Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
1. Generalità
Si chiamano flessibili gli organi meccanici che sono in grado di reagire soltanto a sollecitazioni di
trazione. Essi sono largamente impiegati nelle macchine di sollevamento e di trasporto e nelle
trasmissioni di potenza; nastri di acciaio rivestiti di materiale ad alto coefficiente d'attrito sono
impiegati nei freni a nastro. Rientrano fra gli organi flessibili le funi, le catene, le cinghie, i nastri, e
altri ancora.
Esistono molti tipi di funi, realizzate sia in fibre tessili sintetiche o naturali, sia in acciaio. Le più
impiegate nelle macchine di sollevamento sono le funi di acciaio a trefoli. Ogni trefolo è formato da
più fili elementari di acciaio, avvolti ad elica - in uno o più strati - attorno ad un'anima centrale in
fibra tessile, o anche metallica; una fune a trefoli (v. fig. 1.a)), a sua volta, è formata da più trefoli
avvolti ad elica - in uno o più strati - attorno ad un'anima centrale, metallica oppure in fibra tessile.
Le funi di acciaio sono largamente impiegate sia negli apparecchi di sollevamento e trasporto, sia
come organi statici con funzioni portanti o di trazione.
1
Fig. 3 - Cinghie di trasmissione: a) cinghia piatta; b) cinghia trapezoidale; c) cinghia dentata.
Le catene si distinguono in catene ad anelli (v. fig. 1.b)), impiegate prevalentemente negli
apparecchi di sollevamento, e catene articolate (v. fig. 2), impiegate sia nelle trasmissioni di
potenza, sia negli apparecchi di trasporto. Fra le catene articolate, molto comuni sono le catene dei
tipi Galle e Fleyer, le catene a rulli, le catene silenziose, le catene scomponibili a maglie; negli
apparecchi di trasporto, oltre alle precedenti (spesso realizzate in versioni speciali) si impiegano
anche apposite catene trasportatrici. Alcuni tipi di catene trovano pure largo impiego come organi
statici di trazione.
Le cinghie possono essere di vari tipi; tutte sono impiegate quasi esclusivamente come organi per
la trasmissione del moto. Le classiche cinghie di cuoio sono praticamente scomparse, sostituite
dalle cinghie piatte (v. fig. 3.a)) in tessuto di fibre sintetiche ad elevata resistenza (nylon o altro),
rivestito di materiale ad alto coefficiente d'attrito (cuoio al cromo o elastomeri). Molto diffuse sono
pure le cinghie trapezoidali (v. fig. 3.b)), per lo più costruite in elastomeri, rivestite con tessuti
resistenti all'usura e rinforzate da fili in materiale con elevata resistenza a trazione (nylon, acciaio o
altro). Le cinghie dentate (v. fig. 3.c)), infine, dette anche sincrone, sono costitutivamente simili alle
cinghie, ma nella trasmissione del moto si comportano in modo analogo alle catene, dato che si
impegnano in ruote dentate, mentre le cinghie vere e proprie si avvolgono su pulegge lisce, piane o
bombate (cinghie piatte) o a gola (cinghie trapezoidali). Tutte le cinghie vengono oggi costruite, di
regola, ad anello chiuso, con un'ampia gamma di lunghezze prestabilite.
Per trasmettere potenza meccanica da un albero ad un altro parallelo al primo si può fare uso di
trasmissioni a cinghia.
Consideriamo la trasmissione schematizzata in figura 4. Se indichiamo con R1 , R2 i raggi delle
due pulegge (comprendendovi anche il semispessore della cinghia), con T1, T2 gli sforzi di trazione
nei due rami di cinghia, con M1 ed M2, il momento motore ed il momento resistente, possiamo
scrivere per l’equilibrio alla rotazione della puleggia condotta, prescindendo dalle perdite di
rendimento:
( T1 - T2 ) R2 = M2 (1)
II momento motore può essere calcolato scrivendo l’equilibrio alla rotazione della puleggia
conduttrice. Si ha:
Affinché si possa trasmettere potenza fra le due pulegge è dunque necessario che nei due rami
2
della cinghia si sviluppino due forze di trazione fra loro diverse. Fra queste due forze la T1 è la
maggiore.
Ammesso pertanto che in condizioni di esercizio si stabiliscano nei due rami della cinghia forze di
trazione T1 e T2 fra loro diverse, uno dei due rami, quello su cui agisce la forza T1, subisce un
allungamento, mentre l’altro, dovendo la lunghezza della cinghia restare immutata, si accorcia.
Questa osservazione permette di trovare una relazione fra T0, T1 e T2. ove T0 è la forza con cui è
messa in trazione al montaggio la cinghia. Infatti, se prescindiamo da ciò che accade nelle zone di
contatto fra cinghia e pulegge, la lunghezza della cinghia resta immutata, nel passare dalla
situazione di montaggio a quella di funzionamento, purché sia:
T1 + T2 = 2T0 (3)
Consideriamo adesso l’equilibrio alla rotazione di una puleggia, ad esempio di quella motrice.
