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Appunti sul capitolo X dei Principles:

Esame del sé in quanto anima (sostanzialismo):

All’inizio della parte sulla teoria dell’anima (p. 342) James si propone di esaminare l’alternativa al mind-
dust, e prende in esame la teoria dell’anima come forma di correlato psichico alla serie fisica, siamo nella
cornice del parallelismo psico-fisico. Il correlato mind-dust è stato già scartato nel capitolo VI (vedi p. 345
inizio secondo capoverso). Ma l’unica cosa che possiamo constatare è che “quando il cervello si attiva il
pensiero accade”. Quindi ovviamente dobbiamo scartare anche l’anima in quanto ipotesi “sostanzialista”.

[citazione da utilizzare: «Per quel che mi riguarda, confesso che, nel momento in cui divento un metafisico,
trovo che la nozione di una sorta di anima mundi che si esprime attraverso ognuno di noi sia un’ipotesi più
promettente, nonostante tutte le difficoltà, di quella di tante anime individuali. Al contempo, come
psicologi, non dobbiamo essere in alcun modo dei metafisici. I fenomeni bastano, il Pensare in se stesso è
l’unico soggetto pensante verificabile, e il suo legame empirico con i processi cerebrali è l’unica legge nota»
p. 346].

Ma, per l’appunto, un argomento in favore dell’anima sarebbe la possibilità dell’immortalità. C’è però da
dire che l’immortalità che ricerchiamo è un’immortalità “cosciente”, non la mera sopravvivenza di un
substrato impersonale. Ma questa immortalità cosciente ci sarebbe data dalla sopravvivenza dello stream,
cioè dei fattori fenomenici dell’anima, che invece sono proprio quelli che scompaiono.

Un altro argomento contro l’anima è il fatto che la psicopatologia e la ricerca psichica ci mostrano che il sé
non è affatto coeso, come dovrebbe invece essere se fosse una sostanza immutabile.

Conclusioni del ragionamento sull’anima ultimo capoverso p. 350

Esame del sé associazionista:

[Per l’atteggiamento di James nei confronti dell’associazionismo di Wundt vedi Perry, I, pp. 528, 806; II, p.
3-6; 10, 12-13; 53-55; 83 (applicato al problema dello spazio); 181; 436; vedi anche Wilshire, p. 34-35]

Hume ha giustamente minato l’idea di un’anima individuale immutabile, ma poi elegge la diversità e la
separazione incolmabile delle idee a unico attributo del sé, negando l’esistenza delle relazioni connettive e
disgiuntive. L’associazionismo contemporaneo, a parte Thompson, parla sempre di mente, ma non tocca
mai l’argomento dell’autocoscienza.

John Mill continua sulla linea dell’empirismo tradizionale di Hume dicendo che non esiste differenza tra
memoria e Sè. Il Sè non è altro che quel “legame” che tiene insieme in modo coerente le sensazioni e le
idee (rappresentazioni) passate con quelle future. Alla fine è costretto ad ipostatizzare questo “legame”
quasi tornando al concetto di anima.Così il mio io è prigioniero, in un certo senso, dell’inerzia associativa
che viene dal passato, e non pare in grado di disfarsi di idee vecchie o di stabiliere una discontinuità, cosa
che invece James sostiene avvenga tanto quanto l’associazione (pp. 351-60; 185-198 versione Archive).
Esame della teoria trascendentale:

La molteplicità che costituisce lo stream è da Kant divisa in molteplicità caotica delle percezioni e attività
sintetica a priori dell’intelletto conoscente. L’appercezione, cioé l’esperienza dell’“io penso” è implicita e
accompagna ogni esperienza. Questo per Kant è l’autocoscienza. Quindi per Kant l’Ego trascendentale
sancisce il semplice fatto di esistere, di lui non possiamo dire niente se non che accompagna tutte le nostre
rappresentazioni. Potrebbe anche essere un’anima, ma stando a quanto ne sappiamo di quest’ultima non
possiamo dire nulla. L’unica cosa di cui facciamo esperienza è l’io empirico spazio-temporale.

