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Francesco Petrarca: biografia, libri e poetica

Cosa imparerai

 Francesco Petrarca: vita


o Primi anni e periodo avignonese
o Laura e la laurea
o Gli ultimi anni
 Francesco Petrarca: opere
o Francesco Petrarca: Il Canzoniere
o Il Secretum

Infobox
Chi FRANCESCO PETRARCA

Quando 20 luglio 1304 - 19 luglio 1374

Movimento letterario Preumanesimo

Pensiero Amante dei classici (in particolar modo di quelli latini) e sdegnoso verso la
cultura della sua epoca, può essere considerato un precursore
dell'Umanesimo

Opere principali Canzoniere, Secretum

Ha ispirato Pietro Bembo, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso

Ispirazioni Marco Tullio Cicerone


1Francesco Petrarca: vita

1.1Primi anni e periodo avignonese

Francesco Petrarca, uno dei più importanti poeti italiani di sempre, nasce ad Arezzo il 20 luglio
del 1304. Suo padre è notaio e per lavoro si sposta in importanti centri italiani ed europei.
Francesco lo segue, ancora bambino, e si troverà nel grande mondo francese, ad Avignone, che in
quel periodo era divenuta la nuova sede della Chiesa di Roma. Qui Petrarca entra in contatto
con personaggi molto importanti dell’epoca: è bene integrato nella vita politica e culturale del
suo tempo, è molto attento a tutto quello che lo circonda, a partire dalle questioni politiche, come il
problema di riportare o meno la sede della Chiesa a Roma. Conosce i romanzi francesi, conosce
benissimo la poesia di Dante e della scuola stilnovista, inizia a leggere testi religiosi e teologici che
approfondirà quando deciderà, più tardi, di prendere i voti. Francesco Petrarca inizia già da
subito a tentare di interpretare e rinnovare la letteratura e la cultura contemporanee che gli
appaiono insoddisfacenti.

Petrarca studia legge (si iscrive all’università ma non porta a termine gli studi anche se, come
vedremo fra poco, avrà comunque una “laurea”) ed entra in contatto con autori latini come
Cicerone e Virgilio. Per lui il latino è quasi una seconda lingua che usa anche per prendere
appunti.
Sono quindi tanti e diversi i fattori che influenzano la sua preparazione: un avviamento alla
letteratura religiosa, una grande conoscenza della letteratura volgare (cioè stilnovo e letteratura
francese), un grande amore per i classici latini: premesse che pongono le basi della sua grande
poesia.

1.2Laura e la laurea

C’è un personaggio molto legato alla poesia di Francesco Petrarca: Laura. Il poeta racconta di
averla incontrata la prima volta il 6 aprile 1327 e di essersene innamorato immediatamente.
Questa donna diventerà oggetto della maggior parte delle poesie del Canzoniere.

È un periodo non solo caratterizzato dall’amore ma anche da una profonda riflessione


spirituale: Petrarca prende i voti e vive come un chierico laico – erano in molti a non condurre
una vita monastica, pur essendo uomini di chiesa, in questo periodo – svolge incarichi importanti
presso la famiglia Colonna, approfondisce gli studi leggendo vite e opere di Santi ed inizia anche
lui a riflettere sulle sorti dell’anima e sul valore della religione.

Tutto quello che ha scritto fino a quel momento lo ha reso un personaggio noto e amato tanto che,
nel 1341, gli viene conferita la laurea come poeta: Francesco Petrarca verrà incoronato a
Roma “ad honoris”.
Ma sta però per arrivare un periodo decisamente negativo: la peste che nel 1348 devasterà
l’Europa e porterà in Petrarca un periodo di profonda inquietudine e tristezza. Laura muore e
l’epidemia, così violenta, lo turba profondamente.
1.3Gli ultimi anni

L'autore riesce a superare questo momento che però lascia una traccia dentro di lui. Nelle poesie
di Petrarca risalenti a questo periodo possiamo notare un cambiamento verso una tematica più
profonda: si interroga sulla natura dell’anima e certe poesie sembrano quasi delle preghiere.
Incontra e diventa molto amico di Giovanni Boccaccio, un altro grandissimo autore della nostra
letteratura che insieme a Petrarca e Dante è conosciuto come una delle “tre corone”, in
riferimento proprio alla corona di alloro che veniva all’ora usata per cingere i poeti (appunto
laureati). Insieme a Boccaccio, Petrarca riflette sul rapporto fra lingua italiana e latino, un
dibattito che a quei tempi era molto sentito.

Gli ultimi anni della sua vita Petrarca li vive intorno a Padova, continuando a scrivere e a studiare
come ha sempre fatto e muore ad Arquà - in suo onore questa località si chiama oggi Arquà
Petrarca - il 19 luglio 1374.

[...] i' che l'esca amorosa al petto avea, / qual meraviglia se di subito arsi? // Non era l'andar suo
cosa mortale / ma d'angelica forma, e le parole / sonavan altro che pur voce umana [...]

Francesco Petrarca, "Erano i capei d'oro a l'aura sparsi"

2Francesco Petrarca: opere

2.1Francesco Petrarca: Il Canzoniere

Il titolo originale dell’opera è in latino: Rerum Vulgarium Fragmenta, che tradotto significa
“frammenti di cose volgari”. Petrarca vuole sottolineare con questa espressione il fatto che ha
scelto di scrivere in volgare. Una scelta che poi si è dimostrata essere giusta: nell'epoca in cui
Petrarca scrive, la lingua volgare ha raggiunto un certo prestigio ed egli, grazie alla conoscenza
profonda del latino, ha saputo renderla (in particolare il volgare fiorentino trecentesco) una lingua
aulica, dignitosa e in grado di essere usata per fare poesia. Nel 1525, quando i letterati italiani si
interrogheranno su quale tipo di volgare sia giusto usare per fare poesia e scrivere di narrativa,
Pietro Bembo deciderà di scegliere Petrarca e il Canzoniere come modello su cui basare ogni
poesia.

Ecco cosa ricordare del Canzoniere di Petrarca:

 È composto fra il 1336 e il 1374, cioè l’anno della sua morte: l'autore ha passato
praticamente tutta la vita a scrivere poesie che vengono raccolte in quest’opera.
 Il Canzoniere di Petrarca contiene 366 poesie, una per ogni giorno dell’anno secondo
il progetto di Petrarca, più una poesia iniziale che funge da proemio e presentazione
dell’opera. Questi componimenti si dividono poi in due sezioni: rime in vita di Laura e
rime in morte di Laura.
 I temi del Canzoniere di Petrarca sono principalmente l’amore per Laura che viene
descritta da Petrarca come la donna-angelo stilnovista ma, a queste descrizioni, ne alterna
altri in cui la donna è una creatura terrena capace di suscitare un desiderio anche carnale e
non solo spirituale. A questa tematica amorosa se ne collega un’altra: come il poeta spiega
nel proemio dell’opera, il suo intento è di scrivere per sollevare con la sua poesia tutti gli
innamorati che soffrono per amore. Alcuni componimenti, una minoranza, trattano
di tematiche politiche e religiose.
 Sceglie parole che suonano molto dolci all’orecchio di chi le legge. Petrarca sa giocare
molto con le parole e con i loro significati e anche questo rende l’intera opera molto
omogenea.
Per citare un esempio molto noto, si tenga presente il rapporto semantico fra Laura, laurea,
lauro, alloro. Quando in una poesia le parole suonano molto simili fra loro non dobbiamo
considerarlo un caso: il poeta vuole collegare i significati di ogni termine. Laura diventa il
simbolo della sua gloria come poeta (appunto la laurea), il lauro poi è l’altro nome dato alla
pianta di alloro e con questo accostamento il poeta ci ricorda il mito di Apollo e Dafne che,
per sfuggire al dio che la voleva, si trasforma in questa pianta. Petrarca ci dice cioè che
non riesce a raggiungere la sua amata ma in compenso (magra consolazione forse) questa
donna lo ha reso poeta ed è divenuta lei stessa Poesia.

