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CITOFLUORIMETRIA A FLUSSO DELLA RICERCA E

ALLA CLINICA
FENOMENO DELLA FLUORESCENZA
Alcune specie chimiche una volta eccitate tramite un raggio laser, subiscono una modificazione dello
stato elettronico -> gli elettroni diventano eccitati e possono seguire due vie:
- decadere nuovamente e quindi ritornare nello stato energicamente più basso in maniera
lenta rilasciando calore (fosforescenza)
- decadere e rilasciare in maniera rapida calore emettendo fotoni ad una lunghezza d’onda
superiore rispetto il raggio (fluorescenza).

STRUMENTI UTILIZZATI NELLA CITOFLUORIMETRIA A FLUSSO


Tutti gli strumenti sono divisi in parti principali:
- Parte fluidica = è rappresentata dal campione, cioè una sospensione di cellule (in realtà si
può analizzare qualsiasi elemento corpuscolato non necessariamente cellulare, basta che vi
sia una sospensione il più possibile omogenea) -> le cellule del campione, tramite il principio
di focalizzazione idrodinamica, vengono forzate a muoversi in linea all’interno della cella di
flusso.
- Parte ottica = all’interno della cella di flusso le cellule vengono colpite da un raggio
focalizzato (possono essere anche più di uno a diversa lunghezza d’onda) ed emettono fotoni
(fluorescenza) con diversa lunghezza d’onda. Il segnale che viene raccolto con le fibre ottiche
arriva all’interno dei banchi ottici.
- Parte elettrica = i fotoni del segnale fluorescente (raccolti nei banchi ottici) vengono
convertiti in un flusso di corrente -> tradotto in valori digitali che sono conservati in file per
le analisi.

Evoluzione della citofluorimetria


Ci sono strumenti più o meno performanti in base a quanti raggi laser sono emessi: oggi si hanno
degli strumenti altamente performanti con 5 laser con 5 lunghezze d’onda diverse in grado di
rilevare fino a 28 segnali diversi di fluorescenza. Ancora oggi si sta passando a strumenti ancora più
performanti di quest’ultimo e quindi è ancora in atto l’evoluzione.

->

Principi base della citofluorimetria a flusso


Osserviamo dall’immagine il tubo (cella di flusso) con all’interno
le singole cellule (pallini rossi) che vengono aspirate e che si
muovono in fila -> queste raggiungono il punto di interrogazione,
cioè il punto in cui vengono colpite dal laser e quindi eccitate -> i
fotoni emessi da questa eccitazione vengono convogliati con
sistema di fibre ottiche all’interno dei banchi ottici. I banchi ottici
hanno un sistema di filtri che permette di dividere i fotoni e fare
in modo che solo quelli con le specifiche lunghezze d’onda di
interesse raggiungano i fotomoltiplicatori (a forma di palla
nell’immagine) che convertono in segnale elettrico in segnale digitalizzato che può essere analizzato
attraverso un software di analisi del dato.

Dimensioni delle particelle -> strumenti con


diverse performance possono analizzare
particelle con grandezze differenti, anche se
in generale con la citofluorimetria si possono
analizzare particelle molto piccole da 1-2
micron (vescicole e batteri) fino a particelle da
100-120 micron (cardiomiociti) o anche 150
micron delle cellule vegetali quindi molto più
grandi.

Come definire una particolare dimensione?


Il citofluorimetro rileva solo due parametri morfologici:
- FSC (Forward Scatter) = quando la luce laser colpisce la cellula
nel punto di interrogazione, quella cellula rilascia luce in tutte
le direzioni -> la luce che viene emessa oltre la cellula lungo lo
stesso asse in cui il raggio laser sta colpendo, è rilevata nel
“Forward Scatter Channel” -> l’intensità di questo segnale è
stato attribuito alla dimensione della cellula.

- SSC (Side Scatter) = la luce che viene rilasciata dalla cellula a


90 gradi dall’asse di giacenza del laser è rilevata nella “Side
Scatter Channel” -> il segnale è quindi raccolto nel piano
ortogonale e la sua intensità è proporzionale a quante
strutture citolitiche sono presenti nella cellula (come granuli,
inclusioni cellulari ecc).

