono
recepite le rivendicazioni dei pensieri di Montesquieu e Rousseau in un testo politico-normativo di
rilevanza costituzionale. Nel nuovo assetto politico-istituzionale fu garantito il principio di
rappresentanza dei cittadini politicamente attivi e il primato della legge generale e astratta. Nel corso
del XIX si affermò lo stato liberale di tipo classico.
Possiamo delineare i caratteri fondamentali della forma di Stato liberale ottocentesca:
o La concezione dello Stato quale garante delle libertà civili e politiche e dei diritti
economici dei cittadini;
o Il principio dello stato minimo: la sua funzione deve mirare alla tutela dei diritti individuali e
ad assicurare i presupposti essenziali della convivenza. Lo stato doveva astenersi da ogni
ingerenza sulle dinamiche sociali ed economiche;
o La concezione “formale”, “negativa” e “individualistica” delle libertà fondamentali, i diritti
devono essere considerati come libertà dello stato. Ciò comportava l’astensione da qualsiasi
intervento statale volto alla garanzia sostanziale dell’effettività e della fruizione dei diritti da
parte di tutti i cittadini in un’ottica di giustizia sociale. Vi era spazio per una concezione
formale dell’eguaglianza (parità dinanzi alla legge), ma subordinata alla disponibilità
economica dei singoli;
o Il principio di “separazione dei poteri” e l’attribuzione degli stessi organi diversi come
antidoto ai rischi di tirannide derivanti dall’accentramento di funzioni della corona;
o Il “principio di legalità” postula il primato della legge come strumento di garanzia dei diritti
e dell'ordine sociale. Riconnette il principio dello Stato di diritto: tutti i cittadini sono
vincolati al rispetto della legge e nessuno ne può essere dispensato.
o Il “principio rappresentativo di tipo limitato” in conseguenza dell'affermazione di una
sovranità non già popolare, ma della nazione. Nella forma di Stato liberale si affianca
all'esecutivo e al Parlamento, titolare del potere legislativo e del potere di accordare a revocare
la fiducia. Si individua il fondamento della sovranità statale nella nazione: comunità
contraddistinta da una medesima identità storica, etnica, culturale, religiosa e linguistica.
L'interprete dell'interesse della nazione era solo quella parte politicamente attiva, quindi
ristretta e monoclasse.

4. La genesi dello stato di democrazia pluralista e le sue alternative: Stato “totalitario” e


“socialista”;
Furono diversi fattori di crisi che condussero alla decadenza dello Stato liberale ottocentesco, con
l'avvento di forme statuali di tipo totalitario e poi l’affermazione dello Stato democratico pluralista.
- L’avvio della rivoluzione industriale e delle istanze capitaliste di accumulazione di ricchezza,
attraverso la combinazione dei mezzi di produzione e del lavoro operaio, portò alla
formazione di un vasto proletariato che si consolidò come classe sociale, determinata nel
riconoscimento dei suoi diritti sul versante sociale e su quello politico.
- L’affermarsi di nuove tendenze ideologiche critiche nei confronti del liberalismo politico ed
economico, promossero le mobilitazioni popolari. La pubblicazione del manifesto del partito
comunista, determinò il debutto del movimento socialista.
- La nascita dei partiti politici di massa (partito socialdemocratico russo, partito socialista
italiano, partito popolare italiano, partito nazionale fascista, partito comunista d'Italia).
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In questo periodo vi fu l'apertura a limitati processi di inclusione dei ceti popolari, venne introdotto
il suffragio universale maschile e il varo di legislazioni sociali a tutela del lavoro. Si assiste alla
crescente trasformazione della vecchia esperienza liberale, in una nuova forma di Stato di tipo
democratico pluralista (lo stato non può più coincidere con un ordinamento basato sulla
rappresentanza ristretta, ma sulla sovranità della nazione e deve trovare sviluppo in un organizzazione
del potere pubblico aperto alla partecipazione di tutti i cittadini è fondata sulla sovranità popolare).
L'evoluzione in senso democratico pluralistico dello Stato liberale fu interrotta dalla grande
depressione economica del 1929, che condusse all' affermarsi molti paesi europei di regimi di
stampo autoritario o totalitario (fascismo in Italia, nazismo in Germania ecc…). Si trattava di regimi
basati sulla centralità del potere carismatico di un capo, che fondeva le istanze politiche sociali in un
trascendente stato totale.
Al totalitarismo fascista o nazionalsocialista si contrappone quello comunista, dove lo stato viene
interpretato come uno strumento transitorio in vista dell'annullamento delle disuguaglianze e del
realizzazione della dittatura del proletariato. Lo stato socialista risulta centralizzato sotto l'assoluto
monopolio dei mezzi di produzione, sulla pianificazione economica ed i poteri pubblici nelle mani
del partito.
5. Lo stato di democrazia pluralista ed i suoi caratteri fondamentali;
Quando fine della Seconda guerra mondiale si consolidò: l'espansione del socialismo reale (URSS)
e l'evoluzione dello Stato di diritto liberale, cioè il cosiddetto stato sociale, democratico e
pluralista. Questa forma di stato garantisce diritti sociali e l'eguaglianza sostanziale, con l'obiettivo
di assicurare una redistribuzione della ricchezza, taluni livelli essenziali di diritti e di libertà.
La fisionomia di tutte le forme di Stato sociale è caratterizzata da alcuni tratti tipici della tradizione
liberale: separazione dei poteri, proclamazione della libertà, principe di legalità e riserva di legge
come garanzia dei diritti, il carattere rappresentativo degli organi a cui e demandata la determinazione
dell'indirizzo politico. A questa base liberale le costituzioni degli stati sociali aggiungono:
- La rigidità costituzionale, con la previsione di procedimenti aggravati per la revisione della
costituzione, ma anche di strumenti di controllo delle conformità delle leggi alla carta
fondamentale, assegnati della Corte costituzionale e in modo diffuso a tutti gli organi
giurisdizionali;
- La consacrazione del principio della sovranità popolare, con l'adozione del suffragio
universale volto a garantire un’ampia rappresentazione istituzionale di tutti gli ordinamenti,
gli interessi presenti nella società e una compiuta legittimazione popolare del potere statale;
- Il riconoscimento del principio personalista e del principio pluralista, le costituzioni degli
stati di democrazia pluralista pongono al centro della tutela costituzionale l'inviolabilità della
persona e della sua dignità, nella dimensione individuale e nelle formazioni sociali che
garantiscono la piena e solidale partecipazione del singolo alla vita della comunità;
- La previsione costituzionale a un vero e proprio obbligo a carico dello Stato, di un suo
intervento a tutela dei diritti sociali. Lo stato offre risposte pubbliche a quelle istanze che
devono essere rese accessibili a tutti, con lo scopo di raggiungere una piena eguaglianza
sostanziale garantendo a tutti i consociati pari opportunità di realizzazione personale (welfare
state).
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6. Lo stato di democrazia pluralista nell’era della globalizzazione: crisi e rilancio di un modello;


