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CIVICA SCUOLA DI MUSICA “CLAUDIO ABBADO”

Civici Corsi di Jazz

CORSO DI LAUREA BIENNALE DI II LIVELLO AFAM


IN PIANOFORTE JAZZ

Tesi di laurea

“Maiden Voyage: il viaggio sonoro di Hancock”

Relatore: M° Franco D'Andrea


Correlatore: M° Gabriele Comeglio

Candidato:
Marco CONFALONIERI
Matricola 24501

ANNO ACCADEMICO 2021/2022


Indice

1. Introduzione
2. Leader e Sideman
2.1 Takin'off
2.2 My Point of View
2.3 Miles Davis Quintet
2.4 Inventions and Dimensions
2.5 Empyrean Isles
3. Pianismo
4. Maiden voyage
4.1 Maiden Voyage
4.2 The Eye of the Hurricane
4.3 Little One
4.4 Survival of the Fittest
4.5 Dolphin Dance
5. Analisi solo su Dolphin Dance
6. Repertorio concerto di laurea
7. Conclusioni e ringraziamenti

APPENDICE: set list


1. INTRODUZIONE

La mia ricerca sul celebre album “Maiden Voyage” nasce principalmente dalla fascinazione che
l'autore dell'opera, il pianista americano Herbie Hancock, ha esercitato su di me negli anni di studio
jazzistico e, in particolare, in questo biennio accademico.
Pianista sempre in grado di stupire per la costante ricerca, la ricchezza e la profondità del
linguaggio improvvisativo e jazzistico in generale, mi ha sempre colpito per la naturalezza e il relax
che comunica, e per l'apparente “leggerezza” nel modo di suonare, nonostante la profondità della
sua musica.
L'album rappresenta il culmine della produzione discografica giovanile di Hancock, come leader; è
anche un momento di sintesi e di ricerca dei suoi orizzonti sonori, sempre a cavallo tra cultura
pianistica afro-americana e ricerca armonica di stampo europeo. L'elaborato vuole quindi prendere
in esame “Maiden Voyage” come punto di incontro di queste due componenti sempre presenti nel
linguaggio del pianista, oltre ad analizzarne i brani per rivelarne la grande versatilità e capacità
compositiva.
Nonostante la grandissima influenza che quest'album ha avuto sulla scrittura jazzistica e sul
pianismo moderno, mi sono scontrato con la grande carenza di pubblicazioni in merito, relegate
all'autobiografia Possibilities, a qualche recensione o analisi formale di sue composizioni e
trascrizioni di assoli.
Dopo alcuni cenni riguardo alla discografia precedente del pianista – come leader e come sideman
del Miles Davis Quintet – e alcune considerazioni generali legate al pianismo di Hancock, cercherò
di prendere in esame le composizioni dell'album per trarne considerazioni formali ed estetiche.
In ultimo intraprenderò l'analisi del solo di Hancock sul celebre brano Dolphin Dance, che vuole
confermare la ricchezza di linguaggio del musicista.
2. LEADER E SIDEMAN

2.1 TAKIN' OFF

Dopo le prime esperienze newyorkesi con la band di Donald Byrd, Hancock viene ingaggiato dalla
Blue Note per registrare il suo primo album da leader, “Takin' Off” del 1962.
Il debutto rivela subito l'abilità del pianista nel miscelare la complessità con l'accessibilità e
l'apparente immediatezza delle sue composizioni e del suo modo di suonare. Caratteristica che lo
può avvicinare a Horace Silver o Bobby Timmons, con i quali condivide l'attitudine funky e
l'approccio bluesy, per altro evidenti in una hit come Watermelon Man.
Hancock rivela da subito una maggiore complessità armonica e una profondità diversa da Silver e
Timmons (vedi Alone and I del medesimo album), è da subito pianista di sintesi tra mondo
afroamericano e ricerca armonica di stampo europeo. In questo debutto emerge già la sua capacità
di esprimersi con inusuale creatività e profonda immaginazione all'interno di strutture definite.

2.2 MY POINT OF VIEW


Registrato nel 1963, l'album conferma il talento nascente di Hancock e la sua versatilità: tutti e sei i
brani sono da lui composti e arrangiati, inusualmente, per un combo allargato di sette elementi.
Nella prima traccia (Blind Man, Blind Man) è ancora una volta evidente l'attitudine funky e bluesy
del pianista; il brano rappresenta una presa di coscienza della propria identità afro-americana e del
proprio background. Caratteristiche, queste, che ritroviamo anche in And What If I Don't, quinta
traccia dell'album.
La varietà compositiva e di linguaggio di Hancock si evidenzia nell'alternanza di momenti
“mainstream”, più codificati armonicamente e formalmente (A Tribute to Someone), con ballad
liriche e ricche armonicamente, di sapore evansiano (The Pleasure is Mine).
Con King Cobra Hancock sperimenta un'apertura ad armonie meno convenzionali, non funzionali:
gli accordi si susseguono creando tensione e descrivendo musicalmente la sinuosa potenza del
rettile. Anche l'incedere ritmico rivela un'impronta stilistica già ben definita dell'Hancock
compositore. Il concetto di musica concettuale e immaginifica, propria di questo brano, sarà
centrale nello stesso album “Maiden Voyage”.

