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“Però non ti turbare e resta in silenzio”

Il silenzio politico di M. Heidegger


alla luce della meditazione sull’essenza del linguaggio

Matteo Valdarchi

1. Introduzione: “I pochi che restano silenziosi”

La pubblicazione degli Schwarze Hefte ha convogliato intorno a questi scritti la congerie di


riflessioni e spunti critici sul pensiero politico di Martin Heidegger, come se in essi fosse condensata
per intero la dottrina non solamente politica, ma addirittura filosofica del pensatore di Messkirch.
Non manca, inoltre, chi legge nella pubblicazione dei Quaderni una decisiva scoperta del carattere
“complottistico” dell’«antisemitismo metafisico» heideggeriano, “complotto” che troverebbe la sua
chiave di volta nel silenzio di Heidegger di fronte alla questione politica1.
In una lettera del 2 luglio 1938, commentando la temperie di critiche e attacchi politici che lo
vessava, Martin Heidegger scrive a suo fratello Fritz: «Però non ti turbare e resta in silenzio»2. Quasi
un decennio più tardi, in una missiva del 17 dicembre 1945 sempre al fratello Fritz, Heidegger
sottolinea con le seguenti espressioni la propria situazione politica ed esistenziale: «Hai proprio
ragione. Il mio nome è una “questione politica”, in un modo o nell’altro. Tutti parlano di me e nessuno
riflette – tranne i pochi che restano silenziosi»3 .
Fin dalle riflessioni dipanate nel §56 di Sein und Zeit (anticipate invero nel §34) risulta evidente
che il tema del “silenzio”, del tacere [Schweigen] sia tutt’altro che occasionale e marginale nel
Denkweg heideggeriano. Tuttavia, nella peculiare circostanza di questo carteggio privato, Heidegger
mette in luce il tacere in quanto atteggiamento linguistico appropriato alla situazione politica del suo
tempo, come quella forma di linguaggio in grado di ascoltare e comprendere il richiamo che la
situazione spirituale e politica del nostro tempo ci rivolge.
Ma qual è la valenza di questo legame tra questione politica e silenzio, che si insinua
discretamente in questi passi epistolari? È semplicemente l’indicazione di un comportamento

1 Cfr. M. Ferraris, Il complotto di Heidegger, in «Rivista di estetica» (62) 2016, pp. 133-142; inoltre cfr. J.
Derrida, Il silenzio di Heidegger, in Risposta a colloquio con Martin Heidegger, Guida, Napoli 1992.
2 M. Heidegger – F. Heidegger, Carteggio 1930-1949, (a cura di) F. Alfieri e F.-W. von Herrmann, Morcelliana,
Brescia 2018, p. 56.
3 Ibi, p. 150 [corsivo mio].

1
arbitrario che il soggetto umano decide di adottare, magari per mascherare un certo imbarazzo
politico? Oppure dovremmo lasciarci interrogare da questi passaggi testuali, domandandoci se
l’atteggiamento linguistico del tacere [Schweigen] abbia un nesso strutturale con la questione politica,
in particolare con le forme che essa assume nell’epoca del dominio della tecnica?
Scopo della presente indagine è di rivelare il ruolo strutturale e filosoficamente rilevante del
silenzio [Schweigen] nell’atteggiamento politico e nel pensiero di Martin Heidegger, attraverso
l’analisi di alcuni luoghi testuali nei quali lo Schweigen diviene pungolo e sprone per la riflessione
heideggeriana, modificando tuttavia il proprio significato nell’approfondirsi della ricerca del
pensatore tedesco. Una simile trasformazione consiste nell’elaborazione della domanda sul senso
dell’essere non più a partire dalla prospettiva di comprensione dell’essere che un certo ente è (Da-
sein), ma avendo di mira il carattere storico-epocale dell’Essere come evento [Er-eignis]. In questa
torsione teoretica, il tacere gioca un ruolo fondamentale nel riconoscimento della radice storica
dell’Essere, che ritrova il suo luogo di manifestazione nell’essenza del linguaggio.
Una volta messa in luce la funzione dis-velante del tacere nei confronti dell’essenza storica del
linguaggio, si domanderà infine quale possa essere il significato del legame adombrato da Heidegger
nel carteggio sopra citato: se cioè esso possa essere inteso non tanto come una decisione arbitraria del
singolo, quanto piuttosto come la risposta più adeguata del pensiero al richiamo dell’Essere
nell’epoca della tecnica.