2.2Il Secretum

Il Secretum di Petrarca è un’opera scritta in latino e, attraverso una sorta di confessione in


forma di dialogo, mette in scena una profonda riflessione dell'autore sulla sua vita. Non a caso
Francesco immagina di compiere il dialogo negli anni 1342-1343, quando sta per arrivare la peste
ed egli sente una grande inquietudine. Con chi dialoga Petrarca in questa lunga confessione? Con
Sant’Agostino, uno dei santi più importanti della Chiesa Cristiana e fondamentale per le sue
dottrine.

Questo personaggio è molto importante per la conversione di Petrarca: Sant’Agostino sceglie di


lasciare una vita di beni materiali per dedicarsi esclusivamente ad una vita spirituale e alle Sacre
Scritture. È autore delle Confessioni, un’opera autobiografica che è, in fin dei conti, quello che si
prefigge di relizzare Petrarca al termine di questa lunga riflessione che caratterizza il dialogo con
il santo nel Secretum.

Cosa ricordare del Secretum di Petrarca?

 L’opera è composta da un proemio più tre libri in cui il poeta non solo parla con S.
Agostino: c’è anche un’altra presenza, quella della Verità, che ascolta la conversazione
 Primo libro: il poeta analizza i vizi dell’uomo, prende in considerazione i rapporti fra vita
e morte e si rende conto di quanto siano futili le sue preoccupazioni terrene in vista della
vita eterna nell’Aldilà. Il Santo consiglia a Petrarca di occuparsi allora solo della fede e
della vita religiosa.
 Il secondo libro si concentra sulla descrizione dei sette peccati capitali e, dopo un esame
di coscienza, il poeta capisce di aver peccato soprattutto di accidia, cioè nella mancanza di
volontà e nella pigrizia.
 Nel terzo libro si arriva ai problemi più intimi e profondi del poeta e cioè all’amore per
Laura che lo tormenta e lo distrae dalla fede, e al bisogno di ottenere una gloria terrena
come poeta. In questo caso Agostino riesce a persuaderlo sull’inutilità di una passione
amorosa e lo convince che è importante contemplare l’amata solo spiritualmente. Non
rinuncia però alla gloria poetica che diviene però, anche questa, un motivo di ricerca
interiore e di elevazione spirituale.
Concetti chiave

L'incontro con Laura

Petrarca incontra Laura, una giovane fanciulla, il 6 aprile 1327 e subito se ne innamora. Questo
forte e repentino sentimento influenzerà tutta la produzione poetica dell'autore.

Il primo umanista

Pur essendo di qualche decennio precedente allo sbocciare dell'Umanesimo, Petrarca può
essere considerato il primo degli umanisti, cioè gli intellettuali che ritornano allo studio dei classici
e ad essi si ispirano per comporre le loro opere.

Il modello per la poesia della letteratura successiva

In quella che viene ricordata come la Questione della lingua, Pietro Bembo sceglierà proprio il
Canzoniere di Petrarca come modello per la poesia in volgare. Ne nascerà un lungo periodo di
imitazione dell'autore che, nei suoi picchi più acuti, prenderà il nome di Petrarchismo.

Domande & Risposte

 Cosa ha scritto Francesco Petrarca?


Petrarca ha scritto opere in latino e in volgare. Tra le opere in latino ricordiamo: De vita
solitaria, De otio religioso, Epistolae e Secretum. Tra le opere in volgare ricordiamo il
Canzoniere e I trionfi.
 Quando è morto il Petrarca?
Il 19 luglio del 1374.
 Come è morto Petrarca?
Muore colpito da una sincope.
 Dove trascorse gli ultimi anni Petrarca?
Gli ultimi anni della sua vita Petrarca li vive intorno a Padova, continuando a scrivere e a
studiare come ha sempre fatto.
IL DISSIDIO INTERIORE DI PETRARCA: SAGGIO BREVE 
  
