2. Periodo romano
Francesco Pignatelli, dovendo lasciare Roma, volle Gravina nella Curia pontificia come suo agente e
così egli lasciò Napoli nel 1689 per trasferirsi a Roma. Gli strumenti intellettuali acquisiti a Napoli
favorirono una rapida ascesa negli ambienti culturali romani che riscosse anche l’apprezzamento di
Innocenzo XII e Clemente XI. Tra gli alti incarichi svolti a Roma, dal 1699 Gravina tenne
all'Università la Sapienza la cattedra di diritto civile, per volere del cardinale Giovanni Francesco
Albani futuro Papa Clemente XI, e dal 1703 quella di diritto canonico. L’Ateneo romano
attraversava allora una fase di inarrestabile declino. Papa Clemente fu aiutato da Gravina per abbattere
il potere baronale che si era affermato nell’Ateneo romano che strumentalizzava i giovani.
3. Filosofia della luce NO
Gravina entra a far parte dell'Accademia della Arcadia e sviluppa la filosofia della Luce. In un
secondo momento entrerà in contrasto con l’ideologia dell’Accademia e ne fonderà una nuova
chiamata Accademia dei Quirini.
L'ateneo romano versava in grande difficoltà sia per il calo delle iscrizioni che per inefficienza
didattica e carenze strutturali. Inoltre, il potere era concentrato nelle mani di un solo organo, il
Collegio degli avvocati concistoriali, i cui membri avevano smesso le funzioni di professori per
dedicarsi quasi solamente a compiti di controllo e amministrativi volendo quindi ottenere solo
prestigio e denaro. Il fondo si toccò quando la sapienza stava per essere ceduta agli Scolopi che la
avrebbero probabilmente trasformata in una scuola di latino e grammatica. Clemente XI con il
Cardinale Spinola avviò una politica di risanamento, ove il Gravina si impegnò profondamente ma i
suoi sforzi non corrisposero ai risultati, procurandogli impopolarità soprattutto da parte del collegio
degli avvocati.
In questi scritti Gravina attacca duramente gli avvocati concistoriali, “autori di tanto disordine,
descrivendoli come il fuoco che nell'alveare consuma tutto il miele delle api”, appellandosi al papa
perché ponga fine a tale scempio e immoralità.
Anche in parti delle ORATIONES sono presenti temi prevalentemente didattici e prevalgono 3 punti:
1) si vuol dimostrare l’importanza che ricopre la storia;
2) forte battaglia combattuta da Gravina contro la dialettica e la scolastica;
3) diritto e storia sono due elementi che devono andare di pari passo.
Il Discorso sopra l'Endimione (Roma, 1692), pubblicato con lo pseudonimo di Bione Crateo a
commento della Favola di Alessandro Guidi, proposta come modello ideale di poesia, afferma il
PRINCIPIO DI VEROSIMIGLIANZA come autonomo fondamento dell'opera poetica in
contrapposizione al barocco e al sistema dei generi letterari. Centrale è la rivalutazione di Omero,
Dante e Ariosto. L'opera attirò le critiche dei letterati romani e del Sergardi. NO
Gli opuscula si constano di 6 dialoghi e contengono temi che poi saranno affrontati nelle opere
maggiori dedicate a papa Innocenzo XII. Dello stesso periodo è la stesura delle EGLOGHE ove si
affronta il rapporto tra mente e natura, mente e luce ed il ruolo centrale attribuito al sapiente. Esse
ebbero però circolazione molto ristretta e non furono mai pubblicate.
Cruciale è l'anno 1708, con la pubblicazione a Roma della RAGION POETICA e a Lipsia degli
ORIGINUM IURIS CIVILIS LIBRI TRES. La ragion poetica fu la definitiva sistemazione del suo
pensiero estetico-critico e di tutta la sua esperienza di letterato. Meno rigido e più aperto a soluzioni
innovative rispetto al discorso delle antiche favole, essa è divisa in due libri: nel I tratta la critica delle
letterature classiche e l'estetica con Omero come figura chiave, nel II la poesia volgare e Dante, come
modello di poeta. NO
4.Produzione giuridico-istituzionale
Le Origines iuris civilis diedero al Gravina notorietà europea:
- La prefazione di Johann Burchard Mencken all'edizione lipsiense del 1708 è importante per
valutare il successo dell'opera tra gli eruditi tedeschi.