Combinando i due segnali è possibile ricavare tantissime informazioni -> il diagramma rappresenta
diverse cellule aggregate a nuvole la cui posizione ci fornisce diverse informazioni: la nuvola verde
è fatta da cellule piccole con SSC molto basso (grosso nucleo, poco citoplasma cioè linfociti B e T),
la nuvola intermedia blu è probabilmente formata da monociti, in quanto hanno media grandezza
e media complessità. Infine, la nuvola grande rossa è quella rappresentata dai granulociti
soprattutto neutrofili, più grandi di dimensioni e con un altissimo SSC proprio per la presenza di
nucleo multilobato e di granuli nel citoplasma.
Le macchine per la citofluorimetria non danno l’informazione diretta di
quanto siano grandi i campioni, ma si può estrapolare indirettamente
utilizzando i megamix beads -> in base al segnale di fluorescenza di biglie di
dimensione nota possiamo estrapolare indirettamente la grandezza del
nostro campione.

Canali di fluorescenza
Oltre ai parametri morfologici i dati sono rilevati da numerosi canali di fluorescenza in modo da
ricavare in modo estrinseco o intrinseco i segnali fluorescenti dalle cellule o particelle eccitate. I
laser che possono essere utilizzati per l’eccitazione sono diversi e variano in base alla lunghezza
d’onda:

Le molecole fluorescenti lasciano il loro stato di eccitazione e rilasciano energia nella forma di fotoni
con una specifica lunghezza d’onda, più alta della lunghezza d’onda d’eccitazione. I fotoni emessi
passano attraverso le lenti collettori (banchi ottici), sono divisi e fatti passare attraverso specifici
canali con l’uso di due tipi di filtri:
- Filtri long pass = permettono il passaggio solo dei fotoni con lunghezza d’onda superiore
rispetto a quella indicata sul filtro. Se c’è scritto filtro 500 LP -> passa lunghezza d’onda
superiore a 500 nm.
- Filtri band pass = permette il passaggio solo di una specifica banda di fotoni -> 540/40
Il segnale una volta passato attraverso i filtri raggiunge il fotomoltiplicatore.

FLUORESCENZA

Fluorescenza intrinseca o autofluorescenza


È un fenomeno ad ampio raggio che ha storicamente rappresentato un potenze strumento di
riconoscimento delle cellule ed è capace di fornire informazioni sulla morfologia e il metabolismo
cellulare ->le cellule contengono delle molecole di per sé fluorescenti che una volta eccitate da raggi
laser a specifica lunghezza d’onda (laser viola e blu) emettono fluorescenza. Delle molecole dotate
di fluorescenza sono, ad esempio, gli i coenzimi (FAD) e cellule molto fluorescenti sono i
cardiomiociti.
Fluorescenza estrinseca
È un tipo di fluorescenza data da molecole fluorescenti dette “fluorocromi” cioè
delle molecole in grado di emettere fotoni una volta colpite da raggi laser. I
fluorocromi possono essere adesi a degli anticorpi (si sfrutta legame Ag-Ab per
rilevare fluorocromo -> immunofenotipizzazione) oppure ci sono delle molecole
fluorescenti che di per sé sono in grado di interagire con elementi all’interno
della cellula (calcio, ossigeno, DNA) e ciò ci aiuta a fare delle valutazioni
importanti metaboliche o citologiche del campione perché possiamo vedere se
la cellula flussa calcio o il contenuto di DNA, o il ciclo cellulare.
Le molecole fluorescenti sono divise in 4 famiglie principali:
- Polimeri organici
- Grandi molecole a base proteica
- Piccole molecole organiche
- Nanocristalli inorganici

