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Trascrizione: Maria Pericleous

Revisore: Chiara Polesinanti

La ricerca scientifica
è il motore della scienza

ed è l’unica arma che ci tirerà fuori


da questa pandemia in modo definitivo.

Parlo della Covid-19.

Torniamo indietro di un anno circa,

realizziamo quello che assomiglia


quasi a un miracolo:

in meno di un mese
è stato identificato e sequenziato

un nuovo virus
che causava una nuova malattia.

In meno di un anno

siamo riusciti ad avere


vaccini altamente innovativi

e parimenti altamente efficaci


nel prevenire la morte e la malattia

e anche molto efficaci


nel prevenire la trasmissione del virus

da un individuo a un altro.

Allora quello che vorrei


provare a trasmettere

è che queste cose non accadono per caso.

Detto in altre parole, questi vaccini --


parlando solo dei vaccini --

non sono nati ieri,

e sono anzi nati per uno scopo diverso.

Sono nati essenzialmente nel concetto

delle terapie personalizzate


per malati di cancro.

L’idea, come vedete nello schema,


è di estrarre l’informazione genetica

dal cancro, da un tumore maligno


di una persona,

per ricavarne in termini di DNA


o di RNA messaggero, diciamo,

delle piccole proteine,


dei peptidi specifici

per quel cancro e quella persona

per indurre, stimolare


risposte immunitarie altamente selettive,

nell’ottica appunto
della terapia personalizzata.

Ma facciamo ancora un passo indietro.

Da dove nasce tutto questo,


almeno parte di questa storia?

Nasce con una storia umana appassionante,

quella di una giovane Ungherese,


Katalin Karikó,

che aveva un’idea un po’ pazza --

oggi diremmo un po’ alla Elon Musk,


per intenderci --

di sfruttare l’RNA
per creare nuovi vaccini.

Per la conoscenza di allora


questa è una specie di eresia,

perché si sa che l’RNA


messo in una cellula

viene degradata nel giro di pochi minuti.

Eppure...

Tant’è che la preoccupazione di Katalin

era quella di trovare una borsa di studio

per arrivare a fine mese.

Finalmente incontra un americano,


Drew Weissman, a Philadelphia,

che sposa l’idea.

Insieme, dopo ovviamente molta ricerca,

pubblicano un articolo scientifico


fondamentale, nel 2005,

che dimostra come


modificando le molecole di RNA,
queste possono essere effettivamente
usate come nuovi vaccini.

Questo lavoro, detto per inciso, potrebbe


conferire il premio Nobel per la medicina

a questi due pionieri.

Tre anni dopo, in Germania,

nasce una piccola azienda BioNtech.

È fondata da Özlem Türeci


e suo marito Ugur Sahin,

entrambi di origine turca,


anche se cresciuti in Germania.

E sfruttando l’idea originale


dell’RNA messaggero

la trasformano in un prodotto
diciamo biotecnologico industriale.

E quando arriva la chiamata del Covid,

l’appello globale internazionale


per scoprire i vaccini,

fanno alleanza
con la multinazionale Pfizer

e producono il primo vaccino efficace


basato sull’RNA messaggero --

se ne aggiungeranno poi altri --

che tutti noi, o molti di noi,


hanno avuto come inoculazione.

Tutto questo ci porta


a una domanda di base.

Come funziona la scienza?

Cioè come è possibile

che queste conoscenze, alla fine,


si traducano in cose utili per tutti?

Allora qui dobbiamo distinguere


un prima e un dopo.

Un prima la pandemia
e dopo o durante la pandemia

perché prima, fondamentalmente


la scienza funzionava,
semplificando un po’, in questo modo:

immaginatevi, come dire,


un grande crogiuolo di ricerca di base

che produce appunto lavori scientifici


con dati, statistiche, analisi,

che vengono mandate


alle riviste specializzate,

le riviste internazionali scientifiche.

Però questi, prima di essere pubblicati,

vengono vagliati
da altri esperti indipendenti,

quelli detti “peers”, cioè pari,

e solo dopo il loro vaglio,


dopo eventualmente correzioni

chieste dai “peers”,

queste conoscenze diventano


effettivamente un articolo scientifico.

Un articolo scientifico
che noi potremmo definire

il mattoncino Lego della scienza,


della conoscenza.

E ovviamente in ogni settore

ci sono tanti mattoncini Lego


che alla fine raggiungono l’obiettivo.

Un ulteriore elemento
è che come in tutti i campionati sportivi,

per esempio nel campionato di calcio,

esistono riviste scientifiche top


e riviste scientifiche di minor livello.