2.3 MILES DAVIS QUINTET


Entra nel maggio del 1963 nel quintetto di Miles Davis, per la registrazione di “Seven Steps to
Heaven”. Assieme a Ron Carter, Tony Williams e George Coleman. Hancock incide tre brani
(Seven Steps to Heaven, So Near, so Far e Joshua) sostituendo il pianista Victor Feldman. Si tratta
di un disco di passaggio per il quintetto del celebre trombettista, ma Hancock può esercitarvi da
subito la libertà creativa che Davis concederà ai suoi musicisti: “Non avevamo mai suonato insieme
i brani dell'album, ma a Miles provare non interessava [....] Era convinto che provare troppo
soffocasse l'istinto creativo. La musica per lui era spontaneità e scoperta, ed era a questo che
puntava nei suoi album”1. Nei tre brani Hancock si distingue per un solido linguaggio
improvvisativo hard bop, già dinamico e creativo, e per un comping fantasioso, ricco di armonici,
interattivo con i solisti. Eredita un marcato “blues feeling” e una spiccata propensione allo swing
dal suo predecessore Wynton Kelly, proiettandosi però verso una ricerca armonica evoluta e
riflessiva, oltre che verso una maggiore creatività e libertà ritmica.
Registrato nel Gennaio del 1965, “E.S.P.” vede l'entrata nel quintetto da parte del sassofonista e
compositore Wayne Shorter, che introduce brani propri dalle caratteristiche melodico-armoniche
uniche.
L'album sintetizza le sperimentazioni sulla forma e sull'andamento ritmico che il quintetto stava
sviluppando parallelamente nell'attività live. Elementi fondanti saranno lo “stop and go” (in brani
come R.J., Agitation), l'utilizzo di pedali armonici (Little One, Mood), la creazione di una
“direzione armonica” nata da suggestioni (E.S.P.), la sospensione ritmica (R.J, Eighty-One) e la
modulazione della forma (Iris). Le melodie diventano gradualmente più autonome rispetto
all'armonia e ciò mette in risalto la creatività e la sperimentazione di fraseggio da parte dei cinque
componenti, all'interno di un'interpretazione elastica e ambigua della tonalità.

2.4: INVENTIONS AND DIMENSIONS


Terzo lavoro da leader, uscito nell'agosto del '63, è un disco di rottura che mette in evidenza la
volontà di Hancock di sperimentare e uscire dagli schemi.
Pianisticamente l'album evidenzia la grande padronanza e completezza dell'autore e la sua costante
ricerca: la formazione è un quartetto “latin oriented” sperimentale.
Le composizioni, eccetto Mimosa, sono completamente improvvisate a livello melodico e
armonico: le idee armoniche di Hancock nascono e si sviluppano estemporaneamente sulla base di
ritmi fluidi. Il risultato è una musica imprevedibile, con l'assunzione di molti rischi: un autentico
“disco laboratorio” per mettersi alla prova e cercare nuove vie non convenzionali, modalità che
Hancock svilupperà in seguito sia nel quintetto di Miles che nei propri successivi lavori da leader.
Evidente è l'influenza che Eric Dolphy ha esercitato sul pianista di Chicago, durante le rispettive
collaborazioni: “ho lavorato con Eric Dolphy. Era la prima volta che mi cimentavo – come sideman

1 Hancock Herbert Jeffrey, Dickey Lisa, “Possibilities”, Minimum Fax, Roma 2015
– con la musica “libera”. Nel senso di un modo di suonare che permetteva più spontaneità di
qualsiasi cosa avessi fatto in precedenza.”2

2.5: EMPYREAN ISLES


Registrato nel giugno del 1964, l'album include quattro composizioni interamente scritte e
arrangiate da Hancock. Il pianista pare ritornare alla corrente prevalente dell'hard bop, ma
espandendone i limiti.
A dimostrazione, ancora una volta, della propria versatilità pianistica e compositiva, Hancock
bilancia brillantemente hard bop convenzionale (One Finger Snap), armonie non funzionali dal
sapore modale (Oliloqui Valley), funk con vamp trascinanti (la hit Cantaloupe Island) e
improvvisazione aperta, partendo da frammenti melodico-armonici (The Egg).
Questi quattro territori jazzistici sono gestiti con eguale maestria ed efficacia, suonati dal quartetto –
in cui spicca un ispiratissimo Freddie Hubbard alla tromba – con grande intensità e con la ricerca di
spazi sonori non convenzionali.

2 Hancock H., original liner notes, “Inventions and Dimensions”, Blue Note Records
3. PIANISMO

Come accennato in precedenza, Herbie Hancock rappresenta un'efficace sintesi pianistica tra mondo
afro-americano e profondità armonica eurocolta. In questo incarna forse l'esempio più efficace di
convivenza tra le due “correnti” pianistiche: una che si è evoluta partendo dal pianismo nero stride e
bluesy (Earl Hines, James P Johnson, Bobby Timmons) e quella parallela, spiccatamente “bianca”,
che vede in Bill Evans il primo grande esponente.
Tra i musicisti che hanno da subito influenzato il pianista di Chicago, ritroviamo Oscar Peterson e
George Shearing: dal primo Hancock desume uno spiccato senso del blues e una padronanza
completa e personale dei licks caratteristici proiettati in una dimensione di totale libertà ritmica.
Da Shearing, per esempio, Hancock filtra la ricchezza armonica e il movimento cordale (i cosiddetti
block chords).
Il pianista di Chicago confessa anche l'influenza che ha esercitato su di lui Bill Evans: egli ha
tracciato la strada per una ricerca armonica che Hancock fa propria, proiettandola in una
dimensione di grande libertà e disinvoltura, che lo porterà a cimentarsi anche con un'idea di
improvvisazione più libera da rigidi schemi armonici. Da notare, infatti, la sua primissima
collaborazione con Eric Dolphy e la sua capacità di sperimentare in contesti a lui nuovi.
Una caratteristica distintiva del pianismo di Hancock, oltre alla libertà ritmica e alla capacità di
suonare complesse poliritmie con disinvoltura e naturalezza, è il tocco: a differenza di molti
coetanei (ad esempio Jarrett, Corea) Hancock mantiene nel suo fraseggio un'accentazione piuttosto
variegata, dedotta da pianisti bop e post bop di stampo afro-americano (Wynton Kelly su tutti). Per
quanto non irruente come quello di Mc Coy Tyner, il tocco di Hancock alterna ai momenti più
delicati uno stile percussivo; forte senso dello swing, relax sul beat, ampio utilizzo delle ghost
notes, che danno propulsione ritmica non solo nei brani prettamente funky, sono tutti tratti
riconoscibili del suo pianismo.
Da considerare anche la sensibilità e la ricchezza con cui Hancock esplora i colori e gli armonici
che un pianoforte gli può offrire: con Miles Davis, per esempio, il pianista ha saputo trarre
vantaggio dagli armonici per imprimere all'accompagnamento un carattere “orchestrale”. È
evidente, infatti, il ricco vocabolario di voicing che Hancock riesce a utilizzare nel proprio comping
e nel proprio linguaggio solistico, la brillantezza sonora degli accordi e la creatività nell’ideare
tessiture armoniche di vario tipo. Orchestrale è anche la sua concezione del pianoforte: Hancock ha
consapevolezza di tutti i registri che lo strumento offre, li esplora e li sa dosare, nel piano solo come
in alcuni momenti di piano trio. In lavori come “Inventions and Dimensions”, inoltre, emerge la sua
capacità di far dialogare le due mani con intento contrappuntistico, melodico e ritmico, creando
poliritmie con una naturalezza invidiabile: caratteristica, quest'ultima, che è un suo vero e proprio
marchio distintivo.
Hancock è inoltre il primo pianista jazz ad avere sviluppato un tocco personale e riconoscibile sia
sul pianoforte acustico che sul Fender Rhodes: la sua passione per l'elettronica lo porta, infatti, a
personalizzare i suoi strumenti, creando un suono consistente e brillante anche su uno strumento
“limitato” in termini di sfumature dinamiche. Questo suono distintivo sarà centrale nella sua
produzione discografica con gli HeadHunters e con dischi come “Thrust”, “Manchild” o
“Sunlight”.
L'esplorazione delle possibilità “percussive” sul piano elettrico e sul clavinet, porta Hancock a
sviluppare un tocco più deciso e aggressivo. Il pianista si trova a competere allo stesso livello
sonoro di Tony Williams, specie durante le registrazioni dell'album live “V.S.O.P.”, che dimostrano
questo suo nuovo approccio al jazz acustico. Con l'album in piano solo “The Piano”, Hancock
dimostra invece di riuscire a miscelare percussività e tocco delicato, armonioso e di derivazione
classica.
4. MAIDEN VOYAGE

