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tutti stavano aspettando dalle prime note del brano. Il bassista intan-
to ha desistito, danza con il suo strumento qualche metro più indie-
tro, il cantante si è lanciato – dietro ad una scura selva di capelli – al-
l’assalto delle congas, su cui assesta colpi potenti per sfogarsi. Parte il
momento clou dell’assolo, il pubblico è in festa – ma attenzione – c’è
ancora qualcosa che non va. Il chitarrista mentre esegue la melodia,
sbagliando impercettibilmente anche qualche nota qua e là, fissa
qualcosa al lato della scena, uno sguardo leggermente preoccupato
che si trasforma poi in un sorriso beffardo; si avvicina all’altro lato del
palco. Sta per succedere qualcosa e viste le premesse non sarà niente
di buono. Il chitarrista lascia risuonare le corde aperte del suo stru-
mento e afferra un bicchiere di birra, lo tira ad un cameraman che sta-
va facendo le riprese sul palco e per poco non prende in testa il can-
tante, che si desta attonito dalla furia percussiva guardando senza ca-
pire a destra e a sinistra. Il tastierista se ne frega alla grande, sembra
divertirsi, ma ha lo sguardo celato dietro agli occhiali neri. Il brano ri-
parte, la strafottenza del chitarrista lo porta ad improvvisare sulle ul-
time strofe del cantante, come a disturbarlo, qualche accordo svoglia-
to e al limite della sopportazione. Il cantante allora lo copre fisica-
mente, spostandosi davanti a lui, lo sguardo è furioso e benché faccia
di tutto per non darlo a vedere la rabbia deborda da ogni poro della
pelle. Il chitarrista indica ancora verso il cameraman, gli altri musici-
sti ognuno con la faccia puntata verso il proprio strumento. Il batteri-
sta trascina gli altri sul finale assestando un colpo di piatto così vio-
lento che dice più di mille parole, il brano finisce. Applausi del pubbli-
co. Ma: dov’è andato il chitarrista? Sul palco sono di nuovo in quattro.
È solo l’inizio di una notte a nervi tesi, ricca di episodi simili per tutta
la durata dello show, con il chitarrista che sale sul palco a piacimento,
fregandosene del gruppo, del pubblico e del concerto. Questa fu la pe-
nultima performance per gli dei dell’hard rock Deep Purple assieme al
chitarrista Ritchie Blackmore.
Ma perché è successo tutto questo? Di solito quando accadono epi-
sodi del genere non sono mai casi isolati, ma sono effetti di una causa
sedimentata negli anni che muovendosi sotterranea esplode come
una malattia divorando a morsi l'arte di più persone. Sono problemi
personali, scontri artistici, caratteri diversi che si prendono a testate
in una danza selvaggia ego contro ego dalla quale nessuno esce vinci-
tore. Ma perché dopo decenni di onorata carriera prendersi in giro
così e farlo dal vivo?
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Si tratta di una storia che va raccontata dall’inizio per essere me-
glio compresa, facciamo qualche passo indietro.
Profondo viola
I Deep Purple sono uno dei gruppi hard rock più importanti della
storia della musica. Con Led Zeppelin e Black Sabbath hanno scritto e
ridefinito i confini del genere stabilendo le basi per l’heavy metal, in-
fluenzando innumerevoli musicisti nel mondo e vendendo milioni di
copie.3 Una carriera stoica e quantitativamente iper produttiva che
dura dal 1968 fino ad oggi. Diciannove album in studio, senza contare
i numerosissimi live, best of, raccolte di video, concerti dal vivo e una
valanga di bootleg.4 Una band dalle collaborazioni sterminate (anche
assieme ad un’orchestra a più riprese), con i record di vendite degli
album attaccati al petto, dalle migliaia di concerti in giro ai quattro
angoli del globo. Numeri alti, altissimi, come alto è il numero dei com-
ponenti del gruppo che si sono avvicendati negli anni. I Deep Purple
sono stati molto più produttivi dei Led Zeppelin (ai quali il gruppo di
Blackmore si ispirò per un netto cambio di rotta di sound per DEEP
PURPLE IN ROCK del 1970) e sono durati per più anni (il gruppo di
Page si sciolse infatti nel 1980 a seguito della morte del batterista
John “Bonzo” Bonham) ma hanno cambiato volti e faccia – di conse-
guenza – alla propria musica decine di volte. Ben quindici musicisti
sono stati tra le fila Deep Purple, per un totale di otto differenti for-
mazioni.5 Si prenda in mano una qualsiasi delle loro biografie. Oltre
2 Lord citato in D. THOMPSON, Deep Purple, Smoke on the water: la biografia, Arca-
na, Roma, 2010.
3 Si veda a questo proposito A. GOZZI, “Whole lotta love: rock o esperimento?” in A.
GOZZI, (a cura di) Appunti di Rock, Il Foglio Letterario, Piombino, 2014.
4 Concerti dal vivo registrati amatorialmente e non autorizzati né dal gruppo né dalla
propria etichetta: è il sottobosco – spesso ricco di sorprese – dell’agonizzante indu-
stria discografica.
5 Solo il batterista, Ian Paice, ha suonato in tutte le formazioni della band, circostan-
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alla musica e al racconto dei live mozzafiato della band una gran fetta
di pagine se la mangia sempre, inesorabilmente, l’avvicendarsi dei
membri, lo scambio dei componenti, le diatribe interne, che vanno a
toccare anche altri gruppi, in primis Rainbow, Whitesnake, Ian Gillan
band, Elf e Trapeze.
Ogni musicista è un’anima a sé, solipsista e integralista, un indivi-
duo con la propria passione e gusto personale attraverso i quali filtra
la realtà e la ripropone attraverso il proprio strumento. Ognuno è un
diverso punto di vista e una diversa sensibilità. Un gruppo musicale
rappresenta la famiglia composta da tutti i membri della band in un
rapporto di coppia allargato in cui i dischi sono i figli di questo matri-
monio. Cambiando le persone cambiano le storie e i rapporti, anche
sotto lo stesso tetto, anche nello stesso gruppo. Questo è quello che è
successo ai Deep Purple attraverso i decenni e le mode lungo la pro-
pria carriera, in cui si sono alternate ricomposizioni, sfascio, trionfo e
cadute nel fango, in cui il ruolo della chitarra e del chitarrista ha avu-
to – e non poteva essere diversamente – un ruolo centrale. C’è chi è
ancora dentro il gruppo, chi è caduto nell’oblio, qualcuno ha messo su
altre band o si è dedicato a progetti personali, qualcuno si è ritirato,
altri lottano come possono contro l’anonimato, memori di un passato
glorioso, qualcuno è finito male. Simbolo di questi capovolgimenti di
fronte è lo storico chitarrista della band Ritchie Blackmore, scontroso
e indisponente sul piano umano quanto geniale nel suonare e nel
comporre.
Questo capitolo non vuole essere la storia di tutta la carriera dei
Deep Purple attraverso le varie formazioni: ci siamo soffermati sola-
mente, per natura dell’elaborato, su quelli che sono stati negli anni al-
cuni tra i principali e più curiosi eventi scatenanti della rottura gene-
rale tra i membri della band e Blackmore e di come la carriera del
gruppo ne abbia risentito. Gli episodi più importanti di una guerra
Blackmore contro Deep Purple – e contro sé stesso – in un tutti con-
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tro tutti in cui non c’è stato nessun vincitore, molti sconfitti, tanta mu-
sica, troppe polemiche e pagine gloriose della storia del rock.
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lanciare per gioco all’interno del Casinò un razzo di segnalazione, ap-
piccando un tremendo incendio che si portò via gran parte dell’edifi-
cio distruggendo anche gli strumenti di Zappa e del suo gruppo. I
Deep Purple, rimasti senza luogo dove registrare, ripiegarono prima
sul vecchio teatro Pavilion – ma gli abitanti del quartiere non gradiro-
no il volume delle registrazioni e tempestarono di chiamate la polizia
– e poi sul Grand Hotel, utilizzando lo studio mobile dei Rolling Sto-
nes. In una situazione precaria – suonare e ascoltare il risultato finale
erano due operazioni tra le quali c’era di mezzo l’attraversare un gran
numero di stanze, porte, balconi e andare all’esterno – il gruppo rea-
lizzò il proprio capolavoro. Tutta la storia è narrata all’interno del
brano. L’immagine dell’incendio del Casinò e del fumo sul lago Lemà-
no (spesso chiamato “lago di Ginevra”, come nella canzone) fu la sug-
gestione che spinse Roger Glover a proporre la tematica agli altri, tra-
dotta da Blackmore nel popolare riff.7
7 Nella serie dei Classic Albums della Eagle Picture, in quello dedicato a MACHINE
HEAD pubblicato nel 2003, Blackmore rivela che per l’approccio così semplice e diret-
to al riff fu d’ispirazione proprio Pete Townshend degli Who che disse al collega “Devi
fare in modo che le cose siano semplici, lascia che il pubblico stia con te”. E così fu.
Alcuni ascoltatori “complottisti” indicarono che il celebre intro di chitarra somigliava
in maniera clamorosa a quello di un altro brano, Maria Quiet (Maria Moite) di Astrud
Gilberto, contenuto nell’album LOOK TO THE RAINBOW (1966).
