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Pietro Spataro - Alle origini della Psicologia della Personalità

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Indice

1. IL PENSIERO PSICHIATRICO E CRIMINOLOGICO .................................................................................. 3


2. LA NASCITA DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA ..................................................................................... 5
3. SVILUPPO DEI TEST MENTALI E MISURA DELL’INTELLIGENZA .................................................................. 8
BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................................. 11

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1. Il pensiero psichiatrico e criminologico

La difficoltà nel definire cosa si intende per personalità (su cui ci soffermeremo nella

prossima lezione) si ripercuote inevitabilmente sui tentativi di determinare con chiarezza le origini o

la nascita della psicologia della personalità. Gli interrogativi che normalmente ci poniamo quando

parliamo di personalità non sono nuovi e sono stati affrontati, almeno in qualche misura, dai filosofi

prima che dagli psicologi. Per molti aspetti, i temi di cui si occupa la psicologia della personalità

sono comuni a diversi percorsi disciplinari (psichiatrici, criminologici, antropologici); ciò fa sì che in

essa convergano i contributi delle molteplici diramazioni e specializzazioni in cui si è evoluta la

psicologia moderna. Dunque, nel proseguo di questa trattazione, non deve sorprendere il fatto

che saranno talvolta presentate concezioni, temi, metodi, e tecniche assolutamente distanti tra

loro. Di fatto, il settore di studio della psicologia della personalità è oggi caratterizzato da un

pluralismo maturo in grado di recepire e articolare al suo interno molteplici diversità.

Nella seconda metà del secolo scorso, la diffusione del pensiero positivista, caratterizzato

da una profonda fiducia nel progresso scientifico e improntato allo studio dei fenomeni osservabili

nella loro oggettività, portò al consolidamento di una concezione della psicopatologia basata

sull’analisi delle funzioni anatomo-fisiologiche della personalità. Nella concezione positivista, la

malattia mentale era governata da una legge naturale, la quale doveva diventare l’oggetto di

studio privilegiato della psichiatria. Gli studiosi che aderirono a questo approccio ricercavano le

cause delle condizioni psicopatologiche nelle alterazioni del corredo genetico dell’individuo o in

lesioni e degenerazioni del cervello. Due esponenti di spicco, in questo senso, furono Emile

Kraepelin (1856-1926) e Eugen Bleuler (1857-1939).

Kraepelin organizzò una vasta mole di dati clinici in un sistema classificatorio all’interno del

quale ebbe grande fortuna la distinzione tra demenza precoce e psicosi maniaco-depressiva. Una

caratteristica essenziale del sistema kraepeliano fu l’importanza attribuita alla prognosi e alla

diagnosi, la quale derivava dall’assunto che la malattia mentale abbia un corso prevedibile e

ineluttabile, come qualsiasi altra malattia organica. Dal canto suo, la teoria elaborata da Bleuler fu

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in seguito definita ‘organico-dinamica’, in quanto l’interesse di questo studioso non era limitato alle

componenti organiche e ai fattori ereditari, ma si estendeva fino a comprendere i processi

psicologici, ovvero l’insieme di sintomi psicogeni derivanti dai sintomi organici primari (in tal senso,

le sue elaborazioni sulla scissione delle facoltà psichiche e sulla perdita di contatto con la realtà

hanno avuto un forte impatto sul successivo sviluppo della psichiatria, così come la formulazione

del concetto di “schizofrenia”).

Un altro famoso esponente del ‘naturalismo’ positivista in ambito criminologico fu Cesare

Lombroso (1835-1909), il quale riteneva che l’ereditarietà e la costituzione fossero i fattori di

maggiore importanza nella determinazione della personalità criminale. Nella sua teoria

bioantropologica, le caratteristiche fisiche e le malformazioni assumono un ruolo causale rispetto ai

comportamenti devianti. In particolare, Lombroso è noto per aver sviluppato la concezione del

“delinquente nato”, le cui caratteristiche, ricalcando quelle primitive della specie umana (grandi

mandibole, naso schiacciato, zigomi sporgenti, canini forti), risultano inadeguate per

l’adattamento individuale e sociale. In sostanza, questo tipo di delinquente possiede disposizioni

congenite che, indipendentemente dalle condizioni ambientali, lo rendono antisociale. Accanto

al tipo biologico, Lombroso ha descritto anche il tipo del “delinquente per passione”, nel quale

sarebbe prevalente la compromissione del senso morale.