Le vicende del ‘900 hanno avuto ripercussioni socioculturali sul modello di Stato democratico-
pluralista.
Il tramonto delle ideologie: la fine della guerra fredda ha determinato una crisi d'identità del modello
democratico pluralista tradizionale. Vi furono anche delle crisi economiche con un vertiginoso
aumento della spesa pubblica, che ha determinato la necessità di ripensare un sistema di tutela dei
diritti sociali e di erogazione di servizi essenziali.
L'impatto della globalizzazione sulla tradizione democratica e pluralista occidentale si traduce in un
confronto teso e delicato dello stesso modello costituzionale pluralista con tradizioni religiose e
socioculturali. Tale confronto si è complicato, perché le democrazie occidentali si sono trovate ad
affrontare la questione del bilanciamento fra la protezione dei fondamentali principi di libertà
(ordinamenti pluralisti) e la garanzia della sicurezza interna ed internazionale.
Per far fronte ai molteplici fattori di crisi si assiste al tentativo di passaggio dall' originario modello
di welfare state ad un Welfare Community. In conformità a una declinazione verticale e orizzontale
del principio di solidarietà, l'ordinamento punta coinvolgere, per il perseguimento degli obiettivi di
benessere collettivo, gli enti locali e il settore privato sociale o no profit.
In diversi stati di democrazia pluralista, si registra la tendenza a un progressivo rafforzamento dei
poteri dell’Esecutivo, ma significativa è anche la valorizzazione delle organizzazioni internazionali
come l'Onu e l'Unione europea.
7. La dimensione “territoriale” della forma di stato: lineamenti sistematici;
L'ordinamento democratico e pluralista contemporaneo ha visto il consolidamento di taluni modelli
tipici con riferimento alle declinazioni dei rapporti tra lo stato e autonomie territoriali:
• Stato accentrato: il potere sovrano risulta attribuito sul piano amministrativo e giudiziario al
solo sato centrale e alle sue articolazioni sul territorio.
• Stato complesso o composto: il potere sovrano e distribuito tra stato centrale e altri enti
territoriali che dal primo si distinguono e ai quali sono riconosciute autonome funzioni
legislative, amministrative e di indirizzo politico, esercitate mediante organi rappresentativi
del corpo elettorale locale.
Tra i due poli estremi dello Stato accentrate dello Stato confederale si possono individuare altri due
modelli:
- Lo stato federale è caratterizzato dalla sussistenza di un doppio livello di esercizio di sovranità
in relazione al territorio. Il potere sovrano è esercitato dalla Federazione, mentre nelle altre
materie la sovranità è esercitata dagli enti territoriali che lo compongono con vera e propria
dignità di Stati membri.
Si possono individuare dei caratteri ricorrenti: un ordinamento centrale basato su una
costituzione federale scritta e rigida, che convive con quello degli Stati membri (dotati di
una propria autonomia, con il potere di dotarsi di una costituzione). La ripartizione delle
competenze è sancita al massimo livello normativo della costituzione federale.
Lo stato federale ha un bicameralismo parlamentare imperfetto, con la presenza di una
camera politica che garantisce la rappresentanza degli Stati membri e la loro partecipazione
alla determinazione dell'indirizzo politico, in raccordo con la prima assemblea e con
l’Esecutivo federale.
RIASSUNTO PRIME 3 SEZIONI (QUINTA EDIZIONE) + FORME DI STATO I ROSELLI ALEXIA

Gli Stati federali si pongono come risultato di processi costituzionali di tipo aggregativo o
devolutivo. Nel primo caso gli Stati si sono fusi in una Federazione, attribuendo adesso a
quote rilevanti di sovranità per far fronte ad esigenze e interessi comuni (Svizzera, Germania
e Stati Uniti).
Nel secondo caso la dissoluzione di stati originariamente unitari e la realizzazione di nuove
forme federali, con attribuzione agli Stati membri di funzioni sovrane (Canada e Belgio).
La connotazione di uno stato federale può essere di tipo duale o competitivo, oppure
cooperativo o solidale.

- Lo stato regionale: si basa sul decentramento politico regionale (è un tipo di Stato


intermedio tra lo Stato unitario e lo Stato federale), pur mantenendo l’unità dello Stato,
riconosce al suo interno alcuni enti locali come le regioni, le province ed i comuni, dotati di
una autonomia limitata a livello politico e amministrativo (esempio: Italia). le regioni non
sono titolari di una costituzione, e le competenze legislative ed amministrative sono esercitate
nel rispetto di rigorosi vincoli costituzionali a tutela dell’interesse nazionale unitario dello
Stato.
RIASSUNTO “MAGISTRATURA” (QUINTA EDIZIONE) I ROSELLI ALEXIA