2. “La chiamata della coscienza”: il tacere come possibilità esistenziale del Dasein in Essere e tempo

Insieme alle lezioni intitolate Prolegomeni alla storia del concetto di tempo del ’25, i paragrafi
34 e 56 di Sein und Zeit costituiscono i primi luoghi testuali nei quali Heidegger mette a tema il
fenomeno dello Schweigen.
In questi testi (e in particolare nel §56), il discorso [Rede] si manifesta in due modi: in quanto
comunicazione (verbale) e in quanto chiamata della coscienza4; quest’ultima è perciò una modalità
del linguaggio. Tuttavia, essa possiede due caratteristiche distinte: non mette in comune nulla, non
universalizza, ma ha a che fare piuttosto con l’Esserci stesso5; non dice qualcosa verbalmente, ma
chiama silenziosamente, tacendo6.

4 Cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, Milano 1971, p. 326.


5 Cfr. ibidem.
6 Cfr. ibi, p. 327.

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È necessario anzitutto chiarire chi viene chiamato nella chiamata della coscienza. Colui al quale
è rivolta la chiamata non è un qualche “io interiore”, separato dal “mondo esterno”, bensì il sé Stesso,
ri-chiamato a sé Stesso dalla dispersione quotidiana nel Si stesso7. Si tratta dunque di una con-versione,
di una ri-semantizzazione del mondo che l’Esserci abita8. Ma che cosa dice esattamente il discorso
della coscienza? «A rigor di termini, nulla» 9. Infatti,

«la chiamata non ha bisogno di comunicazione verbale. Essa non dice verbo, ma non resta per questo
oscura e indeterminata. La coscienza parla unicamente e costantemente nel modo del tacere [Schweigen]»10.

Se il tacere è «Ruf des Gewissens», e se la coscienza (lungi dall’essere un’istanza trascendentale


superiore al Dasein) è il da, ossia il ci (l’apertura), allora il tacere (in quanto possibilità del parlare)
parla il linguaggio dell’apertura, ossia ri-chiama l’esser-ci al ci che esso stesso ha da essere,
aprendolo al mondo che egli abita. In altre parole, parla il linguaggio dell’essere, se l’essere stesso e-
viene al modo dell’apertura che il Da-sein è. Così, il tacere richiama l’esser-ci alla sua radice, cioè
alla sua storicità [Geschichtlichkeit].
Tuttavia, questa possibilità che lo Schweigen in quanto chiamata della coscienza apre in Essere
e tempo, rimane soggetta al rischio di ricaduta trascendentale nelle maglie della comprensione
d’essere che l’esserci è, piuttosto che mantenere tutta l’ampiezza di un respiro metafisico, ossia rivolto
all’essere in quanto essere, alla storia dell’essere.

3. “Il silenzio che conquista”: la trasformazione dell’essenza del linguaggio nei Beiträge zur
Philosophie

La possibilità aperta nell’opera del ’27, ma lì rimasta inevasa, viene ripresa con vigore negli
anni ’30, in particolare nei Beiträge zur Philosophie.
Nei paragrafi 37 e 38 affiora nuovamente lo Schweigen. La domanda centrale che i Beiträge
tentano di articolare è: in che modo la verità dell’Essere, e il suo evento, rivela sé stessa11? In altre
parole, è possibile dire l’e-venire della verità dell’Essere, «se ogni linguaggio è linguaggio

7 Cfr. ibi, pp. 326-327.


8 Cfr. ibi, p. 327.
9 Ibidem.
10 Ibidem.
11 Cfr. A. Schwan, Beiträge zur Philosophie and Politics, in Politische Philosophie im Denken Heideggers, (ed.)
A. Schwan, Westdeutscher Verlag, Opladen 1989, p. 73.