- Il barone Heinrich von Huyssen si impegnò a fondo nella diffusione dell'opera graviniana in
Germania.
- L'edizione lipsiense del 1737, curata da Gottfried Mascov costituì un altro importante
momento della fortuna del Gravina.
Successivamente compose il “de romano imperio liber singularis” (Napoli, 1713) con cui affrontò
momenti importanti della storia giuspubblicistica romana per dimostrare che nella Roma antica vi
fosse un sistema diarchico garante dell'equilibrio politico: il potere civile del senato e quello militare
dell'imperatore. L'opera sottolinea la funzione unificatrice del mondo svolta dall'impero romano,
“societas omnium gentium”. Seguì l'inedito “de romano imperio liber secundus” (seguito del “de
romano imperio liber singularis”), successivo al 1717, ove vengono elaborate tematiche relative alla
renovatio imperii e al SRI, ricostruendo vicende politiche del primo medioevo ed il problema del
rapporto tra i due poteri che verrà poi censurata a metà.
Il “de imperio et iurisdictione” risale alla prima produzione giuridica graviniana e mira a dimostrare
l'appartenenza al senato del potere legislativo anche durante il principato. Egli sostiene infatti l'idea di
stato di diritto, proponendo una netta divisione dei poteri: l'imperium (principe) e la iurisdictio
(magistrati).
Più strettamente istituzionali sono i 4 libri delle Institutionum iuris civilis receptioris e lo receptioris
iuris specimen sive institutionum imperialium ex usu nostrorum temporum, impostati su criteri di
chiarezza e di sinteticità. A queste opere può associarvicisi la produzione canonistica, costituita da:
- “praelectiones in decretum gratiani”, una descrizione della storia delle fonti legislative
canoniche e un excursus sulle vicende delle origini della chiesa.
- “institutiones canonicae”, per dimostrare il legame stretto tra conoscenza del diritto
canonico e del diritto civile.
- “In pontificii iuris institutiones libri III”
Di notevole interesse è del governo civile di roma, vicende romane da Romolo a Niccolò V, con cui
Gravina volle dimostrare la legittimità del governo papale, derivante dall'originaria autorità del popolo
romano. Tale scritto, pubblicato postumo, secondo il de Angelis deve essere apprezzato per la
profonda erudizione e per il fino discernimento con cui l'autore enumerando tutta la successione delle
magistrature supreme di roma, volle far conoscere che il potere civile e municipale non cessò mai di
opporsi con diverse vicende alle usurpazioni dei papi e che se la di loro influenza ha pre valuta la
colpa non è tutta del popolo romano. Lo ritiene tuttavia un opuscolo in fase embrionale.
5.Tragedie
Pare che furono composte in sole 3 mesi nel 1712 e pubblicate a Napoli lo stesso anno. Interessanti
per il contenuto politico e filosofico nonostante i limiti poetici, hanno come tema comune l'ostilità
alla tirannide → al centro vi è l'incontro/scontro di due ostinati avversari: il potere politico
(tirano) e il sapiente (veicolo comunicazione dio-uomini). Un pessimismo di fondo accomuna
tutte le tragedie e lotta di classe:
- Nel PALAMEDE il tema dominante è il conflitto tra il sapiente ed il tiranno, fiancheggiato
dalla casta sacerdotale. Accanto al saggio Palamede vi è il popolo, incapace di darsi un
governo e subisce passivamente l'arbitrio dei potenti, pur avvertendo in parte di esser
divenuto un instrumentum regni. Palamede si rende conto dell'impossibilità di realizzare un
governo giusto. NO
- Nell'ANDROMEDA il nucleo principale è quello del deus absconditus ma non mancano
polemiche nei cnf della casta sacerdotale accusata di fondar sul timore la sua potenza. NO
- Nell'APPIO CLAUDIO i personaggi ruotano intorno alla figura del tiranno ruotano tutti
intorno alla figura del tiranno che agisce a danno della libertà, valore FONDAMENTALE per
l'autore. La plebe è destinata a divenire un utile strumento del tiranno che con metodi capziosi
ne carpirà la fiducia. NO
- Nel PAPINIANO, il saggio e virtuoso Papiniano si scontra con l'interamente occupato dal
vizio Caracalla. (tema etico). NO
- Nel SERVIO TULLIO, Servo si fa interprete delle aspirazioni del popolo mentre Tarquinio
fa leva sullo spirito di rivalsa dei nobili. Il potere del re ha una origine contrattualistica e
deriva dalla volontà del popolo che ne è titolare secondo la lex regia ma si tratta di un popolo
impotente dinanzi all'incalzare del nemico che minaccia il suo re, garante dei suoi diritti e
delle sue libertà. NO
Nel 1715 a Napoli apparve con dedica ad Eugenio di Savoia il Della tragedia libro uno sempre sulle
polemiche del suo tempo. Due traduzioni inedite conservate a Napoli sono due dissertazioni sulla
commedia e sugli spettacoli dedicati al pontefice. Il De Angelis invece parla di un'opera sulla
commedia italiana. NO
La fortuna di Gravina
L'edizione delle Origines del 1737 curata da Mascov, storico e giurista di Danzica nonché professore
all'università di Lipsia, sottolinea come egli fosse un grande conoscitore del pensiero Graviniano di
cui mise in luce le tendenze anti aristoteliche e anti scolastiche, la formazione cartesiana e telesiana e
l'apprezzamento per Hobbes. Anche Scipione Maffei fu un attento studioso del Gravina oltre a
ritenere che le Origines fossero la più sistematica ed ampia opera in merito alla storia del diritto civile
romano mai uscita in Europa.
