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A
Seconda parte
3) Perché i prezzi risultanti da un equilibrio in un mercato perfettamente
concorrenziale sono efficienti anche nel significato di Pareto (l'ottimo paretiano come
sviluppato nel box di Edgeworth)?
Partendo da una situazione di equilibrio contabile sappiamo che il reddito (quindi l'offerta) Y è
uguale alla domanda D. Y = D
Supponiamo che la domanda sia composta da 4 componenti:
D = C - T + I + G
1- I consumi C, i quali dipendono positivamente dal reddito attraverso un parametro 0<c<1.
C = c*Yd (Yd = reddito disponibile alle famiglie)
2- Le imposte T, composte da 2 componenti, una inversamente proporzionali al reddito
secondo una costante 0<t<1 e l'altra indipendente dal reddito T0.
T = t*Y + T0
Sapendo che il reddito disponibile alle famiglie Yd dipende dal prelievo fiscale possiamo dire:
Yd = Y - t*Y allora: C = c*(Y - t*Y)
3- Gli investimenti I che assumiamo esogeni per semplicità.
I = I
4- La spesa pubblica G che assumiamo esogena perché lo è in buona parte.
G = G
Sostituendo otteniamo:
Abbiamo dimostrato che il reddito di equilibrio dipende dalle componenti della domanda.
Il parametro è pertanto chiamato "moltiplicatore del reddito".
Un paese che all'istante si innamora delle merci made in the world (e pertanto comincia a
importare merci dall'estero) subirà una diminuzione del reddito poiché alla domanda totale
viene sottratta la domanda soddisfatta dalle importazioni mD con 0<=m<1
in conclusione:
Però bisogna tenere conto del fatto che se si ha un considerevole aumento delle esportazioni
E, esse vanno a sommarsi come componente esogeno alla domanda D e quindi al reddito Y (le
esportazioni le consideriamo esogene dato che non dipendono dal reddito interno).
5) I dati statistici mostrano che dall'avvio del processo di globalizzazione la
disuguaglianza è aumentata all'interno dei paesi industrializzati ma si è ridotta quella
tra paesi ricchi e paesi poveri e in via di sviluppo. Provate a spiegarne le ragioni
economiche.
Molti sostengono che troppa disuguaglianza sia un fattore negativo sia dal punto di vista etico
che economico poiché un alto livello disparità riduce la coesione sociale, l'instabilità politica e,
perciò, frena gli investimenti.
La crescente disuguaglianza ha svolto un ruolo di rilievo nella crisi finanziaria globale del 2008
poiché essendo i salari dei poveri fermi dagli anni 70 essi per stare al passo con i nuovi
standard di consumo, si sono indebitati e l’aumento del debito delle famiglie (in percentuale
sul Pil) ha reso l’economia più vulnerabile agli shock.
Tanti stati più egualitari sono cresciuti molto più velocemente durante l'età dell'oro del
capitalismo; tuttavia altri casi di stati con poca disuguaglianza sono cresciuti più lentamente di
altri. Pertanto in uno stato la disuguaglianza non deve essere ne troppa ne troppo poca.
Questa situazione è spiegata nell'ipotesi di Kuznets: “man mano
che un paese si sviluppa economicamente, la disuguaglianza
prima aumenta e poi diminuisce.”
Tuttavia questa teoria non ha trovato riscontro nei fatti poiché
paesi sia ricchi che poveri a seguito di un periodo di
industrializzazione hanno visto solo una fase di crescita di
disuguaglianza e non un calo successivo.
La spiegazione principale della mancata conferma all’ipotesi di
Kuznets è che la politica economica ha un peso enorme nel
determinare il livello di disuguaglianza.
Per misurare la disuguaglianza si usa il coefficiente di Gini: esso
mette in correlazione la distribuzione reale del reddito (che nel
grafico è indicata dalla curva di Lorenz) e una condizione di
perfetta uguaglianza (rappresentata dalla linea a 45°).