Quindi anche in quale rivista scientifica


un articolo è pubblicato

conferisce una potenziale importanza

a quella, chiamiamola scoperta,


o comunque quelle nuove informazioni.

Che cosa è cambiato


in questi due anni di pandemia?
L’ultimo elemento è
che tutto questo processo richiede tempo,

un tempo medio che potremo stimare


tra uno, due, tre anni.

Stavo dicendo che cosa è cambiato


con la pandemia.

Fondamentalmente quello che è cambiato


sono cambiati due aspetti fondamentali.

Il primo riguarda la comunità scientifica,

perché quegli articoli


che prima venivano mandati,

in modo, come dire, non conosciuto ai più,


alle riviste per pubblicazioni,

oggi vengono depositati


su piattaforme specifiche.

E questo ha avuto un enorme impatto,

per esempio sulla pandemia di Covid,

perché ha permesso a tutta


la comunità scientifica globale

di venire a conoscenza di dati

che avrebbero richiesto


mesi e mesi, se non anni,

prima di essere pubblicati.

Purtroppo, essendo lavori


ancora non vagliati da altri esperti,

a volte è capitato
che siano lavori imperfetti,

e in qualche caso purtroppo


anche lavori falsi.

Il secondo macro aspetto


che ha caratterizzato questo periodo

è stata la ribalta degli esperti,

in senso lato,
che hanno scritto sui giornali,

ma soprattutto hanno occupato


i social network

e i vari format televisivi,


in particolare i talk show.
Questo combinato disposto,
potremmo definire, di deposito di articoli

prima del vaglio scientifico

e di comunicazione diretta tra gli esperti

ha finito per così dire per relegare


l’articolo scientifico pubblicato,

il mattoncino Lego della conoscenza,

a un ruolo quasi marginale.

E la tempistica, come ho detto


con aspetti positivi ma anche negativi,

a volte addirittura ha azzerato


i tempi di trasmissione

dal mondo della ricerca scientifica


alla società civile.

E quali sono quindi le implicazioni

di quello che stiamo ancora


vivendo di fatto?

Le implicazioni che,
l’abbiamo visto un po’ tutti,

molto spesso dal dibattito scientifico

si è passati a un dibattito
di tipo ideologico.

Vi ricorderete tutti i pessimisti


o gli ottimisti dell’anno scorso

sulla fine della pandemia.

E dal dibattito ideologico

molto spesso sono stati aspirati

e sono diventati elementi


di schieramenti politici.

E questo ha finito per la società civile


nell’ingenerare una seconda pandemia

parallela e sovrapposta alla prima,

una pandemia che chiamiamo


tecnicamente “infodemia”.

Cos’è l’infodemia?
Chiediamolo alla Treccani.
La Treccani la definisce: “La circolazione
di una quantità eccessiva di informazioni,

talvolta non vagliate con accuratezza,

che rendono difficile orientarsi


su un determinato argomento

per la difficoltà di individuare


le fonti autorevoli o affidabili”.

Noi potremmo dirlo sostanzialmente

che si tratta di un mix,


qualche volta infernale,

di informazioni scientifiche
e pseudoscientifiche o non validate

quando addirittura non false,


le famose fake news.

E ripeto, questo
ha avuto molto a che fare,

ha molto a che fare


con la logica del talk show.

Perché la logica del talk show,


per la sua struttura, per la sua natura,

prevede che ci siano


due ipotesi bilanciate

che si affrontano,

e non vince quasi mai,


o non necessariamente,

chi ha le argomentazioni migliori,

chi ha le evidenze più solide.

Vince, e lo sapete benissimo,


chi ha la battuta più pronta,

chi è più aggressivo, più carismatico,

alla fine chi sovrasta l’altro.

Ebbene,

la scienza non è compatibile


con una logica da talk show.

Allora facciamo un passo indietro

di un anno esatto
prima dello scoppio della pandemia.

Perché un anno esatto prima


nasce il patto trasversale per la scienza.

Nasce il patto trasversale per la scienza

e chiede a tutte le forze politiche,


senza distinzione,

di sostenere la scienza
come valore universale di progresso,

senza alcun colore politico.

Contestualmente chiede
alla classe politica

di non sostenere la pseudoscienza


e la pseudomedicina,

e di implementare
programmi di informazione,

formazione ed educazione alla scienza

a partire dalla scuola


dell’obbligo in poi,

e infine di assicurare adeguati


finanziamenti pubblici

alla ricerca scientifica.

Ma nello specifico, cosa ha fatto


il patto trasversale

per arginare o contrastare l’infodemia?