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riva dalla successiva nei ruoli del cantante e del bassista. Con Rod
Evans e Nick Simper, rispettivamente alla voce e al basso, i Purple
avevano trascorso ufficialmente soltanto due anni (dal 1968 al 1969)
ma piuttosto prolifici: in quell’arco di tempo erano usciti ben tre al-
bum della band: SHADES OF DEEP PURPLE (1968), THE BOOK OF
TALIESYN (1968) e DEEP PURPLE (1969). Gillan e Glover entrarono
nella band transfughi dagli Episode Six, gruppo sintonizzato su lun-
ghezze d’onda decisamente più pop, nella musica e nel look.8 I Deep
Purple Mk I erano invece più progressive ma con l’entrata del nuovo
cantante e bassista affilarono le unghie del proprio hard rock (fin dal-
la celebre e ironica copertina di IN ROCK) compiendo parallelamente
un salto in avanti sulla composizione dei brani, dalle strutture più for-
ti in cui la facevano da padrone i momenti solistici; le improvvisazioni
dal vivo erano il piatto forte ai concerti dei Purple formazione Mk II. Il
gruppo in versione Mk I però aveva già fatto breccia nelle radio ame-
ricane con un singolo, la cover di Hush scritta da Joe South per il can-
tante statunitense Billy Joe Royal e contenuta nel primo album del
gruppo.9
8 Si veda a questo proposito la performance dal vivo del 1967 di I Hear Trumpets
Blow degli Episode Six alla TV tedesca. Glover prima di entrare a far parte dei Deep
Purple fu molto dubbioso: voleva bene ai membri degli Episode Six e soprattutto ave-
va già avuto a che fare con Blackmore durante una jam session. Il chitarrista gli era
apparso talentuoso ma arrogante, decisamente pieno di sé.
9 Eseguire ed incidere la cover di Hush fu un’idea propria di Blackmore. Esistono de-
cine di interviste in cui il chitarrista afferma questa circostanza con mal celato orgo-
glio.
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Lord e Nick Simper) reclutarono un nuovo cantante, Rod Evans e un
nuovo batterista, Ian Paice, entrambi provenienti dai The Maze.
La Londra di quegli anni – perché questo è uno degli scenari su cui
si svolgono le vicende di questo primo periodo del gruppo – era la
Swinging London della rivoluzione giovanile, dell’esplosione del beat
e dove il blues e rock contaminavano di gioia la bella gioventù dei vari
quartieri della città. Il rock era pericoloso, inviso ai ben pensanti e
alla generazione precedente e per questo rivoluzionario.10 Nei sotter-
ranei dei club e delle sale prove, come in un formicaio, si muovevano
sottoterra a folle velocità gruppi, solisti, progetti musicali, cambiando
di forma e colore sonoro. Jimmy Page abitava poco lontano da Black-
more, ma nessuno dei due lo sapeva e per molti anni non si sarebbero
incontrati. L’altro fondale delle avventure dei cinque era il Nord Euro-
pa, in particolar modo la Germania – Ovest, ça va sans dire – e in par-
ticolar modo Amburgo. In quella città succedeva di tutto. La selezione
dei gruppi e degli artisti ad Amburgo era naturale prima ancora di es-
sere musicale. Era gavetta di quella vera, puzzolente e massacrante,
dalla fame che mangia lo stomaco e dagli occhi pesti. Poteva capitare
di perdersi, di non tornare più, di lasciar perdere tutto, oppure di di-
ventare degli Highlander del rock, anche i Beatles lo sapevano bene:
10 La BBC per anni tentò di ignorare il fenomeno non passando in radio i brani ap-
partenenti a questo genere. Gli amanti del rock ricorrevano così a “radio pirata”,
come la famosa Radio Caroline che trasmetteva da un battello in Irlanda in maniera
illegale: il monopolio della radiodiffusione rimase alla BBC fino al 1973. C’è un bel
film del 2009 di Richard Curtis che racconta questa storia, The Boat That Rocked (in
italiano I Love Radio Rock).
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nosi a livello fisico, emotivo e musicale, per non parlare del-
le sostanze chimiche assunte in quelle occasioni. Molti
gruppi riuscivano ad arrivare alla fine del proprio turno di
lavoro solo grazie alle pasticche che circolavano liberamen-
te nell’ambiente. Quando però si avvicendava un’altra for-
mazione sul palco, e giungeva l’agognato momento in cui
potevano riposare, i musicisti erano troppo su di giri per
riuscire ad addormentarsi, così passavano metà del giorno
successivo in piedi; il loro stato di euforia svaniva giusto in
tempo per dare di nuovo inizio alle danze.11
Blackmore aveva provato sulla propria pelle cosa volesse dire fare
delle tournée massacranti e poco pagate, inoltre era già stato il prece-
denza ad Amburgo, ancora prima dei Roundabout, salendo spesso sul
palco dello Star Club.12 Nato sotto il segno del testardissimo Ariete il
14 aprile 1945 a Weston-Super-Mare, si era trasferito con la famiglia
ad Heston, quartiere nella periferia ad Ovest di Londra. Fin da piccolo
aveva preso lezioni di chitarra (classica) e spostatosi sull’elettrica
andò letteralmente a bussare alla porta del grande chitarrista Big Jim
Sullivan, il suo mito personale in quel periodo che abitava a poche fer-
mate di autobus e che gli impartì le prime lezioni, dimostrando fin da
subito ambizione e tenacia. A quindici anni lasciò la scuola e trovò la-
voro come riparatore di radiotrasmettitori, la conoscenza dei circuiti
elettrici gli tornerà utile per modificare in seguito la propria strumen-
tazioni tra effetti ed amplificatori. La prima volta “seria” per Blackmo-
re sul palco con un gruppo fu però con un basso a tracolla, realizzato
con le scatole di legno per il tè, i 21’s Coffee Bar Junior Skiffle Group.
Poi iniziò una vera e propria giostra entrando e uscendo da un grup-
po all’altro: Dominators, Satellites, Mike Dee & The Jaywalkers per
poi approdare ai Savages, dalle sonorità rockabilly, capitanati dall’i-
strionico “Screaming Lord” David Sutch che insegnò molto al giovane
Blackmore, non tanto sul lato tecnico e strumentale ma riguardo alla
presenza sul palco e a tutta una serie di movimenti scenici eccessivi
che avrebbe riutilizzato in futuro, compreso appiccare il fuoco alla
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strumentazione e sfasciare qualche chitarra, ogni tanto. Fu poi la vol-
ta degli Outlaws e dei Wild Boys, passando anche alla registrazione di
un disco come solista, firmato a nome della Ritchie Blackmore Orche-
stra. Il gruppo successivo, The Musketeers, invece prendeva le mosse
dalle stravaganti performance di Sutch, un trio – i cui componenti
erano vestiti veramente da moschettieri con tanto di spade – che suo-
nava brani velocissimi e vedeva il batterista destreggiarsi con due
grancasse, anticipando di gran lunga tutta quella serie di batteristi
metal dediti alle cavalcate a doppio pedale. Con i The Musketeers
Blackmore ebbe anche la possibilità di suonare dal vivo con Jerry Lee
Lewis, aprendo un suo concerto in Germania. Sull’onda carnevalesca
e dei costumi di scena era anche l’esperienza dei Lord Caesar Sutch’s
Roman Empire, in cui i musicisti suonavano vestiti da antichi romani,
qualcosa a metà strada tra il trash nel look il rock’n’roll come bussola.
Fu la volta dei Mandrake Root13, band con base ad Amburgo in cui il
fulcro centrale era Blackmore a cui giravano intorno tutti gli altri, una
band in cui si alternarono più musicisti che concerti. Intanto a Londra
faceva un gran parlare di sé un chitarrista americano di colore che
suonava con i denti. Blackmore, altezzoso ma capace di riconoscere
un grande musicista, ne rimase affascinato, non tanto per la tecnica,
quanto per la presenza scenica e la carica istrionica sul palco, salvo
poi ispirarsi a lui per la composizione di moltissimi dei brani per i
Purple; Jimi Hendrix fu la più grande rivoluzione per la chitarra elet-
trica e chiunque suoni lo strumento – ancora oggi – non può non
prendere in considerazione la sua figura.
Tra viaggi interminabili, progetti andati in fumo, pochi soldi gua-
dagnati, freddo e tanta fame, Blackmore ricevette una chiamata da
Londra, per entrare a far parte dei Roundabout e tornò dalla Germa-
nia in Inghilterra. Il primo membro del gruppo con cui entrò in con-
tatto fu Jon Lord e fin dal primo incontro – Blackmore si presentò a
casa di Lord di notte, sotto un fitta nevicata chiedendogli ospitalità –
la coppia brillò di scintille creative. Se i Deep Purple hanno un’identi-
tà musicale e di sound così forte lo si deve soprattutto a Lord. Dal
punto di vista delle melodie gli studi classici del pianista servirono ad
arricchire il materiale musicale del gruppo. La prima registrazione uf-
ficiale delle band con formazione Mk II fu infatti CONCERTO FOR
13 Radice dagli effetti allucinogeni. È il titolo di uno dei brani del primo album dei
Deep Purple.