Grandi molecole a base proteica


Le grandi molecole a base proteica dotate di fluorescenza sono state isolate per la prima volta dalle
alghe (spec. Rhodophyta), e ne conosciamo diverse:
- Ficoeritrina = gli spettri di eccitazione della ficoeritrina sono il laser
blu e il laser giallo/verde -> vediamo nello schema come la molecola
è in grado di assorbire raggio laser a diversa lunghezza d’onda ed
osserviamo che il picco di eccitazione (di colore blu) avviene a 575
nm. Lo spettro di emissione (rosso nello schema) ha un picco
sempre spostato rispetto a quello di eccitazione in quanto deve
essere sempre superiore.
- Molecole Tandem = prevede la coltivazione di due molecole
fluorescenti in maniera covalente di cui una è il donatore e l’altra è l’accettore -> fenomeno
basato sulla fluorescenza del trasferimento di energia e risonanza (FRET). Se le due molecole
sono separate da una distanza non maggiore di 10 nm, ci sarà una piccola interazione tra di
loro e il donatore emetterà fotoni dopo la sua eccitazione con laser. Questi fotoni emessi
possono essere sfruttati per eccitare altre molecole e avere una maggiore emissione di
fluorescenza. L’unico limite di questa metodica è che il legame covalente tra donatore e
accettore, potrebbe rompersi a seguito di esposizione a luce, o anche per scongelamento e
congelamento.

Piccole molecole organiche


Sono largamente utilizzate anche per l’analisi di immagine a
fluorescenza. Queste piccole molecole organiche vengono anche
chiamate “alexa coniugati” e sono caratterizzate dal punto di vista
clinico per avere una massiva delocalizzazione degli elettroni che
facilita il salto dell’elettrone dallo stato elementare a quello
eccitato. Un esempio di queste molecole sono le catene aromatiche come il benzene. Gli spettri di
eccitazione sono il laser violetto, ultra-violetto e blu, mentre lo spettro di emissione è di differenti
lunghezze d’onda.

Nanocristalli inorganici
Sono molecole inorganiche la cui struttura viene detta “Quantum Dot Anatomy” ->
sono particelle biologicamente attive che hanno un range di dimensione dai 10 ai 15
nm. Presentano una capsula di zincofosfato e se vengono eccitate emettono una
lunghezza d’onda crescente in base alla dimensione ed indipendente dalla
lunghezza d’onda d’eccitazione (più sono grandi più aumenta la lunghezza d’onda).

Polimeri organici
Sono composti da una serie di anelli aromatici alternanti a doppi anelli coniugati. Questa struttura
ripetuta crea un continuo sistema 𝛑-orbitale ed estende la delocalizzazione elettronica. Alcuni sono
anche dei tandem e hanno siti per gli accettori. Questi polimeri sono eccitabili da tantissimi laser
diversi (UV, violetto, blu, giallo/verde) ma non sono ancora stati sviluppati.
Tramite la citofluorimetria è possibile studiare il flusso di proteine se a queste vengono
legate delle molecole fluorescenti che non ne alterano in alcun modo la loro funzione
biologica -> grazie a questa tecnica posso capire se la proteina ha traslocato nel nucleo, o
se è andata in membrana. Inizialmente le molecole fluorescenti erano estratte inizialmente
unicamente da organismi marini. Per studiare il traffico delle molecole devo però tenere
conto del tempo di sintesi della molecola -> la proteina e la molecola fluorescente devono
essere sintetizzate nello stesso momento e quindi il tempo di sintesi non deve differire
molto dalla proteina che voglio studiare. Si valuta a 37 gradi il tempo di maturazione della
molecola fluorescente, la quale è più valida tanto è minore il suo tempo di maturazione.

Sappiamo che una molecola fluorescente è in grado


di essere rilevata grazie ad un software detto
“spectra vewer” -> riesce a dare per tutte le
molecole i due spettri (di eccitazione ed emissione)
e posso impostare anche il filtro per vedere se
quest’ultimo riesce a captare il picco di emissione
oppure no. Riusciamo anche a vedere se un
determinato laser è in grado di eccitare il
fluorocromo oppure no. Grazie a questo software
otteniamo quindi il laser corretto per eccitare ed il
filtro corretto per catturare i fotoni emessi.