3
dell’ente?» 12 . Evidentemente, l’unica possibilità per cor-rispondere all’evento dell’Essere risiede
nella trasformazione dell’essenza del linguaggio 13. Ma in cosa consiste tale trasformazione e da cosa
può scaturire? Cosa ci consente di conquistare con il pensiero e il linguaggio ciò che nell’essenza del
linguaggio si annuncia, ossia la verità dell’Essere? «Il silenzio che conquista (Erschweigung) è la
meditata legalità del conquistare con il tacere (Erschweigen)» 14 . Lo Schweigen è dunque quel
linguaggio appropriato alla verità dell’Essere, all’ascolto del suo tramandarsi storico-epocale.
L’essenza del linguaggio non si lascia comprendere qui come mera facoltà che un certo ente possiede,
ma come luogo di apertura dell’e-venire dell’Essere stesso:

«Infatti ogni dire proviene dall’Essere e parla dalla sua verità. Ogni parola, e dunque ogni logica, sta
sotto il potere dell’Essere. L’essenza della “logica” (cfr. il semestre estivo del 1934) è dunque la sigetica
[Sigetik]. Solo in essa è capita anche l’essenza del linguaggio»15.

Lo Schweigen si manifesta dunque nei Beiträge come una particolare modalità di linguaggio,
di ascolto16 del richiamo che proprio alla radice storica del linguaggio si annuncia, ossia la verità
dell’Essere, il suo darsi storicamente.

«Il silenzio che conquista è la “logica” della filosofia nella misura in cui questa pone la domanda
fondamentale partendo dall’altro inizio. Essa cerca la verità dell’essenziale permanenza dell’Essere e tale
verità è la velatezza (il mistero) dell’evento (l’indugiante diniego) che fa cenno e risuona»17.

Il tacere indica dunque la verità dell’Essere nel nostro tempo, nell’epoca del compimento della
metafisica nel dominio tecnologico degli enti18: ovvero, che l’Essere si nega velandosi, resistendo al
tentativo di dominio della tecnica. Questa è la sua verità ed essa può essere detta non già dal
linguaggio tecnologico, ma solo dal silenzio “di questo linguaggio”, dal tacere: emerge così la
funzione costitutiva del silenzio nel manifestare l’e-vento dell’Essere nell’essenza del linguaggio. Ma

12 M. Heidegger, Contributi alla filosofia, Adelphi, Milano 2007, p. 100.


13 Cfr. ibidem.
14 Ibi, p. 101.
15 Ibidem.
16 Cfr. ibi, p. 100: «Ogni dire deve suscitare insieme la capacità di ascoltare».
17 Ibi, p. 101.
18 La riflessione sulla “Machenschaft”, quale cuore dell’epoca del dominio tecnologico, occupa diverso spazio
all’interno dei Contributi, concentrandosi in particolare nei paragrafi 61-74.

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questa resistenza dell’Essere («l’indugiante diniego»), se seguita da un pensiero in ascolto, che sa
tacere, può lasciar germogliare la parola in grado di aprire la via all’altro inizio del pensiero.
Pertanto, lo Schweigen viene trasformato, nella sua essenza, nel passaggio da Sein und Zeit ai
Beiträge: esso subisce uno slittamento semantico determinante rispetto alla sua occorrenza nell’opus
magnum, poiché mentre nel primo caso esso richiama l’esserci alle sue proprie possibilità esistenziali,
in virtù della Kehre lo Schweigen è quella parola che cor-risponde al movimento storico-epocale del
dis-velarsi dell’Essere stesso. Nel primo caso, dunque, il tacere parla il linguaggio dell’essere di un
certo ente; nel secondo parla quello dell’Essere in quanto tale, nella sua dinamica storico-epocale.
Ma, ancora, cosa è in gioco in questo passaggio?

«Il silenzio che conquista include anche la logica dell’ente, così come la domanda fondamentale ingloba
in sé e trasforma la domanda guida. Il silenzio che conquista scaturisce dall’origine essenzialmente permanente
del linguaggio stesso»19.