21
GROUP AND ORCHESTRA (1969), un progetto mastodontico di Lord
in cui si buttò a pesce e ne uscì vivo per miracolo. Si trattava di una
prima prova di approccio per unire il mondo della musica classica al
rock, un episodio riuscito solo in parte ma certamente epocale. 14 In
più avere un solista con cui duellare – che si esprimesse con uno stru-
mento che non fosse una chitarra – per l’ego di Blackmore era un in-
vito a nozze, una sorta di ispirazione e suggestione continua, soprat-
tutto durante le improvvisazioni dal vivo, marchio di fabbrica poi nei
Deep Purple. Se sul piano musicale questo valeva anche per Lord, era
ancora più importante a livello di sound. Devastato dai volumi dei
compagni il pianista, durante le prove, collegò il suo organo Ham-
mond ad un amplificatore per chitarra, ottenendo un suono potentis-
simo che sarebbe stato emulato negli anni a venire da migliaia di ta-
stieristi rock e non solo, Lord definì quel suono “la bestia”.15 Improvvi-
14 Nel concerto del 1969 Blackmore fece sfoggio della superba tecnica e tremenda
arroganza che lo contraddistinguono tutt’oggi. Alla fine di assolo, che sarebbe dovuto
durare circa un minuto e mezzo, il chitarrista continuò a macinare note imperturbabi-
le, dilungandosi con abbellimenti vari sulla melodia principale, mettendo in difficoltà
il direttore d’orchestra Malcolm Arnold. Dopo essersela spassata su e giù per il mani-
co, con Arnold che tentava di incrociare il suo sguardo in tutti i modi per capire cosa
stesse succedendo, lanciò le note che segnalavano la fine del proprio assolo e solo al-
lora lo guardò con sorriso beffardo. Il lavoro per il Concerto costò caro in termini di
energia a Lord anche in termini di collante con il resto del gruppo che non vedeva di
buon occhio tutta l’operazione con l’orchestra; secondo gli altri l’opera avrebbe so-
vraesposto il pianista rispetto agli altri quattro musicisti. Blackmore fu ovviamente il
più strenuo sostenitore di questa teoria.
Trent’anni dopo, in ben altro clima culturale, con il rock ormai assorbito a livello cuta-
neo dalla stragrande maggioranza dei consumatori i Deep Purple realizzarono un’al-
tra esecuzione del Concerto con prestigiosi ospiti, per una performance indimentica-
bile a cui fece seguito un doppio CD e un DVD. Il luogo fu sempre lo stesso: la Royal
Albert Hall di Londra. Una curiosità: Lord stava quasi per rassegnarsi a non poter ese-
guire la performance, aveva infatti perso l’intera partitura per tutti gli strumenti. Fu
aiutato da Marco de Goeji, uno studente olandese che nel preparare la tesi di laurea
sul Concerto non riuscendo a trovare la partitura l’aveva estrapolata analizzando con
cura maniacale le immagini del concerto del 1969.
15 Il Melody Maker recensendo un concerto di quel periodo del gruppo dichiarò che
“l’organo di Lord ondeggiava simile a una barca nel mezzo della tempesta”. Lord muo-
veva in maniera possente il proprio strumento, il pianista stava imparando a domare
la Bestia.
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sazioni, citazioni classiche e volume pesante; queste le caratteristiche
di partenza dei Deep Purple tali da far impallidire persino i Cream.16
La formazione Mk II era nata sotto il segno del sotterfugio. Evans e
Simper provavano sempre con il gruppo – quando ormai era chiaro a
tutti che sarebbero stati sostituiti – e lo stesso facevano Gillan e Glo-
ver; praticamente gli altri tre facevano il doppio turno.17 Glover dopo
il primo incontro con strumento alla mano disse che avrebbe dovuto
pensarci bene, non sapendo che Blackmore, Lord – responsabili del li-
cenziamento di Evans e Simper – e Paice avevano stabilito di nascosto
un accordo per il quale il bassista (che non li convinceva molto) sa-
rebbe stato in prova per tre mesi. La stessa cosa valeva anche per Gil-
lan. Fu proprio in quest’ottica che dopo un concerto nel novembre del
1969 all’Università di Bradford, Lord andò a fare i complimenti al
cantante del gruppo di apertura, i Government, chiedendogli il nume-
ro di telefono nel caso avessero avuto bisogno di lui in futuro al posto
del cantante.18 Tuttavia, quando capirono che Gillan e Glover erano
macchine da produzione di ottimi brani e soprattutto, dopo aver sen-
tito il cantante arrivare a note altissime, gli altri tre si fregarono le
mani e si resero conto che – almeno – un pezzo di strada sarebbe sta-
to bene che fosse percorso insieme.
16 I Cream decisero di non volere più i Deep Purple in apertura alle proprie esibizio-
ni dopo un concerto americano che li vedeva entrambi sul palco, in cui il gruppo di
Blackmore si esibì con tutta la sua forza dirompente.
17 Simper addirittura venne a sapere dell’estromissione solamente leggendo l’Inter-
national Times. Al bassista e a Evans fu concessa una buonuscita con tre mesi di sti-
pendio, la possibilità di trattenere parte della strumentazione e in più potevano sce-
gliere di ricevere royalties sui brani degli album ai quali avevano partecipato oppure
diecimila sterline a chiudere il conto. Simper prima fece causa al gruppo e poi si ac-
contentò della buonuscita forfettaria. Evans, più lungimirante, chiese e ottenne le
royalties sui brani.
18 Quel cantante si chiamava David Coverdale e tenne ben a mente l’episodio negli
anni successivi quando poi andò a bussare alla porta dei Purple.
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to centrale, la sua sfrontatezza raggiunse livelli altissimi e sarebbe
peggiorata in seguito.19 In un concerto all’Eel Pie Club di Londra, che
aveva un palco piccolo e il pavimento bagnato da un allagamento
sventato all’ultimo momento, Blackmore decise che sarebbe stato me-
glio suonare in camerino, lasciando sul palco gli altri della band. Suo-
nò qualche pezzo sulla scena e poi si ritirò dietro le quinte, non prima
di avere alzato al massimo il volume del suo amplificatore in modo
che si riuscisse a sentire anche da dietro il palco, trapanando le orec-
chie dei presenti e dei compagni del gruppo. Altre volte il chitarrista
decideva per tutti che non era il caso di fare dei bis e non saliva sul
palco una volta richiamato dalla folla. C’era poi il rituale della distru-
zione del proprio strumento, che accadeva sia quando il chitarrista
era di buon umore emulando gli Who, sia quando voleva sfogare i ma-
lumori accumulati. Questi atteggiamenti erano antipatici, dannosi e
odiati da tutti gli altri, in particolar modo da Gillan; si stava creando
una frattura enorme all’interno dei Deep Purple, che di fatto non si ri-
sanò mai completamente. I due lottavano per la leadership del grup-
po, sia in performance, esibendo i propri assi, sia sul piano umano,
letteralmente scontrandosi su ogni minimo dettaglio legato alla band.
Gillan era la voce e il frontman, si sentiva dunque di rappresentare il
gruppo meglio di chiunque altro, Blackmore si arrogava il diritto di
aver indotto la band al sound dell’hard rock, se i Deep Purple suonava-
no così rumorosi e cattivi era soltanto merito suo. 20 Se in alcuni casi,
come durante le registrazioni di FIREBALL (1971), secondo album in
studio, i due avevano sepolto l’ascia di guerra, dal vivo le scaramucce
erano sempre più frequenti.21 Gillan e Blackmore condividevano però
– oltre alla musica – l’idea che piantare grane durante i concerti fosse
comunque un modo per far parlare di sé e quindi ottenere pubblicità
gratuita. In più Blackmore ad un certo punto del tour di quell’album
24
crollò fisicamente e psicologicamente, portandosi dietro tutto il grup-
po:
22 Ivi, p. 161.
23 Per tutta quella parte del brano – soprattutto per le note alte raggiunte dal can-
tante – i due si erano ispirati a Tobacco Road reinterpretata nella versione di Edgar
Winter. Edgar Winter assieme alla White Trash band era uno degli ascolti condivisi tra
Gillan e Blackmore.
25
Non dimenticherò i momenti in studio passati a cercare di
convincere Ritchie a suonare qualcosa. Avevo uno spunto
per una canzone, ma per svilupparlo non potevo fare a
meno dell’accompagnamento degli altri. Provavo a fargli ca-
pire cosa volevo da lui, e non mi dava retta. Paice suonava, e
lo stesso valeva per Jon e per me. Ritchie invece se ne stava
lì inerte. Poi ha messo giù la chitarra ed è uscito dalla stan-
za. Dieci minuti dopo è tornato e ha eseguito un riff favolo-
so, così gli siamo andati dietro con i nostri strumenti; gli ab-
biamo detto: “Ehi, Ritchie, è fantastico. Continuiamo”, e lui
ha risposto: “Naah, questo lo tengo per me”.24
26
fissati per la band erano troppi e pensare di fermarsi per una “pausa
di riflessione” per ritrovare la creatività perduta era fuori discussio-
ne. Gillan per il resto del tour alloggiò in alberghi diversi da quelli del
gruppo e si mosse per gli spostamenti del tour americano con una
personale limousine guidata dal suo roadie.26
Per il management fu un duro colpo sapere della dipartita del can-
tante e corsero ai ripari affinché il gruppo non implodesse. Blackmore
fu quasi colto di sorpresa dalla lettera di Gillan: era lui che avrebbe
voluto andarsene, anche per seguire nuovi sentieri musicali in com-
pagnia della batteria di Paice e del basso di Phil Lyott dei Thin Lizzy.