Parte seconda, l’organizzazione della Repubblica


La Magistratura
1. Caratteri generali;
Nell’ambito del generale principio di separazione dei poteri dello Stato, la funzione giurisdizionale
è quell’attività volta all’accertamento delle norme giuridiche da fare valere nel caso concreto oggetto
di una controversia.
La magistratura è il terzo potere dello stato, e lo strumento primario di difesa dei diritti fondamentali
della persona, qualora essi siano posti in pericolo o lesi dall’azione dei privati o della P.A.
In linea generale possiamo distinguere la giurisdizione ordinaria (formata da quella civile e penale),
le giurisdizioni speciali che esercitano la giurisdizione amministrativa, tributaria, contabile. In tutti i
casi l’esercizio della funzione giurisdizionale si esplica nell’istaurazione di un processo scandito in
più fasi e gradi di giudizio, dove la decisione finale sarà assunta mediante un provvedimento
autoritativo denominato sentenza.
La costituzione fissa una serie di principi e di garanzie che assicurano la massima correttezza
d’esercizio della funzione giurisdizionale.
2. I principi in materia di giurisdizione;
IL PRINCIPIO DI AZIONE E DI DIFESA art. 113, co. 1 e 2: “tutti possono agire in giudizio per
tutela dei propri diritti ed interessi legittimi” - il diritto di difesa è un diritto inviolabile in ogni stato
e grado del procedimento. La nostra costituzione ha assicurato il diritto di difesa fra i principi supremi
dell’ordinamento, intangibili e non suscettibili a revisioni. Nessun soggetto può rinunziare al diritto
alla difesa a tutela delle proprie ragioni nel giudizio. Quando si parla del diritto di difesa ovviamente
ci si riferisce alla necessità che le parti, tra le quali è sorta la controversia e che si sono rivolte al
giudice per ottenere la decisione sulla medesima, possano esercitare pienamente le proprie ragioni in
modo da influire direttamente su quella che sarà poi la decisione assunta dal giudice.
L’art. 24, co. 3 prevede la garanzia di idonei mezzi finanziari per l’esercizio dei diritti d’azione e di
difesa in favore di coloro che si trovino in condizioni di disagio o di ristrettezza economica tali da
pregiudicare o limitare la possibilità di promuovere o resistere in un giudizio. Questo avviene tramite
il gratuito patrocinio a spese dello stato.
IL PRINCIPIO DEL GIUDICE NATURALE art. 25, co. 1: “nessuno può essere distolto dal giudice
naturale precostituito per legge” - per evitare l’istituzione di magistrature ad hoc, che specie in
materia penale, si porrebbero in contrasto con i principi costituzionali dell’imparzialità, terzietà ed
indipendenza del giudice. È essenziale che sia l’organo giurisdizionale competente e giudicare una
controversia sia preventivamente individuato dalla legge.
IL PRINCIPIO DI LEGALITA’ PENALE art. 25, co. 2 e 3: “nessuno può essere punito se non in
forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto compiuto” – stabilisce che la
configurazione di un reato può essere prevista solo dalla legge formale. In virtù di tale riserva assoluta
è impedito al potere esecutivo di intervenire in ambito penale introducendo figure di reato od ipotesi
punitive. “Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge” -
corollari di tale principio sono:
RIASSUNTO “MAGISTRATURA” (QUINTA EDIZIONE) I ROSELLI ALEXIA

➢ Principio di irretroattività della legge incriminatrice: nessuno può essere giudicato per un
reato che al momento della sua commissione non fosse già previsto come tale dalla legge;
➢ Principio di tassatività: la quale deve descrivere col massimo della precisione e chiarezza le
condotte ed i comportamenti criminosi.
PRINCIPIO DELLA RESPONSABILITA’ PENALE PERSONALE art. 27, co. 1: “la
responsabilità penale è personale” – si riferisce al profilo dell’individualità ed esclude la
responsabilità oggettiva per fatto altrui, prevista in altre materie. Richiama la necessaria
consapevolezza delle condotte, delle quali può rispondere soltanto un soggetto ritenuto capace di
intendere e di volere.
PRINCIPIO ALLA PRESUNZIONE DI NON COLPEVOLEZZA art. 27, co. 2: “l’imputato non è
considerato colpevole sino alla condanna definitiva” - introdotta a favore della persona sottoposta a
giudizio penale, al fine di garantire al meglio la possibilità di difesa e la tutela della propria
reputazione e riservatezza per tutta la durata del procedimento.
PRINCIPIO DELLA FINALITA’ RIEDUCATIVA DELLA PENA art. 27, co. 3: “le pene non
possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato” – la pena assume una connotazione di “recupero sociale”, finalizzata al reinserimento
nella società del condannato. Per il tentativo di scongiurare la possibilità che lo stesso possa tornare
a delinquere si cerca di inserire il reo in una dimensione lavorativa e di evoluzione culturale.
➢ Divieto di trattamenti punitivi contrari alla dignità umana: rafforza la tutela accordata al
valore della persona di cui vanno tutelati i diritti inviolabili anche nella particolare condizione
carceraria. In Italia la “Pena di morte” è stata abolita con la legge n. 1/2007.

2.1 Principio del “giusto processo”;


Con la legge Cost. n. 2/1999 è stato revisionato l’art. 111 in funzione del “giusto processo”, sancisce
che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge” e stabilisce che ogni
processo si svolge:
o Nel contradditorio fra le parti;
o In condizioni di parità;
o Davanti ad un giudice terzo ed imparziale.
La funzione giurisdizionale deve essere interamente informata su modalità di accertamento di tipo
dialettico, in cui la prova dei fatti deve avvenire nel confronto “ad armi pari” fra le parti processuale.
Il giudice dovrà formare il suo libero convincimento all’interno del processo.
La legge garantisce:
➢ Ragionevole durata del processo: il protrarsi eccessivo di un procedimento giurisdizionale,
finirebbe per ridursi in una denegata giustizia;
➢ L’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali: risulta funzionale alla garanzia
del diritto di difesa, che permette ai soggetti destinatari di tali provvedimenti di conoscere le
ragioni della decisione giurisdizionale;
➢ Il principio del doppio grado di giudizio: dopo il primo grado è ammessa la possibilità di un
riesame della questione da parte di un diverso organo giudicante. Le disposizioni
costituzionali garantiscono la possibilità di un’imputazione dinanzi alla Corte di Cassazione
RIASSUNTO “MAGISTRATURA” (QUINTA EDIZIONE) I ROSELLI ALEXIA

per motivi di legittimità, quando nel procedimento di prima istanza si sia incorsi in una
violazione delle norme processuali.

3. Giudici e Pubblici ministeri;


La costituzione distingue fra una giurisdizione ordinaria (civile e penale) e affidata nel suo esercizio
alla cognizione dell’ordine giudiziario e altre giurisdizioni (amministrativa, tributaria e contabile)
riservate a magistrature specializzate cui sono riconosciute specifiche garanzie.
Con riferimento alla giurisdizione ordinaria, la carta affida ad essa l’esercizio “a magistrati ordinari
istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario”, stabilendo che “la magistratura
costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere”.
Si sancisce la garanzia di indipendenza esterna, ed in base ad essa i magistrati non possono essere
soggetti a pressioni, condizionamenti od ingerenze: lo scopo è quello di preservare integrità e
correttezza dell’esercizio della funzione giurisdizionale nell’esclusivo interesse della giustizia.
Gli organi della giustizia civile e penale sono:
GIUDICE DI PACE, giudice monocratico scelto dal Consiglio Superiore della Magistratura tra i
cultori delle materie giuridiche di grande esperienza. È un magistrato onorario, presente in tutti i
Comuni più importanti, le cui funzioni sono sia civili che penali e riguardano le cause di minor valore.
Le sentenze pronunciate da questo giudice possono essere appellate davanti al Tribunale del distretto
della città in cui ha sede il Giudice di Pace.
TRIBUNALE, organo giudiziario con competenza civile e penale più ampia. Dopo la riforma del
1998 è un organo prevalentemente monocratico che giudica come istanza d’appello delle decisioni
del Giudice di Pace. Per cause civili e penali di maggiore rilevanza e gravità il Tribunale giudica
come collegio formato da tre giudici.

