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DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO

STORIA
Il primo modello di sistema di d.i.p risale all'epoca romana, il c.d ius gentium, quel diritto
destinato a regolare i rapporti tra peregrini di città diverse e peregrini e romani.
In questo periodo, con l'estensione della cittadinanza romana a tutta la popolazione,
non esistevano problemi di conflitto di legge, perchè il diritto romano si applicava a tutta
la popolazione.

Con la caduta dell'impero romano e la costituzione dei regni barbarici le cose sono
cambiate. I re barbarici, infatti, hanno adottato la regola del "ciascuno legi sua vivit",
cioè si applicava la legge del gruppo etnico di appartenenza del soggetto, quindi si
affermò il principio della personalità.

Con la nascita del Sacro Romano Impero, il principio della personalità del diritto venne
sostituito con il principio di territorialità, secondo cui si applicava la legge del territorio a
prescindere dalla nazionalità del soggetto.
Cioè, la legge emanata dall'autorità territoriale si applicava, all'interno di quel territorio,
a tutti gli abitanti, a prescindere dalla loro nazionalità.
Per quanto riguarda, invece, i conflitti trasnazionali si applicava la lex fori, cioè le
autorità giudicavano secondo le proprie leggi le controversie che sorgevano nella
propria circoscrizione.

Con l'abbandono del sistema feudale, la nascita delle citta e lo sviluppo delle relazioni
commerciali, crebbero anche i conflitti di legge e di giurisdizione.
Si assistette, così, alla creazione di veri e propri sistemi di d.i.p, alcuni emanati dalle
autorità centrali (stato) o locali (città), altri di elaborazione dottrinale o
giurisprudenziale.

In realtà, il vero e proprio d.i.p si sviluppo all'inizio del secondo millennio, grazie alla
riscoperta del diritto romano, che venne visto come ius univerale, da parte dei giuristi
della scuola di Bologna e della scuola dei commentatori.
Nonostante ciò, però, il d.i.p non era l'unico diritto, ma coesisteva con i diritti degli
ordinamenti particolari (soprattutto entrava spesso in conflitto con gli statuti nell'Italia
dei comuni e con le consuetudini in Francia).
Infatti, poco dopo venne visto, non più come diritto unico, ma come ius commune, cioè
come un elemento di un sistema di fondi che coesisteva e si coordinava con i diritti degli
ordinamenti particolari.
Per molto tempo si è discusso circa il carattere del d.i.p, se avesse carattere universale o
particolare, se avesse una vocazione internazionalistica o nazionalista, ecc.
Per molti anni è prevalsa la teoria universalistica e i maggiori sostenitori di questa teoria
furono:
* Savigny --> che elaborò il principio dell'armonia delle decisioni. Cioè, secondo Savigny,
lo Stato non ha nessun interesse a regolare fattispecie che presentano degli elementi di
collegamento significativi con altri ordinamenti. Inoltre, la scelta della legge applicabile a
quella fattispecie deve essere fatta, non in funzione di una sorta di rispetto nei confronti
dell'autorità che ha emanato quella norma, ma in funzione della lagge più conveniente
per quella fattispecie, cioè si deve tenere conto degli interessi privati.
Infatti, la parole chiave dell'elaborato di Savigny è "conflitto di interessi", cioè c'è un
conflitto di interessi tra più ordinamenti circa la regolamentazione di una fattispecie
privatistica.
* Mancini --> sostenne il principio dell'applicazione della legge dello stato di cui la
persona è cittadina.
Mancini era un grande sostenitore delle teorie personalistiche, cioè riteneva che
nell'individuare la legge applicabile è opportuo tenere conto dei criteri personali fondati
sulla nazionalità, e non dei criteri territoriali (come il luogo dove è situato il bene
oggetto della controversia).
Mancini diceva che l'elemento fondamentale del d.i.p è la nazionalità e sostiene
l'applicazione della legge della cittadinanza per lo statuto personale, che non riguardava
solo la condizione della persona, ma era esteso anche ai rapporti di famiglia e alle
successioni, mentre rimette alla scelta delle parti la legge applicabile alla materia dei
beni e delle obbligazioni.

DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO


Il d.i.p è cosa diversa dal d.i.p.
Il d.i.p disciplina i rapporti tra stati e organizzazioni internazionali, l'individuo è
irrilevante.
Il d.i.p è una disciplina giuridica autonoma, è un insieme di norme interne che
disciplinano fattispecie privatistiche che presentano:
- degli elementi di estraneità rispetto all'ordinamento del foro. In particolare,
l'estraneità va valutata rispetto agli elementi costitutivi dello stato: popolazione,
territorio e sovranità;
- degli elementi di collegamento con altri ordinamenti stranieri.

Questi elementi di collegamento o di estraneità possono essere:


* la nazionalità di una delle parti;
* il luogo dove è situato il bene oggetto della controversia;
* una relazione tra cittadini localizzata all'estero (es matrimonio tra cittadini italiani
celebrato all'estero), ecc.
* la volontà delle parti --> in determinate materie, il d.i.p riconosce alle parti la
possibilità di scegliere il giudice a cui sottoporre la controversia e la legge applicabile.
Quindi, molte volte le situazioni giuridiche vengono localizzate all'estero volutamente, al
fine di ottenere degli effetti che nell'ordinamento interno non si otterrebbero.
Quindi, se si tratta di una fattispecie interamente localizzata nell'ordinamento interno
ma le parti decidono di applicare una legge straniere, quella fattispecie sarà qualificata
come transnazionale.
Queste controversie che presentano elementi di estraneità possono anche essere
chiamate controversie transanazionali, proprio perchè non riguardano gli stati ma più
persone.

Viene chiamato diritto internazionale "privato" proprio perchè si occupa di quelle


materie che rientrano nell'ambito del diritto privato (successioni, obbligazioni, contratti,
matrimonio, ecc).

Il d.i.p. ovviamente, ha ragione di esistere solo se l'ordinamento interno riconosce allo


straniero la possibilità di compiere atti giuridici; se l'ordinamento non riconosce questa
possibilità allo straniero, il d.i.p non ha nessun motivo di esistere o sarebbe fortemente
limitato.

Le fonti giuridiche del d.i.p sono le fonti dell'ordinamento di riferimento (nel nostro caso
quello italiano) quindi le norme variano da paese a paese. Una certa omogeneità, però,
è garantita dal fatto che molte norme sono contenute in trattati internazionali e molte in
atti del diritto dell'UE.
Quindi, il d.i.p è il diritto interno, è un insieme di norme interne che sono volte a
disciplinare fattispecie privatistiche che presentano degli elementi di estraneità con il
proprio ordinamento.

Le norme del d.i.p. hanno un carattere meramente strumentale, cioè sono volte, non a
disciplinare una determinata fattispecie, ma semplicemente a individuare la legge
applicabile a quella fattispecie. Infatti, vengono chiamate:
- norme di scelta di legge;
- norme di conflitto --> perchè risolvono un conflitto tra due o più ordinamenti
apparentemente in contrasto tra loro (l'ordinamento del foro e quello con cui la
fattispecie è collegato);
- norme neutre --> perchè non dettano una disciplina, ma si limitano a identificare la
legge applicabile.

