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Pietro Spataro - Stadi, strategie di ricerca e livelli di analisi nella psicologia della

Personalità

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Indice

1. STADI DI SVILUPPO DELLA PSICOLOGIA DELLA PERSONALITÀ ............................................................. 3


2. STRATEGIE DI RICERCA ............................................................................................................................ 6
3. LIVELLI DI ANALISI .................................................................................................................................... 8
BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................................. 10

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1. Stadi di sviluppo della psicologia della personalità

La personalità è stata e rimane, oltre che luogo di incontro tra diverse discipline, prospettive

e pratiche di ricerca, anche il luogo in cui si confrontano diverse concezioni del mondo e del ruolo

dell’uomo nel mondo. Nella psicologia della personalità si ritrovano tutti gli slanci e i limiti delle altre

psicologie che essa mira ad integrare all’interno di una concezione globale e unitaria del

funzionamento psichico. È dunque particolarmente complicato, soprattutto nell’ambito di questa

disciplina, operare demarcazioni tra fasi di sviluppo, indirizzi e metodi senza incorrere nel rischio di

semplificazioni o riduzionismi.

Gli interrogativi ai quali la psicologia della personalità mira a rispondere, in accordo con i

criteri dell’evidenza empirica e del falsificazionismo, riguardano le radici, la costruzione e le

proprietà di costellazioni relativamente stabili di modi di sentire, di conoscere e di agire. Nei capitoli

precedenti, si è accennato a come essa sia storicamente debitrice alle prime tassonomie

psichiatriche, alla psicologia delle differenze individuali e ai vari indirizzi della psicologia dinamica.

In tal senso, la psicoanalisi ha tutti i crismi di una psicologia della personalità che precede di

almeno trent’anni i lavori dei primi personologi come Allport e Murray. Si tratta tuttavia di un

approccio che è destinato a restare isolato, rispetto ad un progetto comune di progresso della

conoscenza che vede nell’accumulazione di evidenze empiriche e nel graduale affinamento delle

ipotesi teoriche, in accordo con i criteri del falsificazionismo, le proprietà essenziali di una psicologia

scientifica. Se è vero che la psicologia della personalità ha tratto ispirazione e vantaggio dalla

psicoanalisi, è altrettanto vero che essa ha sempre mantenuto uno statuto autonomo rispetto alla

psicologia “ufficiale”.

La storia recente della psicologia della personalità si racchiude negli ultimi 90 anni, si

sviluppa principalmente nel continente nord-americano e può essere distinta in tre periodi: il

periodo delle prime elaborazioni di grande respiro (1930-1950), il periodo delle micro-teorie (1950-

1970) e il periodo contemporaneo (dal 1970 fino ad oggi), con la sua enfasi sulla complessità e sul

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pluralismo. Agli albori della disciplina, autori come Allport e Murray assegnano alla psicologia della

personalità il compito di superare il molecolarismo e il riduttivismo della ricerca di laboratorio e di

allargare l’interesse della psicologia dallo studio delle singole funzioni o processi (come la

percezione o la memoria) alla personalità globale. Si tratta di una fase sostanzialmente

programmatica e propositiva, un periodo di coraggiosi tentativi di sintesi e di grandi speranze che

culmina nel secondo dopoguerra. Gli studiosi che lavorano nell’ambito della nuova disciplina si

cimentano in una difficile azione di mediazione e di integrazione tra le diverse anime della

psicologia: si enfatizza la natura “integrativa” e “comprensiva” della psicologia della personalità, e

allo stesso tempo si delineano le differenze rispetto alle due scuole di pensiero rivali, il

comportamentismo e la psicoanalisi.

Tra gli anni ’50 e 70’ si racchiude un periodo segnato prima da grandi entusiasmi e

successivamente da una profonda disillusione. Nel 1950, Sears afferma che la psicologia della

personalità deve rendere conto: a) della struttura della personalità; b) dei dinamismi che

sottendono e orientano la condotta; e c) dello sviluppo dei tratti e dei motivi. Si tratta di un

programma ambizioso che si rivela ben presto inadeguato. Infatti, il progressivo affinamento

metodologico e teorico si accompagna alla progressiva specializzazione delle varie psicologie

dello sviluppo, sociale, e clinica, le quali erodono il concetto integrativo e comprensivo di

personalità formulato nel ventennio precedente. L’affermazione dei canoni della ricerca oggettiva

e la rinnovata esigenza di rigore espressa dal dibattito epistemologico diventano incompatibili con

la ricerca sul funzionamento globale della personalità. Ad un certo punto, anche sotto la pressione

dei nuovi standard in vigore nel mondo accademico e scientifico, diventa necessario per gli

studiosi accantonare i grandi temi e ripiegare su problemi meno ambiziosi ma più abbordabili a

livello empirico. In questo periodo, denotato da un forte restringimento degli interessi della

disciplina alla struttura e alla descrizione della personalità, si assiste alla formulazione delle moderne

tassonomie e al fiorire di un’ampia varietà di micro-teorie. Nel primo caso, la messa a punto della

tecnica statistica dell’analisi fattoriale consente a ricercatori del calibro di Cattell, Eysenck e

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Guilford di delineare delle classificazioni di personalità che mirano ad essere comprensive e

generalizzabili. Nel secondo caso si assiste ad una moltiplicazione di ricerche quasi-sperimentali e

correlazionali che si focalizzano su singole manifestazioni di personalità come l’aggressività o

l’autoritarismo.