CORTE D’ASSISE, giudice solo penale di primo grado a partecipazione popolare, composto da 8
giudici, di cui 2 togati e 6 popolari, estratti periodicamente dalle liste di cittadini aventi certi requisiti
d'istruzione e moralità. La Corte d’Assise giudica sui reati di sangue e sui reati contro la sicurezza
dello Stato (terrorismo, eversione) che possono essere puniti con le pene più gravi (ergastolo o
reclusione superiore a 24 anni).
Le sentenze della Corte d’Assise sono appellabili davanti alla Corte d’Assise d’Appello.
CORTE D’APPELLO, giudice di appello delle sentenze del Tribunale, in materia civile e penale. La
sua circoscrizione è distrettuale e di solito coincide col territorio di una Regione.
In ambito penale, la magistrature inquirente si articola in procure della repubblica presso il
Tribunale, ed in procure generali presso la Corte d’Appello, oltre alla Procura generale presso la
Suprema Corte di Cassazione.
CORTE DI CASSAZIONE, è unica e ha sede a Roma. È l’organo che sta al vertice del sistema
giudiziario in quanto giudica sull’impugnativa delle decisioni emanate dai vari organi d’appello.
Svolge due funzioni: dirime i conflitti di giurisdizione ed in ultima istanza risolve le questioni
d’interpretazione di leggi attinenti al procedimento che le vengono poste in ricordo. La Corte di
Cassazione è suddivisa in diverse sezioni, civili e penali composte ciascuna da 5 magistrati. Nelle
cause di maggior importanza e quando si tratta di dirimere e risolvere contrasti tra le singole sezioni
RIASSUNTO “MAGISTRATURA” (QUINTA EDIZIONE) I ROSELLI ALEXIA

che la compongono, la Corte di Cassazione giudica a sezioni riunite o unite. Tutte le sentenze sono
impugnabili di fronte ad essa, quando la parte sostenga che vi è stata violazione della legge.
La magistratura costituisce un organo autonomo e indipendente da ogni altro potere. Le garanzie
di autonomia e indipendenza (riconosciute dalla costituzione) sono molteplici:
o Autogoverno: l’autonoma gestione di tutti gli aspetti inerenti allo status di magistrato da parte
dello stesso ordine giudiziario mediante l’istituzione del CSM. L’art. 108, co. 1 stabilisce che
“le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge” –
riserva al legislatore la disciplina generale della struttura e delle attribuzioni relative alla
funzione giurisdizionale nel suo complesso;
o L’accesso in magistratura per pubblico concorso: l’art. 106 stabilisce che “le nomine dei
magistrati hanno luogo per concorso”, infatti la magistratura rispetta il principio delle pari
opportunità di accesso di tutti i cittadini ai pubblici incarichi - la selezione impedisce che altri
poteri dello Stato, enti o istituzioni possano inserire nell’ordine giudiziario soggetti che
possano inquinarne l’autonomia e l’indipendenza - un assunzione per concorso assicura
l’immissione nell’ordine giudiziario di soggetti che siano muniti di un’ampia preparazione
giuridica;
o L’inamovibilità dei magistrati: l’art. 107, co.1 stabilisce che “i Magistrati sono inamovibili.
Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni, se
non in seguito a decisione del CSM” – la norma evita il condizionamento esercitabile sul
magistrato mediante minaccia di trasferimento o del mutamento del suo incarico;
o Distinzione dei magistrati per diversità di funzioni svolte: l’art. 107, co. 3 opera una
distinzione tra magistratura giudicante e inquirente, dettando specifiche disposizioni tanto per
i Giudici, quanto per i Pubblici Ministeri.
Con riferimento alla magistratura giudicante, l’art. 101, co. 2 stabilisce che “i giudici sono soggetti
soltanto alla legge”, cioè condizione essenziale nel garantire la sua terzietà ed imparzialità.
Tali requisiti sono destinati solo ai giudici, infatti il Pubblico Ministero (P.M) fa parte del
procedimento e non potrebbe essere terzo rispetto ad esso. Il P.M è sottoposto alla direzione ed al
coordinamento del Procuratore capo della Repubblica o i Procuratori generali, nei confronti del quale
il singolo P.M è in una condizione di soggezione funzionale. Ai sensi dell’art. 112 spetta al P.M la
titolarità e l’obbligatorio esercizio dell’azione penale.
4. Il CSM;
Il CSM è l’organo di rilevanza costituzionale (non è titolare di un potere dello stato) al quale in base
all’art. 105 “spettano le assunzioni, assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni ed i provvedimenti
disciplinari nei riguardi dei magistrati”: ha, quindi, la funzione di gestire tutti gli aspetti attinenti allo
status giuridico dei magistrati.
Secondo quanto stabilito dall’art. 104 il CSM ha una “composizione mista” (formato per 2/3 da
magistrati eletti dai propri colleghi e per il restante 1/3 da componenti eletti dalle camere in seduta
comune), con maggioranza qualificata, tra professori ordinari di diritto, avvocati con almeno 15
anni di esercizio della professione e magistrati, anche a risposo (personalità altamente qualificate a
livello giuridico).
Inoltre, l’Art. 104 prevede che siano membri di diritto del CSM:
RIASSUNTO “MAGISTRATURA” (QUINTA EDIZIONE) I ROSELLI ALEXIA

o Il Presidente della Repubblica: esercita un ruolo importantissimo, anche se presiede poche