[rapporto di Palma pg 344]
Il "Processo di Globalizzazione" è l'insieme dei cambiamenti avvenuti dagli anni 2000 in poi:
- l'aumento dei flussi transfrontalieri di beni, servizi, capitali e tecnologie
- l'aumento della circolazione transfrontaliera di persone
- l'afflusso di ingenti quan>tà di rimesse che hanno cambiato gli schemi di consumo,
investimento e produzione
Questo processo è stato dichiarato essere inevitabile e inarrestabile poiché a guidarlo è il
progresso tecnologico.
La globalizzazione, però, non è una conseguenza inevitabile del progresso tecnologico.
Durante l’Età dell’oro del capitalismo (1945-1973), l’economia mondiale era molto meno
globalizzata di quanto lo fosse nell’età dell’oro liberale (1870-1913), e questo nonostante
esistessero tecnologie per i trasporti e le comunicazioni molto più avanzate.
Il mondo si è globalizzato al ritmo degli ultimi tre decenni solo perché gli stati più potenti e le
élite economiche del mondo ricco hanno deciso che lo volevano così.
La globalizzazione non ha nemmeno creato "il migliore dei mondi possibili”.
Negli ultimi tre decenni di iperglobalizzazione, la crescita economica ha rallentato, la
disuguaglianza è aumentata nei paesi industrializzati e le crisi finanziarie sono diventate molto
più frequenti in quasi tutti i paesi.
Con questo però non significa che l'integrazione economica sia dannosa o che i paesi debbano
isolarsi ma che, se intendono mantenere un tenore di vita dignitoso, devono partecipare
attivamente all’economia mondiale.
Per quanto riguarda i paesi meno avanzati, l’interazione con l’economia internazionale è
fondamentale per il loro sviluppo nel lungo periodo.
D’altra parte, però, questo non significa che tutte le forme e i gradi di integrazione siano
ugualmente desiderabili.
In sintesi il processo di globalizzazione ha reso i paesi industrializzati più ricchi grazie a un
aumento delle esportazioni, mantenendo però i salari dei dipendenti costanti, il risultato è
stato un aumento della disuguaglianza.
Invece, tra paesi ricchi e poveri la disuguaglianza è diminuita grazie alla crescita economica dei
paesi in via di sviluppo che hanno cominciato a podurre autonomamente e hanno "assorbito"
le nuove tecnologie provenienti dagli stati più avanzati. Tutto ciò ha portato a un
miglioramento della situazione generale in termini di disuguaglianza (il coefficiente di Gini si è
abbassato) per i paesi poveri, la quale si è avvicinata a quella dei paesi ricchi.
È comunque importante sottolineare che la disuguaglianza globale è cresciuta
costantemente negli ultimi due secoli.
Compito C
Seconda parte
Ricordiamo che l'equilibrio di concorrenza perfetta si ottiene per p=Rma dove p è il prezzo
concorrenziale ideale.
1- L'equilibrio del monopolista (perfetto) si ottiene per Rma=Cma
A differenza della concorrenza perfetta, dove le imprese sono price-taker, in monopolio
l’impresa ha la possibilità di imporre un prezzo per il prodotto che vende più alto del costo
marginale di produzioneà essa è price-maker.
La condizione Rma=Cma ci dice che l’impresa massimizza il proprio profitto producendo quella
quantità del bene per cui la differenza tra ricavi e costi totali è massima, ovvero per cui il costo
marginale è uguale al ricavo marginale.
Pertanto "unendo" le condizioni Rma=Cma di monopolio e p=Rma di concorrenza perfetta
otterrei p=Cma e questa condizione non si estende al caso del monopolio.
Per il monopolista la curva di domanda individuale è anche la curva di domanda di mercato.
Conseguentemente a ciò, il monopolista può variare il prezzo del bene venduto senza
preoccuparsi dei rivali poiché la sua dimensione coincide con quella del mercato. Scegliendo il
prezzo, egli lascia che la quantità vari lungo la curva di domanda.
3- L'equilibrio dell'oligopolio
È una forma di mercato caratterizzata dalla presenza di un “piccolo” numero di imprese che
producono e vendono un certo prodotto.
Il mercato di oligopolio è caratterizzato da interdipendenza strategica tra le imprese (ciascuna
impresa debba tenere conto del comportamento delle imprese rivali quando prende le proprie
decisioni) e da barriere all'entrata (quindi altre imprese non possono entrare nel mercato).