La coppia motrice è equilibrata dalla coppia risultante (T1 – T2)R1 delle azioni elementari
trasmesse dalla cinghia; coppia dovuta, in definitiva, alle azioni elementari di attrito. La coppia può
assumere il suo valore massimo quando tali azioni sono distribuite su tutto l’arco di contatto fra
cinghia e puleggia. Consideriamo questo caso.
Affinché nascano azioni di attrito fra cinghia e puleggia è necessario che questi due corpi striscino
l’uno rispetto all’altro. Si possono avere strisciamenti globali, qualora la puleggia abbia una velocità
periferica decisamente maggiore della velocità della cinghia; ma è un caso da evitare. Si possono
avere strisciamenti locali, dovuti alla deformabilità della cinghia; è questo il caso corretto. È facile
rendersi conto che non si può avere azione tangenziale fra un elemento della puleggia ed un
elemento di cinghia che non strisci sulla puleggia, ma che sia ad essa aderente. Infatti un’azione
tangenziale implica una variazione della forza T (come sarà meglio visto fra poco), ossia una
dilatazione della cinghia, con conseguente suo strisciamento elastico sulla puleggia.
In definitiva una puleggia motrice trasmette la massima coppia quando cinghia e puleggia
scorrono l’una rispetto all’altra su tutto l’arco di contatto. Perché ciò accada occorre che la velocità
periferica della puleggia sia ovunque maggiore di quella della cinghia. La condizione che questo
strisciamento sia di tipo elastico è verificata allorché la puleggia ha velocità periferica pari a v1,
ossia quando la velocità periferica della puleggia coincide con la velocità del ramo di cinghia che su
di essa si avvolge. A partire dal punto in cui ha inizio il contatto la velocità della cinghia diminuisce
e nascono gli scorrimenti elastici che danno origine alle azioni tangenziali di contatto.
Se la puleggia dovesse trasmettere una coppia inferiore a quella massima, le azioni tangenziali
sarebbero limitate ad una porzione dell’arco di contatto fra cinghia e puleggia. In questo caso su di
una parte di questo arco (adiacente al ramo che si avvolge, per quanto già osservato) non si
avrebbero azioni tangenziali, ossia non si avrebbero dilatazioni della cinghia; si avrebbe invece
aderenza fra cinghia e puleggia.
Considerazioni analoghe si possono fare per il caso della puleggia condotta. Anche in questo caso
la puleggia ha una velocità periferica uguale a quella del ramo di cinghia che su di essa si avvolge.
Le due pulegge, motrice e condotta, hanno in definitiva velocità periferiche diverse; queste due
velocità coincidono, rispettivamente, con v1 e v2. Da tale differenza discende, ovviamente, una
perdita di rendimento della trasmissione.
3
Fig. 5 - Equilibrio di un elemento di cinghia.
Passiamo adesso a calcolare i valori che le forze T1 e T2 debbono assumere affinché la coppia
resistente Μ2 possa essere equilibrata. La (1) da sola non permette di trovare i valori delle due forze.
Occorre un’altra relazione, che può essere trovata considerando l’equilibrio di un elemento di
cinghia avvolto sulla puleggia condotta.
Indichiamo con α l’angolo generico che un raggio uscente da O2 forma con il raggio O2A, in
corrispondenza del quale ha inizio il contatto fra cinghia e puleggia (fig. 5).
Consideriamo un elemento di cinghia limitato da due piani passanti per l’asse della puleggia e
formanti fra loro l’angolo dα. Su questo elemento agiscono le forze seguenti:
• forze trasmesse all’elemento dai tratti di cinghia ad esso adiacenti. Queste forze se la
cinghia è, come supponiamo, di sottile spessore, sono dirette normalmente alle superfici che
limitano l’elemento. Indichiamo con T la forza agente sulla faccia posta in corrispondenza
dell’angolo generico α, con T + dT la forza sull’altra faccia;
• forza centrifuga, data dal prodotto della massa dell’elemento per l’accelerazione centripeta
cui la massa stessa è sottoposta. Se indichiamo con q la massa per unità di lunghezza della
cinghia, la forza centrifuga vale qv2dα;
• reazione della puleggia sull’elemento di cinghia. In generale la reazione ha due
componenti: una normale ed una tangenziale (quest’ultima si annulla però nella zona di aderenza
fra cinghia e puleggia). Se indichiamo con p la componente normale della forza di contatto per
unità di lunghezza, la componente normale della reazione vale pR2 dα. La componente
tangenziale vale a sua volta f pR2 dα.