volte il CSM, interviene solo nei momenti di crisi interna, esercitando un ruolo di
garanzia costituzionale (può sciogliere il CSM);
o Il primo Presidente della corte di cassazione, massimo organo giurisdizionale dal punto di
vista delle funzioni;
o Il procuratore generale presso la corte di cassazione.
In base a quanto detto quindi, i membri totali del CSM sono 24:
o 2/3 eletti dai magistrati – Membri Togati;
o 1/3 eletti dal Parlamento in seduta comune – Membri Laici;
La composizione mista dell’organo fa sì che i magistrati abbiano la maggioranza all’interno del CSM
ma che debbano confrontarsi anche con soggetti estranei alla stessa magistratura, nominati dal
Parlamento in seduta comune e poi ancora, allo scopo di garantire un equilibrio.
Il CSM elegge tra i consiglieri laici il Vicepresidente, che svolge funzioni delegategli con apposito
decreto dal PR e sia quelle assegnategli specificamente dalla legge. Il vicepresidente è uno degli otto
consiglieri laici, ed assieme al Primo presidente e al Procuratore generale compone il Comitato di
Presidenza: ha funzione di predisporre l’ordine del giorno delle sedute, di promozione dei lavori,
nonché di concreta attuazione ai deliberati del CSM.
Al CSM spettano funzioni (art. 105) circa l’adozione di tutti i provvedimenti attinenti allo status
giuridico dei magistrati, e la decisione sui provvedimenti disciplinari da adottarsi nei confronti dei
medesimi.
Il CSM può adottare specifici provvedimenti a tutela dei magistrati il cui operato sia stato oggetto di
critiche od iniziative di altri soggetti ed istituzioni, laddove siano ritenute lesive dell’onorabilità
dell’interessato e dell’ordine giudiziario.
La stretta determinatezza delle funzioni del CSM è presumibile dall’art. 110 secondo cui “ferme
competenze del CSM spettano al ministro della Giustizia, l’organizzazione ed il funzionamento dei
servizi relativi alla giustizia”.
➢ Il Ministro guardasigilli ha una competenza sussidiaria e residuale in materia di gestione
amministrativa del servizio-giustizia, agendo in molti ambiti di concerto con il CSM – “leale
collaborazione fra i poteri dello Stato”.
L’art. 107, co. 2 sancisce che “il Ministro della Giustizia, come il Procuratore generale, ha il potere
di promuovere l’azione disciplinare nei confronti di qualsiasi magistrato”.
➢ La responsabilità disciplinare è prevista dal decreto legislativo n. 109/2006 relativo alla
“Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati e delle relative sanzioni e della proceduta
per la loro applicazione”. Gli illeciti sono distinti in due categorie:
❖ Illeciti funzionali: commessi nell’esercizio delle funzioni giudiziarie;
❖ Illeciti extra-funzionali: commessi fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie.
➢ La responsabilità civile è prevista per chiunque abbia subito un danno ingiusto a causa di un
comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato può agire
contro lo stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

5. Le giurisdizioni specializzate e le altre giurisdizioni;


RIASSUNTO “MAGISTRATURA” (QUINTA EDIZIONE) I ROSELLI ALEXIA

L’art. 102, co. 2 prevede l’istituzione di sanzioni specializzata dei Tribunali, delle Corti d’Appello e
della Corte di Cassazione. Sono altresì previste sezioni specializzate del Tribunale e della Corte
d’appello per i minorenni, composte con la partecipazione di psicologi, assistenti sociali ed esperti
nell’ambito della tutela del minore.
L’Art. 103 prevede invece che la Giustizia Amministrativa sia affidata “al Consiglio di Stato e gli
altri organi di giustizia amministrativa” per “la tutela nei confronti della pubblica
amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche
dei diritti soggettivi”.
La giurisdizione amministrativa è esercitata, in primo grado, dal TAR (Tribunale Amministrativo
Regionale Art. 125) e in secondo grado al Consiglio di Stato. Infine, la Corte dei
conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge
RIASSUNTO P.A ESTRAPOLATO E SISTEMATO DAI RIASSUNTI DI ALESSANDRA LEONARDI I ALEXIA ROSELLI

Parte seconda, l’organizzazione della Repubblica


La Pubblica Amministrazione (P.A)
1. Pubblica amministrazione e funzione amministrativa;
La Pubblica Amministrazione rappresenta l’insieme di strutture, uomini e mezzi adibiti
dall’ordinamento giuridico alla cura degli interessi della collettività che, per questo, vengono definiti
pubblici, “posta in essere in base alla legge e nel rispetto dei fini dalla stessa (legge)
predeterminati”. In quest’accezione, si può parlare di P.A. in senso soggettivo. L’azione volta al
perseguimento di tali fini si sostanzia nella c.d. funzione amministrativa. L’insieme degli atti
risultanti dall’esercizio di tale funzione, rappresenta la P.A. in senso oggettivo.
Ci stacchiamo dunque dalla funzione legislativa e dalla funzione giurisdizionale per comprende
quest’ultima funzione Amministrativa, che si caratterizza per essere:
CONCRETA, DIRETTA ed IMMEDIATA.
2. L’organizzazione della P.A;
L’Organizzazione Amministrativa indica la struttura, la suddivisione di quel complesso sistema
che è l’Amministrazione pubblica. La Costituzione attribuisce al Parlamento tale organizzazione. Gli
Artt. 95, co.3 e 97, co. 2, individuano la legge quale fonte preordinata a disciplinare le scelte di fondo
relative all’assetto dei pubblici uffici, ma ciò non significa che sia il solo → La Costituzione pone
infatti una riserva di legge relativa al fine di consentire che, accanto alla legge, possano intervenire
altre fonti nel determinare tali profili organizzativi.

L’organizzazione della P.A. è fondata sulla ripartizione del potere tra i vari enti pubblici che, per
poter raggiungere il fine di pubblico interesse, si avvalgono di diversi organi (persona fisica) che
costituiscono gli ENTI PUBBLICI: strutture dotate di capacità giuridica e capaci di esercitare
poteri amministrativi (chiamati per questo centri di potere). Accanto allo Stato (ente pubblico
maggiore per ampiezza e competenze), vi sono le amministrazioni regionali o comunque i c.d. enti
locali e territoriali (Comune, Regione, Città Metropolitane), dotati di capacità organizzativa propria
e distinta dalla centrale.
Il rapporto di immedesimazione organica, tra persona fisica e la pubblica amministrazione, nasce dal
fatto che le azioni derivanti dall’esercizio della loro funzione sono immediatamente riferibili
all’organo e, conseguentemente, all’ente. Nel caso in cui si tratti di condotte riferibili ad una
fattispecie di reato, la persona fisica ne risponderà personalmente, secondo l’Art. 27 Cost: “La
responsabilità penale è personale”.
3. Le posizioni soggettive ed il procedimento amministrativo;
La funzione propria della P.A. si esplica tramite la c.d. attività provvedimentale, attraverso cui può
adottare provvedimenti amministrativi capaci di incidere sulle posizioni giuridiche degli amministrati
al fine di crearle, modificarle o estinguerle.
RIASSUNTO P.A ESTRAPOLATO E SISTEMATO DAI RIASSUNTI DI ALESSANDRA LEONARDI I ALEXIA ROSELLI