Francesco Petrarca è una delle personalità più importanti della letteratura italiana. Nato nel
1304, vive in quello che può essere definito un “periodo di transizione” tra il Medioevo e l’età
moderna, durante il quale ai tipici valori religiosi dell’età buia comincia ad accostarsi una visione
più individualista e terrena del mondo, che si affermerà e svilupperà definitivamente durante
l’Umanesimo. Francesco Petrarca, dunque, durante la sua vita, tenta costantemente di far
coesistere in sé entrambi questi aspetti ma, non riuscendoci, cade vittima di un
tormentato dissidio interiore contraddistinto da un continuo oscillare tra la persistente
volontà di avvicinarsi a Dio e il desiderio di gloria e di successo, rafforzato dall’assillante
richiamo dei piaceri terreni, considerati labili e miseri. Tale dissidio tocca il culmine nel 1342,
anno in cui il fratello minore Gherardo decide di prendere gli ordini monastici, divenendo un frate
certosino. Petrarca ammira nel fratello la sua sicurezza nell’intraprendere il cammino che conduce
a Dio, come lo stesso poeta comunica all’interno della prima lettera del IV libro delle Familiari in
cui scrive dell’Ascesa al Monte Ventoso, nei pressi di Valchiusa, intrapresa insieme al fratello
nel 1336 (la lettera tuttavia risale al 1352-53). A più riprese Petrarca mette in risalto la sua difficoltà
nel risalire il tortuoso sentiero che lo induce più volte a fermarsi e a cercare invano una strada più
agevole, atteggiamento simbolo della distrazione provocata dai beni terreni che lo distolgono dalla
retta via; contrapposta all’agilità del fratello che prosegue senza esitare, quasi fosse guidato dalla
fede divina. 
Letterariamente l’inquietudine petrarchesca si sviluppa intorno ad una figura femminile di cui il
poeta dice di esser innamorato: Laura. Non si ha alcuna certezza della sua veridicità storica,
nonostante si presuma che dietro alla donna ci possa essere un’esperienza reale, per quanto
effimera. In realtà ella assume un valore prettamente simbolico e la narrazione della vicenda
amorosa viene utilizzata da Petrarca nel Canzoniere, la più famosa tra le sue opere, come mezzo
per intraprendere una scrupolosa analisi interiore sul piano religioso e morale. Infatti,
all’interno dei componimenti poetici della raccolta appena citata, Laura viene descritta attraverso
particolari come i “capei d’oro” o i “begli occhi” dai quali non è possibile ricavare un’immagine
concreta della donna, bensì una figura quasi emblematica. 
Lo stesso accade anche nella descrizione degli spazi che mutano in rapporto ai sentimenti del
poeta, come per i luoghi degli incontri con Laura che posseggono le caratteristiche del locus
amoenus, ossia un paesaggio idillico e tipico della tradizione. 
In pratica, Petrarca nella maggior parte delle sue poesie, riprendendo spesso i temi
dello stilnovismo, esalta la figura di Laura e trasmette al lettore la descrizione di un’attrazione
prettamente sensuale che è pertanto fonte di peccato. Dalla consapevolezza di questo suo “giovanil
errore”, così chiamato nel sonetto proemiale Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, deriva
il perpetuo contrasto dei sentimenti provati che più volte lo spinge ad intraprendere un cammino di
purificazione e a manifestare il suo pentimento dinanzi a Dio così da potersi finalmente definire un
“altr’uom” (Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono). Tuttavia, in un primo momento risulta
difficile per Petrarca ammettere il carattere “peccaminoso” del suo amore, come dimostrato nel III
libro del Secretum in cui alle continue accuse rivoltagli da Sant’Agostino, Petrarca tenta di
difendersi invano parlando di Laura come di colei che gli ha permesso di amar Dio. 
Inoltre, poiché non riesce a mantenere fede ai suoi propositi e volge nuovamente la sua attenzione
verso Laura, per quanto indifferente nei confronti del poeta, prova un’immane vergogna che
accresce in lui la necessità, manifestata all’interno del sonetto Solo et Pensoso, di isolarsi dal
mondo, temendo le critiche che gli potrebbero essere rivolte dalla gente (Voi ch’ascoltate in rime
sparse il suono). Nella vita reale ciò si riflette nei numerosi ritiri di Petrarca a Valchiusa, durante i
quali spera di poter trovare finalmente tranquillità. 
Questa debolezza spirituale con il tempo arriva ad assumere il carattere di una vera e propria
malattia: l’accidia, l’inerzia morale, uno dei sette peccati capitali. Essa viene esaminata
accuratamente (insieme agli altri peccati) nel II libro del Secretum e qui definita come fonte prima
di rovina e sofferenza che annulla ogni possibilità di scelta e d’azione, costringendo l’uomo ad
arrendersi; è qualcosa che “prende talvolta così tenacemente, da tormentarmi nelle sue strette
giorno e notte, e allora la mia giornata non ha più per me né luce né vita, ma è come notte
d’Inferno e acerbissima morte" (Secretum, Libro II). Leggi il tema svolto sull'accidia nel Secretum
di Petrarca. 
Da un punto di vista stilistico il conflitto come una “consistenza di opposti” (M. Santagata, I
frammenti dell’anima. Storia e racconto nel Canzoniere di Petrarca), vale a dire che viene fatto
frequentissimo uso dell’antitesi come nel sonetto Pace non trovo e non ho da far guerra. 
Inoltre, la scelta del volgare come lingua per i componimenti è in accordo con la tematica
trattata, poiché esso è l’elemento rappresentativo della soggettività, la lingua “materna”, affettiva di
Petrarca. Mentre l’impiego che egli fa delle strutture sintattiche latine, che rappresentano per
l’autore un modello di perfezione ed eleganza, è un mezzo attraverso il quale rendere graficamente
l’equilibrio a cui tanto il poeta aspira e, al tempo stesso, conferire dignità e solennità alla materia
trattata. Da ciò deriva un linguaggio fluido e semplice, definito da Contini “unilinguismo”. 

SAGGIO BREVE SUL DISSIDIO INTERIORE DI PETRARCA: CONCLUSIONE  


  
Per concludere è importante dire che il conflitto interiore di Petrarca non giunge a
soluzione. Ciò significa, riprendendo quello che si è detto all’inizio, che la conciliazione tra la
sfera divina e quella umana in un’epoca come questa non può avvenire. Petrarca stesso ignora
come raggiungere la pace talmente desiderata da divenire il tema principale della preghiera rivolta
alla Vergine Maria posta a chiusura del Canzoniere, giacché, per esempio, anche la stessa morte,
che nella concezione cristiana è vista come fine dei mali per tutti coloro che hanno sofferto, da
Petrarca è percepita invece come un “dubbioso passo”, perché pieno d’insidie e oltre il quale si
nasconde l’ignoto. 

Domande & Risposte 

 Qual è il significato del dissidio interiore di Petrarca? 


Il dissidio interiore è il continuo oscillare tra la persistente volontà di avvicinarsi a Dio e il
desiderio di gloria e di successo, rafforzato dall’assillante richiamo dei piaceri terreni,
considerati labili e miseri. 
 Perché Petrarca sceglie di scrivere in volgare i suoi componimenti? 
Per Petrarca il volgare è la lingua “materna”, affettiva. 
 Come viene descritta Laura nel Canzoniere? 
Laura viene descritta attraverso alcuni particolari come i “capei d’oro” o i “begli occhi”, dai
quali non è possibile ricavare un’immagine concreta della donna, bensì una figura quasi
emblematica. 