Due modelli molto utilizzati per studiare questa forma di duopolio (oligopolio con solo 2
imprese), i quali si differenziano tra loro in relazione alla variabile di scelta delle imprese, sono:
IL MODELLO COURNOTà quantità prodotta
IL MODELLO DI BERTRANDàprezzo di vendita
Noi analizziamo solo il modello di bertrand in questo caso: p=Cma
Supponiamo che le due imprese (modello di bertrand) producano allo stesso costo marginale e
che questo sia costante al variare dell’output. Il prezzo finale di equilibrio nel duopolio di
Bertrand eguaglierà il costo marginale e l’extraprofitto tenderà ad annullarsi. (p=Cma)
Ogni produttore sarà quindi incentivato ad abbassare il prezzo, anche di poco, al fine di vendere
il proprio prodotto a tutti i compratori, estromettendo il rivale. Ma poiché anche quest’ultimo
sarà incentivato a comportarsi nello stesso modo, i 2 produttori daranno vita ad una guerra di
prezzi al ribasso, finchè non si otterrà un prezzo al di sotto del quale non è possibile scendere,
pena l’insorgere di perdite.
Tale prezzo di equilibrio in questo duopolio uguaglia il costo marginale, ovvero il prezzo al di
sotto del quale non è più conveniente produrre. (prezzo concorrenziale)
4) Il moltiplicatore del reddito non sempre produce i risultati sperati. Quando non
funziona?
Partendo da una situazione di equilibrio contabile sappiamo che il reddito (quindi l'offerta) Y è
uguale alla domanda D. Y = D
Supponiamo che la domanda sia composta da 4 componenti:
D = C - T + I + G
1- I consumi C, i quali dipendono positivamente dal reddito attraverso un parametro 0<c<1.
C = c*Yd (Yd = reddito disponibile alle famiglie)
2- Le imposte T, composte da 2 componenti, una inversamente proporzionali al reddito secondo
una costante 0<t<1 e l'altra indipendente dal reddito T0.
T = t*Y + T0
Sapendo che il reddito disponibile alle famiglie Yd dipende dal prelievo fiscale possiamo dire:
Yd = Y - t*Y allora: C = c*(Y - t*Y)
3- Gli investimenti I che assumiamo esogeni per semplicità.
I = I
4- La spesa pubblica G che assumiamo esogena perché lo è in buona parte.
G = G
Sostituendo otteniamo:
Abbiamo dimostrato che il reddito di equilibrio dipende dalle componenti della domanda.
Il parametro è pertanto chiamato "moltiplicatore del reddito".
[scorte]
[inflazione]
5) L'età dell'oro del capitalismo (1950-70) si è sposata con un mutamento di approccio
teorico alle gestioni dell'economia nel suo insieme rispetto alle epoche precedenti. E il
suo termine con lo spostamento verso un approccio teorico in parte nuovo che
riprendeva posizioni precedenti alla crisi del 1929. Discuterne in brevi cenni.
Gli anni che vanno dal 1945 (fine Seconda guerra mondiale) al 1973 (prima crisi energetica) ,
vengono chiamati «Età dell’oro del capitalismo».”
Durante questo periodo si verifico il più alto tasso di crescita mai registrato (il reddito pro capite
crebbe del 4,1% l'anno in Europa occidentale e del 2,5% 'anno negli Stati Uniti); inoltre la
disoccupazione quasi scomparì e le economie erano stabili.
Le ragioni di questa stradordinaria performance tecnologica sono molteplici. Sicuramente la
diffusione delle nuove tecnologie sviluppare durante la guerra (esempio computer) è una di
quelle; la quale comportò una serie di investimenti in quelle tecnologie.
Si verificarono, inoltre, importanti cambiamenti nel sistema economico internazionale, finita la
guerra vennero create due istituzioni fondamentali del sistema finanziario internazionale
postbellico: il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca internazionale per la
ricostruzione e lo sviluppo (Birs), più comunemente nota come Banca mondiale.
Il Fmi venne creato per erogare finanziamenti a breve termine ai paesi in crisi di bilancia dei
pagamenti.