Blackmore sognava un trio tutto suo, orientato verso il blues sul mo-
dello dell’Experience di Hendrix e dei Cream di Eric Clapton. Sentiva
questo bisogno impellente perché credeva fortemente che il gruppo
stesse attraversando un periodo di “inerzia da band di successo”, una
situazione di stallo che non avrebbe potuto musicalmente evolversi in
altri modi. Le migliori canzoni dei Deep Purple erano il risultato di
jam session in cui ogni membro del gruppo metteva la propria tecnica
al servizio del brano e degli altri. Umanamente disintegrati e senza
parlarsi sarebbe stato difficile raggiungere alti livelli di intesa creati-
va. Paice però non era d’accordo, i Deep Purple stavano avendo suc-
cesso, avrebbero avuto davanti a sé ancora molti anni e concerti e
tentò di convincere il chitarrista. Blackmore voleva cambiare il sound
della band ma soprattutto, ora che Gillan non c’era più, voleva pren-
dere in mano totalmente le redini delle composizioni, benché tutti i
brani, come d’accordo fino a quel momento, venissero firmati da tutti
i componenti del gruppo. Ne fece così le spese Glover, autore delle
canzoni assieme agli altri e in qualche modo vicino a Gillan; erano en-
trati nel gruppo insieme e insieme componevano. Blackmore senza di
lui sarebbe stato così l'autore più in vista e avrebbe avuto campo libe-
ro, chiese quindi l'allontanamento del bassista. Gli altri membri del
gruppo sapevano della diatriba logorante con Gillan ma rimasero sor-
presi dalla richiesta di Blackmore a proposito di Glover. Si trovarono
però ad acconsentire pur di salvare il gruppo. Nessuno avvertì Glover,
nonostante – esattamente come per Evans e Simper – gli altri si fosse-
ro già mossi alla ricerca del sostituto. Il bassista, rendendosi conto
26 Blackmore in quel tour fece anche di peggio. A Las Vegas si lasciò andare scate-
nandosi ad una festa, gozzovigliando tutta la notte invece di recarsi al concerto, che
fu cancellato. Il Convention Center fu messo sottosopra dal pubblico inferocito.
27
che qualcosa non andava, durante il tour si recò dai manager e venne
a scoprire che la sua carriera con il gruppo sarebbe terminata alla
fine del tour. In uno scatto di orgoglio decise di portare fino in fondo
l’impegno stipulato per i concerti ma di lasciare lui stesso la band e di
non aspettare di essere licenziato, andandosene con Gillan così come
era entrato nella band. Blackmore era sul trono della sua personalis-
sima “silver mountain”.27
Burning men
27 Glover soffriva di disturbi di stomaco a causa dello stress derivato dai continui
scontri all’interno del gruppo. Blackmore, con la tipica ironia che lo contraddistingue,
propose per scherzo (ma poi mica tanto) al bassista di collassare sul palco: sarebbe
stata una performance indimenticabile! Di teatralità, morte e svenimenti sul palco si
veda A. GOZZI, “Musiche estreme. Black Metal: le origini del male” contenuto in A.
GOZZI, Appunti di Rock 2, Il Foglio Letterario, Piombino, 2015. Glover aveva ricoperto
insolitamente anche il ruolo di cantante durante la tournée americana di FIREBALL.
Gillan era stato stroncato da un’epatite e il gruppo si esibì in quartetto. Successe
spesso ai Purple durante gli anni Settanta di andare negli USA ed ammalarsi grave-
mente, in ben più di un’occasione, praticamente visitarono gli ospedali a turno. Det-
tero la colpa al cibo.
28 Rodgers partecipò poi in seguito alla reunion dei Queen – senza il bassista John
Deacon – dei primi anni del 2000 sotto il nome di Queen + Paul Rodgers.
28
sempre più spazio, ma era necessario al momento un altro vocalist in
formazione che non suonasse anche uno strumento.29
Lord era demoralizzato: questa “giostra” di musicisti non gli piace-
va affatto, avevano già cambiato cantante e bassista due volte in pochi
anni. Intanto stavano arrivando, sotto richiesta della band, centinaia
di nastri con provini di aspiranti cantanti per rimpiazzare Gillan. In
quel materiale c’era veramente di tutto e dopo una prima scrematura
non si trovò niente di interessante. Il gruppo stava per gettare la spu-
gna quando tra le registrazioni ne fu estratta una particolare. Il ragaz-
zo che cantava era giovanissimo ma aveva già una voce calda, da blue-
sman navigato, e aveva aperto con la sua band il concerto dei Deep
Purple nel 1969 all’Università di Bradford, Lord ci aveva anche parla-
to ma non si ricordava la faccia del cantante. Coverdale fu quindi invi-
tato per la consueta audizione e si presentò con i nervi a fior di pelle,
rilassandosi solo dopo le molteplici rassicurazioni degli altri compo-
nenti del gruppo che ruppero il ghiaccio facendogli cantare una ver-
sione di Yesterday dei Beatles. Nonostante l’inesperienza, la giovane
età e una “verginità” da perdere in un vero studio di registrazione Co-
verdale fece un’ottima impressione sugli altri quattro: sarebbe stato il
nuovo cantante dei Deep Purple.
C’era però ancora qualcosa da sistemare. Il giovane era inesperto,
con qualche chilo di troppo, brufoloso, con gli occhiali e con un look
decisamente poco rock’n’roll, in più era timido, insomma: sicuramen-
te non era mai stato ad Amburgo. Bisognava fargli fare una bella revi-
sione per introdurlo nel mondo dei Deep Purple, ma a fin di bene,
quella voce valeva davvero moltissimo. Una volta sistemato il look di
Coverdale fu organizzata una conferenza stampa per presentare i
nuovi Deep Purple. A livello musicale fu una ventata d’aria fresca di
cui Blackmore, Lord e Paice si nutrirono. Le vendite dei dischi regi-
strati fino a quel momento stavano andando bene e Billboard li mise
in copertina, con la foto della nuova formazione, mandando su tutte le
furie Glover che si sentì così derubato, quel successo spettava a lui e a
Gillan, non ai nuovi arrivati. Il nuovo album risentì di questa nuova
29 Hughes capì subito come stavano le cose nella band: “Jon era molto calmo, genti-
le ed educato nell’esprimersi, Paicey è sempre stato, e forse lo è ancora, interessato
ai soldi. Mentre Ritchie rappresentava la parte artistica, eccessiva. Credo che dopo la
morte di Hendrix siano stati lui, Page, Beck e Clapton i chitarristi che hanno fatto la
storia”. Hughes citato in J. BLOOM, Ritchie Blackmore. La biografia non autorizzata,
cit. , p. 156.
29
linfa. BURN (1974), registrato a Montreux come MACHINE HEAD,
sfoggiava perle come la title track e Mistreated, un vero campo di bat-
taglia per gli assoli di Blackmore dal vivo. Sul palco la band era davve-
ro cambiata e così la musica. Brani come Smoke on the Water erano
cantati a due voci, mettendo in mostra le doti canore sia di Coverdale
che di Hughes che sparava altissimo. Era anche l’approccio con il pub-
blico ad essere diverso. Hughes con i suoi Trapeze aveva già girato un
po’ il mondo ma non ovviamente ai livelli dei Purple, Coverdale invece
era ancora un novellino delle tournée ma si ambientò in fretta. Per
nascondere l’imbarazzo e il nervosismo sul palco i due nuovi arrivati
si rivolgevano spesso al pubblico chiedendo di partecipare, ammic-
cando e cercando di incitarlo continuamente. Se Gillan non era mai
stato – e non lo sarebbe stato nemmeno successivamente – un “chiac-
chierone da palco”, con lui in formazione era la musica del gruppo a a
parlare da sola, Coverdale e Hughes si lasciavano andare ad urli di
gioia e frenesia ricordando agli spettatori che erano lì per divertirsi e
avrebbero dovuto farlo. Il pubblico inizialmente fu piuttosto diffiden-
te verso la nuova formazione, ma poi concerto dopo concerto il nuovo
quintetto iniziò a fare breccia nel cuore dei fan. Le vendite degli al-
bum andavano così bene che non si badò a spese per ogni dettaglio:
per il tour americano venne noleggiato un aereo privato ultra equi-
paggiato, un Boeing 707, che riportava il logo del gruppo sulle fianca-
te e fu ribattezzato “Starship I”, mentre per gli spostamenti interni il
gruppo si mosse sempre in limousine. La megalomania del rock in
quegli anni per i Deep Purple era così vistosa e ultra-esposta da esse-
re surclassata soltanto dalle esplosioni di tecnica musicale sopraffina
esibite durante i concerti.
30
accompagnato la fine dello show. In più sarebbe stato acceso per l’oc-
casione un enorme arcobaleno posto sul palco, un’idea che Blackmore
avrebbe ripreso per la scenografia del suo futuro gruppo dopo i Deep
Purple. L’orario fu rispettato dalle altre band in maniera più che pun-
tuale e il gruppo si trovò a salire sul palco in anticipo. Nessuno della
band aveva la minima intenzione di esibirsi prima del previsto, anche
perché era sempre giorno e la magia della notte ancora lontana. Tra-
scorsero quarantacinque interminabili minuti di tira e molla tra grup-
po, management e organizzatori accusandosi a vicenda mentre il pub-
blico rumoreggiava, impaziente. Gli organizzatori minacciarono quin-
di di escluderli dal programma ma un roadie della band, Ossie Hoppe,
salì sul palco di sua iniziativa comunicando agli spettatori che il grup-
po si stava preparando ad entrare in scena. L’urlo di gioia della folla
ruppe l’impasse e il gruppo dette il via ad una performance straordi-
naria. C’erano però le telecamere sul palco, strumenti che Blackmore
aveva sempre odiato e per risposta il chitarrista si mise in avanti, sul
bordo del palco, in modo da non farsi riprendere, poi, a fine concerto,
in una folle coda di Space Truckin’, davanti a 400.000 persone sfogò
tutta la sua furia.
Sotto un incedere ossessivo e cadenzato degli altri musicisti Black-
more prima se la prese con il proprio strumento, ma non era una no-
vità. La chitarra venne lanciata in aria, gettata a terra, suonata con i
piedi, strusciata contro il bordo del palco e poi cadde ingloriosamente
di sotto quando il jack si staccò dallo strumento. Blackmore andò su-
bito a prenderne un’altra e si diresse con aria minacciosa verso la te-
lecamera. Assestò subito diversi colpi di chitarra alla telecamera rom-
pendone diverse parti e schiantando lo strumento, ci giocò per qual-
che minuto e poi tirò il relitto tra il pubblico, scatenando un putiferio.