 
La donna angelo: la figura della donna nel dolce stilnovo 

1La figura della donna-angelo nel Dolce stil novo 

Rinnovamento della poetica precedente L’esperienza stilnovista è una cerniera letteraria tra due
mondi:  
 il mondo cortese; 
 il mondo comunale; 
 Gli stilnovisti conoscono bene la cultura letteraria della Scuola siciliana e
quella trobadorica, ma le rinnovano fortemente sia dal punto di vista stilistico
che contenutistico.    
Trasformazione del concetto di donna-angelo in chiave filosofica e intellettuale Mentre il tono della
scrittura si muove alla ricerca di toni sempre più aulici e tersi i temi dell’amore, della natura e
la cause dell’innamoramento, della gentilezza dell’animo e la figura della donna-
angelo vengono ripresi e sottoposti ad una profonda rilettura di stampo
intellettuale che poggia sugli avanzamenti concettuali prodotti nelle università, come la
riscoperta della filosofia classica, in particolare quella aristotelica, e sulle nuove teorizzazioni
portate avanti dalla scolastica cristiana, che cercava di coniugare la dottrina cattolica con il rigore
della filosofia antica. In poche parole lo stilnovismo è il frutto letterario che rispecchia
perfettamente la maturazione intellettuale della civiltà comunale a quest’altezza del Duecento.    
Funzione degli angeli La figura della donna-angelo, che ha un ruolo fondamentale nella poetica
stilnovista, non è un’invenzione di questa corrente ed era, anzi, ben presente nella precedente
poesia nella quale, però, l’analogia tra la donna e l’entità celeste era limitata a un paragone basato
su fattori estetici. Gli stilnovisti ripensano questa figura in una chiave che può essere
compresa solo alla luce dei concetti teologici allora diffusi attorno alla funzione degli angeli:
nell’universo tolemaico la Terra è al centro ed è circondata da nove cieli, ognuno dei quali è
presieduto da un’intelligenza angelica il cui compito è quello di mediare il volere divino
imprimendo a ciascun cielo quel movimento che lo fa roteare.   
La bellezza della donna-angelo proviene da Dio Parallelamente la bellezza della donna-angelo
viene identificata dagli stilnovisti come una bellezza proveniente da Dio e quindi ricca
di ogni virtù, che suscita nell’uomo che ha un cuore nobile un sentimento d’Amore che non va
identificato con il desiderio carnale, ma va inteso come un mezzo di perfezionamento che,
attraverso un’esperienza quasi mistica, può perfezionare ed elevare il suo animo.  
Al cor gentil…: manifesto dello stilnovismo La prima descrizione della donna-angelo in questa chiave si
ritrova nel sonetto Al cor gentil rempaira sempre amor di Guido Guinizzelli, considerato
come un vero e proprio manifesto della poesia stilnovista.  
Strumento dell’azione divina Quest’archetipo femminile diventa uno strumento dell’azione
divina, agisce su un piano che è quasi soprannaturale, e la sua descrizione diventa perciò
impossibile sul piano letterario: la donna, intesa come figura reale e autonoma, scompare, è quasi
evanescente, mentre restano tangibili e descrivibili gli effetti della sua azione benefica sull’amato.  
Esperienza di maturazione spirituale del poeta D’altro canto la centralità dell’esperienza
personale del poeta e del suo processo di maturazione spirituale, che è una delle grandi
novità dello stilnovismo, fa sì che ogni esperienza d’Amore venga raccontata
diversamente da ciascun autore che, pur muovendosi all’interno di un canone letterario ben
definito, ne dà una lettura ogni volta personale e, perciò, differente dagli altri.  
1.1Guido Guinizzelli: il caposcuola dello stil novo 

Guido Guinizzelli Di Guido Guinizzelli si hanno scarse notizie biografiche: giureconsulto di parte
ghibellina fu attivo a Bologna, sede di uno dei poli universitari più importanti d’Europa. Dopo un
esordio improntato sull’imitazione di Guittone d’Arezzo compie un profonda operazione di
rinnovamento poetico che dà l’avvio allo stilnovo.    
La donna descritta nelle sue fattezze fisiche La sua idea sull’azione e gli effetti della donna-angelo la si
legge nei sonetti Io voglio del ver la mia donna laudaree Vedut’ho la lucente stella di
Diana. Nelle prime quartine di queste liriche la donna viene descritta nelle sue fattezze
fisiche ma con toni estremamente diversi: nel primo sonetto la descrizione è indiretta, e avviene
con una serie di parallelismi di tipo naturalistico in cui essa viene paragonata a “la rosa e lo giglio”
(v.2) e alla stella di Diana, cioè al pianeta Venere; nel secondo sonetto, a parte un riferimento alla
“stella diana” al v.1, sono assenti i rimandi naturalistici e la donna viene descritta nelle sue fattezze
fisiche, anche se la pelle bianca e gli occhi lucenti rimandano a una bellezza ideale più che a una
reale fisicità.   
Gli effetti che la donna procura all’uomo Le terzine conclusive di questi sonetti descrivono gli effetti
che la donna procura sull’uomo: dal senso di straniamento ai sospiri, all’impossibilità di
comunicare il sentimento d’amore che nobilita il poeta con la sua virtù.  
Il saluto della donna-angelo Il sonetto Lo vostro bel saluto e ‘l gentil sguardo introduce il
tema, originale e tipicamente stilnovista, del saluto della donna-angelo che ha un valore
salvifico e la capacità di produrre un sentimento di estasi quasi mistica nell’uomo che lo riceve.   

2La donna-angelo in Guido Cavalcanti 

Cavalcanti: esponente dello stilnovo Guido Cavalcanti è, insieme a Lapo Gianni, Cino da


Pistoia e Dante Alighieri tra i massimi esponenti dello stilnovismo toscano. Di questo
autore conosciamo 52 componimenti, in gran parte sonetti, che affrontano il tema dell'amore
inteso come sentimento irrazionale e passione violenta, mentre la descrizione della figura
femminile si caratterizza per un rigoroso processo di astrazione in cui l'innamorato concepisce
l'idea stessa della bellezza dall'immagine esteriore della donna-angelo.   
Avete 'n vo' li fior' e la verdura Nel sonetto Avete 'n vo' li fior' e la verdura Cavalcanti recupera e
supera la poetica guinizzelliana, che basa la descrizione della bellezza della donna sulla
base di similitudini naturalistiche. In Cavalcanti è la donna ad avere in sé i fiori, la luce e ciò
che “è bello da vedere” (v. 2), interiorizzando quindi le virtù femminili ed inaugurando un nuovo
filone lirico che, passando per Petrarca, segnerà la poesia occidentale dei secoli successivi.  
Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira Nel sonetto Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira la
donna è un essere perfetto e superiore, che non può essere descritta o compresa dalla mente
dell'innamorato. Qui si esprime una caratteristica propria dello stilnovismo toscano per cui la
figura femminile è indefinibile, quasi soprannaturale per cui non solo nessuno è in grado
di starle alla pari, ma nemmeno di parlarne degnamente.  
La donna come essere perfetto e superiore Difatti questo sonetto comincia con una quartina dal tono
interrogativo e si conclude con due terzine dal tono negativo: la prima (vv. 9-11) dichiara che
quella bellezza non si può raccontare, mentre la seconda (vv. 12-14) giustifica la
precedente dicendo che la mente umana non è in grado di afferrare tanta perfezione; la figura
della donna-angelo è qui portata ai massimi livelli astrattivi, in ossequio alle speculazioni
filosofiche di stampo averroistico che influenzano la produzione del Cavalcanti.  

3La donna angelo di Dante Alighieri: Beatrice 

La Vita nuova di Dante La concezione della donna-angelo in chiave stilnovista secondo


l’Alighieri trova la sua massima espressione nella Vita nuova, un prosimetro in cui
l’autore racconta del suo sentimento amoroso e di come questo l’abbia fatto maturare
spiritualmente.  
Beatrice La donna di Dante si muove su due piani, uno reale e uno spirituale, che s’intrecciano
continuamente: lo stesso nome di Beatrice, pur essendo quello di una persona realmente esistita
fa riferimento all’azione salvifica, beatificante appunto, avuta sul poeta.  
L’esperienza di Dante L’esperienza dantesca, raccontata fin dai primi momenti, si muove un piano
sia storico che simbolico: a nove anni c’è il primo incontro con l’amata, mentre a diciotto
lei gli dona il suo saluto che perderà poco dopo provocandogli grandi sofferenze; la
cronologia si muove sulla base dei multipli di tre che richiamano alla Trinità, ma al tempo stesso la
vicenda reitera un rapporto amata/amante basato sull’ineffabile di stampo cavalcantiano.  
La lode Alighieri invece supera la contrapposizione risolvendola nell’amore disinteressato
verso la donna che trova il suo compimento nel canto di lode fine a sé stesso. La lode
nella tradizione cristiana era un canto che andava rivolto in prima istanza a Dio, così come il
sentimento d’amore doveva essere volto primariamente a Lui, ma la perfezione interiore della
donna la rende simile al Divino e perciò meritevole di amore e lode: in questo modo le lezioni dei
“due Guido” vengono sintetizzate e superate.  
La morte di Beatrice La morte di Beatrice arricchisce la Vita nuova di un’ulteriore piano narrativo
in quanto segna il di lei passaggio definitivo al campo del soprannaturale: diventa per
Dante un pensiero assoluto e segna definitivamente il suo percorso di maturazione spirituale
destinato a risolversi nel “dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna”, frase che secondo
gran parte della critica prelude alla scrittura della Commedia.  