La denuncia del progressivo isterilimento della disciplina è ciò che segna, agli inizi degli anni

’70, una nuova transizione che parte da una riflessione critica per poi assumere i caratteri della

ripresa. Già nel 1971, Carlson si interroga su dove stia la personalità nella psicologia della

personalità. Tuttavia, è soprattutto agli inizi degli anni ’80 che si vanno delineando con chiarezza i

problemi del superamento delle scuole, dell’integrazione dei vari indirizzi, del raccordo con la

psicologia dei processi di base e con la psicologia applicata, e in ultima istanza del recupero da

parte della disciplina della propria vocazione a svolgere una funzione di integrazione tra le varie

psicologie. Si apre perciò una nuova fase, segnata da un rinnovato interesse per le differenze

individuali e per la ricerca idiografica, e da un progressivo incremento della sofisticazione

metodologica, oltre che tecnologica. È questo il periodo in cui si assiste al pieno recupero della

personalità in tutti i suoi aspetti, cognitivi, affettivi, comportamentali, biologici e sociali, nel pieno

declinarsi della sua esistenza.

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2. Strategie di ricerca

Con la nozione di “strategia di ricerca” si intende fare riferimento a quell’insieme di assunti,

di decisioni, di operazioni che orientano gli studiosi nella selezione degli oggetti di indagine, nella

scelta del metodo e nell’individuazione degli ambiti applicativi.

Per quanto riguarda i metodi, anche per la psicologia vale la distinzione tra clinico,

correlazionale e sperimentale. Nel caso dell’approccio clinico, il ricercatore seleziona e pone in

relazione tra loro una varietà di informazioni e osservazioni che vengono acquisite attraverso

l’esame della biografia, della condotta, e delle dinamiche relazionali che regolano il rapporto che

egli ha con la persona oggetto di indagine. Il fine ultimo è la ricostruzione di un itinerario

esistenziale rispetto al quale sia possibile comprendere i significati personali delle condotte e

cogliere le dimensioni uniche della personalità. La bontà di questo metodo dipende

essenzialmente dalla validità della teoria sottostante, che consente allo studioso di selezionare le

osservazioni, di decifrare i significati soggettivi e di ricondurre i vissuti e le esperienze individuali a

principi e leggi generali. Il colloquio, la storia di vita, l’esame di test proiettivi hanno rappresentato

gli strumenti principali di un metodo che si è sempre qualificato per il suo privilegiare gli aspetti più

soggettivi e qualitativi della personalità.

Nel caso dei metodi correlazionali, il ricercatore procede a misurare le caratteristiche

disposizionali o comportamentali delle persone, allo scopo di estrarre da tali misure dei profili o

delle correlazioni. I profili descrivono dove si posizionano i soggetti osservati rispetto ad una serie di

caratteristiche diverse, mentre le correlazioni descrivono come al variare di alcune caratteristiche

varino anche altre caratteristiche della persona. Anche in questo caso, la validità del metodo

dipende dalla bontà della teoria che si intende corroborare, e in particolare dalla chiarezza delle

ipotesi, dalla plausibilità delle operazionalizzazioni e dalla corrispondenza tra concetti e misurazioni

empiriche. In questo contesto, la produzione di questionari e reattivi psicologici ha tratto grande

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impulso dallo sviluppo delle moderne tecniche di analisi fattoriale e dei modelli di equazioni

strutturali.

Infine, il metodo sperimentale mira alla ricerca di regolarità generali che possano spiegare i

legami tra certi effetti e le cause che li producono. Il controllo è l’elemento che contraddistingue

questa strategia di ricerca. Le variabili in gioco, i trattamenti o le manipolazioni introdotte dallo

studioso e i soggetti che partecipano all’esperimento sono tutti elementi che devono essere tenuti

sotto controllo. Il modello di ricerca è quello delle scienze esatte (fisica e matematica), il

laboratorio è la sua sede più appropriata e gli scopi riguardano l’identificazione di regole universali

e la generalizzabilità delle scoperte ottenute in laboratorio alla vita quotidiana. I limiti, oltre che

dalla bontà della teoria che si intende verificare, dipendono anche dalla possibilità di una

adesione troppo rigida al concetto di controllo. Nel caso della psicologia della personalità, infatti,

la ricerca di leggi generali deve mirare a spiegare non soltanto i legami di causa-effetto che

valgono per tutti, ma anche gli aspetti unici ed originali delle singole personalità.