La condizione di equilibrio dell’elemento alla traslazione radiale è:
dα dα
T sin + (T + dT )sin = pR2 dα + qv 2 dα (4)
2 2
Per l’equilibrio alla traslazione secondo la direzione perpendicolare alla precedente si ha poi:
(T + dT )cos dα − T cos
dα
= fpR2 dα (5)
2 2
4
T = pR2+ qv2 (4’)
dT = f pR2 dα (5’)
Si ha cioè:
dT=f(T-qv2)dα (6)
equazione differenziale che permette di trovare l’andamento della forza di trazione lungo l’arco di
contatto fra cinghia e puleggia. Separando le variabili la (6) diviene:
dT
= fdα
T − qv 2
T – qv2 = C e fα (7)
T2 - qv2= C
ossia:
T-qv2=( T2 - qv2) e f α
Se indichiamo con α2 l’angolo di avvolgimento della cinghia sulla puleggia condotta si ha:
Questa relazione è valida, come si è detto, nella ipotesi che su tutto l’arco di contatto la cinghia
strisci rispetto alla puleggia.
Di norma, tuttavia, in corrispondenza della zona di entrata della cinghia sulla puleggia esiste un
tratto di aderenza. Quindi l’arco di strisciamento risulta più piccolo di quello di avvolgimento.
Facendo riferimento alla fig. 5 supponiamo che si abbia aderenza sull’arco AB e strisciamento
sull’arco BC. Allora la (7) è valida soltanto nel tratto BC, mentre nel tratto AB la forza T si mantiene
costante ed uguale a T2. A partire dal punto B la forza T varia secondo la (7) e raggiunge il valore T1
in corrispondenza del punto C. Vale la relazione:
dove con β2<α2 si è indicato l’angolo formato fra i raggi O2B ed O2C.
Le equazioni di equilibrio (4) e (5) possono essere scritte anche per un elemento di cinghia
avvolto sulla puleggia motrice. L’unica variante da introdurre riguarda il valore del raggio: R1 in
luogo di R2. Ma questa sostituzione non modifica affatto le (6) e (7), che valgono anche in questo
caso.
5
In luogo della (8) si ha per la puleggia motrice:
dove α1 è l’angolo di avvolgimento della cinghia sulla puleggia motrice. In luogo della (9) vale poi
la relazione seguente:
dove β1 è l’angolo corrispondente all’arco di strisciamento sulla puleggia motrice. È ovvio che il
rapporto:
T1 − qv 2
T2 − qv 2
deve avere lo stesso valore, sia che si consideri la puleggia motrice, sia che si consideri la puleggia
condotta. Ed è chiaro che le (8) e (10) danno per tale rapporto lo stesso valore soltanto se fα1 = fα2,
ossia, se i coefficienti di attrito sono uguali, soltanto se α1 = α2. Quindi le (8) e (10) possono essere
valide soltanto se le due pulegge hanno lo stesso diametro. Con pulegge di raggio diverso può
accadere che valga una delle due relazioni (8) o (10): quella relativa alla puleggia di raggio minore.
Per la puleggia maggiore esiste invece, in ogni caso, una zona di aderenza, giacché l’angolo di
strisciamento deve essere lo stesso per le due pulegge. Per la puleggia maggiore vale quindi la (9)
ovvero la (11), a seconda che la puleggia stessa sia condotta o motrice.
La situazione adesso prospettata è una situazione limite. La puleggia minore funziona senza alcun
margine di sicurezza: come già abbiamo osservato, essa trasmette alla cinghia la massima coppia
che questa può assorbire, ovvero riceve dalla cinghia la massima coppia che questa può trasmettere.
Un sovraccarico porterebbe come conseguenza lo slittamento globale della cinghia sulla puleggia,
con scarrucolamento e deterioramento della cinghia.
In condizioni corrette di funzionamento la trasmissione deve avere un certo margine di sicurezza.
Pertanto occorre fare in modo che valgano le (9) e (11), con β1 e β2 alquanto minori di α1 ed α2.
Come ordine di grandezza si può imporre che sia β1 = β2 = π/2. Indichiamo con β il valore comune
dell’angolo di strisciamento sulle due pulegge. Si ha così:
T1 − qv 2 − (T2 − qv 2 ) =
M2
R2
M 2 R2
T2 = + qv 2
e −1
fβ
(13)
M R
T1 = fβ2 2 e fβ + qv 2
e −1
che danno i valori delle forze di trazione nei due rami della cinghia.
6
Affinché nei due rami possano svilupparsi le forze T1 e T2 sopra calcolate, occorre che la cinghia
venga tesa, all’atto del montaggio, da una forza T0 data dalla (11.3). Si ha cioè:
M 2 R 2 e fβ + 1
T0 = fβ + qv 2
e −1 2
Secondo questa formula il valore di T0 dipende dal valore di v. In realtà nel calcolo di T0 il
termine in v2 può essere omesso, come se la cinghia funzionasse ad una velocità periferica
pressoché nulla. Vediamo di spiegarne il perché.