Vengono valutati due parametri detti parametri di brillantezza o brightness:


- E (coefficiente di estinzione molare) = probabilità che un fotone sparato contro una
molecola sia effettivamente assorbito. È una misurazione di quanta potenza una specie
chimica assorbe la luce ad una data lunghezza d’onda.
- Q (efficienza quantica) = è la misura dell’efficienza con cui la luce assorbita produce
qualche effetto. È un numero assoluto compreso tra 0 e 1 e si calcola dividendo i fotoni
emessi con i fotoni assorbiti.
Il fluorocromo ideale deve avere alti parametri E e Q, nonché una fotostabilità (non si deve
degradare alla luce in laboratorio) e non deve essere tossico per le altre cellule.

COMPENSAZIONE
La fluorescenza emessa si sovrappone in un pannello multicolore? Se ad esempio
ho una proteina marcata con 28 molecole fluorescenti diverse come posso
essere sicuro che il segnale che arriva sia del fluorocromo scelto? se, ancora ho
due fluorocromi eccitati dallo stesso laser (fluoresceina e ficoeritrina) lo
strumento legge in contemporanea i fotoni di entrambi. Per poterli separare ed
escludere ciò che non si vuole analizzare bisogna mettere in atto la
compensazione della fluorescenza -> procedura attraverso cui
le fluorescenze “unwanted” del primo canale (FITC) sono
rimosse dal secondo canale (PE). Questo avviene escludendo
nel momento in cui si legge il risultato qualsiasi fenomeno che
può causare errore (fluorescenze contaminanti dal primo
detector), detraendolo al risultato mediante una vera e propria
sottrazione. Lo stesso valore sarà sottratto da tutte le cellule
nel range di fluorescenza. come
Come leggere il grafico = sull’asse delle x sono posti i canali di conta (più alto è il valore e più alto
sarà il segnale di fluorescenza) mentre sulla y ci sono vari canali. Il cerchio che si forma è
l’autofluorescenza, mentre più avanti sono presenti una serie di cellule che emettono fluorescenza
sempre crescente -> sono tutte cellule fluorescenti che però, se non si è aggiunto il loro relativo
anticorpo collegato al fluorocromo vuol dire che sta venendo letto qualcosa che non è specifico e
che dobbiamo togliere tramite compensazione.

Per effettuare la compensazione bisogna effettuare una sottrazione della coda, fino a che le due
nuvole non si allineino nel grafico (e quindi hanno la stessa fluorescenza) -> grazie a questa
sottrazione ho tolto quota parte di fluorocromo che interferiva prima con l’altro e si riesce a vedere
chiaramente ogni segnale singolarmente.

Come minimizzare la compensazione? Se, ad esempio, si hanno 5 laser, basta scegliere 5


fluorocromi diversi che vengono eccitati da diversi laser, in modo che i fluorocromi abbiano
percorsi ottici totalmente diversi. Tanto è più grande la differenza di lunghezza d’onda tra due
fluorocromi tanto minore sarà la necessità di compensare.

EVENTI DI FALSA POSITIVITA’ -> SEGNALI ASPECIFICI


In citofluorimetria non esiste solo il segnale di falsa positività legata all’interferenza tra
fluorescenze, ma ne esistono anche altri:

Aggregati
Gli aggregati sono due cellule attaccate tra loro che
causano la somma delle loro fluorescenze in quanto lo
strumento le rileva come singolo evento. Per evitare che
ciò succeda viene usata una diversa analisi del segnale
che si basa sui parametri di area ed altezza -> lo
strumento può quindi raccogliere o tutto il segnale, cioè
l’integrale sotto la curva che corrisponde all’area,
oppure solo il picco di fluorescenza che corrisponde
all’altezza. Tra area e altezza esiste una sempre una relazione
di proporzionalità diretta che però si perde solo in presenza
appunto degli aggregati (in questo caso l’area aumenta molto
di più dell’altezza, infatti nei due eventi aggregati l’altezza
rimane costante mentre l’area diventa una somma tra i due)
-> sfruttando questo fenomeno di diverso segnale di
fluorescenza posso escludere gli aggregati dall’immagine.
Per escludere gli aggregati di
linfociti vado a vedere i parametri
area ed altezza per FSC e, i puntini
che si disperdono tanto dal valore
di proporzionalità diretta saranno
degli aggregati che elimino ->
ripeto il procedimento anche su
SCC
Cellule morte
Le cellule morte possono in modo non specifico legare anticorpi
monoclonali e quindi causando un segnale falso positivo anche se
sono morte, soprattutto se la frequenza cellulare del campione è
molto bassa. Per ovviare il problema posso:
- Utilizzare dei clorofluori che si legano al DNA = una cellula viva
ha la membrana cellulare integra, mentre una cellula morta
presenta dei veri e propri buchi nella membrana da cui può passare il clorofluoro specifico
per il DNA -> riesco così a rintracciare le molecole morte.
- Utilizzare le ViD = sono delle molecole variazione amino-reattive, cioè capaci di riconoscere
le cellule apoptotiche poiché capaci di legarsi ai gruppi amminici emessi solo da quest’ultime.
Possiamo così distinguere le
Live cells dalle Dead cells
(popolazione fatta da cellule
che hanno legato le molecole
fluorescenti che devono
essere escluse).

CONTROLLI NEGATIVI
Tra i controlli negativi da effettuare, è di cruciale importanza considerare ed escludere anche le
interazioni aspecifiche che può fare il nostro anticorpo. Ricordiamo che l’anticorpo può legarsi sia
alla porzione variabile dell’antigene che a quella costante -> per evitare che l’anticorpo si leghi a
aspecificamente alla porzione costante bisogna “bloccare” gli Fc receptors (recettori dell’anticorpo
che permettono questo legame aspecifico) -> processo detto blocking.
Per controllare che questo procedimento sia andato a buon fine, è necessario aggiungere degli
anticorpi detti “controlli isotipici”, cioè immunoglobuline uguali a quelle del nostro anticorpo ma
che non riconoscono l’antigene -> si prende il campione e si aggiunge il controllo isotipico, se
vediamo un segnale di fluorescenza quel segnale è per forza specifico alla cellula e quindi capiamo
qual è la parte di segnale specifico rispetto quello aspecifico.

Interferenza tra fluorescenze


Quando si combinano tante molecole fluorescenti diverse bisogna considerare il contributo dei
segnali di fluorescenza che viene detto Fluorecence Minus One (FMO) -> questo effetto additivo di
fluorescenza è da tener conto nella scelta del controllo negativo. Nella seguente immagine è
presentato un esperimento effettuato nel 2002:
sono stati presi 4 anticorpi che avevano attaccate a loro volta 4 molecole fluorescenti diverse
(tandem) per una coltura in cui si volevano evidenziare i linfociti -> CD4 sono i recettori dei linfociti
T helper mentre CD3 sono i recettori dei linfociti CTL. Nell’esperimento vengono prese le cellule nel
campione a cui vengono aggiunti i controlli isotipici di tutti e 4 questi anticorpi (so così qual è il
segnale aspecifico del campione). Nel primo vengono inseriti i campioni senza controlli. Viene poi
preso in esame un altro campione, che però non utilizza il tandem CD4 -> si vede che la nuvola si
alza rispetto quello prima anche se questa volta non è presente CD4. Infine, viene analizzato il
campione con tutti e 4 gli anticorpi -> si isolano le nuvole e si vede quale tra di loro era la nuvola
priva di tandem. Si capisce così che lo slittamento del segnale di fluorescenza è dovuto agli altri
fluorocromi e dimostra che effettivamente le fluorescenze tra di loro interferiscono e dobbiamo
tenerne conto quando analizziamo le popolazioni cellulari durante la citofluorimetrica.

