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Come affrontare le teorie del


complotto
Scienza. I complottisti hanno tutti caratteristiche comuni. Comprenderle (e autocomprendersi) è il modo migliore per smontare bufale che alterano
la realtà e offrono false sicurezze

Decalcomania, 1966 © Magritte

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Stella Levantesi L’altro ieri è diventato virale ed ha suscitato allarme il video di un servizio del
TgR Leonardo del 2015 su un coronavirus ingegnerizzato in Cina. FACEBOOK
EDIZIONE DEL
LINKEDIN
28.03.2020 Il servizio faceva riferimento ad uno studio pubblicato sulla rivista Nature sulla
proteina SCH014, considerata responsabile della Sindrome Respiratoria Severa TWITTER
PUBBLICATO
Acuta (SARS).
EMAIL
27.3.2020, 1022
È nata, così, una teoria del complotto secondo la quale il coronavirus che causa
Covid-19 è stato creato in laboratorio dai cinesi, anche se la stessa Nature aveva
SCARICA IN
pubblicato questo mese la seguente nota relativa allo studio del 2015: “Siamo
consapevoli che questo studio viene utilizzato come base per teorie non verificate Pdf ePub mobi
secondo le quali il nuovo coronavirus, che causa COVID-19, è stato progettato in
laboratorio. Non ci sono prove che questo sia vero; gli scienziati ritengono che un
animale sia la fonte più probabile del coronavirus”.

Nonostante questo, il video è circolato su WhatsApp con ampia diffusione.

La teoria del complotto si è diffusa anche in rete, condivisa da Matteo Salvini su


Twitter e presentata come spiegazione illuminante della pandemia di coronavirus,
con tanto di pallini rossi e punti esclamativi cattura-attenzione.

Matteo Salvini
@matteosalvinimi

INCREDIBILE!!!
Da Tgr Leonardo (Rai Tre) del 16.11.2015 servizio su un
supervirus polmonare Coronavirus creato dai cinesi con
pipistrelli e topi, pericolosissimo per l'uomo (con annesse
preoccupazioni). (1/2)

6:32 PM · 25 mar 2020

5.439 Leggi le ultime informazioni in materia di COVID-19 s…

Una teoria del complotto può avere conseguenze negative e dannose e, quando
prende piede, rischia di infestare la rete, informatica e sociale.

Le teorie del complotto si basano su meccanismi non affidabili di rappresentazione


della realtà e non sempre sono il risultato di false credenze genuinamente sostenute.
Possono, infatti, essere costruite, architettate e amplificate intenzionalmente per
ragioni politiche e strategiche.

Stephan Lewandowsky, psicologo e presidente del dipartimento di psicologia


cognitiva all’Università di Bristol, e John Cook, scienziato cognitivo e ricercatore al
Center for Climate Change Communication della George Mason University, hanno
studiato le cause e le dinamiche delle teorie del complotto, ed hanno creato una
sorta di manuale di istruzioni per “navigare” il complottismo.

Le teorie del complotto sono contraddistinte da sette caratteristiche principali,


riassunte in inglese con l’acronimo CONSPIR (in inglese coincide con le lettere
iniziali di ogni caratteristica).

La prima è l’elemento di contraddittorietà; chi crea e propone le teorie del


complotto può contemporaneamente credere ad idee che si contraddicono a
vicenda. Non importa che il ragionamento sia incoerente, ma importa solo evitare
ad ogni costo di credere alla versione ufficiale dei fatti.

La seconda caratteristica, infatti, è la diffidenza (preesistente) proprio nei


confronti della versione ufficiale dei fatti; qualsiasi elemento non rientri
direttamente nella teoria non va considerato. Il complotto diventa la realtà, è il resto
ad essere una distorsione.

Questo si lega ad una terza caratteristica, il sospetto: “c’è qualcosa che non va”, è la
realtà ad essere un inganno e non viceversa.

Un altro aspetto comune a coloro che sostengono le teorie del complotto è un


sentimento di vittimismo, accompagnato dalla mania di persecuzione: il
complottista si presenta come vittima di una persecuzione universale. Allo stesso
tempo, diventa “antagonista coraggioso” che affronta i “malvagi cospiratori” (ovvero
tutti coloro che sono al di fuori della teoria del complotto) e finisce per avere una
percezione di sé ambivalente: vittima ed eroe contemporaneamente.

Quinta caratteristica: molto spesso le teorie del complotto sono volutamente


“immuni” a prove fattuali, Cook e Lewandowsky le definiscono “auto-sigillanti”.
E anche se le prove esistono, vengono reinterpretate in modo tale da farle rientrare
nel quadro del complotto stesso. Quanto più forti sono le prove a sfavore della
teoria, tanto più i complottisti hanno necessità che venga creduta la loro (falsa e
costruita) versione dei fatti. Esempio: “il cambiamento climatico non esiste, è un
complotto e gli scienziati che dimostrano che esiste e che è stato prodotto dall’uomo
ne fanno parte”. Un complotto nel complotto, insomma.

Spesso, la manipolazione della realtà è così ingannevole da rendere le teorie una


plausibile alternativa alla realtà. Più il complotto è credibile, più è pericolosa la sua
diffusione.