Pubblicato nel maggio del 1965, Maiden Voyage è il quinto disco di Hancock in veste di leader. Un
“concept album” interamente dedicato al tema del viaggio e del mare: “Questa musica tenta di
catturarne la vastità e la maestosità, lo splendore di un vascello che naviga nel suo viaggio
inaugurale, la grazia giocosa dei delfini, l'eterna lotta per la sopravvivenza anche delle creature
marine più piccole, l'eccezionale potenza distruttiva dell'uragano, nemesi dell'uomo di mare3”.
L'album è universalmente riconosciuto come il migliore del pianista, per quanto riguarda la sua
discografia solista degli anni '60 sotto etichetta Blue Note. La formazione comprende la consolidata
ritmica di Tony Williams alla batteria e Ron Carter al contrabbasso, assieme a Freddie Hubbard
(tromba) e George Coleman (sax tenore); le cinque composizioni originali di Hancock permettono
ai musicisti di esibire un solismo imprevedibile, a tratti provocante, tessiture tonali e armonie
inconsuete. La militanza nel quintetto di Davis ha reso la band coesa e consapevole del proprio
valore, e le sperimentazioni armoniche, di tipo non funzionale e modale, sono state completamente
assimilate dallo stesso Hancock. Nonostante la band si assuma rischi a livello performativo, la
musica di Maiden Voyage risulta gradevole e accessibile: è l'album che più di tutti mantiene un
equilibrio tra jazz di una certa liricità e hard bop incalzante, il tutto in un contesto di profondo
interplay.

4.1 MAIDEN VOYAGE


La title track allude alla partenza della barca metaforica di Hancock: il brano è fortemente
immaginifico e, nella sua apparente semplicità formale, rivela la maestria del pianista nel rendere
musicalmente delle immagini e sensazioni precise.
Le armonie aperte e sospese, la melodia dilatata e ripetuta, il pattern ritmico sincopato sono tutti
elementi atti a rendere onomatopeicamente l'immagine della barca in mare aperto: il dondolio
dell'imbarcazione, il moto ondoso di sottofondo, lo spazio aperto dell'oceano.
Si tratta di un brano con forma AABA di 32 misure, armonicamente costruito su accordi non
funzionali di dominante sospesa (ad eccezione dell'accordo Dbm7 di misura 14): questa scelta
determina un sound aperto, costruito fondamentalmente sul modo misolidio. Gli intervalli di quarta
che costituiscono questi accordi (e buona parte della melodia), creano un'atmosfera più ambigua e
meno identificabile rispetto a una struttura tonale.
La melodia è composta principalmente da intervalli di quarta giusta ascendente e discendente: nella
misura iniziale (anacrusi) e a misura 5. Questa cellula viene poi modulata in coerenza con i cambi di

3 Hancock H., original liner notes, “Maiden Voyage”, Blue Note Records
armonia: la ritroviamo nelle misure 9 e 14, per poi essere ripetuta in identico modo nell'ultima
sezione A.
Questi intervalli di quarta ascendente e discendente sono raccordati da alcuni movimenti diatonici
di tono e semitono, legati strettamente al modo scalare degli accordi. La cellula melodica delle
misure 13-14 ci indica come l'accordo di Db7sus, così indicato da molti real book, sia in realtà da
considerare un Dbm7 (modo dorico), come si può riscontrare dalla registrazione originale.
L'elemento forse più importante della composizione è l'ostinato ritmico: si nota la ripetizione
costante di una cellula di due misure composta da una semiminima, semiminima legata a croma,
due semiminime puntate legate tra loro e infine una croma legata a quattro crome. Tale figurazione
è scandita dall'intera ritmica, con pianoforte e contrabbasso che fioriscono la misura distesa con
movimento melodico a quarte giuste.
Il groove del brano è indicabile come “even – eights”, con l'ostinato della ritmica che può essere
associabile ad una trasformazione del ritmo bossanova.
4.2 THE EYE OF THE HURRICANE