VISUALIZZAZIONE ED INTERPRETAZIONE DEI DATI


L’apice della fluorimetria si può esprimere disegnando una regione con gli eventi positivi nel
quadrato nero in % (rispetto le cellule che la macchina ha letto) oppure attraverso la RFI (rapporto
tra la media di fluorescenza tra il campione ed il controllo negativo). Tramite questi due metodi non
sappiamo però quante molecole gli eventi positivi esprimono sulla membrana (alcune esprimono di
più altre esprimono di meno). Questo è invece possibile attraverso l’istogramma che analizza la
singola fluorescenza -> ci dice quante molecole la cellula esprime, in quanto quest’ultima può avere
sulla superficie una sola molecola come potrebbe averne tante. L’istogramma rimane comunque un
dato relativo.
Nelle immagini seguenti vediamo come, attraverso il marcatore specifico dei monociti (CD14)
questi diminuiscano di frequenza (%) post trattamento di farmaco terapeutico in un paziente -> è
un farmaco in grado di uccidere i monociti.

Nel seguente ulteriore esempio vediamo come è possibile visualizzare la relativa intensità di
fluorescenza (RFI): è stato fatto un rapporto tra il segnale di fluorescenza nero e il segnale di
fluorescenza segnato in grigio -> tutto ciò che è superiore a 100 ci indica che il recettore è espresso
e si capisce che le piastrine sono quelle che esprimevano di più.

Riassunto Check-point della citofluorimetria a flusso


1. Identificare morfologicamente le cellule/particelle (dimensione e complessità)
2. Autofluorescenza (tramite laser o filtri)
3. Scegliere i laser ed i filtri
4. Brillantezza fluorocromi -> si associano ad antigeni poco espressi fluorocromi molto brillanti.
5. Compensazione per la sovrapposizione di fluorescenze
6. Escludere i falsi positivi -> aggregati e cellule morte
7. Controlli negativi
8. Analisi dei dati (come frequenza o come intensità di fluorescenza)
STORIA DELLA CITOFLUORIMETRIA
La citofluorimetria nasce a partire dagli anni ’80 era stata creata ad uso militare per individuare dei
microrganismi patogeni, per poi essere usata in microbiologia soprattutto per l’AIDS -> quando si è
capito che il target dell’HIV era il CD4, si è cercata una tecnica per evidenziarlo. La citofluorimetria
è esplosa grazie all’immunofenotipizzazione, ma esistono anche altre applicazioni (separare cellule,
analizzare molecole solubili ecc). Questa tecnica viene usata per la ricerca di base, per la ricerca
traslazionale (passa dall’animale all’uomo) e per la ricerca clinica (letto del paziente).

IMMUNOFENOTIPIZZAZIONE
Viene eseguita in clinica -> in tantissimi ospedali sono
presenti citofluorimetri.
L’immunofenotipizzazione viene fatta utilizzando
anticorpi generalmente monoclonali, in genere isolati da
piccoli animali (topo o ratti) che sono prevalentemente
IgG (riconoscono antigeni specifici e hanno bassa cross-
reattività). Questi anticorpi vengono indicati con il
termine CD (Cluster of Differentiation) -> più di 400
molecole hanno questa nomenclatura e sono quasi tutte
con antigeni in superficie e quindi usate per riconoscere
specifiche cellule. Nell’immagine a dx vediamo alcuni dei
CD.

Come eseguire la immunofenotipizzazione?


Si può partire da un tessuto, da delle cellule in coltura oppure da dei campioni periferici -> affinità
dell’anticorpo è molto alta e dopo dei lavaggi possiamo leggere il campione allo strumento.
Possiamo usare anticorpi direttamente legati a dei fluorocromi oppure anticorpi indirettamente
marcati -> in questo secondo caso vi è un anticorpo freddo
(non ha fluorocromo attaccato) che si lega ad un anticorpo
fluorescente che riconosce l’epitopo e in maniera indiretta
rende visibile il segnale di fluorescenza che ci fa capire se la
cellula ha l’antigene oppure no.