NORME D.I.P
Le norme di d.i.p sono riconducibili a 4 diverse tipologie:
-->fattispecie transnazionali e possono essere:
1) norme di d.i.p materiale --> quelle norme che non si limitano a individuare la legge
applicabile, ma disciplinano direttamente quella fattispecie.
Nel nostro sistema le norme a carattere materiale sono piuttosto poche, la maggior
parte delle norme della l. 218/95 sono norme di conflitto.
Le norme materiali sono soprattutto quelle che regolano il commercio internazionale e
vengono chiamate lex mercatoria.
Le norme di diritto materiale hanno precedenza rispetto le norme di conflitto, perchè
l'esistenza di una disciplina ad hoc previene il conflitto di leggi.

2) norme di conflitto --> norme che dettano dei criteri (criteri di collegamento) al fine di
individuare la legge applicabile a quella fattispecie transnazionale.

Vi sono anche le norme di conflitto c.d unilaterali, cioè quelle norme che individuano
come legge applicabile a una determinata fattispecie transnazionale la legge italiana,
senza ricorrere ai criteri di collegamento.
Es: art 25 che sancisce l'applicabilità della legge italiana a tutte le società che hanno in
Italia la loro sede dell'amministrazione o l'oggetto principale dell'impresa.

- norme sulla competenza giurisdizionale --> norme che hanno il compito di stabilire in
quali casi il giudice è competente a pronunciarsi in relazione a fattispecie che
presentano degli elementi di estraneità rispetto all'ordinamento del foro.

- norme sul riconoscimento --> norme che stabiliscono se e a quali condizioni gli atti
emanati da un autorità possono avere efficacia anche in un ordinamento diverso
rispetto a quello di appartenenza dell'autorità che li ha emanati.
- regole di funzionamento --> norme accessorie rispetto alle norme di conflitto, sono
norme volte a stabilire i limiti, le condizioni necessarie affinchè un giudice possa
applicare il diritto straniero designato dalla norma di conflitto interna.
Le regole di funzionamento stabiliscono:
* quando la norma di conflitto interna designa una norma di diritto straniera sostanziale
o di conflitto, le quali, a loro volta, possono richiamare un altra legge;
* quando il diritto straniero non si può applicare perchè contrasta con i principi
fondamentali dell'ordinamento del foro;
* come deve essere applicata e interpretata la legge straniera, ecc.
Le regole di funzionamento trovano applicazione solo quando il diritto straniero è
designato da una norma di conflitto interna e non quando è designato da una norma di
conflitto di fonte comunitaria o internazionale, perchè i regolamenti dell'UE e le
convenzioni internazionali hanno la caratteristica di applicarsi in modo uguale a tutti gli
stati.

ELEMENTO DI ESTRANEITA'
Gli elementi di estraneità si atteggiano in modo diverso a seconda delle diverse tipologie
di norma di d.i.p. Non tutte, infatti, contengono nella fattispecie l'indicazione specifica
dell'elemento di estraneità (es norme di conflitto, norme sulla giurisdizione) e quando
ciò non avviene la norma potrà essere applicata in presenza di qualunque elemento di
estraneità.
Contengono, invece, un elemento specifico di estraneità le norme materiali e le norme
sul riconoscimento.

Bisogna distinguere:
- elemento di estraneità --> è un concetto non giuridico, ma meramente reale, fattuale;
- elemento di collegamento --> è un concetto giuridico, frutto della scelta del legislatore;
cioè è un dato che il legislatore ritiene rilevante ai fini dell'individuazione della legge
applicabile.

Normalmente gli elementi di estraneità coincidono con gli elementi di collegamento (ciò
che è elemento di estraneità è anche elemento di collegamento con l'ordinamento
straniero) questo, però, non sempre succede, talvolta possono anche non coincidere.

Es: Tizio proprietario di nazionalità francese i cui beni sono localizzati in Italia.
L'art 51 "POSSESSO E DIRITTI REALI" sancisce che: "il possesso, la proprietà e gli altri
diritti reali sui beni mobili e immobili sono regolati dalla legge dello stato in cui i beni
si trovano".
Quindi, in questo caso l'elemento di estraneità è la nazionalità francese, il criterio di
collegamento è il luogo in cui sono situati i beni. (in questo caso non coincidono)

Es: Art 20 sancisce che: " la capacità giuridica delle persone fisiche è regolata dalla loro
legge nazionale".
In questo caso l'elemento di estraneità e il criterio di collegamento coincidono, è la
nazionalità della persona della cui capacità giuridica si tratta.

CRITERI DI COLLEGAMENTO
Il criterio di collegamento dice al giudice in quale ordinamento andare a prendere la
norma applicabile a quella fattispecie che presenta elementi di estraneità.
Il giudice, una volta individuato l'ordinamento straniero competente, deve individuare la
legge applicabile e poi deve comportarsi come giudice naturale di quella controversia
dinanzi a lui pendente, cioè deve applicare i criteri ermeneutici propri dell'ordinamento
individuato.

I criteri di collegamento possono essere:


- personali --> es. la cittadinanza;
- territoriali --> bisogna distinguere tra:
* territoriali soggettivi --> quando si riferisce alla localizzazione territoriale del soggetto;
* territoriali oggettivi --> quando si riferisce al luogo dove è situato il bene oggetto della
controversia.
- volontà delle parti --> criterio sui generis che rimanda direttamente all'ordinamento
individuato dalle parti, senza ricorrere ai criteri di collegamento personali o territoriali.

Inoltre, possono essere:


- criteri di fatto --> che attengono ad elementi esistenti in natura (luogo dove è situata la
cosa);
- criteri giuridici --> che attengono concetti giuridici (domicilio, cittadinanza, ecc).

Quando l'elemento di estraneità coincide con quello di collegamento, si applica la legge


straniera designata dal criterio di collegamento; quando, invece, non coincide la norma
di conflitto designa la legge italiana.
Normalmente la norma di conflitto individua un criterio di collegamento per ogni
fattispecie, ma non sempre è così, talvolta, può individuare più elementi di
collegamento per la stessa fattispecie.
Si avrà, in questo caso, UN CONCORSO DI CRITERI DI COLLEGAMENTO.
Bisogna distinguere:
- concorso alternativo --> quando il legislatore mette sullo stesso piano tutti i criteri di
collegamento e il giudice dovrà scegliere quello che più di tutti persegue lo scopo preso
di mira dal legislatore.
Es. filiazione.
Il legislatore dice che per individuare la legge applicabile alla filiazione si deve guardare:
1. alla nazionalità del figlio al momento della nascita;
2. alla nazionalità dei genitori;
3. al luogo in cui ha compiuto 18 anni.
Questi 3 criteri sono posti sullo stesso piano, il giudice dovrà scegliere quello che più di
tutti persegue l'obiettivo che il legislatore ha in mente.
- concorso successivo --> quando il legislatore individua un criterio principale e 2 o più
criteri successivi (subordinati) che operano se il primo non risulta efficiente.