Non pago della devastazione si fece passare una terza chitarra che
iniziò a maltrattare come la prima fino poi a voltarsi verso il proprio
roadie, avvicinandosi come a dargli un segnale. Costui, Ron Quinton,
dette fuoco ad alcune taniche di benzina poste accanto agli amplifica-
tori della chitarra provocando una tremenda esplosione e un princi-
pio di incendio, bruciacchiando anche i capelli a Blackmore. Gli addet-
ti alla sicurezza scattarono in avanti con gli estintori per rimettere in
sicurezza il palco, mentre gli organizzatori e la polizia non vedevano
l’ora di mettere le mani sul chitarrista. Come se non bastasse, Black-
more iniziò a smantellare il proprio backline: brandelli di amplificato-
ri, pezzi di testata e cassa venivano fatti volare giù dal palco, sembra-
31
va davvero che il chitarrista volesse traslocare tutta la strumentazio-
ne di sotto. Un’occhiata a Paice per chiudere il brano e mise la parola
fine alla performance. La vendetta era stata compiuta. Il manager riu-
scì a far scappare il chitarrista altrove su un elicottero, facendo il pos-
sibile per placare la furia di organizzatori, pompieri, cameraman e po-
liziotti. In più alcuni tecnici fecero causa al gruppo, la forte esplosione
dell’amplificatore aveva causato danni irreversibili all’udito di molti
che si trovavano da quella parte del palco. Alla fine il gruppo si limitò
a ripagare le spese dei materiali distrutti, compresa la telecamera, ma
il manager della band John Coletta, provato da quegli eventi, non se-
guì mai più il gruppo durante i tour.
32
di erano diventati incurabilmente altezzosi; al di là della musica si
trattava sempre di poco più che ventenni che passati dalle stalle alle
stelle quando non erano impegnati nei tour sorseggiavano champa-
gne in feste orgiastiche all’interno delle proprie ville con in garage
numerose macchine di lusso.31 L’iniezione di successo aveva trasfor-
mato l’atteggiamento dimesso e innocente di Coverdale in un com-
portamento istrionico di cattivo gusto, eccessivo e volgarotto, spesso
machista e sessista, che il cantante avrebbe portato avanti per tutta la
carriera riversandolo anche nei testi e il successivo album dei Purple
non ne fu esente.32
Il lato economico veniva comunque prima di tutto. Blackmore ave-
va messo in chiaro le cose fin dall’inizio con gli altri prima della regi-
strazione di BURN: per tutelarsi e non incorrere negli errori del pas-
sato impose che le royalties dei brani dell’album fossero attribuite
solo a chi effettivamente avesse partecipato alla scrittura delle canzo-
ni e non a tutti i musicisti del gruppo in parti uguali come era stato
fino a quel momento. STORMBRINGER (1974) avrebbe dovuto segui-
re la stessa procedura. Sul piano delle performance il chitarrista ave-
va imposto poi che nessuno si aggirasse nella “sua” zona del palco,
pena le imprevedibili e temute ritorsioni che Blackmore era in grado
di realizzare, come nell’episodio del California Jam. In aggiunta a que-
sto – come se non bastasse – a mirare la stabilità della band fu anche
la richiesta di Hughes di spostarsi verso un sound più soul e funky, due
generi aborriti dal chitarrista con cui non avrebbe voluto avere niente
a che fare. Blackmore affrontò il lavoro di composizione e di registra-
zione di STORMBRINGER in maniera piuttosto svogliata33 e per la pri-
33
ma volta fino a quel momento, rimase anche fuori dai crediti per alcu-
ni brani, scritti dagli altri, come la traccia preferita di Hughes, Hold
On, così intrisa di funky da doverla strizzare al fine di essere conside-
rato un brano dei Purple come erano conosciuti fino a quel momento.
Hughes invece odiava la ballad che Blackmore considerava punta di
diamante del disco, Soldier of Fortune (“mercenario”), due visioni arti-
stiche difficilmente conciliabili. I rapporti all’interno del gruppo era-
no tesissimi. Hughes ricorda:
34
avanti così non li avrei seguiti. […] C’erano troppe ambizioni
personali (sic!).36
Il tour intanto continuava a ritmi serrati, non c’era spazio per ripo-
sarsi o per cercare di risolvere i problemi. In occasione del Sunbury
Festival in Australia il gruppo ebbe modo di inimicarsi anche gli
AC/DC. Il gruppo australiano era stato scelto come headliner del festi-
val, freschi del successo del loro primo album, HIGH VOLTAGE (1974).
La decisione di far suonare il gruppo di Angus Young dopo i Purple
gettò un po’ di malumore nella band di Blackmore ma alla fine il ma-
nagement decise di accettare il concerto. Il gruppo inglese però si di-
lungò oltre il previsto, per ben quaranta minuti, cancellando di fatto
la performance degli AC/DC che per motivi di orario non si tenne.
Come se non bastasse i tecnici dei Purple per rappresaglia iniziarono
a smontare velocemente il palco, i roadie degli AC/DC si gettarono su
di loro in una rissa furibonda sotto gli occhi del pubblico. Il gruppo e
il management della band australiana andò su tutte le furie.
Dopo un ennesimo litigio sul palco con Hughes, Blackmore decise
di farla finita: la deriva dei Purple tra spese pazze, ego mostruosi, dro-
ga (soprattutto Hughes) e obiettivi artistici differenti fecero sì che il
chitarrista rassegnasse le dimissioni. Come già avvenuto in passato
per gli altri membri si rivolse prima al management e poi informò il
gruppo soltanto prima del concerto di Parigi, che sarebbe stata la sua
ultima esibizione con quella formazione dei Purple.
Il chitarrista però non andò alla deriva, anzi, aveva già in mente un
altro progetto e c’erano già delle bobine di nastro a nome “Ritchie
Blackmore’s Rainbow” in uno studio in Germania. Registrate a Mona-
co, queste canzoni rappresentavano la vena artistica di Blackmore
che per troppo tempo era stata tappata. Una liberazione. In studio
con lui il gruppo degli Elf, che era stato in tour con i Deep Purple per
le aperture e che aveva un forte collante interno, più che un gruppo
era una vera e propria squadra. Blackmore fece una promessa al gio-
vane e speranzoso cantante della band Ronnie James Dio: gli Elf non
si sarebbero sciolti ma confluiti nel progetto e lui sarebbe stato il can-
tante in pianta stabile. Ma non era vera né l’una né l’altra cosa.
36 Ivi, p. 181.
35
Taste it
Il management dei Purple corse ai ripari nel miglior modo che co-
nosceva: quello di fare soldi. Gli ultimi concerti del tour europeo era-
no stati infatti registrati e fu dato alle stampe MADE IN EUROPE
(1976) che dal titolo si ricollegava idealmente a quel MADE IN JAPAN
così importante per la band in termini di successo e identità musicale,
l’etichetta – la EMI – cercava in qualche modo di presentare un pro-
dotto sulla stessa linea, almeno nel nome, visto che la formazione era
ben diversa.
Il gruppo però, se da una parte si era liberato di un membro ca-
priccioso e testardamente egomaniaco, dall’altra aveva perso non
solo un chitarrista ma un autore, membro della formazione originale,
che aveva scritto quei brani grazie ai quali il gruppo era diventato fa-
moso. Iniziò la ricerca del nuovo chitarrista: Jeff Beck e Rory Galla-
gher furono subito scartati perché non avrebbero mai partecipato,
Mick “Ronno” Ronson – celebre chitarrista di David Bowie – rifiutò
l’offerta, Dave “Clem” Clemson degli Humble Pie in pieno scioglimento
provò con i Purple ma senza far scattare quella scintilla particolare
negli occhi degli altri. Lord era disperato, non avrebbe mai voluto do-
ver iniziare da capo le audizioni ascoltando montagne di demotape e
pensò di lasciare il gruppo. Venne in aiuto un roadie, Nick Bell, che
contattò Tommy Bolin, asso americano della seicorde. Bolin non pro-
veniva dal rock’n’roll, sulla giacca aveva appuntato una collaborazione
gigante, aveva suonato in SPECTRUM (1973) del celebre batterista
jazz Billy Cobham, che aveva colpito Coverdale in tempi non sospetti.
Venne realizzata una jam session a Los Angeles. Bolin non conosceva
nemmeno un brano dei Purple e s’inserì con il suo strumento nel
magma sonoro privo di condizionamenti.37 Bolin piacque agli altri sia
per come suonava sia per l’attitudine, aveva una forte personalità e
trasudava musica. Blackmore, che lo incontrò anni dopo, rimase affa-
scinato dalla sua presenza: “ (…) aveva un aspetto incredibile. Sem-
brava Elvis Presley”.38
37
condi di gloriose improvvisazioni oppure il gruppo procedeva a ritmi
serrati mentre Bolin entrava all’improvviso in un cono d’ombra crea-
tivo. Il collante tra i componenti venne a mancare: troppo cambi di
formazione, ognuno dal vivo pensava soltanto a mettere in mostra la
propria tecnica, ognuno pensava a progetti solistici. Forse sarebbe ba-
stata una pausa per ricaricare le energie, ma come in passato, il grup-
po si sottopose ad un tour massacrante che finì per disintegrare la
band. Coverdale, Paice e Lord decisero che era ora di farla finita, Hu-
ghes e Bolin lo seppero – attraverso il management – solo quattro
mesi dopo, convinti che il gruppo sarebbe tornato in studio. I Deep
Purple non esistevano più.