La Banca mondiale fu istituita per fornire prestiti per la cosiddetta «finanza di progetto»:
concedendo prestiti a lunga scadenza e/o a tassi d’interesse inferiori a quelli offerti dalle banche
private. Si concordava sul fatto che lo stato avrebbe dovuto assumere un ruolo attivo
nell’affrontare i fallimenti dei mercati non regolati.
In pratica ciò che caratterizzò l'Età dell’oro fu in sostanza il prodotto di riforme istituzionali e
politiche economiche che diedero vita a un’economia mista, la quale integrava i tratti positivi di
capitalismo e socialismo.
Questi cambiamenti politici e istituzionali hanno contribuito: creando pace sociale, sostenendo
gli investimenti, aumentando la mobilità sociale e promuovendo innovazioni tecnologiche.
Durante l’Età dell’oro del capitalismo, l’intervento pubblico aumentò moltissimo in quasi tutti i
settori di tutti i paesi.
Nel 1971 l’Età dell’oro iniziò a vacillare con la sospensione della convertibilità del dollaro in oro.
Il sistema di quel periodo era ancora sostanzialmente ancorato all’oro, perché il dollaro
statunitense, che aveva tassi di cambio fissi ed era liberamente convertibile in oro.
Quando gli Stati Uniti cominciarono a esportare meno poiché le economie locali si erano
sviluppate e la ricostruzione post bellica cessò, molti vollero riconvertire il dollaro statunitense
in oro poiché si stava svalutando.
A quel punto gli Stati Uniti annullarono l’impegno a convertire i dollari in oro. Ciò creò instabilità
nell’economia mondiale, con valute che fluttuavano a seconda degli umori del mercato e
sempre più diventavano oggetto di speculazioni monetarie (gli investitori scommettevano
sull’aumento o il calo del loro valore).
La fine dell’Età dell’oro fu segnata dal primo shock petrolifero del 1973, durante il quale i prezzi
del greggio aumentarono di quattro volte a causa dell’intesa sui prezzi stabilita dal cartello dei
paesi produttori di petrolio. Cioò porto a un aumento dell'inflazione e alla crisi energetica.
Il secondo shock petrolifero del 1979 chiuse definitivamente l’Età dell’oro, portando con sé
un’altra ondata di inflazione.
Compito D
Seconda parte
La funzione di offerta di un’impresa coincide con la funzione di costo marginale nel suo tratto
crescente rispetto alle quan>tà. Ogni punto della funzione mi dice quale deve essere il prezzo di
mercato in ordinata per consentire che la quan>tà che si produce in ascissa, in corrispondenza a
quel punto, non sia in perdita. Produrre oltre significa che il costo marginale supera il prezzo.
Produrre meno significa che si rinuncia a guadagnare qualcosa sulle unità prodotte aggiuntive
fintantochè il costo marginale resta sotto il prezzo. Il guadagno massimo lo si realizza
producendo esattamente quella quan>tà che rende uguale il costo marginale al prezzo di
mercato. (ovvero l'ottimo)
La funzione di offerta si distingue di lungo periodo quando tutti gli input produttivi sono
variabili, cioè quando anche l’impianto è oggetto di decisione da parte dell’imprenditore; e di
breve periodo quando un input, come l’impianto, è fisso o dato e la produzione può crescere solo
incrementando la quanPtà impiegata degli input non vincolati.
Sia nel breve che nel lungo periodo la funzione di costo marginale (derivata prima della funzione
di costo) nel suo tratto crescente è la funzione di offerta.
Nota tecnica: l'elas>cità dell'offerta di lungo periodo è maggiore dell'elas>cità dell'offerta di
breve periodo.
"L'impresa nel breve periodo sceglie il livello di output che rende il costo marginale uguale al
prezzo dell'output o sceglie il livello dell'input variabile che rende il valore del prodotto
marginale uguale al prezzo dell'input" : si tratta di due modi di affermare la stessa cosa.
4) Quando una economia ha rapporti con l'estero (mercato aperto) il moltiplicatore del
reddito funziona diversamente dal caso di mercato chiuso. Spiegare.