3.Gravina e Vico
Il pensiero di Vico, antirazionalista e anti laicista, fu certamente poco compreso ai suoi tempi, epoca
di trionfo del razionalismo e dell'illuminismo tanto che si ebbe un progressivo distacco dagli ambienti
culturali napoletani che culminerà in un radicale contrasto con la cultura dei suoi contemporanei e con
le posizioni dominanti del ceto intellettuale.
Il Barillari ha tentato di confrontare il pensiero di Vico e del Gravina, individuando diverse analogie e
ricostruendo il profilo intellettuale del Gravina come precursore di Vico. Altro tentativo di accostarne
il pensiero estetico fu compiuto dal Piccolomini che però volle dimostrare come i due, pur avendo una
base culturale comune, differiscono nello scopo finale e complessivo delle loro opere anche se al
tempo stesso, attraverso una lettura attenta della scienza nuova e della ragion poetica, vi sono due
punti di contatto nelle idee che sono alla base delle due opere, come ad esempio la visione ciclica e
lineare insieme dello sviluppo storico. Si può notare così come entrambi dipendono da Polibio.
Per quanto riguarda gli orientamenti politici, sono condivisibili invece le opinioni di quei critici che
tendono a separare le elaborazioni dottrinali dei due:
1. uno dei principali elementi di DIFFORMITÀ' è il diverso atteggiamento nei confronti del
diritto di resistenza all'oppressione: Vico, differentemente da Gravina, riteneva che non vi
fosse per i sudditi alcun diritto di ribellione al tiranno.
2. Gravina negava l'assolutezza del potere sovrano, ritenendolo subordinato alle leggi; Vico
giustificava il sistema di governo assoluto, sostenendo il principio di unità e indivisibilità
della sovranità e rifiutando le costituzioni miste; tuttavia anche Gravina, favorevole alla forma
di governo mista, riteneva come Vico che essa non potesse trovare concreta applicazione nella
realtà politica del tempo (mon.Costituzionale).
3. Anche per quanto riguarda il valore attribuito all’erudizione, essi hanno operato pervie e
per modi diversi. La conoscenza erudita e antiquaria è certamente maggiormente presente in
Gravina, legato alla tradizione dell'umanesimo giuridico, che in Vico, più isolato ed autonomo
rispetto alla cultura del suo tempo.
Certamente è innegabile un terreno comune ai due pensatori, rappresentato dal continuo richiamarsi al
diritto e alle istituzioni romane, considerati ancora validi, e dall'esigenza di riconoscere a roma una
profonda funzione civilizzatrice. Inoltre Vico racconta nell'autobiografia che la pubblicazione del de
rebus gestis antoni caraphaei liberi quatuor gli conciliò la stima e l'amicizia del chiarissimo letterato
Gian Vincenzo Gravina con cui coltivò stretta corrispondenza sino a che egli morì. Vico conobbe
anche le tragedie di Gravina e ne apprezzò valori e contenuti.