Riassumendo, le varie concezioni del positivismo psichiatrico e criminologico condividono le

medesime idee sull’importanza che l’ereditarietà ha nella formazione del carattere e nella genesi

della malattia mentale e condividono la stessa fiducia nella possibilità di individuare nel cervello le

basi delle varie manifestazioni psichiatriche.

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2. La nascita della psicologia scientifica

Non è sempre facile rinvenire nelle teorie e nelle ricerche che hanno segnato la nascita

della psicologia scientifica moderna idee e concetti immediatamente trasponibili nello studio della

personalità. Ciò è dovuto al fatto che lo studio della personalità è rimasto un tema molto

marginale in quel filone di studi che dalla psicofisica tedesca ha portato alla fondazione del primo

laboratorio di psicologia da parte di Wilhelm Wundt, fino allo sviluppo del funzionalismo di William

James. D’altra parte, non è possibile negare l’importanza che questi studiosi hanno avuto in

quanto espressioni e promotori di atteggiamenti conoscitivi ed indirizzi scientifici che hanno

impresso diverse traiettorie e diversi sbocchi all’indagine sulla struttura, sulla dinamica e sullo

sviluppo della personalità.

Wundt (1832-1920) fu il capostipite e il maggiore esponente di una corrente di pensiero nota

come “Strutturalismo”. Egli riteneva che l’obiettivo della psicologia in quanto scienza dovesse

essere lo studio sperimentale della coscienza, il quale aveva lo scopo di comprendere come

elementi semplici si connettono e si organizzano in modo unitario fino a determinare i contenuti

dell’esperienza. Gli elementi semplici della coscienza sono le ‘sensazioni’, dalla cui combinazione

emergono i ‘sentimenti’. Secondo Wundt, il metodo d’elezione per studiare le sensazioni

elementari della coscienza era l’introspezione, vale a dire l’analisi degli stati emozionali e dei

processi mentali del soggetto, concentrandosi soprattutto sulle esperienze interne della coscienza,

ossia sulle sensazioni, sui sentimenti e sui pensieri. In pratica, per poter capire cosa accade quando

un soggetto vede un colore, una forma, sente un suono, prova un sentimento, c’è un solo modo

per farlo, ossia, il soggetto stesso deve guardarsi dentro ed analizzare quello che sta provando

mentre sta guardando il colore o la forma, mentre sta ascoltando il suono, e così via.

Tuttavia, ciò che più avvicina Wundt alla psicologia della personalità è la sua analisi dei

sentimenti. Egli perviene all’individuazione di tre generi di sentimenti (lungo le dimensioni piacere-

dispiacere, tensione-sollievo, eccitazione-calma) e quattro temperamenti (collerici, melanconici,

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sanguigni, flemmatici). La differenziazione tra i quattro temperamenti è possibile se si postulano due

principi relativi alla reattività affettiva individuale: uno concernente la forza e l’altro concernente la

velocità di cambiamento dei sentimenti. Lungo il continuum della forza i collerici e i melanconici

sono inclini a provare sentimenti forti, mentre i sanguigni e i flemmatici tendono a provare

sentimenti deboli. Lungo il continuum della velocità i collerici e i sanguigni sono caratterizzati da

sentimenti che cambiano rapidamente e sono quindi più suscettibili alle impressioni del presente; al

contrario, i melanconici e i flemmatici sono caratterizzati da sentimenti che cambiano più

lentamente e sono quindi più interessati a perseguire obiettivi in una dimensione temporale

dilatata, più orientata al futuro. Le due dimensioni postulate da Wundt sono per certi versi

assimilabili alle dimensioni dell’estroversione-introversione (mobilità) e del nevroticismo (forza)

propettate in tempi molto più recenti da Eysenck (1992).

