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Letteratura 16/10

L’Illuminismo ha una dimensione europea e una dimensione italiana. La trattazione


dell’Illuminismo in Italia avviene verso la metà del XVIII secolo (1750), quindi in ritardo rispetto
all’Inghilterra e alla Francia.
I due centri dell’Illuminismo italiano sono Napoli e Milano ma poi anche la Toscana grazie al
Granduca Pietro Leopoldo, un uomo moderato.

Per Napoli è importante ricordare tra gli intellettuali Antonio Genovesi, un ecclesiastico al quale
venne affidata una cattedra di economia e le lezioni vennero impartite in lingua italiana e non in
latino. Tra le sue idee principali c’è quella che la società aveva bisogno di un cambiamento e la
nuova generazione doveva rivalutare il valore del lavoro, soprattutto quello tecnico (artigianato).
Inoltre, sosteneva che alcune pratiche, tra cui leggere e scrivere, dovessero essere estese a tutti
anche alle classi più umili. Aveva posto l’accento anche sul fatto che uno Stato dovesse avere delle
leggi che favorissero nella popolazione un clima positivo che la portasse a maturare un pensiero
politico.
Un altro importante intellettuale napoletano era Gaetano Filangeri che ha dedicato i suoi studi per
migliorare la società. Egli sostiene che era necessario una revisione dell’apparato legislativo alla
luce del nuovo pensiero Illuminista.
Tra gli esponenti più importanti dell’Illuminismo milanese c’è Pietro Verri, uno dei fondatori
dell’Accademia dei Pugni, costituita da un gruppo di intellettuali che hanno scelto questo nome in
seguito a una controversia che arrivò ai pugni. L’Accademia discute diversi argomenti, tra i quali la
giustizia, economia, letteratura.
All’epoca i giornali muovevano i primi passi e questo gruppo di giovani dà vita ad un periodico,
chiamato “Il Caffè”, il cui obbiettivo principale era di offrire un contributo alla cultura illuminista.
Inizia ad essere pubblicato dal 1764 ogni 10 gg: era un solo foglio in cui c’erano numerosi articoli
su diverse materie come la filosofia, la scienza, ecc. Si soffermavano anche sulla lingua e
sull’accettazione di nuovi vocaboli, come quelli francesi, per cui c’è un’apertura anche dal punto di
vista linguistico (non c’era più un purismo linguistico).
Pag. 196 → primo articolo de “Il Caffè”
Il giornale era inteso come un fare del bene alla nazione e non solo come un piacere personale di
scrivere. Per questi scrittori i lettori hanno grande importanza e affermano che il giornale verrà
pubblicato finché sarà interessante per il pubblico.
Il foglio venne chiamato “Il Caffè” perché i giovani si ritrovavano nel caffè di Demetrio (signore
greco). Lo scelsero come luogo perché le strade non erano illuminate mentre il locale era
illuminato (simbologia dell’illuminismo: le strade erano buie mentre il locale illuminato
rappresentava il lume della ragione). All’epoca i caffè erano suddivisi in una parte di consumazione
e nell’altra dove si leggevano i giornali e dove ci si soffermava a leggere e a scrivere.
Un altro autore milanese importante è Cesare Beccaria e la sua opera “Dei delitti e delle pene”
nella quale si dichiara contrario alla pena di morte e scinde l’aspetto religioso da quello politico.
Cesare Beccaria era milanese di nascita, ha studiato presso il collegio di Parma e si laurea in legge.
Quando conosce Verri inizia ad avere grande interesse per l’illuminismo francese fino a dare il
nome a sua figlia (Giulia) della protagonista di “Giulia o la nuova Eloisa”, un romanzo di Rousseau.
Beccaria inizia un’opera molto complessa: “Dei delitti e delle pene” che quando verrà pubblicata
avrà grande successo. L’opera è una rivisitazione del diritto penale: chi commetteva un’azione
contraria alla legge era legato anche al pensiero religioso nel senso che commetteva anche un
peccato. Egli invece sosteneva che ad un’azione negativa doveva corrispondere una pena e non un
peccato. Nell’opera viene condannata anche la tortura, considerata ingiusta perché prima era
necessario assicurarsi che il crimine fosse stato veramente commesso e che non venissero
incolpati degli innocenti. Egli è contrario anche alla pena di morte e proponeva come pena i lavori
forzati perché la vita di un cittadino non appartiene allo Stato.
L’opera venne accettata in tutta Europa tranne dalla Chiesa che sosteneva l’importanza della
giustizia divina (crimine=peccato).

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