Partendo da una situazione di equilibrio contabile in un mercato chiuso sappiamo che il reddito
(quindi l'offerta) Y è uguale alla domanda D. Y = D
Supponiamo che la domanda sia composta da 4 componenti:
D = C - T + I + G
1- I consumi C, i quali dipendono positivamente dal reddito attraverso un parametro 0<c<1.
C = c*Yd (Yd = reddito disponibile alle famiglie)
2- Le imposte T, composte da 2 componenti, una inversamente proporzionali al reddito
secondo una costante 0<t<1 e l'altra indipendente dal reddito T0.
T = t*Y + T0
Sapendo che il reddito disponibile alle famiglie Yd dipende dal prelievo fiscale possiamo dire:
Yd = Y - t*Y allora: C = c*(Y - t*Y)
3- Gli investimenti I che assumiamo esogeni per semplicità.
I = I
4- La spesa pubblica G che assumiamo esogena perché lo è in buona parte.
G = G
Sostituendo otteniamo:
Abbiamo dimostrato che il reddito di equilibrio dipende dalle componenti della domanda.
Il parametro è pertanto chiamato "moltiplicatore del reddito" per un mercato chiuso.
Nel caso di un'economia aperta, bisogna considerare una funzione di esportazione E e una di
importazione.
Le esportazioni non dipendono dal reddito interno pertanto le consideriamo esogene: E = E
Un aumento delle esportazioni provoca un aumento del reddito.
Le importazioni, invece, dipendono dalle componenti della domanda e pertanto alla domanda
totale viene sottratta la domanda soddisfatta dalle importazioni mD con 0<=m<1 (ovvero quella
soddisfatta dalle importazioni) .
in conclusione:
Però bisogna tenere conto del fatto che se si ha un considerevole aumento delle esportazioni E,
esse vanno a sommarsi come componente esogeno alla domanda D e quindi al reddito Y (le
esportazioni le consideriamo esogene dato che non dipendono dal reddito interno).
5) La crisi economica recente (originata dal fallimento dei mercati dei "sub-prime" e dei
prodotti finanziari derivati a quel mercato connessi) ha messo in crisi l'approccio
teorico economico dominante sull'efficienza dei mercati. Europa e Usa hanno scelto
strade diverse per per risolvere la crisi. Provare a delineare per cenni brevissimi.
Nell'estate del 2007, quando l’interazione della liberalizzazione dei movimenti di capitale, la
trasformazione bancaria seguita dall’innovazione finanziaria e le politiche monetarie perseguite
nel corso degli anni precedenti dagli USA danno vita alla crisi.
Fino a prima dell’estate del 2007, gli Stai Uniti avevano goduto di politiche monetarie
accomodanti, abbondante liquidità, bassi tassi d’interesse reali e condizioni macroeconomiche
particolarmente favorevoli.
Le istituzioni finanziarie e in particolar modo le grandi banche d’investimento hanno creato un
sistema bancario ombra. A fronte di questo di questo sistema bancario fantasma, si è gonfiata
una bolla immobiliare, di conseguenza mutui per l’acquisto di abitazioni concessi alla clientela
rischiosa cominciano ad essere cartolarizzati in frammenti reinseriti in complessi prodotti
strutturati, poi acquistati, con il benestare delle agenzie di rating, da parte degli investitori di
tutto il mondo; quanto detto porterà ad un accumularsi di rischi a lungo sottovalutati da tutti gli
attori del mercato.
Sulla base di quanto esposto possiamo affermare che la crisi dei mercati finanziaria affonda le
sue radici all’interno dei “mutui subprime” americani; la politica dei bassi tassi d’interesse
rende possibile sia il sogno delle banche d’affari, ossia, realizzare facili profitti e sia quello di
“tutti” gli americani di possedere una casa.
L’erogazione di questi prestiti da parte delle banche è stato uno sbaglio che ha generato
conseguenze abissali di fronte agli occhi di tutti.
L'idea era basata sul costante aumento dei prezzi delle abitazioni, che aveva reso la concessione
di mutui un’attività redditizia e poco rischiosa perché semmai il mutuatario fosse diventato
insolvente, la banca avrebbe comunque ottenuto un profitto pignorandone la casa e
rivendendola a un prezzo più alto dell’ammontare del mutuo concesso.