Concetti chiave 
Lo stilnovismo e la donna-angelo 
 Lo stilnovismo eredita il concetto della donna-angelo dalla poetica precedente ma lo
trasforma attraverso un’operazione filosofica e intellettuale. 
 Nell’opera di Guinizzelli, il primo degli stilnovisti, l’azione della donna è paragonata a
quella delle cerchie angeliche. 
 La donna-angelo muove il cuore dell’uomo di nobile cuore guidandolo verso la personale
maturità. 
Guido Cavalcanti 
 L’opera di Cavalcanti si connota per un più marcato processo di intellettualizzazione
della figura della donna-angelo. 
 L’azione della donna avviene in un ambito quasi soprannaturale e la descrizione della
sua figura non procede per negazione. Cavalcanti può descrivere la donna solo per quello
che non è. 
Dante Alighieri 
 La Vita nuova ruota attorno a Beatrice, figura su cui Dante interseca sia un piano reale
che uno soprannaturale. 
 Il dolore di non poter descrivere la donna amata si risolve nell’amore e nel canto gratuito
verso una figura semi-divinizzata. 
 La morte di Beatrice, e il suo passaggio nel campo soprannaturale, segnano una svolta
conclusiva nel processo di maturazione spirituale del poeta. 

Domande & Risposte 


 Qual è l'origine della parola Stilnovo? 
L’origine della parola Stilnovo viene rintracciata nel XXIV Canto del Purgatorio di Dante
Alighieri, in cui l’autore indica la produzione poetica sviluppatasi tra la fine del Duecento e
l’inizio del Trecento dapprima a Bologna ed in seguito a Firenze. 
 Chi sono gli stilnovisti? 
Intellettuali fiorentini, corti e raffinati, che esaltavano il tema dell’amore, dandogli un
significato più profondo, e il tema della donna-angelo portata alla sua massima
sublimazione. 
 Chi sono i principali autori dello Stilnovo? 
Guido Guinizelli, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Cino da Pistoia e Dante Alighieri. 
Solo et pensoso: testo, analisi e parafrasi del sonetto XXXV del Canzoniere di Francesco Petrarca 

Infobox 

Chi FRANCESCO PETRARCA

Quando 1337 circa

Cosa Solo et pensoso

CARATTERISTICHE Sonetto XXXV del Canzoniere dove Petrarca descrive se stesso


passeggiando per luoghi selvaggi con l'intento di allontanare i pensieri
amorosi ma, soprattutto, di non mostrare le sue pene.

MOVIMENTO LETTERARIO Lirica amorosa

1Il Canzoniere e la biografia letteraria di Petrarca 

Petrarca e l’uso del latino classico Precursore dell'umanesimo, filologo


attento, Petrarca concentra la sua attività letteraria principalmente nella scrittura di opere in
latino, e sceglie così di utilizzare una lingua che ricostruisce in modo che si avvicini alle forme del
latino classico, identificandone i più alti esempi in Cicerone e Virgilio e rifiutando in maniera
netta l'uso del latino medievale.   
L’uso del volgare nelle opere meno significative Contrariamente a quanto fatto dalla generazione dei
poeti e dei letterati suoi precursori, cioè degli stilnovisti come Guido Cavalcanti e
soprattutto Dante Alighieri, Petrarca è convinto che sia il latino ad avere un ruolo
nobile, e perciò si serve del volgare per scrivere quelle opere che ritiene, almeno
apparentemente, meno significative.   
Il Canzoniere, autobiografia letteraria È per questo che il titolo originale del Canzoniere, quello
datogli dal suo autore è Rerum Vulgarium Fragmenta, cioè una raccolta di cose scritte in
lingua volgare e di poca importanza. Eppure quest'opera occupa un posto centrale nel
progetto di autobiografia letteraria che Petrarca s'impegna a costruire lungo tutto l'arco della
sua esistenza, un'importanza testimoniata dal continuo processo di scrittura, riordino ed edizione
di questa raccolta.  
La redazione del Canzoniere La redazione del Canzoniere, infatti, nella forma che leggiamo
ancora oggi, avviene tra il 1367 e il 1374, anno della morte del poeta, ma le prime sistemazioni
risalgono addirittura al 1338. Nel frattempo il corpus dell'opera aumenta, questa diventa complessa
e si arricchisce di richiami interni ed esterni ad altre sue opere e assume un ruolo primario
nella descrizione del processo di maturazione spirituale che l'autore voleva tramandare ai
posteri. 
Solo et pensoso La lirica che porta il titolo “Solo et pensoso” fa parte delle opere
giovanili dell'autore, e la ricostruzione filologica ha stabilito che sia stata scritta non oltre il 1337:
appartiene quindi alla primissima stesura dell'opera, quando ancora, nelle intenzioni del poeta, il
Canzoniere davvero non era altro se non la raccolta di divertimenti letterari. In questa lirica il
poeta racconta di come, sconvolto dal sentimento amoroso, cerchi rifugio nei luoghi
più isolati, vergognandosi del fatto che qualunque persona avrebbe riconosciuto il suo
stravolgimento; uno stato d'animo che il lettore può ben figurarsi dai forti accenti con cui Petrarca
tratteggia il suo stato emotivo. 
2Solo et pensoso: testo e parafrasi 

Testo 
Solo et pensoso i più deserti campi 
vo mesurando a passi tardi et lenti, 
et gli occhi porto per fuggire intenti 
ove vestigio human l’arena stampi. 
Altro schermo non trovo che mi scampi 
dal manifesto accorger de le genti, 
perché negli atti d’alegrezza spenti 
di fuor si legge com’io dentro avampi: 
sì ch’io mi credo omai che monti et piagge 
et fiumi et selve sappian di che tempre 
sia la mia vita, ch’è celata altrui. 
Ma pur sì aspre vie né sì selvagge 
cercar non so ch’Amor non venga sempre 
ragionando con meco, et io co·llui. 

Parafrasi 
I campi più deserti solitario e pensieroso 
con passo lento e apatico percorro, 
e mantengo i miei occhi sono rapidi per scappare 
dai luoghi in cui l'orma umana lascia il segno. 
 