Supponiamo che la velocità della cinghia sia molto piccola. In luogo delle (13) valgono le seguenti:
M 2 R2
T20 =
e fβ − 1 (14)
M R
T10 = fβ2 2 e fβ
e −1
nelle quali abbiamo indicato con T20, T10 le forze T2, T1 per v = 0.
Si potrebbe dimostrare che, all’aumentare della velocità della cinghia, le forze centrifughe che
nascono sui rami della cinghia, disposti sotto il proprio peso a catenaria (v. la fig. 6), tendono ad
accrescere il valore delle forze di trazione nei due rami; e l’incremento che queste forze subiscono è
dell’ordine di grandezza di qv2.
Pertanto in una cinghia, che sia messa in trazione al montaggio con una forza:
T10 + T20 M 2 R2 e fβ + 1
T0 = = fβ (15)
2 e −1 2
all’aumentare di v aumentano i valori delle forze di trazione nei due rami, che passano dai valori
iniziali ai valori:
È quindi sufficiente che la forza T0 sia calcolata in base alla (15). Con cinghie piatte si usa
prendere:
(e quindi T0 ≈ 2 M2 /R2).
Se f è, come di solito, dell’ordine di 0,3, ai valori sopra indicati corrispondono valori di β
dell’ordine di π/2.
7
È evidente l’opportunità che il coefficiente di attrito assuma valori elevati. Dalle (14) risulta,
infatti, che al crescere di f β, a parità di Μ2/R2, T20 e T10 decrescono; come caso limite, al tendere di f
all’infinito, T20 tende a zero e T10 tende a M2/R2 (come per le catene e per le cinghie dentate).
Nel prossimo paragrafo mostriamo come, con l’impiego delle cinghie trapezoidali, si possano
ottenere valori molto elevati degli esponenti che figurano nelle (14).
3. CINGHIE TRAPEZOIDALI
Una cinghia trapezoidale, o cinghia a V, è così chiamata per la forma della sua sezione, che si
presenta come mostrato in fig. 7. La cinghia è costruita in gomma vulcanizzata con armatura in
cotone, in fili di nylon, od anche in fili di acciaio (v. fig. 3 b)). Il materiale con cui la cinghia è
costruita permette di raggiungere elevati coefficienti di attrito; ma è soprattutto il modo con il quale
la cinghia esercita la sua azione sulla puleggia, che contribuisce ad accrescere l’esponente che
compare nelle (14).
La cinghia trapezoidale viene a contatto con la puleggia sulle superfici laterali di una gola a V. La
forza di contatto fra cinghia e puleggia si sviluppa, quindi, su queste superfici.
Se indichiamo ancora con pR2 dα la reazione elementare normale della puleggia contro una delle
due facce laterali della cinghia, l’azione elementare di attrito su ciascuna delle due facce vale f pR2
dα. Le (4’) e (5’) si modificano nelle seguenti:
dT =
f
(T − qv 2 ) ⋅ dα
sinψ
Valgono quindi tutte le relazioni del paragrafo precedente, in particolare le (13) e (14),
purché si sostituisca ad f un coefficiente di attrito fittizio f’ dato da:
f
f′=
sinψ
8
Dato che ψ è di regola dell’ordine dei 17°, è f’ ≈ 3,5 f. Come conseguenza le forze di trazione nei
due rami della cinghia possono essere mantenute a valori assai inferiori a quelli delle cinghie piatte.
Si usa prendere:
Osserviamo che il perno sul quale è montata una puleggia è sottoposto ad una forza uguale alla
risultante delle azioni trasmesse dalla cinghia alla puleggia, ossa alla risultante delle forze T10 e T20,
disposte lungo i rami della cinghia (e non alla risultante di T1 e T2, giacché la reazione della
puleggia sulla cinghia, come risulta dalla (4’), è proporzionale a T - qv2).
È chiara la opportunità che la forza che sollecita il perni sia piccola. Da questo punto di vista le
cinghie trapezoidali sono preferibili a quelle piatte. Altro pregio delle cinghie trapezoidali, rispetto a
quelle piatte in cuoio, è la maggiore silenziosità di funzionamento. Per tali motivi le cinghie
trapezoidali hanno quasi dovunque soppiantato le cinghie piatte; queste ultime trovano impiego
soltanto in casi particolari, ad esempio nelle macchine tessili, dove peraltro vengono usate cinghie
tessute. L’impiego delle cinghie piatte in cuoio è ormai molto raro.
9
Tabella 1 - Campi di impiego tipici dei principali tipi di trasmissioni meccaniche
10