Questo brano si contraddistingue per sonorità e andamento tipicamente hard bop, ma con
caratteristiche che lo rendono unico e soluzioni musicali che, ancora una volta, riescono
efficacemente a costruire un'immagine precisa.
Si tratta di un fast tempo, volto a rompere la serenità sospesa di “Maiden Voyage” e a disegnare un
quadro ben diverso: l'uragano, la tempesta marina e la sua potenza.
I fiati espongono con decisione il tema: sono all'unisono nella prima esposizione, armonizzati solo a
chiusura della seconda frase (misura 5) e a misura 11, nell'obbligato ritmico eseguito dalla band. Il
secondo tema riprende invece un'armonizzazione a intervalli di quarta giusta nelle prime tre misure,
per poi procedere come nella prima esposizione.
L'armonizzazione a quarte genera un sound deciso, netto, quasi minaccioso. Il climax di tensione si
raggiunge con la cellula poliritmica (misure 7–10) ripetuta dal pianoforte, che assieme al
contrabbasso suona un voicing piuttosto dissonante (struttura sovrapposta di Fm6 con Gm7b5):
questa soluzione musicale pare raffigurare il boato dei tuoni di una tempesta. La tensione rimane
alta a misura 11, con l'obbligato “full band”, cromatico e armonizzato, che sembra veicolare la
drammaticità della barca in preda alle onde tempestose.
A livello armonico il tema prevede progressioni funzionali II-V che si risolvono su Db maggiore
(prime 3 misure), per poi procedere con una concatenazione di accordi non funzionali (Gbm7 e
Bbm7) a misura 5. Da misura 7 a 10 l'accordo espresso, di non facile interpretazione, pare essere un
poliaccordo di Fm6 nella parte grave, a cui si sovrappone un Gm7b5 incompleto nelle voci più
acute: con azzardo si potrebbe definire, date le dissonanze, un “accordo onomatopeico”.
La chiusura del tema si appoggia sull'accordo tonale di Fm7: è la tonalità di un chorus blues minore
di 12 misure su cui si dipanano le improvvisazioni di Hubbard, Coleman ed Hancock.
La melodia procede in ambito pentatonico nelle prime 5 misure, principalmente su scala pentatonica
minore di C: gli intervalli che ritroviamo sono infatti di quarta discendente (misura 1), quinta
discendente (misura 2) e di tono (misure 2 e 4). Nelle misure 4 e 5 la cellula melodica viene ripresa
e modulata su scala pentatonica minore di C#, mentre troviamo un intervallo più largo – di sesta
maggiore – a fine misura 5. A misura 6 la melodia procede per cromatismi ascendenti e discendenti
a pattern, mentre nelle misure 7-10 il pianoforte scandisce la nota F#, che risulta essere b9
dell'accordo esteso di Fm6; a misura 11 di nuovo un andamento cromatico misto in modalità
pattern, prima che la melodia si stabilizzi su F (misure 12-13), tonica della struttura di blues minore
su cui è costruito il brano.
Ritmicamente The Eye of the Hurricane si configura come un fast tempo swing in 4/4, con alcune
interessanti soluzioni:
• da misura 7 a 10: l'accordo dissonante scandito da pianoforte e contrabbasso determina una
forte poliritmia, identificabile come una cellula ripetuta di 5/4. È il primo elemento di forte
contrasto ritmico, rispetto all'incipit e alla chiusura del tema.
• misura 11: l'obbligato dei fiati è in 6/4, con figura melodica puntata che continua a rendere il
contrasto ritmico già scandito nelle misure precedenti
• seconda esposizione del tema: nella trascrizione allegata l'obbligato dei fiati viene
semplicemente raddoppiato con due misure di 6/4, per comodità di lettura. In realtà in altre
trascrizioni – per esempio nella versione Aebersold – questo raddoppio non viene segnalato:
dalla registrazione ufficiale si evince infatti che la band opera un rallentamento ritmico
dell'obbligato, senza una scansione precisa.

Nelle misure 12 e 13 la tensione ritmica, costruita precedentemente, si risolve con due misure di
stabilità ritmica (walking in 4).
4.3 LITTLE ONE
Terza traccia del disco, è l'unica che apparentemente si discosta dal “concept” marino, nonostante si
tratti comunque di un brano carico di pathos.
In esso la ricerca armonica di Hancock raggiunge forse il punto più alto dell'intero disco e ne svela
le influenze classiche impressionistiche (Debussy, Ravel) e, jazzisticamente, evansiane.
Il tema di apertura e chiusura è in tempo rubato, con i fiati all'unisono che enunciano solennemente
il tema; il sax tenore, talvolta, crea dei piccoli contrappunti (misure 6-7) e armonizza il tema della
tromba (misure 8-9, 20).
Il tema di 24 misure può essere diviso in questo modo:
• prima frase da misura 2 a 6: un primo intervallo di terza minore discendente (che cade sulla
tredicesima dell'accordo) introduce una cellula tematica scalare (modo lidio dominante,
rispetto a Eb13) che risolve sulla nota LA con una terza discendente.
• la seconda frase, da misura 7 a 10, è una risposta con variazioni rispetto alla prima: a misura
7 la tromba suona una melodia basata su arpeggio ascendente di F# (upper structure su C7)
per risolvere su Mib (mis.8), di nuovo con intervallo di terza minore discendente. A misura 8
la melodia si poggia sulla settima dell'accordo (Eb7sus) per poi procedere di nuovo con un
motivo scalare ascendente (modo frigio di Eb?) e chiudere su Lab, di nuovo, con un
intervallo di terza minore discendente.
• misure 14-15: melodia enunciata dal piano, con risposta variata a misura 16; questa frase
viene imitata dai fiati da misura 17 a 19, con chiusura su La (settima dell'accordo di B7sus)
tramite un intervallo di quarta ascendente.
• frase finale da misura 20 a 24: parte con un'armonizzazione a terze e tritono tra i fiati
(misura 20), per poi continuare all'unisono con movimento cromatico ascendente che
culmina su Mib. Tale nota può essere considerata tensiva dell'accordo di G (con basso Bb); a
misura 22 i fiati delineano un arpeggio di G discendente, considerabile come upper structure
di Bb (genera un accordo alterato). La melodia risolve su Fa, settima maggiore del rivolto di
Gbmaj7 conclusivo.

Prima dei chorus improvvisati, troviamo quattro misure (da 25 a 28) dove la ritmica introduce con
decisione il tempo di jazz waltz, su cui si basano i giri di assoli dei musicisti.