 Non trovo altro riparo che mi protegga 
dal far accorgere alla gente [il mio stato d'animo] 
perché nei miei gesti privi di gioia 
mostrano al di fuori come io dentro divampi: 
 
 e così io ormai credo che monti e spiagge 
e fiumi e boschi sappiano di che sentimenti 
sia la mia vita, ch'è nascosta agli uomini. 
 
 Eppure sentieri troppo duri o troppo selvaggi 
non riesco a trovare per far si che Amore non venga sempre 
a ragionar con me, e io con lui. 
3Solo et pensoso: analisi 

La rima Il sonetto si compone di quattro strofe, due quartine iniziali e due terzine che seguono lo
schema di rime ABBA ABBA CDE CDE. Non mancano, com’è frequente nelle liriche
petrarchiane, citazioni virgiliane e allusioni omeriche.  
La solitudine e la desolazione del poeta E proprio su una citazione dell'Iliade che è improntato l'incipit
della prima quartina, dove il poeta descrive il suo desiderio, la sua necessità di
nascondersi dalla vista umana, trovando rifugio in luoghi sperduti. Il distico iniziale si
caratterizza per il chiasmo delle due dittologie, il «Solo et pensoso» con cui si apre il v.1 cui
risponde il «tardi e lenti» che chiude il v.2: in questo modo il sonetto s'impronta già dalla sua
apertura sul tema del doppio, che viene sviluppato attraverso l'analogia tra solitudine e la
desolazione del poeta e quella degli ambienti naturali in cui si rifugia.  
Il senso del passo lento Al v. 2 il verbo «mesurando» dà la cifra della cupezza che connota la lirica,
dando il senso del passo lento con cui il poeta attraversa i campi, quasi come se volesse
misurarli. 
La necessità del poeta di rifugiarsi in luoghi sperduti Il tema della doppiezza irrompe nella seconda
quartina, che gioca tutta su un costante rapporto tra l’interno e l’esterno, e spiega il perché egli
avverta la necessità di rifugiarsi in luoghi sperduti, cioè per sentirsi al riparo dallo sguardo
della gente che, senza fatica, si accorgerebbe del suo stato miserevole. 
Il tormento emotivo di Petrarca Nei due versi conclusivi si gioca quel piano descrittivo fatto di
contrapposizioni che illumina il tormento emotivo di Petrarca: alla coppia «spenti/fuor» dei
vv. 7-8 si contrappone la coppia «dentro/avampi» che chiude il v. 8; è proprio il suo agire privo di
gioia che denuncia come il suo spirito sia tormentato come se fosse tra le fiamme. 
L’ambientazione naturalistica La terzina 9-11 prosegue il tema del rapporto tra interno ed esterno e
riprende l’ambientazione naturalistica della prima quartina. I suoi dolori, così gelosamente
nascosti agli uomini, sono talmente evidenti che persino gli elementi naturali,
inanimati, saprebbero riconoscerli. La lunga elencazione di questi elementi ai vv. 9-10 ha lo
scopo di produrre, attraverso il polisindeto e l’enjambement, un rallentamento del ritmo della
lirica e di rimarcare la distanza dell’autore dal consesso umano. 
La figura di Amore La terzina conclusiva introduce, finalmente, la figura di Amore, che spiega
il motivo dello stato d’animo del poeta e chiude il discorso doppio, dicotomico, che
impronta tutta la lirica. La terzina si apre con una nuova coppia, «aspre / selvagge» al v. 12, usata
per descrivere quelle lande in cui l’autore cerca di appartarsi, ma inutilmente. Giacché ovunque lo
raggiunge Amore con cui si ritrova a parlare e ragionare insieme. 
La bipolarità della lirica La bipolarità è la cifra stilistica di questa lirica, espressa attraverso
coppie di sostantivi, aggettivi, avverbi, e che si chiude con il gerundio «ragionando» al v. 14 che
risponde idealmente al «mesurando» del v. 2. 
 
DANTE E PETRARCA A CONFRONTO 
 
I poeti Dante Alighieri e Francesco Petrarca hanno vissuto in contesti storico-politici
differenti che hanno influenzato la loro produzione scritta. Dante visse fino in fondo la situazione
critica di Firenze, la sua città natale, negli anni in cui il comune era dilaniato da lotte civili interne
dovute alla lotta tra guelfi e ghibellini come testimonia anche la sua produzione letteraria.
Partecipando in prima persona a questo difficile periodo storico, venne alla fine condannato
all’esilio. Petrarca ha vissuto invece nell’epoca delle Signorie, in un periodo di transizione tra
il medioevo e l’umanesimo.  

PETRARCA E DANTE: CONFRONTO  


  
Una delle principali differenze tra i due è proprio questa: da una parte c'è Dante, legato alla propria
città e politicamente attivo. Dall'altro Petrarca, slegato dalla città e aperto al mondo. 
Il contesto storico-politico degli anni in cui hanno vissuto Dante e Petrarca influenza non solo il
loro modo di essere, ma anche la loro visione del mondo che poi viene rappresentata nelle loro
opere.  
Dante è dotato di un sapere enciclopedico e questo lo notiamo soprattutto nelle sue opere:
nella Commedia o nelle Rime, in cui esprime la sua passione per la conoscenza e la difficoltà per
raggiungerla. Petrarca, vicino all'Umanesimo, concentra la sua produzione scritta sull’uomo, in
particolare su sé stesso e sul proprio dissidio interiore: come nel suo Canzoniere. 
In quel periodo storico il poeta si riconosce come peccatore. E mentre Dante ha fiducia in un ordine
unitario e fonda il suo pensiero sulla filosofia della Scolastica, prendendo come punto di
riferimento San Tommaso, Petrarca si affida al pensiero di Sant'Agostino che cita anche nella
sua opera Secretum, delineandolo come l’uomo che lo aiuta a raggiungere la salvezza eterna nel
suo continuo dissidio interiore tra i piaceri terreni e l’elevazione spirituale. Il dissidio
interiore che tormentava Petrarca, l'autore lo rappresenta anche in altre due opere: il De vita
solitaria, dove si capisce che il poeta non rinuncia ai piaceri terreni; il De otio religioso, nel quale
elogia la vita monastica dedita alla preghiera e alla sola contemplazione di Dio. Per Petrarca nella
fede c'è una tensione continua, mentre per Dante è un'entità solida e stabile. Vi ricordiamo che
Petrarca vive durante il crollo della Chiesa, ormai corrotta e instabile, e per questo motivo egli
nutre una profonda delusione. 
Dante e Petrarca hanno anche una concezione diversa della figura del poeta e della letteratura.
Mentre Dante è il colto medioevale interessato all'intera conoscenza e per lui la letteratura è basata
sulla fede e sulla morale, Petrarca è convinto del valore autonomo della letteratura e vede nella
poesia un mezzo di purificazione. Petrarca è un testimone della condizione umana e, nella sua
opera Rerum vulgarium fragmenta, è una guida spirituale che mette a disposizione dei suoi lettori
le sue conoscenze e le sue competenze culturali. 