Le posizioni giuridiche soggettive costituiscono il complesso dei diritti e degli interessi di cui un
soggetto può essere titolare. Le principali posizioni sono rappresentate dal Diritto soggettivo e
dall’interesse legittimo:
Diritto soggettivo → Riconosce determinate utilità in ordine ad un bene, nonché la tutela dello stesso
in modo pieno ed immediato (es. la proprietà);
Interesse legittimo → Posizione riconosciuta dall’ordinamento in ordine ad un bene oggetto di potere
amministrativo e consistente nell’attribuzione al medesimo di poteri atti ad influire sul corretto
esercizio dell’azione amministrativa, in modo da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al
bene.
Tale condizione ha richiesta l’introduzione di un regolamento del procedimento amministrativo
→ Legge n°241/90: Normativa Generale Sul Procedimento Amministrativo, offre le coordinate
necessarie per la garanzia dei termini e dei modi col quale deve svolgersi l’azione della Pubblica
Amministrazione.
4. La PA nella Costituzione;
La Costituzione offre particolare attenzione all’Amministrazione Pubblica, nonostante contenga solo
due articoli (97-98), il testo costituente presenta moltissimi riferimenti.
Ad esempio, vi è una specifica riserva di legge al fine di garantire i cittadini da atti della P.A. capaci
di incidere sulla libertà personale o sul patrimonio (Artt. 16, 17, 23, 41, 42 Cost.).
Inoltre, con l’Art. 97, si pone una riserva di legge con la quale si attribuisce al legislatore il compito
di disciplinare l’organizzazione della P.A. al fine di garantirne l’imparzialità e l’efficienza. Con la
Riforma del Titolo V del 2001, ha acquisito particolare risalto il modello espresso dall’Art. 5 (e
sviluppato dal titolo V), basato sul disegno del decentramento amministrativo e della promozione
delle autonomie locali.
5. I principi costituzionali sulla PA;
In linea generale, fungono da comune denominatore una serie di principi che stanno alla base della
Pubblica Amministrazione, rintracciabili negli Artt. 97 e 98 della Costituzione,
DEMOCRATICITÀ, SOLIDARIETÀ, AUTONOMIA, DECENTRAMENTO e
SUSSIDARIETÀ, e che rappresentano l’idea di una pubblica amministrazione intesa come
“servizio” ai cittadini:
PRINCIPIO DI LEGALITÀ → Indica la necessità che l’attività dei pubblici poteri trovi il proprio
fondamento nella legge. Secondo questo principio, non ci può essere apparato amministrativo, né
attribuzione di poteri se non in base alla legge. Abbiamo tre concezioni del principio di legalità:
a) NON CONTRADDITTORIETA’, nel senso che i regolamenti amministrativi non
possono contenere norme contrarie alle disposizioni di legge;
b) IN SENSO FORMALE, per cui la PA ha solo poteri conferiti dalla legge;
c) IN SENSO SOSTANZIALE, per cui la PA deve esercitare i suoi poteri in conformità a
ciò che la legge prescrive.
La prima riserva di legge è sancita all’art. 97 che afferma: “i pubblici uffici sono
organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e
l’imparzialità dell’amministrazione”. Tale riserva di legge è generalmente riconosciuta come
“relativa”, nel senso che lascia spazio alle fonti secondarie. Le Sent. C. Cost., n. 307/2003 e
RIASSUNTO P.A ESTRAPOLATO E SISTEMATO DAI RIASSUNTI DI ALESSANDRA LEONARDI I ALEXIA ROSELLI

32/2009 hanno affermato che l’assoluta indeterminatezza del potere demandato ad una PA senza
indicazione di alcun criterio da parte della legge, viola il principio di legalità sostanziale
desumibile dall’Art. 97 Cost.
La seconda riserva di legge è sancita all’art. 95, c.3, che afferma: “la legge provvede
all’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri e determina il numero, le
attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri.”
• Nel 1° comma dell’Art. 97 viene stabilito che i pubblici uffici sono organizzati, secondo le
disposizioni di legge, in modo tale da assicurare l’imparzialità ed il buon andamento della
Pubblica Amministrazione, in questo senso quindi la riserva di legge introduce il principio
dell’imparzialità secondo cui la funzione amministrativa deve essere svolta dai singoli dipendenti
nell’interesse pubblico. L'imparzialità deve essere intesa sia come divieto di qualsiasi forma di
favoritismo nei confronti di alcuni soggetti, sia come ugual diritto di tutti i cittadini ad accedere
ai servizi erogati dalla Pubblica Amministrazione;
• Il PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ dell’attività amministrativa attraverso il quale i
diritti e le libertà dei cittadini possono essere limitati solamente quando risulta indispensabile al
fine di proteggere gli interessi pubblici, in altre parole, la proporzionalità assicura l’equo
rapporto tra mezzo da utilizzare e fine da perseguire. Può anche essere visto come corollario
del Principio di Legalità finalizzato ad introdurre un limite sostanziale all’attività amministrativa;
• PRINCIPIO DI IMPARZIALITÀ: non vi è dubbio che sia il valore fondante della pubblica
amministrazione, lo stabilisce esplicitamente l’Art. 97, co.1. Per quanto concerne la pubblica
amministrazione l’obbligo di non discriminazione implica l’imparzialità dell’azione pubblica.
Non solo ma, dato che alla P.A. è affidata una buona parte della realizzazione dei diritti
individuali (diritto all’istruzione etc.), imparzialità significa tutela dei diritti e delle libertà
fondamentali. Sul piano organizzativo, nell’Art. 98 viene inoltre stabilito che, gli impiegati dei
pubblici uffici sono al servizio della Nazione e devono agire esclusivamente in nome
dell’interesse pubblico. Nell’Art. 51, sempre in relazione all’imparzialità, viene stabilito che tutti
i cittadini, dell’uno e dell’altro sesso, possono accedere agli uffici della Pubblica
Amministrazione e alle cariche elettive, in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti
dalla legge → La Repubblica promuove le pari opportunità;
o Il PRINCIPIO DI TRASPARENZA (introduce il Freedom of information act) fa
riferimento ad una forma di accesso generalizzato agli atti detenuti dalle P.A. che non
sono stati resi pubblici per il rispetto dei limiti relativi alla tutela degli interessi pubblici
e privati particolarmente meritevoli di tutela.
• Il PRINCIPIO DEL BUON ANDAMENTO emerge dal primo comma dell’Art. 97, il quale è
strettamente legato al principio di imparzialità e si sostanzia nell’obbligo che i funzionari delle
pubbliche amministrazioni svolgano le proprie funzioni secondo le modalità più idonee a
garantire l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa e tutto questo al
fine di ottenere il miglior risultato possibile con il minor sacrificio degli interessi della
collettività.
o Strettamente legato al principio del Buon Andamento, è il PRINCIPIO DI
ECONOMICITÀ dell’agire, il quale impone alla P.A. di perseguire i suoi fini col
minor dispendio di risorse economiche ed umane. Uguale attenzione dev’essere data
alle tempistiche dell’azione amministrativa;
RIASSUNTO P.A ESTRAPOLATO E SISTEMATO DAI RIASSUNTI DI ALESSANDRA LEONARDI I ALEXIA ROSELLI

o Sempre legato al principio del Buon Andamento, vi è anche IL PRINCIPIO DI


EFFICACIA il quale si sostanzia nel rapporto che vi è tra gli obiettivi che la Pubblica
Amministrazione si era prefissata di raggiungere e gli obiettivi che invece raggiunge
concretamente → COERENZA
o Infine, il PRINCIPIO DI EFFICIENZA, si riferisce al funzionamento dell’intero
apparato amministrativo. In tal senso, si misura sull’utilità sociale dell’azione
amministrativa complessivamente intesa → UTILITÀ