Armonicamente il brano si configura con la prevalenza di pedali armonici, collegati tra loro
principalmente con movimenti cromatici discendenti. Dal pedale iniziale di F (mis. 1-2) si passa a
pedale di E (mis. 5) e quindi Eb (da misura 6 a 9), sul quale Hancock costruisce accordi tensivi di
varia natura. A misura 10 si scende nuovamente su un accordo di Dm7b5, per poi saltare a F#7sus
(mis. 11-12): quest'ultimo accordo scende cromaticamente su un nuovo pedale di F (mis.13-19),
lungo e articolato nella ricerca di tensioni e sovrapposizioni armoniche. Un nuovo accordo di
collegamento si trova a misura 20 (B7sus), esso scende cromaticamente verso un ultimo pedale
armonico di Bb, nelle 4 misure finali del tema.
Il chorus di assoli è costruito anch'esso su 24 misure, le armonie sono sostanzialmente le stesse del
tema: è da notare come l'utilizzo insistito di pedali armonici e sovrapposizioni di diverso grado
tensivo rendano l'armonia sospesa e non convenzionale.
4.4 SURVIVAL OF THE FITTEST
Si ritorna a parlare di composizione “onomatopeica” legata alle impetuose vicende del mare: è
narrata musicalmente la “lotta per la sopravvivenza” tra le creature marine dove, inevitabilmente,
sopravvive il più forte.
Stupisce l'abilità di Hancock di muoversi con agio in una struttura apparentemente “aperta”, quasi
libera, di cui in realtà si fa conduttore deciso. Nell'intervento solistico finale si notano le
dotiperformative del pianista, che concepisce lo strumento come un'orchestra: dialogo e
contrappunto tra le due mani, utilizzo dell'intero range della tastiera, estrema e disinvolta creatività
armonica nel gestire gli accordi tensivi.
Hancock ha saputo arrangiare con sapienza una composizione a sezioni, quasi a conduzione.
L'intera band ha il pieno controllo dinamico ed espressivo nell'alternare “tensione” e “distensione”,
disegnando con i suoni una scena di lotta drammatica.
Ecco la struttura:
• 8 misure di introduzione, che si dividono in 4 di solo piano e 4 con entrata della ritmica.
Hancock propone un obbligato poliritmico con voicing piuttosto dissonanti, a cui si
aggiunge un riff di contrabbasso che determina un pedale di Eb alterato.
• fino a 0.21 min.: l'introduzione sfocia in un tema di sax (A) su tempo fast swing in 4; siamo
su armonia di Am. Alla quarta misura di questa sezione il tema si sfalda con l'intervento
della tromba (B), che suona una frase tensiva (forse su E7 alterato), ripresa poi all'ottava più
bassa - con armonizzazione dissonante del sax - a distanza di semitono.
• da 0.21 a 0.48: solo di Tony Williams su tempo libero.
• 4 misure di obbligato ritmico (C), con scivolamento della figura ritmica, da parte dell'intera
band.
• 4 misure di tema in Eb dorico, con lancio finale verso la tonalità di D dorico e solo di
tromba (D).
• da 0.55 a 2.10 circa: solo di Freddie Hubbard interamente su pedale di D dorico. Talvolta
Ron Carter suona un riff scivolando tra D dorico ed Eb dorico. Anche Hancock, nel suo
comping dinamico, opera scivolamenti armonici inside/outside.
• Da 2.10 a 2.55 circa: progressiva “rottura” del tempo fast con frasi spezzate della tromba,
che dialoga in maniera stretta col pianoforte in un tessuto armonico libero. La ritmica
sembra riprendere a tratti un fast tempo, prima di distendersi.
• Da 2.55 a 3.05: transizione con riproposizione della frase tensiva della tromba (B), come ad
inizio brano. La stessa frase viene ancora ripetuta all'ottava inferiore. Fino a 3.37 abbiamo,
nuovamente, un'improvvisazione libera di Tony Williams.
• Ripresa di C e D, come lancio per il solo di Coleman.
• Da 3.45 a 5.58 circa: solo di Coleman su fast tempo e pedale di D dorico. Anche in questo
caso si notano, talvolta, scivolamenti armonici nel comping di Hancock, molto attento a
costruire un forte interplay ritmico col sassofonista. I due dialogano utilizzando frasi per lo
più spezzate.
• Ripresa della sezione B da parte della tromba: transizione verso il solo di Hancock.
• da 6.19 a 7.33: improvvisazione libera di Hancock, apparentemente su un accordo di E7
alterato, con ostinato cromatico alla mano sinistra.
• da 7.33 a 8.25 circa: Hancock stabilizza la tonalità su Am, iniziando a fraseggiare a tempo,
seguito da Tony Williams. Da notare il dialogo contrappuntistico tra mano sinistra e destra
del pianista.
• Da 8.25 a 9.53: Hancock procede con rapidi arpeggi ascendenti e discendenti su Eb alterato,
alternandosi a tempo libero con interventi improvvisati dalla batteria. L'intensità del pianista
raggiunge il culmine in un breve momento di piano solo, dove la tensione armonica è resa in
maniera decisa.
• Il brano si chiude con la riproposizione dell'obbligato ritmico d'insieme (sezione C).
4.5 DOLPHIN DANCE
Assieme alla title track, questa composizione è diventata uno standard a tutti gli effetti: si tratta
infatti di uno dei brani più significativi e “brillanti” del pianista. Anche Dolphin Dance,
ovviamente, è legata al concept dell'album: la melodia è relativamente semplice ma solenne,
distensiva, fatta di motivi ripetuti e modulati. In qualche modo ricorda proprio la grazia con cui i
delfini volteggiano sull'acqua.
È soprattutto a livello di forma e di armonia che questo brano rivela le capacità compositive di
Hancock: la ricerca di soluzioni mai scontate, nuove e apparentemente complesse, che all'ascolto
risultano invece estremamente musicali, cantabili e omogenee.
Come già detto in precedenza, la melodia del brano è costruita principalmente sulla ripetizione di
motivi:
• nell'introduzione (mis. 1-4) si enuncia la prima frase: un movimento diatonico ascendente di
tre note (su scala di Eb maggiore) che si conclude con un intervallo di quarta discendente, a
ottavi. L'ultima nota anticipa ritmicamente la misura successiva.
• Nelle prime quattro misure della struttura (mis. 5-8) lo stesso motivo viene ripetuto con
alcune variazioni ritmiche: da notare come a misura 6 la melodia cade su Re, ovvero #11
dell''accordo di Abmaj7. Anche a misura 8 la frase termina su Re, undicesima dell'accordo di
Am7b5.
• da misura 9 a 12: secondo motivo del tema. La prima parte (misura 9) presenta un intervallo
di quinta ascendente che termina con la settima maggiore dell'accordo (Gmaj7):
ritmicamente si tratta di una cellula sincopata. La seconda parte (mis. 10-11) è costruita con
movimenti misti diatonici su scala di Gb maggiore; da notare come l'ultima nota della
melodia (Sib) anticipi ritmicamente la cadenza II-V delle misure 11-12 e, armonicamente,
cada sull'undicesima dell'accordo (Fm7).
• da misura 13 a 16: il motivo precedente viene ripreso con variazioni intervallari e ritmiche.
A misura 13, al posto di una quinta ascendente, troviamo una terza minore, espressione di
due chord notes di Cm7. Lo sviluppo della frase (mis.14-16) è di nuovo diatonico e termina
con l'undicesima di Am7 (Re), sempre con anticipo ritmico-armonico.
• Da misura 20 a 23: il motivo iniziale viene ripreso e modulato sulla base del pedale
armonico sottostante. Da notare come le note finali delle due frasi cadano prima su una
tensione (nona) di G7sus4, poi sulla settima minore dello stesso accordo.
• Da misura 24 a 27: ripresa delle variazioni del primo motivo, già trovate nelle prime 4
misure della struttura. Nelle misure 26-27 la melodia questa volta è ascendente e, come in
precedenza, cade sull'undicesima dell'accordo (Em7).
• da misura 28 a 31: nuova cellula melodica dal deciso ritmo sincopato, più spezzato rispetto
alle frasi precedenti. La prima parte del motivo ha un andamento cromatico ascendente-
discendente, a cui segue un intervallo ascendente di quarta. La prima frase si chiude con una
tensione, nona dell'accordo di Am7 (mis.29). Il motivo viene poi ripreso e modulato su
nuovi accordi (mis.30-31), termina prima con la tonica di E7 e successivamente con la terza
di Dm7, accordo di passaggio.
• da misura 32 a 35: nuovo sviluppo melodico, con una frase ad arpeggio discendente di
C#m7 che parte, inusualmente, dall'undicesima dello stesso. Questo motivo è, anch'esso,
fortemente sincopato. Da notare la chiusura di frase (mis.33) che, con intervallo di quinta
ascendente, finisce sulla tredicesima dell'accordo (F#7). Il motivo si chiude con un
intervallo di quarta ascendente, derivato dalle frasi già incontrate (mis 28, 30) e naturale
variazione della melodia precedente.
• nelle quattro misure finali del tema ritroviamo nuovamente il motivo iniziale.