*ERESIA=rappresentata dagli eretici CASISTICA=rappresentata dai gesuiti*
La tendenza anti-machiavelliana di Gravina si ricollega alla più generale tendenza, presente nel
secolo della Controriforma e in quello successivo, a contrastare le idee politiche di Machiavelli. Se da
un lato Gravina si era allineato alla diffusa tendenza dell’epoca a polemizzare le idee Machiavelliane e
a rifiutarne i presupposti ideologici, dall’altro riconosceva l’importanza del suo contributo nella storia
del pensiero politico moderno e riteneva che Hobbes, Spinoza e Bodin fossero imitatori delle sue
teorie.
2.Tirannide
Nel terzo libro delle Origines, riprendendo alcune posizioni aristoteliche, gravina descrive i due
diversi modi con cui fu mantenuta in Grecia la tirannide:
1. quello ove i tiranni, dotati di un potere acquistato con la frode e la violenza, fingevano di
operare per il bene dello stato e non perché mossi da loro specifici interessi. Con astuzia e
somma perfidia creavano rivalità tra le persone più dotate e mettevano in cattiva luce i
magistrati, affidandogli incarichi impopolari. Un tipo di tirannide molto durevole.
2. quella priva di ogni freno ove venivano adottati apertamente sistemi arbitrari ed illegali,
servendosi della legge come di reti per avviluppare. Ma, nel tentativo di reprimere la libertà
dei sudditi, i tiranni finivano inevitabilmente per perdere la propria.
La questione se fosse lecito o meno resistere ai comandi del tiranno è impostata da Gravina sotto un
duplice aspetto:
1. considerando la tirannide in relazione all'anarchia, ritiene che sia preferibile la tirannide in
quanto male minore consentendo perlomeno una convivenza civile.
2. Considerando la tirannide in sé, ritiene che lecito che i sudditi si ribellino al tiranno e
ristabiliscono l'ordine distrutto ma ritiene che i governanti abbiano il diritto di servirsi della
loro autorità e, se necessario, di intervenire armata manu per evitare il rischio che la libertà si
trasformi in licenza per opera della moltitudine. Sola eccezione al diritto dei sudditi di
ribellarsi è il pericolo di ricadere nell'anarchia, come nel caso dei romani sotto l'impero.
3.Origine della società civile
All'origine della società civile pone il contratto sociale, sulle orme dei giusnaturalisti, fornendone però
una interpretazione più espressamente giuridica. La società civile che si origina dall'unione delle
famiglie in cui l’uomo ha ancora una ragione sottomessa ai sensi subentra all'originaria ferinità.
Questa importante considerazione consente di stabilire l’esistenza o meno di un rapporto di
dipendenza di Gravina da Bodin. Anche Bodin infatti, ritiene che la famiglia è l'istituzione
fondamentale che precede lo Stato e prefigura lo stato primordiale come contraddistinto da violenze e
barbarie. Se però per Bodin il passaggio dalla società ferina a quella civile è avvenuto per pudore,
necessità e provvidenza divina, per Gravina è dovuto all'utilità'. La ragione una volta instaurata la
società civile, genera allo stesso tempo il diritto, garante del bene dei singoli e del bene comune, e il
potere, in funzione dell’utilità di tutti, basato sul consenso dei cittadini. Il consenso costituisce
quindi il vincolo fondamentale dei sudditi con lo Stato, e la sua mancanza provoca un abuso di potere
da parte di coloro che lo detengono e di conseguenza la tirannide. Spinti dalla ragione, che trionfa
sugli istinti naturali, attraverso il patto, gli uomini si sono spontaneamente sottomessi alle leggi per la
loro sicurezza; la ragione, che ha un ruolo determinante nella speculazione di Gravina, indica l’utilità
di vivere nel diritto, piattaforma sulla quale deve poggiare l’intera società. Questa idea della ragione,
quale struttura portante della società e fondamento del potere sovrano, sta ad indicare la presenza di
futuri tratti illuministici.
Nel secondo libro delle Origines sottolinea come sia stato merito della sapienza se gli uomini si sono
riuniti in centri abitati per l'utilità comune. Dall'unione delle volontà e delle forze degli individui
nascono le publicas voluntas, ossia legge, ragione comune, scienza civile o filosofia pubblica, e
summa potestas, forza o potere di tutti. La ragione, una volta instaurata la società civile, genera il
diritto, basato sul consenso dei cittadini → il consenso costituisce il vincolo fondamentale dei sudditi
con lo stato e la sua mancanza provoca un ABUSO DI POTERE da parte di coloro che lo detengono e
di conseguenza la TIRANNIDE. Tramite la ragione gli uomini si sono spontaneamente sottomessi alle
leggi per la loro sicurezza e tramite gli accordi, la ragione indica l'utilità di vivere nel diritto.