STRUMENTI DI CONTROLLO del Buon Andamento:


- Controlli di gestione: rapporto tra costi e risultati;
- Controllo strategico: congruità tra obiettivi prefissati e risultati ottenuti;
- Valutazione del personale dirigente.

• ACCESSO per CONCORSO PUBBLICO: l’Art. 97, co.4, stabilisce che, in riferimento
all’imparzialità della Pubblica Amministrazione sul piano organizzativo, la selezione dei
componenti dei pubblici uffici deve avvenire attraverso un concorso pubblico. Questo perché si
vuole garantire che i pubblici impiegati siano selezionati, non sulla base d’appartenenza politica,
bensì per capacità. È previsto che la selezione debba avvenire nel rispetto di alcune coordinate
(pubblicità della selezione, economicità e celerità nello svolgimento, rispetto delle pari
opportunità). Sono previste delle deroghe:
o Nel caso dei lavoratori precari, assunti a tempo determinato e successivamente immessi
a tempo indeterminato – senza concorso;
o Nel caso dei Concorsi Interni, volti allo sviluppo professionale;
o Nei casi di nomine inerenti l’alta burocrazia, su base discrezionale;
o Per l’inserimento e l’integrazione delle c.d. categorie protette.

• Il DOVERE DI FEDELTÀ dei pubblici dipendenti: si sostanzia nell’obbligo del pubblico


dipendente di svolgere le proprie mansioni nell’interesse dell’Amministrazione all’interno della
quale opera, al fine di servire esclusivamente la Nazione e di realizzare il bene pubblico, Art. 54
Cost. Le funzioni amministrative devono essere esercitate mantenendo separato l’interesse
personale da quello pubblico, al fine di evitare commistioni tra il patrimonio dell’ufficio da quello
del suo titolare.
Sulla base delle direttive poste dalla c.d. legge anticorruzione (legge 190/2012), è stato
introdotto il Codice di comportamento dei dipendenti della P.A. – d.p.r. 62/2013.

• PRINCIPIO DI SEPARAZIONE TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE: gli Artt. 95 e


97, contribuiscono a delineare il modello del rapporto tra potere politico e P.A, considerando che
la miglior garanzia dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione risiede proprio nella
separazione tra il potere politico, che deve stabilire l’indirizzo politico della Nazione, e
l’attività amministrativa che deve realizzare in maniera oggettiva ed imparziale tali obiettivi.
In tal caso, la Pubblica Amministrazione, dà attuazione alle scelte d’indirizzo politico, da una
posizione di Indipendenza operativa (comprende la scelta dei mezzi e la valutazione della loro
idoneità) da non confondere con l’Autonomia, che invece dà ai vari organi il potere di poter
effettuare scelte proprie.
RIASSUNTO P.A ESTRAPOLATO E SISTEMATO DAI RIASSUNTI DI ALESSANDRA LEONARDI I ALEXIA ROSELLI

SPOIL SYSTEM → Consente la collocazione di persone di fiducia nell'apparato burocratico.


In base al suo meccanismo, gli organi politici come i Ministri, il Consiglio dei ministri, il Presidente
della Regione e il Sindaco possono scegliere le figure dirigenziali di vertice dell'ordinamento. Il
sistema è organizzato in modo tale che i tempi degli incarichi non eccedano la durata dell'organo
politico che ha nominati. La Corte Costituzionale è stata chiamata in più occasioni a verificare la
compatibilità dello Spoils system con il nostro sistema costituzionale.

RESPONSABILITÀ DEI PUBBLICI DIPENDENTI: l’Art. 28 della Costituzione stabilisce che i


“funzionari ed i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono responsabili personalmente degli
atti compiuti in violazione dei diritti di terzi”. Bisogna sottolineare come la suddetta responsabilità
può essere di natura amministrativa, penale, civile, contabile e disciplinare.
Da un lato vi è l’esigenza di tutelare i singoli cittadini dai possibili abusi della Pubblica
Amministrazione, dall’altro si impone al singolo dipendente pubblico di rispettare la legge
durante lo svolgimento delle proprie funzioni.
L’estensione della responsabilità civile del dipendente all’intero ente è prevista per consentire al
danneggiato maggiori garanzie; naturalmente affinché sorga la responsabilità dell’ente è necessario
il nesso di occasionalità tra le attribuzioni dei soggetti e la loro condotta illecita (avvenuta
durante l’esercizio).
In conclusione, risulta funzionale sottolineare come la disciplina della responsabilità personale e
diretta dei funzionari e dei dipendenti per gli atti compiuti in violazione dei diritti dei terzi è rinviata
alle leggi ordinarie, che stabiliscono i casi di responsabilità personale dell’impiegato per violazione
dei diritti di terzi, il danno ingiusto ed i criteri di imputazione della condotta dannosa.
• PRINCIPI DI AUTONOMIA E DECENTRAMENTO: Questi due principi sono previsti
dall’art. 5 Cost., nel quale “si riconosce e promuove le autonomie locali e attua nei servizi che
dipendono dallo Stato, il più ampio decentramento amministrativo”. lo stesso consiste nel
trasferimento dei compiti e delle funzioni proprie di una certa organizzazione verso le
articolazioni periferiche della medesima struttura. A questo segue l’Art. 114, riformato con la
legge cost. 3/2001, in cui si afferma che la Repubblica è formata da Comuni, Province, Città
metropolitane e Regioni (riconosciuti come enti autonomi aventi statuti propri, poteri e funzioni
in base ai principi della Costituzione) e dallo Stato.
Il rapporto tra autonomia e decentramento esprime il pluralismo delle istituzioni di governo,
nel quale si manifesta, a sua volta, il principio democratico di cui all’Art. 1. Deriva da ciò la
necessità che i poteri decisori non siano racchiusi in un unico “centro”, né siano conferiti in
modo esclusivo allo stesso livello di governo.
• PRINCIPIO DI SUSSIDARIETÀ: in riferimento alle autonomie locali, l’art. 118, co. 1, Cost.,
stabilisce che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne
l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base
dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”. Viene, così, data piena
legittimazione nel nostro sistema costituzionale al principio di sussidiarietà, recepito
dall’ordinamento europeo e gradualmente assunto, anche all’interno del nostro.
RIASSUNTO P.A ESTRAPOLATO E SISTEMATO DAI RIASSUNTI DI ALESSANDRA LEONARDI I ALEXIA ROSELLI