Il meccanismo era apparentemente perfetto: molte persone alle quali era preclusa la possibilità
di acquistare una casa ora avevano accesso ai mutui, mentre le banche facevano enormi profitti
e il rischio era cosi ben distribuito da sembrare annullato.
Dopo una crisi finanziaria ingente la crisi globale del 2008, i consumi del settore privato
crollano. I debiti non vengono ripagati, il che obbliga le banche a ridurre i prestiti. Impossibilitati
a chiedere credito, aziende e individui tagliano le spese, e questo, a sua volta, riduce la
domanda di altre imprese e soggetti che prima fungevano loro da fornitori. L’andamento della
domanda si avvita in una spirale discendente.
In questo contesto, lo stato è l’unico attore economico in grado di mantenere un adeguato
livello della domanda spendendo più di quanto guadagna, vale a dire operando in deficit.
Nonostante l’entità della crisi, le riforme delle politiche sono state condotte molto lentamente.
E sebbene la causa della crisi sia stata l’eccessiva liberalizzazione del mercato finanziario, le
riforme al riguardo sono state alquanto deboli, e la loro introduzione molto lenta (lungo l’arco
di diversi anni, mentre invece le banche americane avevano avuto soltanto un anno per
adeguarsi alle riforme finanziarie molto più severe del New Deal).
L’Unione Europea ha introdotto alcune disposizioni in materia finanziaria più stringenti di
quanto la gente ritenesse possibile (per esempio la tassa sulle transazioni finanziarie e il tetto
massimo sui bonus del settore finanziario).
Negli Stati Uniti i massicci interventi della Fed (=Federal Reserve -> Banca Centrale degli USA)
riuscirono alla fine a tenere quasi del tutto sotto controllo le conseguenze più catastrofiche
della crisi. Il paese, tuttavia, rimase prigioniero di una pesante stretta creditizia che per diverso
tempo ebbe l’ef-fetto di tagliare (o rendere assai più caro) il credito alle imprese, creare
disoccupazione, ridurre i consumi e accentuare la recessione e i suoi costi sociali.
Approdando in Europa, la grande crisi si caricò di nuove implicazioni. Essa, infatti, produsse
rilevanti interventi pubblici a sostegno delle banche, anche a difesa dei risparmi dei depositanti.
In tal modo si posero le premesse di un profondo dissesto dei conti pubblici che, a sua volta,
doveva ricadere sulle spalle dei cittadini in quanto contribuenti o fruitori di servizi, amplificando
in tal modo gli effetti della grande crisi.
La gestione della crisi risultò assai più complessa, specialmente all’interno della cosiddetta
«eurozona». Vale a dire in quei paesi che condividevano l’esperimento grandioso ma
estremamente problematico della moneta unica. È in questo contesto che la grande crisi ha
pro-dotto le maggiori tensioni. Soprattutto nei paesi definiti spregiativamente Pigs («maiali»),
acronimo di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, divenuti poi Piigs con l’aggiunta dell’Italia.
Anche in questi paesi, infatti, la crisi si tradusse nella for-ma di un gravissimo deficit nelle
finanze dello Stato. Per affrontare il deficit pubblico, tuttavia, i paesi più deboli dell’eurozo-na
avevano armi del tutto spuntate. E in breve tempo si ritrovarono sull’or-lo del baratro. Vediamo
prima «perché» e poi «come».
Di regola gli Stati hanno quattro strumenti essenziali per affrontare il proprio deficit.
Innanzitutto, politiche di stimolo alla crescita che rendano possibile un maggior prelievo fiscale
e quindi irrobustiscano le entrate. In secondo luogo, consistenti tagli alla spesa pubblica, che
abbattano invece il deficit sul fronte delle uscite. In terzo luogo, l’emissione di nuova moneta da
parte delle banche centrali. Infine il ricorso al debito pubblico, vale a dire la richiesta di fondi in
prestito attraverso la vendita di titoli di Stato i quali, dopo un periodo prestabilito, vengono
restituiti all’acquirente-creditore con un interesse adeguato al rischio sostenuto.