Infatti, qualunque sia la natura del regno, elettivo, ereditario o di conquista, sostiene Gravina, il
principe deve agire sempre e comunque nell’interesse del popolo. Le leggi hanno l’importante
funzione di regolare i rapporti tra sudditi e sovrano. Alle leggi infatti, viene attribuito un ruolo di
padrone nel senso che anche il monarca non può prescindere dai loro comandi. Esse hanno la capacità
di contenere la natura ferina innata nell’animo umano; se gli individui, di indole retta, si sottraggono
ad esse seguendo solo il loro arbitrio, finiranno per diventare schiavi delle loro passioni.
Le leggi sono definite radices publicae salutis: se vi è un governo monarchico, ad esse è attribuito il
ruolo di padrone poiché il monarca non può prescindere dai loro comandi ed inoltre hanno la capacità
di contenere la natura ferina innata nell'animo umano; se vi è un governo repubblicano, la miglior
forma di Governo è quella in cui i cittadini obbediscono solo alle leggi, cioè alla ragione divina. Il
monarca dunque non è legibus solutus ma ha il preciso obbligo di osservare le leggi, poiché si è
impegnato attraverso un formale atto di giuramento al rispetto di esse, le quali possono essere:
1. naturali e di diritto delle genti→ il principe non può assolutamente sottrarsi all'obbligo di
rispettarle perché finirebbe per violare le leggi della virtù, nel primo caso, e ad attentare
all'integrità della società civile, nel secondo.
2. civili → pubbliche o private. Le prime esigono l'obbligo di osservanza da parte dei governanti
i quali però non sono obbligati a rispettare le leggi civili private, fatta eccezione per quelle
che derivano dal diritto delle genti.
Secondo Gravina il motto di Ulpiano “princeps legibus solutus est” è stato frainteso dagli interpreti
poiché con esso Ulpiano avrebbe invece inteso che il sovrano era sciolto dall'obbligo di rispettare solo
alcune leggi, come la Julia e la Papia in materia coniugale.
Il monarca deve agire prevalentemente nel rispetto della libertà dei cittadini e cercare di garantire il
bene e la sicurezza di tutti → il governo quindi deve essere affidato al SAPIENTE (ius sapientiores)
che ha un diritto naturale a dominare sugli altri, in quanto dotato di una ragione più sviluppata.
Mascov ha sottolineato che la teorizzazione politica dello ius sapientiores risente della formulazione
hobbesiana del diritto del più forte.
5.Forme di governo
Nel terzo libro delle Origines distingue tre generi di civitas:
1. Semplice → uno stato ideale guidato solo dalla ratio e sostenuto dalle virtù dei suoi
componenti. La ragione genera la scienza. Utopica.
2. Mista → uno stato normale ove prevalgono ora i sensi e ora la ragione. La scientia risiede nei
governanti e l'opinio nella moltitudine.
3. Perturbata → il vizio trionfa sulla virtù
La civitas mista, a seconda che la ragione risieda in una, più persone o nell'intero corpo sociale, si
distingue in:
1. regnum (deg. tirannide)
2. status optimatum (deg. oligarchia)
3. respublica (deg. Democrazia)
L'ordinamento monarchico è la forma di governo migliore → il re deve avere una natura filosofica
(platone) e mantenere in continuo esercizio le sue naturali qualità rispettando le leggi. Quando la
giustizia e l'utilità pubblica non sono più lo scopo della società, si ha la tirannide in cui il legame con i
cittadini è solo la paura.
Nell'ordinamento degli ottimati si distinguono la nobilitas naturae (virtù perfetta di cui alcuni sono
naturalmente dotati) e nobilitas locorum (di sangue). Perché tale forma di governo possa funzionare è
necessario il contributo di entrambe le forme di nobiltà oltre a quello del popolo, dotato del diritto di
voto. Quando però comincia a regnare l'avidità tra i governanti e dunque è il più ricco e non il più
saggio a governare lo stato si trasforma in oligarchico e si assiste all'enorme divario tra ricchi e
poveri. I poveri, oppressi dalla miseria, alla prima occasione si rivoltano ed i ricchi sono costretti a
cedere parte del loro potere e delle loro ricchezze alla moltitudine (somiglianza con il passaggio
platonico dall'oligarchia alla democrazia).