Split decision
“Ognun per sé, dio per sé”. Dopo cambi di formazione, capovolgi-
menti di sound, di identità musicale e umana e davanti alla necessità
di soddisfare il famelico appetito dell’ego i Purple nel 1976 si sciolse-
ro, seguendo ognuno la propria strada. Delle nuove formazioni che
misero in piedi ce ne fu qualcuna di successo ma nessuna riuscì ad
eguagliare la gloria dei Deep Purple. Fuori le nubi del rock tuonavano
punk, che sarebbe piovuto a catinelle borchiate con forza dirompente
di lì a poco, i gruppi progressive erano diventati improvvisamente dei
relitti di un’altra epoca – la complessità musicale pareva solo una arti-
ficio gonfio di boria ed esagerazione – e Led Zeppelin e Deep Purple
rappresentavano per le nuove generazioni quei dinosauri rock opu-
38
lenti e megalomani da abbattere a riff indiavolati, tecnica basilare e
tanta rabbia da losers e working class heroes.
Gli unici della band che decisero un primo percorso insieme furo-
no Paice e Lord, gli altri si mossero in ordine sparso. Il batterista e il
pianista decisero così di unirsi con il pianista e cantante Tony Ashton
sotto la sigla dei cognomi di “Paice, Ashton & Lord”. Inizialmente la
formazione avrebbe dovuto chiamarsi Purple ma poi il progetto nau-
fragò. Esattamente come quello di Hughes di creare una formazione
con Bolin che ebbe per ovvi motivi la stessa sorte. Il bassista/cantan-
te capace di raggiungere registri altissimi decise allora di tornare nei
Trapeze. Coverdale dette sfogo al bisogno impellente di scatenare tut-
to il proprio ego e la propria tamarraggine nella sua nuova creatura, i
Whitesnake, che già dal nome – che alludeva proprio a “quel” serpen-
te bianco – minacciava già la sfera degli argomenti che sarebbero stati
trattati nei testi delle canzoni. Del gruppo avrebbero fatto parte in se-
guito anche Lord – che Coverdale letteralmente perseguitò al fine di
farlo entrare nella band (inizialmente il pianista era riluttante a quel-
l’idea) – e Paice, rispettivamente nel 1978 e 1980.
Glover intanto aveva pubblicato la sua opera da solista THE BUT-
TERFLY BALL AND THE GRASSHOPPER’S FEST (1974), un concept al-
bum basato sulle storie di un libro per bambini che aveva come prota-
gonisti animali che cantavano e ballavano, da cui fu tratto anche una
rock opera a cartoni animati.40 Oltre a suonare in uno svariato numero
di nuovi progetti Glover aveva iniziato a darsi da fare come produtto-
re artistico. Molti dei brani dei Purple portavano la sua firma e in più
si era sorbito, da “collante del gruppo”, molti dei malumori degli altri:
avrebbe ben saputo dunque come tenere testa ai giovani gruppi in
studio, mettendo a freno i rispettivi ego per un progetto condiviso.
Tra i suoi progetti che ebbero maggior successo ci furono Nazareth,
gli Elf e poi in seguito anche Judas Priest e Status Quo. Quando Cover-
dale decise di registrare il primo album a suo nome, WHITE SNAKE
(1977), volle proprio Glover ai comandi del mixer. THE BUTTERFLY
BALL AND THE GRASSHOPPER’S FEST era stato anche il luogo dove
Gillan era ritornato alla musica. Prima di quel momento il cantante –
che aveva partecipato prima dell’entrata dei Purple anche all’opera
39
teatrale Jesus Christ Superstar (1970) di Andrew Lloyd Webber e Tim
Rice – aveva deciso di ritirarsi dalla musica, facendo un po’ di tutto:
venditore di auto e moto, albergatore e agente di viaggi. Lo riportò
alla musica anche l’acquisizione degli studi di registrazione Kingsway
a Londra. Gillan grazie a BUTTERFLY BALL ritornò a cantare, anche
perché attraverso i manager dei Deep Purple Edwards e Coletta aveva
scoperto che sarebbe riuscito a pagare meno tasse rispetto alle nuove
imposizioni fiscali volute dai laburisti se avesse messo in moto delle
nuove produzioni musicali. Il progetto solista di Gillan si doveva chia-
mare Shand Grenade, ma poi divenne praticamente da subito la Ian
Gillan Band per mutare successivamente in un più semplice Gillan,
con cui condusse una carriera di successo lunga sei album, prima di
approdare nei Black Sabbath, per l’album BORN AGAIN (1983) e rela-
tivo singolo.41
41 Tra gli ascoltatori quella formazione prese il nomignolo di “Black Purple”. È cele-
bre il “come” Gillan firmò il contratto con i Sabbath. Tony Iommi, chitarrista della
band, invitò il collega a Woodstock, un piccolo villaggio vicino Oxford, per una pinta
di birra al pub; che furono più di una. Gillan fu svegliato la mattina successiva da una
telefonata del proprio manager che chiedeva lumi sull’accaduto comunicandogli i
prossimi impegni con i Black Sabbath: Gillan era entrato nella band quasi “a sua insa-
puta”, sotto l’effetto dell’alcool.
42 Si veda a questo proposito L. MORTAI, “Iron Maiden - World Slavery Tour
1984/1985: ciò che cambia la storia lo fa un passo alla volta”, contenuto in questo vo-
lume.
40
strabiliante, tapping, innovazione strumentale e di sound raggiunse le
orecchie dei chitarristi di tutto il mondo si capì che si stava aprendo
un nuovo capitolo per lo strumento.43
41
Il rock ’n’ roll non è pensato per essere carino. Non credo
che una band sia una band fino a che ha qualche problema. I
Rainbow mi danno grandi soddisfazioni perché continuo a
tenerli in movimento, le persone vanno e vengono e a me il
nuovo sangue dà nuova energia. Cambio membri per far sì
che la gente dica “Oh, Blackmore questa volta ha fatto una
cazzata”, ho bisogno che lo dicano perché mi danno quello
stimolo che mi serve. Non sono una persona così spietata,
ma capisco quando qualcuno non va più bene, quindi è ne-
cessario. Non voglio creare un gruppo come i Deep Purple,
me ne sono andato da loro proprio perché eravamo arrivati
ad un punto morto. […] Non sto cercando la band perfetta,
ma un gruppo con cui mi possa piacere suonare… ed è diffi-
cile, non perché sono un perfezionista, ma perché credo di
essere dannatamente esigente.45
Come era logico che accadesse capitava poi che, nonostante i suc-
cessi che ognuna delle tre band scriveva e che la radio trasmetteva,
qualche brano dei Deep Purple in scaletta ci finiva comunque, richie-
sto a gran voce dal pubblico. Questo creava ancora maggior attrito tra
i tre, c’era una grande competizione, soprattutto per due tipi poco fa-
cili come Coverdale e Blackmore. Accadde anche che il cantante dei
Whitesnake decise di far visita al suo vecchio chitarrista. Si recò al
concerto di Monaco dei Rainbow e nonostante Blackmore avesse
espressamente richiesto di non farlo passare nel backstage riuscì ad
arrivare fin dietro il palco bevendo i drink della band e schernendone
la performance con gli altri nel backstage. Blackmore lo vide e gli si
lanciò contro. Ne seguì una rissa paradossale sotto gli occhi divertiti
di alcuni componenti dei Queen.
Nei Rainbow Blackmore poteva dettare legge ancora più che nei
Deep Purple e su più livelli. Più insopportabile del carattere del chi-
tarrista inglese erano soltanto i suoi scherzi continui ai membri del
gruppo, che si perpetravano ai danni dei nuovi componenti della
band freschi di ingaggio, una sorta di nonnismo cameratesco da svol-
gersi in tour ma anche durante le registrazioni. Una volta il tastierista
Tony Carey, stremato dai continui scherzi, spesso rischiosi e pesanti,
scappò valigie alla mano dallo Château d’Hérouville, in Francia, dove
46 White entrò nel gruppo nella reunion dei Rainbow del 1995.
43
pria immagine come musicista fu qualcosa con cui dovette necessa-
riamente fare i conti.
Le tre band dunque vendevano bene e i concerti, di norma, erano
molto frequentati. Nei Whitesnake c’erano ben tre ex Purple (Cover-
dale, Lord, Paice), nei Rainbow due (Blackmore, Glover) e poi c’era
Gillan. Chissà quanti soldi avrebbero potuto fare tornando insieme.
Fake purple
47 Per capire il personaggio si tenga conto che l’unica altra esperienza di rilievo della
sua carriera fu la partecipazione nel recente progetto di Pete Best, primo batterista
dei Beatles rimpiazzato da Ringo Starr.
44
Simper che era uscito dal gruppo con lui. Il bassista declinò l’invito e i
tre cercarono altri musicisti. Emery ebbe anche il coraggio di deposi-
tare il marchio Deep Purple all’ufficio brevetti. La prima esibizione si
tenne all’Estadio Inde a Città del Messico il 28 giungo 1980 e fu un
fiasco totale. Gli spettatori aspettarono l’inizio del concerto sotto una
pioggia torrenziale e quando il gruppo apparve sul palco, dopo le pri-
me note dei classici come Smoke On The Water o Space Truckin’ il pub-
blico andò su tutte le furie.48 Evans se l’era cavata cantando dignitosa-
mente Hush perché gli apparteneva e faceva parte di quella storia, ma
gli altri brani furono imbarazzanti; il gruppo lasciò il palco ingloriosa-
mente dopo appena quaranta minuti senza fare bis. Il pubblico im-
pazzì devastando lo stadio come ritorsione per la pessima perfor-
mance, sentendosi letteralmente beffato. Le altre date non ebbero al-
tro esito che questo: devastazione, rabbia, sassaiole. Alcuni concerti
furono addirittura annullati per evitare ritorsioni. Intanto la notizia
del falso tour era arrivata anche in Inghilterra e Coletta ed Edwards
fecero di tutto per bloccarlo, facendo pubblicare articoli nelle città in
cui avrebbero suonato i falsi Purple in modo da rendere nota che la
formazione non aveva niente a che vedere con quelle originali. La pie-
tra tombale su questa vicenda ce la mise la legge: i falsi Purple avreb-
bero dovuto ai veri una somma di 672.000 sterline e collassarono. A
parte Flynn (promoter e musicista in Messico) e Emery (vicepresei-
dente dell’etichetta californiana Statue Records) gli altri lasciarono
tutti il mondo della musica.