LA DIFFERENZA STILISTICA  
  
Tra i due autori si nota una sostanziale differenza stilistica dovuta al plurilinguismo di Dante e
all’unilinguismo di Petrarca. Prendiamo ad esempio il De vulgari eloquentia di Dante: questo
è un trattato in latino sulle lingue in cui il poeta cerca di ridare alla lingua volgare una sua
dignità. Dante vede nel volgare la lingua di comunicazione con cui si può trattare anche di
argomenti più elevati. Ma, come conferma nel Convivio, non disprezza il latino: infatti, la definisce
una lingua secondaria e la utilizza principalmente per rivolgersi ad un pubblico dotto nel De
vulgari eloquentia. 
A differenza di Dante, Petrarca elegge il latino come lingua di comunicazione. Utilizza il volgare
solo nel Canzoniere e nel poemetto i Trionfi e privilegia per le opere dai contenuti più elevati, il
latino. Petrarca non disprezza il volgare e cerca di elevarlo alla bellezza formale del latino ma allo
stesso tempo privilegia quest'ultimo, come riferimento alla cultura del mondo classico. Anche
Dante rievoca la cultura classica, allegorizzandone immagini e simboli. Invece Petrarca è
consapevole della rottura avvenuta tra mondo antico e mondo contemporaneo e perciò vuole
recuperare il senso autentico dei testi antichi ricercando in essi i valori perduti nella sua epoca. 
LA FIGURA DELLA DONNA IN DANTE E IN PETRARCA  
  
Come sappiamo inoltre, l’esperienza poetica e l’intera vita di Dante e Petrarca, ruotano
intorno alle figure di due donne, Beatrice e Laura. Entrambe, a modo loro, rispecchiano la
personalità degli autori che le hanno rappresentate nelle loro opere e le loro figure evocano due
epoche della storia ben precise. 
Beatrice è la rappresentazione della donna angelica, portatrice di elevazione spirituale,
aspirazione alla bellezza divina; non fa parte del mondo terreno e vive il suo splendore dopo la sua
morta. Questo è particolarmente vero nella Vita Nuova, nel quale notiamo il cambiamento di
Dante e del suo modo di poetare e lodare Beatrice, dopo la sua morte. Beatrice non è mai descritta
fisicamente dall'autore, ma Dante descrive solo gli effetti che provoca al suo passaggio. 
Laura di Petrarca è conosciuta nel mondo terreno soprattutto per la sua bellezza, subisce l’azione
del tempo ed è inserita in una prospettiva del tutto naturale. La donna di Petrarca provoca nel
poeta una costante agitazione e, come si nota nella sua opera Rerum vulgarium fragmenta,
rappresenta un motivo di perdizione per il poeta. La sua morte è una tragica fine di ogni desiderio
terreno. L’amore di Petrarca è un amore sensuale, quindi terreno e per questo continuamente
vissuto come peccato. Inoltre, è anche materia per l’investigazione dell’io. L’amore di Dante,
invece, è percepito come strumento per giungere a Dio, è portatore di salvezza
eterna. 
O CAMERETTA CHE GIA’ FOSTI UN PORTO 
Nel seguente sonetto il Petrarca compie una attenta riflessione sui luoghi e sugli oggetti che erano a
lui cari, per esempio possiamo trovare al verso 1 la parola “cameretta” che rievoca in questo
componimento un luogo che fu molto caro al poeta (un tempo amava restare in solitudine nella sua
cameretta), aggiungendo al luogo il sostantivo di “porto” che possiamo definire come luogo di
rifugio. Altri oggetti che rievocano le memorie passate è il “letticciuol” ovvero come luogo di riposo
confortevole, inoltre vi è anche l’espressione “il mio secreto e ‘l mio riposo”, che si riferisce sia alla
cameretta che al letticciuol da cui il poeta vuole fuggire per rimanere solo con se stesso per
raggiungere alti ideali che anche in passato con lo stesso metodo raggiunse. Infine, egli dice che
cerca come suo rifugio la compagnia della gente che ha sempre suscitato in lui ostilità e disprezzo.
 
O CAMERETTA CHE GIA’ FOSTI UN PORTO: TESTO DELLA POESIA  
  
Il testo della poesia O cameretta che già fosti un porto di Francesco Petrarca: 
O cameretta che già fosti un porto 
a le gravi tempeste mie diurne, 
fonte se’ or di lagrime nocturne, 
che ’l dí celate per vergogna porto. 
O letticciuol che requie eri et conforto 
in tanti affanni, di che dogliose urne 
ti bagna Amor, con quelle mani eburne, 
solo ver ’me crudeli a sí gran torto! 
Né pur il mio secreto e ’l mio riposo 
fuggo, ma più me stesso e ’l mio pensero, 
che, seguendol, talor levommi a volo; 
e ’l vulgo a me nemico et odïoso 
(chi ’l pensò mai?) per mio refugio chero: 
tal paura ò di ritrovarmi solo. 

PARAFRASI

[1] O cameretta (O cameretta - apostrofe), che in passato (già) sei stata (fosti) un


luogo dove mi rifugiavo (un porto – porto sicuro dalle tempeste della vita
- metafora) dalle gravi angosce (tempeste) [che provavo] durante il giorno
(diurne), ora sei fonte (fonte se’) di lacrime notturne (nocturne – latinismo) che il
giorno (’l dí) tengo nascoste (celate…porto) per vergogna. 
[5] O mio piccolo letto (O letticciuol - apostrofe), che eri pace (requie) e (et – lat.)
conforto in tanti affanni, di quante anfore (urne - metafora per: gli occhi del poeta)
piene di lacrime (dogliose – dolorose perché contengono lacrime) ti bagna Amore
(Amor - personificazione), dalle mani di avorio/candide (eburne – sono le mani di
Laura) che ingiustamente (a sí gran torto) sono crudeli solo verso di me! (solo ver
’me crudeli) 
[9] E non evito (fuggo) soltanto (pur) il mio segreto (secreto – lat. – sta per: la
cameretta) e il mio riposo (sta per il lettuccio), ma soprattutto (ma più) me stesso e
il mio pensiero, il quale allorchè (che) lo seguii (seguendol) talora mi sollevò in volo
(levommi a volo – nel senso che lo ha portato a realizzare opere egregie); 
[12] e [invece] cerco (chero) quale mio rifugio (per mio refugio) il popolo (’l
vulgo – lat.) a me ostile e odioso (chi l'avrebbe mai pensato?): tale è la mia paura di
ritrovarmi solo. 
O CAMERETTA CHE GIA’ FOSTI UN PORTO: ANALISI DEL TESTO  
  