La molteplicità del reale quindi è trasferita da Kant “dentro la mente”, mentre la realtà esterna, che pure
viene supposta come esistente, resta un mero punto cieco (il noumeno, appunto). La differenza tra Kant e
James è quindi solo nel “luogo” in cui pongono la sintesi: nella mente Kant, nel reale James. In entrambi i
casi il conoscibile deve essere frutto di una sintesi, e quindi la miglior teoria sarà quella che rende meno
ardua la spiegazione di come avviene questa sintesi (p. 363, secondo capoverso).

[citazione: “Per quanto i suoi oggetti possano esserlo, il nostro pensiero non è composto di parti. Non c’è in
esso alcuna originaria molteplicità che vada ridotta all’ordine [...] Se dobbiamo avere un dualismo di
Pensiero e Realtà, la molteplicità andrebbe collocata in quest’ultimo termine, e non nel primo termine di
questa coppia di correlati. Le parti e le loro relazioni certamente appartengono meno al conoscente che al
conosciuto. p. 363]

Quindi Kant, secondo James, ha lo stesso problema ricorrente di tutte le teorie del conoscere: spiegare
come i Molti possono essere conosciuti dall’Uno (p. 364). Data l’ambiguità dell’Ego trascendentale, James
ritiene che sia più corretto usare il termine: “present passing ‘Thought’” (il Pensare?). Non è chiaro infatti se
Kant attribuisca all’Ego trascendentale la funzione di Agente, ma in questo caso, quello che James assume
(p. 364 ultimo cap., 365, primo cap.), allora non sarebbe altro che un surrogato dell’Anima.

Con Caird e Green l’Ego trascendentale diventa un assoluto, e con lui l’esperienza. Questo fa collassare
completamente psicologia come scienza. Questo “Pensatore Assoluto” sopprime i pensieri individuali e ha
un effetto paralizzante per la psicologia. Il peccato è confondere l’oggetto del pensiero con l’oggetto della
psicologia, assumendo quest’ultima sotto la prima categoria. Riprendendo Kant i post-kantiani identificano
la possibilità della conoscenza nell’azione di un Agente che opera la sintesi, ovvero la coscienza. Ma
quest’ultima non solo conosce, bensì pone il proprio oggetto al suo interno, in una sorta di dialettica
hegeliana (p. 369, vedi anche nota Ɨ). Secondo James, quindi, l’Ego dei trascendentalisti non è altro che un
espediente per tenere insieme l’antico “fascio” humiano, nel quale dunque essi credono ancora. Ma non
sono in grado di dire nulla sulla modalità di selezione e di approprazione delle rappresentazioni all’interno
del fascio, e quindi l’Ego resta una nozione vuota (p. 370, vedi anche nota *).

Teoria jamesiana del “me” e dell’“I”:

Secondo James “la personalità implica la presenza incessante di due elementi, una personalità oggettiva,
conosciuta attraverso un Pensiero soggettivo passeggero (passing subjective Thought) e riconosciuta come
avente una continuità temporale. Di qui in avanti userò i termini ME e IO per la personalità empirica e il
Pensiero giudicante.” (p. 371).

Il ME è il sè corporeo, il sentire di avere un corpo con le sue tendenze emotive generiche. Ma questo ME è
soggetto a continuo cambiamento nel corso di una vita, e l’unica identità che l’IO ritrova è quella legata ai
ricordi, cioé ad un passato del ME. Le alterazioni più evidenti sono quelle che si manifestano nei ricordi finti
o alterati, nei sogni e nei fenomeni di dissociazione patologica (depressione, personalità multile, ipnosi e
trance), nei quali l’IO sperimenta diverse versioni del ME (passaggi tratti da Ribot, Taine e Janet sulla
diversa percezione del corpo nella depressione e nei danni cerebrali, nell’isteria, etc. a p. 375-).

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