Reunion
45
una reunion. Il manager del chitarrista rintracciò gli altri e propose il
progetto. Tutti gli ex membri dei Purple fiutarono l’affare e pensarono
che fosse cosa buona e giusta. L’iniziale richiesta di Blackmore (tene-
re per sé il cinquanta per cento degli incassi) fu però negata dagli altri
e si passò ad una divisione degli utili in parti uguali. Non seguì la stes-
sa sorte il criterio di attribuzione dei crediti per le canzoni, Blackmo-
re insistette – e ottenne – che risultassero come autori solo quelli che
avevano effettivamente partecipato alla composizione, al contrario di
quanto proponeva Gillan, che era per ritornare “ai vecchi tempi” in
cui i brani venivano firmati da tutti e cinque i componenti. Intanto
però le carriere dei singoli erano diventate qualcosa con cui avere a
che fare e ora intorno alla torta, a guardarla con famelicità divorante,
sedevano i manager dei singoli artisti oltre che quelli del gruppo. In
più i contratti delle etichette di ognuno, soprattutto degli ex arcinemi-
ci Gillan e Blackmore, pendevano sulle loro teste.50 Ciò nonostante il
gruppo annunciò la reunion via radio (all’interno della trasmissione
Friday Rock Show di Tommy Vance) e via carta stampata, garantendo
l’esclusiva all’Evening Standard, un giornale di Londra.51 Tutti e cin-
que i musicisti sapevano che i guadagni sarebbero stati ingenti ma
forse quello che li sorprese ancora di più fu il fatto di ritrovare imme-
diatamente l’affiatamento musicale di un tempo. Gillan ricorda:
50 Gillan al tempo della reunion doveva ancora per contratto un altro disco alla sua
etichetta, la Virgin.
51 I poster pubblicitari del nuovo disco post reunion recitavano “DESTINY BROUGHT
THEM TOGETHER. AGAIN” (il destino li ha voluti di nuovo insieme). Certamente pote-
va essere quella la ragione, ma anche il denaro in gioco fu un elemento che nessuno
del gruppo sottovalutò.
52 Gillan citato in D. THOMPSON, Deep Purple, Smoke on the water: la biografia,
46
Con questo spirito Gillan buttò giù il testo del singolo del nuovo al-
bum, che portava lo stesso nome, Perfect Strangers, perfetti scono-
sciuti:
cit., p. 224.
47
I Deep Purple erano tornati ed erano decisi a fare sul serio. La reu-
nion non sarebbe stata solo un circo rock nostalgico ma il nuovo al-
bum, PERFECT STRANGERS (1984), avrebbe dovuto suonare come
un MACHINE HEAD traslato nel tempo al 1984 riprendendo il filo da
dove si erano interrotti, quel disco del 1974 mai realizzato, però guar-
dandosi intorno con i piedi ben piantati nel presente. Il tour fu un
successo incredibile e fece fruttare ben sette milioni di dollari nei soli
Stati Uniti. In Inghilterra capitò invece che, con poca lungimiranza de-
gli organizzatori, i Deep Purple si trovassero immischiati in una so-
vrapposizione di grandi eventi tra due festival, che si sarebbero tenuti
rispettivamente a Knebworth e a Milton Keynes. Si trattava del “vec-
chio rock” contro il “nuovo” contrapponendo i due rispettivi headliner
delle due manifestazioni: a Knebworth i Deep Purple (più Scorpions,
Meat Loaf, UFO) e a Milton Keynes gli U2 (più Ramones, Billy Bragg e
REM tra gli altri). Finì sostanzialmente in un pareggio che promosse
tutti e due vincitori, entrambi i festival furono presi d’assalto, la crisi
europea dei Festival non era ancora iniziata.
Se il successo appariva una costante che si sarebbe mantenuta nel
tempo, non si poteva dire lo stesso della tranquillità interna. Per l’al-
bum successivo, THE HOUSE OF BLUE LIGHT (1987)53 i lavori erano
partiti già con qualche problema. Sulla scia dell’entusiasmo del tour
appena concluso Gillan e Glover avevano ritrovato l’affiatamento scri-
vendo un po’ di materiale per il nuovo disco, ma non avevano fatto i
conti con Blackmore che non solo non voleva prenderlo nemmeno in
considerazione ma si opponeva anche al concept del titolo PURPEN-
DICOLAR, che Glover aveva scelto per l’album.54 Il bassista, come in
occasione di PERFECT STRANGERS si era occupato anche della pro-
duzione e arrivò al tour stremato. Intanto Gillan lo aveva aiutato fa-
cendolo sfogare nel produrre altro materiale inedito, un altro album
da registrare assieme, in duo.55 THE HOUSE OF BLUE LIGHT fu accol-
to senza troppi entusiasmi da pubblico e critica che lo giudicarono
nettamente inferiore al precedente, mentre i concerti della riunita
53 Il titolo era ispirato ad una delle frasi contenute all’interno di Speed King, canzo-
ne dell’album DEEP PURPLE IN ROCK.
54 PURPENDICOLAR come titolo fu riutilizzato in seguito per l’album del 1996.
55 Si tratta di ACCIDENTALLY ON PURPOSE, a firma Gillan & Glover, pubblicato nel
1988.
48
formazione Mk II restavano sempre luoghi nei quali nelle improvvisa-
zioni poteva succede di tutto e il livello musicale era sempre altissi-
mo. Blackmore ebbe qualche consueto scatto d’ira, famoso quello alla
Wembley Arena. Dopo il concerto il pubblico rumoreggiò per i con-
sueti bis. Blackmore però era di cattivo umore a causa di un proprio
assolo insoddisfacente in Space Truckin’ e non volle tornare sul palco.
Gli altri componenti del gruppo provarono a convincerlo, ma “the
man in black” fu inamovibile. Tornarono sulla scena in quattro per
eseguire Smoke On The Water senza di lui, con Gillan che alzava il dito
medio verso i camerini.
Pochi mesi dopo i concerti americani furono annullati: Blackmore
a Phoenix tirò la chitarra in alto in uno dei suoi funambolici numeri
ma ricadde inaspettatamente troppo vicina, rompendogli un dito, il
resto del tour fu cancellato. Dalla riabilitazione il chitarrista intanto
faceva trapelare voci su un possibile scioglimento del gruppo e una
possibile reunion dei Rainbow, con estremo imbarazzo di tutte le per-
sone coinvolte. Di lì si innescò un effetto a catena che deteriorò i rap-
porti interni e minò la compattezza del gruppo che già si muoveva
come un equilibrista su una corda tesa sull’abisso, ricorda Glover:
“magari ci siamo sciolti a causa del dito fratturato. Dopo l’episodio
non ricordo altro che litigi, un album dal vivo pietoso e tre terribili
mesi di tournée, andò tutto a rotoli”.56
Il casus belli fu la scelta del luogo dove registrare, ma poteva esse-
re quello come un altro. Fu un tutti contro tutti in una riunione dopo
settimane di richieste, proposte scartate e malintesi. Gillan in quella
riunione offese tutti i componenti del gruppo e questi, assieme ai ma-
nager, decisero di licenziarlo, anche a causa del poco impegno dimo-
strato nella band. Era il 1989, ancora una volta il cantante fu fuori dal
gruppo prima del chitarrista.
Il nuovo cantante fu individuato in Joe Lynn Turner, compagno con
Blackmore e Glover nell’ultima formazione dei Rainbow.57 Turner
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aveva una voce americana né troppo rock come Gillan né troppo mar-
catamente blues come Coverdale, poteva quindi spaziare tra i generi,
anche se la direzione del nuovo album dei Purple andò a puntare ine-
sorabilmente verso l’AOR. Il cantante aveva sulle spalle una collabora-
zione con un chitarrista come Yngwie J. Malmsteen che oltre ad esse-
re un talento della seicorde e amante del neoclassico aveva un ego ele-
fantiaco e in più aveva già avuto a che fare precedentemente con
Blackmore, quindi poteva ben sopportare le grane che sarebbero di
sicuro esplose all’interno del gruppo.
Ma fin dalle prime registrazioni per SLAVES AND MASTERS (1990)
apparve chiaro che la situazione era Turner contro tutti gli altri. Il
problema non era tanto la voce quanto l’impostazione dei brani e il
modo di comunicarli, i Deep Purple sembravano Bon Jovi o gli Euro-
pe. Persino l’impassibile Lord si lamentò violentemente a proposito di
Love Conquers All, un brano struggente che Turner aveva stravolto
nell’interpretazione, immergendolo nella melassa. Glover si barcame-
nò al mixer come poté cercando di salvare il salvabile. Inoltre nel pro-
cesso compositivo era stato introdotto anche Jim Peterik dei Survivor
che avrebbe apportato una svolta sempre più in direzione AOR. Quan-
do uscì il disco fece registrare un flop più unico che raro nella storia
dei Purple, gli unici dischi che avevano venduto così poco erano quelli
della formazione Mk I, che avevano avuto anche meno promozione. I
concerti erano di un buon livello ma gli spettatori iniziarono a diser-
tarli. Il rock dei Deep Purple era a tutti gli effetti considerato come
“classico”, un vecchio ricordo, nulla più. Turner, che doveva dare nuo-
va linfa al gruppo, ne aveva ancora maggiormente accentuato questo
aspetto e fu fatto fuori. Bisognava trovare al più presto una soluzione.