Lo Schweigen ha dunque di mira l’essenza del linguaggio, custodendo le possibilità impensate


nel “primo inizio” del pensiero metafisico-occidentale, che ha compreso il linguaggio come logos.
Ora, il compimento della metafisica, ossia della comprensione dell’essenza del linguaggio come
lógos, ha luogo nel dominio tecnologico, dunque nella comprensione del linguaggio come
cibernetica 20 . Caratteristico di quest’ultima è di determinarsi come un sistema univoco di segni,
capace di regolarsi e di controllarsi, assicurandosi il buon esito della comunicazione,
dell’informazione. Ma allora cosa, nell’obliarsi dell’Essere, viene sottratto al dominio della
tecnologia, dell’appiattimento (“piatta-forma”) del linguaggio a informazione, e custodito nel tacere?
Una chiarificazione di quest’ultimo nodo concettuale può provenire da un ultimo riferimento
testuale, questa volta al corso dal titolo Logik als die Frage nach dem Wesen der Sprache (segnalato
dallo stesso Heidegger nel §37 dei Contributi), che lascia vedere il peso politico ed esistenziale che
comporta la messa in questione dell’essenza della «logica» occidentale.

4. Il compito storico-politico di un’interrogazione dell’essenza del logos nel corso del 1934

19M. Heidegger, Contributi alla filosofia, cit., p. 101.


20Cfr. M. Heidegger, Filosofia e cibernetica, ed. A. Fabris, Edizioni ETS, Pisa 1989; cfr. anche M. Heidegger,
Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, ed. C. Esposito, Edizioni ETS, Pisa 1997.

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Il corso del semestre estivo del 1934 ha come scopo la messa in questione della «logica» in
quanto interrogazione dell’essenza del linguaggio21. Essa domanda pertanto: che cos’è il linguaggio?
Qual è la sua essenza, il suo modo d’essere? Ora, il modo d’essere del linguaggio è stato deciso da
molto tempo, allorché i greci hanno compreso l’uomo come zoon logon echon, ossia come quel
vivente che possiede logos, cioè discorso, linguaggio 22; dunque, «il linguaggio è un’attività umana» 23.
Tuttavia, «l’indicazione che il linguaggio risieda nell’uomo lascia insoddisfatti finché non si sappia
come e dove questo linguaggio sia» 24: infatti, il linguaggio è forse solo laddove qualcuno parla?
Oppure laddove la totalità dei parlanti dialoga? E ancora, «il linguaggio è solo se si parla? Non è se
si tace [Ist sie nicht, wenn geschwiegen wird]?» 25 . Nel cuore della domanda sull’essenza del
linguaggio irrompe ancora una volta il tacere, cioè il linguaggio divenuto silenzioso. Il tacere, infatti,
parla spesso più di molte parole. Ma questa comprensione dell’essenza del linguaggio, del parlare
stravolge la concezione comune e quella metafisico-occidentale del linguaggio: esso non dipende da
un certo ente, sia pure un ente eccezionale come l’essere umano; esso piuttosto, come ricordano i
Beiträge, è determinato, sovrastato dall’imporsi storico-epocale dell’Essere.
Ciò significa che, se la «logica» è il modo in cui il pensiero occidentale ha determinato e
compreso l’essenza del linguaggio, allora essa è un’apertura, un inizio del pensiero, non l’unico
possibile o il necessario, anche se il primo inizio. Perciò, l’interrogarsi della logica intorno all’essenza
del linguaggio deve assumere su di sé il compito storico di pensare un altro inizio del pensiero, ossia
esperire nuovamente l’accadere storico-epocale dell’Essere attraverso l’essenza del linguaggio: «la
logica resta allora un carico non ancora assunto dell’esserci umano-storico»26. Un simile compito,
tuttavia, emerge solo allorché l’essenza del linguaggio s’è manifestata nel tacere [Schweigen], il quale
dunque rivela il suo ruolo costitutivo, sebbene non definitivo, all’interno della riflessione di Heidegger.

5. Conclusione. La resistenza inapparente del pensiero

L’analisi dell’occorrenza del termine “Schweigen” all’interno di alcuni passi cruciali delle
maggiori opere di Martin Heidegger ha mostrato come questa modalità linguistica consista non già