Possiamo distinguere:

SUSSIDARIETÀ VERTICALE → disciplinata dall’Art. 118, pone l’avvenuta rottura del


principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative, dando la titolarità
delle funzioni amministrative ai Comuni, essendo più vicino alla comunità e potendo scegliere
con maggiore adeguatezza gli interventi da eseguire. Corollari:

- PRINCIPIO DI DIFFERENZIAZIONE: impone che l’allocazione delle funzioni


amministrative decentrate avvenga “in considerazione delle diverse caratteristiche,
anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi”,
esprimendo così la consapevolezza raggiunta dal legislatore riguardo all’inefficacia di
applicare medesime regole a realtà organizzative profondamente diverse;

- PRINCIPIO DI ADEGUATEZZA: necessità di verificare previamente l’“idoneità


organizzativa dell’amministrazione ricevente a garantire, anche in forma associata
con altri enti, l’esercizio delle funzioni” conferite, posto che l’esito negativo di tale
verifica deve comportare l’assegnazione delle competenze all’ente di livello superiore.

SUSSIDARIETÀ ORIZZONTALE → Detto anche di sussidiarietà sociale, prevede che


Stato, Regioni ed enti locali debbano favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e
associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale: in pratica dovranno essere
valorizzate quelle forme di organizzazione spontanea della società civile per esempio
associazioni di volontariato, Onlus, Cooperative sociali, per la gestione dei servizi da offrire
alla cittadinanza.

TUTELA GIURISDIZIONALE CONTRO GLI ATTI DELLA P.A. → In stretto rapporto con il
principio di legalità, l’Art. 24 della Cost. enuncia il principio generale di azionabilità dei diritti
soggettivi e degli interessi legittimi, a tutela e garanzia del diritto di difesa – collegato al combinato
disposto degli Artt. 111 e 113 Cost. manifesta la volontà di escludere qualsiasi privilegio della P.A.
nel momento in cui venga chiamata in giudizio. L’Art. 111 in particolare, sottolinea l’importanza del
c.d. GIUSTO PROCESSO nella funzione giurisdizionale, ovvero la presenza di alcuni caratteri
strutturali del processo: contraddittorio tra le parti, condizioni di parità, imparzialità del giudice e
ragionevole durata → BILANCIAMENTO CIRCOLARE PROCESSUALE.

• L’Art. 24: si premura di garantire che tutti possano accedere ai mezzi per agire e difendersi
davanti ogni giurisdizione (c.d. Effettività della Tutela);
• L’Art. 113: sancisce c.d. Integrità della Tutela, in quanto stabilisce che contro gli atti della
P.A. è sempre ammessa la tutela giurisdizionale e viene fatto divieto di escludere o limitare
la stessa tramite particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.
Garantendo pari dignità tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa, la Cost. offre
piena garanzia di tutela contro “tutti” gli atti della P.A.

6. Le autorità amministrative e indipendenti;


Per Autorità indipendenti si intende una serie di poteri pubblici, che possiedo un discreto grado di
indipendenza dal potere politico e con una elevata competenza tecnica.
RIASSUNTO P.A ESTRAPOLATO E SISTEMATO DAI RIASSUNTI DI ALESSANDRA LEONARDI I ALEXIA ROSELLI

Il fenomeno di tali autorità è comparso anche in Italia, negli ultimi anni, malgrado il forte ritardo
rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea.
Non sono politicamente responsabili degli atti che pongono in essere, legittimati sulla base della
competenza tecnica → I singoli membri sono nominati dal Governo, dal Presidente della Repubblica
e dal Parlamento, e svolgono delle funzioni miste che si intrecciano con i tre poteri tipici dello Stato:
normativo, esecutivo e giurisdizionale. In base a quanto detto quindi la competenza tecnica e la
garanzia d’indipendenza rappresentano le tipiche caratteristiche di chi è chiamato ad esercitare i
poteri pubblici, senza una legittimazione democratica popolare.
Su alcuni punti, parte della dottrina è intervenuta esprimendo gravi dubbi di incostituzionalità: in
primo luogo, la compatibilità di tali autorità rispetto al principio di separazione dei poteri.
Le Autorità indipendenti di collocherebbero al di fuori di questa separazione, poiché autonome al
Governo e pertanto, non soggette all’art. 95 Cost. che per l’appunto prevede la responsabilità politica
dei Ministri per l’attività dei propri ministeri.
Ulteriore questione riguarda il sistema delle fonti amministrative, se sia in grado di accogliere gli
atti normativi adottati da soggetti che non sono muniti di legittimazione democratica e
rappresentativa.
La dottrina è arrivata ad un giudizio di ammissibilità di tale figura istituzionale: queste
AUTHORITIES svolgono attività di controllo, regolazione e sanzione, ma non dispongono di un
potere discrezionale, bensì esclusivamente tecnico senza alcuna comparazione degli interessi in
gioco. Inoltre, i loro poteri vengono ricondotti a quelle esigenze di controllo presenti nell’Art. 97, in
merito al buon andamento della P.A.
Tra le diverse autorità amministrative indipendenti presenti in Italia di particolare rilievo, troviamo
l’ANAC, ossia l’Autorità Nazionale Anticorruzione istituita con il decreto 90/2014:
è sostanzialmente un organo collegiale, formato dal presidente e da 4 consiglieri, scelti con
deliberazione da parte del Consiglio dei Ministri, previo parere favorevole delle commissioni
parlamentari competenti, espresso a maggioranza dei 2/3 dei componenti.
In linea generale, l’ANAC possiede funzioni in materia di trasparenza amministrativa e di
prevenzione della corruzione. Il nuovo codice degli appalti pubblici ha conferito a tale organo la
vigilanza, il controllo sui contratti pubblici e l’attività di regolazione degli stessi.
L’ANTITRUST (l’Autorità garante della concorrenza del mercato) si occupa di vigilare contro gli
abusi di posizione dominante. La CONSOB si occupa della vigilanza sui prodotti finanziari.

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