Da ciò la considerazione che il regime repubblicano si addice meglio alla natura umana → la migliore
forma di repubblica è quella ove i cittadini, liberi dal condizionamento delle passioni, obbediscono
solo alle leggi e alla ragione divina. Il Senato costituisce lo spirito di tale repubblica ed è coadiuvato
da alcuni magistrati; la moltitudine inconsulta sarà tenuta lontana dalle cariche senatoriali. Gli
interessi della plebe saranno garantiti da un istituto simile tribunato romano. Tutti partecipano alla
cosa pubblica. Quando però i cittadini abusano del proprio potere si crea uno stato di bellum omnium
contra omnes e la popolazione si divide in due fazioni: i migliori vs i più numerosi, che prevarranno.
Il dux, il cittadino più scaltro, ridurrà il popolo in un deplorevole stato di tirannia.
Gravina diffida dei ceti popolari che ritiene più adatti alla vita nei campi. Per questo preferisce la
monarchia ed esalta Teopompo re di Sparta come esempio di realizzazione di forma di governo basata
sulla limitazioni dei poteri del monarca tramite gli efori (magistrati) e su una maggiore stabilità.
6.Ceti medi
Per Gravina è essenziale garantire il funzionamento dello stato di diritto distinguendo il ruolo della
magistratura da quello del governo e attribuendo una funzione di primo piano al ceto medio: per
evitare il sorgere di discordie è importante aumentare il numero di cittadini appartenenti all'ordine
medio i quali ne sono come i plebei in una situazione di indigenza né sono come i ricchi troppo
orgogliosi della loro ricchezza. Attraverso l'equilibrio del ceto medio è possibile costituire uno stato
fondato sul rispetto della legge e dei diritti del cittadino → il fenomeno dell'ascesa del ceto civile ben
si inserisce nel clima intellettuale napoletano di fine seicento, ove prevaleva la cultura investigante
che aveva fatte proprie le aspirazioni del ceto civile. La polemica dei togati si rivolse sia in senso anti
baronale (contro i baroni che agivano a discapito dell'autorità dello stato) che in senso anticuriale, per
difendere le prerogative del regno nei confronti della curia romana e del suo pretendere diritti feudali
sul Regno di Napoli.
Negli anni in cui Pignatelli era a Napoli, il Gravina assolveva il ruolo di agente personale in Roma. In
quel periodo la chiesa versava in situazione di grande precarietà e nonostante il prestigio personale dei
pontefici, il papa e la curia avevano perduto la loro influenza sul piano dei rapporti internazionali →
un fenomeno che si accentuò negli anni del conflitto per la successione al trono di Spagna e i conflitti
con il Regno di Napoli.
L'avviso dell'avvenuto sequestro incontrò il favore del popolo napoletano, da sempre interessato a far
conferire i benefici ecclesiastici solamente ai regnicoli o nazionali; diversamente fu l'accoglimento da
parte dei vescovi napoletani che invece si allinearono alla politica papale.
Il risentimento della Curia romana provocò una guerra di inchiostro tra i giuristi napoletani
filoimperiali (Riccardi, Grimaldi) e i curialisti romani, come il Majello. E. Papa ne ha ricostruito i
momenti più cruciali, servendosi di vari documenti conservati nell'archivio segreto vaticano: tra i
meno noti di parte curialista Papa esamina quelli di mons. Lambertini, dell'abate Norcia e di un
gesuita anonimo. In essi si manifestava l'esigenza di una radicale separazione tra potere spirituale e
temporale e il timore che l'assegnamento delle rendite ecclesiastiche agli stranieri potesse far
precipitare la situazione finanziaria del regno. Il Gravina si preoccupo' principalmente di sostenere la
candidatura del Pignatelli all'arcivescovado di Napoli, ritenendolo l'unico in grado di attuare una
politica di conciliazione. Pignatelli divenne arcivescovo nel 1708 e fu chiamato dalla Segreteria di
Stato a collaborare attivamente con la Santa Sede e a fornire informazioni dettagliate sulla situazione
del Regno → Pignatelli si allineò alla politica di Clemente XI con la proposta di procedere alla
pubblicazione delle censure, con una azione concertata da tutti i vescovi nelle cui diocesi fosse stato
effettuato il sequestro.