Abbiamo fatto un decalogo


di autodisciplina,

chiaramente indirizzato innanzitutto

agli affiliati del patto


trasversale per la scienza,

ma a disposizione di tutta
la comunità scientifica di esperti

che se ne volessero avvalere.

Vediamo rapidamente questi dieci punti.

Il primo punto è la trasparenza,

con riferimento in particolare


alla possibilità
di avere conflitti di interessi
in ambito scientifico.

Il conflitto di interesse, attenzione,


non è né un reato né una cosa negativa.

Però l’importante è che se un cittadino


sta ascoltando un esperto,

sappia che se l’argomento


di cui tratta l’esperto

ha a che fare anche


con i suoi interessi specifici,

questo è bene, deve essere appunto noto,

che è anche una garanzia


per l’esperto stesso

di dichiarare i propri interessi.

A ciascuno il suo.

Voi lo sapete, quasi tutti


gli esperti che vanno in tv

vengono etichettati come virologi.

Ebbene, dovete sapere che un virologo

ha delle competenze diverse


da un immunologo,

complementari ma diverse,

ed entrambi hanno competenze


diverse e complementari

a un infettivologo, e così via.

Credo che nessuna delle persone


che sono qui oggi,

se avesse bisogno di un lavoro in casa

sbaglierebbe nel chiamare


un imbianchino o un idraulico,

un elettricista o un muratore.

Bene, anche nella scienza


è la stessa cosa.

Ognuno ha delle proprie competenze

che poi messe insieme,


magari, si aiutano l’uno con l’altro.
Non improvvisare.

Cercare di conoscere in anticipo


i temi e le domande che verranno fatte,

per essere più preparati,


per non improvvisare, appunto.

No al sensazionalismo.

La scienza non ha bisogno


di gonfiare le proprie osservazioni,

perché queste fatalmente


finiscono per alimentare aspettative,

soprattutto nelle persone o malati,

o con familiari malati,

e poi quando queste aspettative


non vengono confermate dalla realtà,

il tutto finisce
in una sfiducia nella scienza.

Prima i dati scientifici


e poi le opinioni.

Quello che l’esperto dovrebbe fare,


principalmente se non esclusivamente,

è quello di spiegare
in parole semplici ma corrette

i contenuti e i limiti
dei lavori scientifici

o degli studi clinici,

e poi eventualmente dare una propria


opinione sulle ricadute a lungo termine,

ma tenendo molto ben separate


entrambe le comunicazioni.

No alla par condicio.

L’abbiamo detto,
come nella logica del talk show,

nella scienza non esistono quasi mai


due ipotesi uguali che si affrontano.

Esiste un accumulo
di conoscenze consolidate

e poi c’è un’area


in continuo sviluppo e divenire
che va comunicato.

Evitare le polemiche.

Le polemiche non servono assolutamente


a chiarire le idee ma a confondere.

Aggiornamento continuo.

La scienza, l’abbiamo detto anche prima,

è in rapido evolversi, in particolare


per quanto riguarda la pandemia,

e quindi a volte succede anche


che alcune conoscenze

rimpiazzino o sostituiscano o smentiscano


quelle precedentemente accumulate.

Ecco, questo l’esperto deve spiegare


in modo semplice e corretto,

perché secondo le conoscenze di un tempo


predominava una certa idea

e perché oggi magari


ne predomina un’ altra.

Nessuna strumentalizzazione.

La scienza è un patrimonio
di tutta la società

e non solo di una sua parte.

E infine, l’ultimo punto del decalogo


è ammettere i propri errori,

perché tutti sbagliano,

e ricordarsi anche di saper dire


“questo non lo so”.

Cosa possiamo concludere


nella logica del “more no more”?

Possiamo concludere
che la pandemia di Covid

di nuovo ha fatto apprezzare a tutti


l’importanza della scienza

e delle sue ricadute nella nostra vita


per la nostra salute,

sia individuale che collettiva.


Allo stesso tempo la spettacolarizzazione
della scienza nel contesto di talk show

o di eventi simili

ha finito per alimentare


quella che abbiamo chiamato infodemia.

Come ne usciamo?

Ne usciamo se restituiamo
alla scienza e alla medicina

quel ruolo centrale che dovrebbero avere,

che in parte hanno,

nelle decisioni poi politiche


di gestione della salute pubblica.

Perché è solamente grazie


alla ricerca scientifica

che scopriremo i farmaci e i vaccini

che ci proteggeranno
dalle epidemie del futuro.

Grazie.

(Applauso)

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