Accanto a questi tre metodi, altre tecniche si sono imposte nella psicologia della

personalità, in quanto più in grado di salvaguardare la complessità dell’oggetto di studio. Per

esempio, la “quasi sperimentazione” ammette deroghe sostanziali rispetto ai canoni della

sperimentazione classica in relazione al controllo dei soggetti, delle variabili e della situazione;

spesso il ricercatore approfitta di eventi naturali o di condizioni fortuite che consentono una

maggiore aderenza alle condizioni di vita reali. Negli studi sul campo, l’impianto correlazionale si

combina con l’osservazione naturalistica e con la sperimentazione su gruppi di soggetti osservati in

condizione prestabilite. Analogamente, l’osservazione sistematica in ambiente naturale fornisce un

apporto insostituibile nella fase di formulazione delle ipotesi teoriche. Infine, la sperimentazione su

singoli soggetti rappresenta un’estensione e una combinazione tra il metodo sperimentale e quello

clinico, e testimonia il rinnovato interesse dei ricercatori per tutti quei metodi che consentono di

analizzare la complessità della personalità attraverso lo studio del caso individuale, dei documenti

autobiografici e delle storie di vita.

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3. Livelli di analisi

Il concetto di “livello di analisi” si riferisce essenzialmente alla diversità di prospettiva con cui

possiamo guardare alla psicologia della personalità, nonché alla diversità di ampiezza,

articolazione ed organizzazione dei fenomeni indagati. Dunque, il livello di analisi stabilisce la

portata dei costrutti teorici in relazione ad una determinata area di indagine e delimita l’ampiezza

delle connessioni, delle inferenze, delle generalizzazioni che è possibile trarre dai risultati.

La personalità prefigura diversi livelli a seconda che si assuma la prospettiva dell’osservatore

o quella del soggetto osservato. In primo luogo, il senso comune corrisponde a due diversi livelli di

analisi. Da un lato esso rappresenta ciò che si è venuto a cristallizzare in forma di saggezza

collettiva: ovvero, le idee che la maggior parte delle persone condividono riguardo a valori o

norme sociali. Dall’altro lato, esso può essere informativo rispetto a particolari modalità di

funzionamento della nostra mente: in tal caso, il ricercatore studia i processi del senso comune –

ovvero, come la gente arriva a condividere o ad abbandonare certe idee e convinzioni. Nel caso

della personalità, è quindi essenziale distinguere il livello di analisi dei prodotti della psicologia

ingenua, ad esempio le teorie implicite della personalità, dal livello di analisi dei processi che

possono spiegare la formazione di questi prodotti (il modo in cui le persone organizzano le

informazioni relative ad un altro individuo in forma di percezioni, giudizi e stereotipi).

L’analisi dei processi a sua volta si articola su diversi livelli, a seconda dell’ampiezza delle

componenti che vengono esaminati: possiamo infatti focalizzarci su fenomeni “macroscopici”

oppure su fenomeni “microscopici”. In generale, processi come la motivazione o il pensiero

vengono indagati, nell’ambito della psicologia della personalità, ad un livello diverso da come

esse vengono analizzate dallo psicologo sperimentale (che tende a scomporli nelle componenti

cognitive ed affettive più elementari) o dallo psicofisiologo. Il concetto di “motivazione” è in

questo senso paradigmatico. A livello macroscopico, l’analisi della motivazione mira ad indagare

le mete che una persona si prefigge e la rete di credenze, desideri e valori che fanno da sostegno

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alle azioni dirette al loro raggiungimento. A livello microscopico, invece, l’analisi mira a identificare

i processi emotivi e cognitivi che stanno alla base della motivazione: mirerà quindi a descrivere il

modo in cui il comportamento motivato deriva da un intreccio di processi di attrazione e

repulsione, di attenzione, di percezione e di memoria.

Nello studio della personalità, la necessità di spiegare ciò che è individuale e unico di una

persona si incrocia necessariamente con la necessità di ricondurre anche l’unicità a regole

generali e universali. Ogni individuo è infatti il risultato di effetti specifici e di condizioni particolari di

leggi generali; in altre parole, ogni personalità è un modo singolare in cui si possono assemblare

elementi comuni secondo regole universali. È chiaro, quindi, che col termine “personalità”

possiamo riferirci alle caratteristiche uniche di un individuo o alle caratteristiche comuni a più

individui. La psicologia della personalità diventa perciò il luogo più adeguato per risolvere la

tradizionale controversia tra metodi idiografici (i quali enfatizzano gli aspetti strettamente individuali

di ogni persona, attraverso l’analisi delle storie di vita) e metodi nomotetici (i quali sono

maggiormente interessati alla formulazione e alla verifica di ipotesi e leggi universali).

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Bibliografia

 Caprara, G. V., & Gennaro, A. (1994). Psicologia della personalità. Bologna: Il

Mulino.

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