Tra i criteri di collegamento quello più importante è quello giuridico e personale della
cittadinanza.
L'acquisto della cittadinanza, normalmente, segue due criteri:
- ius soli --> secondo cui si acquista la cittadinanza di uno stato per il semplice fatto di
essere nati sul suo territorio, indipendentemente della cittadinanza dei genitori.
- ius sanguinis --> secondo cui si acquista la cittadinanza del genitore ,
indipendetemente del luogo di nascita.

In Italia, la l. 91/1992 prevede quattro modi di acquisto della cittadinanza:


1. nascita da genitori cittadini e fatti equiparati;
2. iuris communicatio --> trasmissione della cittadinanza da un menbro della famiglia ad
un altro (es per matrimonio o adozione);
3. beneficio di legge --> es. avere prestato servizio militare nelle forze armate in Italiane
o l'assunzione di un pubblico impiego alle dipendenze dello stato italiano, ecc;
4. naturalizzazione --> cioè acquisizione della cittadinanza al verificarsi di determinati
presupposti (ad es la residenza in Italia per un determinato periodo di tempo).

L'art 19 della l. 218/95 disciplina le ipotesi di persone apolide (non hanno la


cittadinanza) o che hanno più cittadinanze.
L'art 19 dice che: "nel caso in cui la legge richiama la legge nazionale di una persona e
si tratta di una persona apolide o rifugiata, si applica la legge dello stato del suo
domicilio o, in mancanza, la legge dello stato di residenza".
"Se la persona ha più cittadinanze, si applica la legge dello stato di appartenza con il
quale ha il collegamento più significativo. Se tra le cittadinanze vi è quella italiana,
questa prevale".
Questa seconda regola deve ritenersi ridimensionata a seguito di alcune pronunce della
Corte di Giustizia dell'UE, le quali hanno stabilito che il principio della prevalenza della
legge del foro è in contrasto con i principi comunitari di non discriminazione in base alla
nazionalità.

I metodi utilizzati per la scelta della legge sono essenzialmente 3:


- metodo della localizzazione spaziale --> quello più utilizzato che consiste
nell'individuare una circostanza idonea a localizzare la fattispecie all'interno di un
ordinamento;
- richiamo dell'ordinamento competente in blocco;
- metodo delle considerazioni materiali --> cioè viene designato l'ordinamento che più
di tutti può realizzare l'obiettivo preso di mira dal legislatore.

FONTI DEL D.I.P.


Inizialmente, prima della riforma avutasi con la l. 218, si aveva un sistema di fonti
piuttosto frammentato e mal organizzato: le norme di diritto applicabile erano
contenute nelle disposizioni preliminari al c.c, le norme sulla giurisdizione e sul
riconoscimento nel cpc.

Oggi, con la riforma avvenuta nel 1995, si ha un sistema ben organizzato, infatti, tale
legge, contiene una serie di norme che disciplinano tutti gli aspetti sostanziali e
processuali dei rapporti privatistici che presentano degli elementi di estraneità con il
proprio ordinamento.

La legge 218 è stata modificata con il decreto legislativo 2016 che istituì le unioni civili
anche nel caso di persone omessuali.

Vi sono 3 livelli di fonti:


1. FONTE INTERNA --> la principale è la legge 218 del 1995;
2. FONTE INTERNAZIONALE --> trattati internazionali che hanno come scopo la
regolamentazione uniforme delle norme di conflitto;
3. FONTE COMUNUTARIA --> gli atti del diritto dell'UE (regolamenti, direttive).

1. FONTI INTERNE
La legge 218 è la fonte principale e costa di 74 art che sono divisi in 5 titoli:
- I titolo --> costituito dall'art 1 che definisce l'ambito di applicazione di questa legge e
dall'art 2 che definisce il limite di applicazione di questa legge.
L'art 2, infatti, dice che: " tale legge non pregiudica le convenzioni internazionali".
Significa che, nel caso di contrasto prevale sempre la convenzione di diritto uniforme e
non è necessario che il giudice sollevi questione di legittimità costituzionale.
(Questo è importante perchè la prevalenza dei trattati diversi dal diritto dell'UE è
garantita soltanto per via accentrata, cioè attraverso il giudizio della Corte Cost).

- II titolo --> costituito da una serie di art che contengono delle norme volte a
disciplinare il processo civile internazionale, cioè quel processo civile che ha ad oggetto
fatti o atti che presentano degli elementi di estraneità.
Importante a riguardo è l'art 12 che sancisce: "al processo civile si applica la legge
processuale italiana". Significa che il processo civile rientra nell'ambito del diritto
internazionale pubblico, cioè ha carattere territoriale.

- III titolo --> è il più importante perchè contiene le vere e proprie norme di conflitto,
cioè quelle norme che individuano la legge applicabile.

- IV titolo --> costituito da una serie di articoli che contengono delle norme che hanno il
compito di individuare le modalità, le procedure necessarie affinchè un atto o
provvedimento straniero possa considerarsi efficace.

- V titolo --> contiene una serie di disposizioni transitorie e finali.

Oltre alla legge 218/95 vi sono altre fonti interne del d.i.p italiano come:
* la legge 184/1983 --> legge sull'adozione internazionale
* la legge sul divorzio
* il codice di navigazione --> è una fonte ordinaria ma speciale quindi in caso di conflitto
prevale.
Quindi, le fonti del d.i.p sono fonti interne, quindi variano da paese a paese. Una certa
omogeneità, però, è garantita dal fatto che molte norme sono contenute in trattati
internazionali e in atti del diritto dell'UE.

2. FONTI INTERNAZIONALI (CONV. DIR. UNIFORME)


Gli stati, si sono dotati, in via pattizia, di un sistema uniforme di norme di conflitto.
Questi trattati hanno come scopo la regolamentazione uniforme delle norme di conflitto
e vengono chiamati convenzioni di diritto uniforme.
RUOLO —> Queste convenzioni possono:
* creare norme uniformi sulla giurisdizione o sul riconoscimento;
* creare norme uniformi di conflitto;
* creare norme uniformi di carattere materiale.

Tra le convenzioni di diritto uniforme più importanti ricodiamo:


- la Conv di Bruxelles che riguarda la competenza giurisdizionale;
- la Conve di Roma che riguarda la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.

Cosi come sancisce l'art 2 della legge 218, in caso di contrasto prevale la convenzione
internazionale. Inoltre, sempre l'art 2 sancisce che le norme contenute nella
convenzione devono essere interpretate tenendo conto del carattere internazionale e
dell'esigenza di uniformità. Cioè, il giudice deve applicare i criteri ermeneutici stabili
nella convenzione e non quelli del proprio ordinamento.

Si dice che le convenzioni di diritto uniforme hanno avuto vita breve perché sono stati
assorbiti, sostituiti dai regolamenti dell'UE.
ES. convenzione di Roma sostituita dal regolamento UE Roma I.

3. FONTI COMUNITARIE
Alcune norme di d.i.p sono contenute anche negli atti del diritto dell'UE e quest'ultimi
prevalgono rispetto alle norme interne in virtù del principio di supremazia del diritto
comunitario.