21 Cfr. M. Heidegger, Logica e linguaggio, Marinotti, Milano 2008, p. 22.


22 Cfr. ibi, p. 41.
23 Ibi, p. 40.
24 Ibi, p. 48.
25 Ibi, p. 39.
26 Ibi, p. 236.

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in un atteggiamento arbitrario del singolo essere umano, quanto piuttosto nella risposta commisurata
alla chiamata dell’Essere nel suo presentarsi storico, ossia nel suo e-venire epocalmente. Pertanto, il
“ritegno del dire” è quella modalità di pensiero che custodisce il ritrarsi dell’Essere dal dominio della
tecnologia: questo ritegno si configura come un compito storico dell’essere umano, chiamato a
corrispondere al movimento epocale dell’Essere nel linguaggio.
Può emergere, finalmente e in conclusione del nostro lavoro, il significato di quel nesso tra
silenzio e politica tratteggiato nel carteggio da Heidegger. Infatti, una risposta politica nell’epoca
della tecnica, anziché fungere da mero ripetitore delle istanze dettate dalla tecnologia, giungendo ad
appiattire anche la sfera pubblica della nostra convivenza, non può non configurarsi come una
risposta che abbia cura del linguaggio nel suo ritrarsi di fronte al dominio dell’ente da parte della
tecnica. Il tacere, dunque, risulta essere quella forma di linguaggio appropriata all’essenza del nostro
tempo, nella quale l’Essere stesso non si dice, ossia impedisce la sua comprensione nel linguaggio,
fintantoché esso rimane linguaggio della tecnica, cibernetica. Il tacere nomina un’impossibilità
strutturale, una resistenza ultima del mistero [das Geheimnis] che l’essere è. Tale resistenza non lascia
tuttavia nella mera passività: al contrario, chiama a ripensare l’essenza del linguaggio, ossia ad
assumersi il compito mai portato a termine che la «logica» indica.
Nell’intervista rilasciata a «Der Spiegel», realizzata il 23 settembre 1966 e pubblicata il 31
maggio 1976, di fronte alla delusione del suo interlocutore, data l’impossibilità, da parte del filosofo,
di fornire qualche criterio per l’agire politico nella nostra era tecnologica e di indicare quale delle
«correnti» politiche potesse essere indicata come la «più adatta ai tempi» 27 , Heidegger confessò
semplicemente: «E, in effetti, non posso»28. Al fine di non lasciare il suo interlocutore scoraggiato,
tuttavia, aggiunse:

«Non posso, perché i problemi sono così gravi che sarebbe contrario al senso di questo compito del
pensiero presentarsi, per così dire, in pubblico a predicare e a distribuire censure morali. Forse si può osare la
frase: al segreto della strapotenza planetaria dell’essenza impensata della tecnica corrisponde la provvisorietà
e l’inapparenza del pensiero che tenta di pensare questo impensato»29.

27 M. Heidegger, Ormai solo un Dio ci può salvare, Ugo Guanda Editore, Parma 1987, p. 144.
28 Ibi, p. 156.
29 Ibi, p. 156-157 [corsivo mio].

7
Così, nell’epoca della piena trasparenza, dell’assenza di segreti, della necessità di condividere
(to share) tutto, i pensatori sono forse chiamati a ricordare ciò che non è condivisibile, ciò che non è
utilizzabile poiché celato nella provvisorietà dell’inapparenza: il mistero che ciascun ente è.

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BIBLIOGRAFIA

Fonti:
Heidegger M., Essere e tempo, Longanesi, Milano 1971.
Id., Ormai solo un Dio ci può salvare, Ugo Guanda Editore, Parma 1987.
Id., Contributi alla filosofia, Adelphi, Milano 2007.
Id., Logica e linguaggio, Marinotti, Milano 2008.
Id., In cammino verso il Linguaggio, Mursia, Milano 2014.
Heidegger, M. – Heidegger, F., Carteggio 1930-1949, (a cura di) F. Alfieri e F.-W. von Herrmann
Morcelliana, Brescia 2018.

Letteratura secondaria:
Ferraris, M., «Il complotto di Heidegger», «Rivista di estetica» (62) 2016.
Schwan, A., Beiträge zur Philosophie and Politics, in Politische Philosophie im Denken Heideggers,
(ed.) A. Schwan, Westdeutscher Verlag, Opladen 1989.
Von Herrmann, F.-W. – Alfieri, F., Martin Heidegger. La verità sui Quaderni neri, Morcelliana,
Brescia 2016.
Homolka W. – Heidegger A. (a cura di), Heidegger und der Antisemitismus. Positionen in Wiederstreit,
Herder 2016.
Fédier, F., Heidegger e il mondo ebraico, Morcelliana, Brescia 2016.

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