L’immunofenotipizzazione viene largamente utilizzata per i


leucociti che filtrano il tumore, cioè cellule della linea
bianca che lavorano per il tumore invece che combatterlo, creando delle basi per far si che possa
crescere meglio.
Immunofenotipizzazione nell’oncoematologia
La citofluorimetria avanzata fatta con tanti parametri viene usata per valutare la malattia residua
-> riesce infatti a rilevare una cellula (tumorale) all’interno di un milione di cellule riconoscendo la
presenza di una malattia disseminata. Permette inoltre di discriminare tra le altre malattie presenti
e la iperproduzione del midollo osseo. L’immunofenotipizzazione è la tecnica più utilizzata in questo
senso, ma ne esistono anche altre come il “Cell sorting”.

CELL SORTING
Il Cell sorting coinvolge meccanismi più complessi della
citofluorimetria a flusso rispetto all’analisi non-sorting (cioè non
ordinata). Questa tecnica consiste nella separazione di cellule
attraverso cell corting (citofluorimetri) che lavorano per
separazione fisica delle cellule -> a seconda delle caratteristiche
fenotipiche che si vogliono, le cellule vengono caricate
elettricamente. Si può decidere se defletterle e farle cadere
all’interno di tubi. È possibile, inoltre, fare un’analisi mediante un
sistema di biglie in modo da studiare più molecole in
contemporanea. Un’applicazione di questa metodica è l’analisi dei
livelli di diverse citochine proinfiammatorie.

NUOVE FRONTIERE DELLA CITOFLUORIMETRIA

Citofluorimetria di massa
È una nuova tecnologia basata sul concetto della spettroscopia di massa -> gli anticorpi sono
coniugati a metalli e non molecole fluorescenti -> si sfrutta il diverso peso atomico dei metalli per
capire la presenza o meno dell’antigene. I vantaggi di questa tecnica sono che non c’è
sovrapposizione in quanto non vi è fluorescenza, non c’è “spreading error” -> per questo si possono
andare a mettere insieme più di 40 anticorpi coniugati a 40 metalli diversi.
Immagine della citofluorimetria di flusso
Se le cellule che fanno fluorescenza sono associate al microscopio elettronico, si è in grado
di combinare ciò che abbiamo visto con un’analisi di immagine -> si riesce a capire molto
più facilmente se una cellula è specifica poiché vediamo proprio se due eventi sono
attaccati oppure no.
Analisi spettrale della citofluorimetria a flusso
È una citofluorimetria a flusso tradizionale, ma con filtri che rilevano il segnale che arrivano da tutti
i laser, cioè filtri che raccolgono il segnale in toto. Grazie a questa tecnica riusciamo ad ottenere
un’impronta digitale specifica per ogni fluorocromo -> riusciamo così a discriminare fluorocromi
che si eccitano con lo stesso laser ma con un pattern diverso. Con questa tecnica l’overlap spettrale
è minimo e marginale e ci permettono di visualizzare popolazioni molto rare.

PRO E CONTRO DELLA CITOFLURIMETRIA A FLUSSO


Pro = la citofluorimetria è una tecnica di elezione per fare analisi quantitative con un enorme valenza
statistica. Si possono analizzare un grandissimo numero di eventi, possono essere applicati molti
parametri di selezione, ha un’alta sensibilità al segnale.

Contro = non riuscire a dare morfologie specifiche per la cellula e non ci poter capire dove è
localizzato precisamente l’antigene (solo se è in membrana o citoplasma). Per quanto riguarda la
medicina veterinaria vi è un grande problema di non avere determinati anticorpi per determinate
specie -> se in umana un anticorpo è marcato da tanti fluorocromi, in veterinaria è spesso marcato
solo da uno. È molto probabile che le proteine che reagiscono in umana possano essere utilizzate
anche in veterinaria ma allo stesso tempo c’è un grande rischio di cross-reattività.