In realtà, tutte le norme interne che disciplinavano le stesse materie che sono
disciplinate a livello comunitario sono state eliminate, quindi questa contrasto non viene
ad esistere.
Tutti i regolamenti contenenti norme di conflitto sono erga omnes, cioè si applicano
anche se la fattispecie presenta dei collegamenti con Stati non facenti parte dell'UE.

Es di regolamenti UE:
- reg. Bruxelles I bis;
- reg. Bruxelles II bis;
- reg. Rima III, ecc.

L'importanza del d.i.p cresce in modo proporzionale all'aumentare della mobilità delle
relazioni umane. La mobilità delle relazioni umane comporta l'esigenza di fare circolare i
valori giuridici.
Il sistema di d.i.p, infatti, prevede un apertura ai valori giuridici stranieri, perchè si
ritiene che nessuno stato ha interesse a regolamentare delle fattispecie che presentano
degli elementi di collegamento significativi con un altro ordinamento.
Questa apertura ai valori giuridici stranieri avviene:
* attraverso il richiamo a leggi stranieri per la disciplina di fattispecie che presentano
degli elementi di collegamento significativi con altri ordinamenti;
* attraverso il riconoscimento dell'efficacia degli atti e provvedimenti stranieri, purchè
rispettano l'ordine pubblico e le regole del giusto processo;
* attraverso il diniego della competenza giurisdizionale del giudice interno a disciplinare
fattispecie che presentano degli elementi di collegamento con altri ordinamenti.

Inoltre, il sistema di d.i.p garantisce, non solo la penetrazione dei valori giuridici
stranieri, ma garantisce anche l'applicazione dei valori giuridici italiani a fattispecie che
presentano degli elementi di estraneità con il nostro ordinamento. Questo avviene:
* attraverso il richiamo di leggi italiane o il riconoscimento della competenza
giurisdizionale a un giudice interno per la disciplina di fattispecie che presentano il
contatto più significativo con il nostro ordinamento;
* attraverso meccanismi di chiusura dell'ordinamento giuridico interno, volto ad:
1) evitare la penetrazione di valori giuridici che contrastano con l'ordine pubblico
interno;
2) garantire l'applicazione di alcune norme interne (norme di applicazione necessaria)
che si impongono rispetto ad altre in virtà del loro contenuto e scopo.

La possibilità di applicare il diritto straniero è limitata solo al settore privatistico; il diritto


pubblico ha carattere territoriale, cioè tutti gli stati, tendenzialmente, disciplinano le
situazioni di natura pubblica localizzate nel proprio territorio con norme interne, e
pretendono che queste norme interne si applichino anche quando le fattispecie
presentano dei collegamenti con altri ordinamenti.

LA DISCIPLINA DELLO STRANIERO


Riguardo al trattamento dello straniero, bisogna fare una distinzione tra il nostro
ordinamento e quello degli altri (es Francia e Spagna).
L'ordinamento francese e spagnolo, ad es, fanno rientare la disciplina dello straniero
nell'ambito del d.i.p.
L'ordinamento italiano, invece, non fa rientrare la disciplina dello straniero nell'ambito
del d.i.p, ma è prevista in alcune leggi speciali, come:
- il T.U dell'immigrazione del 1988;
- l'art 16 delle disp. preliminari del cc.
L'art 16 prevede il principio di reciprocità, principio molto importante secondo cui lo
straniero gode dei diritti civili di cui gode il cittadino solo se lo stato di appartenenza
dello straniero riconosce gli stessi diritti al cittadino italiano.
Questo principio è volto:
* sia a garantire la tutela degli interessi degli italiani all'esteri;
*sia ad indurre tutti quegli stati che prevedono ancora delle discriminazioni nei confronti
degli stranieri, a modificare la loro legislazione.

Inizialmente, l'onere di dimostrare questa condizione di reciprocità era posto a capo del
soggetto che invocava questa condizione, oggi, invece, è applicabile d'ufficio.

Questo principio è stato messo in discussione;


* dai principi costituzionali --> che vietano l'applicazione di questo principio nei
confronti dei diritti inviolabili (diritto alla salute, alla libertà personale, ecc);
* dal T.U dell'immigrazione --> che prevede che gli stranieri che risiedono regolarmente
in Italia godono dei diritti civili, a prescindere dalla sussistenza della condizione di
reciprocità;
* dagli atti del diritto dell'UE --> che vieta ogni forma di discriminazione fondata sulla
nazionalità.
Quindi, oggi, tale principio trova applicazione:
- solo per quei diritti che non sono inviolabili;
- al di fuori dell'ambito di applicazione dei trattati europei;
- nei confronti degli stranieri che non risiedono regolamente in Italia.
LA QUALIFICAZIONE
Il primo problema che si pone il giudice è quello di qualificare la fattispecie.
La qualificazione è un operazione con cui il giudice provvede a sussumere la fattispecie
concreta in quella astratta. Cioè il giudice deve ricondurre la fattispecie in una
determinata categoria giuridica.
(La qualificazione è un operazione che avviene preliminarmente all'interpretazione)

Si è iniziato a discutere circa il problema della qualificazione a partire da un famoso caso


giurisprudenziale dibattuto presso la Corte di appello di Algeri.
Il caso riguardava due coniugi originari di Malta poi trasferitisi in Algeria.
Il marito muore e al momento della morte aveva la cittadinanza algerina.
La donna pretendeva di ricevere una parte dei beni del marito, allora si è discusso se la
pretesa della donna doveva essere qualificata come:
- una vicenda successoria, cosi come prevedeva il diritto maltese;
- attinente ai rapporti patrimoniali tra coniugi, così come prevedeva il diritto francese
applicabile in Algeria.
La Corte di Appello di Algeri qualificò la fattispecie (in base alla lex fori) come attinente
ai rapporti patrimoniali tra coniugi con conseguente applicazione del diritto maltese
perchè quest'ultimo richiamato dalla norma di conflitto francese che prevedeva come
criterio di collegamento la nazionalità comune dei coniugi al momento del matrimonio.
I giudici maltesi, invece, avrebbero qualificato la vicenda come successoria con
conseguente applicazione della legge francese richiamata dalla norma di conflitto
maltese che prevedeva come criterio di collegamento la nazionalità del defunto al
momento della morte.

Questo per dire come sia importante l'operazione di qualificazione che deve svolgere il
giudice:
- prima per individuare la norma di conflitto;
- poi per individuare la norma regolatrice della fattispecie.

Attualmente esistono diverse teorie circa l'individuazione dell'ordinamento dal quale


trarre i principi per la qualificazione:
- teoria risalente a Vitti --> ritiene che la qualificazione deve essere compiuta in base alla
lex fori, cioè nell'ambito giuridico in cui opera il giudice. Questa è la tesi maggioritaria.
- teoria risalente a Pacchioni --> ritiene che la qualificazione deve essere compiuta in
base all'ordinamento competente a regolare la fattispecie (lex causae). Questa teoria,
però, non convince.
L'errata qualificazione è censurata come errore di diritto quindi è possibile proporre
ricorso in Cassazione.