Altro motivo di lotta tra l'Impero e la Santa Sede fu la disputa di Comacchio del 1708 → l'impero
occupò il territorio pontificio di Comacchio e gli estensi rivendicarono gli antichi diritti della casa
d'este sul ferrarese. Questa querelle rimise in discussione il tema della FALLIBILITÀ' DEL
PONTEFICE nelle cose temporali e della SUPREMAZIA DEL POTERE LAICO su quello
ecclesiastico. Giusto Fontanini, di parte guelfa e difensore dei diritti pontifici, sostenne:
1. l'appartenenza di Comacchio dell'Esarcato, possesso della chiesa sottratto dai Longobardi
2. la restituzione e non la donazione di quel territorio da parte di Pipino il breve, atto confermato
dagli imperatori successivi almeno sino a Rodolfo I (1274).
Il Muratori, di parte ghibellina e sostenitore della sovranità imperiale, sostenne che se la donazione di
Pipino era in realtà una restituzione, bisognava riferirsi direttamente alla donazione di Costantino che
però era un falso.
La Santa Sede, nel 1723, dopo una piena rottura con l'impero, vinse.
2.Posizione di Gravina
Pur non essendosi mai espresso esplicitamente, il Gravina seguì le due questioni con grande interesse
e ciò si evince proprio dal suo carteggio con il Pignatelli.
Riguardo la vexata quaestio dei benefici ecclesiastici il Gravina condivise le posizioni del Majello,
leader dei curialisti, a cui era legato da un'amicizia risalente agli anni napoletani e quando il Riccardi
prese posizioni in netto contrasto con la Santa Sede ed il clero napoletano, Gravina prese posizione a
favore del Majello.
Riguardo la questione di Comacchio, Gravina si mostrò sempre a favore dell'azione papale come
quando criticò i senatori filoimperiali milanesi Caroelli e Olivazzi, protagonisti nella disputa di
Comacchio, per aver assunto un atteggiamento provocatorio nei cnf del pontefice. Nel De romano
imperio liber secundus, ha anche ribadito l'esistenza della restituzione dei territori, effettuate dai
carolingi alla chiesa, a cui spettavano di diritto.
3.Gravina e il pensiero anticurialista
Se da un lato la sua originaria formazione culturale aveva subito l'influenza delle dottrine
anticurialistiche, la lunga permanenza romana ed il contatto con la corte pontificia ha certamente
inciso in maniera determinante sulle sue scelte ideologiche. Il Ricuperati osserva che nella sua opera
si coglie un atteggiamento di impostazione profondamente laica ed osserva che anche quando giunse a
Roma portò con sé alcuni elementi della cultura napoletana, approfondendo teoricamente una politica
antiassolutistica.
Certamente gli orientamenti del Gravina sono stati condizionati dal suo essere a Roma agente di
monsignor Pignatelli, a cui cercò di spianare la strada con grande abilità diplomatica, ottenendone la
nomina a vescovo di Napoli. I suoi rapporti con Innocenzo XII e Clemente XI fecero sì che si
attenuasse il suo atteggiamento laicizzante e che si orientasse su posizioni più filopapali.
4.Idea di impero
Il Gravina tiene fermo il principio della contemporanea esistenza di due ordinamenti, canonico e
civile, e dell'autonomia delle vicende della chiesa rispetto a quelle dell'impero.
Nei due libri del De romano imperio esprime la sua profonda convinzione dell'importante funzione
civilizzatrice e unificatrice dell'impero romano ma Gravina non riconosceva all'impero austriaco
nessuna pretesa universalistica e pur riconoscendogli un superiore valore morale si manifestò
sfavorevole ad un consolidamento in Italia del potere della casa austriaca e di un allargamento dei suoi
domini territoriali → anche in questo caso si allineò alla azione politica papale.
De Luca e Gravina
Il cardinale Giovan Battista De Luca ha avuto una posizione centrale e rilevante nel panorama della
cultura giuridica della Roma di metà seicento. Ed anche se nelle opere del Gravina non appare mai il
nome del cardinale è impensabile che la sua solida preparazione non includesse la conoscenza delle
opere del De Luca dal momento che alcune sue considerazioni sembrano richiamarsi apertamente a
questo autore.