A livello ritmico il brano ha un andamento medium swing, abbastanza lineare; la tensione ritmica è
resa nel tema grazie alle numerose figure sincopate, suonate con enfasi crescente dai fiati.
Armonicamente il brano è piuttosto interessante, miscela con equilibrio e naturalezza elementi
tonali e cadenze standard con pedali armonici non funzionali e movimenti paralleli di accordi:
• nell'introduzione l'armonia si basa sul centro tonale di Eb maggiore; il secondo accordo di
Bbm7 è da intendersi come Eb7sus4, in quanto Ron Carter suona proprio la tonica Mib. A
misura 4 abbiamo una cadenza II-V che ci porta alla struttura chorus.
• il chorus parte dal centro tonale di Cm naturale (mis.5), confermato da un accordo di
Abmaj7#11 (misura 6) che è il sesto grado. A misura 8 troviamo una cadenza II-V che porta
alla tonalità di G maggiore.
• misure 9-12: da una provvisoria tonalità di G maggiore troviamo una doppia cadenza di II-
V, non risolta.
• misure 13-16: si ritorna su centro tonale di Cm, mentre nelle ultime due misure troviamo
ancora la cadenza II-V, che ci riporta a G maggiore.
• misure 17-20: pedale armonico di G, con accordi di qualità differente (maj7, 7sus4 e lidio
dominante).
• misure 21-24: pedale armonico di F, con alternanza di 7sus4 e modo lidio dominante. Nelle
ultime due misure troviamo una cadenza II-V che non risolve.
• misure 25-28: nella prima misura troviamo Eb7, sostituto di tritono di A7, quinto grado della
precedente progressione; l'accordo scende cromaticamente su D7 (preponderante nella
registrazione originale, non anticipato dal relativo secondo grado). Successivamente
troviamo ancora una cadenza II-V senza risoluzione (Emaj7), ma con scivolamento su Dm7,
accordo di passaggio.
• misure 29-32: l'accordo Dm7, di misura 28, cade su C#m7 dando forma ad una cadenza II-V
con il successivo accordo di F#7. Tale cadenza, da registrazione originale, non risolve su
Bm: genera un pedale armonico di E, con diverse sovrapposizioni (Bm e Am).
• ultime quattro misure: pedale armonico che scende cromaticamente a Eb, con diverse
sovrapposizioni. Nell'ultima misura la cadenza II-V in minore permette la ripartenza del
chorus su Cm naturale.

Oltre alle concatenazioni di accordi tonali, troviamo un largo uso dei pedali armonici che Hancock
sa dosare perfettamente in una logica di “tensione – distensione”, dovuta anche alle diverse
sovrapposizioni cordali su di essi. È interessante notare come elementi perfettamente tonali e
tradizionali (le cadenze II-V), pedali armonici e accordi non funzionali coesistano efficacemente e
senza forzature, grazie anche al legame generato dalla melodia.
5. ANALISI SOLO SU DOLPHIN DANCE

È interessante analizzare il solo di Hancock su Dolphin Dance, a conferma del suo stile pianistico di
sintesi tra linguaggio blues e bop di matrice afro-americana e creatività armonica “impressionista”,
derivata dal mondo classico e da un pianismo jazz di stile evansiano.
Ho cercato di analizzare a grandi linee le caratteristiche del fraseggio di Hancock, sia a livello
formale che estetico:

PRIMO CHORUS
• prime quattro misure: pattern a terzine (mis.1) che, a misura 3, dà vita ad una sequenza
ascendente su scala diminuita (semitono – tono di G). La sequenza anticipa poi l'accordo di
Cm7, su cui Hancock suona un lick blues (mis.4).
• misure 5–8: fraseggio su scala pentatonica minore di C, nelle misure 7-8 altro blues lick (è
evidente l'influenza di pianisti come Peterson e Kelly).
• misure 9–16: il fraseggio del pianista continua a essere marcatamente bluesy, con
acciaccature e classici lick (mis. 10-12, 15), approccio cromatico (mis.13) e utilizzo di
arpeggi in sequenza (mis.14). Da notare il relax ritmico e il forte senso di swing nella
pronuncia di Hancock.
• misure 19-23: motivo di 3-4 note sviluppato come sequenza, con variazioni melodiche che
generano differenti tensioni rispetto agli accordi. È importante segnalare il dislocamento
ritmico dei motivi sequenziali e il senso di “distensione” che esso crea, all'interno di un
disinvolto controllo poliritmico.
• Misure 24-25: troviamo alcuni elementi bop, quali il fraseggio su scala bebop dominante
discendente (mis.24) e l'utilizzo di cromatismi come approcci (fine mis.24, mis.25).
• misure 27-33: altra lunga sequenza che nasce da una cellula di tre note, con figura di terzine
di ottavi. Nelle misure 27-29 questa cellula risulta tensiva (Do su E7 e su F#7) e dissonante
(Do su C#m7); da misura 30 a 33 si stabilizza come sequenza di terzina di ottavi e
semiminima, ascendente rispetto ad una scala di Bm naturale.
• misure 34-37: ulteriore interessante sequenza, questa volta di interi arpeggi a cascata, sul
pedale armonico di Eb. Troviamo un arpeggio di Bbm9 a misura 34, espressione
dell'accordo sovrapposto di Bbm7; a misura 35 Hancock parte con un arpeggio di Bb7b9,
tale voicing viene trasportato due volte a intervalli di terza minore discendente. A misura 36
il pianista mantiene la struttura-voicing precedente partendo da Mib, per poi trasportare la
stessa una terza minore sotto e infine una quarta giusta sotto. Infine, a misura 37, troviamo
un arpeggio di Eb maggiore, upper structure di G7 alterato. Queste soluzioni dimostrano la
grande disinvoltura armonica del pianista, la capacità di rendere tessiture impressionistiche
e, non da ultimo, la naturalezza nel creare poliritmie: l'intera sequenza è infatti costituita da
terzine di ottavi, crea un costante spostamento di accenti che rendono ancor di più un effetto
di “sospensione”. Possiamo azzardare che l'intento immaginifico di Hancock - raffigurare
l'eleganza e la grazia della danza dei delfini - sia qui reso alla perfezione.
SECONDO CHORUS
• misure 39-40: Hancock procede per fraseggi scalari raddoppiando la linea a sestine di
sedicesimi, su scala lidia di Ab e dorica di Cm.
• misure 41-45: di nuovo un fraseggio marcatamente bluesy, con soluzioni già percorse nel
chorus precedente (mis.41).
• misure 46-48: pattern ripetuto su triade di G, con cromatismo sulla terza della stessa; anche
qui si nota la percezione di poliritmia, generata dallo spostamento degli accenti nel motivo
di 6 note.
• misura 49: la frase si apre con una ripresa variata del pattern precedente; successivamente
Hancock suona una rapida scala ascendente-discendente, basata essenzialmente su una
diminuita semitono-tono di Re, con qualche cromatismo aggiunto.
• misure 50-53: utilizzo di block chords, in stile vagamente evansiano; da notare l'utilizzo di
terzine di quarti e ottavi, sempre in concezione poliritmica. In questo punto si raggiunge il
climax sonoro del solo, grazie all'interplay dinamico della ritmica.
• misure 54-57: ancora block chords: Hancock suona un motivo melodico-ritmico (mis.54) e
lo sviluppa in una sequenza poliritmica di grande effetto.
• misure 58-60: fraseggio bluesy già incontrato in questa cadenza armonica (Am7 – D7); a
misura 60 la linea si conclude con un piccolo motivo scalare su scala locria di B.
• misure 61-63: un arpeggio ascendente a misura 61, con cromatismo iniziale, anticipa
l'accordo di C#m7, dando vita ad uno sviluppo bluesy della frase a ottave.
• misure 64-68: altro motivo utilizzato come sequenza: è costituito da un intervallo di terza
discendente, minore (mis.64-65, 68) e maggiore (mis.66-67), preceduto da una nota di
“lancio” posta un tono sotto all'intervallo.
6. REPERTORIO DEL CONCERTO DI LAUREA

Ho scelto la classica formazione del piano trio per cimentarmi in un arrangiamento snello e
immediato: ho voluto puntare molto sull'interazione tra gli elementi del gruppo e sulla gestione
delle dinamiche, lasciando spazio all'interpretazione personale dei singoli musicisti. Per
l'esecuzione di Maiden Voyage ho invece optato per il piano solo.

FORMAZIONE: Roberto Gelli (basso), Andrea Quattrini (batteria), Marco Confalonieri


(pianoforte)

DOLPHIN DANCE: come introduzione e chiusura del brano ho scritto un semplice vamp con
accordi maggiori e sospesi: in qualche modo preparano al mood armonico della composizione,
creando allo stesso tempo una piccola sospensione per l'inizio del tema. La figura poliritmica del
vamp introduttivo sarà parte integrante dell'arrangiamento del tema stesso. A livello armonico sono
rimasto sostanzialmente fedele agli accordi originali, preferendo un'eventuale maggiore libertà in
fase solistica.

THE EYE OF THE HURRICANE: ho scelto un'esecuzione a un tempo molto sostenuto (270 bpm
circa) per creare contrasto con gli altri brani della set list; anche qui il tema è quello originale del
disco, senza particolari interventi di arrangiamento. Come vamp introduttivo ho scelto di riprendere
e trasporre armonicamente un frammento ritmico legato al tema, mantenendo una certa tensione
nella scelta degli accordi. Questo stesso vamp è ripreso e arricchito da un altro obbligato tematico, a
chiusura del solo di batteria: ho pensato di conservare questi elementi originali per aiutare la
transizione verso l'esposizione del tema finale. Il solo di pianoforte si dipana invece sulle armonie
di un blues minore in F, alternato da sezioni con pedale armonico di dominante e successivi cambi
armonici più densi, legati direttamente alle prime misure del tema.

MAIDEN VOYAGE: ho voluto cimentarmi in un'esecuzione in piano solo che tenga conto delle
caratteristiche portanti del brano (vamp ritmico, armonie sospese, elementi intervallari presenti nel
tema) reinterpretandole in chiave personale, con richiami alla struttura originale e momenti di
maggiore libertà e ricerca.