Parole chiave: cameretta, letticciuol, il mio secreto e ‘l mio riposo, mio refugio chero. L’area
semantica delle parole chiave appartiene alla sfera emotiva all’Io interiore più volte ricercato dallo
stesso poeta nel Secretum. 
Per quanto riguarda le esclamazioni possiamo individuarne una principale che è parte dal verso
5 e arriva fino al verso 8: “O letticciuol che requie…solo ver’ me crudeli a si gran torto!”; invece per
quanto riguarda le invocazioni c’è né una principale che riguarda tutta la seconda terzina ovvero
che parte dal verso 12 e arriva al verso 14: “e ‘l vulgo a me nemico…tal paura ò di ritrovarmi solo”;
infine per quanto riguarda le metafore presenti nel sonetto possiamo trovare la cameretta, il
letticciuol, la requie ovvero il riposo, dogliose urne ovvero gli occhi del poeta fonte delle lacrime
versate per l’Amore, il mio secreto e ‘l mio riposo che sostituiscono la cameretta e il letticciuol
infine come metafore vi è anche il refugio chero ovvero il cercare rifugio da parte del poeta anche
da chi lo diffamava e gli era ostile. 
Nel sonetto appena analizzato possiamo essenzialmente suddividere quest’ultimo in due parti
principali riferite a due archi temporali differenti: il primo riferito alle vicende del passato dove il
poeta utilizza verbi nella forma passata indicando i posti dove trascorse la sua vita (verbo passato
utilizzato nelle due quartine); mentre per quanto riguarda l’utilizzo delle forme verbali al presente
sono rintracciabili quando Petrarca volge la sua richiesta di rifugio verso coloro che in precedenza
lo disprezzavano e mentre ora egli è costretto a chiedere aiuto. 
Il “vulgo” è definito dal Petrarca “odioso e nemico” poiché egli è costretto come detto in precedenza
a chiedere aiuto alle persone che per tutta la sua vita non hanno fatto altro che mostrargli ostilità e
disprezzo, e non avendo altra soluzione opta per tale scelta infatti nell’ultimo verso mostra tutta la
sua insicurezza nella scelta fatta: “tal paura ò di ritrovarmi solo”. 

INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E COMMENTO  


  
Il tormento interiore manifestato dal poeta è una delle tematiche, oltre all’amore per Laura, trattate
maggiormente dal poeta nel Decameron dove lui esplicita al lettore il suo stato d’animo molto
turbato e mai sicuro delle proprie azioni, questa tematica oltre ad essere la principale nel sonetto
appena trattato è la principale anche in un sonetto molto importante del Decameron ovvero Solo et
pensoso dove il Petrarca tratta la tematica della solitudine e dell’isolamento sociale, infatti egli
ha come unico obiettivo quello di guardare dentro di se instaurando una sorta di dialogo astratto
con il paesaggio che ha la caratteristica di essere aspro e selvaggio proprio come se fosse lo
specchio della situazione sentimentale del poeta. L’intellettuale che si va formando nel sonetto è
molto insicuro, ha molti dubbi ed è lacerato dall’insicurezza, basti pensare che il rifugio è da lui
considerato come odioso e nemico proprio perché lo considera estraneo a lui e mai ricercato in
passato. 
 
 
Analisi e parafrasi de La vita fugge et non s'arresta una hora 
La vita fugge et non s'arresta una hora è un componimento scritto dal poeta trecentesco
Francesco Petrarca dopo la morte di Laura, sua amata e ispiratrice delle sue poesie. Il poeta, che ha
perso la sua guida, all'interno di questo componimento parla del suo dolore, e del fatto che lui
stesso ormai desideri morire. 

LA VITA FUGGE ET NON S’ARRESTA UNA HORA: PARAFRASI  


  
La vita corre e non si ferma un attimo e la morte viene dietro a grandi tappe; mi tormentano i
ricordi della vita passata, le circostanze di quella presente, le previsioni di quella futura; e il
ricordare e l’aspettare mi angosciano sia se mi rivolgo al passato sia all’avvenire, così che in verità,
io mi sarei già liberato di questi affanni, se non avessi pietà della mia anima. 
Cerco di ricordarmi se il mio triste cuore ebbe mai alcuna gioia; e per quanto riguarda il futuro,
vedo i venti turbati nel corso della mia vita; vedo tempesta anche in porto: persino la morte, che
avrebbe dovuto essere il mio porto di tranquillità, mi si preannuncia agitata, e stanco ormai il mio
spirito, vedo rotti gli alberi e le funi della mia nave e vedo spenti per sempre i begli occhi di Laura
che ero solito contemplare. 

LA VITA FUGGE ET NON S’ARRESTA UNA HORA: ANALISI  


  
Questo drammatico sonetto, percorso da un ritmo rotto e agitato, nasce in Petrarca in un
momento di grave turbamento, di pesante e cupo sconforto. 
Laura è morta e lui avverte con sgomento la fugacità della vita: sente dietro di sé il passo veloce
della morte, e non solo non sa riconoscere alcun motivo di conforto nei ricordi del passato, ma non
intravede neppure alcuna luce di speranza nell’avvenire. Tutto intorno a lui è rovina e tempesta. 
L’ultimo verso dimostra un vero e proprio naufragio esistenziale. Il tema è sempre quello della
fugacità del tempo, ma torna con un’insistenza maggiore e lo fa con una prospettiva differente da
quella precedente nei sonetti In vita di Madonna Laura; questo sonetto vuole essere piuttosto il
compimento della storia spirituale raccolta nel Canzoniere. 
Inoltre il tema riprende il motivo della vanità del tutto che è già annunciato nel sonetto
premiale Quanto piace al mondo è breve sogno. 
Il sonetto è diviso in due quartine e in due terzine secondo lo schema ritmico tipico del
sonetto ABBA ABBA CDE CDE. Nella prima quartina, dal primo verso, si annuncia
l’inesorabilità del tempo che corre e che Petrarca vede come qualcosa di materiale, come fosse un
nemico che lo insegue: la morte si presenta nell’immaginazione del poeta come un pauroso
fantasma. 
Dal punto di vista stilistico-linguistico la fugacità del tempo è resa mediante la struttura sintattica
del polisindeto che domina tutto il discorso poetico conferendogli un andamento incalzante,
quasi affannoso. Le preposizioni incalzano, e il tutto è sottolineato dal ripetersi della
congiunzione e, che determina un ritmo assai stentato e faticoso. 

Anche l’utilizzo di apostrofi e forme elise e tronche dà l’idea di questa lacerazione interiore:
presentano un ritmo spezzato, sincopato. 
Petrarca descrive questo suo tormento interiore anche attraverso l’affollarsi di verbi di movimento,
che dimostrano, appunto, affanno: fugge, vien, tornami e le forti apposizioni binarie (antitesi). 
In questo sonetto, inoltre, sono presenti due metafore capaci di descrivere lo sconvolto paesaggio
dell’animo del poeta. All’inizio del sonetto vi sono le metafore che riguardano la guerra (a gran
giornate, mi danno guerra), che descrivono l’angoscia dei piani temporali del presente e del
passato, che ormai non sono più capaci di dare una qualche consolazione al poeta. 
Alla fine, vi sono le metafore del navigare e del porto. Con la prima il poeta afferma che la sua vita
futura gli appare come una navigazione in un mare in tempesta. Con la metafora del porto,
invece,contrariamente a quanto ci si possa aspettare, presenta il tramonto della vita, che è, per
definizione, la morte, nella quale si dovrebbe trovare sollievo. 
In realtà, Petrarca raffigura anche il porto in tempesta, la fortuna, da cui si deduce la sua visione
tormentata della morte. 

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