DEPECAGE
Il depecage consiste in una particolare tecnica di redazione delle norme ci conflitto.
Depecage significa ‘frazionamento’ e consiste nel dedicare norme diverse ad uno stesso
istituto. Cioè una fattispecie viene divisa in più aspetti giuridicamente rilevanti e ognuna
può essere sottoposta ad un ordinamento diverso.
FRAZIONAMENTO: spezzettare una fattispecie per studiare tutti gli aspetti fondamentali
che la compongono, è utilizzato in via di applicazione e interpretazione.

QUESTIONI PRELIMINARI
Si tratta di quelle questioni che sono priotitarie rispetto alle questioni di merito, cioè la
soluzione della questione preliminare è logicamente necessaria affinchè si possa
procedere alla soluzione di quella di merito.

Es. controversa legata alla successione.


La questione preliminare è l'individuazione dello status di figlio, che è necessaria per
determinare la qualità di erede.

Sono due i problemi attinenti le questioni preliminari:


1. Chi è il giudice competente a risolvere la questione preliminare --> L'art 6 della legge
218 attribuisce il potere di pronunciarsi circa la questione preliminare al giudice
competente a pronunciarsi sulla quella questione di merito, anche se la questione
preliminare non rientra nella sua competenza giurisdizionale.

2. Qual'è la legge applicabile alla questione preliminare --> Sono state formulate 4 tesi
diverse:
- teoria legge forista --> secondo cui alla questione preliminare si deve applicare la
legge materiale del foro, cioè la legge interna.
Teoria che si predilige in Italia.
- teoria disgiunta --> secondo cui bisogna risolvere le due questioni (preliminare e di
merito) come se fossere indipendente l'una dall'altra. La questione preliminare è
disciplinata dalla norma di conflitto che la contempla.
Teoria usata soprattutto dall'ordinamento tedesco.
- teoria dell'assorbimento --> secondo cui alla questione preliminare si deve applicare la
stessa legge materiale applicabile alla questione principale .
Teoria applicata soprattutto in Francia.
- teoria congiunta --> secondo cui alla questione preliminare non si deve applicare la
legge materiale applicabile alla questione di merito, ma si deve applicare l'ordinamento
straniero che regola la questione principale nel suo complesso.

IL RINVIO
Il rinvio è quel meccanismo attraverso il quale la norma di d.i.p dispone l'applicazione di
una norma straniera.

Es. la norma di conflitto dice che la successione mortis causa è regolata dalla legge di
nazionalità del de cuius al momento della morte. L'ordinamento italiano rinuncia a
disciplinare quella fattispecie e dispone con un rinvio l'applicazione di una norma
straniera.

Il rinvio è globale, cioè non si rinvia alla legge straniere, ma si rinvia all'ordinamento
straniero nel suo complesso (ai suoi criteri ermeneutici, ai suoi principi costituzionali,
alle sue norme di d.i.p, ecc) non è un rinvio selettivo.

Viene detto anche rinvio di produzione, cioè si attribuisce valore di precetto normativo
ad una norma che sarebbe soltanto un fatto.

La ratio del rinvio è di fare in modo che l'ordinamento italiano non regoli rapporti che
non ha interesse a regolare, ma che ogni rapporto privatistico venga regolato
dall'ordinamento che ha effettivamente interesse a regolarlo.

L'errore di individuazione dell'ordinamento straniero applicabile è errore di diritto,


quindi censurabile in Cassazione.
La disciplina generale del rinvio è contenuta negli art 13 -> 20 della legge 218/95.

Il rinvio può assumere 2 configurazioni:


- RINVIO INDIETRO --> si ha quando l'ordinamento italiano rinvia ad un altro
ordinamento (es tedesco) e questo rinvia all'ordinamento richiamante per primo (quello
italiano) cioè il caso ritorna indietro.
In questo caso il giudice italiano applicherà, non più l'ordinamento richiamato nel suo
complesso, ma opererà un richiamo selettivo, cioè applicherà solo le norme
dell'ordinamento straniero materiali, cioè funzionali alla soluzione del caso di specie.
L'art 13 afferma che: "il rinvio indietro è operativo: se il diritto di tale stato lo accetta e
se si tratta di rinvio alla legge italiana".

Es. sentenza del tribunale di Pordenone del 2002.


Il giudice ha applicato la legge italiana in un caso di interdizione di un cittadino straniero
domiciliato in Italia, la cui legge nazionale considera competente la legge del domicilio.

- RINVIO ALTROVE --> si ha quando l'ordinamento di riferimento rinvia con norme di


conflitto a un ordinamento straniero, il quale applicando a sua volta le proprie norme di
conflitto rinvia ad un terzo ordinamento sempre per la medesima fattispecie.

Es. Successione del cittadino venezuelano morto in Italia i cui beni si trovano in Algeria.
La successione è regolata dalla legge nazionale del de cuius al momento della morte
(quindi Venezuela).
Ma l'ordinamento venezuelano stabilisce che la legge applicabile alla successione è
quella dello stato in cui si trovano i beni, quindi l'Algeria.
Può succedere però che il d.i.p algerino, per es, stabilisce che la successione è regolata
dalla legge di nazionalità degli eredi legittimari (per es argentini).

In questo caso l'art 13 dice che il rinvio altrove è ammesso solo se definitivo, cioè solo se
si ferma al terzo stato coinvolto (Algeria).
In caso contrario, cioè se non si ferma al terzo stato, si avrà un ritorno all'ordinamento
richiamato per primo (venezuelano).

L'art 13 trova un bilanciamento tra:


- la logica che chiamiamo legge forista, cioè se il rinvio non funziona applichiamo subito
la lex fori, perchè non possiamo rischiare il non liquet;
- l'altra frangia che dice che bisogna guardare l'armonia delle soluzioni che è volta
all'apertura dell'ordinamento italiano a valori giuridici stranieri.

Il 2 comma dell'art 13 stabilisce i casi di esclusione del rinvio:


- nei casi in cui è ammessa la scelta di legge;
- in materia di forma degli atti;
- in materia di obbligazioni non contrattuali.

Il 3 comma, invece, stabilisce che il rinvio altrove e indietro non sono ammessi in alcune
ipotesi particolarmente sensibili, es la filiazione, in cui la protezione giuridica del minore
prevale rispetto a qualsiasi meccanismo.
In materia di filiazione, riconoscimento del figlio il rinvio è ammesso solo se consente lo
stabilimento della filiazione.
Si tratta del c.d rinvio di favore, cioè il rinvio è ammissibile se nessuno dei collegamenti
previsti dagli articoli garantisce direttamente il risultato voluto e tra tutti i rinvii è da
preferire quello che porta al risultato più vantaggioso.

Il 4 comma sancisce che: "quando la legge dichiara applicabile una convenzione


internazionale si segue sempre, in materia di rinvio, la soluzione adottata dalla
convenzione".

Una volta operata la qualificazione della fattispecie concreta e individuata la norma di


conflitto del foro applicabile, se si tratta di una materia per cui è previsto il rinvio,
occorre procedere a un altra riqualificazione della fattispecie in base ai principi
dell'ordinamento straniero designato. Si parla in questo caso di rinvio di qualificazione.