Certamente più moderno e più vicino alla psicologia della personalità è il contributo di

James (1842-1910), il quale delineò le basi del funzionalismo fenomenologico nel suo famoso libro

Principi di Psicologia (1890). Per James la psicologia deve essere intesa come la scienza che studia

i fenomeni mentali: l’individuo è considerato un’unità somato-psichica e la sua vita mentale funge

da ‘intermediaria’ tra il mondo esterno e il mondo interno. Secondo questo studioso, la mente è

caratterizzata dal suo tendere verso un fine e dagli scopi che essa persegue ai fini

dell’adattamento individuale. La vita mentale corrisponde ad un “flusso”, in cui la coscienza muta

costantemente come un fiume percorso da una corrente. D’altra parte, due proprietà

fondamentali della coscienza sono la continuità e la selettività. La continuità si riferisce alla

capacità di raccordare le esperienze attuali con quelle passate e fa sì che il pensiero non sia

soggetto a ‘rotture’ o ‘divisioni’. La selettività si riferisce invece alla capacità della coscienza di

perseguire solo le mete funzionali all’adattamento individuale.

Sinteticamente, la teoria formulata da James ha contribuito al superamento dell’idea di

personalità come architettura relativamente stabile di facoltà, a favore di una concezione della

personalità come un sistema fluido in continua trasformazione.

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Pierre Janet (1859-1947) ha fondato un sistema di psicologia dinamica in cui la funzione

integratrice diventa la funzione fondamentale della personalità, in base alla quale le diverse

componenti della vita psichica sono riunite in un tutto. Le varie manifestazioni psicopatologiche

corrispondono ad un indebolimento del potere di sintesi della coscienza. La personalità può essere

infatti soggetta a fenomeni di destrutturazione o di perdita di coesione: ciò si verifica quando un

suo aspetto si autonomizza e si distacca dall’insieme. Successivamente, Janet perverrà alla

formulazione di una teoria fondata sulle nozioni di ‘forza psicologica’ e ‘tensione psicologica’. Il

concetto di forza psicologica si riferisce alla quantità di energia psichica che viene impiegata nelle

diverse attività, mentre il concetto di tensione psicologica fa riferimento al grado di organizzazione

e di sintesi che viene espressa nelle diverse attività (la personalità viene infatti caratterizzata da

istanze volte all’organizzazione degli eventi passati e alla sintesi di quelli presenti). Janet vede nelle

diverse manifestazioni psichiche, normali e patologiche, come la risultante delle possibili

combinazioni tra forza e tensione psicologica.

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3. Sviluppo dei test mentali e misura dell’intelligenza

Il movimento dei test mentali prende avvio da un’esigenza non molto dissimile da quela

degli psicopatologi di differenziare il deviante dal patologico. All’inizio, infatti, l’intenzione degli

studiosi è quella di differenziare il normale dal deviante, e nell’ambito della normalità differenziare i

vari livelli di prestazione. Gli studiosi più noti in questo ambito sono Galton, Cattell, Binet e Stern.

A Galton (1822-1911), in particolare, va riconosciuto il merito di aver avviato le prime

ricerche sui test mentali. Come molti altri studiosi del suo tempo, Galton fu fortemente influenzato

dalle teorie evoluzionistiche di Darwin e di conseguenza era un convinto assertore dell’ereditarietà

e della trasmissione genetica dei caratteri intelligenti. Nel 1884 egli fondò un laboratorio

antropometrico con lo scopo di raccogliere misurazioni sui tratti fisici e su varie capascità sensoriali.