Il meccanismo di reinterpretazione delle prove si lega anche alla sesta caratteristica:


i complottisti strumentalizzano le “coincidenze”, reinterpretano le casualità per
integrarle nel complotto stesso.

Nulla accade per caso, tutto deve indicare che la teoria è l’assoluta verità: ogni
dettaglio, anche il più irrilevante, viene intrecciato in uno schema d’inganno che
possa rientrare alla perfezione all’interno del complotto.

L’ultima caratteristica rappresenta l’aspetto più strategico di queste teorie:


“l’intento nefasto” o malafede. “Le motivazioni alla base di ogni complotto sono
ritenute nefaste”, scrivono Cook e Lewandowsky. “Le teorie del complotto non
prevedono mai che i complottisti abbiano intenzioni benevole”.

Ma perché le teorie del complotto si diffondono così facilmente?

Secondo Cook e Lewandowsky, le persone che si sentono vulnerabili e impotenti


tendono ad offrire un terreno fertile per la diffusione delle teorie del complotto.

Inoltre, queste teorie permettono di “affrontare” circostanze di minaccia immediata


attraverso un capro espiatorio: un “grande evento” deve per forza avere una “causa
importante”. In quest’ottica, è un modo per spiegare eventi improbabili e fuori
dall’ordinario: una sorta di meccanismo di coping (barcamenarsi, ndr) che offre ad
alcuni un modo alternativo per “gestire l’incertezza”.

La dimensione di incertezza è, infatti, fondamentale affinché le teorie del


complotto possano avere successo. Possono essere utilizzate come strumento
“retorico” per sfuggire a conclusioni “scomode”, per “contestare” le idee politiche
ufficiali e sono un ingrediente inevitabile dell’estremismo politico.

Studi di “de-radicalizzazione”, quindi, possono fornire indicazioni su come


“disarmare” i complottisti.

I social media tendono ad alimentare i meccanismi delle teorie del complotto.

La mancanza dei tradizionali “gate-keeper” (ad esempio i giornali, ndr), scrivono


Cook e Lewandowsky, è uno dei motivi per cui la disinformazione si diffonde più
facilmente e velocemente online, spesso spinta da account falsi, bot o troll.

Allo stesso modo, chi “consuma” le teorie del complotto è incline a mettere “mi
piace” e a condividere post complottisti su Facebook.

Cook e Lewandowsky, identificano due modalità principali per far fronte a queste
teorie: il prebunking e il debunking.

La prima si basa sull’importanza di giocare d’anticipo, cercando di disinnescare in


partenza i meccanismi dei complottisti: “Se le persone vengono rese consapevoli
degli errori di ragionamento nelle teorie, possono essere meno vulnerabili e
sviluppare una capacità di resistenza ai messaggi complottisti”.

Questo processo avviene in due modi: attraverso l’avvertimento esplicito di un


complotto imminente che rischia di indurre in errore, oppure attraverso la
confutazione degli argomenti della disinformazione.

Il debunking invece, che in inglese si definisce come “smascherare finzione o


falsità”, agisce attraverso i fatti, la logica, le fonti e l’empatia.

In altre parole, il debunking ricorre al factchecking, a un’informazione accurata che


ha la capacità di smentire, a una logica che possa spiegare le tattiche ingannevoli e i
ragionamenti errati, a una demistificazione che smascheri l’assenza di credibilità dei
complottisti, e a un’attenzione “empatica” nei confronti dei target delle teorie del
complotto.

Il debunking, tuttavia, può rivelarsi un’arma a doppio taglio poiché potrebbe


rafforzare le teorie involontariamente.

Incoraggiare le persone a pensare in modo analitico può costituire uno strumento


efficace per smantellare la falsa narrazione della realtà sulla quale si fondano le
teorie del complotto.

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serendipity • 5 mesi fa
comunque complotto o no le sardine sono ko..non permetteranno mai piu un assembramento del genere con la scusa che ci potrebbe essere un attent-untore..
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Orazio Sorgonà • 5 mesi fa


non c'è nessun motivo perchè la "versione ufficiale" sia vera, o sia falsa (per il fatto che è ufficiale).

Ma perchè, comunque, ciò che viene in mente a me dovrebbe essere vero per il fatto che è venuto in mente "a me" ?

In tutto ciò, l'idea di "fatti" accertabili , ovvero accertan-di, da doversi accertare, se qualcosa vuol conoscersi davvero, sempre più latita (da più parti).

Non è una questione affatto banale, comprendere su qualcosa, o saremmo tutti sapienti.
△ ▽ • Condividi ›

floriana lipparini > Orazio Sorgonà • 5 mesi fa


Non riesco a capire come mai un giornale intelligente come il Manifesto chiami "complotto" il semplice dubbio che la sicurezza dei laboratori di ricerca sia
garantita al mille per mille. Niente è perfetto fra noi umane/i, e l'esercizio del pensiero critico, critico e NON complottista, è una delle poche forme di libertà che non
ci si può togliere. Chi garantisce che un errore non sia avvenuto? Si chiama errore e non complotto. Oppure tutto ciò che è "scientifico" e "ufficiale" non si può
mettere in discussione? Dal Manifesto non me lo aspetterei.
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