LIGHTHOUSE IN THE DISTANCE: è un brano originale in ¾, basato essenzialmente sull'utilizzo


di armonie non funzionali create su pedali armonici (di tonica, nelle sezioni A, e dominante nella
C). Ho cercato di ricreare un'atmosfera di sospensione nella sezione A; nella B ho scelto accordi più
dissonanti e obbligati ritmici che creassero un contrasto e una tensione maggiore, con risoluzione e
distensione nella sezione C. Il tema è costituito da cellule tematiche che talvolta vengono riprese,
con minime variazioni ritmico-melodiche. Il vamp di apertura e chiusura, usato anche come
transizione prima del tema finale, vuole creare un effetto quasi ipnotico e preparare la scena: il
vascello “raffigurato” da Hancock ora intravede un possibile approdo, una meta, guidato dalle luci
lontane di un faro. Ma l'avvicinamento alla terraferma e la conclusione del viaggio sono messi in
discussione dalle difficili condizioni del mare, durante la navigazione notturna: prendendo spunto
dalle scelte musicali di Hancock, ho provato a rendere armonicamente e ritmicamente questi
contrasti.
7. CONCLUSIONI E RINGRAZIAMENTI

L'analisi di “Maiden Voyage” mi ha dato modo di confermare la fondamentale importanza di


quest'album nella discografia di Hancock, che lo rende un ascolto imprescindibile per chi vuole
cimentarsi con il linguaggio jazzistico moderno, pianistico e compositivo.
È un'opera estremamente equilibrata: vi troviamo linguaggio hard bop, profondità e libertà
armonica, swing e persino tratti di improvvisazione “libera” e magistralmente condotta; la grande
capacità di Hancock di miscelare melodicità e cantabilità, groove accattivanti e sperimentazione
armonica è qui espressa al massimo.
Il pianista conferma la propria versatilità compositiva e l'abilità di scrivere brani ricchi di significati
musicali, senza dover ricorrere a strutture macchinose e troppo complesse; è importante anche
notare come Hancock riesca efficacemente a veicolare immagini e atmosfere precise con i suoni, sia
in fase compositiva che di performance. Tutto l'album è un “viaggio sonoro” che abbraccia il
concept del mare, delle creature marine che lo popolano, della lotta per la sopravvivenza e del
viaggio inaugurale.
Rispetto alla questione “performativa” ho cercato di dimostrare come Hancock incarni una figura di
sintesi, forse unica tra le celebrità della storia del pianismo jazz: in lui convivono due mondi,
pianismo afro-americano e “bianco”, influenze che si fondono in modo del tutto naturale nel suo
modo di suonare in maniera.
Anche grazie agli appassionati insegnamenti e alle profonde considerazioni del maestro Franco
D'Andrea, sono rimasto profondamente colpito e affascinato da questo album e, in generale, da un
ascolto attento di Hancock: anche in futuro sarà per me fonte di attento studio e ascolto.

Alla fine di questo percorso desidero ringraziare il corpo docenti dei Civici Corsi di Jazz di Milano:
in particolare il Maestro Franco D'Andrea che, con generosità, maestria e grande esperienza, è
riuscito a trasmetterci la passione e la profondità con cui affrontare i grandi del pianismo jazz e, allo
stesso tempo, cercare di far emergere e sviluppare le personalità musicali di ognuno di noi.
Ringrazio anche il Maestro Gabriele Comeglio per il suo costante impegno in una didattica efficace
e coerente, per la grande professionalità e serietà dimostrata nel guidarci verso l'acquisizione di
competenze musicali solide. Un sentito grazie va anche al Maestro Mario Rusca: con la sua
pazienza, passione, grande esperienza “sul campo” e umanità ha reso l'appuntamento della musica
d'insieme un momento estremamente piacevole di scambio musicale, approfondimento e, perché no,
di condivisione “oltre” la musica.
Ringrazio i miei compagni di corso per i momenti di scambio musicale, per l'accoglienza
dimostrata, per l'ironia e la leggerezza nell'incontrarsi e nel condividere anche al di fuori delle
questioni musicali.
Ringrazio Andrea e Roberto per l'amicizia che ci lega e per esserci ritrovati dopo parecchio tempo
come trio.
Ringrazio Gioia per la parte di vita condivisa, per il continuo sostegno, per supportare il mio
percorso e, talvolta, “sopportare” i momenti di personale isolamento musicale.
Ringrazio infine la mia famiglia per avermi spronato e aver capito l'importanza che la musica ormai
riveste nella mia vita.
BIBLIOGRAFIA:

Hancock Herbert Jeffrey, Dickey Lisa, Possibilities – l'autobiografia, Minimum Fax, Roma 2015.
Franco Maurizio, Oltre il mito, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2012.
Onori Luigi, Brazzale Riccardo, Franco Maurizio, La storia del jazz, Hoepli, Milano 2020.

SITOGRAFIA:

Belden Bob, The Life and the Music of Herbie Hancock, saggio dal box set: “The Complete
Columbia album collection, 1972 – 1988”.
Sito web: https://www.herbiehancock.com/2017/01/08/essay-chameleon-the-life-and-music-of-
herbie-hancock/
https://www.herbiehancock.com/music/discography/album/650/
https://www.allmusic.com/album/my-point-of-view-mw0000247492
https://www.herbiehancock.com/music/discography/album/657/
https://www.jazzmusicarchives.com/review/empyrean-isles/233657
https://www.allmusic.com/album/empyrean-isles-mw0000243449
http://fromthewoodshed.com/2010/12/22/an-analysis-of-dolphin-dance/
https://it.scribd.com/document/177243136/Herbie-Hancock-Little-One
https://www.leoravera.it/herbie-hancock-maiden-voyage/

DISCOGRAFIA:

Miles Davis, Seven Steps to Heaven, Columbia, CL2051


Miles Davis, E.S.P., Columbia, CS9150
Herbie Hancock, Takin' off, Blue Note Records, BLP4109
Herbie Hancock, My Point of View, Blue Note Records, BLP4126
Herbie Hancock, Inventions and Dimensions, Blue Note Records, BLP4147
Herbie Hancock, Empyrean Isles, Blue Note Records, BLP4175
Herbie Hancock, Maiden Voyage, Blue Note Records, BLP 4195

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