L'art 15 della legge 218 dice che: "la legge straniera è applicata secondo i propri criteri
di interpretazione e applicazione nel tempo".
Cioè quando il giudice italiano richiama la norma starniera, dovrà leggere la norma come
se fosse il giudice straniero, cioè il giudice italiano dovrebbe applicare la legge che
avrebbe applicato il giudice del paese richiamato dalle norme di conflitto del foro.
Il giudice dovrà guardare anche ad eventuali problemi di costituzionalità di quella norma
straniera con i principi costituzionali propri di quell'ordinamento richiamato:
- operando direttamente il controllo --> se il paese di cui si tratta prevede un controllo di
costituzionalità diffuso;
- rispettando le decisioni dell'organo a ciò deputato --> se il paese di cui si tratta prevede
un controllo di costituzionalità di tipo accentrato.

L'eventuale contrasto, invece, della norma straniera con la Cost italiana non dà luogo a
nessuna questione di costituzionalità, perchè la norma straniera non è compresa tra
quelle per le quali la Cost prevede il sindacato della Corte Cost.

L'errata individuazione o interpretazione dell'ordinamento straniero è, invece,


censurabile in Cassazione perchè integra la violazione o falsa applicazione del diritto.

L'art 14 rubricato "Conoscenza della legge straniera applicabile" dice che:


" l'accertamento della legge straniera è compiuto d'ufficio dal giudice. Il giudice per la
conoscenza del diritto straniero può informazioni al console dello stato interessato o
al Ministero della Giustizia, può interpellare esperti, ecc".
"Se il giudice non risce ad individuare la norma straniera applicabile neanche con
l'aiuto delle parti (che hanno l'onore di fornire la massima collaborazione al giudice per
reperire elementi utili alla ricerca della legge straniera applicabile) deve cercare altri
criteri di collegamento previsti per la medesima ipotesi normativa (o ragonare per
analogia e dunque impegare criteri di collegamento previsti per ipotesi simili). Se non vi
riesce allora applicherà la legge italiana (ma solo come estrema ratio)".

In passato si riteneva che se il giudice non riusciva ad individuare la legge straniera si


doveva applicare direttamente la lex fori, oggi invece questa possibilità è vista come
estrema ratio.
(c'è una riespansione dell'ordinamento italiano di cui parlava Bitta).

RINVIO ORD. PLURILEGISLATIVI: INDIVIDUAZIONE DEL DIRITTO STRANIERO


APPLICABILE ALL'INTERNO DI ORDINAMENTI PLURILEGISLATIVI
Gli ordinamenti plurilegislativi sono quegli ordinamenti che presentano più discipline
civilistiche e possono essere:
- su base territoriale --> come gli stati federati (l'ordinamento tedesco);
- su base personale --> cioè ordinamenti che applicano disposizioni civilistiche diverse in
ragione della persona. L'unico ordinamento plurilegilsativo su base personale è quello
indiano.
In questo caso il criterio di collegamento della cittadinanza non può essere utilizzato
perchè tale criterio richiama l'ordinamento statale nel suo complesso, non dice nulla
circa il sottosistema legislativo da applicare. Allora si pone un problema: come opera il
rinvio a questi ordinamenti? Cioè quando la legge italiano fa riferimento alla legge
tedesca o indiana, a quale legge effettivamente fa riferimento?
L'art 18, in combinato disposto con l'art 13, risponde a questa domanda e dice che: "se
nell'ordinamento dello stato richiamato coesistono più sistemi normativi a base
territoriale o personale, la legge applicabile si determina secondo i criteri utilizzati da
quell'ordinamento".
Cioè anche in questo caso il rinvio è globale, il giudice deve comportarsi come se fosse il
giudice straniero al fine di individuare il sottosistema competente.
"Se l'ordinamento straniero non individua in modo chiaro il sottosistema da applicare
al caso di specie, si applica la disciplina civilistica con il quale il caso di specie presenta
il collegamento più stretto".
NORME DI APPLICAZIONE NECESSARIA
Vi sono dei limiti all'apertura dell'ordinamento giuridico a valori giuridici stranieri e
sono:
- le norme di applicazione necessaria --> sono considerate un limite preventivo al
richiamo del diritto straniero;
- l'ordine pubblico --> considerato un limite successivo;
- profili di incostituzionalità.

Le norme di applicazione necessaria sono norme interne, definite anche imperative


perchè si impongono rispetto ad altre norme in virtù del loro scopo e oggetto.
Sono considerate irrinunciabili per l'ordinamento italiano e quindi devono essere
applicate nonostante il virtuale richiamo della legge straniera dalle norme di conflitto.
Cioè sono norme che non retrocedono dinanzi all'estraneità della fattispecie.

Es. le norme del cc relative alla capacità di contrarre matrimonio sono norme di
applicazione necessaria, si applicano a prescindere dalla sussistenza di elementi di
estraneità.
Se Tizio intende contrarre matrimonio con una persona di nazionalità bulgara e il luogo
di celebrazione è Palermo, non sarà possibile per Tizio, ad es, contarre matrimonio con
una persona infraquattordicenne, anche se l'ordinamento astrattamente richiamabile
prevede diversamente.

Non esiste un catologo delle norme di applicazione necessaria , l'individuazione di


queste norme è rimessa all'inteprete, in particolare al giudice che deve guardare
l'oggetto e lo scopo della disposizione.
Cioè il giudice:
- prima deve qualificare il rapporto;
- poi deve individuare l'elemento di estraneità;
- poi deve verificare il criterio di collegamento;
- individuare la norma applicabile;
- poi deve verificare se quella fattispecie è riconducibile ad una delle norme di
applicazione necessaria.

Tradizionalmente il catalogo delle norme di applicazione necessaria deriva dall'opera


della giurisprudenza e della dottrina. Sono considerate norme di applicazione
necessaria:
- le norme del cc relative alla capacità di contrarre matrimonio;
- l'art 333 cc, sulla condotta del genitore pregiudizievole ai figli;
- la norma sulla riconducibilità della clausola penale eccessivamente onorosa;
- le norme della legge sul diritto d'autore;
- le norme sulla corresponsabilità dei genitori, ecc.
In realtà alcuni di questi esempi fanno riferimento a norme di diritto pubblico, quindi a
quelle norme che trovano applicazione per il loro carattere territoriale.
Infatti, spesso è difficile distingure le norme di diritto pubblico a carattere territoriale
dalle norme di applicazione necessaria.

Le norme di applicazione necessaria non escludono l'applicazione della legge straniera


richiamata dalla norma di conflitto, ma si aggiungono ad esse comportando la
disapplicazione delle norme straniere incompatibili con quelle del foro.
La possibilità di ricorrere alle norme di applicazione necessaria è prevista da fonti
sovranazionali e da diverse convenzioni.