APPLICAZIONE DELLA CITOFLUORIMETRIA A FLUSSO IN


LABORATORIO

La citofluorimetria a flusso permette di isolare e contare una popolazione specifica di cellule tra
tante presenti nel campione. Per svolgere tale metodica è necessario utilizzare degli anticorpi
marcati con fluorocromi che riconoscano e leghino antigeni specifici. Durante questa giornata in
laboratorio sarà eseguita la MARCATURA CELLULARE o STAINING dell’anticorpo con il fluorocromo.
La metodica prevede che dopo la marcatura queste cellule vengano analizzate al citoclorimetro
(vedi appunti precedenti per funzionamento dello strumento). Per questa analisi ricordiamo che il
segnale di fluorescenza è il segnale di positività e che diverse fluorescenze corrispondono a diverse
popolazioni cellulari analizzate. La marcatura del seguente esperimento avverrà sulle cellule del
sangue, per questo saranno necessari:
- 4 provette dello stesso campione di sangue -> 100 µl di sangue a provetta
- Anticorpi anti CD4 (riconoscono i linfociti TH) -> sono marcati col fluorocromo PE
- Anticorpi anti CD8 (riconoscono i linfociti CTL) -> sono marcati col fluorocromo FICH
Prima di aggiungere questi elementi al sangue, è necessario svolgere il procedimento di BLOCKING
dei Fc receptors, per impedire i legami aspecifici alla porzione fissa dell’antigene -> aggiungiamo ad
ogni provetta 5 µl di Fc Block, per poi incubare a 4°C per 15 minuti. Possiamo procedere con
l’aggiunta degli anticorpi:
1. Provetta I = aggiungo i controlli isotipici (5 µl per CD4 + 5 µl per CD8)
2. Provetta II = aggiungo 5 µl di anticorpi anti CD4
3. Provetta III = aggiungo 5 µl di anticorpi anti CD8
4. Provetta IV = aggiungo 5 µl di anticorpi anti CD4 + 5 µl di anticorpi anti CD8
Incubiamo per 20/30 minuti a 4°C e al buio per lasciare tempo agli anticorpi di reagire.
Lavare l’eccesso di anticorpi aggiungendo 500 µl di PBS (fisiologica).
Centrifugare per eliminare il liquido surfattante -> rimangono solo cellule e globuli rossi
Agitare le provette
Sospendo il tutto in soluzione ipotonica -> aggiungo 700 µl di ACK. La soluzione ipotonica farà
scoppiare i globuli rossi prima delle altre cellule, per questo bisogna fare attenzione al tempo di
reazione -> appena si aggiunge ACK la soluzione risulterà opaca, solo dopo agitazione e qualche
secondo la soluzione risulterà trasparente e la reazione potrà essere fermata (le altre cellule non
devono morire). Per fermare la reazione aggiungo altri 700 µl di PBS -> mescolare le provette e
centrifugare.
Dopo questi passaggi si è ottenuto il PELLET DI LEUCOCITI -> si elimina il surfattante rovesciandolo
in un Becker. La provetta con pellet viene posta a “sgocciolare” al contrario su un pezzo di carta.
Dopo questi passaggi si risospende il pellet in 100 µl di PBS.
Con questo passaggio la marcatura si ritiene conclusa e si può passare all’analisi a citoclorimetro.

Bisogna considerare che: il vero campione marcato è quello in cui sono presenti entrambi gli
anticorpi anti CD4 e anti CD8 -> si sono volute fare delle provette con gli anticorpi presi
singolarmente per poi poterli sottrarre ai risultati e non confondere una fluorescenza con un’altra
(compensazione). È importante ricordare che tra un campione e l’altro è necessario pulire il tubo
dello strumento in cui passano le cellule in fila per evitare contaminazioni.

Il grafico che si ottiene presenta tutte le popolazioni della componente


cellulare del sangue (senza globuli rossi che sono stati eliminati, in
quanto interferiscono con i risultati):
- Linfociti -> cellule semplice e piccole
- Monociti -> cellule di media semplicità e media grandezza
- Granulociti -> cellule grandi e complesse

Secondo tali considerazioni, per la


nostra indagine otterremo il seguente grafico che mette in
rapporto i due fluorocromi
In base a dove si sono posizionate le cellule viene fatto un GATE
-> si circondano le popolazioni di nostro interesse e si creano
delle aree all’interno del grafico:

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