Turner:
post separazione di una band: la ricerca del cantante con tanto di lista e motivazione
al seguito e la solitaria fuga di un membro del gruppo a crogiolarsi con il produttore
di turno.
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intruso. […] La gente è strana, amico, alcuni hanno un ego
troppo fragile e creano problemi.58
Last chapter
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ad intraprendere e poi sfogò tutta la rabbia negli ultimi concerti. Lo
sconforto e la disillusione di Blackmore dovevano essere alle stelle
per rifiutare i 150.000 dollari di cachet personale per ognuna delle
sei serate del tour giapponese.
62 La Night aveva partecipato all’ultima tournée dei Deep Purple con Blackmore in
formazione, come corista fuori dal palco, limitatamente alla reinterpretazione in chia-
ve hard rock della Nona Sinfonia di Beethoven.
63 Il primo ad essere contattato per il ruolo vacante di chitarrista fu però Steve Luka-
ther dei Toto, che declinò l’offerta.
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Oggi i Deep Purple sono un gruppo ancora capace di riempire are-
ne e maxi club, spesso sull'onda della nostalgia. L’ultimo album, NOW
WHAT ?! (2013) continua ad essere promosso in tutto il mondo a tre
anni dall’uscita. Nonostante gli acciacchi dell’età lo spettacolo offerto
dal gruppo è ancora entusiasmante. La voce di Gillan purtroppo – e
non potrebbe essere diversamente – non è più quella di un tempo ma
al concerto si assiste ad un evento raro: migliaia di persone che si riu-
niscono insieme formando un pubblico eterogeneo e sfaccettato sen-
za distinzione di sesso ed età ad apprezzare la magica musica del
quintetto, oggi in formazione Mk VIII, con Don Airey all’organo Ham-
mond (Rainbow, Black Sabbath, Jethro Tull, etc.) al posto di Jon Lord,
che lasciò il gruppo nel 2002, dieci anni prima della sua scomparsa, in
un clima sereno e per la prima volta senza spargimento di sangue. Ge-
nerazioni diverse di rocker in piedi davanti ad una leggenda vivente,
se si vuole un po’naif, che ha cambiato faccia decine di volte, a godere
della musica, nient’altro. Quella che è ancora sulle scene, d’altronde, è
la formazione più duratura di sempre per i Purple.
Blackmore è oggi un ricco signore che gira il mondo con i Black-
more’s Night in locali decisamente più piccoli rispetto alla sua vecchia
band (i concerti si tengono di norma in teatri o castelli) attorniato da
fan in costume medievale. Le sue dichiarazioni alla stampa oggi non
fanno più così rumore o paura, va più o meno d’accordo per la prima
volta nella sua vita con la voce della band – che è anche sua moglie – e
finalmente si può divertire ad impostare il gruppo ancora di più a
proprio piacimento.
Quella dei Deep Purple è una storia dai volti cangianti, come la
musica che hanno realizzato, diversa – ça va sans dire – a seconda dei
componenti del gruppo, anche se la formazione che più assomiglia al
nome della band rimarrà sempre nell’immaginario di tutti la Mk II
che dal 1970 al 1974 infiammò i palchi di tutto il mondo ridefinendo
un genere e scolpendo nella roccia a duratura memoria il riff più fa-
moso e suonato della storia rock.
Un gruppo musicale è un rapporto di coppia allargato, ricco delle
stesse gelosie, invidie, ripicche e “guerre civili” tipiche di ogni relazio-
ne. Dai problemi se ne può uscire sostituendo l'altra persona oppure
provare a costruire dei pericolosi ponti sul vuoto per collegare due
città lontane, muovendosi come equilibristi tra due o più ego diversi,
per un fine comune. Cambiare un componente porta inizialmente un
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ricambio d’aria, carne fresca. Poi però vengono meno, sulla lunga di-
stanza, quelle relazioni (musicali e umane) che hanno avuto bisogno
di tempo e anni per sedimentare e trasformarsi in identità del grup-
po. Non sempre – quasi mai – la sola abilità tecnica di un musicista
corrisponde necessariamente alla sua buona integrazione in un grup-
po o a un risultato musicale positivo. L’aspetto umano nel suo com-
plesso conta sempre di più della bravura del singolo. Prendete un
gruppo di super talenti che non si parlano da mesi e mettetelo a suo-
nare sullo stesso palco di un gruppo tecnicamente meno dotato ma
più coeso ad arrivare al medesimo obiettivo, i secondi schianteranno
sempre i primi e la storia del rock – raccontata in queste pagine come
nei prossimi capitoli – ne è testimone. I Deep Purple non saranno mai
i Led Zeppelin, ma non in senso musicale né sul piano dell’importan-
za storica, ma dal punto di vista dell’identità. Se gli Zeppelin sono Ro-
bert Plant, Jimmy Page, John Paul Jones e John Bonham per elencare i
Deep Purple ci vogliono ben più righe e non tutti si ricordano a me-
moria tutti i componenti. Viceversa, ogni membro della band sarà per
sempre segnato dal proprio passaggio all'interno della formazione: il
riconoscimento di appartenenza ai Purple finisce così per riverberar-
si più su ogni singolo componente che sul gruppo intero e le scalette –
ancora oggi – dei progetti dei “fuoriusciti” dai Purple (Coverdale, Hu-
ghes, Turner) testimoniano proprio questo.64 Blackmore nell’immagi-
nario comune sarà sempre il chitarrista dei Deep Purple.
64 Citiamo come esempio in questo senso uno (per tutti) degli album dei membri ex
Deep Purple che nonostante siano passati anni dalla loro militanza nel gruppo, conti-
nuano in qualche modo a riferircisi, è THE PURPLE ALBUM (2015) dei Whitesnake, in
cui il gruppo di Coverdale rivisita per l’ennesima volta i brani della formazione MK III.
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alla cerimonia, in rotta completa con il management della band e Gil-
lan.
Nel momento in cui scriviamo i Deep Purple sono a lavoro su un
album nuovo, i Blackmore's Night hanno da poco pubblicato ALL OUR
YESTERDAYS (2015) e Blackmore sta per annunciare una serie di
concerti con una nuova line up dei Rainbow.
È proprio vero: “the battle rages on”, lo scontro continua, e lascia
sul campo di battaglia indimenticabili cimeli di storia del rock.
RICAPITOLANDO
(breve lista delle formazioni,
dei membri e degli album dei Deep Purple)
Mark I: 1968-1969
Rod Evans - voce
Nick Simper - basso
Ritchie Blackmore - chitarra
Ian Paice - batteria
Jon Lord - tastiere
Album:
SHADES OF DEEP PURPLE (1968)
THE BOOK OF TALIESYN (1968)
DEEP PURPLE (1969)
Album:
CONCERTO FOR GROUP & ORCHESTRA (1969), live
DEEP PURPLE IN ROCK (1970)
FIREBALL (1971)
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MACHINE HEAD (1972)
MADE IN JAPAN (1972), live
WHO DO WE THINK WE ARE (1973)
PERFECT STRANGERS (1984)
THE HOUSE OF BLUE LIGHT (1987)
NOBODY’S PERFECT (1988), live
THE BATTLE RAGES ON… (1993)
COME HELL OR HIGH WATER (1994), live
Album:
BURN (1974)
STORMBRINGER (1974)
CALIFORNIA JAMMING - Live at the California Jam (1974), live
MADE IN EUROPE (1976), live
Album:
COME TASTE THE BAND (1975)
THIS TIME AROUND - Live in Tokio (1975), live
Mark V: 1989-1991
Joe Lynn Turner - voce
Ritchie Blackmore - chitarra
Roger Glover - basso
Ian Paice - batteria
Jon Lord - tastiere
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Album:
SLAVES & MASTERS (1990)
Album:
PURPENDICULAR (1996)
LIVE AT THE OLYMPIA ’96 (1996), live
ABANDON (1998)
TOTAL ABANDON - Live in Australia (1999), live
DEEP PURPLE IN CONCERT WITH THE LONDON SYMPHONY
ORCHESTRA. LIVE AT THE ROYAL ALBERT HALL (1999), live
Album:
BANANAS (2003)
RAPTURE OF THE DEEP (2005)
NOW WHAT?! (2013)
FROM THE SETTING SUN… (IN WACKEN) … TO THE RISING SUN
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(IN TOKYO), (2015), live
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PER APPROFONDIRE, TESTI CONSIGLIATI:
AA.VV, Deep Purple. Dal Rock Sinfonico a The Battle Rages On. La storia, il
mito, le riunioni. Discografia completa, Arcana, Roma, 2002.
J. BLOOM, Ritchie Blackmore. La biografia non autorizzata, Tsunami Edizioni,
Milano, 2013.
I. GILLAN, D. COHEN, Ian Gillan: The Autobiography of Deep Purple's Lead
Singer, Blake Pub, Londra, 1998.
G. HUGHES, J. MCIVER, Glenn Hughes. L'autobiografia della voce del rock.
Dai Deep Purple ai Black Country Communion, Tsunami Edizioni, Milano,
2013.
C. PASCERI, Deep Purple - In Rock, CreateSpace Independent Publishing Plat-
form, 2015.
D. THOMPSON, Deep Purple, Smoke on the water: la biografia, Arcana,
Roma, 2010.
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