ORDINE PUBBLICO
Altro limite all'applicabilità del diritto straniero è l'ordine pubblico.
L'art 16 dice che: "la legge straniera non si applica se i suoi effetti sono contrari
all'ordine pubblico".
"In questo caso si applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento
eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la
legge italiana".
Cioè, se la norma straniera risulta incompatibile con l'ordine pubblico, il giudice dovrà
cercare un altra norma straniera attraverso un altro criterio di collegamento che non
produca effetti incompatibili con l'ordine pubblico.
Se non ci riesce applicherà la legge italiana.

L'art 16 non configura un conflitto tra norme, ma guarda agli effetti che la legge
straniera produce in quel momento e in quello specifico caso. Cioè non è la norma
straniera ad essere considerata incompatibile con l'ordine pubblico, ma i suoi effetti che
essa produce nell'ordinamento interno.
Quindi, significa che la stessa legge potrà essere richiamata e applicata da un altro
giudice in un caso simile perchè non ravviserà questa incompatibilità.

La stessa disposizione c'è con riguardo al riconoscimento delle sentenze straniere;


queste non possono essere riconosciute se contrarie all'ordine pubblico.
L'errata individuazione del limite dell'ordine pubblico è un errore di diritto e in quanto
tale censurabile in Cassazione.

La nozione di "ordine pubblico" è difficile da definire, perchè è una nozione relativa nel
tempo e nello spazio, si parla infatti di relatività dell'ordine pubblico, proprio per
sottolineare che si tratta di principi mutevoli nel tempo che seguono l'evoluzione delle
concezioni morali e sociali.
Una buona definzione è quella dataci dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 2006
dove dice che l'ordine pubblico è l'insieme di tutti quei principi desumibili dalla carta
cost o fondanti l'intero assetto ordinamentale in un preciso momento storico. E' una
nozione politica, sociologica, culturale.

Oggi sussiste l'esigenza di contemperare:


- l'armonia interna;
- e il rispetto delle diversità culturali.
Cioè il giudice deve svolgere un attenta opera di bilanciamento per proteggere l'ordine
pubblico ma anche per rispettare il pluralismo culturale. Infatti, si è affermati che il
giudice deve applicare il limite dell'ordine pubblico solo quando il diritto straniero si
palesi in contrasto con i princ di uguaglianza, di non discriminazione e libertà religiosa. Si
parla infatti di concezione dell'ordine pubblico attenuato.

IL RAPPORTO TRA LA COSTITUZIONE E IL D.I.P


Per molto tempo la dottrina maggioritaria ha considerato le norme di d.i.p come norme
costituzionali per la loro natura e funzione, perchè le norme di d.i.p sono norme sulla
produzione giuridica.
Questa tesi è stata abbandonata e oggi si ritiene che le norme di d.i.p hanno natura
subcostituzionale. La tesi maggioritaria ritiene che si tratta di norme di rango ordinario e
che prevalgono in via di specialità.

Inizialmente il sistema di d.i.p rappresentava un grosso problema per la Costituzione,


perchè queste norme attribuiscono valore normativo a norme estranee al nostro
ordinamento, ma la Cost riserva la funzione legislativa al Parlamento e alle Regioni.
Questo problema però è stato superato perchè la Corte Cost ha detto che in realtà si
attribuisce valore normativo a norme straniere proprio con atti legislativi, quindi il
parlamento c'è.

Sono tre i problemi che riguardano il rapporto tra la costituzione e il d.i.p:


1. la costituzionalità delle norme di conflitto;

2. la costituzionalità della norma straniera richiamata;

3. la costituzionalità della norma straniera richiamata rispetto alla sua costituzione.

1. La norma di d.i.p. è compatibile con la Cost? E' possibile il sindacato di costituzionalità


sulla norma di conflitto?
Secondo una parte della dottrina, dato che la norma di d.ip ha carattere meramente
strumentale, cioè è volta ad individuare la legge applicabile e non a regolare
direttamente la fattispecie, non incide sulle situazioni giuridiche soggettive, quindi il
problema non sussiste nemmeno.
Cioè visto che la norma è neutra non si può neanche astrattamente configurare un
conflitto con la Cost. Come fa una norma che non disciplina nulla a confliggere con la
Cost?

In realtà non è così, perchè tutte le norme, di qualsiasi natura essa siano, recano una
scelta di fondo, una scelta che incide sulle situazioni giuridiche soggettive e, in questo
caso, la scelta ricade su un criterio di collegamento invece che un altro.
La Corte Cost, infatti, ha respinto la tesi che sosteneva la neutralità delle norme di
conflitto e ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di due norme di d.i.p: art 18 e 20
delle disp preliminari al cc, per violazione dell'art 3 e 29 della Cost (uguaglianza e parità
tra coniugi).
(Erano le norme che stabilivano l'applicazione della legge nazionale del marito in
relazione ai rapporti personali e patrimoniali tra coniugi nell'ipotesi in cui non vi fosse
una legge di nazionalità comune de coniugi).

Dunque, a seguito di questa pronuncia, si è affermato che è possibile il sindacato di


costituzionalità sulla norma di conflitto, anche perchè la norma di conflitto è contenuta
in una legge ordinaria.

2. Altro problema che emerge è la compatibilità tra la norma straniera richiamata e la


costituzione italiana.
Può la Corte Cost sindacare su norme straniere?
No, perchè l'art 134 Cost dice che il sindacato di costituzionalità investe gli atti normativi
di rango ordinario dello Stato e delle regioni, non dice nulla riguardo le norme straniere.

Però c'è una soluzione a questo problema. E' il giudice ordinario che, in questo caso,
opera il sindacato di costituzionalità.
Cioè, generalmente, nel nostro ordinamento il sindacato di cost è fortemente
accentrato. In questo caso, invece, il sindacato di cost assume carattere diffuso
nell'ordinamento italiano.
E' il giudice ordinario che opera un controllo di cost della norma straniera. Se questa
norma presenta dei profili di incompatibilità con la nostra Cost, allora il giudice opererà
ai sensi dell'art 16 (rinvia al altre norme straniere e se non ci riesce applica la legge
italiana).

3. Ultimo problema è la compatibilità tra la norma straniera e la Cost dell'ordinamento


richiamato.
Il giudice italiano può valutare la compatibilità della norma straniera con la Cost
straniera? Ci sono 2 tesi:
- tesi di Quadri --> secondo cui il sindacato è consentito solo se la norma straniera
proviene da un ordinamento che presenti un sindacato diffuso di costituzionalità. Se
l'ordinamento richiamato è accentrato, il giudice non può farlo.
In questo caso il giudice dovrà cercare altri criteri di collegamento, se non ci riesce
applica la legge interna sulla base del principio di riespansione dell'ordinamento interno.
- l'altra tesi, invece, nega questa possibilità, ritiene che il giudice italiano non può
valutare la compatibilità della norma straniera con la sua Cost.

La giurisprudenza si esprime in senso favorevole, ritiene che il giudice italiano può


operare un controllo di costituzionalità della norma straniera rispetto all'ordinamento
richiamato, per due motivi:
* L'art 15 dice che la legge straniera si applica secondo i propri criteri di interpretazione
e applicazione nel tempo;
* in caso contrario, si rischierebbe di applicare una norma che potrebbe essere poi
annullata nell'ordinamento di riferimento.