L’idea era quella di utilizzare il metodo statistico per discriminare le personalità famose (portatrici

dei caratteri intelligenti) dalle altre, nella convinzione che vi fosse una stretta correlazione tra

intelligenza e capacità sensoriale. A questo scopo, Galton progettò tutta una serie di strumenti volti

a misurare le capacità di discriminazione sensoriale, visiva, uditiva e cinestesica. L’assunto

sottostante prevedeva che ad un livello di maggiore organizzazione sensoriale corrispondesse un

più alto livello di intelligenza e, all’opposto, che ad un basso livello di capacità sensoriale

corrispondesse un deficit intellettivo. Tra i contributi di Galton, va ricordata anche l’invenzione del

test di associazione verbale (in cui il soggetto risponde ad una lista di parole lette dallo

sperimentatore con la prima parola che viene in mente), che ebbe grande fortuna nell’ambito

della psicologia accademica e clinica.

Nonostante i meriti di Galton, lo studioso a cui si deve l’inaugurazione di un programma di

indagine articolato in cui lo studio dell’intelligenza umana acquisisce una propria specificità è Binet

(1857-1911). Tale programma fu sostenuto economicamente dal ministero della Pubblica Istruzione

francese, il cui interesse consisteva nel trovare una soluzione al problema del ritardo intellettuale in

età scolare. Nel 1905, Binet predispose, insieme a Simon, la prima scala di intelligenza (nota

appunto come Scala di Binet-Simon), composta da un insieme di reattivi volti a misurare sia le

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funzioni di base (la capacità sensoriale e la percezione) sia le funzioni più complesse (come la

capacità di giudizio e di comprensione). Vengono così sviluppate le nozioni di età mentale (il livello

delle capacità mentali accertate tramite le diverse prove) e di età cronologica (il livello delle

capacità mentali possedute dalla media dei bambini di una determinata età), alle quali fu in

seguito aggiunto da Stern (1871-1938) il famoso concetto di “quoziente di intelligenza” (QI),

calcolato come rapporto tra età mentale ed età reale.

Negli anni tra il 1920 e il 1940, Sperman (1863-1945) e Thurstone (1887-1955) introducono e

perfezionano il metodo statistico dell’analisi fattoriale, il quale apre nuove prospettive nello studio

dell’intelligenza. Particolarmente importante è il contributo di Spearman, che riconduce le varie

espressioni dell’intelligenza ad un fattore generale “g” e a più fattori specifici “s” relativi a capacità

particolari. Dal canto suo, Thurstone approfondisce lo studio dei fattori sottostanti ai vari reattivi

sviluppati da Binet e Simon e identificano sette abilità mentali primarie: comprensione verbale,

fluidità verbale, capacità numerica, visualizzazione spaziale, memoria, velocità percettiva, e

ragionamento.

Infine, si deve a Heymans (1857-1930) una tassonomia temperamentale che ha riscosso

notevole successo anche in tempi recenti. Questo studioso ha individuato tre dimensioni

temperamentali fondamentali: l’attività (ovvero la capacità di agire con facilità), l’emotività

(ovvero l’intensità degli affetti) e la risonanza (ovvero la responsività agli eventi esterni: può essere

primaria, quando il soggetto reagisce immediatamente agli eventi esterni, oppure secondaria,

quando la persona elabora per molto tempo il vissuto relativo a tali eventi – anche detta

“ruminazione psicologica”). Sulla base di queste tre dimensioni, Heymans stabilisce un sistema di

otto tipi psicologici, così definiti (si veda la rappresentazione grafica in Figura 1):

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 Tipo sentimentale: emotivo – non attivo – secondario;

 Tipo nervoso: emotivo – non attivo – primario;

 Tipo collerico: emotivo – attivo – primario;

 Tipo passionale: emotivo – attivo – secondario;

 Tipo flemmatico: non emotivo – attivo – secondario;

 Tipo amorfo: non emotivo – non attivo – primario;

 Tipo sanguigno: non emotivo – attivo – primario;

 Tipo apatico: non emotivo – non attivo – secondario.

Figura 1. Gli otto tipi psicologici postulati da Heymans.

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Bibliografia

 Caprara, G. V., & Gennaro, A. (1994). Psicologia della personalità. Bologna: Il

Mulino.

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