Quindi:
- se l'ordinamento richiamato prevede un controllo diffuso, il giudice italiano potrà
dichiarare l'inapplicabilità della norma straniera per incompatibilità con la Cost
dell'ordinamento richiamato;
- se l'ordinamento richiamato prevede un controllo accentrato di costituzionalità, il
giudice non potrà operare valutazioni circa la compatibilità o meno della norma
straniera con la Cost dell'ordinamento richiamato; il giudice italiano dovrà tenere conto
delle decisioni adottate dall'organo deputato a ciò.
Se il giudice non si accorge dell'incostituzionalità della norma straniera con la Cost
straniera, si configurerà un errore di diritto ricorribile per Cassazione.

Limiti al funzionamento delle norme di conflitto

Esistono delle norme che pongono determinati limiti al funzionamento delle norme di
conflitto:
a) limiti preventivi: norme che disciplinano materialmente (in tutto o in parte) le
fattispecie transnazionali, prevenendo alla radice il conflitto di leggi. Ne esistono due
categorie:
• norme di d.i.p. materiale, aventi ad oggetto solo le fattispecie con elementi di
estraneità;

• norme cd. di applicazione necessaria, contemplate da un’apposita norma di


funzionamento (art. 17 l. 218/1995) in applicazione del metodo delle considerazioni
materiali: consistono in norme interne che, in ragione del loro oggetto o del loro
scopo, richiedono di essere comunque applicate (per forza propria e non in virtù della
designazione operata dalle norme di conflitto) non solo, ma anche alle fattispecie con
elementi di estraneità.

b) Limite successivo (stabilito dall’art. 16 l. 218/1995): è costituito dall’ordine pubblico,


che opera come una barriera destinata a impedire l’applicazione del diritto straniero,
pur designato dalle norme di conflitto, quando esso contrasti con i principi e i valori
fondamentali su cui si basa il nostro ordinamento.

I criteri di giurisdizione

Essi sono circostanze idonee ad esprimere un collegamento della fattispecie con un


determinato Stato (più precisamente con i suoi elementi materiali costituiti dal territorio
e dalla popolazione), ritenuto significativo al fine dell’attribuzione al giudice della
competenza giurisdizionale.
Esistono criteri di giurisdizione personali o territoriali, a seconda che il collegamento
con lo Stato avvenga a livello di popolazione o di territorio. Un criterio a parte è quello
della volontà delle parti, che non richiede un collegamento personale o territoriale della
fattispecie con lo Stato.
Anche qui, unico criterio personale è la cittadinanza; i criteri territoriali si distinguono in
soggettivi (la localizzazione territoriale è riferita ai soggetti) e oggettivi (la localizzazione
territoriale è riferita ad altri elementi della fattispecie). Vale inoltre la distinzione già
vista tra criteri di fatto e criteri giuridici.
I criteri di giurisdizione generali valgono per tutta la materia civile e commerciale; quelli
speciali invece valgono solo per specifiche materie. A loro volta, i criteri di giurisdizione
speciali possono essere:

• alternativi (o sussidiari): concorrono con i criteri generali o con altri criteri


speciali, nel senso che vengono individuati fori speciali concorrenti, tutti forniti di
competenza rispetto alla lite concreta. La scelta del criterio, e quindi del foro,
spetta all’attore;

• esclusivi: quando, per specifiche materie, individuano la giurisdizione


escludendo il funzionamento dei criteri generali.

Il rapporto tra criteri di giurisdizione ed elementi di estraneità della fattispecie rispetto


all’ordinamento del foro è il seguente:

• quando in concreto l’elemento di estraneità è costituito dalla stessa circostanza


assunta in astratto come criterio di giurisdizione, le norme di d.i.p. processuale
stabiliscono l’incompetenza del giudice del foro;

• quando in concreto l’elemento di estraneità è costituito da una circostanza


diversa
da quella assunta in astratto come criterio di giurisdizione, c’è la competenza
giurisdizionale del giudice del foro.

Concorso di criteri di giurisdizione

Come per i criteri di collegamento, anche per quelli di giurisdizione è possibile che ci sia
un concorso di criteri che individuano una pluralità di fori competenti in ordine alla
medesima fattispecie:

• concorso tra criteri di giurisdizione generali e criteri speciali alternativi;

• concorso tra diversi criteri speciali alternativi;


• concorso di fori principali competenti, pur in presenza di un unico
criterio di
giurisdizione (nei regolamenti comunitari): quando la determinazione del
significato di un (apparentemente) unico criterio di giurisdizione
presuppone il richiamo a una pluralità di collegamenti materiali, e quindi
è come se si avesse una pluralità di criteri di giurisdizione generali
alternativamente competenti;

• concorso di criteri di giurisdizione che portano a una pluralità di fori


facoltativi, dinnanzi ai quali il convenuto può essere citato in giudizio, in
particolari ipotesi di connessione oggettiva o soggettiva di cause.

Il criterio di connessione della volontà

Nel d.i.p., le parti hanno la possibilità di scegliere la legge e il foro; la volontà privata
funziona dunque come criterio di collegamento e di giurisdizione sui generis, di natura
personale.
La scelta di legge è prevista solo in determinate materie: per le obbligazioni contrattuali
(Reg. CE 593/2008), per determinati negozi diversi dal contratto (la l. 218/1995), per le
obbligazioni extracontrattuali (Reg. CE 864/2007), per le obbligazioni alimentari
derivanti da rapporti di famiglia (Reg. CE 4/2009), per la legge applicabile a separazione
e divorzio (Reg. 1259/2010).
La scelta di legge incontra però un limite nelle norme inderogabili dell’ordinamento al
quale si riferiscono gli elementi della fattispecie rilevanti come possibili criteri di
collegamento (per evitare che venga usata come strumento per sottrarre il negozio
all’applicazione di norme inderogabili).
La volontà privata può essere usata anche come criterio di giurisdizione dalle norme di
d.i.p. processuale: in questo caso, le parti possono scegliere se farsi giudicare dal giudice
di un Paese piuttosto che di un altro (o di deferire ad un arbitrato internazionale). La
scelta della giurisdizione è ammessa dall’art.4 l. 218/1995, dal Reg. CE 44/2001, dal Reg.
CE 2201/2003 (in misura più limitata, e solo relativamente alla responsabilità
genitoriale), dal Reg. CE 4/2009 (in misura più limitata, in materia di obbligazioni
alimentari della famiglia).

Il Reg. CE 593/2008 (che sostituisce la Convenzione di Roma, richiamata “in ogni caso”
dalla l. 218/1995) deferisce alla legge che sarebbe applicabile se l’atto fosse valido anche
le questioni relative all’esistenza e alla validità dell’atto con cui si compie la scelta di
legge.
L’esistenza e la validità dell’atto di scelta del foro competente sono sottoposte alla legge
designata dalla Convenzione di Roma (in virtù del richiamo della l. 218/1995). L’aspetto
della capacità giuridica è regolato da delle norme di conflitto (art. 20 e 23 l. 218/1995).

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